G. e acquisto del terreno del R.; appalti di C. B. e di V.; sconto di effetti cambiari; rapporti con Z. A.; operazione “Aiana bis”), pervenendo alla conclusione, sorretta da un adeguato sviluppo argomentativo, che sussiste una situazione di incertezza in ordine alla responsabilità dell’imputato per il delitto associativo, dato che alcuni indizi mancano del carattere della gravità, altri sono privi del requisito della precisione e altri ancora non sono assistiti dalla indispensabile connotazione della concordanza: ditalché, all’esito di una simile analisi critica degli elementi indizianti valutati singolarmente e globalmente, nella sentenza impugnata è stato coerentemente ritenuto che il conflitto delle risultanze probatorie dà origine ad una situazione di equivocità e di ambivalenza che giustifica il proscioglimento ai sensi dell’art. 530, comma 2 c.p.p.– Ciò posto, deve sottolinearsi che nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che nell’ipotesi di censure riguardanti la logicità della motivazione fornita dal giudice di merito in ordine alle condizioni di incertezza delle prove, che giustificano l’assoluzione a norma del secondo comma dell’art. 530, e al bilanciamento degli elementi probatori i limiti della cognizione affidata alla Corte Suprema sono quelli normalmente inerenti al sindacato di legittimità, nel senso che deve essere controllato il percorso logico razionale attraverso il quale si è sviluppato il ragionamento del giudice e che, ove non siano riscontrati vizi logici e giuridici, resta incensurabile la valutazione di incertezza e di perplessità (Cass., Sez. IV, 25 marzo 1992, Di Giorgio).
Pertanto, le dedotte questioni rilevabili in astratto, relative al carattere non assoluto dei rigorosi principi sull’onere della prova nell’azione di rivendica, e relative altresì al valore indiziario dei registri catastali, non vengono in rilievo nel caso concreto, stante all’accertata inesistenza, a favore degli attuali ricorrenti, di un acquisto del bene controverso per titolo o per usucapione. Né vengono in rilievo le dedotte questioni relative al possibile esercizio nello stesso processo, in via alternativa, dell’azione di restituzione e di quella di rivendica: ché gli attuali ricorrenti hanno sperimentato soltanto l’azione di rivendica, come accertato in sede di merito sulla scorta dell’atto di citazione, nel quale gli attori, vantando la proprietà di una determinata area, che sostenevano essere abusivamente posseduta dal convenuto, ne chiedevano il rilascio.
Su gravame del Pantaleo, il tribunale dell’Aquila rigettava la domanda degli Stecconi nei confronti del Pantaleo e – praticamente – anche quella di garanzia nei confronti della Solfaroli Camillocci, osservando, in relazione alla necessità di una prova rigorosa, quale richiesta in sede di rivendicazione, che il titolo di acquisto del terreno in questione da parte degli Stecconi non poteva esser ravvisato nel contratto del 30 ottobre 1974, per Notar Trecco, in forza del quale la vendita del “seminativo arborato di ore 9,60 e fol. 63 n. 506 di Montereale” era stata effettuata “a corpo e non a misura”, dandosi atto che il possesso relativo era “stato già dato nello stato di fatto e di diritto in cui gli immobili compravenduti” si trovavano; ma che non lo si sarebbe potuto ravvisare neppure in una pretesa usucapione maturatasi in favore dei danti causa degli attori originari, sia pure attraverso un possesso esercitato in loro nome (testi Angelo e Domenico De Maio), dal momento che dal possesso del fondo 506 era rimasto esclusa, almeno dal 18 marzo 1937, la baracca sin da allora occupata da Teobaldo Ferrini, con il terreno circostante, recintato già a memoria degli stessi testi De Maio.