Alla stessa pena soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente.
Il suddetto legame va sempre più consolidandosi attraverso la realizzazione di spin-off accademici.
L'articolo sintetizza inizialmente gli elementi di complessità propri del concetto di performance applicato all'università; illustra successivamente di uno schema interpretativo per l'analisi dei diversi contributi normativi ed accademici sul tema. Il framework proposto può essere utilizzato al fine di identificare quali aree sono state presidiate dalla letteratura e dalla normativa e quali invece trascurate.
Il paper, sulla base di un originale schema interpretativo, presenta l'analisi dei contributi accademici e normativi italiani dell'ultimo decennio, ai fini di definire "lo stato dell'arte" sul tema di individuare quali aree siano state approfondite e quali invece per lo più trascurate.
Il paper prende in considerazione la balanced scorecard come strumento che può essere utilizzato, dal punto di vista strategico, per soddisfare i fabbisogni informativi del rettore e degli altri organi accademici di governo e che possa risultare altrettanto utile per le differenti tipologie di stakeholder. Dopo aver ripercorso brevemente finalità e contenuti della BSC, si passa a verificare se, data la multidimensionalità delle performance d'ateneo, tale strumento possa costituire un idoneo sistema di reporting per il rettore e gli altri organi decisionali, anche sulla base delle esperienze internazionali che si sono in tal senso già concretamente realizzate. Grazie allo sviluppo di tale iter logico della ricerca si giunge a proporre, con tutti i limiti di ogni generalizzazione, un primo modello di BSC che possa essere utilizzato, seppure con i necessari adattamenti alle esigenze dei singoli atenei, come strumento di guida nell'attività di governo di una università del nostro Paese.
In questi appunti vengono presi in considerazione due interventi specialmente qualificati in virtù della loro fonte (autorevoli esponenti accademici del diritti civile italiano) e dell'impegno argomentativo: non ci si può peraltro esimere dall'evidenziare criticamente i profili problematici di tali interventi, in particolare ponendo in risalto sia la modesta efficacia persuasiva, anche sul piano propriamente giuridico, di alcuni degli argomenti utilizzati, sia le perplessità sollevate dalle premesse concettuali e filosofiche da cui muovono.
Il contributo esamina il lungo e tormentato iter culturale che ha condotto alla promulgazione della legge 180/1978: dalla cesura in psichiatria tra il pensiero degli accademici e le azioni degli ospedalieri tra fine '700 e primo '800, passando attraverso il riferimento agli "alienisti" (così preferivano chiamarsi gli psichiatri in epoca positivista) romantici e spiritualisti sostenitori prima del "morotrofio", luogo di cura e recupero attraverso trattamenti "morali" poi del "manicomio", centro di esclusione e di mera custodia, sino alla rivoluzione operata da F. Basaglia, che si ispirava alla psichiatria inglese, sebbene gli intellettuali parigini e l'esistenzialismo di Jean Paul Sartre abbiano rappresentato un riferimento essenziale. Il lavoro prosegue con una disamina critica della riforma realizzata rispondendo alle principali accuse che le sono state rivolte e termina con uno sguardo al panorama del futuro della gestione della sofferenza psichica.
Mentre il dibattito tra accademici ed operatori sembra concentrarsi sui limiti ed i fallimenti che i sistemi di controllo incontrano, in Italia si sta diffondendo ad opera della Corte dei conti un'attività di controllo, ancora poco studiata, il controllo successivo sulla gestione. Lo scritto esamina questa tipologia di controllo avvalendosi dell'esame del referto, delle modalità di svolgimento e delle conseguenze di una specifica attività di controllo sulla gestione: il caso dei commissari straordinari per l'emergenza rifiuti. L'analisi consentirà di verificare come il controllo sulla gestione risulti immune dai principali limiti dei controlli interni, incontrando però difficoltà a sortire conseguenze reali nelle amministrazioni.
Attraverso interviste a testimoni privilegiati ed analisi di dati secondari, si evidenziano i fattori determinanti il gap e le diverse attitudini dei manager pubblici e degli accademici verso le soluzioni proposte in letteratura.
Lo studio offre informazioni e approfondimenti sulle rispettive normative e prassi nazionali - compreso un quadro relativo alle posizioni di governi, di parti sociali e di accademici - di sette Paesi dell'UE: Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia e Spagna. L'A. fornisce quindi un contributo originale e di dettaglio al dibattito accademico e politico in corso sul diritto del lavoro e delle relazioni industriali.
Sempre più accademici, politici e organizzazioni sindacali stanno formulando critiche sostanziali sulla mancanza di teoria che sottende al concetto di "flexicurity", sulla natura indefinita del concetto stesso, sulla mancanza di un punto di vista condiviso tra le parti sociali e sull'evidenza che il concetto si è sviluppato in modo sbilanciato verso la flessibilità, con minori garanzie per la sicurezza dei lavoratori. La combinazione della crisi economica e concettuale rafforza il rischio di ulteriore erosione dell'elemento sicurezza nelle politiche e pratiche della "flexicurity". La domanda cruciale è se esista una vera alternativa alla "flexicurity". Concetti alternativi, basati su una sola dimensione, probabilmente non possono raggiungere un approccio integrato e sostenibile che porti sui tavoli di negoziazione gli interessi sia datoriali che dei lavoratori. Per poter dare una risposta a questa domanda, l'A. valuta criticamente alcune politiche di risposta alla crisi economico-finanziaria in Stati membri dell'Unione europea che riflettono un approccio di "flexicurity": Svezia, Belgio, Germania, Olanda e Regno Unito.
Successivamente si prendono in esame i principali ambiti in cui la facoltà di dispensare dalle leggi processuali da parte del Supremo Tribunale si è esercitata, cioè la dispensa dai titoli accademici, la dispensa dalla doppia conforme e la dispensa dal prescritto del can. 1614. Infine, attraverso tre esempi (dispensa dalla citazione giudiziaria, dispensa dalla pubblicazione degli atti, dispensa dal processo) vengono rilevati i limiti nella concessione della dispensa, stabiliti dalla legge stessa.
Da un lato, si diffonde una visione del dottorato come area di "parcheggio", in attesa di prospettive occupazionali migliori; dall'altro, l'inserimento professionale dei dottori di ricerca in ambiti extra-accademici non sempre è coerente con la formazione ricevuta. Gli esiti occupazionali sono, inoltre, differenziati per area disciplinare ed emergono disuguaglianze territoriali che alimentano un'intensa mobilità interna, cui si aggiunge il fenomeno della "fuga di cervelli". A fronte di tali criticità, per l'A. diventa cruciale un ripensamento delle finalità e dell'organizzazione dei corsi di dottorato, in vista di una opportuna valorizzazione dei dottori di ricerca e della crescita economica del Paese.
Contro la manifesta ostilità di Wakefield verso le pretese accademico-scientifiche vantate dai cameralisti accademici, Schiera riprende la vecchia lettura di Albion W. Small che, a Chicago nel 1909, studiava "The Cameralists" come "pionieri della politica sociale tedesca", verificandola alla luce di Federico il Grande. La conclusione è che, nella sua azione concreta, quest'ultimo ha saputo rendere più solida la base politico-amministrativa del suo Stato, attrezzandolo per i nuovi compiti che avrebbe svolto dopo la salita della Prussia al rango di potenza europea: fra il re-soldato e il re-filosofo, c'era insomma spazio anche per il re-amministratore. Schiera trae da ciò indicazioni anche per i problemi "globali" di oggi.
Il saggio è dedicato agli sforzi riformisti politici, istituzionali e accademici; riporta gli innumerevoli ma vani progetti parlamentari susseguitisi; sottolinea che le soluzioni cui il Parlamento sembra guardare siano più o meno le stesse riproposte per quattro decadi. Nel paragrafo finale sono proposte valutazioni complessive e possibili insegnamenti.
Il fluire delle idee e il loro scambio tra i protagonisti del diritto (accademici, avvocati e giudici) rappresentano la principale risorsa per il costante rinnovamento di quest'ultimo.
Infatti, per un verso, la collaborazione tra il giurista e il "Principe" è da considerarsi una costante della storia del diritto; per altro verso, le gravi colpe della politica e la complessità del contesto attuale dovrebbero indurre il medesimo giurista a farsi carico sia di svolgere attività di "pedagogia istituzionale" a più ampio spettro (vale a dire anche al di là dei tradizionali luoghi e schemi accademici), sia di sperimentare nuovi percorsi interpretativi (consentiti dalla struttura aperta degli enunciati della Costituzione repubblicana), sia di offrire un apporto scientifico capace di favorire scelte politico-normative più illuminate e conformi alla matrice assiologica dell'ordinamento. In altre parole, anche e soprattutto per la scienza giuridica, dovrebbe valere il vecchio, ma non certo desueto, brocardo latino: "salus rei publicae suprema lex esto".