La sistemazione di Ricca Salerno è seguita da Santi Romano, ma sostanzialmente abiurata dal Ranelletti il quale, a partire dal saggio del 1898 sulla Natura giuridica dell'imposta diventa il capostipite della teoria svalutativa dei principi costituzionali di giustizia, sempre contestata e sempre rinascente, dapprima coi giuristi "formalisti" degli anni trenta, successivamente nei primi anni cinquanta e infine sul finire degli anni novanta fino ai nostri giorni. Questa "deriva" nichilista viene efficacemente contrastata dal fondatore della scuola di Pavia, da Benevento Griziotti, la cui opera scientifica correlata al tema fondamentale della capacità contributiva subisce una lettura distorta e demolitoria a causa della essenza anfibologica e binaria del concetto di capacità contributiva elaborato da questo scrittore. Invero la capacità contributiva, in una prima accezione del pensiero griziottiano, si configura come espressione dei vantaggi derivanti dalla fruizione dei pubblici servizi, costituente elemento oggettivo del rapporto di imposta ulteriore e distinto rispetto al così detto "presupposto dell'imposta" e viene a coincidere con la "causa impositionis" come "causa finalis" teorizzata dalla filosofia tomista. Si tratta, all'evidenza, di una teoria insostenibile. Ma sempre in Griziotti - ma ciò è stato sottaciuto accuratamente dalla dottrina del tempo - è la prospettazione, della configurazione comunitaria dell'imposta e della teoria della capacità contributiva intesa, in una seconda accezione, come espressione della esigenza che le leggi di imposta colpiscano (o debbano intendersi come volte a colpire) fatti espressivi di reale ed effettiva (e non fumosa) forza economica ("gli averi") rispettando però i principi di giustizia distributiva (universalità, eguaglianza, ecc.) codificati nella Costituzione del tempo (lo Statuto albertino) aventi natura di "principi generali del diritto tributario" ("analogia iuris"). Il saggio si conclude con la rievocazione del tentativo di superamento del principio di capacità contributiva e la sua sostituzione con l'"interesse individuale" dei titolari delle diverse forme di ricchezza a concorrere al finanziamento della spesa pubblica messo in atto con "La giusta imposta" di L.V. Berliri e con la dimostrazione della insostenibilità di tale ingegnoso, ma infondato, tentativo. In definitiva i principi di giusto riparto poi codificati in Costituzione nascono, nella seconda metà dell'Ottocento, dalla meritoria opera di Ricca Salerno e Romano, nel secolo XX da quella degli studiosi della "scuola di Pavia" e non dal totale annientamento della rilevanza di tali principi da parte della dottrina "formalistica" italiana degli anni trenta (A.D. Giannini, G. Tesoro, A. Uckmar, A. Berliri) e dalle propaggini attuali di essa.