Data la contiguità con l'istituto del reato aberrante, dei delitti aggravati dall'evento e della preterintenzione, la dottrina si sforza di definire autonomo spazio applicativo, al contempo riflettendo sui nodi essenziali del fondamento della responsabilità e del criterio di imputazione dell'evento non voluto. Il tentativo è quello di conciliare la logica del versari in re illecita, riecheggiata nella disposizione, con i principi costituzionali che fondano la responsabilità penale "personale". Diversamente, la giurisprudenza pare meno attenta a tale esigenza, limitandosi a richiedere la sussistenza di un (pur labile) nesso materiale tra condotta dolosa ed evento ulteriore. In particolare la casistica giurisprudenziale sulla responsabilità dello spacciatore per la morte del tossicodipendente ha offerto alla dottrina occasione di riflessione sui profili problematici dell'art. 586.
., pur affermando la correttezza della decisione della suprema Corte, la quale, soffermandosi sull'analisi del reato aberrante, ha escluso l'applicabilità, al caso di specie, dell'art. 82 comma 2 c.p., ritiene opportuno svolgere alcune puntualizzazioni soprattutto in riferimento ai motivi che hanno spinto i giudici a tale decisione, muovendo dall'analisi delle due diverse forme di manifestazione dell'aberratio ictus, e dei rapporti tra intercorrenti tra queste e la fattispecie del delitto tentato di cui all'art. 56 c.p.
In questa nota, l'A. esclude in radice la riconducibilità della lesione del terzo ad un tentato omicidio e contesta la tesi della Corte, per cui l'offesa aberrante sarebbe sempre punibile a titolo di dolo. Critica, infine, la stessa applicabilità al caso di specie della disciplina dettata dall'art. 82, comma 2, c.p.
(critica ad una aberrante sentenza della Corte di cassazione)