L'intervento della Consulta, infatti, accantona, in sostanza, l'impianto casistico sul quale si fondava l'art. 235, comma 1, c.c., ed incentra l'esito dell'intero procedimento sui soli risultati degli esami genetici o ematologici ritenuti idonei, da soli, a fondare l'accoglimento della domanda.
La Consulta dunque riapre alle domande risarcitorie delle vittime la via già inaugurata, sin dalla nota sentenza "Ferrini", dalla Corte di cassazione - la quale si era invece poi però adeguata alla CIG in alcune occasioni, senza vedere spazi per incidenti di costituzionalità - ma accantona, in forza dei c.d. controlimiti, per vero più adatti al diritto europeo specie secondario, la esigenza di allineamento pieno del nostro ordinamento al diritto internazionale generale (consuetudini) e allo stesso Trattato ONU. Questo accentuato dualismo di piani, cioè una istituzionale divergenza fra diritto interno e diritto internazionale, oltre a inasprire problemi politici in questa ardua stagione della integrazione europea, è realmente imposto dalla Costituzione allorché si tratti dopotutto di offrire risarcimenti agli eredi delle vittime e non già di rendere "enforceable" i diritti umani fondamentali delle stesse a 70 anni da lesioni purtroppo irreparabili? La tutela risarcitoria civile per le vittime di deportazione e di costrizione a lavori forzati non verrebbe in questo caso a spiegare alcuna efficacia sanzionatorio-repressiva, e quindi anche e soprattutto preventiva e deterrente di crimini di guerra e violazioni di diritti umani in atto; fenomeno almeno in Europa occidentale per fortuna irripetibile e già messo al bando da tutti gli Stati aderenti alla Cedu. Resterebbe, è vero, concepibile la funzione riparatoria del risarcimento pecuniario che, tuttavia, sempre per il troppo tempo trascorso tra il fatto dannoso e la tutela individuale, è dubbio riuscirebbe ad offrire ristoro congruo e tempestivo alle vittime, sotto forma di un miglioramento delle condizioni economiche e di vita personali o dei propri familiari, ma solo darà un beneficio - e ingente tenuto conto di rivalutazioni ed interessi - agli eredi.
Con sentenza del 25 novembre 2014, n. 25012, emessa in sede di impugnazione avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense, n. 26 del 18 marzo 2014, le Sezioni Unite intervengono a precisare il contenuto normativo dell'art. 45 del codice deontologico forense del 2008, con argomenti di portata generale, occupandosi dei margini di liceità del c.d. patto di quota-lite, in una sua peculiare variante, che potremmo definire patto di quota-risultato, rassegnando delle motivazioni non perfettamente coincidenti con quelle del CNF [Consiglio nazionale forense]: si accantona il riferimento al risultato e si focalizza l'attenzione sul rispetto dei canoni di equità, proporzionalità e correttezza.