I poteri del giudice dell'esecuzione in materia di revoca per "abolitio criminis": un'occasione perduta dalla Corte costituzionale
., "nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione che ne sia stato richiesto di concedere la sospensione condizionale della pena allorché, per effetto di abolitio criminis, la pena residua da scontare rientri nei limiti previsti dall'art. 163 c.p.". La questione sollevata dal Tribunale di Milano è originata da una rideterminazione della pena a seguito della riconosciuta abolitio criminis ed attiene alla possibilità da parte del giudice dell'esecuzione di concedere la sospensione condizionale, in mancanza di specifico intervento, sul punto, del giudice della cognizione in ragione della determinazione della sanzione eccedente il limite prescritto dall'art. 163 c.p. La preclusione in materia di concezione della sospensione condizionale di cui all'art. 673 c.p.p. risulterebbe in contrasto con gli artt. 3, 25 comma 2, 24 commi 1 e 2, e 27 comma 3 Cost. Nell'ordinanza del giudice a quo si è sottolineato il contrasto con i "principi di ragionevolezza e di parità di trattamento di situazioni equivalenti", risultante dal confronto con la disciplina prescritta ai sensi dell'art. 671 comma 3 c.p.p., la cui ratio è concordemente individuata nel consentire l'applicazione di "quella stessa sospensione condizionale che sarebbe stata verosimilmente concessa dal giudice della cognizione se avesse conosciuto tutti i reati in un unico contesto simultaneo". La conclusione alla quale è pervenuta la Corte Costituzionale, propendendo per la manifesta inammissibilità della questione sollevata, fa sorgere qualche perplessità in merito alle stesse ragioni che ne hanno giustificato l'adozione. La Corte ha formulato tre diverse contestazioni, rilevando che l'ordinanza di rimessione è carente di motivazione sulla rilevanza della questione, non chiarisce i criteri di determinazione della pena per la quale dovrebbe essere concessa la sospensione condizionale a seguito delle detrazioni conseguenti alla abolitio criminis - apparendo, per giunta, incerto se il giudice a quo abbia voluto far riferimento alla pena inflitta con le arie sentenze di condanna o alla pensa che il condannato deve ancora scontare - ed, infine, risulta sollevata in modo contraddittorio, sulla premessa di una interpretazione che lo stesso rimettente dichiara di non condividere. La valutazione in termini di irragionevolezza della diversità di soluzioni, risultanti dal confronto tra la disciplina formulata dall'art. 673 c.p.p. e quella dettata dall'art. 671 c.p.p., parte da questa comune esigenza, avvertita dal legislatore - relativa all'introduzione di un rimedio in vista dell'adeguamento della pena - e si fonda sul mancato riconoscimento circa la possibilità di concedere la sospensione condizionale in occasione della revoca per abolitio criminis. Tanto più irragionevole è la diversità, ove si rifletta sulla circostanza che, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., l'intervento correttivo sotto il profilo della sanzione è dovuto, a differenza dell'art. 651 c.p.p., quale ineludibile conseguenza di una scelta del legislatore. In conclusione, non può che manifestarsi stupore per la soluzione adottata dalla Corte Costituzionale in ordine alla manifesta inammissibilità della questione, constatando come si sia persa una buona occasione per definire gli ambiti di intervento sul giudicato, al fine di assicurare il giusto bilanciamento tra le garanzie idonee a fronteggiare il pericoloso tentativo di erosione delle situazioni definitive e quelle volte a valorizzare l'intervento giurisdizionale in funzione di controllo sulla legalità e sull'adeguatezza della decisione di merito.
Conclude che nessuna implicita abolitio criminis si è determinata, perché - a differenza di quanto troppo sbrigativamente ritiene la Corte Suprema - non si versa nell'ipotesi della successione di norma extrapenale integratrice, dovendosi piuttosto semplicemente rilevare la futura non verificabilità empirica del fatto a causa della futura non verificabilità (normativa) del presupposto della condotta tipica.
Il delitto c.d. di insider trading tra vecchia e nuova fattispecie normativa: successione di leggi penali nel tempo o abolitio criminis?
Nuovi cittadini del'Unione Europa e abolitio criminis parziale dei reati in materia d'immigrazione
L'adesione all'Unione Europea di Romania e Bulgaria ha reso necessario stabilire se si sia o meno verificata una parziale abolitio criminis per i reati in materia di immigrazione, commessi da cittadini rumeni o bulgari prima del 1° gennaio 2007. Le Sezioni Unite, ribadendo l'orientamento consolidatosi in proposito, hanno escluso l'applicazione dell'art. 2, comma 2, c.p. La pronuncia assume una notevole rilevanza perché fornisce una serie di precisazioni su l controverso tema delle cosiddette modificazioni mediate della fattispecie. In particolare, nel commento si esaminano le condivisibili prese di posizione della Corte sugli aspetti teorico-generali della disciplina intertemporale penale, optandosi tuttavia per una diversa soluzione riguardo alla questione specifica rimessa alle Sezioni Unite.
Appare infatti preferibile, inserendo la sentenza dichiarativa di fallimento tra le condizioni obiettive di punibilità, affermare che le modifiche alla definizione legale di piccolo imprenditore abbiano comportato una successione di norme integratrici con conseguente parziale abolitio criminis.
., affronta le complesse problematiche sottese all'istituto della revoca per abolitio criminis della sentenza di condanna, con particolare riguardo ai poteri volti a ricostruire il fatto esercitati dal giudice dell'esecuzione.
Le Sezioni unite, seguendo il criterio del confronto logico-strutturale, considerano l'intervento del legislatore come forma di abolitio criminis, ma le motivazioni della sentenza suscitano alcune perplessità.
Abrogazione dell'Amministrazione controllata e abolitio criminis: chiaroscuri dalle Sezioni Unite
La pronuncia in esame inquadra correttamente l'abrogazione dell'amministrazione controllata nel paradigma delle modifiche "immediate" della fattispecie penale, in quanto l'intervento legislativo ha inciso direttamente sul perimetro di tipicità dell'art. 236 l. fall. determinando sul piano astratto effetti di abolitio criminis "parziale" idonei ad abbracciare anche i vecchi fatti di bancarotta (in amministrazione controllata). Altrettanto correttamente, le Sezioni Unite ritengono tuttavia prospettabile un'ipotesi di abrogatio sine abolitio, in quanto dall'abrogazione della bancarotta impropria potrebbe derivare la riespansione delle "fattispecie minori" (di false comunicazioni sociali e di appropriazione indebita), originariamente assorbite; assai opinabile (ed incerto negli esiti) l'abbandono dei criteri strutturali a favore di considerazioni valoriali per decidere se tale ipotesi in concreto si realizzi. In conclusione, sono comunque i limiti cognitivi del giudizio di esecuzione che non consentono di riqualificare il fatto ed impongono il definitivo riconoscimento degli effetti abolitivi.
La decisione in commento, che si sofferma sulla delicata questione della distinzione tra abolitio criminis e abrogatio sine abolitione, non appare completamente convincente. La soluzione accolta secondo la quale l'eliminazione di ogni riferimento all'amministrazione controllata ad opera del D.lg. 9 gennaio 2005, n. 5, avrebbe comportato una vera a propria abolitio criminis del delitto di bancarotta impropria in amministrazione controllata, si basa su una premessa che non sembra cogliere nel segno, quale è quella che ravvisa diversità di presupposto e finalità tra l'istituto di cui all'abrogato Titolo IV della legge fallimentare e il nuovo concordato preventivo. La riformulazione della procedura delineata dall'art. 187 l. fall. porta invece a ritenere che il nuovo concordato ricomprenda e assorba ipotesi riconducibili alla vecchia amministrazione controllata, circostanza da cui deriverebbe il riconoscimento di continuità tra la fattispecie di bancarotta in amministrazione controllata, oramai espunta dall'ordinamento e la attuale fattispecie di bancarotta c.d. concordataria.
Al vaglio delle Sezioni Unite il reato di bancarotta societaria connessa all'amministrazione controllata: per la Cassazione è abolitio criminis
Alla luce dell'abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata ad opera dell'art. 147, d.lgs. n. 5/2006, che ha eliminato l'intero titolo IV della legge fallimentare, ad avviso della Suprema Corte, deve ritenersi intervenuta una vera e propria abolitio criminis relativamente alle condotte poste in essere da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società ammesse all'anzidetta procedura concorsuale.
Abolitio criminis e successione di norme "integratrici" nella recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
Abolitio sine abrogatione? Brevi note sulla successione mediata di norme penali per effetto dell'interazione tra ordinamento eurounionista e ordinamento italiano (Nota a CGUE sez. I 28 aprile 2011, Ric. El Dridi)
L'evoluzione ordinamentale dell'Unione Europea impone di ritenere che le sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea che sanciscono un irrimediabile contrasto tra fattispecie incriminatrici di diritto interno e normativa europea comportano una vera e propria abolitio criminis.
Inottemperanza del 'clandestino' all'ordine di esibire i 'documenti': davvero abolitio criminis?
Mentre è condivisibile la tesi che circoscrive i soggetti attivi del reato agli stranieri 'regolari', non persuade l'affermazione della parziale abolitio criminis per gli 'irregolari', che non tiene conto della riconducibilità dei fatti predetti alla fattispecie generale, prevista dal t.u.l.p.s., che punisce la mancata esibizione dei documenti d'identità da parte della generalità dei cittadini (italiani e stranieri).
La suprema Corte prende in considerazione per la prima volta il riformato delitto previsto dall'art. 14, comma 5-ter, d.lg. n. 286 del 1998, affermando che la modifica legislativa (d.l. n. 89 del 2011) ha prodotto una vera e propria abolitio criminis. Pur condividendosi l'esito abolitivo della vicenda, non sembra che esso possa essere fondato sulla diversità strutturale tra le fattispecie in successione, né tantomeno sulla pretesa equiparazione fra disapplicazione comunitaria e abrogazione. In realtà, dobbiamo ritenere che la nuova versione dell'illecito penale, seppure strutturalmente omogenea rispetto alla previgente, non si ponga in continuità normativa e possa valere solo per il futuro (con la revoca, ex art. 673 c.p.p., delle sentenze di condanna definitive), perché l'ipotesi criminosa non esiste più come "tipo di illecito".
Disapplicazione o abolitio criminis per i reati in materia di immigrazione che contrastano con la direttiva "rimpatri"?
Abolitio criminis e procedimento di emersione dei lavoratori extracomunitari
Poteri del giudice del rinvio in un particolare caso di abolitio criminis
La Cassazione ha ribadito il principio in base al quale, in caso di annullamento con rinvio avente ad oggetto il solo trattamento sanzionatorio per il reato di vendita di supporti privi di contrassegno SIAE, il giudice può rilevare labolitio criminis verificatesi per effetto di una pronuncia della Corte di Giustizia europea. La sentenza si pone in linea di continuità, con le precedenti pronunce che attribuiscono al giudice del rinvio il potere di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p. il cui riconoscimento non sia precluso dal concreto contenuto del precedente annullamento.
La Cassazione, dopo aver in un primo tempo negato l'intervenuta ''abolitio criminis'', l'ha infatti poi riconosciuta, nel 2011, a Sezioni Unite. Non è peraltro corretto - perché contrario ai principi del sistema - affermare che l'effetto abolitivo consegue a un mutamento giurisprudenziale e che, pertanto, non sono revocabili le sentenze di condanna passate in giudicato prima della pronuncia delle S.U. È vero che la Corte costituzionale (sent. 230/2012) ha escluso che l'art. 673 c.p.p. possa trovare applicazione in caso di mutamento giurisprudenziale con effetti abolitivi; ma è altresì vero, come sottolinea l'ordinanza annotata, che ''l'abolitio criminis'' è sempre opera del legislatore, e che la sentenza della Suprema Corte, pur resa nel suo più autorevole consesso, non ha alcuna efficacia costitutiva dell'intervenuta abolizione del reato. Devono pertanto essere revocate le condanne per il predetto reato, pronunciate nei confronti degli stranieri irregolari e passate in giudicato: tanto quelle relative a fatti commessi prima della riforma del 2009, come nel caso dell'ordinanza annotata, quanto, attraverso un'interpretazione dell'art. 673 c.p.p. conforme a Costituzione, quelle relative a fatti commessi dopo quella riforma, e pronunciate, per errore dal giudice di cognizione, allorché il fatto non era più previsto dalla legge come reato.
Negli ultimi anni un nuovo approccio sostanzialistico al tema ha aperto un nuovo percorso di indagine proiettato verso l'applicabilità delle garanzie della CEDU e dei principi generali del sistema sanzionatorio (imputabilità e colpevolezza, "favor rei", "abolitio criminis", "lex mitior", ecc.).
Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione affronta per la prima volta nel merito la questione relativa all'operatività dell'"abolitio criminis" rispetto al reato di falso nummario di cui all'art. 455 c.p. a seguito della modifica delle norme extrapenali disciplinanti il corso legale della moneta, risolvendola in senso negativo. In particolare, viene fatta applicazione del c.d. criterio strutturale, o della fattispecie astratta, ormai consolidato nella più recente giurisprudenza della Suprema Corte in materia di modifiche mediate. Dopo aver ricostruito il quadro dottrinale e giurisprudenziale nel quale la pronuncia si colloca, l'A. svolge una serie di osservazioni critiche riguardo l'indirizzo dominante, focalizzandosi in particolare sulla sua pervicace resistenza rispetto all'influenza delle fonti europee, aventi al contrario attualmente un impatto decisivo su molte altre problematiche di successione di leggi penali.
Nella prima pronuncia successiva alla riforma del delitto di false comunicazioni sociali (L. 27 maggio 2015, n. 69), la Suprema Corte ha interpretato la nuova norma - e in particolare la mancata riproposizione dell'inciso "ancorché oggetto di valutazioni" - come espressiva di un'avvenuta "abolitio criminis" parziale, in relazione alla rilevanza penale delle valutazioni mendaci. Tale effetto abolitivo si riverbera, ai sensi dell'art. 223, 2 comma, n. 1) L. fall., anche sulle forme di bancarotta impropria da reato societario, laddove il cagionamento del dissesto sia ancorato alla commissione del delitto di cui all'art. 2621 c.c. L'A. esprime una valutazione critica nei confronti di tale approdo esegetico, ritenendolo non conforme né al dato letterale, storico e sistematico, né a un'interpretazione teleologicamente orientata della fattispecie.
L'"abolitio criminis" preclude l'esercizio del potere di accertamento nel termine "raddoppiato"
Le numerose fattispecie di "abolitio criminis" recate dal D.Lgs. n. 158/2015 - cui si accompagna la depenalizzazione dell'abuso del diritto disposta dal D.Lgs. n. 128/2015 - precludono all'Agenzia delle entrate, a partire dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti di riforma, di fruire del c.d, raddoppio dei termini di accertamento, ai fini della notifica di avvisi di accertamento diretti a contestare violazioni tributarie divenute medio tempore irrilevanti sotto il profilo penale, ma che, antecedentemente alla riforma, davano luogo all'obbligo di denuncia di cui all'art. 331 c.p.p. Ciò a prescindere dall'avvenuta presentazione o meno della denuncia e/o della notifica di un p.v.c. entro il termine ordinario di accertamento. Ne consegue l'illegittimità, per sopravvenuta decadenza dall'azione di accertamento, degli avvisi di accertamento per imposte sui redditi ed IVA notificati oltre il termine "ordinario" in relazione alle suddette violazioni depenalizzate.