In questa cornice il giudice tavolare, attraverso un ragionamento per "absurdum" in ordine all'ipotizzabilità di un atto negoziale di destinazione, giunge a un inquadramento della causa destinatoria che risente di una siffatta petizione di principio; viene, infatti, posto l'accento più sul profilo della segregazione patrimoniale che su quello della destinazione, la quale, invece, ne rappresenta un "prius" logico, oltre che giuridico. Peraltro, anche l'indagine giudiziale in ordine alla meritevolezza degli interessi, nell'accolta interpretazione dell'art. 1322, comma 2, c.c. quale giudizio di mera liceità, sembra cadere in un duplice equivoco: da un lato, la presunzione di meritevolezza di cui sarebbero connotati i negozi tipici e, dall'altro lato, la pretesa residualità del vincolo di destinazione, peraltro avanzata da altra giurisprudenza di merito in tema di fondo patrimoniale.