In conclusione, sono comunque i limiti cognitivi del giudizio di esecuzione che non consentono di riqualificare il fatto ed impongono il definitivo riconoscimento degli effetti abolitivi.
È vero che la Corte costituzionale (sent. 230/2012) ha escluso che l'art. 673 c.p.p. possa trovare applicazione in caso di mutamento giurisprudenziale con effetti abolitivi; ma è altresì vero, come sottolinea l'ordinanza annotata, che ''l'abolitio criminis'' è sempre opera del legislatore, e che la sentenza della Suprema Corte, pur resa nel suo più autorevole consesso, non ha alcuna efficacia costitutiva dell'intervenuta abolizione del reato. Devono pertanto essere revocate le condanne per il predetto reato, pronunciate nei confronti degli stranieri irregolari e passate in giudicato: tanto quelle relative a fatti commessi prima della riforma del 2009, come nel caso dell'ordinanza annotata, quanto, attraverso un'interpretazione dell'art. 673 c.p.p. conforme a Costituzione, quelle relative a fatti commessi dopo quella riforma, e pronunciate, per errore dal giudice di cognizione, allorché il fatto non era più previsto dalla legge come reato.
A loro volta gli effetti favorevoli vanno poi distinti tra effetti abolitivi del reato, che determinano la pacifica revoca dei giudicati a norma dell'art. 673 c.p.p., da quelli limitati al trattamento punitivo (droghe c.d. leggere). Riguardo a quest'ultimi, come confermato da numerosi precedenti su casi analoghi, anche delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenze Ercolano e Gatto) il giudicato penale di condanna non comporta più il c.d. esaurimento del rapporto che, come è noto, costituisce il tradizionale limite all'efficacia retroattiva dell'incostituzionalità, per la netta distinzione tra successione di leggi penali nel tempo (art. 2 c.p.) e dichiarazioni di incostituzionalità (art. 30, l. n. 87/1953) e la concreta disciplina del giudicato penale che lo deve far ritenere ormai normalmente tangibile da parte del giudice dell'esecuzione, almeno nella parte relativa alla concreta determinazione della pena, quando occorra garantire piena attuazione al fondamentale principio di legalità della pena. Residuano dubbi interpretativi in ordine allo strumento processuale utilizzabile dal giudice dell'esecuzione e alle concrete modalità operative.
A loro volta gli effetti favorevoli vanno poi distinti tra effetti abolitivi del reato, che determinano la pacifica revoca dei giudicati a norma dell'art. 673 c.p.p., da quelli limitati al trattamento punitivo (droghe c.d. leggere). Riguardo a quest'ultimi, come confermato da numerosi precedenti su casi analoghi, anche delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenze Ercolano e Gatto) il giudicato penale di condanna non comporta più il c.d. esaurimento del rapporto che, come è noto, costituisce il tradizionale limite all'efficacia retroattiva dell'incostituzionalità, per la netta distinzione tra successione di leggi penali nel tempo (art. 2 c.p.) e dichiarazioni di incostituzionalità (art. 30, l. n. 87/1953) e la concreta disciplina del giudicato penale che lo deve far ritenere ormai normalmente tangibile da parte del giudice dellesecuzione, almeno nella parte relativa alla concreta determinazione della pena, quando occorra garantire piena attuazione al fondamentale principio di legalità della pena. Residuano dubbi interpretativi in ordine allo strumento processuale utilizzabile dal giudice dell'esecuzione e sulle concrete modalità operative.