(Fabbricazione o commercio abusivi di liquori o droghe, o di sostanze destinate alla loro composizione)
(Fabbricazione o commercio abusivi di materie esplodenti)
Lavori abusivi (legge 5 novembre 1971, n. 1086, art. 13)
Sospensione o demolizione di interventi abusivi da parte della regione (legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 26, come sostituito dall'art. 6, legge 6 agosto 1967, n. 765; decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 8, art. 1)
Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici (legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 14; decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, art. 17-bis, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203; decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articoli 107 e 109)
Fatte salve le sanzioni di cui al presente titolo, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione.
E' autorizzato l'uso delle armi, quando sia necessario, per impedire i passaggi abusivi attraverso i valichi di frontiera non autorizzati.
Delle persone sospette, dei liberati dal carcere o dagli stabilimenti per misure di sicurezza, del rimpatrio e degli espatri abusivi.
Le regole di buona fede e correttezza si applicano per giudizio ormai unanime a tutti i rapporti societari, ed in particolare alle delibere assembleari, le quali rappresentano spesso i momenti in cui la volontà dei soci - espressa attraverso il voto - può dare luogo a comportamenti abusivi. Il ricorso al criterio della buona fede, come strumento consono ai principi che disciplinano l'autonomia privata è, pertanto, praticabile dinanzi al giudice per fornire una tutela coerente ai principi societari. L'angolo visuale scelto è quello delle deliberazioni di aumento del capitale, e la tipologia presa in considerazione, che si articola rispetto al caso emblematico dell'abuso della maggioranza rivolto alla eliminazione di altri soci, è prevalentemente orientata alla tutela della minoranza. L'esigenza di tutelare chi non ha poteri di controllo non deve portare, però, a trascurare come il bilanciamento degli equilibri societari sia in una fase di profonda trasformazione tale da mutare i rapporti tra maggioranza e minoranza, specialmente attraverso l'attribuzione di poteri a minoranze qualificate, in grado quindi di far sentire la propria voce. Il comportamento contrario a buona fede, e quindi abusivo, non è, pertanto, solo appannaggio delle maggioranze: la dottrina e qualche giudice (sino ad oggi non nazionale) hanno in proposito manifestato preoccupazione per una minoranza spesso "minacciosa", che riesce ad impedire modifiche dello statuto o a paralizzare deliberazioni che, come accade per l'aumento del capitale, richiedono una maggioranza qualificata.
I prelievi abusivi di compensi da parte degli amministratori
Sono da considerare abusivi tutti gli sconfinamenti che, per i compensi agli amministratori, si verificano rispetto alla misura, fissata dall'assemblea dei soci o dal consiglio di amministrazione, a seconda dei casi, con riferimento alle regole del codice civile. L'articolo si occupa non tanto delle sottrazioni eclatanti quanto degli abusi "alla chetichella" che vengono compiuti addossando alla propria società oneri che, a rigore, non sono attribuibili al suo conto economico e che, pertanto, alterano per talune voci - talvolta in modo significativo - le risultanze esposte nel bilancio di esercizio. Nella maggior parte dei casi, secondo le osservazioni effettuate al riguardo, si è in presenza di compensi in natura, notoriamente parificati a quelli in denaro ai fini degli adempimenti deliberativi e con ricaduta, in particolare, sul piano dell'imposizione diretta. I compensi in natura assumono le vesti più diverse, andando dalle telefonate personali all'uso privato dell'autovettura aziendale. Il punto centrale della trattazione contenuta nell'articolo è costituita dalle indicazioni meditate sul trattamento che le disposizioni di carattere penale racchiuse nel codice civile riservano agli amministratori muniti di delega consiliare, non anche agli amministratori titolari di gestione societaria unipersonale. Il testo di dette disposizioni, per la terminologia adoperata, offre altri spunti per le riflessioni da parte degli interpreti che si pongono a contatto con le realtà societarie nell'esercizio di un'attività professionale. L'articolo, comunque, non si limita a rilevare le curiosità e le incongruenze legislative, ma si sposta verso l'individuazione delle conseguenze, non soltanto sotto il profilo fiscale, derivanti dai comportamenti irregolari in materia di compensi, conseguenze che si manifestano anche quando gli sconfinamenti rispetto alle misure stabilite dipendono da atteggiamenti involontari o da decisioni troppo rapide.
Il divieto di comportamenti abusivi si applica anche al settore dell'IVA
La vendita coattiva degli immobili abusivi
Le seguenti riflessioni mirano a porre in risalto i contenuti della sentenza in epigrafe, che si segnala in quanto, nell'applicare il divieto di abuso di dipendenza economica di cui all'art. 9 della L. n. 192/1998, affronta questioni di particolare importanza concernenti l'ambito applicativo del divieto e i criteri da seguire per l'accertamento della sussistenza dello stato di dipendenza economica, soffermandosi, altresì, sui profili rimediali contro i comportamenti abusivi.
., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell'ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali.
L'A. riepiloga l'evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale dell'interesse a ricorrere come condizione dell'azione giurisdizionale amministrativa, per poi concentrarsi sulla sentenza in commento, con la quale il Tar Toscana ha tratteggiato gli estremi di tale categoria al fine di giustificare la declaratoria di inammissibilità del ricorso avverso le ordinanze del Comune di Firenze volte a reprimere il fenomeno dei "lavavetri" abusivi. A ben vedere, ad avviso dell'A., la sentenza, pur ineccepibile nel delineare i tratti del requisito processuale che ci occupa, ha omesso di rilevare che la condizione dell'azione realmente insussistente, nell'occasione, era la c.d. possibilità giuridica.
Sempre nella sentenza "Kyriaki Angelidaki" è inoltre di grande interesse la soluzione sulla disciplina comunitaria "secondaria", da una parte con ridimensionamento del potere di disapplicazione della norma interna in contrasto con il diritto comunitario, ma dall'altra con rafforzamento "ultracostituzionale" del potere d'interpretazione adeguata al diritto comunitario, fino al punto da legittimare l'applicazione di normativa "abrogata" della legislazione greca che consentiva la conversione a tempo indeterminato di rapporti a termine "abusivi" nel pubblico impiego, in mancanza di sanzione adeguata ed equivalente. Si prevedono riflessi sull'ordinamento italiano immediati e di grande impatto: la Corte Costituzionale è chiamata il 23 giugno 2009 a pronunciarsi su molte questioni di legittimità che riguardano la norma principale del D.Lgs. n. 368/2001 (l'art. 1 sulla clausola generale) e su importanti e criticate modifiche introdotte successivamente. Il dialogo tra la Corte di Giustizia e la Consulta è però complicato dal sostanziale revirement della Corte europea, con la sentenza "Kyriaki Angelidaki", rispetto alla precedente "Mangold".
La pronuncia correttamente afferma che la condotta di chi si allaccia abusivamente alla rete dell'ENEL, manomette il contatore e reitera in tempi diversi prelievi abusivi di energia elettrica, costituisce un unico reato di furto. Si analizzano, allora, le condizioni alle quali, pur in presenza di condotte naturalisticamente distinte, la legge e la dottrina ne ammettono l'unificazione in uno stesso reato (reato complesso, reato continuato, concorso di reati, moltiplicazione della medesima fattispecie legale nello stesso contesto spazio-temporale, reato permanente, reato abituale). Ci si sofferma sull'analisi dei reati permanenti e abituali, concludendo che, nel caso concreto, è possibile ravvisare un reato unico di natura eventualmente permanente.
., precisando che gli interventi "minori" - in astratto rientranti in tale disciplina - necessitano comunque del previo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica se realizzati in aree vincolate e che gli interventi edilizi, anche se soggetti a semplice denuncia di inizio di attività, non possono essere eseguiti su immobili originariamente abusivi. La pronuncia offre l'occasione di analizzare la disciplina della D.I.A., di recente estesa ad ulteriori interventi edilizi, e di chiarire i rapporti tra regime edilizio "semplificato" e obbligo, avente carattere generale, di ottenere per le opere realizzate in aree vincolate la previa autorizzazione paesaggistica.
L'istituto pone numerosi problemi applicativi in specifiche ipotesi (alloggio offerto in comodato, alloggio di servizio, alloggi abusivi o occupati sine titolo). Un ultimo significativo aspetto pratico, legato all'assegnazione della casa coniugale, attiene poi al significato da attribuire al termine "coabitazione", soprattutto nel caso di figli impegnati in corsi di studi fuori sede.
La sentenza n. 1372 ha in particolare precisato che una operazione economica, oltre allo scopo di ottenere vantaggi fiscali, può perseguire diversi obiettivi, di natura commerciale, finanziaria, contabile ed integra gli estremi del comportamento abusivo qualora e nella misura in cui tale scopo si ponga come elemento predominante ed assorbente della transazione tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico in cui la transazione stessa viene posta in essere, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. La successiva sentenza n. 3947 ha a sua volta affermato che per ritenere elusiva un'operazione effettuata da una società, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare le ragioni dell'irrazionalità dell'operazione medesima. La problematica dell'abuso del diritto appare tuttavia ancora irrisolta stante, appunto, l'altalenante orientamento che si è formato nella stessa giurisprudenza della stessa Cassazione. Una possibile soluzione può essere individuata nell'intervento del legislatore tributario il quale dovrà riuscire nel non facile compito di contemperare, da una parte, le esigenze imprenditoriali con riferimento alle scelte gestionali e, dall'altra, evitare che dette scelte siano destinate a favorire operazioni elusive aventi il solo fine di conseguire risparmi di imposta. L'intervento è diretto a fornire un contributo alla definizione dell'ormai risalente problematica.
La Corte di giustizia UE ha statuito che il divieto di comportamenti abusivi, affermato dagli stessi giudici europei in relazione al settore dei dazi e dei prelievi agricoli, opera anche relativamente al settore dell'imposta sul valore aggiunto. Detto questo, la Corte di Lussemburgo non ha mai esteso l'ambito applicativo del divieto de quo anche al campo dell'imposizione diretta, il quale, come noto, è generalmente regolamentato dai singoli Stati membri. Al contrario, la nostra giurisprudenza di legittimità e di merito ha avuto modo di precisare che il principio giurisprudenziale dell'abuso del diritto di fonte comunitaria, in quanto immanente all'ordinamento tributario, esplicherebbe la propria efficacia tanto nel settore delle imposte indirette quanto in quello delle imposte dirette. In ordine a quest'ultimo ambito impositivo, i Supremi giudici hanno in particolare sostenuto che il summenzionato principio sarebbe applicabile sia alle fattispecie, potenzialmente elusive, non contemplate dall'art. 37-bis, 3° co., del d.p.r. n. 600/1973 sia alle fattispecie poste in essere in periodi di imposta in cui la disposizione da ultimo richiamata e l'art. 10 della l. n. 408/1990 non erano ancora entrate in vigore. Premesso ciò, già in altra sede, si sono espresse alcune perplessità in ordine alla diretta applicazione, da parte dei giudici nazionali, per risolvere controversie sorte in ambito domestico nel settore dell'iva, del principio di abuso del diritto fissato dai giudici europei. L'A. cercherà di dimostrare come, a maggior ragione, il principio comunitario in parola non sia direttamente utilizzabile, né dall'Amministrazione finanziaria né dai giudici nazionali, per contrastare comportamenti elusivi concernenti le imposte dirette. Il presente lavoro mira inoltre ad effettuare un'analisi del pensiero espresso dalla nostra Corte di Cassazione in base al quale, fonte di una clausola antielusiva di carattere generale, immanente all'ordinamento tributario domestico, sarebbe, non già il principio antiabuso fissato dai giudici europei, bensì il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. e financo il principio di buona fede contenuto nell'art. 10 della l. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente). Infine, in relazione agli elementi costitutivi del principio antiabuso fissato dalla nostra Corte di legittimità, sono effettuate nel prosieguo alcune considerazioni relative alla necessaria sussistenza dell'elemento rappresentato dall'"asistematicità" del vantaggio fiscale perseguito dal contribuente.
Il problema dell'indennità di espropriazione per gli immobili abusivi
L'A. esamina la decisione della Corte di Giustizia, soffermandosi sia sui profili specificamente relativi alla definizione dei comportamenti abusivi dell'impresa, sia sul contesto normativo e regolatorio in cui essi sono maturati, con particolare riferimento alle direttive che disciplinano il mercato farmaceutico a livello comunitario. In questo ambito, la sentenza attesta l'elevato livello di aspettativa che l'ordinamento comunitario ripone nell'impresa dominante, tenuta a confrontarsi con i "competitors" - nel caso di specie, aziende genericiste - applicando soltanto azioni e metodi rigorosamente riconducibili ad un concetto di "concorrenza sui meriti".
Viene commentato il recente caso antitrust aperto dalla Commissione Europea nei confronti di Google, accusata di comportamenti abusivi da alcuni gestori di siti di motori di ricerca verticale (specializzati) che lamentano una discriminazione a loro danno nei risultati organici, e da editori di giornali "on line" che ritengono illegittima la pubblicazione senza consenso dei loro contenuti di pregio su "Google News". Il lavoro discute le ragioni della controversia, che Google ha inteso risolvere presentando impegni (disponibilità a mostrare in una sezione della pagina il "link" ai siti dei concorrenti, possibilità per gli editori di esercitare l'"opt-out" dei loro contenuti su "Google News") tenendo però fermo il principio della libertà di continua innovazione dei criteri di ordinamento dei risultati organici, che non possono essere sottoposti a regolamentazione, come richiesto dai fautori della "search neutrality".
È bene che le comunità scientifiche non sottovalutino gli effetti di tali strumenti di valutazione per quel che riguarda l'integrità della ricerca e l'adozione di comportamenti opportunistici quando non abusivi. È necessario che siano le stesse comunità a sviluppare rapidamente anticorpi che limitino i possibili effetti negativi della valutazione quantitativa sulla produzione scientifica italiana.
Inoltre, dal punto di vista accertativo, si tratta di individuare quali siano gli strumenti a disposizione degli uffici, anche al fine di contrastare comportamenti abusivi dei contribuenti.
È valido il preliminare di vendita condizionato alla futura sanatoria amministrativa di beni abusivi realizzati in una zona di interesse ambientale e paesaggistico? Con la sentenza in esame la Corte di cassazione ha risposto positivamente all'interrogativo. Nonostante l'astratta condivisibilità della conclusione, la motivazione della sentenza segue un iter logico-argomentativo non sempre lineare e coerente, rendendo incerta l'individuazione della "ratio iuris" che ne è a fondamento, e impedendo, di fatto, di valutare la sua pertinenza al caso concreto. In particolare - al di là dei dubbi in ordine alla possibilità giuridica di quanto voluto dalle parti nel peculiare caso in esame - non persuade l'idea che la suddetta conclusione dipenda dal richiamo, per la fattispecie, della c.d. condizione d'inadempimento.
La sentenza che qui si annota offre una molteplicità di spunti di riflessione, che l'A. affronta partendo dall'evoluzione diacronica della disciplina in materia di immobili abusivi. Si analizzano distintamente vari profili (fra loro collegati) su cui la pronuncia è intervenuta in maniera innovativa. In particolare, la previsione di una nullità non solo formale, ma sostanziale, ove vi sia un atto traslativo di immobili irregolari; e l'estensione di tale invalidità non solo alla compravendita, ma anche al preliminare relativo alla stessa, ove nulla, per contrarietà alla legge del suo oggetto. La riflessione finisce, quindi, inevitabilmente per ampliarsi ed in specie sulle novità della "nullità", sulla peculiarità dell'istituto della "conferma di atto nullo", con una particolare attenzione alle innovazioni del preliminare, fenotipo particolare del contratto in generale, figura sempre più dirimente nella prassi della contrattazione, per la quale occorre rimeditare struttura morfologica e conseguenti profili di intervento rimediale.
La vendita di edifici abusivi tra nullità e inadempimento
Premessi brevi cenni sull'evoluzione della normativa sul trasferimento di immobili abusivi, esaminati i principali orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che si sono radicati sul punto, l'A. si sofferma sull'ultimo inedito arresto della Corte di cassazione analizzandone, in chiave critica, motivazioni ed effetti pratici.
La Suprema Corte con la sentenza in rassegna, fornendo una nozione unitaria di sistema telematico, fissa i criteri per determinare la competenza territoriale per gli accessi abusivi commessi nelle reti "client-server", stabilendo che il reato di cui all'art. 615-ter c.p. si consuma non nel luogo in cui si trova il "server" all'interno del quale sono archiviate le informazioni, ma in quello diverso in cui si trova l'utente che dalla postazione remota digita le credenziali di autenticazione e le invia al sistema centrale.
L'analisi è completata dall'esame della giurisprudenza, che pronunciandosi soprattutto nell'ambito della questione - diversa, anche se di confine - dell'ammissibilità a sanatoria, ai sensi dell'art. 167, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di interventi "abusivi", posti in essere senza la preventiva autorizzazione paesaggistica, appare oscillante, tra posizioni più rigide e rigoriste e posizioni più elastiche di buon senso.
Il presente documento riprende il tema della stabile organizzazione ed il problema sollevato da alcuni Paesi circa i comportamenti abusivi, adottati dalle multinazionali attraverso una possibile interpretazione della definizione di stabile organizzazione e delle sue eccezioni, che conducono all'erosione della base imponibile attraverso lo spostamento dei profitti. Dapprima è illustrata la definizione attualmente contenuta nel Modello OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico] e sono ripresi alcuni interventi della giurisprudenza europea espressasi sul duplice profilo della libertà di stabilimento e delle misure che i Paesi membri sono legittimatati ad adottare per la prevenzione del rischio di elusione fiscale. Appurata la necessità di aggiornare la definizione di "permanent establishment" contenuta nel Modello convenzionale, è illustrato il pensiero delle multinazionali sul tema, strettamente connesso alla più vantaggiosa allocazione dei profitti. La nuova formulazione individuata dal gruppo di lavoro dell'OCSE è ritenuta dall'A. una soluzione non risolutrice della problematica, poiché derivante dal compromesso tra gli interessi di gettito fiscale delle singole giurisdizioni e le recriminazioni avanzate dalle multinazionali. E' offerta, quindi, una soluzione alternativa ricavata dalla funzione di collegamento impositivo tra un'impresa correlata di un gruppo internazionale e lo Stato ospitante dove avvengono le vendite o le prestazioni di servizi. Infine, sul piano domestico, sono riportati taluni casi trattati dalla giurisprudenza e le modalità di approccio del Fisco, ritenute intimamente legate agli attuali indirizzi politici.
L'acquisizione gratuita di immobili abusivi e la figura del proprietario incolpevole
L'introduzione di una clausola generale per il contrasto dei comportamenti abusivi o elusivi, opportunamente collocata all'interno dello Statuto dei diritti contribuente (art. 10-bis, l. n. 212 del 2000), è degna di apprezzamento, in quanto pone le basi per il superamento dell'incertezza che ha caratterizzato le contestazioni antiabuso dell'ultimo decennio. A prescindere dalla "elasticità" della definizione di comportamento abusivo (che potrebbe lasciare insoddisfatti), nella nuova disciplina sono presenti numerosi spunti che assicurano la praticabilità di una lecita pianificazione fiscale e quindi la piena fruibilità di risparmi di imposta compatibili con la "ratio" del tributo e lo spirito del sistema fiscale. La nuova disciplina si caratterizza poi sia per il rafforzamento del contraddittorio procedimentale, sia per la netta presa di posizione (che piaccia o meno) sulla applicabilità delle sanzioni amministrative. Il cammino verso la certezza delle regole tra Fisco e contribuente è, "last but not least", testimoniato dalla possibilità di proporre in modo generalizzato un interpello preventivo per ottenere un parere sull'applicazione della normativa antiabuso alla specifica fattispecie che il contribuente intende porre in essere: il dialogo preventivo rispetto all'avvio del procedimento di accertamento antiabuso ne ridurrà sensibilmente l'applicazione da parte degli Uffici e il successivo controllo giurisdizionale.
Diritto giurisprudenziale, contrasto ai comportamenti abusivi e certezza nei rapporti tributari
L'articolo è incentrato sulle ragioni dell'incertezza che oggi caratterizza il contrasto ai comportamenti abusivi. L'idea centrale è che la codificazione di una clausola generale antiabuso non determinerà un maggior livello di certezza in quanto quest'ultima dipende dai concreti criteri applicativi individuati dalla giurisprudenza e dall'amministrazione finanziaria. Infatti, tutte le clausole generali e gli standard - ontologicamente vaghi ed indeterminati - implicano una sostanziale "integrazione valutativa". In tale contesto, le più rilevanti criticità derivano proprio dalla giurisprudenza della Suprema Corte la quale, da un lato, si è arrogata un ruolo assai prossimo a quello del legislatore, e, dall'altro, attribuisce al principio dell'abuso del diritto una sorta di superiorità assiologica rispetto ad altri principi di pari rango, senza spiegarne le ragioni. In altri termini, la giurisprudenza mostra una significativa mancanza di equilibrio in termini di bilanciamento di valori e di principi (soprattutto sul piano del metodo argomentativo). Alla luce di ciò, solamente un mutamento radicale della giurisprudenza può condurre a soluzioni appaganti.
La giurisprudenza, pronunciandosi soprattutto nellabito della questione - diversa, anche se di confine - dell'ammissibilità a sanatoria, ai sensi dellart. 167, comma 4, del codice, di interventi "abusivi", posti in essere senza la preventiva autorizzazione paesaggistica, appare oscillante, tra posizioni più rigide e rigoriste e posizioni più elastiche di buon senso.
La circolazione degli immobili abusivi
"Branch transfer" e "business transfer" quali nuovi possibili comportamenti abusivi
Tuttavia, accanto ai riflessi positivi correlati con le nuove disposizioni, non può essere sottovalutato il rischio di potenziali comportamenti "abusivi", ex art. 10-bis dello Statuto del contribuente, quali effetti di illecite "manovre" di pianificazione fiscale internazionale.