Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

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Collected Papers (Note e memorie): volume I (Italy 1921-1938)

410786
Enrico Fermi 1 occorrenze
  • 1962
  • The University of Chicago Press e Accademia Nazionale dei Lincei
  • Roma
  • fisica
  • UNIPIEMONTE
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La carica elettrica, sempre positiva, è un multiplo intero di quella carica u. e. s. che abbiamo già incontrato nell'elettrone. Essa sarà dunque Z 6 dove Z è un numero intero che prende il nome di numero atomico del nucleo. I numeri atomici variano da. l a 92.

Pagina 356

Enciclopedia Italiana

429229
Enrico Fermi 2 occorrenze
  • 1932
  • Istituto dell'Enciclopedia Italiana
  • Roma
  • fisica
  • UNIPIEMONTE
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Non ci si può nascondere tuttavia che il valore di questa considerazione è assai scarso; nulla infatti ci autorizza ad ammettere che anche all'elettrone, data la sua estrema piccolezza si possano applicare i risultati di considerazioni dedotte dall'elettrodinamica dei corpi macroscopici; abbiamo anzi delle buone ragioni per ritenere che ciò non sia in alcun modo lecito. Il problema di sapere se, e fino a che punto, si possa parlare d'un raggio dell'elettrone è fino ad oggi completamente insoluto, ed è intimamente collegato al problema della determinazione delle alterazioni ancora sconosciute che subiscono le leggi dell'elettrodinamica quando si applicano a sistemi di dimensioni notevolmente più piccole di quelle dell'atomo.

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Oltre all'avere una carica elettrica e una massa con i valori che abbiamo indicato, l'elettrone ha anche altre proprietà che sono risultate principalmente dagli studî spettroscopici (v. atomo) e che possono ormai considerarsi accertate pur mancando prove dirette. Per spiegare la struttura degli spettri atomici e del sistema periodico degli elementi è stato infatti necessario ammettere che l'elettrone abbia una quantità di moto areale intrinseca rispetto al proprio centro e un momento magnetico coassiale con questa. A tale ipotesi, proposta per la prima volta da G. E. Uhlenbeck e S. Goudsmit, si dà il nome di ipotesi dell'elettrone rotante; essa infatti potrebbe interpretarsi formalmente pensando l'elettrone animato da un moto di rotazione attorno a sé stesso, che spiegherebbe l'esistenza simultanea della quantità di moto areale e del momento magnetico. Naturalmente questa interpretazione non è in alcun modo da prendersi alla lettera; oggi anzi si ritiene generalmente che queste proprietà dell'elettrone siano un'estrinsecazione di fenomeni relativistici. La quantità di moto areale intrinseca dell'elettrone ha valore h/4 essendo h la costante di Planck; il suo momento magnetico è pari a un magnetone di Bohr, cioè o,92.10-20 unità C.G.S.

Pagina 752

Fondamenti della meccanica atomica

440654
Enrico Persico 21 occorrenze
  • 1936
  • Nicola Zanichelli editore
  • Bologna
  • fisica
  • UNIPIEMONTE
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Consideriamo una qualunque soluzione dell'equazione (14) la quale si annulli in A, e sia rappresentata graficamente da una delle curve della fig. 17: abbiamo già rilevato (§ 1) che la posizione dei nodi dipende solo dai coefficienti dell'equazione. Se ora facciamo variare il parametro λ, in essi contenuto, i nodi si sposteranno e si può dimostrare che aumentando con continuità λ, i nodi si spostano con continuità verso sinistra. Ogni volta che uno di tali nodi viene a coincidere col punto B, la curva soddisfa le condizioni (α) e quindi rappresenta una autofunzione, ed il corrispondente valore di λ è un autovalore (relativo alle condizioni α).

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In alcuni problemi di meccanica ondulatoria si deve integrare l'equazione (14) non già in un intervallo finito (a, b) come fin qui abbiamo supposto, ma in un intervallo infinito, da una o da entrambe le parti, e cioè (a, ) oppure (). Converrà studiare questo caso come limite del precedente, facendo tendere all'infinito uno od entrambi gli estremi: si riconosce allora che il problema presenta, nel caso dell'intervallo infinito, delle caratteristiche nuove, di cui la più notevole è l'apparizione di uno spettro continuo di autovalori: ciò significa che vi possono essere per λ (oltre, eventualmente, ad una successione discreta di autovalori) degli intervalli entro i quali qualunque valore di λ è un autovalore, ed a questi corrisponde, naturalmente, un insieme continuo di autofunzioni che converrà designare con (dove l'indice λ varia con continuità, cosicchè, in sostanza, y è funzione di due variabili e si potrebbe anche indicare con y (λ, x.))

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Per ottenere questa identificazione abbiamo a disposizione il coefficiente N della (108') ed inoltre la frequenza v delle onde di De Broglie (o meglio la frequenza media dei treni d'onde che formano il pacchetto).

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I) ha uno dei valori che abbiamo detto autovalori dell'equazione differenziale. Così le condizioni, assai naturali, di regolarità imposte alla portano automaticamente all'esistenza dei livelli energetici (discreti, o talvolta continui) che è, come si è visto, un fatto sperimentale, e la determinazione di questi livelli si riduce al problema matematico della ricerca degli autovalori dell'equazione di Schrödinger. In ciò sta, come si è detto nella parte I, uno dei più brillanti risultati della meccanica ondulatoria.

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Un importante ritocco da farsi alla precedente teoria dei sistemi idrogenoidi consiste nel tener conto del fatto che il nucleo non è rigorosamente fisso, come finora abbiamo supposto, ma descrive una piccola orbita intorno al centro di gravità del sistema. Come si sa dalla meccanica, il problema dei due corpi si riconduce a quello di un solo corpo attirato da un centro fisso, purchè si modifichi lievemente la massa del mobile: il moto di un elettrone di massa m rispetto al nucleo di massa M, è retto dalle stessse equazioni del moto, rispetto ad un nucleo fisso, di un corpuscolo di massa (massa ridotta)

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Ciò che abbiamo detto si applica non solo ai sistemi idrogenoidi, ma anche all'elettrone ottico dei metalli alcalini, poichè in questi atomi i campi magnetici generati dai Z — 1 elettroni del nocciolo si elidono: invece negli altri atomi vi è da tener conto degli spin e dei campi magnetici generati anche dagli elettroni del nocciolo (o da alcuni di essi) e quindi le possibilità sono più numerose. Per tali argomenti rimandiamo al volume sulla spettroscopia: ci limitiamo a dire che il momento angolare complessivo di tutti gli elettroni dell'atomo (dovuto sia ai loro moti orbitali, sia ai loro spin) è un vettore costante la cui grandezza risulta generalmente espressa (in unità quantistiche) da un numero intero o semi-intero J, che chiamasi quanto interno dell'atomo: esso si identifica, nei metalli alcalini e nei sistemi idrogenoidi, col quanto interno j dell'elettrone ottico.

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Secondo la teoria dei quanti, la diffusione va invece pensata come effetto degli urti tra i fotoni della radiazione incidente e gli elettroni della sostanza diffondente, in seguito ai quali i fotoni vengono deviati dalla loro direzione primitiva, come le particelle a nell'esperienza di Rutherford di cui abbiamo già parlato. Questo urto, qualunque sia il suo meccanismo, è governato dalle due leggi fondamentali della conservazione dell'energia e dell'impulso, come se si trattasse di un urto tra corpi perfettamente elastici. È chiaro quindi che l'elettrone urtato acquista nell'urto una certa velocità, e perciò sottrae una certa quantità di energia al fotone incidente, il quale viene diffuso perciò con energia minore. E siccome l'energia dei fotoni è legata alla loro frequenza dalla relazione E = hv, il fotone diffuso deve avere una frequenza minore di quello incidente: è così giustificato qualitativamente l'effetto Compton.

Pagina 28

Questo teorema, che abbiamo dedotto dai postulati fondamentali della teoria di Bohr e Sommerfeld, prova che questa teoria soddisfa (per ciò che riguarda la previsione delle frequenze spettrali) al requisito essenziale che si deve richiedere da ogni meccanica atomica, e cioè di avere per limite la meccanica e l'elettromagnetismo ordinari.

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Quello che abbiamo detto ora per una funzione di una variabile x, si può estendere senza difficoltà ad una funzione di p variabili , definita e monodroma entro un certo campo S (eventualmente infinito): lo spazio funzionale avrà in questo caso dimensioni, ed ogni suo asse sarà denominato mediante un gruppo di p numeri: la relativa componente del vettore f sarà il valore che assume la funzione f in corrispondenza di quei valori delle variabili indipendenti. In tutto quel che segue ci riferiremo, per maggiore generalità, a una funzione di p variabili, ma spesso indicheremo il loro complesso con la sola lettera x, e scriveremo f(x) invece di

Pagina 292

Nei §§ precedenti abbiamo sempre supposto che le autofunzioni che definiscono gli assi coordinati nello spazio hilbertiano formassero una successione discreta: ma, come si è detto nel § 10 p. II, quando il campo entro cui si deve integrare l'equazione differenziale è infinito possono presentarsi degli autovalori formanti spettro continuo (oltre, eventualmente, ad autovalori discreti). Si è così condotti a considerare casi in cui gli indici, che entrano nelle formule precedenti, anzichè assumere solo valori interi variano con continuità. L'estensione delle considerazioni precedenti a casi siffatti presenta dei punti delicati, e per una trattazione rigorosa di essi rimandiamo ad opere speciali (1) Si veda per es., oltre ai lavori del Dirac, la memoria di E. H. Kennard, ZS. f. Phys., 44 (1927) p. 326. ; qui ci limitiamo a delle indicazioni generali di carattere intuitivo.

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Nella meccanica quantistica (come abbiamo già osservato a proposito delle coordinate di una particella) si adotta, invece un punto di vista profondamente diverso: il valore numerico di una grandezza fisica non ha nessun senso finchè non se ne compie l'osservazione, e il risultato di questa osservazione non può in generale venire previsto se non probabilisticamente. Vale a dire, si afferma che l'osservazione potrà dare come risultato uno qualunque di certi numeri (1) Si considera qui, per semplicità di scrittura, il caso di valori discreti, ma le G' possono anche costituire un sistema continuo, come p. es. nella misura di una coordinata. con le rispettive probabilità (2) Il concetto di probabilità si deve intendere qui precisato nel modo spiegato nella nota al § 25 p. II. e la meccanica quantistica ha appunto per oggetto di determinare questi possibili risultati e le rispettive probabilità. Esempi di ciò si sono visti a proposito dell'osservazione di una coordinata o di un impulso (§ 25, P. II) o dell'energia (§ 29, P. II).

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., per l'energia, quando il sistema è in uno degli stati che abbiamo chiamato «stazionari» o «semplici» o «a energia definita» (§ 27 p. II), cioè quando la è una autofunzione dell'equazione di SCHRÖDINGER. Quando invece la è una combinazione lineare di autofunzioni (v. § 29 p. II) l'energia non ha nessun valore numerico: un'osservazione diretta a misurarla può dare per risultato uno qualunque degli autovalori con le rispettive probabilità

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., le coordinate di un sistema di particelle in un dato istante, abbiamo già raggiunto una descrizione completa dello stato del sistema, nel senso precisato sopra: infatti una ulteriore condizione sarebbe o automaticamente soddisfatta, o incompatibile con le precedenti (p. es., se si assegnasse anche il valore di una componente di velocità, questa condizione sarebbe incompatibile con le precedenti in virtù del principio di indeterminazione). Si dirà allora che la misura di tutte le coordinate delle particelle costituisce un «gruppo completo di osservazioni» o anche una «osservazione massima» perchè fornisce, per così dire, un massimo di notizie ricavabili da misure eseguite sul sistema. Invece delle coordinate, si potrebbero misurare tutte le componenti dell'impulso, e si avrebbe un altro gruppo completo di osservazioni. In generale, diremo che un gruppo di osservazioni è completo, o che costituisce un'osservazione massima, se non esiste nessun'altra osservazione che sia indipendente da esse e con esse compatibile.

Pagina 335

Ad ogni stato (come vedremo più avanti generalizzando quanto abbiamo già detto per una sola particella) corrisponde una certa funzione che lo caratterizza.

Pagina 335

Osservazioni siffatte rinnovano completamente, per così dire, lo stato del sistema, e permettono di definirlo con un numero: esempio tipico, la misura dell'energia in un sistema non degenere, nel qual caso gli stati così individuati sono quelli che abbiamo chiamato «stati stazionari» (2) La ragione di questo nome si comprende ora immediatamente osservando che per uno di tali stati il vettore ha la forma , e quindi conserva direzione e modulo invariati nel tempo (benchè vari la sua «fase»). o «semplici» o «a energia definita»: possiamo ora caratterizzarli con la proprietà che il vettore di stato giace su uno degli assi principali dell'operatore hamiltoniano . Gli stati che invece abbiamo chiamato «a energia non definita» e che abbiamo caratterizzato al § 29, p. II prendendo per una combinazione lineare di autofunzioni , sono rappresentati da un vettore che non giace su nessuno degli assi principali di : e può esistere però (anzi ne esistono infiniti (1) Nel caso unidimensionale, p. es., posto (con e reali) si verifica subito che questa condizione è soddisfatta dall'operatore e che la corrisponde all'autovalore 0. Naturalmente anche qualunque funzione di questa G soddisfa la condizione voluta. (v. E: FERMI, N. Cim., VII, 10, p. 361, (1930). ) un altro operatore hermitiano completo , di cui uno degli assi principali coincida con la direzione di , ossia (ammesso che ad ogni operatore hermitiano corrisponda un'osservabile), esiste un'osservabile reale G (diversa dall'energia) tale che lo stato considerato (a energia non definita) si possa considerare uno stato «a G definita» e possa essere caratterizzato dal valore Gr di G.

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E precisamente, nel caso della meccanica ondulatoria lo spazio hilbertiano è riferito a quel particolare sistema, di assi che abbiamo chiamato «continui» (v. § 2) (individuato ciascuno da un gruppo di valori delle «coordinate» del sistema), mentre nel metodo delle matrici lo si riferisce ad un sistema generico di assi, per lo più discreti.

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Vogliamo ora applicare questa rappresentazione al «vettore di stato» (di cui ci siamo ampiamente occupati nel cap. precedente) e agli operatori lineari che operano su di esso e che, come abbiamo visto, corrispondono alle diverse osservabili: dovremo dunque ora considerare lo stato del sistema definito dall'insieme delle (infinite) componenti del vettore , secondo il prefissato sistema di assi , e ad ogni osservabile far corrispondere, anzichè un operatore, una matrice. Pertanto le relazioni algebriche tra osservabili si tradurranno ora in altrettante relazioni tra matrici. Perciò questo metodo di trattare i problemi della meccanica quantistica prende il nome di metodo delle matrici, ed è, naturalmente, del tutto equivalente, dal punto di vista teorico, al metodo degli operatori e a quello della meccanica ondulatoria che ci è servito fin qui: solo ragioni pratiche possono consigliare nei vari casi la preferenza di uno o dell'altro metodo.

Pagina 379

Ma è noto che la meccanica classica rappresenta solo una prima approssimazione, valida per moti non troppo veloci rispetto alla velocità della luce c, della meccanica relativistica, che è valida per moti comunque veloci: è quindi da ritenersi che anche la meccanica quantistica che abbiamo svolto fin qui sia valida con le stesse limitazioni, e che per ottenere invece la meccanica quantistica più generale e rigorosa si debba partire dalla meccanica relativistica del punto anzichè da quella classica. La necessità di questo perfezionamento risulta evidente se si considera che i risultati della meccanica ondulatoria di Schrödinger non sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz.

Pagina 411

con , dove i coefficienti sono delle costanti da determinare (la ragione del fattore messo in evidenza nell'ultima somma apparirà in seguito); inoltre abbiamo introdotto la convenzione, che sarà mantenuta in seguito, di indicare con lettere greche gli indici (assumenti valori da 1 a N) che distinguono le varie , e con lettere latine gli indici (= 1, 2, 3) che distinguono le tre coordinate spaziali (che sono indicate indifferentemente con . La scrittura si semplifica notevolmente introducendo la notazione delle matrici, cioè indicando con e rispettivamente le 4 matrici a N righe e N colonne, il cui elemento della riga e della colonna è , e considerando come il simbolo di una matrice a N righe e a una sola colonna, come si è fatto al § 45 per N = 2. Allora le N equazioni (258) si compendiano nella formula

Pagina 424

E infatti, se la , anzichè antisimmetrica, fosse simmetrica (abbiamo già visto al § 63 che non possono darsi altri casi), sarebbe possibile con una conveniente hamiltoniana (simmetrica), farla evolvere in modo che dopo un certo tempo si identifichi con la autofunzione simmetrica data dalla (366) nella quale si siano fissati comunque gli indici , anche prendendone quanti si vogliano uguali tra loro.

Pagina 478

Come abbiamo visto, in un urto tra un elettrone e un atomo può avvenire che l'elettrone ceda parte della sua forza viva all'atomo sotto forma di energia di eccitazione. È stato osservato da KLEIN e ROSSELAND che, oltre a questa specie di urti, detti di prima specie, devono essere possibili anche degli urti rappresentanti il fenomeno inverso, vale a dire che un atomo già eccitato, urtato da un elettrone, si scarichi, senza irradiare, ma cedendo invece all'elettrone la sua energia di eccitazione sotto forma di forza viva, e che quindi l'elettrone rimbalzi con una velocità maggiore di quella che aveva prima. La necessità della esistenza di questi urti, chiamati urti di seconda specie, è stata dimostrata da KLEIN e ROSSELAND col seguente ragionamento termodinamico.

Pagina 59

Lezioni di meccanica razionale. Volume primo

499228
Tullio Levi Civita - Ugo Amaldi 22 occorrenze

Abbiamo già fatto largo uso dell’ovvia osservazione che basta a tale scopo determinare la posizione rispetto ad Ωξηζ una terna Oxyz solidale con S, e sappiamo che codesta posizione risulta individuata, quando si assegnino, rispetto ad Ωξηζ le coordinate α, β, γ dell’origine O e i tre vettori unitari fondamentali i , j , k, o, ciò che è lo stesso, i rispettivi nove coseni direttori αi, βi, γi (i = 1, 2, 3), i quali non sono indipendenti, ma legati fra loro dalle note sei relazioni (7) del n. 8 del Cap. I. Perciò, come parametri indipendenti, atti ad individuare la posizione di S rispetto ad Ωξηζ, si potrebbero assumere, oltre le coordinate α, β, γ di O, tre dei nove coseni αi, βi, γi scelti in modo che gli altri sei risultino, in base alle ricordate equazioni, esprimibili in funzione di essi. Ma, sia per la visione geometrica della figura, sia per le deduzioni analitiche, torna più opportuno ricorrere ad altri elementi, rilevabili direttamente.

Pagina 186

Invero, immaginando applicati i tre vettori v , v 1 e v ' 1 , in un medesimo punto O, abbiamo che i due prodotti v Λ v 1 e v Λ v 1 ' hanno la stessa lunghezza, perché il parallelogramma di v e v 1 è equivalente al rettangolo di v e v ' 1 ;hanno la stessa direzione, perché i vettori v , v 1 e v ' 1 sono complanari; ed hanno il medesimo verso, perché nel piano dei tre vettori applicati gli estremi di v e v ' 1 cadono dalla stessa parte della linea di azione di v, cosicché gli angoli e hanno lo stesso verso. Perciò risulta veramente v Λ v 1 = v v Λ v 1 '.

Pagina 21

Nel dedurre la (6) abbiamo provvisoriamente escluso che si annullino r + δ e ρ + δ. Ma nulla vieta di supporvi l’uno o l'altro di questi binomi, cioè l'uno o l'altro dei segmenti IC, I T, prossimo quanto si vuole a zero. Per sin α ≠ 0, la (6) stessa mostra che, al tendere di uno di essi a zero, lo stesso segue per l'altro. Ne risulta, passando al limite, che, se il centro di curvatura di uno dei due profili cade in I (ciò che corrisponde all’annullarsi di r + δ ovvero di ρ + δ, lo stesso accade per il centro di curvatura del profilo coniugato.

Pagina 246

Ne abbiamo già avuto un esempio nel § prec. dove colle convenzioni del n. 26 si dà alla formula del Savary una forma valida in ogni caso (senza dover distinguere varie eventualità di posizione, come sarebbe necessario, qualora si volessero far apparire i valori assoluti dei raggi di curvatura). . Dacché:

Pagina 255

Tutti i corpi sono dotati di una certa estensione; e noi abbiamo visto nello studio della Cinematica, anche solo nel caso particolare del moto di un sistema rigido, quanto, durante il moto, ne sia in generale diverso, da punto a punto, il comportamento cinematico (traiettoria, velocità, accelerazione). Se noi ci proponiamo di trarre qualche induzione generale sul carattere delle forze, dall’analisi dei loro effetti dinamici è evidente come la sua suaccennata molteplicità di manifestazioni cinematiche simultanee debba necessariamente mascherare e quasi sottrarre alla nostra intuizione sintetica la possibile rappresentazione schematica del fenomeno. Ora ad eliminare siffatta molteplicità di circostanze complicatrici, converrà riferirsi a corpi di dimensioni abbastanza piccole (rispetto a quelle del campo in cui si svolge il moto) perché la loro posizione si possa ritener individuata, senza errore sensibile, da un punto geometrico. Ogni corpo così considerato si dirà un punto materiale.

Pagina 313

. - Sin qui abbiamo circoscritto le nostre considerazioni ad un punto materiale libero. Passando al caso di un punto P vincolato e comunque sollecitato da forze, supponiamo di saper riconoscere le varie forze che agirebbero su P se fosse libero e indichiamone con F la risultante, che chiameremo forza attiva o direttamente applicata al punto. È intuitivo che, sotto la sollecitazione di F, il punto vincolato non assumerà quello stesso moto, che gli sarebbe impresso dalla stessa forza F se esso fosse libero: in altre parole, il moto del punto vincolato è dovuto non soltanto alla sollecitazione della forza attiva, ma anche all’azione dei vincoli. Poiché nel caso di un punto libero siamo stati indotti a riconnettere ogni variazione nelle modalità del moto alla presenza di qualche forza, appar naturale l’ammettere, in base ad una considerazione di analogia, il seguente postulato delle reazioni vincola r i: Per un punto materiale comunque vincolato e sollecitato da forze, l’azione dei vincoli è sostituibile con quella di una forza (fittizia) aggiuntiva, che dicesi reazione o forza vincolare.

Pagina 326

Prendendo anche qui le mosse dalla considerazione della forza-peso o, come anche diremo, della forza di gravità, sappiamo che essa ha un carattere locale: se consideriamo la regione di spazio circostante alla Terra, ad es. l'atmosfera, e immaginiamo di potervi liberamente trasportare in una posizione qualsiasi un corpo assimilabile (rispetto alla Terra) ad un punto materiale, ad es. di massa 1, abbiamo che ad ogni punto della regione considerata resta associata, come peso che agirebbe sul nostro corpo qualora fosse ivi collocato, una ben determinata forza. Generalizzando, possiamo immaginare che in una certa regione C dello spazio sussistano condizioni fisiche tali che un punto materiale libero P, p. es. di massa 1, collocato in ogni singola posizione di C, risenta una forza F ben determinata, la quale dipenda esclusivamente dalla posizione del punto. Potremo scrivere

Pagina 334

Importa rilevare che, nel definire le forze conservative, abbiamo supposto, quale preliminare specificazione qualitativa, che la funzione U(P) soddisfacente alle (11) sia uniforme, cioè, per ogni punto P, dotata di un solo valore, in tutto il campo che si considera. Questa limitazione (circa la natura della funzione, o, eventualmente, circa l’ampiezza del campo da considerare) è conforme a ciò che si suol fare negli elementi del Calcolo, e basta per la maggior parte delle applicazioni meccaniche. Vedremo per altro più avanti (nello studio generale dei campi vettoriali, che riserbiamo al secondo Volume) come in certi casi giova abbandonare l’ipotesi restrittiva della uniformità in tutto il campo (si cfr. intanto l'esempio d)del n. 29).

Pagina 340

In ogni caso il prodotto scalare F x dP si può esprimere come prodotto delle componenti di F e di dP secondo la stessa direzione orientata OP, talché abbiamo

Pagina 342

. - In Dinamica abbiamo desunto direttamente dalla intuizione il concetto di forza, di cui si è ravvisato il modello fisico nella forza-peso; mentre tutte le altre grandezze dinamiche successivamente introdotte si sono definite per mezzo della forza e delle grandezze geometriche e cinematiche. Perciò, assunta l’unità di forza come primitiva,resteranno definite come derivate le unità di tutte le altre grandezze dinamiche da noi considerate; onde intanto si vede che tutto il sistema delle unità meccaniche resta definito quando siano fissate convenzionalmente le tre unità fondamentali di lunghezza, di tempo e di forza.

Pagina 366

Così è messo in evidenza che la resistenza incontrata dalla lamina è proporzionale al prodotto della sua area per la densità del mezzo e per il quadrato della velocità del moto, e che il fattore di proporzionalità è una funzione di certi numeri puri, il cui significato abbiamo più sopra messo in chiaro. Newton aveva dato per r l'espressione cσρv 2 supponendo c costante. Esperienze condotte da molti sperimentatori, specialmente negli ultimi anni in cui il problema interessava l’aeronautica, misero in evidenza che la ipotesi newtoniana è solo grossolanamente approssimata. La nostra analisi fa vedere da quali elementi il fattore c può ancora dipendere.

Pagina 396

Per quanto abbiamo già avuto occasione di rilevare (cfr. Cap. VII, § 8) si potrà in prima approssimazione ritenere che la corda eserciti in A una trazione orizzontale eguale al peso (anzi all’importo complessivo dei pesi, compreso quello del piatto) di cui è caricata in B.

Pagina 400

Abbiamo così:

Pagina 501

Per le (1) abbiamo che condizione necessaria per l’equilibrio si è che i tre vettori F A, F B , p costituiscano un sistema equilibrato; per il che si richiede (Cap. I, n. 52) che i tre vettori siano complanari, che le linee di azione di F A , F B si incontrino in un punto della linea di azione di p , cioè della verticale del baricentro di G, e che infine il risultante di F A ed F B sia direttamente op posto a p.

Pagina 517

Ad ognuna di queste si trasportano, per postulato ovviamente suggerito dalla natura delle cose, e del resto confermato dall’esperienza quotidiana, i caratteri che abbiamo riconosciuto nel caso di un semplice punto materiale (cfr. Cap. IX, n. 8). E precisamente, fissato un generico appoggio P, lo si dovrà ritenere atto a favorire l'equilibrio, offrendo una reazione Φ, a priori indeterminata (ed eventualmente nulla), la cui intensità dipende dalla sollecitazione, ma può essere qualunque, mentre la direzione rimane in ogni caso circoscritta alla falda esterna del cono d’attrito, e coincide, con la normale esterna (al corpo su cui ha luogo l’appoggio), quando l’appoggio è, o si risguarda, privo d’attrito. In base a questo comportamento delle Φ, vanno ricavate caso per caso, le condizioni quantitative dell’equilibrio, vale a dire quelle cui rimangono subordinatamente sottoposte le F per poter costituire, assieme alle Φ , un sistema equivalente a zero.

Pagina 529

Sinora nella impostazione dei problemi di equilibrio di un solido appoggiato abbiamo ammesso che l’azione di ogni singolo punto di appoggio fosse schematicamente rappresentabile come un’unica forza applicata nel punto e soggetta alle leggi caratteristiche della reazione offerta da un sostegno ad un punto materiale isolato. E questa ipotesi ci ha permesso di dare, per varie categorie, per così dire tipiche, di problemi statici, una trattazione teorica rispondente alle circostanze di fatto. Ma basta allargare un poco il campo delle nostre osservazioni sperimentali per riconoscere come la suindicata ipotesi sia insufficiente, in casi ancora abbastanza ovvi, a render ragione del reale andamento del fenomeno.

Pagina 543

Ora, abbiamo già ripetutamente notato che la assoluta indeformabilità dei solidi è, dal punto di vista fisico, inammissibile. E qui si riconosce agevolmente che, rinunziando all’ipotesi a) della perfetta rigidità, si può conservare l’ipotesi b) senza inceppare in contraddizioni. Posto infatti che nel cilindro (o nel suolo o in entrambi) intervenga una qualche deformazione, sì che il contatto abbia luogo non secondo una sola retta g, ma in tutta u’area (una sottile strisciolina comprendente g), non è più vero che si annulli necessariamente il momento delle reazioni rispetto a g, anzi esse possono benissimo esplicarsi (colle solite leggi dell’attrito radente) in modo da equilibrare il peso e una trazione abbastanza piccola.

Pagina 544

E qui, per le deduzioni che abbiamo in vista, basterà tener conto dell’annullarsi del risultante di tutte le forze esterne, le quali, astrazion fatta dalla resistenza dell’aria, si riducono alle seguenti :

Pagina 552

Analogamente, considerando due elementi estremi di filo, P 1 A 1, B n P n, e trattandoli come punti materiali, abbiamo le equazioni ai limiti (6).

Pagina 586

Se dunque si suppone di scegliere la direzione positiva dell’asse (orizzontale) delle x nel senso da A verso B, sarà sempre positivo, perché, non annullandosi, non può neppure cambiare segno; e, se fosse sempre negativo, la x dovrebbe decrescere, quando s passa dal valore zero (punto A) al valore (punto B), mentre, per il modo in cui abbiamo scelto la direzione positiva dell’asse delle x, l’ascissa di B è necessariamente maggiore di quella di A.

Pagina 597

Ma ciò, non perchè χ 2 sia per se stessa trascurabile, sibbene perché tale forza, sempre diretta per verso opposto al Sole, trova compenso nell’attrazione solare, che pure abbiamo qui trascurato (n. 33) di fronte alla attrazione terrestre.

Pagina 725

. - Abbiamo visto al n. 8 che i moti uniformi (su traiettoria qualsiasi) sono caratterizzati dalla costanza della velocità scalare. Consideriamo qui i moti (di gran lunga più particolari) che hanno costante la velocità vettoriale. Se v è la velocità costante prefissata, possiamo scegliere la terna Oxyz, di riferimento in modo che l’asse x abbia la direzione e il senso della v, onde le componenti di questa saranno v, 0, 0, ove al solito si denoti con v la lunghezza di v. Esprimendo che un punto mobile P di coordinate x,y,x, ha, ad ogni istante, la velocità v otteniamo le equazioni (differenziali)

Pagina 93

Enciclopedia Italiana

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Enrico Fermi 4 occorrenze
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Il problema della ricerca della legge di ripartizione si piò formulare anche in una forma differente, che presenta in qualche caso notevoli vantaggi su quella che abbiamo fin qui illustrato. Invece di rappresentare individualmente lo stato di ciascuna molecola come un punto nello spazio delle fasi della singola molecola, riguarderemo il nostro corpo, ed eventualmenteanche tutti gli altri corpi con i quali esso piò interagire, come un unico sistema meccanico, avente un numero enormemente grande di gradi di libertà, e conseguentemente uno spazio delle fasi di un numero elevatissimo di dimensioni. Lo stato di questo sistema complesso sarà rappresentato da un punto del suo spazio delle fasi; e questo punto, col variare del tempo, si muoverà lungo una traiettoria che, se il sistema è quasi-ergodico, finirà per riempire densamente tutta una ipersuperficie di energia costante.

Pagina 519

Naturalmente risulta dalla spiegazione che abbiamo data, che essa non è valida in senso assoluto, ma solo finché la temperatura non oltrepassa certi limiti. Che del resto il contributo dei varî gradi di libertà del sistema al calore specifico vada decrescendo con la temperatura risulta anche, per il caso dell'oscillatore armonico, dalla (24); un'elementare discussione di questa formula mostra infatti che, per T tendente a zero, non solo w, ma anche dw/dT tende a zero.

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Secondo quanto abbiamo esposto, alle varie celle, in cui si divide lo spazio delle fasi nella meccanica classica, corrispondono, nel caso dei sistemi quantizzati, gli stati quantici. è interessante notare quali sono le conseguenze di questo fatto nel caso limite di grandi numeri quantici, quando cioè, secondo il principio di corrispondenza, le differenze tra meccanica classica e quantistica tendono a sparire. Riferiamoci per semplicità ad un sistema a un solo grado di libertà, avente la coordinata generale q e il momento coniugato p. Lo spazio delle fasi è in questo caso a due dimensioni e ha q e p come coordinate.

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Per intendere il significato di questo, si tenga presente che, per dedurre la legge di Boltzmann, abbiamo ammesso che lo stato predetto si potesse invece realizzare in

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