Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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  • Pagina 4 di 5

Per la solenne inaugurazione della cassa rurale di prestiti S. Giacomo

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Sturzo, Luigi 2 occorrenze
  • 1897
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 30-45.
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Sulla sola scienza dell' economia politica o commerciale? Ma, o Signori, fallirebbe chi il crede; e son sicuro che nol crede nessuno: non mancava certo acume e studii ai direttori e agli azionisti della fu Banca Romana; né essa o il Credito Mobiliare o il Banco di S. Spirito o le mille istituzioni di simil natura si disfecero per ignoranza o negligenza dei novecento e più cavalieri, dei trecento e più commendatori o simil conio, che dalla costituzione del beatissimo regno d'Italia sin oggi, sono stati processati per furti e ladrerie. La scienza sola non basta, se si scompagna dall'onestà. Onestà! Parola rimasta quasi solo nel vocabolario, dopo che abbiamo assistito alla danza macabra dei cassieri fuggitivi per altri mondi, ai milioni scomparsi dalle tasche dei cittadini e dalle Casse pubbliche, ai deplorari di Regina coeli,alle celebri commissioni dei sette e dei cinque, ai fondi pel terremoto, ai monopoli per la felice campagna africana. Onestà! Parola che par debba sonare altrimenti, da che abbiam visto soggiogati popoli e regni da quel liberalismo, che in religione ammette libertà di culti, in morale il divorzio, in istruzione le scuole laiche, e che in finanza, costretto dalle conseguenze, deve ammettere il furto.

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Sottratti adunque gli operai e gli agricoltori cattolici con un istituto di credito dalle indecorose pressioni dei faccendieri della politica e dei partiti, allontanati dal pericolo socialista, resi liberi dalla Cassa Rurale, potranno professare apertamente e francamente quella Fede, che rendendoli più che uomini li avvicina a Dio. Ecco l'ultimo nostro scopo, a cui si subordina tutto: Dio. Per tornare l'operaio e il colono a Dio, sono questi nostri sforzi; per tornare a Dio la società apostata da Lui, abbiamo dedicato danaro, potenze, vita. Questo sublime ideale come campeggia nelle scuole catechistiche da noi impiantate, nelle pratiche da noi iniziate per ottenere l'insegnamento religioso nelle scuole elementari, nella lega contro la bestemmia, nella diffusione della buona stampa, nelle biblioteche cattoliche circolanti, nelle opere di beneficenza a pro' dei poveri, si manifesta, è anzi il movente della istituzione della Cassa Rurale. È quello spirito che muovea Davidde a dire al Signore: Ti confessino Dio tutte le genti, perché la terra ha dato i suoi frutti; è quello spirito che mosse S. Gaetano a fondare il Banco di Napoli; è quello spirito che solo ha la Chiesa del Signore; pel quale mentre si guarda coll'occhio sinistro questa terra che ogni giorno ci fugge, col destro si guarda il cielo che ogni giorno ci si avvicina.

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Rivoluzione e ricostruzione

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Sturzo, Luigi 2 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 264-308.
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Non possiamo a due mesi di distanza e nel fermento vivace della coscienza pubblica, dare giudizi e fare per giunta delle profezie; però abbiamo già in mano una materia che possiamo valutare e che ci dà elementi notevoli atti a caratterizzare i fatti. Rivoluzionaria ha chiamato il nuovo capo del governo l'azione che ha portato i fascisti al potere; ma non basta una definizione, sia pure esatta nelle intenzioni degli uomini, per essere corrispondente alla realtà. Già da parecchio si è parlato di rivoluzione in Italia; i socialisti due anni fa credevano alla loro rivoluzione, ignorando che non sono mai le masse che fanno le rivoluzioni e soprattutto a loro profitto; ma sono le classi dominanti che si servono anche delle masse, ove occorra, per fare le rivoluzioni. Queste sono figlie di idee e di sentimenti prima che di interessi; e senza le idee ed i sentimenti, per i soli interessi, non si fanno le rivoluzioni. Nel caso presente, se le idee sono in parte mancate, e non se ne ha tuttora una conoscenza chiara e quindi volitiva, i sentimenti invece hanno avuto larga presa sulla pubblica opinione, hanno creato una coscienza di dominio nei dirigenti e nei proseliti, ed hanno vivamente secondato lo sforzo di un partito giovane, che nell'incertezza generale ha voluto rompere gli indugi, forzare le situazioni e conquistare il potere alla bersagliera.

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Però non basta distruggere, se non si hanno i criteri della distinzione tra funzioni statali e funzioni locali, tra ragione politica e amministrazione, tra economia pubblica ed economia privata. E qui non possiamo tacere la preoccupazione che abbiamo per una confusione che diversi fanno anche oggi fra stato e nazione, diventando statolatri, purché così credono di difendere la nazione; la quale vive di tutto il complesso dei suoi organi, nella distinzione delle funzioni e nella gerarchia dei fini, entro lo stato, che ha in sé i diritti di sovranità e le ragioni supreme della vita nazionale. Guai se la riforma amministrativa rimane come un rimaneggiamento di organi statali, e ripete l'errore di altri accentramenti e di altra burocratizzazione: le economie saranno dubbie, ma la riforma sarà assolutamente mancata.

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La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

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Murri, Romolo 24 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
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Noi abbiamo già esaminato quel processo di impoverimento della vita spirituale per cui la religione, in luogo di essere l'ispiratrice di tutta la nostra vita spirituale, si restringe e ritira in alcuni riti e pratiche speciali, abbandonando ai capricci ed alle illusioni dell'egoismo il resto di quella; e quei riti, destinati ad alimentare la sorgente di questa vita morale, si isteriliscono ed assumono all'occhio del credente una significazione falsa e quasi un potere meccanico o magico. Il giusto vive di fede, diceva S. Paolo; il che vuol dire che in lui e per lui i vari atti e riti sacri, la preghiera, i sacramenti, gli esercizii pii hanno valore ed efficacia pratica ed immediata dal pensiero operoso che li riferisce all'origine ed all'istituto loro, prepara l'anima a riceverli, ne fa un vincolo d'unione presente fra la divina virtù che ci si comunica per essi e lo spirito alacre e pronto a riceverla. Quanto, agli occhi nostri sonnolenti, i riti sacri della Chiesa hanno perduto di bellezza e di significato! Lo smarrirsi, negli atti e riti di culto, della loro fondamentale ispirazione, li isterilisce quasi e ne fa delle inutili esteriorità.

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Poveri, deboli, cattivi, ma capaci d'una indefinita elevazione spirituale, soggetti doppiamente, e come anime singole e come parti d'un grande insieme sociale, alla assidua opera dello spirito che dal caos confuso delle azioni e delle aspirazioni umane va svolgendo un suo piano divino di riduzione all'unità ed alla pienezza della vita, noi abbiamo nei nostri ideali religiosi — ed essi sono appunto la nostra fede — la luce che ci precede nel cammino; essi ci presentano un bene infinito, ma che è alla portata della nostra mano, un noi, ad ogni istante, migliore di noi, ma che è in facoltà nostra di divenire, facendoci, appunto, migliori. Intuizione dell'universo e della vita nel loro più universale e profondo significato, responso alle più intime ed angoscianti domande delle nostre coscienze, presentazione di Dio a noi, la nostra fede è chiamata ad assidersi nel centro stesso della coscienza e della vita, per metter queste in armonia con l'universo e col cielo, per trasmutarsi in speranza, anticipazione dei beni invisibili ai quali dirigiamo le nostre esistenze, ed in carità, universale abbraccio delle creature e di Dio nell'ara ardente del nostro cuore.

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La vita che noi abbiamo è quindi accettata dal credente come provenientegli da un Volere superiore, divino, non fatale né insito nelle cose, ma personale, pienamente consapevole, Volere divino al quale il credente aderisce con umile fiducia, per il raggiungimento degli scopi da Esso proposti alle cose.

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Ognuno di voi ha l'esperienza di ciò che egli è interiormente; per variar di opinioni filosofiche, l'esperienza che noi abbiamo di noi stessi non muta, l'esperienza di essere ciò che siamo interiormente, null'altro che volontà, nihil aliud quam voluntates, e di agire come agiamo, vale a dire conoscendo l'oggetto della nostra azione ed il risultato che vogliamo ottenere con questa, scegliendo fra le diverse forme di attività, deliberando, anche, spesso fra l'agire ed il non agire; capaci di abbandonarci ad azioni spontanee o, come dicono, riflesse, provocate cioè da stimoli esterni ai quali i sensi reagiscono senza nostra deliberazione, ma anche capaci di inibire i nostri nervi motori, di dirigere il corso delle nostre emozioni, di accumulare energie per riversarle consapevolmente, quando l'ora ci parrà giunta, sull'atto rivolto ad un certo segno.

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Se voi ponete ora questa interna esigenza in relazione con quel che abbiamo detto sopra, dei fini ultimi ed universali della vita, voi vedrete come questi giudizii e preoccupazioni morali nascono nella coscienza umana dal rivelarlesi di questi fini, che noi dobbiamo accettare o subire con la vita, e che ci si presentano, più o meno luminosamente, come imperativi. L'uomo ha potuto dubitare qualche volta se le cose del mondo avessero uno scopo, e ritenere che esse facessero sé stesse, così per fatalità o per giuoco, senza venire da alcuna parte, senza esser dirette ad alcuna parte. Ma la mia vita io l'ho in mano: come organismo morale non meno che come organismo fisico, essa chiede di essere adoperata con certi riguardi, con certe precauzioni; la sua attività interiore non ha di per sé un termine, poiché può averne molti e diversi ed opposti; ed io sono così costituito, spiritualmente, da non poter porre un atto personale e consapevole senza vederne innanzi le più vaste e remote ripercussioni, che io debbo quindi abbracciare in uno stesso atto di volere. Si trattasse solo di accordar la mia vita con l'universo esterno e con l'insieme degli uomini, io ho bisogno di farmene padrone, di dominarne l'interno motore, di dirigerlo consapevolmente ad un fine. Io posso anche sottrarmi ad una così elevata responsabilità ed alla vita morale, abbrutendomi; ma uno scopo mancato non è uno scopo soppresso e un profondo disagio morale mi avvertirà che sono oramai un fuor di luogo.

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La religione non è per noi un sistema di dottrine o una sequela di riti; essa non può essere che una vita piena e sincera di anime alle quali dottrine e riti servano, come abbiamo detto, per dirigersi, per conoscere sé stesse, per vincere il male ed unificare la propria coscienza. E la norma del bene che noi proponiamo è indeclinabile; essa vince tutte le contingenze di tempo e di luogo e non può piegare dinnanzi a nessuna difficoltà: odiare e perdere l'anima propria per riacquistarla in Cristo può voler significare qualche volta perdere ricchezze e pane, rinunziare a cose lungamente amate, imporsi delle privazioni gravissime, subir anche dolori corporali e la morte: meno non chiede questo adattamento di povere esistenze fragili e bisognose di tanti varii sussidii della vita, in un mondo triste e nemico del bene, a un precetto eterno e assoluto di bene.

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La lotta, come abbiamo veduto, esiste realmente; ma non è lotta fra l'uomo costituito nella pienezza delle sue facoltà naturali, dall'una parte, ed un elemento estraneo di vita, dall'altra; è la molteplicità procedente dall'unità viva della coscienza, che riflette in sé la vita ed il mondo, e tendente ad una più alta unità, è il contrasto delle varie determinazioni ed applicazioni d'una energia spirituale che non si possiede ancora tutta e non sa dirigere con sicurezza il suo corso. In questa lotta, la scelta fra opposti beni è solo apparente; sempre ciò che dalla coscienza morale cristiana è giudicato male si converte in una perdita netta di essere spirituale e di vita, e sempre ciò che è bene si converte in una conquista, in un incremento netto di energia spirituale e di gioia.

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Noi abbiamo insistito sul fatto che la vita religiosa parte dal riconoscimento d'un volere supremo e personale che è Dio, non solo; ma dall'azione stessa di questo Dio rivelantesi all'uomo con una serie progressiva di manifestazioni, pel tramite di spiriti religiosi superiori, sino alla rivelazione del Cristo. Ora ciò sottrae, necessariamente, i caratteri di questa rivelazione allo spirito individuale; l'unità dell'ispirazione e dell'indirizzo che essa tende ad imprimere alle anime, così nell'origine sua come negli intenti finali, deve necessariamente tradursi nell'unità della vita religiosa che procede dal precetto rivelato e dallo Spirito animatore di esso. Tutti coloro i quali seguono, con accettazione sincera e con umile e semplice rinunzia al proprio senso individuale, la parola divina che, una nelle varie coscienze, parla sia dal profondo di queste sia per la bocca degli uomini di Dio, debbono essere condotti a vivere questa loro esperienza religiosa nell'unità dei voleri e degli sforzi; possiamo anzi dire che i caratteri esterni e visibili di questa unità divengono, nel difetto di prove interiori sicure e di facile applicazione, la norma certa e necessaria della verità dello Spirito il quale anima i credenti: tutto ciò che o non apparisce nell'unità o non procede da questa o, anche fra dissidii apparenti e passeggeri, non conduce ad essa, a rinnovarla dove langue ed a renderla più intensa, non procede da Dio; poiché l'azione strettamente individuale è, appunto, individuale, e quindi cosa d'uomo e non di Dio. Molteplice nelle creature alle quali si indirizza, una nelle fonti, nello spirito, nella sostanza, la verità religiosa stringe le anime in una fede e in una società di credenti; noi non possiamo presentarci a questo Dio, che è il padre comune degli uomini, con una fede che fosse e volesse essere nostra propria, ad esclusione della fede comune e sociale, senza rinnegare l'azione divina nella storia e nella vita religiosa; la quale azione, indirizzata a noi come agli altri, ci si presenta pel tramite della tradizione e dell'organizzazione ecclesiastica; ne è possibile uscir da questa senza esporci al rischio di adorare e di seguire un Dio il quale sia fattura della nostra coscienza individuale. Questa unità della fede doveva quindi essere un carattere certo ed evidente della rivelazione evangelica; e la Chiesa deve avere le sue origini nella parola stessa del Cristo. Alcuni, preoccupati del carattere escatologico della predicazione di Gesù e dell'aspettazione d'un ritorno imminente di lui che essa aveva, senza dubbio, alimentato nell'anima dei primi credenti, dubitano che Egli vivente abbia, con espressa parola, organizzato i suoi fedeli in forma di chiesa. Ma la questione, pel compito {{180}}nostro presente, diviene quasi superflua, quando questi medesimi ammettono e sostengono che la società religiosa nacque come fatto spontaneo agli inizii stessi della verificazione storica della buona novella e che questa, creandosi negli animi le condizioni del suo sviluppo storico, li organizzò sin dal principio così vigorosamente in società di credenti. Altrove abbiamo anche esaminato un'altra prova della necessità di vivere collettivamente una dottrina ed una morale religiosa le quali siano credute provenire veramente dalla divinità, dall'assoluto. Tutte le manifestazioni esteriori e le documentazioni storiche di questa dottrina e di questa morale sono, nella loro fenomenologia, la quale fa parte in varia maniera di tutto il più vasto processo storico, soggette a critica ed a revisione; ma d'altra parte questa critica non può essere abbandonata ai singoli e deve avere un controllo, essere criticata a sua volta da un principio autorevole. Ora questo non può essere altro, nella realtà, che una comunione di credenti, alla quale i credenti singoli rimettano con deferenza il deliberare sulla fede comune; in altre parole, una Chiesa. V., in Cattolicismo e il pensiero moderno, il capitolo il cattolicismo e la critica.

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E ciò doveva, in fatti, avvenire; poiché la fede cristiana, come abbiamo veduto e vedremo ancora meglio nei discorsi seguenti, non può raggiungere l'individuo, disciplinarne la vita religiosa e trasmetterlo al suo fine oltreterreno se non mediante un complesso di istituti educativi, disciplinari e rituali che solo una società bene organizzata può possedere. L'individuo, non ci stancheremo di ripeterlo, non è, spiritualmente, che un tessuto di rappresentazioni di consuetudini di norme trasmessegli dalla società; egli diviene ciò che il mondo circostante lo fa; e se con la sua coscienza reagisce a questo mondo circostante, scegliendo in esso ed appropriandosi e sviluppando ciò che è più conforme alle sue tendenze etiche ed ai principii, liberamente seguiti, della sua vita spirituale, questi stessi principii egli li riceve il più spesso per via di autorità, specialmente nei primi anni della vita; e, maturo, egli non saprebbe, il più spesso, coltivare ed alimentare in sé la vita religiosa senza la guida e l'appoggio della società di credenti alla quale appartiene: od almeno la sua vita interiore, per rispondere alla vocazione religiosa, richiederebbe, fuori di una società, un tale sforzo di energie spirituali del quale solo pochissimi possono essere capaci. L'esame della vita religiosa di tutti coloro i quali, per un motivo o per l'altro, cessano, anche contro il loro volere, di far parte d'una società religiosa attiva e fiorente, mostrerebbe assai bene la verità di quel che diciamo.

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L'individuo non diviene cristiano praticamente ed efficacemente senza questo lungo e difficile lavoro interno, lavoro a volte a volte di vigilanza paziente, di iniziativa operosa, di abnegazione, di mortificazione, del quale abbiamo innanzi esaminato il processo. Ma questo processo non è puramente individuale, la vita di ogni singola anima essendo ad ogni istante condizionata dall'influenza del mondo circostante e specialmente delle persone e degli istituti sociali con le quali e fra i quali la vita di ciascuno si svolge; e quindi, in ogni cristiano, la necessità di coinvolgere in misura più o meno larga la società alla quale egli appartiene nel processo della sua attività interiore: la società religiosa, nella quale egli cerca le condizioni più adatte e gli aiuti necessari alla cultura della sua vita spirituale, ed anche la società esterna civile e le sue varie frazioni, dinanzi alle quali egli è portato, secondo le circostanze, od a reagire e resistere od a penetrarle del suo spirito e piegarle ai suoi voleri ed al suo programma.

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Ora, in tali frangenti, noi abbiamo visto e vediamo all'opera una generazione di cristiani, ai quali pare che il sacramento del vigore e della milizia non sia mai stato impartito. Timidi, incerti, imbelli, essi confessano quasi con l'opera e con la vita l'inferiorità della quale gli altri accusano il cristianesimo.

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Noi non abbiamo difficoltà di constatare l'inferiorità di un tale motivo, noi riconosciamo anche che spesso nel cristianesimo i nostri teologi e moralisti ne hanno troppo insistentemente e troppo largamente fatto uso, impiegando fantasia ed eloquenza a ritrarre e descrivere studiosamente l'orribilità delle minaccie divine, l'atrocità delle pene del purgatorio e dell'inferno, lo sdegno di Dio che scruta maniere ingegnose di tormentare le anime e ride della loro inesauribile pena. Noi possiamo anche e dobbiamo constatare alcuni dolorosi effetti che ciò ha avuto nella educazione delle anime, nei costumi umani, nella giustizia punitiva. Il timore, sia esso anche d'una pena gravissima ed eterna, per sé è forza morale che trattiene da certe colpe gravi ma non ispira l'affetto positivo del bene pel bene, l'amore che purifica e trasforma: esso ritrae dagli estremi del pervertimento morale ma lascia assai spesso sussistere ed agire nel profondo della nostra coscienza stimoli occulti e insidiosi, passioni mortali che poi a un certo momento divampano come incendio e soffiano come bufera e trascinano la volontà riluttante ma fiacca.

Pagina 216

Ma, cattolici, noi siamo nella Chiesa e con la Chiesa, noi abbiamo una fede che è la fede di tutti, noi pensiamo e vogliamo con tutti gli altri, perché una è in tutti la parola e uno il volere di Dio; e per quanto uomini insigni vi siano stati e vi siano nella Chiesa, e lascino nella storia di essa una potente impronta personale, noi non siamo discepoli di nessuno di essi, noi siamo discepoli di Cristo; discepoli di Pietro, si, ma perché Pietro, per la promessa che non vien meno, è l'espressione vivente e visibile di questa nostra comune fede; contro Pietro, talora, con Paolo, quando Pietro è, non il pastore, ma l'uomo che ha le idee e le debolezze e le colpe sue, come ogni uomo le ha; ma con Pietro, solo con Pietro, sempre, quando si tratta della fede e della società dei credenti; poiché dove è egli, ivi è questa.

Pagina 246

Ed abbiamo anche veduto come il processo della vita cristiana consiste nel liberarci noi gradualmente dalla illusione e dalle fugaci impressioni delle cose che passano, dall'egoismo della natura animale, dalla rete vasta e intricata di interessi e di tendenze terrene e caduche, per vivere secondo le suggestioni e le norme che ci vengono, attraverso la coscienza, da quest'alta profonda e misteriosa realtà. Da ciò apparisce anche che tutti i varii giudizii che gli uomini si fanno della vita, delle sue direzioni e del suo scopo, tutte le norme di condotta morale, tutti i fini etici, confessati o no, che l'uomo si propone o segue o cerca nell'agire, possono essere ridotti a due grandi famiglie: dall'una parte quelli che, per le vie dei sensi, ci vengono dalla nostra natura animale e corporea, dall'egoismo e dalla cupidigia delle cose terrene; e, dall'altra parte, quelli che l'intuizione religiosa o l'intima voce della coscienza o la fede derivano da un più vasto e universale ordine di cose, da un concetto dell'universo e della vita che trascende le manifestazioni concrete e passeggere di questa, da un volere supremo ed universale di bene che è in fondo a tutte le cose e che chiede il consenso e l'accordo del nostro volere.

Pagina 281

Noi abbiamo detto esser Dio un essere od una volontà personale, nel senso che egli non è il mondo o l'anima del mondo o un essere inconscio ed indefinito, ma è invece pienezza di conoscenza e di volere: ma quando, per intenderne meglio la natura o per avvicinarla a noi, gli si danno attributi e modi di agire e di pensare umani, desiderii, compiacenze, avversioni, scopi antropomorfici, il nostro amore verso di Lui si impiccolisce e si abbassa, sicché si giunge quasi a misurarlo dagli atti esterni, dalle offerte, dal corso delle ore impiegate nel conversare direttamente con Lui, dal fervore dell'immaginazione che ce lo dipinge e ne scolpisce caratteri fantastici, dal numero dello giaculatorie rivoltegli durante il giorno.

Pagina 29

Il pallido ed oscuro concetto che abbiamo di Lui ci traluce dalle cose terrene e si accende nella profondità del nostro spirito all'esame di ciò che è in noi e di ciò che ci circonda. Le idee metafisiche che noi associamo all'affermazione del suo essere sono quelle di potere occulto e primo, origine e sostegno di tutte le cose, di sapienza, di governo cui nulla sfugge. Quando le cause naturali di molti fatti ci erano ignote, e le conoscenze sperimentali, ancora fanciulle, erano piene delle illusioni del nostro spirito, noi eravamo portati ad immischiare l'attività divina ai processi della natura, ad attribuire direttamente a Dio alcuni fatti naturali o più desiderati o più temuti o più meravigliosi, a rivolgerci a Lui come ad agente superiore bensì alla natura, ma la cui efficacia si immischiava ai processi di questa, deviandoli o modificandoli a piacimento secondo che noi chiedessimo ed Egli fosse disposto a concederci. Così desiderii umani ed egoistici, sete del meraviglioso, forme di culto superstiziose si insinuavano talora nel nostro costume. Mille idee ed immaginazioni intorno al modo di agire di Dio non erano e non sono anche oggi che anticipazioni dell'esperienza, secondo la nota frase di Bacone. nella religione del volgo esse hanno ancora, spesso, una parte preponderante. Conosciute meglio le successioni dei fatti della natura, noi abbiamo come liberato il nostro concetto di Dio da queste ingerenze ovvie ed arbitrarie nel corso di essi e pensato più altamente dei suoi rapporti con questi; e le nozioni le quali oggi ci giovano ad avvicinarci a Lui sono per la massima parte (essendo quelle d'una causalità metafisica accessibili a pochi) d'ordine morale. Se nelle religioni rudimentali gli uomini considerarono negli Dei solo la potenza, o la forza che ossi avevano di rendere dei servigi o di procurare dei danni, oggi e per noi l'idea di Dio è intimamente associata a quelle di bontà, di pietà, di giustizia, di paternità, di amore; e ciò che ci muove verso Lui è lo sforzo della nostra coscienza verso la purificazione morale, verso il bene e la pienezza della vita. Non ingiustamente, sebbene forse con qualche esclusivismo, si è detto consistere l'essenza dell'insegnamento evangelico in questo concetto della paternità di Dio e nell' atteggiamento filiale che esso provoca da parte nostra verso Lui, e che Gesù Cristo ci raccomanda insistentemente con così toccanti parole. Nel Vangelo e nelle lettere giovannee questa unione del concetto di bontà amorevole e di Dio diviene identità: Dio è amore e chi è nell'amore è in Dio. Così il processo di avvicinamento a Dio ci è presentato come un processo di redenzione dell'anima nostra dal male — da ogni forma del male morale ⸺ e di elevazione interiore. Tutto ciò adunque che è alto, nobile, santo, puro, che ci apparisce degno d'esser cercato e voluto non da noi soli ma da tutti gli uomini, a cominciare da quelli stessi che più amiamo; tutto ciò che eleva, nobilita, affina l'anima e la convivenza umana, in che sentiamo arricchirsi e come metter più salde e più profonde radici la nostra vita interiore, tutto ciò noi sentiamo essere, se non Dio stesso, ciò che ha più del divino ed è, in altre parole, più atto a rappresentarci e rivelarci Dio, a farci conoscere ciò che Egli insieme dà e chiede.

Pagina 29

Ma noi non abbiamo commerci diretti col mondo di là; non affermiamo, parlando nella nostra esistenza dopo morte, cose sapute e sperimentate. Coloro che hanno visto e ascoltato dei morti non possono davvero comunicarci la loro certezza. E noi non costruiamo con gli elementi della nostra esperienza interna; e nel concetto che ci facciamo della vita di là proiettiamo noi stessi, con il nostro concetto della vita e del bene, con le nostre più profonde aspirazioni, ed imaginiamo quel che è realtà spirituale, sottratta alle categorie dello spazio corporeo e del tempo, alla maniera di quel che è corporeo e nel tempo. Se la ricerca eudemonistica del piacere nostro e il timore del dolore nostro è il motivo fondamentale dei nostri atti, noi vediamo nella vita eterna un piacere da conquistare, un dolore da evitare; e ci regoliamo col calcolo delle probabilità con cui teniamo conto, nella vita, delle previsioni e delle valutazioni del piacere e della pena. E spesso un piacere vivo immediato può più d'un dolore lontano vagamente appreso; e il timore d'una pena o privazione certa presente è stimolo più forte che la speranza d'un piacere futuro e confuso. E quindi, non ostante il desiderio del paradiso e il timore dell'inferno, si pecca.

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Le preoccupazioni della vita riguardano solo il momento che corre e che è in nostro potere, il pane d'oggi, e questo anche noi riconosciamo da Dio: ed il debito contratto verso Dio — quando abbiamo, avaramente, negato noi stessi, le ore della nostra vita, le nostre forze, al bene che reclamava l'opera e l'essere nostro — ci sarà rimesso solo perché noi rimettiamo ai fratelli tutto il debito che essi hanno potuto contrarre verso di noi e, per lo stesso titolo, verso Dio: sinché il rimetter noi il debito è in realtà la stessa cosa che l'essere esso rimesso da Dio, poiché uno è il debito ed uno è il creditore vero, Dio. Noi chiediamo infine di essere liberati dalla tentazione e dal male; e il chiedere è volere e il volere è fare, ma volere e fare insieme con Dio.

Pagina 33

Nel discorso precedente alcuno di voi avrà forse notato come noi, parlando dell'idea che i cristiani si fanno di Dio, abbiamo assai poco tenuto conto del concetto teologico che essi hanno appreso dal loro catechismo e che è quindi nella Chiesa cattolica sostanzialmente eguale per tutti: e ci siamo invece riferiti a rappresentazioni e figurazioni delle divinità le quali variano nel tempo e nello spazio, così da esser quasi diverse da uomo a uomo, e presiedono effettivamente alla nostra vita religiosa, ossia alla pratica del compimento del bene ed ai nostri rapporti con Dio. Quelle prime nozioni infatti hanno certamente la loro importanza, ma solo in quanto devono entrare come elemento vivo e operare nei processi del nostro spirito: poiché esse non sono in fondo che mezzi logici o schemi intellettuali Supposto che coloro i quali apprendono le frasi e i periodi nei quali gli attributi divini sono espressi riescano a formarsene un concetto comunque approssimativo; ma assai spesso, date le condizioni presenti dell'insegnamento catechistico, essi non ritengono che le frasi, vuote di significato od associate a chi sa quali imagini grossolane offertici dalla Chiesa perché le idee che noi dobbiamo poi farci nel nostro spirito non deviino traendoci all'errore; ma assai spesso, male apprese dall'intelletto, esse rimangono sterili ed inattive, dimenticate in un angolo oscuro della memoria, donde non risorgono che assai raramente o solo per qualche recitazione verbale da cui lo spirito è assente.

Pagina 38

Per essa Dio, il quale è così il termine di tutto il nostro essere interiore in moto, è anche al principio di questo moto religioso medesimo; Egli, presente al nostro spirito, ed operando con la sua azione invisibile nel più profondo di questo, si associa alla nostra attività ed, ottenuto che abbia il consenso di questa, necessario appunto perché la nostra vita spirituale è tutta vita di volontà, va compiendo quel processo di coincidenza ed uniformità di volere nel quale abbiamo detto consistere il nostro amore con Dio.

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Con ciò noi abbiamo anche una misura certa per giudicare dell'efficacia dello spirito del cristianesimo in un individuo od in una società; la misura cioè nella quale le varie forme di attività e di rapporti sociali, e l'attività collettiva, formatrice del dritto nuovo, si ispirano al precetto di solidarietà e di eguaglianza umana lasciatoci dal Cristo, ed escludono da sé le varie maniere di abuso e di sfruttamento cui il dritto codificato lasciò in ogni tempo un amplissimo margine; il quale solo con grande fatica, e solo sotto la pressione viva ed operosa d'un possente desiderio di giustizia, si va restringendo. Con l'applicazione di questo criterio noi verremmo forse a modificare profondamente parecchi nostri giudizii sia su persone sia su fatti storici; e discerneremmo spesso l'uomo vecchio sotto le forme ipocrite e sottili della religiosità esteriore, e distingueremmo nella filantropia quello che è cristianesimo inconscio e larvato da quel che è sentimentalismo vago od occasione e pretesto di vanità; e infine giudicheremmo molto diversamente delle vie segrete e profonde del cristianesimo nella storia e nel governo dei costumi dei popoli cristiani. Vi fu chi osservò che la costituzione americana, con il suo profondo senso di libertà e di dritto umano, è un magnifico fiore della coscienza cristiana degli esuli religiosi, cattolici o protestanti, che primi popolarono e colonizzarono gli Stati dell'Unione del Nord: e chi nella rivoluzione francese, più profondo di tutti i traviamenti della filosofia del secolo XVIII e gli eccessi delle passioni scatenatesi sulla Francia e sull'Europa, poté discernere lo spirito vivo di fratellanza e di solidarietà cristiana del quale il motto della rivoluzione rinvigoriva l'eco, affievolita dai secoli.

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Noi abbiamo un bel gridare contro la morale laica e mettere a nudo le miserie morali dei nostri avversarii politici; vediamo prima quale è nel fatto la nostra morale e come avviene che ingiustizie antiche e flagranti, contro le quali l'anima dei contemporanei si leva, possan essere state imputate a colpa a noi stessi. E ricordiamoci che sopra la morale laica e la nostra, distinzioni teoriche, e non sempre né in tutto giuste, c'è la morale storica, quella che il popolo vive, nel suo insieme, e nella quale va ricercata 1'efficacia di tanti secoli di cattolicismo.

Pagina 67

Il fariseo, ed in genere l'uomo pel quale la religione non è innanzi tutto questo amore vivo e pratico del bene, non sente, in realtà, religiosamente: nella migliore delle ipotesi, i suoi sistemi teologici portandolo a ritenere certa l'esistenza del mondo di là, egli vuole accaparrarvisi un buon posto e cerca di ingraziarsi il padrone; del quale quindi egli si fa un concetto assai falso, immaginando — appunto come i profeti dicevano del popolo ebreo — che egli ami ed apprezzi non l'animo semplice e buono, ma le veglie gli inchini le offerte i digiuni le giaculatorie; e che sia avido di queste, indifferente al resto; che ci premii, un giorno, di ciò che abbiamo fatto, non di ciò che facendo siamo spiritualmente divenuti in Lui. Spesso poi in questa religione gretta ed esteriore si insinuano sentimenti diversi: orgoglio di razza, come nell'ebreo, o di sangue, come nelle nobili vecchie aristocratiche dei faubourgs signorili di Parigi, o interesse politico, o gli altri interessi che sono il sustrato del «professionalismo» di tanti del clero, e del «dilettantismo» religioso di parecchi signori, e via dicendo.

Pagina 81

Questa ricchezza interiore è, lo abbiamo veduto, amore; ora l' amore è volontà e la volontà azione.

Pagina 85

Il primo anno di vita del Partito Popolare Italiano

401193
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1920
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 357-368.
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Noi abbiamo espresso questa finalità fin dall'apparire del nostro partito, fin dall'appello del 18 gennaio 1919, e proseguiamo su quella linea nello sforzo pratico dell'ora e del momento; — abbattere l'accentramento statale. che sopprime la personalità alle collettività operanti in esso, che toglie la responsabilità alle persone che in nome di esso operano; — ridare la coscienza giuridica agli organismi che natura crea, perché lo svolgersi della loro azione non sia senza i limiti della coesistenza e senza il rispetto delle libertà; — chiamare la solidarietà umana col nome di giustizia e di carità, che unica rende possibile la collaborazione delle classi e contingente la lotta; — eccitare le energie individuali perché diano all'economia nazionale la fiducia e la forza, che eventi o malvolere di uomini oggi hanno ridotto quasi all'impotenza; — ridare ai valori morali e ideali la importanza suprema nell'educazione di un popolo per la sua resistenza nelle ore tragiche del paese.

Pagina 362

Il Mezzogiorno e la politica italiana

401458
Sturzo, Luigi 2 occorrenze
  • 1923
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 309-353.
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Ma se questo geniale lavoratore fosse tecnicamente preparato, avrebbe una potenzialità assai maggiore, e potrebbe servire all'inquadramento e alla guida di quelle forze, che noi abbiamo, e che non sappiamo utilizzare.

Pagina 342

No; voglio essere una voce che risuoni e richiami ad una realtà, presente e futura, fatta di elementi concreti, come una politica lungimirante che dia ad un popolo coscienza di sé. I tedeschi, dopo le vittorie napoleoniche, ebbero le lettere di Fichte come un richiamo alla coscienza del loro essere. Dal 1815 al 1870, in mezzo secolo e più, essi giunsero alla conquista della loro personalità politica, della loro autonomia di razza, della loro esistenza economica. Si crearono così l'impero nel loro paese, nel mare e nelle colonie. Dal 1870 al 1914 lo sforzo immane li portò alla guerra, e quindi alla tragedia. Ma la loro coscienza di popolo non viene meno. Noi, come italiani, dal punto di vista politico ed economico abbiamo la stessa storia, benché in altre proporzioni. Furono i politici e gli scrittori del mezzogiorno che, dopo il tentativo di Murat, sognarono una unità italiana, monarchica e federativa, ma unità. Cinquanta anni, e la nostra unità — sforzo di una classe intellettuale e cittadina più che di massa — ebbe i successi romantici del risorgimento. La coscienza unitaria del mezzogiorno non divenne coscienza politica e coscienza economica nazionale; deve divenirlo. Ecco lo sforzo.

Pagina 349

I problemi del dopoguerra

401650
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1918
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 32-58.
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Tale sviluppo non sarà possibile se la stessa rappresentanza politica non tenta coraggiosamente la propria riforma. Abbiamo bisogno, tutti i partiti e tutte le correnti del paese, di avere la sensazione di una salda riorganizzazione delle forze sociali, così logorate e svalutate nel periodo della grande guerra. Non voglia fanciullesca di distruggere il giocattolo dopo essersi divertito, per conoscere quel che c'è dentro e poi buttarlo fra i rottami di casa; ma è necessità di rinsaldare le forze organiche del paese. Da tempo i pochi e i più illuminati han sostenuto la rappresentanza proporzionale, come espressione reale ed efficiente della volontà' popolare; altri si sono accontentati del collegio plurinominale a larga base, con la rappresentanza della minoranza; lo spirito che pervade queste invocate riforme, delle quali i cattolici da un lato e i socialisti dall'altro sono da tempo fautori, contro l'atomismo del collegio uninominale, espressione di maggioranze locali spesso fittizie, irose e pettegole nelle quali s'incanaglisce la piccola vita paesana, lo spirito, dico, che pervade queste riforme risponde al bisogno di avvicinare alla realtà vissuta la rappresentanza del paese. Per questo s'invoca anche la riforma del senato parzialmente elettivo di secondo grado, a numero limitato, con la facoltà di nomina del proprio presidente: perché valga a essere organo vitale e controbilanciante della politica della camera dei deputati, nel dinamismo delle forze rappresentative e vitali del paese.

Pagina 54

Crisi e rinnovamento dello Stato

401856
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 232-263.
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Le idee di civiltà e di umanità, che ispirarono la campagna per la guerra e che furono elevate da Wilson a dogmi per la ricostruzione della pace, furono infrante dalla realtà degli egoismi egemonici e soverchianti, che diedero la base ai trattati; e la nostra lotta irredentista per le provincie italiane sotto l'impero austriaco, ebbe le delusioni di Fiume, della costa dalmata e della sicurezza dell'Adriatico e le asprezze della politica slava. E se la guerra unì gli spiriti della gran maggioranza degli italiani, non fu tanto per i motivi ideali e politici, quanto per la passione della vita e della morte, della vittoria e della sconfitta, perché quando tace la speculazione è vivo il cuore per le sorti della patria. Allora neppure i neutralisti convinti, neppure i socialisti ostili, credettero di poter prendere una posizione pratica ed efficace contro la guerra, la subirono, e maturarono la ripresa delle loro posizioni a guerra finita. Non possiamo oggi accusare gli uomini della democrazia e del liberalismo delle responsabilità politiche della guerra in Italia, non abbiamo ancora tutti gli elementi per una rielaborazione storica e morale; nessuno volle fare un torto al suo paese, però abbiamo elementi per poter dire che nessuno o quasi in Italia, del partito o dei partiti dirigenti e responsabili, ebbe una visione della realtà durante il periodo della neutralità; certo nessuno valutò la posizione politica, economica e militare dell'Italia, per prepararne sufficientemente gli avvenimenti; il patto di Londra fu la risultante del passato, non fu un patto di antiveggenza per l'avvenire. Non faccio una colpa a nessuno se gli avvenimenti giganteschi sorpresero gli uomini, tutti gli uomini e non solo gl'italiani. Solo rilevo la parte diretta pensata e voluta dai nostri dirigenti, cioè l'indirizzo politico di prima e di durante la guerra, che culminò nella politica adriatica e che determinò la crisi di tutta la nostra politica della ricostruzione e della pace. Alcuni credono colpevoli Salandra e Sonnino prima e Orlando dopo; e certo questi sono gli esponenti e i responsabili; ma invano cerco negli atti parlamentari dal 1914 al 1919 uno solo che avesse portato alla tribuna parlamentare un pensiero, una linea politica, una concezione organica da poter contrapporre al governo del tempo e da poter guidare il paese smarrito e disorientato. È vero: Giolitti il neutralista fu messo a tacere, e forse il suo silenzio fu più meritevole della sua parola; ma quando parlò, riportato per consenso generale al potere, molto era compromesso e molto egli compromise: fu più un liquidatore che un animatore.

Pagina 241

Il Parlamentarismo in Italia e la funzione del partito socialista

402486
Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1907
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 166-191.
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Noi non intendiamo qui di discutere il programma del partito socialista alla norma dei principii dell'etica Rivista di Cultura, nov. decembre 1906. e delle scienze sociali; abbiamo fatto altrove questo esame, sempre a proposito del recente congresso di Roma, e non vorremmo ripeterci; né, del resto, le conclusioni alle quali siamo venuti hanno il pregio di una grande novità, né sono necessarie per una utile discussione sull'argomento che qui ci proponiamo di trattare. Il partito socialista ha, non ostante le recenti perdite, una rappresentanza notevole alla Camera, la quale potrà piuttosto aumentare che diminuire per nuove elezioni; e l'importanza politica di essa è, per varie condizioni di cose alle quali verremo accennando nel seguito, assai maggiore di quello che la proporzione del numero (25 deputati su 508) farebbe supporre. Noi partiamo adunque da questo dato di fatto per chiederci quale potrà essere e sarà, presumibilmente, dopo le deliberazioni prese nel recente congresso del partito, l'azione di quel gruppo in rapporto all'attività complessiva del parlamento nazionale; sia per i principii ai quali esso si ispira, sia per le condizioni delle sue origini e fasi elettorali, sia infine per i suggerimenti che gli verranno del corso medesimo degli eventi, quale può essere oggi preveduto con lo studio del presente. Quello che diremo del gruppo socialista varrà anche in parte pel repubblicano e per pochi uomini indipendenti del partito radicale.

Pagina 168

Nel caso nostro noi abbiamo questo fatto: 508 cittadini del regno, scelti periodicamente dai maschi di una certa età e che abbiano certi requisiti, divisi in associazioni o collegi politici, si adunano in certi periodi dell'anno, designano alla corona uno di loro che assume la responsabilità del governo, danno a quest'uomo i coadiutori dei quali ha bisogno, e poi compiono, condotti da questo governo che è carne della loro carne, la funzione legislativa, e seguono, nelle discussioni dei bilanci e per altre vie, e controllano tutte le varie attività dello Stato. La conoscenza puramente storica e anneddotica si limita a seguire le discussioni parlamentari, le crisi ministeriali, gli intrighi di corridoio, per quanto appariscono; la conoscenza scientifica dovrebbe da questa attività esteriore e superficiale risalire ai suoi precedenti ed alle cause profonde; ristabilire intiero il processo della nostra vita pubblica, e, in questo, il nesso che lega- gli eletti agli elettori e questi a tutto il restante paese, e spiegare, con questo esame di tutte le varie condizioni dalle quali emerge e di tutte le attività private e sociali che ne determinano il corso, l'andamento della vita pubblica del paese.

Pagina 178

Di un partito e un programma radicali in Italia

402691
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 192-206.
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Quali sono le forze che muovono la politica italiana e determinano l'azione dello Stato? Dire che i conflitti di interessi tacciono in Italia, o che i vari interessi non sieno in opera nel parlamento, sarebbe dire cosa, a priori, molto improbabile. Interessi ed interessati che abbiano qualcosa da chiedere allo Stato, e sappiano le vie, chiedono ed ottengono anche oggi. Quelli che hanno già ottenuto, le industrie più o inciso protette, difendono il loro possesso, e riescono. Lo stesso Nitti cita il caso delle nuove convenzioni marittime Interessante è quel che diceva l'Avanti! del tempo sul modo come si tentò di far passare, di sorpresa, la nuova legge sul lavoro risicolo.. Le classi burocratiche, le varie categorie di impiegati dello Stato, hanno chiesto ed hanno avuto molto; e spesso — curiosa contraddizione, che anche il N. nota — per opera di deputati socialisti. A chi non ha nulla, nessuno pensa a dar qualche cosa, se non forse i socialisti...nei comizii, ma a chi ha già qualche cosa si trova modo di dare, via via, sempre di più. Il bilancio italiano, osserva il N., è la lista civile della borghesia. Partiti ci sono dunque alla Camera e agiscono; sanno quello che vogliono, senza nessuna imprecisione, e lo ottengono. L'imprecisione e l'incertezza è solo intorno a ciò che interessa tutto il paese o le classi poco e male rappresentate. Il male non è nella assenza o incertezza di partiti; il male è nella contraddizione fra ciò che essi appariscono essere e ciò che realmente sono; il male è nel nessun controllo, da parte della Camera stessa e del pubblico, sui modi con i quali questi partiti riescono a farsi effettualmente valere. Abbiamo delle apparenze di partiti, che ingannano il paese, ed abbiamo delle forze occulte che agiscono con mezzi subdoli ed oscuri. Le più gravi questioni in Italia si decidono ritardando o precipitando la discussione di una legge, o impedendola; distraendo 1'attenzione dei deputati dalle questioni più serie per richiamarla e disperderla nelle più futili; le grandi questioni, che dovrebbero essere risolte col concorso aperto di tutti, vengono sempre procrastinate ed evitate. I clericali, che ora vanno al parlamento, occupando solo i collegii dove non c'è o non è pronta una candidatura moderata, — ai moderati è stato concesso un credito ipotecario privilegiato su di essi —, non mutarono, osserva il N., e non muteranno questo stato di cose; i primi giunti hanno mostrato di aver la preparazione «morale» necessaria per acclimatarsi subito all'ambiente di Montecitorio e trovarcisi bene. Essi non hanno finora fatto che delle interpellanze insignificanti, imparaticci vuoti. Ed anche quelli che verranno dopo non è dubbio che ci si troveranno bene; faranno solo quello che sarà strettamente necessario per menar in giro i loro elettori, e non daranno fastidi a un governo clericale, qualunque sia poi la sua azione. Il N. tace poi intieramente sulla questione del Sud; egli trova che le leggi speciali, alcune delle quali già votate, ma che poi non si riesce ad applicare, sono poco pratiche e pericolose, fatta eccezione per quella sullo sviluppo industriale di Napoli, alla quale egli ha efficacemente concorso; vuole quindi dei provvedimenti generali.

Pagina 196

Il modernismo che non muore

402790
Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 37-59.
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Il modernismo del quale abbiamo pianto la morte precoce è morto, non perché era modernismo, ma perché era ancora ortodossia; contro la sua ortodossia diminuita e vacillante, precaria, ha avuto ragione l'ortodossia tutta d'un pezzo del parroco veneziano; in altre parole, non è morto il modernismo, ma l'illusione ortodossa di taluni modernisti. E il loro non fu un errore nel senso volgare della parola, uno sbaglio che quei bravi signori potevano anche risparmiarsi, o che si può immaginare sarebbe stato risparmiato ad altri, i quali avessero occupato il posto loro. Fu un errore che doveva essere; fu lo sforzo di coscienze che rompevano in sé il tenace vincolo gerarchico dentro il quale si erano venute formando, risolvevano il passato nella storia che sempre si fa; fu una crisi interna della stessa ortodossia, la quale doveva così, contraddicendosi interiormente e dilacerandosi brano a brano, giungere alla suprema delle sue negazioni ed al supremo dei suoi innovamenti, nell'inversione definitiva dei rapporti fra coscienza e autorità esteriore A questa coscienza il modernismo era giunto nel suo ultimo periodo, specialmente col Tyrrell e con taluni degli scrittori modernisti di Nova et Vetera ; e chi farà più tardi la storia del modernismo dovrà notarlo. Ma furono come dei battelli di salvataggio verso le rive dello spirito ; la nave s'era sfasciata..

Pagina 45

— A questa domanda abbiamo già implicitamente risposto. Finché i modernisti partivano dalla presunzione e dalla speranza di un tacito accordo fra la Chiesa «ufficiale» e le esigenze delle quali essi si facevano interpreti, essi erano nella Chiesa e il loro modernismo anche; fino aquando non furono negati, espulsi, annullati come valore ecclesiastico. Ma quando, liberati dall'illusione fugace, posti nell'alternativa di esser sé stessi o di esser la Chiesa, essi videro non l'incompatibilità dei due termini, ma la falsa posizione di un principio che voleva essere ricreazione dei valori storici religiosi e docilità alle forme morte, norma e soggetto alla norma; quando il modernismo, in quanto posizione storica di cattolici dinanzi al cattolicismo, fu infine pienamente conscio, fu senso di sovranità vera ed originaria ed inappellabile della coscienza religiosa sulla Chiesa, allora e per ciò stesso la Chiesa cattolica romana cessava di essere per esso la Chiesa, istituzione sovrana ed autorità decisiva, e diventava semplicemente una Chiesa, una delle molte forme positive di religione e di cristianesimo, un momento ed un ramo della sto¬ria di questo, un istituto soggetto come tutti gli altri alla legge delle variazioni e delle formazioni storiche, della relatività e della attualità; anche se esso, nella storia del cristianesimo, era stato e continuava ad essere il momento centrale, l'istituto sul quale più è necessario agire per gli ulteriore sviluppi dello spirito e della civiltà cristiana.

Pagina 52

Il Partito Popolare Italiano

403435
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 92-127.
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Pagina 124

I primi cattolici in Parlamento

403710
Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari– Società Naz. di Cultura, 1908, 86-107.
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Abbiamo detto che le grandi organizzazioni operaie sfuggono oramai quasi intieramente all'influenza dei cattolici, parte per cause d'ordine generale e permanente e parte anche per le perdute, oramai per sempre, opportunità di questi ultimi anni. Questi grandi sindacati di lavoratori, e con essi la frazione più avanzata del partito socialista, continueranno a perseguire il loro presente scopo economico, che è quello di aumentare via via il potere interno della propria classe e di mirare alla conquista degli strumenti di lavoro che sono in loro mano, senz'alcun riguardo per gli interessi dello Stato industriale e dell'industria privata. Nella presente crisi del socialismo marxista, rimane pur tanto di elemento vivo di lotta di classe che basta a dirigere i grandi sindacati operai per la via del sindacalismo, preconizzato da G. Sorel in Francia e da A. Labriola ed E. Leone in Italia. Il conflitto fra le due opposte politiche sociali prenderà nuove forme, ma diverrà forse anche, con l'andare del tempo, più violento.

Pagina 102

E di qui verrà la massima parte dei deputati cattolici; i quali, per le condizioni stesse alle quali abbiamo accennato, non porteranno alla Camera un principio netto di divisione, avendo affini, o per sentimento religioso o per interesse elettorale, molti deputati degli altri banchi, ai quali bastano, in fatto di politica religiosa, quel certo laicismo di Stato del quale i nostri istituiti e costumi politici sono già imbevuti da tempo, e l'affermazione dell'autonomia del potere civile; patrimonio morale ed esigenze politiche che il partito clericale non penserà certo, troppo avversi sarebbero i tempi, a contestare e a minacciare.

Pagina 97

Il bivio della politica ecclesiastica in Italia (colloquio con un giornalista)

403758
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 138-148.
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Secondo il cattolicismo deve rinunziare a posizioni politiche insostenibili: deve cessare di confidare sullo Stato e sulle classi alte per la sua vita e contare solo sulle proprie energie; deve, assolutamente, scindere le sue responsabilità da quelle di qualunque determinato partito: Ma, d'altra parte, noi abbiamo due fatti che non riguardano questo o quel partito politico, ma interessano dal più profondo tutte le energie spirituali dell'umanità e il loro sviluppo: la scienza e la democrazia. Il progresso di queste due grandi forze è sicuro: e il cattolicismo, che ha la fiducia di essere la religione definitiva della civiltà, e che vuol essere la grande scuola educatrice dello spirito e delle coscienze, deve per necessità avere interessi solidali con quelli di queste due grandi forze: essa deve quindi favorire, al di sopra dei piccoli gruppi e delle piccole scuole, scienza e democrazia: e l'avvenire le renderà ad usura quello che essa avrà dato, per tal modo, di elementi di vita e di progresso, alla coscienza moderna. Ella vede, adunque, come l'accordo clerico-moderato, quale apparisce a me ed ai miei amici, sia la negazione precisa e diretta di una politica che si ispira a questi principi. Solo degli individualisti ad oltranza, i quali concepiscano il cattolicismo come una forma di dominio, di pochi o di molti, e quindi in senso nettamente antidemocratico, possono essere favorevoli a questa politica di secondo medio evo.

Pagina 142

Teogonie clericali

403866
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 108-137.
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Noi non sappiamo quanto abbiamo influito nelle elezioni del III collegio di Firenze, dal novembre" 1904 ad oggi, circostanze locali; ma crediamo che questa elezione sarà un ammonimento per gli alleati, i quali non debbono avventurarsi alla conquista di collegi che nelle campagne, nelle quali sia viva ancora la tradizione feudale; nelle città e nelle borgate industriali una reazione potrebbe aversi prima di quel che si pensi.

Pagina 124

La crisi religiosa in Francia (Lettere al "Corriere della Sera")

404060
Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 207-245.
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E intanto, come abbiamo visto, ai danni ed ai pericoli della separazione e della resistenza alla legge si aggiungono, inosservati ora, ma tali che appariranno molto gravi fra poco, i danni ed i pericoli — in qualche senso anche maggiori, poiché intaccano i capitali di energie viventi ⸺ di una crisi intellettuale e discordia profonda di tendenze nel seno stesso del cattolicismo. Il pessimismo del quale io parlavo precedentemente sembra quindi, anche sotto questo aspetto, giustificato.

Pagina 229

Come la Chiesa francese fosse strettamente legata alle vicende ed alle lotte politiche del suo paese, dopo la caduta dell'impero, abbiamo già detto. Ora che essa è in condizioni cosi diverse ed ha tante preoccupazioni sue proprie, i partiti politici, i quali cosi lungamente si giovarono di essa, e la compromisero spesso, la lasceranno pensare in pace ai casi suoi? Certo la loro influenza si è esercitata, sino a questi ultimi giorni, suggerendo, preparando ed invocando le decisioni più radicalmente ostili all'accordo. Ma conviene altresì notare che la politica clericale antidemocratica, durante e dopo l'affare Dreyfus, fu guidata da alcune congregazioni religiose, e specialmente dai gesuiti e dagli assunzionisti; e che mentre il peggioramento dei rapporti fra il Governo e il clero secolare è nei voti di queste, come è nei voti dell'altra frazione estrema, la combista, l'episcopato ed il clero secolare, che erano stati trascinati quasi fatalmente nella lotta politica, desiderano invece che la situazione migliori, e dai più pressanti interessi sono condotti a non occuparsi oltre di politica militante e cercare invece un terreno d'accordo almeno tacito con la Repubblica. Questo nuovo stato d'animi — del quale può essere un indice la fusione della Veritè, il giornale clericale più recisamente antidemocratico, e che condusse la lotta contro le direzioni politiche di Leone XIII, con l'Univers, fusioneavvenuta or ora — potrà produrre delle mutazioni :notevoli nella politica interna della Francia, e determinare un nuovo orientamento di partiti, sul terreno economico e sociale. C'è, è vero, in progetto, dopo l'insuccesso dell'Action liberale, capitanata dall'on. Pion, una Action catholique, organizzazione che dovrebbe raccogliere e riordinare per la lotta gli sparsi elementi clericali ed anticostituzionali; ma si può ritenere che il buon senso dell'episcopato, dall'una parte, e l'opposizione vivace delle. Frazioni di cattolici più avanzate nel terreno politico e sociale, dall'altra, impediranno in tempo il formarsi della nuova coalizione.

Pagina 231

La nuova politica ecclesiastica

404197
Murri, Romolo 3 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 149-165.
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Ma, per non andar troppo in lungo, ci contenteremo di prender le mosse da assai più tardi, ricordando brevemente un periodo di variazioni politiche sul quale abbiamo più di una volta richiamata l'attenzione. Dopo il 1870, e sino agli ultimi anni di vita di Leone XIII, l'anticlericalismo non ebbe vita in Italia altro che a brevi riprese; o come un riaccendersi improvviso e fugace di vecchie passioni o come indizio malsicuro del progredire logico dello spirito laico in alcuni focolari di cultura. In realtà, l'opposizione clericale al nuovo stato di cose era qualche volta petulante ed irritante, assai più spesso dignitosa e riservata; mai, ad ogni modo, fu temibile seriamente; i segni, anzi, di un gra¬ duale adattamento degli spiriti anche più schivi al nuovo stato di cose si andavano moltiplicando. Il Vaticano si astenne sempre da una politica attiva; aveva isolato elettoralmente i cattolici, aveva impedito che le organizzazioni di questi assumessero un carattere militante; esso lasciava fare, si disinteressava della politica del paese, e aspettava; che cosa aspettasse non era facile vedere. Intanto la questione religiosa taceva, la politica ecclesiastica, salvo oscillazioni di poca importanza, non ebbe mai mutamenti bruschi; lo Stato non era sospettato di clericalismo, la Chiesa ebbe un periodo di grande quiete e di quasi totale libertà; la questione religiosa pareva sopita.

Pagina 150

La democrazia, con tutte le sue tendenze, deve apparire nefasta a quel concetto di concordia e cooperazione politico-ecclesiastica che noi abbiamo qui sopra esposto. Essa infatti, per necessità coessenziale al suo spirito, desta ed eccita nelle masse l'iniziativa, la cultura, l'attività associata dei singoli; tende quindi a ridurre al minimo il valore di tutto quello che è nella vita elemento esteriore formale, autoritario; a rinvigorire l'attività dello spirito, il dominio di questo sulle forme e sui rapporti sociali, a sostituire la libertà, sorretta da una vigorosa coscienza etica, alla normalità artificiosa e coattiva del diritto. Essa riduce sempre più chiaramente le lotte di partito e le funzioni del governo a conflitti di interessi ed attività degli organi statali a vantaggio degli interessi del gruppo sociale che è riescito ad interessarsene; sicché il progresso sta, non già nel cercar di restituire un carattere quasi sacro al potere politico, con una specie di investitura ideale proveniente dall'alto, ma, assai più prosasticamente, nel cercare che gli interessi prevalenti sieno quelli di un numero sempre più largo di cittadini, ed appunto di quei cittadini che furono sinora i più sacrificati; con che, in una democrazia progrediente, il potere politico sentirà sempre più la pressione del maggior numero, ossia delle classi minori, per esercitarsi a danno delle ambizioni e del potere di quelli che il vecchio concetto considera come detentori, quasi per diritto divino, del potere politico; ai danni cioè di quello che, con ingenuo eufemismo, si chiama ordine costituito, per un ordine da costituire.

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Noi possiamo ora, dopo questo esame delle questioni di politica ecclesiastica quali si offrono nella Chiesa, accennare assai brevemente a quel che riguarda la posizione, innanzi ad esse, dello Stato e dei partiti. Il primo, in fondo. non ci interessa più per sé stesso, poiché abbiamo visto subire esso, in questo, le idee e gli interessi dei gruppi politici che lo hanno conquistato, nel giuoco dell'equilibrio parlamentare. Quanto ai partiti politici, una breve osservazione mostra che essi si avvolgono tutti nello stesso equivoco della politica clericale; essi associano, cioè, l'interesse del loro dominio alla prevalenza di queste o quelle credenze religiose. I moderati sfruttano politicamente le credenze cattoliche; i popolari si propongono di sfruttare quelle altre credenze religiose che sono l'ateismo il materialismo naturalistico e via dicendo; questi come quelli ambiscono, come mezzo di dominio, un accordo con la teologia e con i teologi, sieno poi questi teologi i membri della S. R. U. I., o i membri delle associazioni del libero pensiero, i filosofi ardigoiani, i penalisti lombrosiani, i biologi alla Sergi. Gli uni e gli altri hanno il concetto di una unica organizzazione delle coscienze e degli individui umani, che legiferi, sia per mezzo di due organi distinti che di un solo organo, sul battesimo e sui simboli come sulle imposte e sul rimboschimento, sui doveri etici dell'uomo e sul contratto di lavoro, sull'immortalità dell'anima e sulla prescrizione delle cambiali. Fatto storico curioso: in mazzo a questi due clericalismi, il rosso ed il nero, il primo programma di politica ecclesiastica basato sulla libertà vera e piena di coscienza sarà presentato e sostenuto da cattolici: l'aconfessionalità dello Stato sarà conquista loro, come conquista cristiana fu, nei primi secoli, la sottrazione delle coscienze religiose al dominio del potere civile.

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La Democrazia Cristiana in Italia

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1920
  • Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920, 62-90.
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Anche qui noi troviamo quel duplice momento che abbiamo detto. L'assunto è un ideale, o un programma, di rapporti civili nei quali si attui la democrazia. Il primo momento è caratterizzato dalla fiducia che i postulati ideali di questa ascensione civile dello spirito nella storia sieno in intimo sostanziale consenso con lo spirito e con la dottrina dell'istituto cattolico, così da dover essere rivendicati contro inetti od indegni interpreti di questo e promossi nell'interesse medesimo della Chiesa e di un nuovo e meraviglioso sviluppo della sua influenza civile e sociale. Poi, quando la Chiesa si sottrae a questo tentativo e resiste e respinge e condanna, il movimento si volge contro di essa facendo appello ad una libera ed intima reinterpretazione del cristianesimo primitivo e delle sue occulte o palesi derivazioni nella storia; e i principi che si era creduto di derivare dalla sua dottrina sono invece applicati a questa, ed alla costituzione interna del cattolicismo, come criterio di discernimento e di risoluzione; e l'incompatibilità diventa contrasto; processo spirituale cui si sottraggono solo le coscienze le quali, per docilità alla Chiesa o per difetto di coraggio, si rifiutino di vedere nella rivelatasi incompatibilità un dissidio teorico e storico risolutivo, e si adattino invece a considerarla come temporanea incapacità o colpa di uomini, ed attendano con rassegnata fiducia, e fra alternative di docilità e di resistenza, di speranza e di disperazione, che la storia si corregga e torni ad essi.

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Introduzione

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R. La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari– Società Naz. di Cultura, 1908, 16-29.
  • Politica
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Quindi il cattolicismo è, innanzi tutto, e dovrebbe essere in ognuno che lo segue, una filosofia della vita; della quale certo, considerata nelle sue fonti originarie ed autentiche, nessuno oserà dire che non sia una pura e nobile ed altamente spirituale filosofia della vita, una dottrina di vita interiore di purezza di libertà di altruismo di sacrificio, anche se alcuni ne contestano oggi — ingiustamente, come mostriamo altrove — le basi teoricheMostriamo altrove in La filosofia nuova e l'enciclica contro il modernismo, come il cattolicismo abbia una base filosofica (realismo dualistico) solidissima; nei discorsi sulla vita religiosa nel cristianesimo abbiamo cercato di presentare questo appunto come una filosofia pratica della vita.. Oltre di che, questa dottrina si è raccolta intorno, per la virtù originaria che la ha assistita nel suo sviluppo, elementi meravigliosi di successo, così dapoter essere, ed essere in verità, per l'ampiezza e la coesione della sua gerarchia per la bellezza espressiva del suo rituale, per l'efficacia della sua attività sacramentaria, per la umana soavità dei suoi simboli, adatta meravigliosamente ad essere la filosofia della vita, pratica e viva, non di pochi solitarii asceti, ma di un popolo intiero e di tutta una vasta consociazione di genti.

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