Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

VODIM

Risultati per: dunque

Numero di risultati: 47 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1
«7») Il pensare  dunque  o concepire assolutamente in modo assoluto è essenziale
Teoria dell' ente finito »che è la cosmologia. L' Ontologo  dunque  rimane ne' concetti, ma il Teologo passa da' concetti a
un modo virtuale e relativo alla mente astraente. Altro è  dunque  considerare le essenze ontologiche in se stesse, altro
d' una scienza sempre più purgata e matura. Ricominciamo  dunque  a cimentare la dottrina del nostro filosofo esposta ne'
è assurda, perchè è la negazione d' ogni ragione. Non s' è  dunque  sollevato nè ha punto inteso il bisogno di sollevarsi all'
la stessa costituzione di questi stessi agenti. Platone  dunque  lascia valere tutti gli agenti d' Aristotele, la natura e
cosa e l' altra senza ripugnanza. Il sistema Aristotelico  dunque  è in aria, manca di ragion sufficiente, non spiega punto l'
stesso concede che questa prima causa è la forma: è  dunque  d' accordo con Platone. Altro è dunque cercare perchè un
causa è la forma: è dunque d' accordo con Platone. Altro è  dunque  cercare perchè un ente è quello che è: altro è cercare,
nel mondo un vero ricorso di cause all' infinito. Inserisce  dunque  nel suo sistema due sentenze, che secondo gli stessi
altra, e così all' infinito, ricadremmo nel detto assurdo:  dunque  ci deve essere una materia prima eterna: la qual materia
a condizione che sia vero ciò che si vuol dimostrare. Pecca  dunque  di circolo, perchè quell' argomento prova unicamente che la
. Ma se è accidentale l' evento, argomenta Aristotele,  dunque  anche accidentale la causa (1). Ma qual sarà questa causa
, perchè certe volte accada questo alla materia. Continua  dunque  a proporre la questione che riceve questa forma:
in un' ultima condizione. [...OMISSIS...] Dopo aver  dunque  Aristotele confessato, che ci sono eventi accidentali, che
la causa dell' accidentale essere nella materia. Sebbene  dunque  lasci qui il discorso, e sembri che ponga l' ultima, quale
a un solo dei generi categorici degli enti. Conchiude  dunque  che « « amendue » » (l' accidentale e il vero ) « « sono
luogo esce in questa sentenza: [...OMISSIS...] . Sebbene  dunque  Aristotele non si sollevasse a ricercare la causa della
moto nell' universo ed il tempo è continuo ed eterno (1):  dunque  è necessario che ci sia un motore continuo ed eterno:
quel principio attivo che si chiama natura (5). Essendoci  dunque  una prima sostanza immateriale fuori della natura, prima
esso tende prima di tutto la volontà. Il primo appetibile  dunque  e il primo intelligibile sono la cosa stessa
Ma conviene recare le sue stesse parole. Dopo aver detto  dunque  che l' intelligibile primo è il primo desiderabile, perchè
assolutamente bello, continua così: [...OMISSIS...] . Dice  dunque  che l' intelligibile fa una serie di cose per sè, e la
la mente, e da questa mozione viene l' intellezione. C' è  dunque  prima di tutto l' intelligibile «noeton» (questo precede
prima, cioè il primo intelligibile. L' intellezione per sè  dunque  è il primo intelligibile per sè, onde la prima ed eterna
intellezione » » [...OMISSIS...] Nella sostanza prima  dunque  e tutta atto, conviene che queste cose si trovino unite e
come atto; 2 l' intellezione come oggetto: c' è  dunque  pluralità, e non più unità. Di poi, se l' oggetto è la
l' intellezione per essere tale deve pure avere un oggetto.  Dunque  anche l' intellezione oggetto deve avere un oggetto; e così
e così si va all' infinito. La speculazione filosofica  dunque  delle genti, all' ultimo, al più sublime e al più
Dio nella loro natura propria conosciute. La conciliazione  dunque  di quelle due proposizioni nel sistema d' Aristotele
. Ed ecco come egli ragionò: [...OMISSIS...] (1). Vedendo  dunque  Aristotele che l' inteso doveva immedesimarsi coll'
perciò purissima intellezione. L' intellezione purissima  dunque  doveva essere l' oggetto ottimo di sè stessa: e dall'
meglio non vedere, che vedere, [...OMISSIS...] (2). Avendo  dunque  tolto a Dio la cognizione delle cose mondiali, gli tolse
se non conosciute, nè pure governate: la gran differenza  dunque  tra Aristotele e Platone si riduce a questo, che l' uno
sè stessa, che è l' ottima di tutte le cose. Quello  dunque  che dice dell' intellezione divina, dice d' ogni
abbiamo già riferiti. Il seguente ne fa la conferma. Dopo  dunque  che Aristotele ebbe mostrato necessità, che l' intellezione
inteso. Propone poi un altro dubbio, [...OMISSIS...] . Vuol  dunque  dire che la facoltà di giudicare e di raziocinare, cioè di
non dipende da alcuno oggetto, eccetto sè stessa. Questa  dunque  è di tutte le cose la più nobile, la più perfetta, il bene
dal Leibnizio a questa forma: « « Iddio è possibile;  dunque  sussiste » (2) ». Infatti a che in fin dei conti si riduce
non può stare senza la sussistente: ma quella c' è,  dunque  anche questa ». Un secondo argomento poi con cui Aristotele
dovesse essere necessariamente un predicato . Distinse  dunque  la sostanza prima dalla sostanza seconda , e volle che la
tutte l' altre cose » », [...OMISSIS...] . Quella sostanza  dunque  che prima non si predicava di nulla, ora si predica della
d' altro non si predica che della sostanza reale . Come  dunque  si può dire che la sostanza si predichi della materia?
e dell' aceto, cioè della sostanza reale. Ogni subietto  dunque  ed ogni singolare, secondo Aristotele, ha la sua natura
»(3) », che sono le sostanze seconde e universali. Se  dunque  le sostanze singolari hanno la loro ragione o quiddità,
condizione di puro atto e di pura intellezione. Essendo  dunque  i concetti « di atto e d' intellezione »di natura loro
essere appetita da tutte le cose dell' universo. Diede  dunque  il nostro filosofo a tutti gli enti mondiali un intrinseco
a cui sono in potenza e non ad altre. Ciascuna materia  dunque  non può arrivare nel suo naturale movimento che a certe
di quella forma ultima o perfezione a cui tende (1). Tende  dunque  a cacciare da sè questa privazione, onde nella generazione
generato in parte è già, e in parte non è »(3) ». Sebbene  dunque  Aristotele chiami Iddio il primo motore di tutte le cose,
la vita, come a suo luogo meglio dichiareremo. Aristotele  dunque  descrive il divino, il buono, l' appetibile così
dell' uomo giusto che non è nel detto genere (3). E`  dunque  una natura universale, che può essere conseguita da più
qualvolta sente di non poter andare avanti senz' esse. Dice  dunque  che nella serie degli intelligibili la sostanza è la prima,
bello è anche ciò che muove l' intellezione: il volibile  dunque  e l' intelligibile primo e nel suo primo atto s'
primo e nel suo primo atto s' immedesimano. Mette  dunque  il bene in ciò che è primo , ma questa qualità di esser
si renderà più chiara da ciò che diremo. Distingue  dunque  Aristotele l' intellezione , che non ha per oggetto altro
l' intellezione divina sono ugualmente intellezioni: ancora  dunque  hanno di comune l' essenza generica d' intellezione. Se poi
è quest' essenza generica ? L' intellezione suprema sarà  dunque  composta di genere e di differenza? Ma in tal caso ella non
cosa di potenziale, cioè la sua radice generica. Ritorna  dunque  sempre la stessa difficoltà, e contraddizione. Che dunque
dunque sempre la stessa difficoltà, e contraddizione. Che  dunque  Aristotele abbia veduto la necessità d' un primo essere e
materia: poichè è atto che ha in sè il suo compimento (1).  Dunque  il primo motore immobile è uno di ragione e di numero » »
movimento del primo cielo; [...OMISSIS...] . Per dimostrare  dunque  l' unicità del primo Motore ricorre alla supposizione che
elevato sui pregiudizi volgari. [...OMISSIS...] Pareva  dunque  ad Aristotele d' essersi molto innalzato sui volgari
e di bestie, e attribuita quella di astri! Dall' esserci  dunque  più movimenti ne' cieli, argomenta Aristotele che ci devono
non potrebbe essere in una eterna e continua attuazione. Se  dunque  Aristotele ripone la natura del primo Motore in un atto
per sè tale, senza mescolanza d' altro elemento. Non giunse  dunque  Aristotele a un sufficiente concetto della Divinità (3). D'
sia dall' universo stesso avuto. [...OMISSIS...] . Ammette  dunque  che il Bene e l' ottimo sia ad un tempo come il duce nell'
ma vogliamo osservare il valore di quelle parole: « « E`  dunque  ente per necessità, e in quanto è necessità, è bene, e così
è necessità, è bene, e così è principio. Da tal principio  dunque  il cielo e la natura dipende »(1) ». Prendendo queste
seguente a mostrare che non è un solo, ma più. Dipende  dunque  tutto il resto dalla sostanza pura, ma, come queste
sviluppo, ad uscire al maggiore loro atto possibile. Disse  dunque  che l' atto era il bene, e che tutte le cose appetivano il
una entità comune , ma comunissima ed astrattissima. Quando  dunque  si parla d' un bene, appetito da tutte le cose, che hanno
è meno perfetto e ritiene più del potenziale. Paragonati  dunque  sotto quest' aspetto que' sommi generi analogici di specie,
concepir senza questa, e questa sì senza quello (1). Come  dunque  l' atto è anteriore alla potenza, così Aristotele stabilì
degli enti diversi, solamente tra loro analoghi. Conveniva  dunque  cercare una classificazione di questi enti, per vedere
enti, per vedere quale sostanza fosse la prima. Gli enti  dunque  secondo questo rispetto furono divisi in sensibili e
E poichè tutte le cose tendono per loro natura all' atto,  dunque  tutte tendono all' intellezione, benchè tutte non ci
sè, per arrivare ad un atto maggiore (2). La causa finale è  dunque  l' atto o specie che l' ente vuol conseguire e che ha già
che ha attualmente, è la causa efficiente interna. L' ente  dunque  che chiameremo materia7forma o potenza7atto è costituito
classe più nobile di enti, o ad una inferiore. Su questo  dunque  conviene che ci tratteniamo. Aristotele suppone che ci sia
in potenza alla specie ossia all' atto della vita. Quando  dunque  questi corpi in potenza alla vita, e che però appetiscono
atto è sempre per sè conoscibile (3), anche la sensazione  dunque  appartiene all' ordine delle cose che sono per sè
diventano una cosa sola nell' anima che sente (5). Essendo  dunque  la forma sensibile l' atto del corpo, e questo, pel
potenzialmente nel particolare sensibile (7). La facoltà  dunque  del conoscere, e l' atto conoscitivo non è ancora altro per
può trascorrere dall' uno all' altro di essi: l' universale  dunque  è il mezzo del ragionare (2). Tuttavia la parte discorsiva,
Tuttavia su quest' unità torneremo tra poco. Tenedo  dunque  presente che Aristotele s' era formato un concetto
verso l' ottimo di tutta intera la natura. Le materie  dunque  o potenzialità prime che sono le corporee, sono diverse.
le diversità delle materie d' Aristotele. In quanto  dunque  una data materia ha certe forme in potenza, intanto
quegli eventi ch' egli crede casuali. In certi corpi  dunque  naturali e organati c' è in potenza quella forma o specie
chiama costantemente divino, o divinissimo (1). Conviene  dunque  distinguere, secondo Aristotele, quasi quattro atti, l' uno
potenza diviene atto, in tanto cessa d' esser potenza. Come  dunque  il sensibile in potenza è diverso dal senziente in potenza,
applicare alle sensitive potenze. Secondo Aristotele  dunque  quando un corpo naturale organizzato, mediante il
diverse determinazioni diventa tutti gli intelligibili. Se  dunque  la mente in potenza è quella che diventa tutti gl'
l' essere stesso delle cose alla ragione (1). Che cosa  dunque  ci dà il senso, secondo lo stesso Aristotele? Delle
nè varrebbe più il principio di contraddizione (2). Non è  dunque  nelle sensazioni che si possa trovare la verità , la verità
possa trovare la verità , la verità assoluta (3). Convien  dunque  ricorrere alle specie con cui conosciamo ogni cosa (4) per
questa appartiene alla ragione: l' apparenza sensibile  dunque  non è giudicata dal senso, e rimane apparenza senza alcuna
mai nella stessa condizione, non è, ma sempre diventa? E`  dunque  indeclinabile convenire, nel riconoscere conveniente e
distruggono la scienza, la verità? (5). In che consiste  dunque  la differenza? Certo in quello che dicevamo: che Platone
per un abisso che non si può più colmare. Ricorse  dunque  a dire che le cose intelligibili sono nelle sensibili in
non sono esse in potenza, secondo Aristotele? Come  dunque  saranno il divino che dev' essere puro atto? 3 Le specie e
può avere specie contrarie. [...OMISSIS...] . Distingue  dunque  il bianco in sè, [...OMISSIS...] , dal bianco come
poi è suscettivo del predicabile e del suo contrario. Hanno  dunque  torto quelli che fanno i principŒ contrari tanto nelle cose
immobili (1), poichè i contrari sono predicabili. Distingue  dunque  Aristotele e qui e altrove (2) la specie come specie pura,
pura, e la specie come predicabile d' un subietto. Altra  dunque  è secondo Aristotele la stessa forma in sè, [...OMISSIS...]
di cui riconosce l' eterna sussistenza. La riprensione  dunque  che fa ai Platonici consiste primieramente in questo:
ci sia, e rispetto a quali cose non ci sia »(6) ». Toglie  dunque  a determinare rispetto a quali cose la specie in sè non
intorno al qual dubbio dice: [...OMISSIS...] . Non vuole  dunque  Aristotele che sussistano per sè come enti separati e
altra cosa separata, indipendente e al tutto divina. Trova  dunque  indegno della divinità l' ammettere specie eterne di cose
gli altri intelligibili: come dice che intelligibile è  dunque  la mente, e come scevera essa dalla materia e riduce in
primo principio di tutti i principŒ logici. Se  dunque  la mente è il principio dei principŒ, e l' essere è appunto
alla prima filosofia dice: [...OMISSIS...] . Riguarda  dunque  per primo e principale principio, [...OMISSIS...] , l' Ente
da tutte e per sè, ed è il divino, [...OMISSIS...] . Questa  dunque  è ad un tempo singolare in quant' è separata e da sè
che giace in fondo al sistema aristotelico. Concede  dunque  a quelli, che chiama gli elegantissimi, [...OMISSIS...] ,
si predica l' essere, e di alcuni anche l' uno. Quello  dunque  che ripugna ad Aristotele non è già che l' essere , a cui
proposizioni che sembrano contraddittorie. La conciliazione  dunque  d' Aristotele, se non erro, è questa. L' ente come ente ha
obiettivo è l' ente stesso primitivo e divino. L' ente  dunque  predicato e partecipato è universale e comunissimo, e però
specie, e però non avrebbe la prima scienza (2). Non si può  dunque  dividere la dottrina dell' essere universalissimo dalla
qualità dell' essere , ma l' essere stesso . L' argomento  dunque  d' Aristotele contro le idee platoniche qui si frangeva: ed
e non come qualche cos' altro, [...OMISSIS...] (3). Sembra  dunque  che la scienza prima non tratti dell' essere come
, come potrebb' essere una scie o genere comune? E`  dunque  indubitato che la prima scienza, secondo Aristotele, tratta
specie universalissima, specie delle specie. L' essere  dunque  è per sè conoscibile. E poichè le specie dell' altre cose
è nulla, perchè se ci fosse, sarebbe già essere (1): egli  dunque  è veramente il primo subietto (dialettico) di cui tutto il
(dialettico) di cui tutto il resto si predica. L' essere  dunque  non si predica, che dell' essere stesso. Ora, come non
la natura dell' essere, unica e semplice (3): nei sentiti  dunque  e negli altri intesi si riconosce questa natura dell'
per una tale identificazione della mente. La spiegazione  dunque  di questo mistero consiste nella distinzione tra l' essere
colta, o certo non aveano mantenuta costantemente. Se  dunque  si domanda se l' essere predicato d' ogni cosa è
ente imperfetto, parte di ente e non ente. Acciocchè  dunque  l' ente, che si predica, dopo la predicazione sia ente
e le inefficaci trapassiamo per brevità), è sempre stato.  Dunque  ci si dovea trovare tutto ciò che c' è al presente. Poteva
cogl' intelligibili, [...OMISSIS...] (4). Aristotele  dunque  trova, che nell' università delle cose, ci sono e ci devono
move da sè stessa, ma solo asseconda e segue il movente. Se  dunque  vi sono cose che relativamente sd altre sono in potenza,
cosa di ciò che si svolge da esso di poi (1). O conviene  dunque  ammettere nell' anima vegetale qualche cosa di sentito, per
che non c' è? e non dovrà piuttosto crearsi dal nulla? O  dunque  « trovarsi in potenza »è un suono vano, o se vuol dire
relativo, come pur insegna Aristotele. Da tutte parti  dunque  crolla cotesto sistema, rimanendo però veri certi principŒ
e nei prodotti dell' arte (2). Alla specie artistica  dunque  nega a dirittura, come vedemmo, l' esisenza da sè; delle
naturali non parla così reciso. [...OMISSIS...] Osserviam  dunque  su questo luogo che il negare il titolo d' essenze alle
al corpo, corrompendosi accidentalmente questo. Escluse  dunque  le specie artistiche, veniamo alle naturali che oltre esser
l' atto dalla specie , termine dell' atto (1). Per ovviare  dunque  l' inconveniente di non ammettere come eterne tali specie
d' Aristotele, se non senza potenza. Quel principio  dunque  viene a significare: « Nelle cose dove non c' è potenza, ma
è mente, ma dee averli tutti in potenza. Conviene qui  dunque  che Aristotele retroceda alla potenza, non a una potenza
gli universali della massima estensione. I principŒ primi  dunque  non vengono dalle specie, anzi da' sommi generi, e da ciò
alla specie sostanziale come a suo fine (5). Tutto si move  dunque  da una specie sostanziale ad un' altra specie sostanziale.
non se ne sarebbero mai generate di nuove. Pervenuta  dunque  la natura, per mezzo della sua più eccellente operazione,
casa, o del poeta che compone un carme. [...OMISSIS...] Or  dunque  quel pensiero che, movendo altre potenze, produce un' opera
addotto le fregagioni, lo chiama effezione (1). La specie  dunque  tanto nella natura quanto nell' arte è il principio dell'
chè un corpo di minima grandezza non è sensibile. Non è  dunque  inerente all' essenza del corpo l' avere forme sensibili,
le chiama lo stesso Aristotele (2): le forme sensibili son  dunque  nel senziente e non nel corpo. Replica che in questo sono
impropria di specie sensibili in potenza. Parliamo  dunque  chiaro: ne' corpi non ci sono in nessun modo forme
è ella stessa un sentimento (3). La natura corporea  dunque  ed inanimata non ha specie sensibili (4): ma queste, se
benchè le sue maniere ambigue lascino luogo a dubitarne. E`  dunque  del pari falso, che quelle che Aristotele chiama specie
nè poco offerto allo spirito dalle sensazioni. Veniamo  dunque  alla seconda dottrina : prendiamo l' espressione « essere
dove restano i corpi bruti? Si vedrà. - [...OMISSIS...] Se  dunque  quello che è in potenza e quello che è in atto deve essere
posti come costitutivi dell' anima umana. Aristotele  dunque  qui è nel vero. Continua poi mostrando come rimangano le
astrazion fatta dalla sua materia, anche ideale (2). Si può  dunque  intendere il passo citato in vari modi; e tra gli altri in
separata ed unita alla materia, è contradditorio. Convien  dunque  intendere che altro sia la specie della pietra nella mente,
una similitudine e una cotale imagine dell' idea. Questo è  dunque  il passo in cui Aristotele cade e contraddice alle verità
la mente vede in essi, cavandolo da sè stessa (4). Sebbene  dunque  gl' intelligibili non siano nei sensibili (benchè
la generazione degli animali. [...OMISSIS...] . Ammette  dunque  come eterna causa finale della generazione il bello e il
della mente non comunica con alcun corpo. [...OMISSIS...] .  Dunque  nè pur l' anima in quant' è atto del corpo; ed avendo
d' altro subietto, e in essa tutti gl' intelligibili. Se  dunque  negl' intelligibili è contenuta la divina natura, qual
se non una successione di staccati pensieri (2). Acciocchè  dunque  si veda in che modo crediamo noi che Aristotele trovasse l'
il che genera somma oscurità e confusione (3). Spesso  dunque  sembra non s' accorga che la specie stessa è universale, e
importa trasmutazione e materia «kata topon.» Convien  dunque  che qualche cosa ci sia di separato dalla materia.
la materia e la specie o nelle specie stesse (2). E`  dunque  da considerarsi, che la questione che si fa: « se possano
« se possano esistere divisi dalle specie »(1). Ammette  dunque  Aristotele o non ammette qualche natura separata dalla
per la potenza analitica d' una tal mente. Prima di tutto  dunque  si distinguano accuratamente due significati in cui sono
che gli antichi ancora non avevano determinato. Quando  dunque  Aristotele considera l' intelligibile come una natura ,
ora nulla d' indeterminato può esistere in sè: non possono  dunque  coteste idee che sono specie o generi e però indeterminati,
però indeterminati, esistere come enti da sè » » (1). Tentò  dunque  Aristotele di sostituire alle idee di Platone un' altra
sia perchè può appartenere a più generi. Come si potrà  dunque  fare a spingere questa specie separata fino all' ultima sua
L' indeterminazione è una potenzialità. Converrà  dunque  spingerla al suo atto ma nell' ordine dell' intelligenza,
l' essere da cui quel principio si prende. L' essere  dunque  è l' ultimo atto degl' intelligibili, atto puro, e quest'
prima ed essenziale d' Aristotele. Aristotele si propone  dunque  per l' esposizione di un tale sistema di seguire questo
singolare, ma la sensazione è dell' universale » » (2). Se  dunque  si sente il singolare, il senso non dà l' universale: ma è
« « come un abito a guisa di luce » » [...OMISSIS...] . E`  dunque  da tener fermo il principio aristotelico, che in ogni
molto più all' intellezione attuale e presente (3). Essendo  dunque  composta la mente aristotelica d' intelligibile e d'
come espressamente egli dice, [...OMISSIS...] (1). Rimane  dunque  a vedere, essendoci una mente in atto e però un
quelle; 2 le ultime regole delle scienze e delle arti. Dice  dunque  che « la mente è degli estremi » [...OMISSIS...] per una
nel giudicare che nell' agire). [...OMISSIS...] . Distingue  dunque  una mente acquisita coll' uso, e una mente innata che è una
acquisita per natura, cioè per via della mente innata, sono  dunque  gli intelligibili acquisiti, i percepiti (singolari), le
dà appunto il nome di mente, [...OMISSIS...] . Dovendo  dunque  l' intelligibile, che costituisce la mente in atto d'
«to pan phanai, he apophanai» (4). Si confronti  dunque  che cosa dica Aristotele di questo principio, e che cosa
e all' intellezione che forma con esso una cosa. Siamo  dunque  arrivati a trovare il primo principio che costituisce la
cosa, è il principio di contraddizione (6). Questo  dunque  è un principio dell' ente, non è composto d' altri
pel positivo «einai,» e posteriormente a questo (.).  Dunque  il solo essere resta il primo e per sè conosciuto dalla
suol chiamare assolutamente gli universali . Acciocchè  dunque  ci sia nell' uomo la mente in atto, che tragga in atto gli
che tutto racchiudevano in questa: [...OMISSIS...] . C' è  dunque  indubitatamente qualche cosa per Aristotele di separato da
l' anima, nè sono materia come sarebbe il corpo. Sono  dunque  concetti che vengono da altri concetti, cioè dal concetto
ma è sempre insieme col composto » » (2). Distingue  dunque  Aristotele manifestamente due specie d' intelligibili , gli
tutta essendo il lume naturale assai poco. La causa  dunque  di questa difficoltà, dice, non è nelle cose, ma in noi,
ed eterni, diversi dai sussistenti medesimi (6). Essendo  dunque  tali universali relativi ai sensibili particolari, benchè
colori percepiti col senso [...OMISSIS...] . L' universale  dunque  come universale non si trae dal senso, e da' sensibili è
e quest' è causa degli altri, [...OMISSIS...] (3). Come  dunque  del vero è causa il verissimo [...OMISSIS...] , così dell'
dall' intelligibile, [...OMISSIS...] (6): l' intelligibile  dunque  che move la mente al suo atto non è l' effetto di questo
realmente separate, ma sono ne' sensibili in potenza. Se  dunque  quello che move la mente a contemplare gl' intelligibili in
che una proporzione, e nulla di comune e di simile. Come  dunque  il sensibile agirà nella mente? Questa è la difficoltà che
sè, uscendo al suo atto. [...OMISSIS...] . La mente umana  dunque  parte è in potenza, parte in atto: in potenza è la
in atto è quella che scrive su questa tavoletta. Errarono  dunque  grandemente tutti quelli che intesero questo luogo d'
« in essa è l' intelligibile » », [...OMISSIS...] . Avendo  dunque  od essendo l' intelligibile in atto, ella ha la potenza di
ciascuna di esse conviene che ci sia la specie identica. Se  dunque  gl' intelligibili sono tutti un solo di specie, conviene,
che la stessa specie intelligibile sia in ciascuno. C' è  dunque  un intelligibile che informa tutti gli altri: ora questo
è indubitatamente « l' idea dell' essere ». Quest' idea  dunque  è la specie per sè intelligibile, la mente in atto, e
(2) e, in ogni ordine di cose, ad una prima causa. Convien  dunque  che ci sia una prima specie che produca le altre; e questo
o pretende dividersi da quella di Platone. Aristotele  dunque  parte da questo principio: « « Le sole sostanze sussistono
onde nega a quest' ultima il settimo carattere. Stabiliti  dunque  questi caratteri costitutivi della sostanza e posto per
è in atto e separata » », cioè sostanza prima (2). Di qui  dunque  procede, che i generi, che si riducono alle dieci
della mente apprende l' oggetto determinato (5). Se  dunque  gli universali, come universali , non danno che una
, cioè l' essere: la potenza è materia, l' essere  dunque  sarà la materia della cognizione, la materia ideale (1): la
passando all' atto diventa tutte le cognizioni, l' essere  dunque  è in potenza tutti gl' intelligibili: ma la mente in
degl' intelligibili, ma diventa tutti: la mente potenziale  dunque  d' Aristotele è l' essere ideale indeterminato, come la
in atto, [...OMISSIS...] . [...OMISSIS...] . L' essere  dunque  in potenza, secondo Aristotele, è tutte le cose in potenza.
secondo Aristotele, è tutte le cose in potenza. Acciocchè  dunque  la mente sia tutte le cose in potenza, conviene che sia l'
da Aristotele, come vedemmo, è chiamato materia: l' essere  dunque  in quanto è intelligibile è la materia di tutti gl'
universalissimo, all' essere, ossia all' uno stesso. Dice  dunque  che si dice qualche cosa essere una, quando « « il subietto
universale, e lo dice materia [...OMISSIS...] . Il subietto  dunque  qui è la materia ideale, giacchè il genere è appunto per
delle specie, [...OMISSIS...] (5). Il subietto ideale  dunque  è tanto più subietto, quant' è più universale, perchè
è a maggior ragione materia ideale (1). Il subietto reale  dunque  e il subietto ideale hanno un' opposta natura: poichè
Questa sentenza è notabilissima. [...OMISSIS...] . Se  dunque  c' è un uno, ossia un indivisibile in ciascun genere, che
e lo chiama « « uno d' analogia » ». [...OMISSIS...] . Se  dunque  c' è un' unità superiore a quella de' generi, questo è un
l' essere e l' uno, che è il medesimo. L' unità analogica  dunque  d' Aristotele è l' essere che raccoglie in sè i generi, ed
quali l' uno è il principio [...OMISSIS...] (1). Riconosce  dunque  Aristotele quell' uno che è nell' universale, e che chiama
onde il «tohen kata analogian» (4). [...OMISSIS...] Ecco  dunque  il principio con cui si conosce, l' uno: ma l' uno non
l' uno: ma l' uno non differisce dall' ente; l' ente  dunque  è, secondo Aristotele, il principio con cui si conoscono
ancora scienza [...OMISSIS...] se non in potenza. L' essere  dunque  o l' uno è il principio con cui si conoscono tutte le cose
dimostrazione e della scienza. [...OMISSIS...] . La mente  dunque  è quell' uno con cui si ha la dimostrazione e la scienza;
questo è, questo non è [...OMISSIS...] (4): l' essere  dunque  è l' uno nella scienza. E però la mente nel senso oggettivo
col quale s' intendono tutti gli intelligibili. Si fa  dunque  la domanda Aristotele, se si sentano i diversi sensibili
uno con cui senta l' un e l' altro [...OMISSIS...] . C' è  dunque  secondo Aristotele un sensitivo nell' anima che è uno ed
genere. Il che è degno di tutta l' attenzione. Prosegue  dunque  in questo modo: [...OMISSIS...] . Questa parola ragione ,
divisa dal suo tutto reale. Questa ragione della cosa  dunque  è veramente separata nella mente, benchè non sia tale nella
nella mente, benchè non sia tale nella realità. La ragione  dunque  è nell' anima (3) ed è altra cosa dalla realità esterna, vi
dell' intendere se gli mancassero gl' intelligibili: sono  dunque  una cosa il senziente e il sensibile in atto, e l'
: questa ragione è detta essere da Aristotele; l' essere  dunque  è universalmente l' oggetto intelligibile primo,
ossia indeterminato [...OMISSIS...] (5). In due maniere  dunque  gl' intelligibili, secondo Aristotele, acquistano ordine ed
simile a quello che ha dichiarato parlando del senso. C' è  dunque  un' intellezione, che è attualmente uno «hen kat'
tutti gl' intelligibili generici e specifici. Che l' essere  dunque  sia il lume ossia l' obietto essenziale della mente, è
cosa precedente non esiste fuori dell' essere. L' essere  dunque  dee esistere, e dee altresì esistere nell' anima, acciocchè
nessun' altra cosa, non lo produce, e dee essere in atto: è  dunque  quello che fa ad un tempo l' attualità della mente, e la
di specie. Ma ella unisce in uno tutte le cose. Convien  dunque  che intenda anche un indivisibile di specie che comprenda
indivisibile, non può essere altra che quella dell' essere.  Dunque  la potenza che ha l' anima di unire e dividere, per via di
nasce dall' intuizione che ha dell' essere. Colloca  dunque  Aristotele nell' anima qualche cosa di uno , tanto nell'
all' uno, e l' uno s' identifica coll' essere. Si conferma  dunque  quello che disopra abbiamo osservato, che l' uno per
in atto, sotto un altro in potenza. Tutti i sensibili  dunque  sono potenzialmente in un primo sensitivo dell' anima
Aristotele stesso la sua teoria: [...OMISSIS...] . Che cosa  dunque  è la mente Aristotelica? [...OMISSIS...] gli enti stessi
in potenza, ossia l' ente indeterminato ». Questo  dunque  costituisce la mente in potenza d' Aristotele in senso
potenza non può sussistere separata, secondo Aristotele. E`  dunque  necessario, che la mente non sia solamente in potenza; ma
è costituita la mente in senso subiettivo. L' intelligibile  dunque  e l' intellezione formano la mente aristotelica una di
e la scienza relativamente è in potenza (1). Questa mente  dunque  è quel principio (2), che Aristotele riconosce necessario
altrettante specie intelligibili . Tutti gli intelligibili  dunque  sono contenuti e unificati dal primo, l' essere. La loro
corporea diffusa nell' estensione in cui termina: questo è  dunque  la prima causa della moltiplicità. Tutte le intellezioni
intellezione, e il principio di tutte l' altre. Quest' è  dunque  l' unità che Aristotele attribuisce al divino. Ma questo
in un senso ora subiettivo , ed ora obiettivo . Non fa  dunque  maraviglia che pronunci due sentenze opposte quando tratta
le ultime cause moventi e finali: [...OMISSIS...] . Spiega  dunque  Aristotele la generazione come un effetto di quella
può pervenire nel suo movimento ascendente. Continua  dunque  a spiegare gli effetti di questa causa della generazione
un suo simile. [...OMISSIS...] . L' anima intellettiva  dunque  si svolge dal seme; ma la mente? Questa la distingue, e
restringe il divino in senso proprio alla mente. Pare  dunque  che per mente intenda l' oggetto e per l' anima
se non anche al materialismo. [...OMISSIS...] . La mente  dunque  non è computata da Aristotele tra le potenze soggettive
da Aristotele tra le potenze soggettive dell' anima; è  dunque  l' oggetto del conoscere, l' intelligibile primo, l' essere
suppone che quest' atto reale sia la stessa specie: suppone  dunque  quello stesso che si domanda. Quindi le stesse
quel corpo che l' ha: ma la forma dell' arte è in un altro.  Dunque  la forma dell' arte ossia l' idea, e la forma della cosa
sono forme o specie dette così equivocamente. Non c' era  dunque  bisogno di censurare Platone perchè dicesse questo appunto,
della stessa specie ; oltre quegli atti distinti c' è  dunque  una specie comune , e questa una di numero. In tal caso si
genere d' enti, e anche per ciascun individuo: trattasi  dunque  d' un bene indeterminato e moltiplice, anzi al sommo
un circolo eterno e infinito di generazioni: questa causa  dunque  che è sempre esistita, secondo lui, basta a spiegare la
mente non può essere in potenza nel seme, [...OMISSIS...] .  Dunque  l' appetito tendente alla specie è nel corpo e in tutti gli
in continuo eterno moto. Ma se c' è un eterno moto,  dunque  anche un eterno Motore, e questo immobile, per non perderci
l' intelligibile è desiderabile o eligibile (1). Conviene  dunque  che ci sia una sostanza prima dell' intelligibile, e
massimamente è, [...OMISSIS...] (4). Il primo intelligibile  dunque  è l' essere necessario, ciò che semplicemente e
o è almeno uguale di specie. Ma se uguale di specie, c' è  dunque  una specie comune anteriore alla mente divina e alla
che sia un medesimo la mente e l' intelligibile »(3) ».  Dunque  l' Essere necessario si può considerare sotto tre aspetti,
e la contemplazione è il dilettosissimo e l' ottimo. Se  dunque  Iddio si trova sempre » » in quest' atto di contemplazione
eccellentissimo e di dominante in lui si trova. Cerchiamo  dunque  degli altri luoghi del nostro filosofo. [...OMISSIS...] . E
« « ogni vita beata è degli Dei » » [...OMISSIS...] .  Dunque  anche la vita beata che consiste nell' atto contemplativo
(5). Che se l' umana è simulacro , la divina  dunque  è esemplare : l' esemplare dunque è qualche cosa di più d'
è simulacro , la divina dunque è esemplare : l' esemplare  dunque  è qualche cosa di più d' una poetica metafora, come lo
comunione nel contemplare, [...OMISSIS...] (6). Riconosce  dunque  una specie comune negli atti contemplativi. Ma la specie
non essendo che un elemento di essi (1): ammette  dunque  una specie anteriore agli Dei ed agli uomini: quest' è un
della natura non basta a spiegarli. Aristotele ricorse  dunque  al caso e alla fortuna, cioè, come egli stesso confessa,
anteriore? ma e a questa che cosa lo mosse? Conviene  dunque  dire, per non andare all' infinito, che il primo movimento
dietro a' quali vennero i prosperi successi (1). Ora qual è  dunque  questa prima causa? [...OMISSIS...] Le quali parole
conto della ragione da cui sono mossi. Interpretando  dunque  a questo modo il brano che esaminiamo, che cosa è il divino
[...OMISSIS...] . E` Dio stesso, [...OMISSIS...] . Convien  dunque  dire che la mente sia qui presa in senso subiettivo, e che
che gli fa il vero, a Platone. [...OMISSIS...] . Ciò  dunque  a cui l' anima deve tendere è di sottrarsi alla sensazione,
rimanga ancora dell' estensione o vacua o piena. Conviene  dunque  o riconoscere un somigliante discorso come una semplice
sostanziale, ed è media tra l' ente e il non ente: convien  dunque  che ci sia un primo sempiterno e incorruttibile da cui
pensiero, esprima o no la mente d' Aristotele. Trovato  dunque  un movimento perpetuo circolare e uniforme dell' ultimo
da sè generassero, sarebbero cause necessarie, e perchè  dunque  non generano sempre, ma or sì ed ora no? (2). Ci vuole
non generano sempre, ma or sì ed ora no? (2). Ci vuole  dunque  per terza la causa del moto, che pretende essere stata
da Platone, sebbene a torto, come vedemmo (3). Non nega  dunque  le specie platoniche, ma le dichiara insufficienti a
questo di conseguenza si muove in circolo. Nell' origine  dunque  del primo movimento Aristotele pone l' efficacia di movere
dell' uomo, anzichè l' uomo su quello dell' universo. Pose  dunque  anche nell' uomo (ed è evidentemente un' imitazione del «
e finalmente la parte mossa e non motrice (3). Nell' uomo  dunque  ci sono tutti i motori, e comparativamente anche negli
una specie di creazione eterna e continua. Non attribuendo  dunque  un essere suo proprio alla materia, rimane che l' ente sia
(1). Ancora, se l' essere stesso è necessario ed eterno,  dunque  è atto purissimo, poichè niente di ciò che è materiale e
semplicemente all' essere non è che il nulla; non c' è  dunque  qualche cosa che sia contrario all' essere. Se dunque l'
c' è dunque qualche cosa che sia contrario all' essere. Se  dunque  l' essere è necessario ed eterno e atto puro senza potenza,
non ha bisogno per esistere d' alcuna materia o potenza: è  dunque  da sè puro e separato. E infatti Aristotele prova la
niun universale, dice, può esistere separatamente (6). Come  dunque  avea detto prima l' essere non appartenere ai corruttibili,
queste cose sono, l' essere è tutte ad un tempo. Non è  dunque  l' essere essenzialmente limitato e incompleto come il
dell' essenza [...OMISSIS...] (7). La parola essenza  dunque  ( «usia» da «einai»), dico l' essenza sostanziale, è presa
la casa, a cagione della forma della casa. La forma  dunque  o essenza della casa è causa per la quale la casa è, sia
cioè l' essenza vestita della qualità essenziale. Variando  dunque  di significato la parola specie (e proporzionatamente si
(2) ma che le segue tutte ed è tutt' esse (3); l' essere  dunque  non è una natura che stia da sè, ma è sparso e diviso tra
materia sono semplicemente enti determinati (3). Se sono  dunque  enti determinati [...OMISSIS...] , perchè non potranno
non in potenza, come sono i generi e gli universali. Quello  dunque  che assolutamente nega Aristotele, si è solo che non può
uno, o d' esser ente, [...OMISSIS...] . In questo sistema  dunque  non può sussistere da sè nessun ente, nessuna quiddità,
potenza o che abbia materia [...OMISSIS...] (1). Riconosce  dunque  che ci debbono essere specie sussistenti da sè ed eterne
è più in atto della scienza e il mosso del moto (2). Avendo  dunque  fatto consistere l' ultimazione della specie nell' essere
stessa principio del principio [...OMISSIS...] (4). Essendo  dunque  l' intelligibile intelligente, e il primo intelligibile
prima mente, formante con questa una medesima cosa. Dice  dunque  che l' ente e l' uno, che non è che un carattere dell'
se stesso, e sembra che gli tolga quella del mondo. Parmi  dunque  che il nostro filosofo faccia che la mente divina contenga
e che tende a riprodursi con eterno circolo. Rimanendo  dunque  le nature materiali in questo continuo conato a diversi
godono d' una perpetua e continua beatitudine (3). Iddio  dunque  è mente perfettamente teoretica ossia contemplativa, di cui
l' ottimo , il quale ottimo è l' essere puro. Le notizie  dunque  delle cose inferiori non aggiungono, ma col loro miscuglio
la felicità nulla d' imperfetto [...OMISSIS...] (2). Come  dunque  il mezzo è superfluo, quando c' è il fine; e le armature
appetito di tutta l' università delle cose (2). Aristotele  dunque  non solo vuole, che la natura divina «to agathon kai to
[...OMISSIS...] , perchè il duce è il fine (1). Cerchiamo  dunque  di nuovo qual sia la relazione che pone Aristotele tra l'
dell' essere delle cose, [...OMISSIS...] (5). Secondo lui  dunque  la materia è qualche cosa, perchè inesiste nella forma.
aristotelico sarebbe un gioco di parole. La specie  dunque  contiene in sè i singoli enti, ed è la ragione del loro
elemento, ma un principio, una causa dell' ente (5). Non è  dunque  il primo motore che dà la forma e l' unità alle singole
ma è la specie loro preesistente, [...OMISSIS...] . Come  dunque  dice che «to agathon kai ariston» oltre avere un' esistenza
quest' è l' essere a tutte comune, e che tutte contiene. Se  dunque  le specie degli enti naturali sono eternamente in questi, e
identico delle loro differenze (2)? In questo senso  dunque  il Dio d' Aristotele contiene le cose tutte, e però le
cioè del primo cielo (7). [...OMISSIS...] (1). Egli è  dunque  manifesto, che il Dio d' Aristotele differisce da quello di
tutti gli accidenti partecipano dell' essere: essa  dunque  è propriamente l' essere determinato, com' anco l' uno
si può dire che l' essere per Aristotele sia Dio. Posciachè  dunque  l' essenza o l' essere determinato (5) è ad un tempo e in
di solo concetto, da ogni materia. 5 Quest' ente separato è  dunque  oggetto della stessa scienza che tratta dell' ente in
dell' essere come essere, è universale. [...OMISSIS...] E`  dunque  manifesto che l' essere come essere ha un' esistenza
avere qualche altra cosa, e quest' è la materia. Cercandosi  dunque  la causa perchè esista la materia, trovasi che questa causa
è causa motrice e finale. [...OMISSIS...] Il primo Motore  dunque  coll' essere appetito trae la materia al suo atto, cioè
Laonde tosto appresso Aristotele si fa la questione « se  dunque  le essenze specifiche de' composti corruttibili
perfezione è appunto l' essere attualissimo: tende  dunque  a quest' essere, ma non può raggiungerlo pel difetto della
può raggiungerlo pel difetto della materia: quest' essere  dunque  come causa dell' appetito di tutte le materie è la causa
attualissimo senza raggiungerlo mai (1). Non essendovi  dunque  nell' essere attualissimo materia alcuna, non ci può essere
tutte le forme o essenze delle cose corruttibili. Queste  dunque  non si generano, ma sono eterne tanto nell' essere
in una stessa classe le entità più disparate. Negando  dunque  a Platone che le essenze delle cose corruttibili sieno idee
dialettici, mescolando tutto insieme. La stessa confusione  dunque  nell' essere attualissimo, il quale ora comparisce come
e quindi si fermarono agli universali (5). L' essere  dunque  attualissimo, e però separato e da sè, è per Aristotele
una specie che un' altra (2), [...OMISSIS...] . Aristotele  dunque  pone una vera identità tra la specie nella cosa e la specie
l' atto secondo o l' operazione dell' ente. Apparisce  dunque  che la parola entelechía abbraccia ogni atto fuorchè l'
ciò che è in potenza (3), [...OMISSIS...] (4). La natura  dunque  tende sempre più all' atto, e giunge più avanti, secondo i
e questo in quant' è sostanza è Dio, e la Mente. L' essere  dunque  non già indeterminato, sotto il qual aspetto sarebbe
propria, indipendente dallo spirito umano. Distinse  dunque  Aristotele nello spirito umano la virtù sensitiva che
, e questa suppone avanti di sè de' principŒ : quegli abiti  dunque  non dànno i principŒ, perchè anzi li suppongono e partono
anzi li suppongono e partono da essi dimostrando: rimane  dunque  che la mente sia quella sola che contiene i principŒ (3).
mente sia quella sola che contiene i principŒ (3). La mente  dunque  in senso subiettivo ha per oggetti i principŒ, non in forma
. Ma vediamo le sue parole: [...OMISSIS...] . Che cosa  dunque  fa l' induzione aristotelica, che conduce lo spirito umano
è «peri to on» (3) onde conchiude [...OMISSIS...] (4). Se  dunque  la mente è de' primi , e questi sono conosciuti dall' uomo
, e questi sono conosciuti dall' uomo coll' induzione , è  dunque  da dire che la mente subiettiva sia nell' uomo non
mente, nulla opera, ma solo si lascia vedere. Conviene  dunque  che ci sia in atto l' energia che lo veda, poichè la
deve preesistere, [...OMISSIS...] (5). Se non ci fosse  dunque  nell' uomo per natura una cognizione prima attuale, non
gl' intelligibili sono nel primo, cioè nell' ente: come  dunque  potrebbe conoscere gl' intelligibili se non conosce l' ente
non ci potrebbero essere che intelligibili in potenza. Se  dunque  non ci fosse nell' uomo un' intellezione in atto,
sono rese intelligibili in atto dall' uomo stesso. L' uomo  dunque  non può essere mosso all' atto primo del suo intendere da
non si dà un' essenza eterna che non sia in atto: la mente  dunque  anche nell' uomo deve essere in atto (7), ed è in atto se
i puri intelligibili e non solo «ta prota». La mente  dunque  nell' uomo in senso obiettivo è identica alla Mente
contemplativa, atto purissimo, [...OMISSIS...] (2). Essendo  dunque  quest' ultimo atto intellettivo, fine dell' universo, la
anteriore e nel posteriore come identica. Le forme tutte  dunque  o specie sono quelle che chiama «analloiota, apathe,» e
che sono immuni dallo spazio e dal tempo. Non essendo  dunque  la materia un chè, se non per la causa formale, e però l'
cose, ma solo le accidentali loro mutazioni (5). - Come  dunque  pretende Aristotele d' aver completata questa dottrina
atti primi egli disse essere le essenze specifiche. Accusa  dunque  Platone d' aver posta una materia e una forma inattiva, le
stesso dicasi del Bene che coll' ente si converte. Qui c' è  dunque  in altre parole la dottrina di Platone, che faceva l' uno
ossia in atto, a generarsi in altre forme. Quest' atto puro  dunque  corrisponde all' Uno di Platone, ma egli è motore come
di essi? Poichè Aristotele dice: [...OMISSIS...] . Se  dunque  riconosce che nel concetto sono i medesimi, è dunque
. Se dunque riconosce che nel concetto sono i medesimi, è  dunque  distinta la specie nella mente, che è il concetto e che è
reali che sono più e proprie di ciascun ente. Ci hanno  dunque  due maniere di specie, e le specie reali o imiteranno o
o imiteranno o parteciperanno delle specie mentali: siamo  dunque  ricondotti di novo alle specie platoniche, di cui i
mente dell' artefice nulla patisce: che se nulla patisce,  dunque  nulla opera, perchè chi passa ad operare, patisce. Sia pure
mente sola di specie, ma molte di numero, anche le menti  dunque  hanno una specie comune , l' idea della mente, che dev'
diverse di specie anche diverse specie di enti. Attribuisce  dunque  puramente alla diversità delle materie, e quindi alla
loro appetito il giungere a forme diverse . Tutte queste  dunque  non possono essere che una limitata imitazione della prima
due prime (2). A quest' ultima appartiene la mente. Non è  dunque  distinta di natura la mente suprema, e quella dell' altre
attribuisce per oggetto « l' ente come ente ». La mente  dunque  è l' ente, cioè l' oggetto primo del conoscere; e si
Ora la mente in atto è priva al tutto di materia. C' è  dunque  una sola mente in atto? (1). Dal qual luogo si trae
perchè non esiste separata. Se nelle menti soltanto,  dunque  quest' idea si moltiplica come le menti, avendo ciascuna la
specie sostanziale è il massimo intelligibile (6). Quando  dunque  una specie sostanziale perviene ad un atto puro in cui si
dunque, secondo Aristotele, è la mente. La mente umana  dunque  è la più eccellente tra le specie sostanziali che quaggiù
termine dell' ente che la possiede (4). La mente obiettiva  dunque  viene all' uomo dal di fuori ed è comune a tutte le menti;
d' Anassagora insita nella natura, benchè immista. Mostra  dunque  che qualunque mente si ponga nella natura, ella sarà
ma il cui oggetto essenziale non è identico con essa.  Dunque  ella sarà di sua natura in potenza, e passerà all' atto per
e passerà all' atto per la virtù del suo oggetto: dipende  dunque  da questo, e questo è ad essa superiore se le dà l' atto:
è ad essa superiore se le dà l' atto: essa non è ancor  dunque  l' essenza ottima (1). [...OMISSIS...] . Il che pure è
ciò che le si presenta come essere. La mente subiettiva  dunque  dell' uomo è attiva alla foggia degli abiti. 2 L' essere
ammettere immortale la mente fattrice od agente: basta  dunque  per noi provare che sia immortale anche la mente fattibile,
anche la mente fattibile cioè in potenza a conoscere. Dice  dunque  che questa mente, che non ha ancora ricevuto le specie «
naturali, che poi formano la mente passiva . Questa mente  dunque  fattrice e fattibile non si mescola al corpo, e però non ha
l' altre cose scevre di materia e così intelligibili (4).  Dunque  ella si conosce sempre, e questa mente conosciuta è la
in senso obiettivo, il possibile, [...OMISSIS...] . C' è  dunque  sempre un atto nella mente, ed è con quest' atto primo e
ne' sensibili e nelle cose materiali. La mente in potenza  dunque  si riferisce a queste specie, ma ella in se stessa è in
e l' inteso sia il medesimo, [...OMISSIS...] . E`  dunque  la stessa mente quella che è in atto e quella che è in
[...OMISSIS...] , secondo la sentenza d' Anassagora: come  dunque  ella intende, domanda, se pensare è un certo patire, chè,
che è in potenza, e quella che poi è in atto. Non patisce  dunque  dalle cose esterne, ma da se stessa (dalla mente in senso
si attuano, e così s' arrichisce di cognizioni. Le specie  dunque  nelle cose sono identiche a quelle nella mente (2), e sono
essere in potenza e passare all' atto: « « l' intelligibile  dunque  propriamente è uno di specie » », [...OMISSIS...] , il che
le gravi difficoltà, che abbiamo già indicate. La mente  dunque  è di natura sua teoretica cioè contemplatrice; questa mente
e non è cognizione scientifica (1). Questo principio  dunque  di contemplazione che ha l' anima dell' eterna e prima
nella vecchiezza perviene alla sua maturità (2). Osserva  dunque  che sebbene la mente sia la specie eccellentissima di tutte
per induzione, fu da noi veduto. La mente subiettiva  dunque  nell' uomo, essendo diversa da' suoi proprŒ intelligibili,
filosofia prima, cioè alla dottrina de' principŒ: ritorna  dunque  ond' è cominciata, e poichè questi stessi principŒ si
enti naturali composti di materia e di forma (5). Distingue  dunque  la mente in due, [...OMISSIS...] . Il qual luogo, non dee
è intelligibile illimitatamente e pienamente. La natura  dunque  mancherebbe del suo comignolo e la serie degl'
all' uomo con cui conoscere l' altre cose (1). Con questo  dunque  l' uomo dee acquistarsi la scienza propria di lui, cioè dee
specie pura della grandezza, e così via (5). Raccogliendo  dunque  le specie, raccoglie l' essere sparso nella natura. Ma come
tutti i generi poi trova comune l' essere stesso. L' essere  dunque  nella natura è comunissimo, se non che è più ristretto
a parteciparne limitatamente qual più qual meno. C' è  dunque  l' Essere primo singolare, ma preso questo per obietto
in quant' è separata è Intelligenza o Mente. Se  dunque  si considera l' essere come attualissimo in se stesso, egli
è universale perchè ne' molti inesistente (2). Trovando  dunque  la mente l' Essere assoluto, questo in quant' è
e come singolare e primo, e come comunissimo. Osserva  dunque  Aristotele che la parola ente ha un primo significato, dal
primo significato, come a un solo principio (3). L' essere  dunque  si considera da Aristotele come una sola natura,
Aristotele come una sola natura, [...OMISSIS...] . Qual è  dunque  il primo e proprio significato di ente? Quello di essenza
altre categorie sono posteriori ad essa (4). Di questa  dunque  dee propriamente trattare quella scienza che ha per oggetto
ogni altra entità, ma ad essa riferendola (5). Se l' essere  dunque  in questo senso primo e proprio, cioè l' essenza
prima ha lo stesso oggetto della dialettica (1). Come  dunque  sembra negare che l' essere sia universale? (2). Conviene
un modo anteriore e posteriore (4), è il genere: il genere  dunque  non c' è propriamente fuori delle specie. Or come l' essere
sostanza, e in un modo posteriore degli accidenti, non è  dunque  un genere comune a quella e a questi. Ma non si predicherà
un genere comune a quella e a questi. Ma non si predicherà  dunque  in comune di tutte le sostanze, o anche di queste si
universali sono i principŒ de' più universali (3). Quali  dunque  sono i principŒ degli enti, universali o singolari? (4).
nella natura, esistono anche separate nella mente. Le forme  dunque  si possono considerare sotto due rispetti: 1 in se stesse,
al maschio che feconda più femine (3). Stabilisce  dunque  Aristotele l' unità dell' essenza sostanziale , giacchè
per lei e però non è un subietto indipendente da lei: ella  dunque  è antecedente al subietto materia, e in quant' è
è a dir della mente che è la potenza, [...OMISSIS...] . Se  dunque  considera l' essere come contenente, Aristotele parla d' un
nell' Essere supremo. [...OMISSIS...] . Fa dipendere  dunque  l' esistenza dell' universale dall' esistenza del primo
dell' universale dall' esistenza del primo ente. Non basta  dunque  per Aristotele, acciocchè ci sia l' universale, che colla
se non sono contenute nell' essere. Questo deve esister  dunque  come causa suprema separata dalla natura, e come cosa
e del Bene (7), e perciò si chiama teologia. Per trovare  dunque  il fondo della dottrina aristotelica, conviene investigare
l' oggetto di questa filosofia è l' essere come essere.  Dunque  l' essere come essere è quell' essenza immobile e perfetta
cose naturali sono essere, [...OMISSIS...] . La filosofia  dunque  tratta d' un' essenza che contiene le specie, come il
in quanto sono essere. [...OMISSIS...] La filosofia prima  dunque  è scienza universale, perchè tratta dell' essere non solo
l' essenza sostanziale immobile, [...OMISSIS...] (5). Se  dunque  tutto ciò è l' universale anzi l' universalissimo; convien
che s' intendesse pienamente la sentenza aristotelica. E`  dunque  da osservare attentamente, che Aristotele prende qui l'
comunissimi, l' ente e l' uno, [...OMISSIS...] . Non nega  dunque  che l' essenza, oltre che inesistere nell' ente (composto
da sè, e questa, come dicevamo, è la stessa mente. Accorda  dunque  a Platone che la specie esista eternamente in atto, ma solo
non c' è il comune, secondo Aristotele (3). Conchiude  dunque  « « esser cosa evidente che niuno degli universali esiste
dice immediatamente in appresso: [...OMISSIS...] . Ammette  dunque  che la specie abbia un' esistenza separata, come un'
in molti, quando solamente si trova in ciascuno. Che cosa  dunque  sostituisce per ispiegare la partecipazione della specie a
in ciascuna materia che la riceve; che la specie non ha  dunque  un' esistenza comune , e che questo comune non è che una
vuole che si faccia un discorso a parte (1). Queste essenze  dunque  separate dalla natura sono quelle che dice lontanissime da'
materiale non c' è una ragione comune (3). La prima causa  dunque  non è propriamente l' essere comune ; ma questo deriva
dice Aristotele, è anche universale, [...OMISSIS...] . Fa  dunque  dipendere l' universale dal primo , e dice che questo è l'
universale accomunato a tutte le categorie. Quando  dunque  Aristotele combatte que' filosofi, che usano dell' ente e
l' altre cose, e per cui si dicono » » (5). Poichè  dunque  la prima scienza è dell' ente come ente, deve trattare del
cioè dell' ente, e di tutte le sue passioni (2). Dopo aver  dunque  detto che la prima filosofia tratta della prima essenza
da cui viene la dimostrazione (6). Questi universalissimi  dunque  non possono essere altramente in più modi o diversamente da
in più modi o diversamente da quel che sono (7): non hanno  dunque  in sè stessi potenza alcuna. Quando dunque in altri luoghi
(7): non hanno dunque in sè stessi potenza alcuna. Quando  dunque  in altri luoghi dice che l' universale è sempre potenza, l'
sono essi singolari o universali? [...OMISSIS...] Ci ha  dunque  da amendue i lati difficoltà: ci ha difficoltà ugualmente a
tratta di tutte le cose, [...OMISSIS...] . Il Primo  dunque  cioè l' essere attualissimo in sè, è anche comunissimo
scienza ha per suo oggetto un genere. La filosofia prima  dunque  ha per oggetto l' ente come ente, sia questo considerato in
ente, sia questo considerato in atto o in potenza. Tratta  dunque  di Dio e dell' essere comunissimo: e riducendosi all'
Teofrasto alla proposta questione: [...OMISSIS...] Ammessa  dunque  l' esistenza eterna de' primi intelligibili e la loro
ovvero questo fine , quello a noi principio . Vuole  dunque  che per noi sia principio il sensibile, ma quello che è
assolutamente e che è anche fine sia l' intelligibile. Pare  dunque  che queste due cose le divida assolutamente tra loro,
ai principŒ assoluti se non per mezzo della causa . Non è  dunque  da' soli sensi che noi caviamo la cognizione, ma dee
intelligibile primo abitualmente esistente nell' anima. E`  dunque  notabile questo luogo di Teofrasto: [...OMISSIS...] .
che ci impiegheremo non riuscirà certamente perduto. Si dà  dunque  vera distinzione tra l' essere ideale e l' essere reale? La
innanzi al suo pensiero, come il pazzo d' Orazio. Il dire  dunque  che ciò che è meramente ideale non differisce da ciò che è
poi risplendendo d' un lume il doppio più vivo. Sapete voi  dunque  perchè v' ebbero e v' hanno de' Filosofi, i quali non
ingenuamente quel sapientissimo: « io non lo so ». Che cosa  dunque  fa egli? A dirvelo in termini proprj, s' irrita; non s'
non ha la menoma colpa al mondo della sua confusione. Colui  dunque  che filosofando è pervenuto a tal termine, ragiona seco
questo ideale e questo reale , io non me li so definire;  dunque  collocheremo questa distinzione tra i pregiudizj volgari;
dovessimo anche confessare la nostra ignoranza. Noi diremo  dunque  così: al primo sguardo del pensiero si manifesta
se questo secondo fosse della stessa natura del primo.  Dunque  riceveremo questa distinzione prima di tutto come un'
fortunati di me, che verranno dopo di me ». L' avvilirsi è  dunque  peccato, come vi diceva, contro la moralità filosofica; il
« « l' uomo non conosce tutto di niente » ». Non saremo noi  dunque  di questi presuntuosi, no; non conosceremo tutto, lo
concetto ideale dar vita a' suoi marmi immortali. Qual fu  dunque  l' opera che prestò la mente ai grandi artisti, e quale fu
pure non prendano a prestito le mani degli altri uomini. Se  dunque  a formar gli artisti concorre sì l' ideale che il reale e
quale delle due cose fosse la più eccellente. Vediamo  dunque  che è più eccellente e più nobile nelle opere di Raffaello
reale, come la mente ha per oggetto suo l' ideale. Il reale  dunque  nelle opere delle arti belle non è che il segno sensibile,
come maravigliose da tutto il genere umano. Questo rapporto  dunque  tra l' ideale e il reale, che nei lavori delle arti belle
artista, e che perciò non si giunge mai al solo ideale; che  dunque  non esiste l' ideale senza il reale. Ma chi ha mai detto
meschini ragionatori, se da questo volessimo indurre, che  dunque  l' essere reale è ideale, e così cadessimo nell' idealismo.
congiunto il reale e l' ideale se ne potesse indurre che  dunque  ogni cosa è reale, sarebbe buona egualmente per farne
cioè per indurne che ogni cosa è ideale. Si conceda  dunque  che l' ideale sia nel seno del reale; ma se ne mantenga la
quando ancora non esistevano in realtà? Confondere  dunque  l' ideale col reale è toglier via il mezzo con cui si sono
per consenso dei nostri avversarj, che voglion tutto reale;  dunque  essa non è l' uomo possibile. Quando l' artista forma nella
di fuori, è già eseguita, è già sussistente: ma l' idea sì:  dunque  la mente non è l' idea, e l' idea non è la mente. E chi non
prima, quella originale idea del battello a vapore. L' idea  dunque  d' una cosa ha questa speciale sua qualità di poter essere
a esser riprodotto, non è atto a moltiplicarsi. Si osservi  dunque  il processo pel quale noi abbiamo potuto formare un secondo
d' esser causa esemplare d' infiniti individui reali. Se  dunque  ogni reale è particolare, ogni ideale è universale, egli è
. Voi vedete, miei signori, che coll' idea non si può  dunque  confondere nè la mente reale in cui ella si trova, nè alcun
affatto dalla corporeità e dallo spazio. L' estensione  dunque  e la materialità conviene ottimamente ad alcuni enti reali;
e riconoscere che ella è meno perfetta della seconda.  Dunque  le idee sono immutabili . Ecco un nuovo carattare
, osservate bene qual conseguenza ne viene: eccola: esse  dunque  sono eterne . E veramente prendete qualsivoglia idea,
secolo, quanto avanti una ventina o un centinajo di secoli.  Dunque  il tempo, relativamente all' essere ideale è nulla; esso
si sta lì uguale a se stesso, immutabile ed impassibile.  Dunque  l' essere ideale è di natura sua eterno , e non può
egli non sussiste, ancora è possibile. La possibilità  dunque  del reale è così necessaria, che se tale non fosse, il
sarebbe possibile; ma il reale è possibile, come dicevamo,  dunque  la possibilità è necessaria. Ma il reale possibile non è
è necessaria. Ma il reale possibile non è che l' idea;  dunque  l' idea è necessaria. Ricapitoliamo, miei signori, e
mentre il reale può esser contingente. Che direm  dunque  di que' Filosofi, che non sapendo concepir l' ideale, lo
negare il reale che l' ideale fulgente di tanti pregi? Ha  dunque  ragione il senso comune che proclama altamente queste due
i nostri Filosofi. L' ideale contradice al loro sistema;  dunque  le idee non esistono, o sono anch' esse realità. Così si
non sussiston forse senza la nostra cognizione di essi?  Dunque  la sussistenza ossia la realità delle cose che si conoscono
che la cognizione di esso è un' entità da esso distinta.  Dunque  il reale, secondo la sua propria essenza, esiste senza
affatto anche quando noi ne ignorassimo l' esistenza?  Dunque  di nuovo la cognizione è cosa estranea alla natura del
Ma se la cognizione è cosa estranea alla natura del reale,  dunque  che cosa è il reale, qual è il suo carattere? Quello dell'
conoscere l' idea del cavallo se non la conoscete avanti.  Dunque  ogni idea mostra se stessa senza bisogno d' altro: ella è
ogni idea mostra se stessa senza bisogno d' altro: ella è  dunque  essenzialmente un lume , ella è essenzialmente concepibile.
che poscia il grand' uomo modellò e scolpì? No per certo;  dunque  quell' idea non ebbe bisogno della sua corrispondente
cose che vide il Canòva, e averne riportate le stesse idee.  Dunque  il Canòva non raccozzò le parti ad arbitrio, ma secondo
gentile, [...OMISSIS...] come disse l' Ariosto. Che cosa è  dunque  questa legge, che insegna a modellar bene una mano,
non la produce, egli non fa altro che contemplarla. Qual' è  dunque  la differenza tra lui e gli altri uomini, che non
la mano si possa dir piccola, quando grande. Ciascuna  dunque  di queste idee sono tipi astratti, che guidano la mente
che, come dicevo, da niuno de' reali viene somministrato.  Dunque  la differenza tra la mente dell' artista e quella di un
cognizione: se il reale c' è anche quando non si conosce,  dunque  la cognizione di lui è fuori della sua essenza. Se l'
del reale non ha la cognizione, neppure ha l' idea. - Come  dunque  accade che quando da' reali riceviamo le impressioni
certamente, perchè nemo dat quod non habet: l' attribuiremo  dunque  a noi stessi? Certo che l' idea della cosa s' acquista
quelli che abbiamo trascorsi nella precedente lezione. Se  dunque  le idee non si producono, nè si posson produrre dalla mente
piuttosto un' idea che un' altra. E se la cosa è così,  dunque  niente ripugna che si concepisca la possibilità d' una
tutto, in ogni tempo, anche quando l' arancio è distrutto.  Dunque  quest' idea non trovasi nel reale, nè dal reale può esser
un oggetto medesimo, sarebbero due essenze diverse. Sia pur  dunque  la sede dell' idea una mente reale, non ne verrà mai che la
che le idee di se stessi, che l' idea della propria mente.  Dunque  la mente, come essere reale, è anch' essa oscura a se
di luce sua propria e, per così dire, l' opacità. Qui  dunque  si conviene spingere le ricerche nostre più innanzi: ma
forma la cognizione di esso nel nostro spirito. Come avvien  dunque  che noi conosciamo l' essere reale? Egli è chiaro, che non
sua essenza, e quello all' opposto per il lume di questo.  Dunque  possiamo già sulle prime cavare a buon conto una utile
suppone la prima, suppone cioè la cognizione dell' idea.  Dunque  il primo, cioè l' essere ideale, si dee conoscere con un
il reale stesso ci si presenterebbe come l' ente ideale. Se  dunque  l' intuizione dell' ideale ha per sua propria natura che
sarà dell' atto con cui lo spirito giunge al reale.  Dunque  il reale sarà lo stesso sentimento del soggetto che
e tutto ciò che può cadere in questo sentimento. Conviene  dunque  che noi investighiamo che cosa sia quello che si comprende
che si comprende in esso sarà reale. Che cosa si comprende  dunque  nel nostro proprio sentimento? Se noi consideriamo il
noi pensiamo a noi stessi, e di noi stessi parliamo;  dunque  il noi deve esser sentito, deve esser un sentimento. Ma
l' oscurità è il carattere proprio d' ogni reale. Convien  dunque  per conoscerlo chiamare in ajuto l' idea. Ma in qual modo
qualcuna che nell' ideale non possiamo vedere. Si prenda  dunque  un oggetto reale qualunque; sia un uomo. Nell' uomo reale
tutte queste cose nella loro idea? Non solo la sostanza  dunque  dell' uomo io posso contemplar nell' idea che gli risponde,
trovarne un solo che non sia idealmente concepibile. Tutto  dunque  ciò che è nell' uomo reale è anche nell' uomo ideale che vi
si riscontrano egualmente nell' idea e nella realtà, son  dunque  tutte queste cose doppie, son elleno ripetute in natura,
idea e l' essenza che si vede cogli occhi nella realtà.  Dunque  secondo la testimonianza del senso comune è identico l'
le due cognizioni non si distinguerebbero. Che cosa è  dunque  questo elemento che distingue le due cognizioni? E` ella
ciò che non è reale vi ha il reale, patente contradizione.  Dunque  la realità come tale è fuori dell' idea. Ma pure potrebbesi
altro che dell' idea di esso che possiede nella sua mente.  Dunque  il reale si conosce per l' ideale, benchè nell' ideale non
conoscibile per se stesso. Ma che differenza vi ha  dunque  tra il reale di cui si conosce l' essenza nell' idea, e il
fuori dell' idea è il medesimo reale in atto. L' oggetto  dunque  è il medesimo ma è diverso il modo col quale egli è. Ciò
nulla affatto aggiunge alle sue idee. Presupposte  dunque  nella mente dell' idee, nelle quali e per le quali lo
cosa di più, che conoscendolo solo nell' idea. Che cosa è  dunque  questo più di cui si arricchisce il nostro sapere? Non è
questa essenza era nota avanti, contenendosi nell' idea. E`  dunque  quel nuovo atto, che essenzialmente si distingue dalla
è perfetto a tale che nulla vi si può aggiungere. Rimane  dunque  quest' atto relegato, per così dire, nel sentimento, senza
mente, no, come risulta da quanto abbiam detto; non può  dunque  essere scopo dell' intuizione . Converrà dunque che la sua
non può dunque essere scopo dell' intuizione . Converrà  dunque  che la sua cognizione si acquisti per tutt' altro modo; vi
sua cognizione si acquisti per tutt' altro modo; vi dovrà  dunque  essere un altro atto tutto di diversa natura, pel quale lo
morbus, e non l' avesse sentito mai nominare. Affermare  dunque  che un oggetto sussiste, è quanto dire a se medesimo, che
della cognizione oggettiva, come noi abbiamo osservato;  dunque  affermare che un oggetto sussista è affermare che v' ha
le mie modificazioni e tutto ciò che cade nel sentimento;  dunque  io posso affermare, che fuori dell' ideale c' è qualche
da poter, anzi da dover esser fuori dell' idea. Che cosa  dunque  mi fa bisogno, affinchè io possa affermare che io sussisto
è fuori dell' idea, perchè l' idea stessa lo dice. L' unità  dunque  e l' identità mia propria, per la quale d' una parte io
cioè a dire, lo affermi . Questa maniera di cognizione  dunque  che acquisto del reale, è necessariamente una cognizione
non si potrebbe affermare l' incognito: la percezione  dunque  ha in sè una dualità, cioè a dire è un' operazione per la
sussistente, è un unico e medesimo oggetto del pensiero;  dunque  la percezione è semplice. L' unità dello spirito unisce le
non crea; nè certo li potrebbe vedere se essi non fossero.  Dunque  ciò che volgarmente si dice la formazione delle idee , non
colà, questo punto dove dovea riguardare? L' immagine.  Dunque  se gli esseri reali, i sentimenti, sono quelle cagioni onde
idea che l' intendimento vede con questo sguardo, dove sono  dunque  queste idee? Stanno esse sempre quasi appese innanzi allo
non se la procaccierà, perchè gliene manca il senso. Che è  dunque  a dirsi? Noi non possiamo rispondere, se non meditiamo più
a condizione di aver prima sentito questi reali. Che cosa è  dunque  l' idea corrispondente a un reale sensibile? P. e. l' idea
un modo diverso , in un modo ideale, nella sua possibilità.  Dunque  l' idea dell' albero, del bruto, dell' uomo non è altro che
l' albero, il bruto, l' uomo che mi ferisce i sensi esiste;  dunque  è possibile: se l' albero, il bruto, l' uomo è possibile,
è possibile: se l' albero, il bruto, l' uomo è possibile,  dunque  si possono avere indefiniti alberi e bruti e uomini. Questo
nel suo sentimento e a cui poscia dà il nome di albero.  Dunque  è mestieri prima di tutto che ella sappia che cosa sia
Se può essere predicata di innumerevoli particolari,  dunque  anche di ciascuno; ed è in questo senso che si può dire che
lega ad un particolare, senza mai confondersi con esso. Ma  dunque  si predica ella un' idea dell' albero da noi sentito? In
è il sentimento nè più nè meno o ciò che è nel sentimento;  dunque  l' esistenza affermata non è più che l' esistenza del
del sentimento, non si stende oltre questo; riceve  dunque  da questo i suoi limiti, la sua determinazione. Ma se l'
dannosi alle nostre successive investigazioni. Qual' è  dunque  la differenza fra l' idea determinata dell' ente reale, e
dall' altra specificamente siccome i numeri? Sarà  dunque  intrinseca? Caderà nell' essenza medesima? Neppur questo è
predicare di uno stesso reale due essenze diverse. Qual' è  dunque  la relazione dell' idea determinata all' idea
al reale, quasi traendo un valor minore da un maggiore,  dunque  1) ad affermare i reali non è mestieri che se n' abbiano
quando l' oro fosse misto di rame e di altra sostanza.  Dunque  se prendiamo la cosa materialmente, per quanto oro abbiamo,
intuirle e non intuirle, e le idee restano le stesse. Se  dunque  lo spirito limita il suo sguardo che volge al mondo ideale,
e come tale operi in tutto il resto del corpo. Tale  dunque  è la natura degli enti spirituali ed ideali, che quantunque
si applica, come avremo occasione di vedere. Ne' principj  dunque  sono contenute implicitamente infinite conseguenze prima
la conseguenza, questa si dice essersi resa esplicita .  Dunque  negli esseri ideali possono vedersi dalla mente moltissime
essere ideale in cui si ravvisano. Niuna maraviglia  dunque  che contemplando il nostro spirito l' essenza dell' essere
l' idea speciale bella e trovata - . Ella non differisce  dunque  nella sua essenza dall' idea dell' essere universale; è
col positivo, di cui è anzi l' opposto. S' identifica  dunque  in quanto è idea; e questo non ha difficoltà di sorte per
si trasfonde in ciascuna conseguenza senza mai esaurirsi: è  dunque  una identificazione parziale. Avvertite che il nostro
l' abbiamo pienamente stabilita; non abbiamo spesa  dunque  indarno la fatica nelle nostre ricerche. Ma una questione
conoscenza ci rimane? Se rimane dopo l' affermazione,  dunque  tale conoscenza non è legata indivisibilmente a quest' atto
a quest' atto momentaneo dello spirito. Che cosa è  dunque  la cognizione del reale che resta in noi dopo l'
difficoltà, che non vederle, o non sentirne la forza. Noi  dunque  non ricuseremo d' entrare per dir così nel gineprajo della
di cavarci felicemente dallo stesso imbarazzo. Che cosa è  dunque  la conoscenza del reale, che rimane in noi dopo l'
ancora alla città visitata e alle cose in essa vedute? Come  dunque  si spiega questo fatto? Il filosofo superficiale, a dir
realtà, hanno torto marcio e il senso comune ha ragione.  Dunque  non bastano certo le idee affinchè noi pensiamo ai reali
senso, nella nostra immaginazione il reale percepito. Sia  dunque  che noi ne abbiamo memoria, che li conserviamo in qualche
e ragionare sul reale stesso - Questa mia credenza è  dunque  un' illusione che m' inganna - Non è un' illusione pel
di cui pure la città di Firenze si compone? O che parlate  dunque  narrando le cose vedute della pietra, del ferro, del
o che va a terminare alla vera e reale Firenze; scegliete  dunque  come vi piace - Come capite male le cose! Sicuro, che
ha presente non sia la persona reale - Bene sta: noi siamo  dunque  d' accordo sul fatto che finalmente il pensiero ed il
il ritratto o l' immagine di quell' oggetto. Applichiamo  dunque  lo stesso discorso alle immagini fantastiche. Come possiamo
sensioni rappresentative della Firenze reale. Acciocchè  dunque  le immagini ci possano prestare il servigio di far sì che
spiegazione; è il sofisma della forma: idem per idem . Come  dunque  ci trarremo noi dall' imbarazzo? V' ho da dire, o signori,
delle immagini alla percezione stessa. Facciam conto  dunque  d' essere in questo istante a Firenze, di vedere cogli
piazze, del fiume e di tutto ciò che colà esiste. Convien  dunque  ascendere a vedere in che modo noi percepiamo le realità
afferma la forza reale che ci modifica. Convien  dunque  che restringiamo tutta la nostra meditazione a intendere
s' intuisce la possibilità del suo sussistere; non rimane  dunque  altro, se non che lo spirito sia mosso da un impulso
è vera l' affermativa e non la negativa. L' affermazione  dunque  è un assenso dell' animo, è un assenso per cui l' animo
si rende affermante, mentre prima non era. Che cosa è  dunque  la cognizione del reale? Niente altro, se non un nuovo
che non ci era affermata, ci era solo possibile. Dove sta  dunque  la difficoltà? La difficoltà può stare in uno di questi due
sia o non sia, cioè sussista o possa solamente sussistere.  Dunque  rimane a spiegarsi, onde lo spirito nostro s' induca a
gli altri stati e abiti dell' animo nostro. La cognizione  dunque  dell' esistenza del reale, che non è più presente ai nostri
hanno le immagini in noi superstiti. In qual parte  dunque  la cognizione dei reali che ci rimane dopo la percezione,
per rammemorare che fosse, senza venirne tuttavia a capo.  Dunque  la cognizione del reale non è interamente perita;
ho percepito, cioè lo stato di persuasione dell' animo mio.  Dunque  la cognizione dell' ente reale può durare in me senza
se sussista veramente, oppure se io veda un puro fantasma.  Dunque  la cognizione del reale non sono le immagini che abbiano
l' ente sussista, ne abbia io l' immagine o no. Ma qual' è  dunque  l' ufficio delle immagini? Quello de' sentimenti in
proprio, quell' effetto a cui è ordinata da natura. Quale è  dunque  l' uso della immagine proprio e naturale? Si è quello di
sussista? No, non lo so, se prescindo dall' affermazione.  Dunque  le immagini degli enti che in me rimangono, valgono bensì a
mi fanno conoscere ancora il reale essere sussistente. Ma  dunque  non influiscono elle niente affatto sulla mia cognizione
proposizione « non conosce altro di positivo ». E` mestieri  dunque  cercare che cosa voglia dire « il positivo della cognizione
è di vedere come sono le cose nella natura. Concentriamo  dunque  il discorso. La cosa che noi intendiamo di rilevare è il
distinguiamo col nome di cognizione positiva: la questione  dunque  si riduce a verificare questo fatto: « se tra le specie
tale, noi dicevamo, conviene applicarvi il pensiero. Se  dunque  noi pensiamo le modificazioni del nostro proprio
la semplicissima ragione che la cosa è appunto così. Può  dunque  entrare e per molto o per poco tempo inesistere un
stare in un' altra sostanza: egli è questo il fatto. Si dà  dunque  l' azione sostanziale tra le cose; poichè l' agente è
sostanziale tra le cose; poichè l' agente è sostanza. Se  dunque  nel nostro sentimento cade una sostanza straniera, il
più evidenti su cui non c' è costume di riflettere. Si dà  dunque  la percezione del mondo esteriore. Questa noi chiameremo
determinata siccome quella del soggetto. Intuizione  dunque  dell' essere, percezione del soggettivo e percezione dell'
esse non precederebbero del tutto la riflessione. Convien  dunque  arrivare a quelle cognizioni prime che non si sono
indicata, e nessuno la indicherà mai. La riflessione umana  dunque  ha una materia limitata, fuori della quale non può andare
», e ritorna più volte su questa sentenza (2). Anche egli  dunque  riconosce che il dominio della riflessione è limitato ad
anteriore ad essa, cioè ai dati della esperienza. Se  dunque  la riflessione non dà a se stessa la materia delle sue
determinazioni, l' altra appieno determinata: si supponga  dunque  che alla riflessione non sia dato per materia altro che l'
qual ente potrebb' ella conoscere? Niuno in particolare. E`  dunque  necessario, che la riflessione prenda le prime
che riguarda le prime determinazioni degli enti ». Non è  dunque  chiaro, che la cognizione positiva non si può cercare
è che il nostro sentimento, o ciò che cade nel sentimento.  Dunque  tutto ciò che noi sappiamo di positivo si riduce finalmente
condizione d' elementi percepiti. La cognizione positiva  dunque  è quella che si contiene ultimamente nella percezione, e
s' acquista nel modo che abbiamo già dichiarato. Togliamo  dunque  via dalla percezione l' atto dell' affermare. Ciò che ci
è un mistero, che ne involge molti altri: non si può  dunque  dire che sia dall' uomo conosciuto. Che diremo noi a
o rosso, o giallo, o un altro colore qualsiasi. Quelli  dunque  che ci dicono, che noi non conosciamo il sentimento, perchè
altrui, e anche di fissarle alla nostra propria attenzione.  Dunque  il linguaggio è il testimonio irrefragabile delle nostre
col linguaggio? Certamente quelle che noi abbiamo. Che cosa  dunque  significano i vocaboli? Quali cose esprimono? Forse gli
a noi pienamente incogniti? Sarebbe assurdo il dirlo.  Dunque  esprimono « gli enti quali da noi si conoscono ». Da questa
sensazione, non sono sostanze, ma meri accidenti. Convien  dunque  ritornare alla distinzione che facevano gli scolastici in
l' origine della parola essenza viene da essere; e vuol  dunque  dire l' essere, l' entità della cosa, ciò che fa che la
è l' idea: nell' idea la cosa è conosciuta. Non andremo  dunque  lungi dal vero, se noi diffiniremo l' essenza in un modo
sono conosciute per la stessa loro definizione. Invece  dunque  di dire, che l' essenze non si riconoscono, doveasi anzi
via l' essenza dell' animale non resta più l' animale;  dunque  non esprimerei più nè l' uno nè l' altro, come nulla vuole
animale, e non conoscendola non la può esprimere. Quanti  dunque  sono i nomi comuni nell' umano linguaggio, altrettante
esprimere ciò che del tutto e in nessun modo conosce.  Dunque  il negare la cognizione delle essenze è lo stesso che
idea. Ma le idee parte sono positive, e parte negative.  Dunque  tali sono anche l' essenze. Qualora si tratti d' essenza di
si parla da noi, se non dell' essenza conosciuta: si vuol  dunque  dire, che è negativa in tal caso la cognizione nostra.
è negativa in tal caso la cognizione nostra. Quali saranno  dunque  quell' essenze che noi chiamiamo negative? Voi stessi ora
niente di ciò che abbiamo sperimentato nel sentimento. Sono  dunque  negative primieramente le essenze dell' entità prettamente
e vi fanno sopra dei calcoli meravigliosi (1). Che cosa è  dunque  il nulla? E` l' esclusione del qualche cosa: è una
essente, allora si dice nulla. Se il nulla si diffinisce;  dunque  ha la sua essenza: se il nulla è il termine di una
è il termine di una relazione, e perciò ha certe proprietà;  dunque  ha la sua essenza: ma non l' ha già fuori della mente,
di cui ci formiamo un' idea, che esprimiamo in parole: ha  dunque  un' essenza mentale negativa, esprimendo quel momento dell'
determinato, ma l' essere in genere e indeterminato. Ho  dunque  bisogno d' una relazione che me lo determini: una
sentimento, e la relazione è quella di causa. Le relazioni  dunque  con ciò che io conosco positivamente, mi fanno conoscere
conoscere degli esseri che io non conosco positivamente: ho  dunque  di essi una cognizione negativa. Le relazioni dunque di
ho dunque di essi una cognizione negativa. Le relazioni  dunque  di esseri che non influiscono nel mio sentimento, colle
elemento somministratomi dal sentimento. Le idee generiche  dunque  sono fonti di cognizione in parte negativa; ma meno però
mio proprio sentimento. Nell' idea astratta di specie giace  dunque  più di cognizione positiva che non nel genere, e tuttavia
sistemi arbitrarj, accorcianti l' umano sapere: ritengono  dunque  la parola sentimento, come dicevo; ma poscia ve lo
della Filosofia, e in ispecie dell' Ideologia, vuol  dunque  che si osservi tutto intero il fatto della cognizione, e
che le nostre cognizioni positive sono limitate. Conviene  dunque  ora, che ci spieghiamo maggiormente su questa limitazione
infinito, dall' altra ci apparisce assai finito. Dove  dunque  sta il vero? A quale ci atterremo noi di queste due
del senso comune, che è costretta a ricusarne qualcuna. Noi  dunque  ammettiamo, che l' umano sapere non abbia confini; ed
noi come esseri reali siamo limitati, limitatissimi. V' ha  dunque  in noi un fonte di cognizione infinita e questa è l' idea,
la natura de' principj da cui derivano: lo scibile umano  dunque  è un miscuglio d' infinito e di finito, ed egli deve
a dirigerlo nel suo operare nè gli fa bisogno di più: qui  dunque  s' acquieta, non fa ulteriori confronti e ricerche. Ma l'
e delle forze nostre proprie che agiscono simultaneamente.  Dunque  il sentimento che abbiamo de' corpi non ha nulla in sè di
la forma del suo intelletto è l' essere assoluto. Egli  dunque  inclina e tende per sua natura a volere avere delle cose
non può egli servir di norma all' operare dell' uomo?  Dunque  è conoscere; chè ciò che non si conosce non può servir di
non può esser altro, perchè è tale per sua essenza. Sebbene  dunque  questo elemento ideale e oggettivo sia il fondamento e la
che dee per essa divenire virtuoso e felice. Che cosa vuol  dunque  dire perfezione relativa? Nient' altro, miei signori, se
cose nelle quali ha qualche parte il soggetto? Siete voi  dunque  d' avviso, o sapienti oppositori, che intorno al soggetto e
apparenza. Ora essendo questo manifestamente assurdo;  dunque  si può dare una cognizione che sia nel medesimo tempo e
si dice giustamente essersi oggettivate. - Dove sta  dunque  l' equivoco preso dai nostri oppositori? Nell' aver confuso
ella è sempre una divisione inesatta. L' unica distinzione  dunque  che si può fare si è tra la cognizione soggettiva cioè
non è che soggettiva, ossia relativa al soggetto. Se v' ha  dunque  taluno, che giudichi e pronunci qualche cosa intorno ai
modo; erra perchè giudica d' ignorare mentre sa. Come  dunque  evitare queste due opposte maniere d' errare? Noi l'
allora la cognizione dicesi relativa e soggettiva. Quale è  dunque  la distinzione tra questa cognizione e l' assoluta? Se la
non è oggetto per se stesso, poichè egli è anzi soggetto.  Dunque  se non si dà cognizione senza oggetto, forza è che la mente
chiariscono la cosa abbastanza per chi ci medita. Veniamo  dunque  all' altra maniera di cognizione, cioè alla cognizione
se l' oggetto della cognizione assoluta è già un oggetto;  dunque  egli non ha più bisogno di essere oggettivato; dunque è
dunque egli non ha più bisogno di essere oggettivato;  dunque  è atto ad essere conosciuto per se stesso, senza bisogno di
bisogno di farci sopra alcun' altra operazione intermedia;  dunque  egli è conoscibile immediatamente per se stesso. Ecco che
che agisce nella realità nostra. Se la cosa è così, che  dunque  concluderemo? Che la realità a noi conosciuta non è per se
d' esser prima oggettivata per esser da noi conosciuta: che  dunque  dee precedere nel nostro spirito ciò che è oggetto per se
si scorge ancora nelle prime riflessioni. Qual meraviglia  dunque  che al pensiero dei primi investigatori della natura ogni
la quale era pure stata trovata in suo servigio. Che  dunque  diremo, miei signori, osservando così di passaggio quella
Gioberti) sono, per dirlo di nuovo, contradizione. Veniamo  dunque  a noi: veniamo agli argomenti che escono dai visceri della
è negativa, è potenzialmente priva d' ogni confine. Ecco  dunque  che noi con questa importantissima distinzione del reale e
e sotto lo stesso aspetto del subietto medesimo.  Dunque  se l' ideale e il reale da noi percettibile hanno proprietà
darne una definizione che ne esprima l' uso. Diremo  dunque  che l' essere ideale è il mezzo del conoscere . Questa
con un zelo affettato contro di questo errore. Mettiamo  dunque  in confronto i due sistemi, e vediamo se l' uno o l' altro
del possibile che s' intuisce. L' essere ideale  dunque  è per noi la condizione necessaria dell' affermare le
esemplato relativamente al possibile che è l' esemplare.  Dunque  nel sistema nostro non si predica del reale finito che cade
di lei? senza saper che sussiste? certo che no. Niente  dunque  si sa d' una cosa reale, se ignorasene la sussistenza. L'
avversarj è nel primo intuito, il cui oggetto è Dio stesso;  dunque  l' essere reale di tutte le cose è Dio; dunque affermando
Dio stesso; dunque l' essere reale di tutte le cose è Dio;  dunque  affermando le cose, affermiamo Dio; dunque le cose tutte
le cose è Dio; dunque affermando le cose, affermiamo Dio;  dunque  le cose tutte che conosciamo altro non sono finalmente che
premessa all' opera « del Buono » [...OMISSIS...] . Se  dunque  questa frase si può prendere anche in senso eterodosso e
se non avanzando sì gravi errori di fatto. Proseguiamo  dunque  a sentire il ragionamento, col quale il Gioberti pretende
ispiegare come si conosca la realità individuale. Che cosa  dunque  ci rivela l' intuito? nient' altro ci può rivelare se non
a farvi in altro luogo delle speciali osservazioni.  Dunque  se l' oggetto dell' intuito è indivisibile, e contiene
quale colla riflessione si astrae poscia la possibilità. Se  dunque  l' idea contiene tutto, la realità come anche la
materia del sapere, distinta dall' idea stessa? O si dee  dunque  distinguere l' idea che contiene la possibilità dell' ente
sieno oggetto dell' intuito, il panteismo è irreparabile.  Dunque  il Gioberti stesso si fa la sentenza, e noi siamo costretti
vogliamo attenerci alla sua propria confessione. Tornando  dunque  alla definizione dell' oggetto del sapere, no, l' empietà
forze finite, dove l' Idea, cioè Dio, riluce? Converrebbe  dunque  supporre che noi vedessimo e conoscessimo Dio vedendo e
sarebbe l' oggetto susseguente e il contenuto. La materia  dunque  delle forze finite si conoscerebbe per sè stessa, e Iddio,
è l' oggetto immediato ed universale del sapere. Se  dunque  la materia creata e Dio sono una cosa sola, e tale che non
questa realità non sarebbe stata conoscibile. Conchiudiamo  dunque  questa lezione. Panteisti son quelli che, « quando dicono
si dichiara separabile nell' ordine delle cose contingenti.  Dunque  almeno in quest' ordine può essere la idealità senza la
la realtà, e però non è assurda questa separazione. Si dee  dunque  conchiudere che almeno in quest' ordine l' ideale, benchè
E se questo ideale anche separato dal reale è qualche cosa,  dunque  non è mica più assurdo, che Iddio nella formazione dell'
esso gode i caratteri della necessità, dell' eternità ecc.:  dunque  non appartiene all' ordine contingente, ma all' ordine
contingente e del necessario si fa una cosa sola. Il dire  dunque  che l' ideale nell' ordine contingente di cose è separabile
di conciliarsi seco stesso con più onestà. Egli immagina  dunque  due enti possibili invece d' un solo, perocchè egli dice:
invece d' un solo, perocchè egli dice: [...OMISSIS...] .  Dunque  quando l' uomo pensa un ente possibile, per esempio « un
ve lo trova, ovvero sia lo produce in separandolo. Se  dunque  si dà distinzione tra l' ordine assoluto e l' ordine
altro oggetto contingente qualsivoglia, p. e. dal sole. Se  dunque  il topo ed il sole sono due oggetti distinti del conoscere
Se si conosce senza l' idea, l' ordine contingente è  dunque  fuori dell' idea, è conoscibile per sè stesso; e quindi non
contiene già la realità, perocchè altrimenti sarebbe nulla.  Dunque  l' ordine contingente, secondo lui, si compone d' idealità
che è insieme realità, e d' una realità che non è idealità.  Dunque  si compone di una idealità e di due realità. Ma nell'
cose infinitamente distanti l' una dall' altra, che sono  dunque  due nature realmente diverse: converrebbe che ci dicesse
Iddio non cade nè in alcun genere, nè in alcuna specie. Se  dunque  Iddio e le creature sono nature così distinte, che non
e non possono formare un oggetto solo dell' intuito. E`  dunque  necessario per non cadere nel panteismo il supporre che due
perchè Iddio è un atto solo con cui è e con cui opera.  Dunque  coll' introdurre l' atto creatore non si può spiegare la
natura e un oggetto che non ha niente di comune col corpo;  dunque  nè pur nell' atto creatore si possono trovare i corpi
creatore, e non il termine intrinseco e consostanziale.  Dunque  nell' interno dell' atto creatore, cioè in Dio, non vi sono
e nel sentimento non ne ricevessimo l' azione. Convien  dunque  confessare, che col ricorrere all' intuito di Dio e dell'
nell' essere suo proprio formale, sostanziale, materiale.  Dunque  ivi non possono percepire e non percepiscono punto nè poco
se le vedessimo nell' unica percezione del Verbo divino.  Dunque  qualunque via si prenda a spiegare l' origine di questi
li conoscessimo a quel modo come sono conoscibili in Dio.  Dunque  noi non vediamo la possibilità delle cose in Dio, e quindi
causa, ma sono il termine dell' azione di questa causa.  Dunque  se noi vedessimo Iddio solo, senza avere anche la
che anzi per lui è l' intuito di un mero concetto .  Dunque  l' uomo non può conoscere le cose create per via di causa.
e spirito; 3 qual signore e fabbricatore della natura.  Dunque  Iddio non si fa già identico con ciò che egli produce,
vere e le più erronee ad un tempo, sono comuni. Acciò che  dunque  il signor Gioberti avesse legittimamente purgato il suo
per tutto, dicendo che [...OMISSIS...] ? Non si può  dunque  più errare senza essere panteista? Non ha questo l' aspetto
umana pensa l' ente comunissimo e generalissimo ». Non è  dunque  assurdo, miei signori, pensare quest' ente, come sembra che
l' uomo si formi l' essere ideale per astrazione, rimane  dunque  possibile egualmente che sia a lui congenito, e, se più vi
astratto. Per decidere la questione dell' origine, conviene  dunque  aver prima ammesso che l' essere di cui si parla non sia
particolare, è una mera astrazione pel signor Gioberti;  dunque  considerato come astratto non ha realità; che è quello
dissimularli trapassandoli in sommo silenzio. Prendiamo  dunque  a conto queste concessioni che egli ci fa, e che sono pure
anche l' etimologia della parola soggetto ed oggetto .  Dunque  il Rosmini a buon conto non cade certamente nel
in somma divino da quel lato nel quale egli è infinito.  Dunque  dicendo il Rosmini che quest' oggetto è nella mente di Dio,
il Gioberti, è l' ente finito, identico coll' uomo. Si fa  dunque  dell' ente finito e dell' infinito, dell' uomo e di Dio una
e che quell' ente astratto s' immedesima coll' uomo.  Dunque  la conclusione parmi assai chiara; il finito, il
v' ebbe mai al mondo che non sia rifuso in questo sistema?  Dunque  al Gioberti si deve applicare, secondo la giusta logica,
si vede in Dio. Or posciachè tutto ciò che è in Dio è Dio,  dunque  anche il finito, ciò che, secondo il Gioberti, è
dirlo ancora, che cosa sarà, miei signori? S' accalappia  dunque  il nostro Filosofo ne' suoi stessi ragionamenti, e
meglio d' ogni altro che non crede di vederla. Cominciamo  dunque  a dar mano a questa nuova ed importante ricerca. E prima
autori appunto, a detta di lui, sono panteisti? Convien  dunque  dire, stando alle confessioni dello stesso signor Gioberti,
di tutti, da cui deriva la necessità agli altri. Se  dunque  il principio di contraddizione è necessario, se è
necessario il principio o l' assioma di creazione. Abbiamo  dunque  una creazione necessaria, una creazione così necessaria
. L' Ente, cioè Iddio oggetto dell' intuito, possiede  dunque  tutto ciò che vi ha di positivo nell' astratto, nel
Iddio, e altrove dice più espressamente che è Dio. Pone  dunque  due separazioni che si fanno nell' Ente, cioè in Dio,
astrattezza e la generalità: [...OMISSIS...] . Fermiamoci  dunque  qui, e vediamo come il nostro Filosofo faccia nascere le
nascano le creature si devono separare. Le creature  dunque  sono nozioni o idee che sono in Dio, ma che si devono
che sono le esistenze reali, le creature: niente  dunque  produce dal nulla, perchè trova in Dio tutto: la
individuale e universale in un tempo » » le creature  dunque  sono diverse da Dio, come le proprietà divise per analisi
colla quale lo spirito nostro vede lo stesso oggetto. Se  dunque  l' oggetto è lo stesso, benchè le potenze sieno diverse; se
hanno NELLA SOSTANZA un oggetto medesimo: la sostanza  dunque  è unica. 2 Che quest' oggetto sostanzialmente il medesimo,
inescusabile, manifesta ed evidente si è, che  dunque  Iddio, e l' ente astratto, finito, soggettivo, che s'
che è Dio, e il circolo che sono le cose create. Parlando  dunque  egli dell' idea e del reale, li considera meramente come
in modo da non cadere nel panteismo. [...OMISSIS...] . Se  dunque  i panteisti errano col dire che Iddio è tutto il cerchio,
di cose, il quale è l' effetto libero del primo.  Dunque  l' ordine contingente, l' ordine delle cose create ch' egli
altrove, della sintesi raziocinativa e dell' analisi.  Dunque  alla sintesi raziocinativa ed all' analisi appartiene l'
ne ho soggiunta la ragione, perchè [...OMISSIS...] . - Voi  dunque  per Ente intendete l' ordine assoluto? G. Appunto. - E per
ossia dall' Ente, che è il Dio del Gioberti. La sostanza  dunque  di Dio e delle creature è la medesima; la diversità sta
lo stesso Gioberti. Alle quali frasi magnifiche si potrà  dunque  senza scrupolo riferire anche quella, dove il signor
reale [...OMISSIS...] . Nell' oggetto dell' intuito vi è  dunque  ogni realità che altronde non potrebbe aversi, il qual
scrive che [...OMISSIS...] , cioè da Dio. Il possibile  dunque  che è da una parte subbiettivo, cioè una modificazione
a me; perocchè scrive francamente che [...OMISSIS...] . Se  dunque  le cose s' immedesimano colle idee e le idee colle cose, se
è nulla, perchè l' idea e la cosa si identificano:  dunque  la parola idealmente dee avere un valore nel sistema del
Autore identico alla parola realmente (1). Non lasciamoci  dunque  ingannare nè pure da questa frase e dichiariamola senza
le più importanti, ad un' altra lezione. Mi contenterò  dunque  in questa di aggiungere ancora poche osservazioni, e poi
il filosofo ateniese, così segue: [...OMISSIS...] . Se  dunque  l' intelligibile ossia l' idea divina trapassa nelle cose
che il Sole spirituale, cioè Dio, [...OMISSIS...] . Iddio  dunque  informa l' anima umana sostanzialmente, la informa come
dall' intelligibilità divina, giusta la sua dottrina;  dunque  l' intelligibilità divina s' immedesima colla concretezza
che la mente divina, onde dice che [...OMISSIS...] . Non è  dunque  meraviglia se l' atto dell' intuito umano sia pel sig.
il renderle intelligibili ed il crearle suona il medesimo,  dunque  tutto l' essere delle cose create consiste nella loro
idea non cessasse per ciò appunto di essere astratta). Se  dunque  la concretezza delle cose è la loro esistenza, e quest'
pensiero a Dio, mediante l' azione creatrice. Il pensiero  dunque  dell' uomo che ascende a Dio, s' immedesima col discendere
di Dio; perchè dice il Gioberti: [...OMISSIS...] . Se  dunque  Iddio non può creare la menoma idea, dunque egli non può
. Se dunque Iddio non può creare la menoma idea,  dunque  egli non può creare nè tampoco la menoma cosa: ed ecco
quando queste la vogliono impaniare e impastojare. Ma come  dunque  (si opporrà) il signor Gioberti, che da una parte dice che
d' altro che di se stessa per esser conosciuta. L' idea  dunque  è quella che crea, ella è altresì quella che intuisce, che
perocchè egli argomenta così: [...OMISSIS...] . Acciocchè  dunque  l' idea, che è la potenza, attuandosi diventi cosa, che è
senza bisogno d' altra idea o mezzo di conoscere. Ogni cosa  dunque  è l' idea, più l' atto contingente dell' idea, e l' idea
idea obbiettivamente è Dio stesso, insegna il Gioberti.  Dunque  il creabile è Dio stesso; e il possibile non è altro che
avessero altre relazioni che quelle delle persone. L' idea  dunque  è quella che crea ed è ad un tempo quella che è creata;
ciò che vi ha in questo. [...OMISSIS...] (1). Vediamo  dunque  di nuovo che cosa si contenga nell' oggetto dell' intuito.
l' uomo nello stato di intuito [...OMISSIS...] . L' intuito  dunque  non ha che un oggetto ideale. Ora ogni ideale, anzi ogni
non differisce nella sostanza, ma solo nel modo. Se  dunque  il soggetto uomo è una sostanza seconda che non si trova
. Tali sono le sostanze seconde del signor Gioberti. Si può  dunque  conchiudere, che il vocabolo di sostanze seconde non sia un
della radice dell' Ente necessario, che è Dio. Andiamo  dunque  avanti. [...OMISSIS...] Se non fosse, miei signori, per non
stesso, secondo lui, è l' idea? Ma qual differenza passa  dunque  fra Dio e le creature? Grande certamente e sostanziale;
coll' individuamento, che è il suo atto creativo . Egli  dunque  accorda, che l' idea generale appartenga alla mente, e il
assoluto oggetto dell' intuito. L' oggetto dell' intuito è  dunque  la radice della generalità delle idee riflesse e del
così reca all' esistenza il concreto dei sensibili. Egli è  dunque  del tutto logico il dire che per conoscer l' albero
s' individua è l' essere necessario e infinito. Che cosa è  dunque  il creato? L' attuazione di Dio. E che cosa è Dio? E`, ed
meglio, l' attuazione del creato; [...OMISSIS...] . Come  dunque  intuire le esistenze create, senza intuire Iddio di cui
affermazione di Dio stesso. Udite: [...OMISSIS...] . In che  dunque  consiste, secondo Vincenzo Gioberti, l' esistenza, colla
il contingente è già emerso dal necessario. Il panteismo  dunque  è nell' intuito, ma sopravviene la riflessione soggettiva
quello della riflessione è un ordine soggettivo. Combatte  dunque  il panteismo, dimostrando che non ebbe fin qui solide basi,
l' infusione del lume di grazia o di gloria. Sarebbe  dunque  cosa assurdissima il collocare nella natura umana una
all' uomo qualche specie di sentimento? Non si possono  dunque  dare facoltà nell' uomo, le quali sieno al tutto straniere
ragione, ed escluse dall' intendimento? Non si possono  dunque  dare oggetti nè naturali nè soprannaturali, de' quali noi
sentimento quanto dall' intelligenza. Cotal facoltà non può  dunque  non essere finalmente che una specie di sentimento ed una
appartenenza di Dio - Ma ogni appartenenza di Dio, è Dio -  Dunque  l' essere ideale è Dio. Distinguo la minore - Ogni
semplicissimo - Ma la recata distinzione divide Iddio -  Dunque  una tale distinzione fa quello che non si può, è falsa.
si danno gli attributi dell' eternità, immutabilità ec.. -  Dunque  l' Ente ideale è Dio. Distinguo la maggiore e la minore.
che non è reale è nulla - Ma l' essere ideale non è reale -  Dunque  l' essere ideale è nulla. Nego la maggiore, perchè ognun sa
perchè altrimenti i concetti si confonderebbero. Rimarrà  dunque  che l' idea presa in opposizione alla cosa non è la cosa, e
racchiude la cognizione del reale, ma solo del possibile -  Dunque  egli non ispiega bene la cognizione del reale. Nego la
percepisca dall' uomo nel primo intuito del suo spirito -  Dunque  è impossibile che l' uomo giunga mai a conoscere il reale.
progressivo un disegno intelligente. La vostra vita ha  dunque  necessariamente un fine, uno scopo. Il fine ultimo, pel
alla piramide della scienza il loro tributo. Come potremmo  dunque  pretendere di conoscere in oggi ciò che richiede l'opera
non associati, quella sacra e feconda parola? Rassegniamoci  dunque  all'ignoranza sulle cose che ci sono per lungo tempo ancora
facoltà sono gli strumenti di lavoro che Dio ci dava. È  dunque  necessario che il loro sviluppo sia promosso e aiutato; il
voi non potete compiere alcuno dei vostri doveri. Voi  dunque  avete diritto alla Libertà, e Dovere di conquistarla ad
bene, all'adempimento del disegno previdenziale Non esiste  dunque  Sovranità di diritto in alcuno; esiste una sovranità dello
devono essere sottomessi al giudizio di tutti. Non v'è  dunque  né può esservi sovranità permanente. Quella istituzione che
intera la dottrina del maggior discepolo di Platone. Fu  dunque  separata dal rimanente questa parte, sopraccresciuta quasi
d' Aristotele » di Francesco Biese (2). Io restrinsi  dunque  il mio lavoro nei confini delle dottrine filosofiche, come
arabo commentatore, uscita del pari in Venezia (3). Sarebbe  dunque  ormai tempo che gli Italiani, che si lasciarono vincere
di tutto il sistema e delle sue parti . Non vuol  dunque  esser considerata questa nostra, come un' opera di
di ripetere con ciò quanto aveva detto Aristotele (1). Come  dunque  quello, che è singolare nei reali, è poi universale nella
d' una cosa sia la cosa, o sia nella cosa? Non è  dunque  vero, che gli universali sieno nei singolari, ma conviene
anch' essa, e perciò non può essere un universale. Dato  dunque  l' universale, si ha la relazione di similitudine e non
come a loro similitudini (1) per renderli noti. Era  dunque  naturale che tostochè si svegliasse qualche ingegno acuto e
dove l' essenza è comune alle tre persone. Per salvare  dunque  la Trinità delle persone, egli cadde necessariamente in una
primitive dell' essere , l' IDEALE e il REALE. Il realismo  dunque  prima dell' età di Roscellino esisteva solo e
non erano nulla, non erano voci senza significato. Si dava  dunque  tanto agli enti sensibili e materiali, quanto alle idee, la
ci potesse essere di reale altro che questo: conchiusero  dunque  che l' universale non esistesse, fosse un puro nome. Questa
che fuori dell' individuo non c' era nulla. Che rimanea  dunque  allora a rispondere? Non trovarono altro se non dire che «
che da quel principio veramente si derivavano. Dovettero  dunque  retrocedere, e confessarono che gli individui si
per la moltitudine , sia per la similitudine . Il realismo  dunque  delle idee, di cui si disputava, si cangiò in un realismo
suo senso equivoco questa distinzione. Il realismo esisteva  dunque  prima di Roscellino e dominava pacificamente nei pensieri
dei corpi: anche ai generi ed alle specie davasi  dunque  con somma facilità questa realità che è in fatti il senso a
un pensiero potente s' occupasse della questione: dove  dunque  sono e che fanno nel mondo questi generi reali ? rovinasse
niente esiste separato se non il singolare: l' universale  dunque  non poteva essere un reale , nel senso d' esistente, se non
dei sussistenti, che per vero sono i singolari. C' erano  dunque  tre sole vie per mantenere agli universali una realità di
sono quegli universali di cui partecipano le cose create,  dunque  anche queste sono composte della sostanza di Dio. Se
altra esistenza che negli individui: la loro esistenza  dunque  è la realità di questi. Dove si vede il realismo in
Dio stesso: perchè l' essere reale è certamente Dio. Se  dunque  le idee reali si riducono da una parte in Dio che è l'
sentenza turbi non leggermente i savi del mondo. Volevo  dunque  osservare che molte di quelle espressioni che in bocca dei
è in parte quello d' Aristotele, come vedremo. Qualora  dunque  collo Stallbaum si dovesse assegnare alle idee , quali sono
appartiene all' esistenza subiettiva e reale: quest' è  dunque  un sistema di realismo. Tuttavia egli descrive Iddio come
causa efficiente che Aristotele chiama arte . Le idee  dunque  per Aristotele sono principŒ attivi e non già puri oggetti
cioè negli individui reali », conchiusero a ragione che  dunque  gli universali non esistono: sono puri nomi. Coloro la cui
e orfico, e il pitagoreismo, e il platonismo: tornò  dunque  a galla il realismo puro, confuso, cieco, senza contrasto,
una parte di verità dal primo ond' era uscito. Giustiniano  dunque  nel 529 fece chiudere le scuole pagane di Atene; nè valse
e maestro paziente dei barbari stessi. Il lavoro cristiano  dunque  nei primi tempi si limitò, quasi direi, a combattere le
cristianesimo non ha paura di sorta della filosofia: egli  dunque  non la distrugge, e anzi ne promove e ne incoraggia lo
fianco dell' uso. La scissura del genere umano s' imprime  dunque  e si riflette nelle filosofie, e principalmente in quella
verità, la filosofia e la teologia. L' aristotelismo fu  dunque  condannato da prima nel 1209, poi nel 1215 e 1231; vi fu
germi di corruzione che portava in se stesso (1): si tentò  dunque  per un poco di far senza della filosofia, ristorandosi di
nelle cose reali e non altrove ». Se è nelle cose reali,  dunque  l' universale è reale; ecco il realismo nel senso proprio.
ecco il realismo nel senso proprio. Se è nelle cose reali,  dunque  l' universale fuori di queste è un nulla, un puro nome:
queste è un nulla, un puro nome: ecco il nominalismo . Sono  dunque  due formole della stessa dottrina e non due sistemi, sono
sono due conseguenze dello stesso principio. Questa  dunque  del nominalismo fu la faccia razionalistica che mostrò l'
gambe quando sa d' aver vicina la madre. Da questo provenne  dunque  che in Germania l' aristotelismo cadente s' avviluppò di
ora spiegata dagli orientali, ora dagli occidentali. Onde  dunque  tante diverse interpretazioni spesso contrarie? Se ne dovrà
contiene il diverso ed anche il contrario. Non è  dunque  fuori di ragione il riferire ad un medesimo filosofo
come voi ci annunciate un' opera che la espone? o che cosa  dunque  vi proponete in questo vostro libro che intitolate: « «
sentenze e come dalla medesima s' allontani. Volendo noi  dunque  esporre ed esaminare a questo modo la dottrina propria d'
non ci può essere scienza [...OMISSIS...] , ammetteva  dunque  idee universali; 2 riconosceva altresì in queste qualche
e negassero, che fossero le essenze dei singolari. Egli  dunque  disse che le specie si separano bensì colla mente, ma sono
« « lo schema dell' idea, » [...OMISSIS...] . Sono tre  dunque  i significati della parola subietto , e questo è uno dei
«he synthesis», e la specie «to eidos» (3). Che cosa  dunque  è la quiddità, il «to ti en einat»? Secondo il primo e
da Aristotele al genere stesso e a tutte le idee. Quando  dunque  Aristotele dice, che la quiddità è la specie, deve
è la specie, o come anche dice, è la specie del genere,  dunque  è un universale: tant' è vero che ammette definizioni, e
pensati come possibili, ovvero anche come sussistenti. C' è  dunque  sempre la dimenticanza (pur comune ai filosofi) di tener
dimostrarvi ch' ella non può essere un universale (4). Come  dunque  crede d' evitare la contraddizione? Da una parte l' «usia»
che si può predicare della prima (2). La parola «usia»  dunque  sarebbe usata equivocamente, quando dicesi «usia» seconda :
prima nominata in senso proprio (3). La seconda «usia»  dunque  ripeterà il suo nome di «usia» dalla prima. Ma come è
di che a torto si accagionava Platone. Esaminiamo  dunque  brevemente questa soluzione di più in appresso. Nel libro E
quello di cui abbisogniamo, dell' universale : convien  dunque  che noi lo raccogliamo dai vari luoghi, nei quali
e singolare, e conviene in questo colla prima. Appartiene  dunque  all' individuo vago: questo spiega perchè Aristotele desse
, i quali solo esistono da sè, «choristos» (3). L' oggetto  dunque  del pensare è il singolare , l' individuo reale . L'
altre categorie o essenze accidentali si predicavano. Crede  dunque  Aristotele di conciliare l' universalità e la singolarità
può essere sotto un altro rispetto. [...OMISSIS...] . Vien  dunque  a dire, che quello stesso universale, se trattasi di
per esempio, in Socrate; [...OMISSIS...] . Convien  dunque  dire che l' essenza costituente, e l' essenza costituita
e l' essenza costituita sia la medesima. Convien  dunque  conchiudere, che quella stessa essenza sostanziale, che in
sostanziale è di qualche individuo, [...OMISSIS...] . Fuori  dunque  degli individui reali, ossia delle prime essenze
gl' individui reali, e un impaccio. L' essenza sostanziale  dunque  presa da sè e non riferita ad individui non è punto:
quelle, faceva questo argomento: [...OMISSIS...] . Credette  dunque  di comporre quest' alternativa, che secondo lui resisteva
sostanza prima, e però si chiama sostanza seconda (4). Ecco  dunque  che cosa sono gli universali d' Aristotele; non sono, nel
è anch' essa inesistente come singolare e reale. Ma perchè  dunque  si dice universale? Perchè lo spirito può replicare lo
se non hanno almeno qualche elemento uguale . Ritorna  dunque  la questione: « come più elementi reali possano essere un
appiattata, l' idea che si vuole escludere. Questa ragione  dunque  sarà la conoscibilità delle cose, l' universale fuori delle
non la medesima sostanza prima, «usia protos». Il problema  dunque  della cognizione umana, come pure quello de' generi e delle
, come altra volta l' ha chiamata? (2). Che differenza c' è  dunque  tra lo schema dell' idea , e l' idea ? Questo rimane oscuro
» », cioè per se stesso, e se è il medesimo per sè, come  dunque  sarà diverso per la materia restando universale? O come
e che perciò è universale. [...OMISSIS...] La quiddità  dunque  viene alla sostanza singolare dalla specie universale, che
e quella si conosce dalla mente con questa. Come  dunque  quella sarà prima, se riceve la sua quiddità, l' esser
Dall' essere essi nelle sostanze, argomenta che non sono  dunque  i primi, e che senza le sostanze non ci sarebbero le altre
singolari nelle specie, che danno loro la quiddità. Come  dunque  non deduce, secondo lo stesso principio, che le specie
Ma anteriormente alle sostanze non c' è nulla. Riconosce  dunque  che il più comune, ossia il più universale ha un'
cose che si fanno per natura, sono ad un tempo (2). Se sono  dunque  ad un tempo la materia e le specie componenti la sostanza
e così le idee ridivengono necessarie. Quella conclusione  dunque  vale a condizione, che sia vero il principio, che colla
che colla conclusione stessa si vuole stabilire: pecca  dunque  di circolo. E questa conclusione era probabilmente venuta,
questione che ha una ripugnanza intrinseca. Aristotele fa  dunque  gli universali ora posteriori, ora simultanei, ora
Aristotele questi due vocaboli come equivalenti): l' ordine  dunque  della cognizione, «kata logon», è l' ordine dell' essere e
»(1) »; ci sono soltanto degli uomini singolari. Quelli  dunque  sono i principŒ, e i principŒ sono anteriori. Ottimamente.
che si involge nell' oscurità. [...OMISSIS...] (2).  Dunque  s' abusa della parola specie , perchè 1 si dice che la
specie non differiscono di specie o di ragione . Sono  dunque  due le specie, l' una singolare diversa in ciascuno dei
altra universale, comune a tutte le specie singolari. Aveva  dunque  ragione Platone di dire che le cose sensibili non hanno la
il suo nuovo sistema sopra un equivoco di parole. Così  dunque  Aristotele, parlando delle cose, che si generano, ossia,
secondo l' arte, o della sua opera futura ». Quand' anco  dunque  la specie , secondo cui opera l' artefice, si chiamasse
, poichè le forme o specie sono immobili [...OMISSIS...] .  Dunque  le specie non sono l' arte , come l' arte non è l' artista,
più nobile di quelle cose, che sono al fine (5). La specie  dunque  è qualche cosa d' anteriore alla sua realizzazione, secondo
alla specie, che ancora manca nella materia. Per natura  dunque  intende la specie, ma con aggiungervi un principio abituale
osserviamo, che se la specie ha bisogno di quest' aggiunta,  dunque  essa da sè non è attiva. [...OMISSIS...] (1). Allo stesso
specie , resa da lui attiva, col nome di natura . Tornando  dunque  a ciò, che dicevamo in principio, il luogo citato parso
l' operazione ( «eis ho») e quest' è la specie . La materia  dunque  e la specie sono condizioni di ogni trasmutazione: dunque
dunque e la specie sono condizioni di ogni trasmutazione:  dunque  nè l' una nè l' altra si genera ( «u ginetai»), chè
ma nella cosa prodotta dalla trasmutazione. Introduce  dunque  un terzo principio, che è il principio movente
«eschate» ma non «teleutaia» (1). A quell' «he teleutaia»  dunque  si deve sott' intendere, per quant' io credo, «usia», che è
lo stesso fantasma significativo degli enti . Come avvien  dunque  ai fantasmi stessi l' abilità di significare ? Questo è
una idea, avente un' esistenza obiettiva (1). L' idea  dunque  da Aristotele è supposta, non ispiegata, e in vano negata.
e non Aristotele, o riconduce Aristotele a Platone. Se  dunque  noi prendiamo da Aristotele quello che ci concede, che « le
universale e comune, che coll' astrazione si può segregare.  Dunque  questa specie universale, che è l' intelligibilità de'
specie stessa; 2 Aristotele dice, che [...OMISSIS...] ;  dunque  la specie nell' intelletto si produce all' atto dall'
mettendo in beffa gli esemplari di Platone (2). Non possono  dunque  esser la stessa cosa la forma de' reali , e la specie dell'
dalla materia per opera dell' intelletto. Nell' intelletto  dunque  la forma o specie è separata dalla materia, ed è quello ch'
nello stesso tempo, separata ed unita colla materia:  dunque  di nuovo la specie , che è nell' intelletto, non può esser
conseguenza, anzi chiama l' anima [...OMISSIS...] . C' è  dunque  nell' uomo, secondo Aristotele, un' anima intelligente
d' aggiungere all' anima stessa [...OMISSIS...] . C' è  dunque  nell' anima una mente che diventa tutte le forme,
atto, dover essere nell' anima stessa, [...OMISSIS...] . Se  dunque  la mente in atto trae la mente in potenza a divenire le
espressamente nel secondo de' libri fisici. La forma  dunque  e la materia sono unite sì strettamente, che costituiscono
e l' agente, e il termine d' entrambi: la mente possibile  dunque  le riceve per la sua unione e aderenza colla mente agente;
emette un atto che non avea prima e sono le specie: queste  dunque  sono la stessa mente agente in quanto è attiva sulla datale
Onde la mente in potenza non è ancora mente. L' anima  dunque  in quant' è mente in potenza, non è ancora anima
in potenza, non è ancora anima intellettiva. Che cosa è  dunque  per Aristotele? Senso. Vediamo come questo senso sia
Analitici posteriori soggiunge: [...OMISSIS...] . Acciocchè  dunque  si possa fare quei passi ch' egli descrisse dalla
la natura d' una tal anima dev' essere intellettiva. Non è  dunque  il solo senso, che possa fare tutto ciò che in fine agli
ma il senso in un' anima intellettiva. La dottrina  dunque  propria dell' intendimento è supposta, ed è quella che
che seguono, dove dice che [...OMISSIS...] . Distingue  dunque  i sensibili, e però i fantasmi, dagl' intelligibili: questi
nè i sensibili si trasformano punto in intelligibili. Se  dunque  gl' intelligibili sono nell' anima, e per un atto di questa
circa l' attitudine delle idee a far conoscer le cose. Come  dunque  si risponderà alla prima questione? Tutta la risposta si
era in potenza, in atto è divenuta obiettiva. Continuando  dunque  ad esporre l' intricato ed oscuro sistema d' Aristotele
e considerata sotto due aspetti diversi. Rimanendo  dunque  a spiegare come questa potenza intellettiva passi al suo
prima che imparasse o ritrovasse »(2) ». La mente umana  dunque  si rimane sempre una potenza, ma in altro modo quando non
pensa è in potenza all' operazione del contemplare. Prima  dunque  la mente è in potenza all' abito della scienza; poi è in
e materia dello sciente » » [...OMISSIS...] . Questa mente  dunque  « materia di tutte le specie », viene ad essere il medesimo
della mente, non c' è specie o forma alcuna. Confondendo  dunque  le cose reali in sè colle cose reali pensate dalla mente,
ultima appellazione dicendo: [...OMISSIS...] . Avendo  dunque  osservato, che nel parlar comune si dice, che l' uomo
e sentiamo e raziociniamo coll' anima ». Si distingue  dunque  il noi dall' anima. Il noi indica certamente il subietto,
quest' anima siamo noi stessi, subietto personale. Come  dunque  poteva dire Aristotele che noi raziociniamo coll' anima?
il corpo e che l' anima sia il suo atto (2). L' anima umana  dunque  è ella propriamente il subietto che sente coll' istrumento
sue proprie forme corporee. La materia estrasoggettiva  dunque  è estesa e corporea, ed essa è suscettiva di sole forme (o
finita, come è appunto l' anima dell' uomo. Il vero  dunque  e reale subietto è costituito solo dalla materia subiettiva
e l' ideale non sono subietti, se non dialettici. Se  dunque  si cerca di questo composto che dicesi uomo , qual sia il
del solo corpo, ma di tutto il composto uomo (1). A torto  dunque  Aristotele considerò il corpo come il subietto dell' umana
un complesso di oggetti da questa contemplati. Confonde  dunque  l' atto che si può dire forma subiettiva, colle vere forme
come in questo luogo adduce per esempio la grammatica. Aver  dunque  l' anima intellettiva ed essere sciente in potenza è il
indeterminato non può avere propria esistenza. Non si può  dunque  chiamare materia , se non relativamente ad atti
secondo lo stesso Aristotele, come vedemmo. Non può  dunque  dirsi materia , se non in un senso relativo e dialettico. E
della scienza più evidente, [...OMISSIS...] . Questa mente  dunque  è la stessa mente da potenza passata all' atto suo proprio
significava « anima mente », da cui il latino mens . Viene  dunque  a dire Aristotele, che data una sensione esterna, rimane
e mentale; è in una parola la percezione intellettiva. Se  dunque  c' è, oltre il senso corporeo, una facoltà nell' anima
la mente in potenza è come la materia de' suoi atti. Come  dunque  passa a questi suoi atti? Se fosse materia inerte, ci
come può esser quello che la move a formarlo? Aristotele  dunque  accorda alla mente ancora in potenza un' attività propria,
le categorie sono tutte più o meno determinate. Prendendo  dunque  in questo senso la parola universale, non c' è che dire. Ma
dell' occhio, ma ciò che veduto, fa veder l' altre cose.  Dunque  questa virtù naturale della mente umana è un oggetto
perchè altro è l' avente , altro la cosa avuta . La mente  dunque  di cui qui parla Aristotele non è il principio subiettivo,
e la dice anche: 2) lume , che ha valore obiettivo. Non può  dunque  trovare una definizione unica della mente, che possa esser
intellettiva qualche primo e fondamentale oggetto. Tale  dunque  è per lui la mente attiva, «nus poietikos». Questa dunque
dunque è per lui la mente attiva, «nus poietikos». Questa  dunque  l' assomiglia al lume e non all' occhio: e vuole che
prende in appresso col suo sviluppo. Se non s' interpreta  dunque  a questo modo la mente d' Aristotele, non ci rimarrebbe
in cui si porta l' atto della consapevolezza. Ammise  dunque  nell' anima qualche cosa COL QUALE ci procacciamo
e di specie. Ora la specie può esser nell' anima. C' è  dunque  una specie colle cose fuori dell' anima, e una specie nell'
e le specie sensibili nelle sostanze reali » ». O bisogna  dunque  convenire che Aristotele fu incoerente, o intendere che la
Aristotele? La stessa mente. [...OMISSIS...] . Conviene  dunque  che la mente sia qualche cosa di oggettivo e di per sè
« opera avendo » [...OMISSIS...] (2): gl' intelligibili  dunque  non sono fuori della mente, ma la mente li fa in se stessa,
già dire, che « « ora intenda, ora non intenda » » (4). Se  dunque  « « l' intelligibile è l' atto della mente » », e c' è
ed intelligibile » » (6). Ora la mente agente è tale:  dunque  ella stessa è il primo degli intelligibili, da cui tutti
ecciti e la sviluppi facendola passare all' atto. L' atto  dunque  deve precedere in ogni ordine di cose, tanto nelle cose
a pura potenza sarebbe annullato (2). Anche alla potenza  dunque  di conoscere dee precedere un atto primo di conoscere, e
umana una mente in atto e dice: [...OMISSIS...] . Riconosce  dunque  la necessità di dare all' anima intelligente, acciocchè sia
ossia colla cosa intesa, [...OMISSIS...] (4). Colloca  dunque  nell' anima un intelligibile indeterminato, e come genere,
e «to theorein», per la stessa mente, «nus» (6). Convien  dunque  osservare quale sia tutt' intera la dottrina aristotelica.
composto di materia e di forma può stare da sè. La specie  dunque  ha due modi d' esistere, da sè, e unita colla materia. La
e la considera anche come potenza de' suoi atti (3). Come  dunque  il corpo per natura vivente sarà il subietto e non l'
si predicano le specie come del loro subietto (5). Avendo  dunque  detto che l' anima rispetto al corpo è specie , e le specie
come nel suo contenente ed unificante. Questo subietto  dunque  reale, l' anima, rimane, anche disciolto il corpo, ed
eterna, non produrrebbe il moto continuo (3). Questo motore  dunque  deve essere un principio, la cui essenza sia atto;
intelligibile e un intelligente, ed è pura specie. Ammette  dunque  Aristotele delle specie eterne, che sono sostanze senza
d' ogni grandezza »senza parti e indivisibile (4). Queste  dunque  non sono di quelle specie che sono vedute dall' uomo ne'
specie che sono vedute dall' uomo ne' sensibili. Trova  dunque  necessario di ammettere delle specie, come sostanze eterne,
e non potrebbe dirsi semplicemente che fosse. Il primo  dunque  tra tutte le cose è « « un intelligibile puro, sostanza in
per sè intellezione e così atto o mente intelligente. C' è  dunque  una mente che è essenzialmente intelligibile e intellezione
Aristotele l' estremità dell' atto della mente. Riconosce  dunque  Aristotele la necessità che preceda un intelligibile per sè
la mente e conchiude così: [...OMISSIS...] . Qui distingue  dunque  la mente, «nus», dall' anima, dico anche dall' anima
in virtù della quale l' animale si fa uomo. Pare  dunque  evidente che qui Aristotele prenda la mente sotto l'
mente distinta dall' anima stessa. [...OMISSIS...] . Dice  dunque  che la sola mente è divina e viene dal di fuori, cioè da
da Dio. Di qui nasce un' altra questione: Che cosa fa  dunque  questa mente divina al tutto separata dalla materia, ma che
principŒ ossia la mente. [...OMISSIS...] . Descrisse  dunque  prima come successivamente si formi la scienza nell' uomo,
la cognizione raziocinativa, [...OMISSIS...] . Il principio  dunque  della dimostrazione è fuori della dimostrazione come il
come vedemmo; [...OMISSIS...] . Sopra la scienza  dunque  colloca Aristotele un genere più splendido, e questo è il
li chiama più noti della scienza, [...OMISSIS...] ; questi  dunque  precedono nella mente umana la scienza. Ma Aristotele qui
appunto indica la parola « triangolo ». Due cose si devono  dunque  preconoscere prima di dedurre che gli angoli del triangolo
si conosce anche la conseguenza che se ne trae. Domanda  dunque  Aristotele: [...OMISSIS...] . E così scioglie il dubbio,
intitolato il Menone «( Ideol. 222 segg.) ». Distingue  dunque  Aristotele l' universale individuo dai primi principŒ del
è la congiunzione degl' intelligibili ossia de' concetti,  dunque  non sono i singoli concetti, e però molto meno i fantasmi.
sensi, ma è dalla mente immediatamente conosciuta. Cercando  dunque  Aristotele qual sia il fondamento della verità de' giudizi
entità che non sono sempre in atto, [...OMISSIS...] . C' è  dunque  un altro principio per le cose necessarie, che dice:
è vera) cioè è l' ente che veramente è (2). Distingue  dunque  le cose che ammettono composizione dalle cose semplici,
afferma, c' è il vero, se non è, non c' è il vero. Il vero  dunque  è l' essere affermato. Ma dove non c' è composizione di
di subietto e di predicato come nelle specie?... Domanda  dunque  in queste cose incomposte « « che cosa sia l' essere e il
alla scuola del suo maestro. E come s' ha da intendere  dunque  quello che altrove dice che le specie intelligibili s'
segue a mostrare: poichè dice: [...OMISSIS...] . Insegna  dunque  chiaramente Aristotele, che a quello stesso uomo
della scienza è la mente, [...OMISSIS...] . Per mente  dunque  intende Aristotele il complesso de' primi intelligibili
che la mente è dei principŒ, [...OMISSIS...] . Di nuovo  dunque  raccogliamo che la mente è presa in senso obbiettivo come i
di tutti gli altri assiomi », [...OMISSIS...] . Se  dunque  il principio di contraddizione è il principio di tutti gli
la scienza, dice che [...OMISSIS...] . La condizione  dunque  che dee avere quest' anima è che abbia precedentemente in
dire in quelle parole che [...OMISSIS...] . Il termine  dunque  del senso corporeo è interamente diverso per Aristotele
e che perciò abbisogna d' organo corporale (6). Non essendo  dunque  il puro sensibile il vero, ma l' apparente, se si confonde
E venendo al sensibile dice: [...OMISSIS...] . Il sensibile  dunque  è un relativo che domanda per condizione qualche altra cosa
essere, la scorgono permanente. [...OMISSIS...] . Intende  dunque  sempre di asserire « « la natura degli enti » » quantunque
l' essere sia la mente in atto d' Aristotele. Nell' ordine  dunque  delle cognizioni umane, secondo Aristotele, c' è: 1 l'
», e questa è quella che chiama Filosofia prima. La prima  dunque  di tutte le scienze deve considerare l' ente in universale,
ci sia la scienza e non restino le cose al buio. Tentò  dunque  di provare, che per universale altro non si può intendere
o si pensi dagli uomini, o non si pensi. Costretto  dunque  dalla perspicacia stessa della sua mente ad ammettere, che
Ma non però gli si arrese del tutto. Riprendendo noi  dunque  l' esposizione della divergenza della opinione di
per tutto colà, dove una conciliazione è possibile. Diciamo  dunque  che i due principali argomenti accampati da Aristotele
un' altra ragione d' essenza, [...OMISSIS...] . Appone  dunque  a Platone, che le idee e le cose sensibili si chiamassero
d' essenza: e questo solo biasimava nel suo maestro. Quello  dunque  che Aristotele non voleva, era la scissura tra il mondo
deduce quasi sempre l' Ideologia e l' Ontologia. Assegna  dunque  per primo carattere della sostanza individuale che
il nome di uomo quanto la definizione. Le specie e i generi  dunque  sono cose che « si dicono del subietto, ma non sono nel
a' sensi ed escluso dalla speculazione della mente. Come  dunque  Platone cercava nel comunissimo (5) l' unità sostanziale,
sua essenza o natura è quella d' esser uomo o animale. Se  dunque  quegli universali, che si dicono specie e generi, involgono
sembra sfuggire frequentissimamente a' filosofi. Conviene  dunque  riflettere che l' intendimento umano ha due facoltà nel
immaginazione, come reali possibili. Questa prima ragione  dunque  d' Aristotele vale bensì a favore delle sostanze
moto e di quiete dev' essere anteriore [...OMISSIS...] . E`  dunque  necessario un primo atto, acciocchè sia ridotto in atto
idea dell' essere , astrazion fatta da ogni altra cosa. Se  dunque  il sommo genere delle idee secondo Platone è limitato, e
platonica, che discopre il nesso tra le idee. Riconosciuta  dunque  da Platone la limitazione di ciascuna idea, presa in
recare l' analisi e distinguerci nuove specie (2). Univa  dunque  Platone stesso tutte le cose in un grande organismo, nel
Platone vedeva ciò che esiste per sè, assolutamente. Diceva  dunque  che acciocchè una cosa qualunque veramente esistesse, dovea
sostanza individuale, ma sono in un tale subietto ».  Dunque  questo subietto è necessario che preesista nell' ordine
e in cui sieno quelle degli accidenti [...OMISSIS...] . E`  dunque  necessario, che quelle idee che si dicono specie e generi,
« « qualità semplicemente » » [...OMISSIS...] (2); non c' è  dunque  veramente altra sostanza che l' individuale, perchè questo
s' ammette prima, e il quale non si dice d' altro subietto:  dunque  le idee saranno sostanze individuali. Ma in tal caso le
un uomo vero, e una statua di legno. La partecipazione  dunque  delle idee non può spiegare l' esistenza de' subietti
carne , che attribuisce al solo intelletto? (3). Negare  dunque  al sensibile e al continuo mutabile l' essere per sè, e
ad essere predicate d' un subietto; dal che deduce, che  dunque  avanti ad esse ci dee essere il subietto. Platone nega, che
od «en kata pollon» (1), e con altri simili nomi. Se  dunque  non si vuol questionare di parole, la partecipazione dell'
sua stessa essenza, pure non è la sua essenza, l' idea  dunque  si concepisce ed è anteriormente alla sua partecipazione.
a molti individui, il che è ammesso da Aristotele;  dunque  se l' idea è universale in relazione agli individui a cui
ragionamenti della mente e nelle orazioni. Se l' essenza  dunque  è quella che si partecipa da' sensibili, e questa è
rimanendo una, sia ne' molti, [...OMISSIS...] . Se  dunque  Aristotele stesso riconosce che Platone non fa delle idee
e immune affatto di spazio com' è il mondo metafisico. Pare  dunque  per un gioco d' immaginazione, che se s' ammette « un'
essi. Nasce qui subito la voglia di domandare: « che cosa  dunque  sono i sensibili prima di ricevere una tale essenza
essere intelligibile », e così diviene assurdo, egli è  dunque  nulla (2). Il sensibile adunque nè esiste solo, nè può
ascende a contemplarle. Gli stessi sensibili e corruttibili  dunque  hanno bisogno secondo Platone d' una loro essenza
è sensibile ma intelligibile, e non mutabile, ma eterno. Se  dunque  i sensibili sono, se si predica di essi con verità l'
questo si conoscono, e si conoscono quali sono in verità: è  dunque  da dire che partecipino dell' essenza , e non senza questa,
e del tutto annullati perchè privi dell' essere. Quando  dunque  Platone parla della continua mutabilità de' sensibili e
ossia i concetti: l' una di queste due separazioni passa  dunque  tra reale e reale, l' altra tra idea e idea, benchè queste
cioè separazione di reale e d' idea. Questo modo  dunque  di separazione non è tale su cui si possa istituire la
fossero cose separate la realità e l' idea. La separazione  dunque  dell' idea e della realità è il primo e il massimo di tutti
non può essere col moto e senza moto ad un tempo; questi  dunque  non sono due concetti che si possano distinguere nella
sieno bensì diversi, ma non contradditorŒ tra loro: dove  dunque  la separazione è di concetti contraddittorŒ, trattasi di
2 quegli universali che esistono nell' ente come ente. Se  dunque  l' ente, come ente, è Dio, secondo il contesto, che cosa
materia, di cose immobili e separate, [...OMISSIS...] . E`  dunque  obbligato Aristotele stesso ad ammettere le prime nozioni
per sè, da Dio, ma separate dalle cose reali e finite. Come  dunque  insegna egli in tanti altri luoghi, contro Platone, che
ente, ma come ente sensibile. [...OMISSIS...] . Le scienze  dunque  che trattano di qualche genere esclusivo di ente, si dicono
dell' ente nella sua interezza come uno e tutto. Di novo  dunque  qui si chiarisce, che Aristotele distingue due classi d'
ente per sè, o sono accidentali? [...OMISSIS...] . Ammette  dunque  una natura per sè, di cui siano i principŒ e le cause
cui rescindono una parte, [...OMISSIS...] : quella natura  dunque  è più completa d' ogni altra sostanza. Questa natura o
appartenenza d' un primo ente per sè, cioè di Dio. A questo  dunque  ricadeva Aristotele stesso argomentando da quel principio
al che vedemmo riuscire lo stesso Aristotele. L' argomento  dunque  d' Aristotele che le idee, essendo universali, sono enti in
stessa, ma ad un' altra cioè alla mente, di cui è obietto.  Dunque  le idee non sarebbero a se stesse, se non fossero in un
Vincenzo Gioberti tentò introdurre nella filosofia. Invano  dunque  Aristotele oppone a Platone, che le idee non possono stare
esser enti per la imitazione di esse »(2) »: non ci sono  dunque  due serie di enti, ma una sola, che ha due modi, in sè, e
essenze appunto che nelle idee s' intuiscono (1): c' è  dunque  identità secondo Aristotele tra l' essere intuito nelle
ciascuna delle altre cose, e alle specie l' uno (2). Avendo  dunque  riconosciuto così Aristotele, che le essenze insensibili e
che, essendo universali, hanno della potenza ». Quando  dunque  considera quelle cause o principŒ prossimi e formali delle
che sono, l' una dall' altra distinte, e molte. Le qualità  dunque  delle cose (chiamando qualità non i soli loro accidenti, ma
ed uno, e quelle sono speciali (specie e generi). 3 L' atto  dunque  dell' essere che è in ciascuna e in tutte si può
sè sono il non ente, hanno bisogno per esistere dell' ente:  dunque  consegue che l' ente si copuli col non ente, cioè con tutte
altre cose anche reali, gerarchicamente subordinate: l' uno  dunque  e i molti sono sempre, nella verità del fatto, copulati
al concetto di Dio, ma di questo in appresso. Continuando  dunque  nell' esposizione dei cinque supremi generi, egli mostra
quasi cadessimo in contraddizione. [...OMISSIS...] . Viene  dunque  a dire che tutte le nature che veramente esistono, sono
questo sintesismo della natura. [...OMISSIS...] . Stabilita  dunque  questa comunione e copulazione delle diverse cose, che
di cosa che è anteriore alle forme categoriche. Non parla  dunque  di esse in quanto sono ideali, o in quanto sono reali, o
attribuisce una vera e non fenomenale esistenza. Posto  dunque  che le nature esistenti sieno così organate di elementi non
, per usare una frase d' Aristotele. Platone  dunque  non deduce, e non intende spiegare questa partecipazione,
benchè con questi abbiano una cotal comunione. Non è  dunque  vero nè che Platone faccia due ordini di essenze, le eterne
suoi termini, come noi li chiamiamo. Le idee in Platone  dunque  non rimangono divise fra loro e ciascuna come un ente da sè
che se conoscere è un agire, come non si può negare,  dunque  essere conosciuto conviene che sia patire, e però « « che
non importano nessuna passione nell' oggetto. I Megarici  dunque  esageravano o mal applicavano una verità luminosa, e così
in più modi lo stesso concetto. La vera discrepanza  dunque  tra Platone ed Aristotele non consiste in questo che
tra Aristotele e Platone, e un dissidio profondo. In che  dunque  questo consiste? - Qui siamo obbligati di uscire, per
umilmente servendo, via più le confermino. Da questo lato  dunque  considerata la questione, non dubito punto asserire che la
creato da Dio, e Aristotele volendolo eterno. Esponiamo  dunque  i due sistemi intorno a questo punto colle loro
così che si può applicare il principio a più casi. Se  dunque  si prende per tutto il mondo intero delle idee, certamente
che n' aggiungerà loro poscia qualche altro. Dopo aver  dunque  distinti questi tre principŒ elementari li riassume in due,
come le specie, ma moltiplici come i corpi (3). Con ragione  dunque  Goffredo Stallbaum [...OMISSIS...] sostiene, che questa
e figurata dalle (specie) ingredienti »(2) ». Avendo  dunque  Platone concepita la materia corporea indefinita come un'
tre elementi non si può in alcun modo dividere. Convien  dunque  dire che, secondo Platone, Iddio creò la materia corporea
tipo della specie e ne fa un simulacro di questa. L' atto  dunque  col quale Iddio crea la natura sussistente, le cui parti
poi coll' esserci non concorde, ma benevolo (1). Platone  dunque  paragona il Bene, cioè Dio, al Sole, il lume della ragione
cose sensibili l' essere conosciute e conoscibili. Le cose  dunque  che cadono sotto i sensi corporei ricevono la loro
e che le fanno conoscere come buone e belle. Quando  dunque  Platone nomina « « molti belli e molti buoni » »
dà il lume e le idee, ossia gl' intelligibili puri. C' è  dunque  nell' uomo la virtù intellettiva, intendendosi anche questo
di Platone, tutte le cose si derivano dal Bene. Il Bene  dunque  è l' essere assoluto, la cui più alta denominazione è
con ciò facesse dell' idea e della cosa due sostanze. Così  dunque  nel sistema di Platone tutto ciò che è nel mondo viene da
il primo e massimo è Dio, ossia il Bene. L' Idea  dunque  del bene non è nè può essere nel pieno suo significato cosa
» » tutte le cose (1). [...OMISSIS...] . Non trovando  dunque  Platone alcun maestro tra gli uomini che gl' insegnasse a
Quest' è quello che Platone chiama l' idea. Non rimane  dunque  che a considerare la natura delle idee, e vedere ciò che
cui di conseguente tutta si richiama la filosofia. Essendo  dunque  le idee tra loro per natura aggruppate (e la dialettica è
al sommo che Aristotele dissimuli tutto questo? Veduta  dunque  la via per la quale procede Platone, cioè per ragioni ed
altri generi privi di lui non sarebbero: l' essere stesso  dunque  è per sè essere, perchè questa è la sua essenza, ma l'
Platone, ma è logicamente coerente al principio. Vediamo  dunque  che cosa deva avere l' essere per sè, ossia l' idea dell'
uno e semplice, nessuna porzione dell' essere: dee  dunque  aver tutte le idee, poichè, come abbiamo veduto, sotto il
l' una e l' altra idea connessa insieme. L' anima del mondo  dunque  non è l' anima che c' è nell' esemplare, ma una copia o
Iddio produce di sè le idee e così la sapienza. Conviene  dunque  distinguere l' anima e la sapienza dalla causa, e in questa
essere oggettivo e vero l' hanno in Dio. Tutte queste idee  dunque  relative al Mondo sono quelle che costituiscono l'
per quanto esser potesse, a sè similissimo. L' Esemplare  dunque  dovea essere sempiterno e contenere un contemperamento
materia corporea, non è di natura sua ordinata. Conveniva  dunque  che ricevesse un ordine. Ma se non ci fosse un'
ordinato, non sarebbe stato migliore di un altro tutto. Era  dunque  necessaria un' intelligenza, e questa non potendo stare da
stare da sè, dovea avere un' anima in cui fosse. Il mondo  dunque  dovea risultare d' intelligenza, d' anima e di sentimento e
costituito dalla divina provvidenza »(1) ». L' Esemplare  dunque  è quest' animale nel suo essere oggettivo e sempiterno
estremi, congiunge in sè le opposte nature. La sostanza  dunque  media di Platone, su cui tanto fu disputato, altro non è
dalla natura dell' anima che ogni corporea materia. Parmi  dunque  di non andare lontano dal vero dicendo che la «thateru
puro non mutandosi, non è diverso da sè stesso. Conviene  dunque  dire che quell' elemento dell' anima, che Platone chiama
sia lo spazio puro, ma con qualche aggiunta. Ponendo egli  dunque  la vita e il principio d' ogni movimento nell' anima,
Ideol. 701 7 707; 722 7 747; .7. 7 900; 9.3 segg.) ». Come  dunque  noi, parlando del sentimento de' corpi, abbiamo distinto
esiste, poichè l' ente è per sua essenza uno. La pluralità  dunque  delle parti assegnabili nello spazio non esiste se non
si rivolge intorno a se stessa, [...OMISSIS...] . Distingue  dunque  nell' anima il ciclo del Medesimo, [...OMISSIS...] , che
Platone, che risulta da entrambi [...OMISSIS...] . Essendo  dunque  questa media sostanza che termina nelle due estreme e ad
che governa i suoni «( Psicol. 1565, 1566) ». Egli prese  dunque  la legge dell' armonia che si trova in un solo sensorio,
l' universo sintetizzante un' armonia unica e sola. Essendo  dunque  pervenuta a Platone per mezzo di Filolao la dottrina
noi chiamiamo corpi, e che n' è spiegata la creazione. Dice  dunque  Platone che [...OMISSIS...] . Nel qual luogo s' osservi
della mobilità reale, copia di quella (3). Distingue  dunque  Platone anche qui quelle due specie d' intelligibili di cui
eternità e consistenza, gli diede la durata del tempo. Pose  dunque  nell' esemplare la contingenza, il numero, la successione,
vero subietto di tali vicissitudini. La natura di Dio  dunque  nulla avendo di tali cose, non potea nè pure prestare di
possibile che gli somigliasse l' esemplare. L' esemplare  dunque  sebbene eterno in se stesso, perchè ab aeterno da Dio
aiuto della natura mondiale, si moltiplica (4). L' anima  dunque  dell' uomo, formata colla stessa sostanza dell' anima del
cioè un ordine sapiente, [...OMISSIS...] . Conviene  dunque  distinguere tre cose, secondo Platone, le idee eternamente
nascimento che in più luoghi descrive Platone (5). E`  dunque  singolare a vedere come Aristotele quando si fa a
da Dio nell' anima avanti della produzione di questi. Vi ha  dunque  nell' anima qualche cosa di mutabile e molteplice che non è
ed intelletto potrebbesi addimandare (1) » ». Le idee  dunque  sono partecipate in un modo dall' anima, e in un altro dai
la loro essenza è di essere intelligibili . Non essendo  dunque  intese, non sono per sè stesse ricevute da' corpi, ma
le immagini sensibili nelle idee corrispondenti; quelle  dunque  conducono l' anima a queste, e però si dicono similitudini
dell' anima e parte della sua propria natura. Conoscendo  dunque  l' anima le idee, parte in modo speculativo e parte in modo
cosa di ciò che veramente è, e perciò non può perire. Più  dunque  le riesce di sottrarsi alle illusioni e distrazioni
esemplare del mondo o d' alcuna parte di esso. Non diede  dunque  Iddio, secondo Platone, a queste anime la visione di sè
misura ciò che è imperfetto »(3) ». Ma per quali vie può  dunque  l' uomo pervenire a quella, se non compiuta (mentre si
perfettamente per mezzo del raziocinio riflesso . A questo  dunque  Platone assegna due gradi: l' uno, quello delle matematiche
riferiscono, come accade a' matematici. Le idee superiori  dunque  sono quelle che manifestano nature spirituali e doti e
ma solo dall' anima per l' intelligenza. Da queste idee  dunque  vuole Platone, che il filosofo dialettizzando pervenga a
idee e del lume stesso che all' uomo le dimostra. Descrive  dunque  il filosofo come colui che [...OMISSIS...] . Dove Platone
abbiamo chiamato ricognizione dell' essere (3). Questa è  dunque  la maniera nella quale Platone insegna che l' uomo imita
nella quale dicevano di riporre il Bene. Suppongono  dunque  di conoscere il Bene prima della sapienza, e per mezzo di
di quello definiscono questa, non viceversa (1). Dall' idea  dunque  del Bene anche la sapienza procede, e egli n' è la ragione,
più ferma ridotta alle ragioni ultime (3). Il Bene  dunque  è il sovraintelligibile per Platone, perchè sta più su
la causa della creazione del mondo [...OMISSIS...] . Affine  dunque  di rendere il mondo similissimo a sè stesso, Iddio creò
non è lo stesso Bene. [...OMISSIS...] . Distingue  dunque  la mente divina dalla mente creata , quella perfetta e
contiene altri animali in se, gli astri e l' uomo. Essendo  dunque  due gli elementi accoppiati insieme, la felicità dell'
lungamente e sapientemente ragiona nel « Filebo ». Questo  dunque  è il solo bene di cui noi uomini e ogni altro ente creato
(1) e per natura di entrambi più eccellente. Essendo  dunque  quella che dà l' essere e l' essenza e il bene a tutte le
casa del Bene stesso. [...OMISSIS...] . Dal bene creato  dunque  vuole che s' ascenda alla notizia del bene increato, dall'
arte le due vite della sapienza e del piacere. Distingue  dunque  due menti: quella partecipata dall' ente creato e quella
è il primo difetto e il genere de' difetti. La Mente causa  dunque  non ha difetto, e quindi ha le due qualità del Bene, la
affezioni sconvengono del tutto alla Divinità: non possono  dunque  entrare nell' essenza del Bene, la quale non è, nè può
concepirlo mediante una sola idea (5). L' idea stessa  dunque  del Bene, cioè, ciò che è per sè il Bene quaggiù ci manca.
nel creato, nulla che abbia ragione di Bene. La ragione  dunque  perchè l' ente creato animato è buono, ossia ha il bene,
nella partecipazione di quelle tre essenze. Se noi  dunque  prendiamo queste tre essenze e separandole colla mente da
mistione dei due elementi [...OMISSIS...] . La misura  dunque  e il commisurato [...OMISSIS...] è la seconda idea che si
dal Bene, quella della bellezza. [...OMISSIS...] . Il bene  dunque  nell' ente creato si mostra sotto tre aspetti, ora di
o temperato senza verità, misura e bellezza. Il Bene  dunque  è la verità, la misura e il misurato e il bello. e ciascuna
forme ed aspetti (3), e nel mondo risplendono. Venendo  dunque  Platone in sulla fine del « Filebo » a classificare i
ammette fuori di Dio, che non abbia per causa Iddio. Questo  dunque  ha il primo luogo nell' ordine de' beni: il secondo è
la felicità e la perfezione di tali animali intelligenti: è  dunque  «to xymmisgomenon». E di questo bene si deve intendere il
bene degli elementari e il terzo della serie totale. Dice  dunque  « « se tu dunque porrai per terzo bene la mente e la
e il terzo della serie totale. Dice dunque « « se tu  dunque  porrai per terzo bene la mente e la sapienza
della ragione. A questo secondo genere d' intelligibili dà  dunque  il secondo luogo tra i beni elementari del creato; e il
dice, devono esser veri , [...OMISSIS...] . Il piacere  dunque  animale separato dalla cognizione è escluso da Platone dal
è quella del bene, ricevono la commisurazione. Conchiude  dunque  colla solita piacevolezza. [...OMISSIS...] . Se noi dunque
dunque colla solita piacevolezza. [...OMISSIS...] . Se noi  dunque  vogliamo per conclusione e ricapitolazione di questo
che dicesi mondo, si muove in molte guise (1). Sebbene  dunque  nella sua supposizione d' un' eternità del mondo, egli non
a trovare la prima, la più remota di tutte l' altre. Si può  dunque  considerare ciascuno di quei generi di cause relativamente
dividono anche specificamente o genericamente, partecipano  dunque  di forme specifiche e generiche. Aristotele dunque non
dunque di forme specifiche e generiche. Aristotele  dunque  non giunse al concetto d' una prima materia e d' una pura
in dieci supremi generi che sono le categorie. Ci hanno  dunque  due generi di specie , secondo Aristotele: 1 Quelle che
il caso è un concetto più esteso della fortuna. La natura è  dunque  considerata da Aristotele come una causa motrice insita
materia, e questa da ogni materia disgiunta. Alla materia  dunque  congiunta colla specie nell' ente composto, che è la
a cui arriva, è il fine ossia la causa finale . Aristotele  dunque  prende a spiegare l' operare della natura così. Alcune
crede di dimostrare a questo modo: [...OMISSIS...] . Avendo  dunque  dato la forma alle cose materiali e sensibili e la medesima
non delibera e non conosce il fine: questo fine s' ottiene  dunque  egualmente e nello stesso modo. Non è dunque necessario
s' ottiene dunque egualmente e nello stesso modo. Non è  dunque  necessario ricorrere ad una mente e ad un' arte precedente,
piena della natura stessa, e vero creatore ». S' egli è  dunque  vero, come sostiene Platone, che l' universo non esistesse,
nella natura e nell' arte dicesi caso e fortuna . Essendo  dunque  tutto per Aristotele materia e forma (subietto e predicato
specie, vale anche per le ultime delle altre cause. Dice  dunque  che sussiste in natura il composto di materia e di specie ,
causa movente; e in ciascuno di questi ugualmente. Convien  dunque  fermarsi a quella materia e a quella forma che costituisce
le cose stesse sensibili (4). In questa conclusione  dunque  e in tutta questa dottrina ontologica giace sempre nel
universalità delle cose. Se questa è l' unica maniera,  dunque  la forma e la materia stanno sempre unite, e così unite e
le sostanze composte, si vanno insieme permutando. Non è  dunque  più possibile che la forma o la specie abbia preesistito
e sia concorsa alla produzione del mondo. Non ci sono  dunque  le idee separate di Platone. Il mondo dunque è eterno e non
Non ci sono dunque le idee separate di Platone. Il mondo  dunque  è eterno e non creato da Dio, come vuole Platone: dunque di
dunque è eterno e non creato da Dio, come vuole Platone:  dunque  di separato dalla natura non ci può essere una causa
, ma solo una causa motrice che eternamente il mova. Legato  dunque  ai sensi e all' esperienza materiale, Aristotele suppose
ontologia : le leggi dell' ente reale e finito divennero  dunque  nel pensiero di Aristotele, con un salto immenso, leggi
che era presente all' anima sin da principio. Il movimento  dunque  dell' anima, che dalla prima specie perviene a trovare l'
ma la specie nella materia, cioè nell' uomo: la specie  dunque  non si genera sola, ma si genera il composto di specie e di
si genera il composto di specie e di materia. L' arte sola  dunque  nulla produce, ma abbisogna di materia. Ma basta forse la
in modo da acquistar l' ultima, cioè la sanità.  Dunque  le specie non si producono sole; nè separate dalla materia,
cose di cui il mondo sensibile risulta (2). Stabilisce  dunque  Aristotele questa dottrina: « ciò che si trasmuta è sempre
?Dio è uno; l'Universo è un pensiero di Dio; l'Universo è  dunque  uno esso pure. Tutte le cose partecipano, più o meno, della
compiersi per opera d'essi tutti. Il genere umano dovrebbe  dunque  lavorare unito, sì che tutte le forze intellettuali diffuse
possibile nella sfera del pensiero e dell'azione. Esiste  dunque  una Religione universale della natura umana?. Quell'uomo
una credenza, una Fede. Lo sviluppo dell'idea religiosa è  dunque  indefinitamente progressivo; e quasi colonne d'un Tempio,
avete vita:  dunque  avete una legge di vita. Non c'è vita senza legge.
anzi l'unico vostro dovere. Dio v'ha dato la vita; Dio v'ha  dunque  data la legge; Dio è l'unico Legislatore della razza umana.
della vostra legge di vita, della LEGGE DI DIO, sta  dunque  il fondamento della morale, la regola delle vostre azioni e
che l'Umanità derise, perseguitò, crocefisse. Ciascuna  dunque  di queste norme è insufficiente a ottenere la conoscenza
v'ha fatti sociali e progressivi. Voi  dunque  avete dovere d'associarvi e di progredire quanto comporta
o esiste imperfetto o inceppato nel suo sviluppo. Voi  dunque  dovete combattere per tutte, e segnatamente pel diritto
delle anime. Voi siete tutti figli a Dio: siete  dunque  fratelli: e chi può senza delitto limitare l'associazione,
facoltà e nell'opere che fanno realtà del pensiero. Sia  dunque  l'associazione dovere e diritto per voi. Taluni, a
e migliorerete. Il lavoro ch'io ho impreso per voi sarebbe  dunque  compito, se una tremenda obbiezione non sorgesse dalle
tratta per essi di progredire ; si tratta di vivere. Esiste  dunque  un vizio radicale, profondo, nella società com'è in oggi
la via di correggerlo. La questione economica sarà  dunque  soggetto di una ultima parte del mio lavoro.
senza mai incontrarsi con il loro pensiero. Cominciamo  dunque  subito a domandare: Che cosa è uno Stato? E` forse qualche
che prova troppo, non prova niente; [...OMISSIS...] Convien  dunque  prendere un' altra via, ed esaminare che cosa è lo Stato in
avrà una subordinazione e dipendenza dalla Chiesa. Prima  dunque  di venire ad una decisione, noi dobbiamo fare la domanda: -
si mantiene coerente ai principii della sua fede. Qual è  dunque  il concetto che un cattolico, secondo la sua fede, ha e
l' indipendenza, di cui ciascuno di essi è privo. Se  dunque  non è altro lo Stato civile, che l' unione ben regolata di
che mirino quei dottrinari, che ne fanno più uso. Diremo  dunque  d' intendere per separazione dello Stato dalla Chiesa «
la dottrina della Religione Cattolica. Per vedere  dunque  se lo Stato che ha per fine l' utilità temporale, e che
pensiero a ciò che è giusto, lecito ed onesto. La questione  dunque  della separazione dello Stato dalla Chiesa si trasforma in
dell' uomo di Stato, dell' imperante. A tutti questi doveri  dunque  s' estende il potere di giudicare che ha la Chiesa. E la
voluto seriamente usarne, si sarebbero rese ridicole. E`  dunque  impossibile, secondo i princìpii della Religione Cristiana
e a tutelarli da sé stessi con la forza privata. E`  dunque  il governo civile, per la natura della sua istituzione e
superiori a quelle degli interessi materiali. E`  dunque  fuori di controversia, che tutti i diritti dei cittadini
preziosa, e più cara di tutte, senza confronto. Sarebbero  dunque  disposti, quando fossero nello stato di natura, a difendere
sostanze temporali, ma con quello della vita stessa. Quanto  dunque  un tal bene è apprezzato, altrettanto grande è l'
diritti, o conducessero alla violazione dei medesimi. Se  dunque  il governo deve aver riguardo, nel fare le sue leggi e nel
sue disposizioni, alla religione professata dai cittadini,  dunque  è falso e contrario al sociale diritto il sistema della
dei medesimi; II) per evitare di violarli egli stesso. E`  dunque  contraria alla religione e al buon senso quella separazione
ogni Stato, grande o piccolo, ha la sua Autonomia. Perché  dunque  ci proponiamo noi una questione intorno all' Autonomia
divino, che lo ha istituito. L' Autonomia dello Stato  dunque  in questo senso è l' umano arbitrio messo in trono. A una
più s' accordassero allo Stato gli onori divini. L' Hegel  dunque  vi descrive lo Stato come un gran Dio organizzato, con l'
autonomia , sono le loro frasi più care. Questo sistema  dunque  altrettanto scempio quanto brutale, è quello che fu
a sola sua base l' arbitrio del legislatore civile. Non è  dunque  giustificabile da parte della religione e della morale: e
in oppressione, dispotismo e tirannia. Qualor anche  dunque  si supponga, che gli spedienti proposti come temperamenti
non resta certamente alcun' altra guarentigia; ricorreranno  dunque  per disperazione alla rivoluzione, e tale è il solito
i sostenitori dell' Autonomia dello Stato. Perché  dunque  l' ascolteranno quelli che governano, quando sembrasse loro
L' hanno mai ascoltata i despoti e i tiranni? Mai:  dunque  se ne può fare senza, se non accomoda. Di più, quanti mezzi
confesserebbe mai di non averla a sé favorevole: la vorrà  dunque  avere per sé anche il partito del governo, né questo sarà
Se al governo attribuite un' assoluta Autonomia, statevi  dunque  zitti, che il vostro sistema è qui tutto; non potete
possono essere protette che da una potenza morale: tolta  dunque  questa, e proclamato il princìpio, che il solo arbitrio e
nome, usurpato pur esso e mentito, quello di libertà. Niuno  dunque  degli espedienti, che con abuso d' ingegno, si cercano o
autorità superiore, morale e religiosa. Questa Autonomia è  dunque  il nudo arbitrio, l' essenza stessa dell' assolutismo, la
del genere umano e che si chiama Chiesa Cattolica. Rispetto  dunque  a questa dottrina, e rispetto a questa autorità vivente, e
dell' utilità, ha una pienissima Autonomia. Che cosa  dunque  si dovrà dire di quelli i quali, come foste de' fanciulli,
autori e fautori della servitù e della tirannia. Accordiamo  dunque  ai governi civili anche noi, per dirlo di nuovo, la loro
dell' utile, sfera subordinata a quella dell' onesto. E`  dunque  anche per noi, ed anzi per noi soli, interamente distinto
questa sfera dell' utile, perché non è sua. Le due potestà  dunque  hanno i loro proprii oggetti distintissimi e inconfusibili:
impossibile, che lo vedono gli stessi fanciulli. Conviene  dunque  lasciare da banda il sistema dell' assoluta separazione
considerata, rimane già con questo distinta. Non si può  dunque  erigere in sistema il principio, che una delle due potestà,
alle prescrizioni dell' uno e dell' altro potere. E`  dunque  chiaro, che il tracciare la linea di confine delle due
di quello che gli è utile e che gli è dannoso; pretendendo  dunque  di essere aiutato ne' suoi interessi dalla Chiesa, pretende
lontana, ne' governi teologizzanti del basso impero. Non è  dunque  migliore del precedente il sistema che abbiamo chiamato di
per cui ella si move ad istituire la società civile. Come  dunque  l' uomo è un individuo, così l' umanità, cioè l' unione
l' uomo non poteva formare da se stesso la prima, la formò  dunque  il Padre del genere umano, Iddio: la formò Gesù Cristo, da
congregata dagli uomini, non eccedendo le loro forze: Iddio  dunque  ne abbandonò ad essi il lavoro. L' organizzazione della
sono da Dio, sono ordinati » » l' ordinazione dei poteri è  dunque  un criterio dato dall' Apostolo, per riconoscere quali
potuto inventare il sistema della legge atea. Che cosa  dunque  ci bisognava di più? Era necessario che all' ateismo si
vessa e martoria tutti coloro che la professano. L' odio  dunque  della religione, che contiene in se stesso quello degli
il loro scopo è il progresso dell' empietà. La questione  dunque  svela così la sua indole: non si tratta più di sapere se la
e fornita di tutti i suoi elementi essenziali. Quando  dunque  si medita sulla vera e compiuta indole della legge civile,
parte con le prescrizioni della medesima. Quand' anco  dunque  si conceda che ci sia una sfera d' oggetti propri della
Cristiana esiste; i suoi Pastori la insegnano; fatevi  dunque  ad ascoltarli ed interrogateli, e tantosto vi persuaderete
e tantosto vi persuaderete di tutto ciò ». E`  dunque  cosa evidente che la legislazione civile, anche in quelle
religiosi di competenza del governo civile: il principio  dunque  è vero. Ma ne viene forse da ciò che il governo civile
A questa classe appartengono i diritti religiosi. Se  dunque  il governo civile ha indubitatamente per suo fine la tutela
molto più de' principali che sono i religiosi. Se  dunque  egli è obbligato di provvedere alla tutela di questi
fine temporale. Si può dire ugualmente d' infinite cose. E`  dunque  impossibile, che il governo civile non prenda delle
la dichiarano indipendente da ogni altra autorità. Costoro  dunque  non sono in buona fede, e quando vi dicono che il
religioso nelle nazioni, era il governo civile. Diedero  dunque  forma al loro concetto di una teoria politica. Nello stesso
diverse cose intorno ad oggetti religiosi; 3) Che  dunque  sotto il nome di legge atea non si può intendere né che la
perché l' una e l' altra cosa è impossibile. Rimane  dunque  che il sistema della legge atea non abbia altro significato
vanità filosofica di tutti quelli che sono al potere. Ma è  dunque  vero che un tale sistema lasci, come si dice, alle
tra lei e la religione dei cittadini. Le collisioni sono  dunque  inevitabili tra le leggi di tali governi e la Religione. E
più importante di tutte le cose che si possedono. E` egli  dunque  presumibile, che questi padri nel loro mandato impongano
proteggano tutti quelli che li vorranno infrangere? ». Sarà  dunque  questa la voce dei padri di famiglia che istituiscono il
le nazioni cristiane e civili. Il sistema della legge atea  dunque  contraddice direttamente al mandato che hanno ricevuto i
gli oggetti religiosi una o più volte al giorno. Lasciando  dunque  da parte anche queste religioni individuali (se pur
la seconda, il matrimonio sarà un oggetto sacro. Si vede  dunque  che l' essere sacro o profano un oggetto, è una qualità
sacro, e niuno lo potrà rendere o dichiarare profano. Non è  dunque  posto nell' arbitrio né degli uomini di legge, né degli
il vocabolario, e troviamo: non sacro. Il matrimonio  dunque  di costoro è sacro e non sacro nello stesso tempo! Or qui,
non è altro che contratto, ma contratto sacro. Quando  dunque  i signori del giusto mezzo gravemente ci dicono, che il
che nasce pel consenso dei contraenti. Ci vorranno  dunque  due consensi, e non basterà uno solo per fare il
l' obbligazione, sarà egli un consenso o un contratto? Se  dunque  è assurdo immaginare due consensi nel matrimonio e due
due partiti, o di esserle amica o di esserle inimica. Se  dunque  una legislazione riconosce per validi contratti
in quest' ultimo caso il sistema della legge atea. Sciolta  dunque  la questione intorno a questo sistema della legge atea, e
e che non è altro che un caso d' applicazione. Veniamo  dunque  alla conclusione, che sarà necessariamente questa: La
incoerente; così si punisce e confonde da se medesima. E`  dunque  provato ad evidenza dalla storia, quanto onorati e puri
quest' atto non sia proibito dalle leggi civili. Suppone  dunque  che la legge civile possa impedire o proibire un atto
da que' cittadini che la professano. Tutta la questione  dunque  viene stranamente falsata, ed è pur necessario restituirle
pei casi estremi, che pei più moderati. Ricorriamo  dunque  a Nerone. Quando questo Imperatore (e lo stesso si dica
o l' incredulità o lo scetticismo di nessuno ». Egli è  dunque  evidente, se non vogliamo corbellare la gente, quando
ce ne sono degli altri che lo proibiscono. La legge  dunque  (ecco le conseguenze che ne cavano) deve permetterlo,
ma non si può trarre la conseguenza universale, che  dunque  lo permetta a tutti, anche a coloro che professano dei
altra questione. Qui ci basta di riconvenirli, che non fu  dunque  il princìpio della libertà di coscienza, com' essi
era popolare e riscuoteva facilmente l' applauso; conveniva  dunque  far passare sotto gli auspizi di questo princìpio una legge
il dogma cattolico dice: « non è dissolubile »(5). La legge  dunque  non era già indifferente alla Religione, ma si fondava
di sé la moglie «( Cod. del R. d' Italia , 214) ». La legge  dunque  impedisce a questi cristiani cattolici di adempire alle più
in uno stato condannato dalla propria coscienza. C' è  dunque  sincerità in legislatori di questa sorta, quando vi fanno
e i loro figli sono considerati illegittimi. I diritti  dunque  che vengono loro in conseguenza della religione che
sempre inquieta e intraprendente. I governi utilitari  dunque  si mettono dalla loro parte, fanno loro delle concessioni e
delle leggi e negli atti del governo stesso. Non avendo  dunque  gli utilitari un princìpio proprio, prendono i princìpii da
difficilissimo a farsi bene. La libertà di coscienza  dunque  degli utilitari, o è una promessa che non viene mantenuta,
dai partiti su cui s' appoggiano. Riassumendo, tre sono  dunque  le false ed incoerenti interpretazioni del princìpio della
separato, quando volgono relazioni con oggetti religiosi.  Dunque  le leggi civili, benché involgano relazioni con oggetti
vero privilegio sotto coperta d' uniformità. Que' filosofi  dunque  e que' legislatori, che credono di avere stabilito un
i cittadini in classi distinte? Se rispondono di sì, perché  dunque  pretendono che le leggi non abbiano riguardo alle
differenti classi i cittadini? Se rispondono di no, perché  dunque  nella formazione di moltissime leggi hanno essi
numero di anni di quelli che l' hanno passato; classifica  dunque  i cittadini secondo la differenza dell' età, e non pretende
altre differenze, che sarebbe lungo d' annoverare. Se  dunque  la legge civile è obbligata a considerare per la necessità
animo sono il fondamento delle operazioni umane. Che cosa è  dunque  la Religione? La Religione è una credenza che produce un'
religiosa, da tutti quelli che la professano. Perché  dunque  il legislatore civile, che fa le leggi speciali per tante
a cimento co' suoi ordinamenti di pregiudicarli. Non ha  dunque  il legislatore che due sole vie d' esser coerente a sé
ad essa le sue proprie leggi. Nel primo caso, non si parli  dunque  di libertà di coscienza; nel secondo caso soltanto questa
alla potenza del governo e all' economia pubblica. Egli è  dunque  evidente che per tutti quegli uomini che non riconoscono la
di rispettarli, quando negate ogni obbligazione? Dovete  dunque  convenire che voi non avete più diritti, perché non esiste
e il vizio, la libertà e la licenza. Con costoro si può  dunque  proporre e discutere la questione: « che cosa è la libertà,
morale, né sono mai stati dubbiosi pel senso comune. Se  dunque  noi vogliamo partire da questi semplici princìpii, ci
morale; con ciò stesso si riconosce che non può essere. O  dunque  non ammettono l' esistenza della legge morale, e in tal
e però una facoltà d' operare il lecito. La potenza  dunque  che ha l' uomo di scegliere il bene ed il male, è un fatto
stravagante, che non fa bisogno di parlarne; convien  dunque  che vi appigliate alla seconda. Ora che cosa prova la
una battaglia, benché senza la menoma sua colpa. Le vite  dunque  e le sostanze de' cittadini, ammessa una tale dottrina,
difficile. Chi osa tentarne la soluzione, conviene  dunque  che prima di tutto dia uno sguardo generale ai materiali di
applicazione di questa forma si può derivare. Non c' è  dunque  circolo nel discorso delle Categorie, ma un ragionare
ente poteva essere se tutt' insieme non era uno: doveva  dunque  partecipare dell' unità, come d' una sua forma essenziale,
semplicemente di uno in significato speciale (1). Stabilito  dunque  che ogni cosa fosse un numero, colla persuasione d' aver
(1). E così, come osserva Aristotele, [...OMISSIS...] Qui  dunque  si distinguono: 1 il definito, che risponde alla diade o
dai Pitagorici: che se per la diade intendevano la materia,  dunque  non intendevano questa pel numero preso in universale. Pure
era a' Pitagorici come la causa materiale delle cose. Ciò  dunque  da cui il pensiero incomincia il suo lavoro, secondo
che non può secarsi senza distruggersi (2). Il pari  dunque  conveniva a rappresentare l' indefinito, perchè s'
materia corporea (o più generalmente materia reale), erano  dunque  i tre indefiniti di Platone. Ma in ogni indefinito c' è un
indefinito, ma finito e determinato. Ogni indefinito  dunque  involge in sè il concetto d' una pluralità potenziale,
quello di Melisso, infinito o indeterminato (1). All' uno  dunque  furono dati per tempo i caratteri della determinazione e
, e quello di Melisso materiale, [...OMISSIS...] . Erano  dunque  comparsi sulla scena filosofica, molto prima di Platone, un
lasciarla nella sua indefinizione, [...OMISSIS...] . Qui  dunque  si distinguono: 1 un uno indeterminato; 2 un numero
rammenta quello che dice Proclo, [...OMISSIS...] . L' uno  dunque  indeterminato di Platone è la stessa diade considerata come
allo stesso uno e all' uno cognatissimo »(3) ». Ma come  dunque  Aristotele potè dire che Platone divise in due l'
nella forma dell' uno sotto il quale si conteneva: sciolse  dunque  l' indefinito anche da questa forma, e allora non rimase
non si presta alle determinazioni dialettiche. Apparisce  dunque  in questo modo come la diade, ossia l' indefinito, poteva
materia eterna, e quella di coloro che il negano. Dal veder  dunque  che alla mente umana si presentano diversi uni variamente
è la realità pura, ossia la materia reale . Ci sono  dunque  per Platone tre indefiniti: l' uno indefinito , che è l'
e fosse cotanto da queste scuole reputata. Ci pare  dunque  indubitato doversi distinguere l' uno indefinito di Platone
contraddizione, di maniera che rimarrebbe nulla. Rimane  dunque  a cercare che cosa sia la materia ideale secondo Platone.
specie, poi forme o essenze delle cose. Nell' Uno primo  dunque  e massimo si trovano immersi i primi elementi di tutte le
, la quale è l' Uno primo, come vedemmo. L' uno  dunque  per Platone era: 1 uno in sè (l' uno nel II significato,
i numeri per le stesse cose reali (1). Non potevano  dunque  esser queste le vere categorie , od ultime classi delle
e unisce la pluralità delle sue determinazioni. Avendo  dunque  concepito Platone il determinante e l' indefinito
essendo una la retta, molte le curve. La curva  dunque  si considerava come bisognevole di ricevere il finimento
(elementi) delle cose stesse. I quattro principŒ  dunque  de' Pitagorici e di Platone, che si considerano come classi
accidentale, di cui la stessa materia è il subietto. L' Uno  dunque  causa prima, è l' uno nel secondo significato, a cui si dà
il numero indeterminato o piuttosto potenziale. Ha bisogno  dunque  questa materia ideale di essere determinata, ossia di
spetta la denominazione di « grande e piccolo ». Le specie  dunque  o numeri come forme s' applicano e congiungono a un quanto
difficoltà e ambiguità che nascono per via. Applicando  dunque  questa osservazione ai diversi significati ne' quali
alla speculazione la materia pure indefinibile. Comincia  dunque  la dialettica ad esercitarsi sull' indefinito e finisce
, che vuol dire visibile, intelligibile (1). Conchiude  dunque  che il numero partecipando dell' unità come sua forma
dalle cose , come il partecipabile dal partecipante . Non  dunque  il solo uno , non la sola materia era per Platone il
dialettica allo stesso modo, colle stesse operazioni. Potea  dunque  il filosofo prendere un uno dialettico più o men copioso, e
a concepirsi dalla mente, è che sia uno . Dalla meditazione  dunque  del puro uno si potea pervenire ragionando a trovare tutte
predicati ( «kategoremata») fondamentali di Platone. Qui  dunque  abbiamo già tre cose distinte colla mente: il tutto, e le
convien dirsi di ciascun elemento considerato da sè),  dunque  c' è nell' uno il due. Ma poichè quegli elementi sono
un nesso indissolubile, il qual nesso è un terzo elemento,  dunque  c' è anche il tre. C' è dunque il pari e il dispari
nesso è un terzo elemento, dunque c' è anche il tre. C' è  dunque  il pari e il dispari [...OMISSIS...] . Di più, nel due c' è
due c' è due volte l' uno, e nel tre tre volte . Ci sono  dunque  dentro i concetti di due e di tre , e di due volte e di tre
merita d' essere da noi attentamente considerato. Dopo aver  dunque  dimostrato che nell' uno essente si trova logicamente il
piccolo, e che con questa denominazione si chiami. Essendo  dunque  l' essenza distribuita in parti, e non potendo essere
è il termine, il finimento ( «peras») del contenuto (4):  dunque  l' uno come tutto, e però contenente, è il termine, il
diventava assurda e non si potea più sostenere. Partendo  dunque  dal principio di Parmenide che l' ente sia [...OMISSIS...]
eleatica dell' uno, alla sua dell' Uno molti. Dopo aver  dunque  provato, che l' uno è un tutto determinato in questo senso,
si trovava l' uno finiente, e il più definibile. Essendo  dunque  l' uno essente necessariamente un tutto con pluralità di
nell' uno preso come tutto; perchè le parti sono nel tutto:  dunque  l' uno è in se stesso, l' uno è nell' uno [...OMISSIS...] .
preso come tutto , non è nell' uno preso come parti unite,  dunque  l' uno non è nell' uno, dunque è in altro. Questa
uno preso come parti unite, dunque l' uno non è nell' uno,  dunque  è in altro. Questa illazione, che non essendo l' uno tutto
che non essendo l' uno tutto contenuto nell' uno parti,  dunque  deve essere in altro, dimostra che si considerava il dove
specie de' varŒ moti che distinguevano gli antichi. Dice  dunque  che l' uno sta in quanto è in se stesso, e si move in
di se stesso, quasi di parti; nè l' uno è altro dall' uno.  Dunque  egli è il medesimo con se stesso . Ma sotto un altro
che non sono uno. Ma l' uno è diverso da ciò che non è uno.  Dunque  l' uno è un diverso all' altre cose, cioè al non uno. Ma in
cose che sono, sono identiche finchè sono quelle che sono.  Dunque  in niuna di quelle cose che sono [...OMISSIS...] può
quelle cose che sono [...OMISSIS...] può esistere l' altro.  Dunque  l' altro non può esistere nell' uno essente, e però nè pure
uno. Ora le parti in quanto sono moltiplici sono non uno:  dunque  il non uno è il medesimo uno. Il che è quanto un dire: « la
che il non uno non esista, sia nulla: voi supponete  dunque  che il non uno sia qualche cosa: ma non può esser qualche
della loro esistenza è che sieno uno. Sotto questo aspetto  dunque  l' uno vedesi uguale a ciò che si dice non uno ». Trae di
cose, l' altre cose sono altro, ossia diverse da lui (1).  Dunque  l' uno e il non uno, essendo reciprocamente altro, hanno
(3). Sotto queste considerazioni l' uno e l' altro sono  dunque  dissimili. E avendo dimostrato prima che l' uno, anche
dal diverso, e come diverso è diverso dall' identico:  dunque  ciascuna si paragona all' altra con una idea riflessa
uno preso sotto il concetto di tutto che le raccoglie. Se  dunque  l' uno preso nel primo senso è nell' uno preso nel secondo,
preso nel primo senso è nell' uno preso nel secondo, l' uno  dunque  tocca l' uno, è aderente a se stesso; e lo stesso dicasi se
aspetto di tutto è in altro ( «en hetero») (1): in quanto  dunque  l' uno è in altro o negli altri, intanto tocca gli altri,
di nuovo che l' uno rimane escluso dal toccamento.  Dunque  in questo senso nè l' uno tocca l' altre cose, nè l' altre
tutto è in un altro (in Dio, Uno supremo) (3). In quanto  dunque  l' uno tutto è contenuto in quest' altro, egli è minore
in quest' altro, egli è minore dell' altro. L' analisi  dunque  dell' uno dà, ch' egli, secondo diversi aspetti, sia
e maggiore, e minore di se stesso e dell' altre cose;  dunque  deve essere anche più e meno di numero, poichè l' eguale ha
è partecipazione dell' essenza. Ma il tempo fluisce:  dunque  l' uno essente diventa sempre più vecchio di se stesso,
Ma il più vecchio è relativo al più giovane. L' uno essente  dunque  diventa più vecchio di se stesso, diventando più giovane.
già più vecchio e più giovane di se stesso, ma è già tale.  Dunque  non solo l' uno ente diventa più vecchio e più giovane di
perchè, per quanto questi trascorra, sempre è presente.  Dunque  sempre e si fa ed è più vecchio e più giovane di se stesso.
da quest' ultimo, ed erano le parti insieme prese. L' altro  dunque  preso come le parti insieme, ossia gli altri, dice, sono
l' uno è anteriore e perciò più vecchio di tutta la serie:  dunque  l' uno è più vecchio (almeno secondo la priorità logica)
uno, e l' uno più giovane. Ma anche ciascuna parte è una:  dunque  l' uno nasce ed è coevo alle parti, e perciò, secondo
la ragione aritmetica, ossia la ragione geometrica. Avendo  dunque  detto che il tempo è una proprietà dell' essenza, cioè
alcuna, o cos' alcuna attribuire all' ente; non si potrebbe  dunque  avere la scienza umana, che in quant' è riflessa e
di conseguente non ci sarebbero i nomi e la lingua. Convien  dunque  dire che, secondo Platone, i predicabili e i predicamenti
tutto l' ente, ma nel solo ente limitato si trovano. Se noi  dunque  vogliamo distribuire in una tavola sinottica tutti questi
che stia e si concepisca stare da sè. In questo senso  dunque  gli elementi sono generi di enti, noi diremmo d' entità. Si
un' arte a distinguere quali sì, e quali no. Avendo  dunque  Platone definito l' ente dall' attività, di maniera che sia
di ente, il moto e la quiete. Ma il moto esclude la quiete:  dunque  questi due generi non comunicano insieme. Se non
e diverso dall' altro; e se convengono entrambi all' ente,  dunque  gli conviene anche l' identità e l' alterità, due altri
anche l' identità e l' alterità, due altri generi. Qui  dunque  si distinguono cinque generi: l' ente, il moto, la quiete,
s' estende il significato di dialettica. Dimostrato  dunque  con somma sagacità ed evidenza che i cinque concetti sono
», da' quali innumerevoli altre specie. La dottrina  dunque  dell' uno e più , ne' due dialoghi del Parmenide e del
uno non è l' altro reciprocamente. Se l' uno non è l ente,  dunque  l' ente è non uno, materia. Se l' uno non è l' ente, dunque
dunque l' ente è non uno, materia. Se l' uno non è l' ente,  dunque  l' uno è non ente come forma. Ma, quantunque il fondo della
diverso dall' ente uno, onde sono non ente. Il non ente  dunque  del Parmenide e quello del Sofista, benchè ricevano la
all' ente contrapposto a que' predicati »(1). Dimostra  dunque  nel « Sofista » contro « Parmenide » che l' ente uno non
è nulla e però non si può esprimere con alcuna locuzione:  dunque  tuttociò che si dice è: si dice sempre il vero, e qualunque
intorno a qualunque cosa non può esser mai falso ». Fu  dunque  obbligato Platone a investigare la natura del non ente, e
potea pronunciare, e distinguere dall' ente. Ogni qualvolta  dunque  il discorso dice ente a quello che è, non ente , o
tutti quelli che Aristotele ed altri posero come tali. Egli  dunque  domanda in prima, se l' uno forse non si potesse computare
specie come loro quiddità comune. [...OMISSIS...] L' uno  dunque  non si predica come quiddità d' alcuna specie, benchè
a tutte le cose, non è ugualmente in esse, ma più e meno:  dunque  non ha la proprietà de' generi. Vero è, che anche l' ente è
, tendono al bene, è che l' uno è il bene (3). Cominciando  dunque  tutte le cose dall' uno, e in esso tendendo come in loro
essere, come vedremo, ed eccede tutti i generi. Escluso  dunque  l' uno e il bene da' sommi generi, Plotino toglie a
tutta la sua estensione, onde dice che [...OMISSIS...] . Fa  dunque  derivare il numero dal moto , come l' unità numerica dallo
numeri, come anco dimostra Platone nel « Parmenide ». Deve  dunque  intendersi, ciò che Plotino dice della posteriorità del
quelle senza cessare d' essere ciò che era prima. L' ente  dunque  è la mente: e, avendo egli il movimento che è il secondo
il secondo genere, mediante questo produce le specie. Fino  dunque  che l' ente mente è in potenza, è mente universale,
generano per l' atto di quella. [...OMISSIS...] . Esister  dunque  in sè la gran mente [...OMISSIS...] , ed esistere in sè le
e l' altre qualità tutte logicamente posteriori. La mente  dunque  è l' ente (primo genere) che ha unito a sè gli altri
umana discorre e scopre una cosa dall' altra: quest' è  dunque  una seconda mente, diversa da quella prima che con un'
fossero, non sarebbero vere le cose argomentate. Non si può  dunque  argomentare, cioè da una verità discoprirne un' altra, se
(3), e vi s' introdurrebbe un altro. Quest' uno non può  dunque  nè fare (4), nè pensare, nè essere (5), chè avrebbe i
essere, è il punto più alto della speculazione (6). Come  dunque  riesce la mente universale? Plotino risponde per una certa
altrettante differenze tra loro. L' assolutamente primo  dunque  dee essere anteriore a queste cose, superiore al bello (
anche nel fatto. Ma questo si suppone senza provarlo. Giace  dunque  il sistema sopra una base ipotetica, e però in aria. Le
Iddio è quell' uno in cui non cadono differenze; Quando  dunque  nascono in lui per la sua continua attività i generi,
si può argomentare circa le altre emanazioni. Non crediamo  dunque  che si possa accusare il sistema Plotiniano di Panteismo
questo: « « L' Uno non appetisce nulla, non conosce nulla:  dunque  è sufficiente a sè stesso: non gli manca cosa alcuna. All'
la definizione, è la virtù contemplatrice de' soli generi:  dunque  è un altro: quest' altro è l' Anima; l' anima universale, i
difficoltà, che da per tutto il persegue. Continuando  dunque  noi ad esporre questo ingegnosissimo sistema, per quanto la
nel qual caso, uscendo dal divino, si deteriora. Tutto  dunque  si genera per via di contemplazione ( «ek theorias»), e non
le varie forme di cui si veste e in cui si pone. Come  dunque  dall' Anima esce la Natura reale? L' Anima, il complesso
di contemplare; contemplando opera; operando produce: dopo  dunque  che l' Anima è costituita, la sua contemplazione di sè non
sua contemplazione di sè non può più produrre specie: sorge  dunque  un altro da sè, che è la Natura reale. Non sarà disutile
esposto da Marsiglio: [...OMISSIS...] . La prima Anima  dunque  è separata dalla materia: ma, come l' intende Marsiglio,
per uno svolgimento [...OMISSIS...] . L' anima vegetale  dunque  contemplando opera come vita genitale e sensibile (onde il
Plotino, quasi dubitando, dice: [...OMISSIS...] . Quando  dunque  nel continuo operare delle cause si giunge all' Anima
in essa è esaurita ogni attività produttrice: non potendo  dunque  più progredire avanti, la materia tenta di tornare
si rimarrebbero sterili e prive d' ogni azione. Dice  dunque  di questa sua Mente, risultante da' cinque generi:
senza che cessi d' essere idea e diventi una persona. Se  dunque  ciò, su cui Plotino specula, sono le idee che hanno un'
che è quanto dire una persona intelligente? Confonde  dunque  le idee colla Mente che intuisce le idee. Ed essendo le
l' ultima dell' essere sia la materia. Tutto il sistema  dunque  è basato sopra un sott' inteso, cioè sopra la natura dell'
cosa al di sopra e al di sotto dell' essere stesso! Ci ha  dunque  abuso di speculazione per mancanza di vera e compiuta
dare alla dottrina luce e forza a persuadere. Manca  dunque  in tali sistemi quello appunto che per essi si cerca, e si
che è quello di filosofare delle altissime cose. Essi  dunque  pigliano la via di mezzo, che è bensì più corta, ma non li
di queste si riducono le sue categorie. Come  dunque  Platone diede un' attenzione troppo esclusiva alle idee ,
un posto alquanto più importante che in Platone. Sebbene  dunque  nè pure in Aristotele sieno tenute costantemente distinte
si genera nella mente a cagione del segno esterno. Osserva  dunque  Aristotele che le essenze (1), significate da nomi comuni,
ora univocamente , ed ora equivocamente (2). Cadrebbe  dunque  in errore colui che, dall' unità soltanto del nome che si
pluralità delle essenze o de' concetti da più sinonimi. Una  dunque  delle prime regole logiche ed ontologiche deve esser quella
di Dio sta a Dio con relazione d' identità. Noi diremo  dunque  proporzionali i nomi in quanto s' applicano ad oggetti di
o di tristezza certi suoni e certi colori. L' analogia  dunque  si fonda su tutte quelle relazioni che possono cadere ed
per favellare esattamente delle cose divine. Convien  dunque  osservare, che, quando noi applichiamo un vocabolo agli
e diviene equivoco a consilio, ossia traslato (2). Si dee  dunque  distinguere l' equivocazione traslata del vocabolo proprio
il medesimo d' ogni altra proposizione (1). Predicandosi  dunque  sempre l' essere in tutte le proposizioni, credette che
somministrare ogni partizione dell' essere. Aristotele  dunque  accintosi all' analisi della proposizione, ossia della
che il concetto del ridere inchiude quello di uomo. Altro è  dunque  il predicarsi per accidente , altro il predicarsi per
accidentale degli Scolastici. Questi quattro modi  dunque  di predicazione si devono accuratamente distinguere (1). II
per sè, senza congiunzione [...OMISSIS...] . Apparisce  dunque  dalle stesse parole d' Aristotele: 1 Ch' egli colle dieci
all' ente per sè, ma all' ente che è quanto è (3). Che  dunque  i predicabili significhino lo stesso essere in dieci modi
così semplici nella loro oggettività (1): li considera  dunque  come subietti di cui si predica in diversi modi l' essere.
elevato simile a quello che avea destinato loro Platone. Se  dunque  si considerano le Categorie come semplici ed incomplesse,
o le essenze ideali, ma non fa che usare di queste. Queste  dunque  sono prima idee o intelligibili, e di poi predicabili. Onde
copula, che si riduce sempre al verbo E`. Questo verbo  dunque  secondo Aristotele: a ) Può significare tanto che ciò che
mai all' ultima particola della proposizione « E` cieco ».  Dunque  in questa ultima particola il verbo E` non significa E`
come i dieci generi supremi dell' ente (3). Conviene  dunque  che noi esaminiamo diligentemente questa partizione. La
greci, e da' loro discepoli gli Scolastici. Partendo  dunque  dal principio che Aristotele, colle categorie non volle far
, onde i suoi tre sommi generi degli enti. Aristotele  dunque  dice, che [...OMISSIS...] . Riconosce dunque Aristotele,
Aristotele dunque dice, che [...OMISSIS...] . Riconosce  dunque  Aristotele, che la specie e la materia sono di diverso
maggiore, appunto perchè sono le più estese. Rimane  dunque  a cercare, se le più estese di tutte, irreducibili ad
ricevuto la specie, questa si può predicare (1). Rispose  dunque  Aristotele, che le specie più estese, e irreducibili, non
ma dieci: e così stabili le sue dieci Categorie. Lasciati  dunque  da parte gli altri significati, in cui si prende la parola
differenze » ». [...OMISSIS...] Il genere categorico  dunque  si considera da Aristotele, come materia rispetto alla
ha preso il significato di « materia reale ». Checchè  dunque  dica altrove Aristotele circa la doppia materia ammessa da
che prenda la parola genere in due sensi diversi. Altro è  dunque  il genere che si definisce: « quello che è primo come
e queste sottostanno come loro materia. Le Categorie  dunque  non appartengono alla materia reale, ma all' ideale, e sono
di tutte le differenze o determinazioni. Conviene  dunque  riconoscere che Aristotele ammette primieramente due
aristotelica, che riguarda la sostanza. Primieramente  dunque  la sostanza è il primo, come dicevamo, della filosofia
essenza sostanziale, soggiunge così: [...OMISSIS...] . Non  dunque  la sostanza reale, ma le specie e i generi della sostanza,
che si predicano, niente v' ha di comune »(3) ». Convien  dunque  conchiudere, che le Categorie aristoteliche non sono punto
un ente solo perfetto. Nei dieci predicamenti non si parte  dunque  l' ente puro, qual è in natura, nè l' ente qual è nella
di accidenti. Ma l' ente assoluto non ha accidenti:  dunque  il suo essere non si può in senso univoco e proprio
limitato), il quale si predica de' corpi. Perchè l' ha  dunque  omesso il nostro filosofo? Si può rispondere che l' abbia
e però sono casualmente differenti dai predicamenti,  dunque  si denominano le cose, e le cose stesse così denominate
«pote» «keisthai» «echein» «poiein» «paschein» Le Categorie  dunque  d' Aristotele non compartiscono l' ente, ma distinguono i
ma dialettica; ed anche questa manchevole. Non soddisfanno  dunque  alle esigenze dell' Ontologia. L' aristotelismo, prevalso
originale sulla partizione ontologica dell' ente. Conviene  dunque  discendere fino al Kant, il quale tuttavia dichiara, che il
dal lettore la minima opposizione. [...OMISSIS...] Egli  dunque  dà per cosa certissima che, se qualche cosa vi ha nelle
perchè questo non è nè necessario nè universale;  dunque  deve venire dall' esperienza ». Questo « dunque deve venire
universale; dunque deve venire dall' esperienza ». Questo «  dunque  deve venire dall' esperienza », vale altrettanto del primo
venire dall' esperienza », vale altrettanto del primo «  dunque  deve venire dal fondo dell' uomo ». L' uno e l' altro nulla
e particolare, questi sono necessarii ed universali. Questi  dunque  non possono venire da quella, perchè l' effetto non può
come sarebbe l' anima nostra e le sue modificazioni:  dunque  se fosse forma della sensitività, egli dovrebbe esserlo non
è tutta simultaneamente presente allo spirito: il concetto  dunque  della successione dimanda un modo di concepire simultaneo
sentimento fondamentale; è una realità: egli appartiene  dunque  alla potenza della sensitività corporea come un'
l' uomo non fa che intuirla tale quale gli è data (1). Erra  dunque  grandemente Kant sopprimendo una delle due grandi classi
col concetto come col loro tipo comune. La pluralità  dunque  non è nel concetto, ma è negli individui che si conoscono
per discoprire quali esser possano i giudizŒ. L' aver  dunque  sommessi i concetti ai giudizŒ, pose Kant sopra una falsa
non iscrivendo noi ora una Logica . Tornando ora  dunque  a Kant, dalle predette forme de' giudizŒ egli cava i suoi
in tutti i difetti delle categorie Kantiane; veniamo  dunque  alle idee della ragione. Come Kant derivò i concetti dell'
mediante la condizione ossia il termine medio. Consistendo  dunque  il raziocinio nella relazione di un giudizio con un altro,
a calunniare le opere del Dio vero. La superbia di Satana è  dunque  ancora nel sistema di Kant. Ma seguiamolo un poco nei suoi
come tale, non può essere pensato che come soggetto;  Dunque  egli non esiste che come tale, cioè come sostanza ». Ora il
della sostanza «( Psicol. , p. 104) ». Dopo aver  dunque  Kant preteso di dimostrare, che non già l' umano individuo,
contraddizioni, sieno poi esse vere od apparenti ». Che  dunque  le antinomie provino ad evidenza la limitazione dell'
si confessò preso quasi fra l' uscio e il muro. Ripigliamo  dunque  ad una ad una le tesi e le antitesi, e mettiamo a prova il
quale è termine del sentimento fondamentale. Si cangia  dunque  il soggetto delle due proposizioni opposte, e si vuol far
incominciato ad esistere. Il tempo possibile appartiene  dunque  al mondo delle idee, il quale è nel suo fondo eterno, e non
dà degli oggetti, e senza questi non ci hanno che idee;  dunque  noi non possiamo dimostrare che vi abbiano semplici nella
campo della filosofia sia comparso nel secolo XVIII. Egli  dunque  ha due tendenze: 1 La prima è di sollevar sè stesso sopra
senso la ragione, egli ragiona così: [...OMISSIS...] .  Dunque  il paralogismo e le antinomie, che avete prima attribuite
gli oggetti del pensiero, e tuttavia non esiste veramente;  dunque  nè pure quest' unità sarà verace, ma sarà finta e
ragione speculativa ne possa e ne debba far senza. Perchè  dunque  tante parole sparse innanzi per dimostrare che la ragione
presentare come necessariamente incondizionati!! Ma dove  dunque  si troverà questa loro necessità, e incondizionalità, se
loro idea? Se l' idea di essi non ce la presenta, conviene  dunque  che sia fuori di essi, e se è fuori di essi, dunque la
dunque che sia fuori di essi, e se è fuori di essi,  dunque  la necessità e la incondizionalità sta nel concetto d' un
altro ente, e non nel concetto delle cose finite. Ritorna  dunque  il bisogno di un Dio per chi non vuole rinunziare alla
di Dio è una illusione trascendentale. Non conosciamo  dunque  niente di migliore dell' illusione? Convien dunque
dunque niente di migliore dell' illusione? Convien  dunque  lasciarsi illudere per soddisfare al dovere di scegliere?
assolutamente necessario perchè sarebbe falso. Lasciando  dunque  da parte tutte queste appena credibili aberrazioni del
alle idee, a cui solo Kant pone mente. Questo filosofo  dunque  sbaglia: 1 nel credere che gli uomini diano alle idee ed a'
al vero, se l' avesse scorto a conchiudere, che  dunque  le determinazioni speciali (almeno le determinazioni
è fuori del concetto delle cose, è fuori della cosa. Quando  dunque  un ente non ha la ragione sufficiente di sè nel proprio
ella è necessaria per ispiegare la coscienza empirica . E`  dunque  una argomentazione che adopera Fichte, colla quale
soggetto vi ha egli coscienza? No certamente; non resta  dunque  che una chimera; ovvero un' entità a cui non si può
riduce a questo: « un corpo non può inesistere nell' altro,  dunque  nessun ente può inesistere nell' altro »: dove la
e talor anco dall' ente cognito all' incognito. Seguendo  dunque  il ragionamento là dove egli muove i passi, lo spirito
ma la sua coscienza, l' uomo in quant' è consapevole. E`  dunque  vero che « Io, come coscienza di me, come uomo conscio,
causa. La conclusione adunque di Fichte: « « Il mio Io è  dunque  solo in quanto egli si pone ed in quanto egli è attivo: l'
Fra gli atti del soggetto, ed il soggetto stesso, vi ha  dunque  una distinzione reale: gli atti del soggetto sono accidenti
coscienza stessa nol dovesse sapere ed attestare. Dobbiamo  dunque  concludere esser falso il principio, « che l' azione di
nuova cognizione mediante una nuova riflessione. E`  dunque  falso che l' Io ponga sè stesso, essendo vero solamente,
è un atto dell' uomo stesso riflettente sul proprio essere  dunque  il NULLA, cioè quell' uomo che era nulla, ha dato l' essere
NULLA; perocchè, se deve porre ogni cosa, anche sè stesso,  dunque  nell' atto di porsi, nulla è ancor posto, nè pure l' Io che
perocchè, se fosse posto, non avrebbe bisogno di porsi.  Dunque  il Dio di Fichte s' è cangiato d' un tratto logicamente nel
suo termine; ma con esso e insieme con esso non è nulla. E`  dunque  abuso d' astrazione, che diede corpo a tali larve
atto, pel quale sussiste l' Io termine di quest' atto;  dunque  egli si potrà bensì considerare come la ragione sufficiente
pe' seguenti capi: 1 L' Io non può porsi prima d' esistere:  dunque  non v' è un Io che ponga sè stesso; 2 la coscienza di sè
di oggetti, di atti, di facoltà, di leggi. Non v' ha  dunque  contraddizione che secondo gli uni sia passivo, e secondo
questo minimo grado di potenza sulla sua creatura, ha  dunque  rinunziato per sempre ad averne un grado di più? Il
l' affermazione non è inutile al conoscer nostro: che cosa  dunque  conosciamo per essa? Primieramente non si dee mettere a suo
e in vece di verità ci ha lasciato contraddizioni. Se  dunque  cotesto smembramento del pensare non conduce che a
II Pone l' atto della ragione nel puro affermare .  Dunque  in questo affermare non può cader inganno. Dunque (per
. Dunque in questo affermare non può cader inganno.  Dunque  (per tornare a ciò che poc' anzi, p. 232, dicevamo: non
non può farci cadere in alcuna illusione trascendentale:  dunque  ella non crea gli enti, ma li conosce già esistenti: dunque
dunque ella non crea gli enti, ma li conosce già esistenti:  dunque  v' ha qualche cosa fuori della ragione umana, e in essa non
azioni, ed esercitare il dovere solo pel dovere: l' idea  dunque  del soprasensuale assoluto è il punto, donde parte ogni
in sostanza: « l' Io tende ad uscire dai suoi limiti;  dunque  ha un ideale di sè, un' idea dell' illimitato ed assoluto
dell' illimitato ed assoluto essere. Ma l' idea è un Io:  dunque  vi ha un Io7idea illimitato ed assoluto ». L' errore sta
è un dire, in quant' è oggetto, non sia il soggetto. Vi ha  dunque  un nesso tra il soggetto reale e l' oggetto apparente, che
perciò è esclusa dal nesso, e a lui anteriore. Se  dunque  Fichte immaginò quella produzione occulta come un' ipotesi
lo intuisce: e dal non poterlo intendere, argomentare che  dunque  l' oggetto dee incorporarsi occultamente col soggetto;
egli opera del tutto alla cieca, e necessariamente. Abusa  dunque  il filosofo nostro, seguìto in questo da Schelling e dagli
. 1 Ora, se l' Io si conosce perchè si determina,  dunque  innanzi a tale determinazione non vi ha cognizione, e però
per libertà s' intende una dote della volontà). La libertà  dunque  di cui parla qui Schelling è una cieca necessità. 2 Si dice
esercita sopra un oggetto già percepito. Che cosa può fare  dunque  l' astrazione rispetto allo spirito? Separarlo dagli
dell' uomo non v' ha nulla, pel pregiudizio sensistico.  Dunque  quell' atto deve essere la ragione di tutte le cose, l'
e l' atto dell' esistere umano è di fatto contingente.  Dunque  manca l' assoluto, la ragion sufficiente degli atti umani
proposizione: « Ora la ragion sufficiente ci dee essere:  dunque  è falso quest' argomento ». 6 Uno spirito che opera
imperfetto e limitato, non può essere assoluto. Non v' ha  dunque  un Io umano che sia un ente assoluto . Ora la ragione
si può ritrovare se non in un ente da ogni parte assoluto.  Dunque  la filosofia trascendentale, che ha preso l' assunto di
la sua stessa natura, e che in lui si vanno svolgendo;  dunque  anche la ragione sufficiente di tutte le cose SI DEVE
non vi è, perchè tutta la natura umana è contingente:  dunque  la ragione sufficiente di tutte le cose NON SI PUO` TROVARE
mondo che fosse morto e non vivo e divino. La separazione  dunque  del mondo da Dio rimaneva così senza spiegazione. D' altra
che fu intitolato dall' identità assoluta . La maniera  dunque  di ragionare di Schelling si riduce al seguente
fosse maggiore o minore di quello che è. Convien  dunque  assegnare una ragione sufficiente di queste limitazioni. Ma
alla qual forma appartiene il principio di assolutità . Se  dunque  il sentimento stesso si pone essere un' illusione, manca la
che ad uno assoluto apparente, e non reale. O convien  dunque  rinunciare alla dottrina dell' assoluto, o conviene
il sentimento , che ha l' uomo individuo, è un ente reale,  dunque  esistono realmente degli enti limitati , e questi non sono
sua indifferenza ponendosi come soggetto e come oggetto? Ha  dunque  bisogno di cessare di essere, per conoscersi? Come punto d'
consiste nel sentimento che lo costituisce. Non v' ha  dunque  ordine in questa classificazione, nè ella abbraccia nè pure
suppone le cose sussistenti e tratta di esse. La prima  dunque  non esce dal mondo ideale, dal mondo de' possibili (1); la
neghi a sè stesso che i colori sieno i suoni. La necessità  dunque  d' una negazione a fare che un dato concetto non inganni
per elementi, e non per enti ideali stanti da sè. Vi ha  dunque  abuso: 1 Se si pretende di trovare in un' idea elementi che
proprio dell' atto è l' identico oggetto della potenza:  dunque  la ragione per essere in potenza, anzi che in atto, non
non è potenza. Se è qualche cosa, è già essere in atto.  Dunque  non si può concepire « una pura potenza infinita di essere
la potenza non si può concepire senza un atto. Convien  dunque  che v' abbia prima un atto, cioè un essere in atto,
essenza; e questa causa è di nuovo un essere in atto .  Dunque  è impossibile, che oggetto della ragione sia unicamente il
che si chiama verbo della mente. Il verbo della mente è  dunque  quella parola interiore che dice la mente in conseguenza
che dice la mente in conseguenza dell' ente intuìto: è  dunque  una operazione della mente essenzialmente posteriore all'
non si può senza pronunciar qualche cosa di qualche cosa:  dunque  il verbo della mente ha di bisogno di avere nel suo termine
essenza umana e il concetto della sua realizzazione . V' ha  dunque  in questo pronunciamento una triplicità: 1 l' essenza; 2 il
questa realità non gli è data che nel sentimento. Acciocchè  dunque  la mente possa venire a dire qualche parola interiore, a
necessaria che le sia dato, prima di tutto, il sensibile.  Dunque  in nessuna maniera è possibile confondere l' intuizione col
A, chiamando l' uno degli A predicato , l' altro soggetto .  Dunque  quest' oggetto è molteplice. Infatti la cognizione dell'
perchè, se i corpi sono cose e se ogni cosa è un concetto,  dunque  anche i corpi sono concetti. C' è conseguentemente l'
non può essere che quel primo che si pensa nell' anima; se  dunque  il primo psicologico produce tutti i concetti, dunque tutti
se dunque il primo psicologico produce tutti i concetti,  dunque  tutti i concetti sono produzioni dell' anima. C' è il
si pensa nell' anima) s' immedesima col primo ontologico,  dunque  all' anima si riducono tutte le cose. E poichè il primo
che è assoluto, cioè principio del reale e dello scibile »,  dunque  l' anima, fonte de' concetti, unita al primo ontologico,
, come vedemmo. [...OMISSIS...] Se l' idea è un entimema,  dunque  ella non è solamente un giudizio, ma ben anco un
de' sofisti, nè le declamazioni de' retori. Avendo  dunque  Hegel, senza alcuna prova, ma con un puro salto mentale
Gioberti, quando scriveva: [...OMISSIS...] . Riduce  dunque  Hegel tutte le scienze filosofiche a tre: Alla prima, che
titolo: « universale partizione dell' Essere ». Dobbiamo  dunque  fermarci un poco ad esaminarla. Egli propone la
vocabolo, che è positivo, segna anche il negativo. Affine  dunque  di strigare la verità dalla rete d' innumerevoli enti di
altra sostanza o modi d' un' altra sostanza (1). Pretende  dunque  questo filosofo di ridurre ad unità le categorie di Kant,
negare ogni varietà, negare il fatto della varietà. Convien  dunque  dire che non si possono ridurre tutte le categorie alla
possessione o il nesso tra il possidente e l' idea. Convien  dunque  dire in che l' idea posseduta differisca dal possidente, e
e quella della relazione sono tre idee diverse in Dio,  dunque  vi debbono avere tre atti di possessione; e rimane a
di sè le percezioni delle cose a cui si riferiscono. Se  dunque  si pone in Dio l' idea dell' uno come suo modo, forz' è che
da cui si astrae e le percezioni di esse. Se si dovesse  dunque  dedurre le idee divine come fa il Cousin, converrebbe prima
nell' ente stesso; la formazione dell' ente astratto è  dunque  opera soggettiva della mente, laddove l' ente ideale è dato
negli accessori e nello svolgimento del loro sistema. E`  dunque  ufficio della filosofia, e propriamente della dialettica,
negazione della molteplicità e dell' accidente ». Tale è  dunque  l' opera a cui deve applicarsi il dialettico: distinguere
che si trovano nelle varie pere individuali. Quale è  dunque  il principio che moltiplica gli individui? - La loro
considerare gli effetti accidentali sensibili. La diversità  dunque  delle specie procede dalla relazione ontologica, che ha l'
sono informi, non sono enti compiuti; l' individualità è  dunque  un carattere essenziale dell' ente. Laonde la materia è un
il « concetto generico dei vari fondamenti sensibili ».  Dunque  la materia non si conosce che da ciò che ci ha dato il
anima, che si può moltiplicare e non dividere . La forma  dunque  dei corpi, la forma compiuta a cui risponde la specie, è
che essi hanno come termini del nostro spirito. Parliamo  dunque  di quest' ultima. Una tale individualità, che attribuiamo
e che d' altra parte così appunto lo costituisce. E`  dunque  una sintesi soggettiva del principio razionale l'
è il tutto assoluto, ma solo il tutto relativo . Le idee  dunque  degli enti, siano specifiche sieno generiche, si vanno
da lei diversi non sono che cause eccitatrici . Non è  dunque  l' uomo col sentimento naturale in comunicazione diretta
coi quali non comunica che per via d' intelletto. Dovendo  dunque  l' intendimento conoscere gli enti (poichè l' ente è l'
di essi di quello che tali segni lo possono menare; è  dunque  limitato nel suo conoscere a cagione della materia limitata
non rappresentano a lui i colori per modo veruno. Che cosa  dunque  dicono al suo intendimento? Quello solamente a lui fanno
costituisce una similitudine, ma una analogia . Che cosa è  dunque  l' analogia? che sfera di cognizione comprende? - L'
indole che nell' idea stessa percepiamo la sussistenza. E`  dunque  da distinguersi due operazioni, che fa la nostra mente
secondo l' analogia di tali entità conosciute. Non avendo  dunque  un vocabolo che esprima l' identità dell' essenza e della
linguaggio; ma esso non ha niente a sostituire; ci protegge  dunque  dall' errore, ma non ci somministra perciò altre idee ed
fino a tanto che non se ne ha esperienza. Continuando, noi  dunque  osserveremo: Che la coscienza non appartiene alla scienza
perchè l' uomo operante è sempre il principio (1). Se  dunque  l' uomo nelle operazioni della vita di riflessione è il
quello stato dell' uomo su cui non cadde riflessione; nega  dunque  quanto non entra nella sua sfera, quanto non è riflesso. E`
bene, che la vita diretta somministra. La vita riflessa  dunque  è più elevata, più luminosa, più attraente; ma non più
importanza alla sussistenza e felicità umana. Operano  dunque  i due principŒ attivi in presenza l' uno dell' altro, ora
e non è il piacere del sonno che già è passato. Quando  dunque  l' uomo appetisce di perdere la coscienza di sè stesso,
mezzo di mostrargli stima ed accaparrarmi la benevolenza.  Dunque  questo titolo mi è buon mezzo al guadagno che intendo fare.
questo titolo mi è buon mezzo al guadagno che intendo fare.  Dunque  io l' adopererò con costui, che mi si fa innanzi la prima
ad una unità di peso o di sacco di foglia. Non prendono  dunque  l' unità a regola, ma nella loro mente hanno segnati altri
è così difficile da investigare al filosofo. Vi sono  dunque  nell' uomo due maniere di cognizioni : l' una occulta a lui
a fine, in cui perciò riposa la sua attività. Qualora  dunque  si supponga, a ragion d' esempio, che l' uomo, che commette
di acciaio, od altro checchè possa essere. Dietro la guida  dunque  di tali affetti eccitati da diversi concetti o pensieri, l'
il suo cuore, ora con un ritratto, ora con un altro. Com' è  dunque  che ella protesta di non avere che un unico amante, e dell'
termine naturale all' umana intelligenza. Ora noi dobbiamo  dunque  continuarci a vedere che cosa ponga l' anima, in quanto è
quindi hanno degli atti transeunti in sè stessi. Quale ne è  dunque  l' origine? da quali cause procede? Le cause, per le quali
dall' immagine, due modi dello stesso sentire. I movimenti  dunque  del dimenar delle gambe che portano su quel luogo, dove
accadere in chi sogna di correre o di volare. Ritengasi  dunque  la distinzione di queste tre parti della catena di
hanno convenienza fra loro, non sono posti a caso; quale è  dunque  l' egregio pittore che abbia saputo suscitare nel sensorio
parti o anche dei colori che nulla rappresentano. Quale è  dunque  il principio unico, che lo determina a quel complesso di
dalla legge del più facile e del più piacevole. Egli pone  dunque  della sua attività reggitrice ed ordinatrice in questo
sensitivo sulle immagini che stanno per eccitarsi, qui ha  dunque  una parte grandissima. L' atto dunque, col quale l'
dell' atto precedente non in tutto cessato. Vi è  dunque  nell' animale un principio unico, rettore di tutte le sue
qui venire a trattare della regolarità oggettiva. Perchè  dunque  piace alla mente di contemplare ciò che ella trova
quelle serie, quantunque lunghe si vogliano. Nella regola  dunque  della distribuzione, che nell' esempio addotto sarebbe la
abbia anche la simmetria e la proporzione in sè stesso.  Dunque  il principio sensitivo non gode della simmetria e della
il godimento sensibile ha pur esso simmetria e proporzione,  dunque  gode di queste. No, perocchè quando si gode di una cosa,
non gode di sè, ma l' uomo per esso semplicemente gode. Se  dunque  nello stesso godimento, contemplato dalla mente, si rileva
e non un godimento di queste armoniche disposizioni. Sono  dunque  questioni assai disparate: Se il principio sensitivo goda
non gli recano l' effetto piacevole a cui egli tende; non è  dunque  dell' essenza, della ragione della simmetria, di cui gode,
veduto dall' occhio in natura non sbaglia giammai. Che è  dunque  a dirsi? Forse che il senso calcola veramente? Che egli
in una mente assai più perspicace della mente stessa. E`  dunque  a dirsi che non è il senso che trova quei risultati, ma la
secondo che queste leggi prescrivono. Qual meraviglia  dunque  che il senso abbia per termini suoi tali quantità così
mosse senza frastornarnelo. Il principio sensitivo non ama  dunque  questo ordine per sè, ma per avere agio a spiegare l'
diverse esistono in una stessa distribuzione di cose,  dunque  la detta regolarità viene costituita dai diversi sguardi
di estensione e di celerità in una proporzione costante. Se  dunque  quella corda fosse animata, ella stessa fosse un organo
nella società rozza, o troppo giovane ancora e severa. Dato  dunque  che questo senso e conseguente istinto siasi desto,
è, è il contrario dell' atto con cui un ente si annulla. Se  dunque  un ente è, conviene supporre che egli abbia un atto che lo
dal quale l' atto, come dicevamo, necessariamente ripugna.  Dunque  la ragione, per la quale l' atto non pone la forma dell'
determinazione e compimento di quell' atto medesimo.  Dunque  vi sarà la seguente legge: Legge dell' istinto vitale « L'
vanno suddivisi e collocati nelle due ultime classi. Come  dunque  raccogliere in una sola proprietà effetti di essenza così
e anzi aventi fra loro la più grande opposizione? Se  dunque  si vuole intendere per eccitabilità una proprietà unica, di
in quella maniera che altrove abbiamo spiegato (1). Rimane  dunque  che la eccitabilità browniana non possa essere altro che la
percorre certo stadio con successivi processi morbosi. Se  dunque  si considera la spontaneità motrice, tanto vitale che
Secondo la nostra teoria dell' istinto animale vi sono  dunque  quasi due sfere di fenomeni: la sfera dei fenomeni
extra7soggettivi, cioè dei movimenti e loro conati. Essendo  dunque  una la sostanza del corpo, non vi è ripugnanza a concepire
diminuire per le resistenze e spegnere del tutto. Non vi è  dunque  speranza di spiegare colle leggi meccaniche quel movimento,
La lotta apparente, che deve sostenere l' istinto vitale, è  dunque  di due maniere, l' una colla legge d' inerzia della
natura. La questione, su cui questi disputano, riguarda  dunque  la conciliazione presa nel secondo significato. Non
cioè al principio corporeo ed al principio sensitivo . Se  dunque  vi sono due cause di moto specificamente diverse, le quali,
le quali, perchè sono due, ubbidiscono a leggi diverse, è  dunque  vano il tentativo di levare ogni possibilità di lotta nella
che per questo il polmone si restringesse e si dilatasse; è  dunque  dalla vita; cioè il sentimento interno che si atteggia ed
il vivente si sente male, il suo sentimento soffre; cerca  dunque  di evitare questo disagio, e a tal fine promuove i
incontanente le dissoluzioni e composizioni chimiche.  Dunque  le molecole, di cui consta il corpo vivo, giacciono in
l' attività dell' atto vivificatore? (1). Qual' è  dunque  la legge, che limita la quantità dell' eccitamento nel
in un principio unico, e questo altresì sensitivo. Deve qui  dunque  chiamare la nostra attenzione quel consenso ammirabile fra
suppongono un principio al tutto ipermeccanico (1). Rimane  dunque  sempre a ricercare quale sia quell' unica forza che,
il sangue a ricorrere dall' estremità al cuore, ecc.. Che  dunque  i sentimenti, gli istinti conseguenti, e le emozioni che
ipotesi, un ente affermato gratuitamente, non più. Non è  dunque  provata l' esistenza di mere forze motrici; e perciò quando
sentimento, e che sia da sè sola un ente. Questa ipotesi è  dunque  viziata da molte parti, e se non altro in questo, che manca
nella natura è uno e semplice. [...OMISSIS...] (2). Si va  dunque  finalmente d' accordo, tanto in Italia quanto in Francia,
animali in extrasoggettivi e soggettivi . Movendo noi  dunque  da una causa, di cui è provata l' esistenza ed altresì la
certa e palese risulta a ciò pienamente idonea? Cominciamo  dunque  dal fenomeno delle simpatie, e prima di tutto determiniamo
materiale fra le parti della macchina umana (1). Noi  dunque  preferiamo di prendere la parola simpatia nel più esteso
se non col mezzo del principio sensitivo. Di questo solo  dunque  vogliamo noi parlare, lasciando affatto da parte l'
che suppongono l' esistenza di qualche sentimento. Qualora  dunque  si applichino degli agenti materiali ad un corpo animale,
. Una parola di più o di meno non fa la scienza. Se  dunque  noi consideriamo senza prevenzioni una funzione animale
all' animaluccio, che gli correva sulla mano. Bastò  dunque  che noi riscotessimo la sua attenzione, bastò che egli
al caso come quelle che seguono leggi fisse. Non mancava  dunque  a Barthez che un passo; gli mancava solo di trovare che il
agendo immediatamente sull' organo gastrico (1). Ritenuto  dunque  che nella serie dei fenomeni animali che si succedono nelle
cogli oggetti esterni, dei quali ella abbisogna. Giovandole  dunque  sommamente pei bisogni e necessità della vita che i
tali capricci e fa sempre ciò che gli conviene. L' azione  dunque  simultanea e uniforme degli organi simmetrici è dovuta all'
e simmetrica, sorga nell' anima un unico sentimento. Se  dunque  la simpatia degli organi simmetrici conviene riferirla all'
unico, e ad un unico sentimento una unica azione animale.  Dunque  l' atto dell' istinto vitale, che agisce in tutta l'
unica azione, benchè in diverse parti si manifesti. Non è  dunque  meraviglia se fra queste diverse parti si scorgano simpatie
dovrebbe propagarsi, senza interruzione, lungo i vasi. E`  dunque  mestieri ricorrere alle leggi dell' unico principio
messa in un unico sentimento di molestia e di piacere.  Dunque  se le due funzioni, che in parti diverse si compiono, sono
sensitivo e colle leggi naturali del suo operare. E`  dunque  vero che la natura erri, e che da questi errori nascano i
sua coscienza, che prima non cada nel suo sentimento. Dato  dunque  che l' anima, esperta di un fenomeno soggettivo, non avesse
o la sola percezione extrasoggettiva della gamba. Avendo  dunque  avuto i due fenomeni, e conosciuto che l' uno rispondeva
questi seguono quelli come una necessaria appendice. Quale  dunque  è il legame dei fenomeni extrasoggettivi coi soggettivi
altrettanto si accresca la perfezione del suo stato? Come  dunque  può darsi un grado di gioia e perciò di perfezione, che il
commendabilissime ricerche, l' immensa natura. Restringendo  dunque  noi il discorso a poco, moveremo da un punto di fatto
opporre resistenza al pieno effetto dell' istinto. Vi sarà  dunque  differenza fra i movimenti dei nervi secondochè i loro
è ciò che si chiama poi errore della natura medica. Che  dunque  l' intenzione della sapienza creatrice, nel legare i detti
della diatesi se non dell' originale eccitamento. Si può  dunque  dire, in generale, che l' istinto sensuale eccitato da una
dipendono pure dall' attività soggettiva. Qual' è  dunque  la legge di questa e la cagione del suo operare? Il
Ma egli è dato e posto in natura dal Creatore. Dato  dunque  un sentimento esteso, eccitato ed individualizzato, l'
pure nella cancrena, cessa ogni senso doloroso. Il dolore  dunque  è la lotta fra l' istinto vitale e la materia, ossia la
proporzionate alla grandezza ed intensità dello stimolo.  Dunque  cagione vera dei morbi non è l' eccesso, ma l'
poichè con uno stimolo anche maggiore ella non nasce.  Dunque  è l' inopportunità . Ma quando lo stimolo è inopportuno?
alterna delle sensioni e dei movimenti intestini può  dunque  essere resa più o meno celere, più o meno vigorosa senza
ad affezioni morbose per ogni più lieve cagione. Conviene  dunque  trovare il carattere dell' irritazione o alterazione
tempo, ma fra il breve e il lungo tempo. Non dipendendo  dunque  il corso morboso da eccesso di stimolo, ma da stimolo
corso, che il Tommasini giustamente chiama necessario . Può  dunque  lo stimolo essere eccessivo anche relativamente all'
evidenza dei fatti, già rasenta il vero soggiungendo: Non  dunque  all' eccesso dello stimolo, o al suo difetto, conviene
essergli così dannosa, gli potrebbe essere utile. Altro è  dunque  eccesso di stimolo, altro inopportunità; altro aumento di
malattia sarebbe un eccesso; la parola eccesso conviene  dunque  evitarsi. Per dimostrare maggiormente quanta differenza
operativa dell' altra nel sovvenire ai sofferenti (1). Se  dunque  il processo infiammatorio dimostra non soggiacere alla
è conforme il procedere della natura animale. Conviene  dunque  recare l' attenzione assai più sulle leggi dell' attività
attiva, a cui ubbidisce il principio animale. Ma si dovrà  dunque  escludere dalle cagioni di questo fatto il cambiamento
guizzo che alla passione sua è consentaneo? Se si scorge  dunque  nella fibra vivente maggiore mobilità dopo essere
corrispondente nello stato del principio vitale. Se  dunque  viene a cangiarsi l' organizzazione del corpo, anche il
cagione del moto, non agisce in lei; la sua eccitabilità  dunque  è una relazione passiva verso il principio movente, e non
facilitano o si difficultano i suoi atti, ecc.. Il fenomeno  dunque  della maggiore impressionabilità od eccitabilità della
Le varietà del detto corso zoetico negli uomini devono  dunque  riuscire assai maggiori che non quelle delle fisonomie;
che nell' uomo è intimamente associata all' animalità. Se  dunque  consideriamo l' animalità nell' uomo, il corso zoetico
superiore all' animalità, ed è l' intelligenza. La materia  dunque  e l' intelligenza sono le due cagioni, che nell' animalità
e gli altri sintomi di debolezza e concidenza? Il grado  dunque  di attività dell' istinto vitale viene diminuito od
i primi sentimenti , effetti dell' istinto vitale. Quante  dunque  sono le specie, le forme, i gradi dei primi sentimenti
Il sentimento fondamentale di continuità differisce  dunque  negli uomini primieramente per cagione dello stato in cui
di produzione, e dall' altra quello di continuazione . E`  dunque  un effetto che si riferisce ad entrambi gli istinti, che
che radicalmente sono un' unica attività. Se si considera  dunque  la conservazione di un sentimento come effetto dell'
dei sentimenti eccitati, passeggeri di lor natura. E`  dunque  a parlarsi del sentimento di eccitazione, affine di
le producono a continuarsi ed a ripetersi (1). Cerchiamo  dunque  prima di tutto il concetto, che è uopo formarsi degli
direttamente la forza dell' istinto vitale. Consideriamo  dunque  quelle sostanze materiali, che, applicate al corpo vivente,
inopportuno. L' inopportunità dello stimolo non consiste  dunque  nell' essere la materia stimolante estranea al corpo, ma
presa questa parola in senso latissimo. Anche la nutrizione  dunque  si fa per via di stimoli; il corpo che deve passare in
di tutte le forze brute, è causa di moto perpetuo. Se  dunque  il moto dell' istinto sensuale va a cessare, ne sono causa
la continuazione dei moti eccitatori. Si deve considerare  dunque  come primo anello del corso zoetico quello che si compone:
una può servire reciprocamente di fondamento all' altra. E`  dunque  necessario anche rispetto alle sensioni di osservare, in
suscitati dall' azione dell' istinto sensuale; questo  dunque  di nuovo influisce immensamente a ingagliardire o
la natura cerchi così di restituire l' equilibrio. Rimarrà  dunque  a vedere se nella somma degli stimoli accresciuti e
dell' animale, l' andamento del corso zoetico. Da che  dunque  dipendono le varie forme specifiche e i vari gradi della
non è che un atto del sentimento di continuità. Sottratto  dunque  alla nostra coscienza il sentimento fondamentale di
di cui il soggetto è pure lo stesso principio sensitivo.  Dunque  le varie forme di sentire dipendono dalla speciale natura
tutti gli atti e tutti i modi, di cui egli è suscettivo;  dunque  nel principio sensitivo si contengono virtualmente tutte le
della vista, o nell' essere offesa da soverchia luce. Non è  dunque  a dubitarsi che, trovandosi dovecchessia i nervi opportuni,
Questo grande aumento di sensitività visiva provenne  dunque  dagli stimoli accresciuti sull' organo della visione, e
se in queste malattie vi è un maggiore eccitamento, perchè  dunque  si mostrano quasi insensibili e resistenti all' azione di
d' un movimento animale conseguente (1). Ritornando  dunque  al principio generale, ripetiamo che « il maggiore o minore
perchè la trova scossa dalla maggiore azione del sole. Pare  dunque  che si deva piuttosto dire che le fibrille percosse dalla
e le dosi e la maniera di amministrarli. Si separino  dunque  gli idioti dai veri empirici, e tosto i medici s'
sieno rigorosamente logiche. La questione non verserà più  dunque  sul metodo, il quale diverrà unico e completo, ma sull'
a gabbo, anzi superiore alle forze umane ». Lo studioso  dunque  dell' arte medica si può prefiggere due scopi: l' uno di
Ora come dedurla da così difficili congetture? Si può  dunque  conchiudere, senza temerità, essere impossibile stabilire
e gli stimoli interni che ella produce. L' effetto  dunque  dipende dalla proporzione fra l' aumento dello stimolo
addebilita; coll' altro, stimolando, l' eccita e rinforza.  Dunque  lo stato della parte deve venir determinato non dal solo
agli stimoli meglio d' una sostanza inanimata. Posta  dunque  un' attività vitale tanto nelle vene, quanto nelle arterie,
ora meno, ora più facile, ora più pesante. Si dovrebbe  dunque  ricorrere all' attività vitale, come a prima cagione dell'
suppurazione. Prima che si dissolva e muoia, egli vegeta  dunque  in un modo indipendente, e non più armonico colla
alla vita, conduce alla morte. La somma importanza  dunque  d' impedire che questo processo, che sembra [...OMISSIS...]
addurre l' esito fatale che altrimenti minaccia, si è che  dunque  l' infiammazione è malattia consistente in eccesso di
infiammazione, sia robusto e di eccedente vitalità. Affine  dunque  di salvare i medici analitici da questo assurdo, che non
attende alla descrizione e definizione che se ne dà. Come  dunque  si definisce cotesta robustezza o debolezza patologica ,
forze, ma perchè vi sono in esso forze nemiche. Non si può  dunque  conchiudere che il male stia in un soverchio di robustezza
eguali giovò il tal metodo curativo, e nocque il tal altro.  Dunque  è d' attenersi a quel metodo, evitando questo. Il
Il tal metodo curativo diminuisce o distrugge queste cause.  Dunque  il tal metodo è opportuno alla cura del presente morbo.
il liquore, restringendosi il tubo, debba salire. L' azione  dunque  del freddo e del caldo nel primo istante si comunica al
prodotti dallo stesso agente. Il fuoco dilata; e perchè  dunque  restringe una palla di molle creta? Perchè la palla di
una impetuosa colonna d' aria, lo spegne. S' ingannerebbe  dunque  colui, che considerasse nell' aria una sola di queste due
quando non può aversi la certezza ». La medicina sintetica  dunque  è soccorsa da quelle regole medie complesse, che vedemmo
movimenti e delle sensioni provocate. L' istinto animale è  dunque  quell' arbitro, quel regolatore, che equilibra od accorda
l' iride abbrunita, la figura della pupilla alterata. E`  dunque  evidente che l' attività dell' istinto vitale, avvivando il
d' essere l' una dall' altra colla mente distinte. Come  dunque  definiremo e descriveremo quella robustezza e quella
di forza nell' azione del principio vitale non costituisce  dunque  la malattia, ma può esserne la causa; e lo è di fatto, ogni
d' un altro veramente forte, tranquillo e quieto. Vi è  dunque  in qualsivoglia malattia debolezza e forza. Vi è una
del corso zoetico, che si rende finalmente esiziale. Posto  dunque  che la malattia sia avvenuta mediante una irritazione ,
o di accrescere la robustezza del principio vitale. Resta  dunque  a cercarsi: Se forse l' azione bellicosa, producente una
cioè se i moti parziali non hanno unità (1). Il sentimento  dunque  si atteggia necessariamente ad unità, come il modo a lui
come il modo a lui più naturale e più soddisfacente. Se  dunque  si considera l' istinto animale in sè stesso, non si trova
debolezza del principio motore, che è l' istinto sensuale.  Dunque  questo partecipa dell' affezione del principio intellettivo
produce i movimenti intestini delle molecole animate. Se  dunque  i movimenti provocati sono contrari fra loro, sicchè l' uno
e la debolezza comparativa, di cui parliamo. L' attività  dunque  dell' istinto animale si può concentrare in una località, e
od anche restringendola, ove sia di soverchio dilatata. Se  dunque  il freddo è debilitante, dove egli s' applica, ivi l'
l' attività dei vasi interni delle dette membrane; debbono  dunque  i fluidi affluire dall' esterno all' interno (1), ed ivi
applicati ad arbitrio al corpo sano od infermo. Noi  dunque  esporremo prima le leggi generali delle località , che
il principio senziente, è proporzionata al sentito. Se  dunque  nella sfera del sentito varia la qualità del sentimento e i
disarmonie ed apparenti contraddizioni (1). Le località  dunque  appartengono al corpo percepito in modo extrasoggettivo e
quello, benchè fenomenale, e non questo, benchè reale. Come  dunque  riferiamo noi le sensioni soggettive alle località
sensione molteplice dell' universo esteriore. Le località  dunque  si riferiscono a questo corpo percepito così nelle nostre
e figura, senza alcuna precisione e distinzione. Rimane  dunque  solo a cercare come le superfici sensibili, a noi
cade nel sentimento il movimento attivo (2). Il movimento  dunque  delle superfici sentite, questo movimento sentito anch'
toccandosi la ferita, e cessa col medicarla. Uniamo  dunque  il dolore colla causa che l' ha prodotto, e che lo rimuove.
la qual causa è organica, ma non sensifera. Le immagini  dunque  ci restano come campate in aria, o, per dir meglio, esse
sensoria senza che ella si disorganizzi, spiegherebbe  dunque  il perchè dove viene applicato lo stimolo, ivi esista
mero fenomeno, oltre il quale non possiamo andare. Rimane  dunque  solo a constatare e descrivere il fatto dell'
il principio attivo senziente deve essere il medesimo. Pare  dunque  che al principio senziente, della cui attività sono modi le
rimane più imperfetta, come di tutte è più ricca. Trovammo  dunque  nella semplicità dell' anima una molteplicità, organata ed
di sospingere pure la nostra navicella. Volendo noi  dunque  svolgere e descrivere le leggi, secondo cui operano
da noi raccolto. I nostri lunghi ragionamenti ci avranno  dunque  condotti alla porta del giardino, senza potervi entrare? E
investigare, è la destinazione stessa dell' anima. Perchè  dunque  fermar qui il passo? Perchè chiudere questa opera, senza
di Dio e il concetto di ciò che è divino. Dimorando  dunque  l' anima intellettiva nell' essere divino e sempiterno,
le acquista tutto ciò che ella può acquistare. Ragionare  dunque  convenientemente e, in qualche modo, pienamente della
almeno da te qualche ricambio, che gioverà a me stesso. Io  dunque  narrerò i pensamenti e le opinioni principali sulla natura
naturale della ragione si è la percezione dei corpi;  dunque  l' oggetto di questa, il corpo, doveva essere altresì
altresì per l' assurdità della dottrina sociale; rientrò  dunque  in sè per sorreggersi; e permettendo un tanto male,
. Ora i numeri non sono che idee astratte; se  dunque  la mente è un numero, essa mente, ossia l' anima
trovarsi l' unità? Nella mente. [...OMISSIS...] . Poichè  dunque  la mente considera molti individui con una sola e medesima
congetturata da lui che da quel filosofo espressa (1). Come  dunque  Platone e i Pitagorici spiegarono i numeri di Pitagora,
spirituale, la quale professava appunto tale dottrina;  dunque  egli va inteso secondo la maniera di pensare di questa
Calcidio dice espressamente: [...OMISSIS...] : non è  dunque  una sentenza trovata da Empedocle, ma da lui seguita. E
ma da lui seguita. E ancora: [...OMISSIS...] . L' anima  dunque  ha in sè la similitudine degli elementi, non gli elementi
cioè di idee, come indubitatamente fece Platone. Seguita  dunque  così: [...OMISSIS...] Su di che ci si presentano a fare
che « « ogni cosa si conosce colla sua simile » »;  dunque  gli elementi erano simili a questi, non erano adunque
e ben si sa che per il simile Platone intende l' idea.  Dunque  trattavasi di elementi ideali, nei quali solo veramente
lei. Ma le parti assegnabili in un continuo non hanno fine;  dunque  le parti continue, che si possono assegnare, non cessano
parte non cessa di escludere da sè ciò che non è dessa,  dunque  ella stessa non si trova giammai; se non si trova giammai,
può esistere. Ma la natura del corpo sta nel continuo;  dunque  per sè solo il corpo non esiste. Ma se voi aggiungete un
ma in relazione essenziale col soggetto. Nella mente  dunque  (che era per essi il detto soggetto) sta il fondamento del
dalla mente e in relazione colla mente (2). L' essenza  dunque  del continuo, che nell' idea si contempla, è quell' unità
che in esso nascono, alle cose materiali e sensibili. Come  dunque  abbiamo fatto dell' argomentazione degli antichi savi di
non è che una relazione di più sostanze juxta7positae ; che  dunque  la sostanza, se vi è, deve trovarsi negli elementi, cioè
perchè un punto matematico non ha durata alcuna; ella  dunque  durerebbe niente; e ciò che non ha alcuna durata, non è
istante, in cui ella fu annullata, il che è contraddizione.  Dunque  in un altro istante susseguente. Ma se l' istante, in cui
vi deve essere un tempo di mezzo, nel quale ella è durata.  Dunque  ciò che dura un solo istante è assurdo, perchè ripugna al
non dura nulla; perciò è cosa assurda, come si dimostrò.  Dunque  il solo universo materiale, senza la mente che ne contempli
tutto si genera, ossia il soggetto di tutte le mutazioni, è  dunque  la madre, e di essa dice: [...OMISSIS...] . Dove il grand'
il volgarizzamento di Dardi Bembo: [...OMISSIS...] . E`  dunque  un cavillare quel di Aristotele, dove dice che il movente e
della vita e sostanza divina (2), come io credo. Se  dunque  l' amicizia di Empedocle è l' unità intelligibile, convien
tutte quelle forme, la quale fosse uno in tutte le forme:  dunque  il tutto era uno. Ma venne tosto appresso l' altra
di Empedocle è di fuoco, come quello di Eraclito (1);  dunque  non è informe. Di più, lungi da esser materia inattiva, che
«sphairos» la forma della maggior perfezione, non poteva  dunque  essere una materia che dal non avere alcuna forma ricevesse
e informato, e, secondo le idee degli antichi, perfetto;  dunque  il primo di questi soli non si può intendere del caos
alla lingua poetica usata dall' Agrigentino? Sembra  dunque  che per quest' altro emisfero, dove sta il vero sole
che non si conosce il simile se non pel simile. Non sembra  dunque  consentaneo che nella mente suprema l' Agrigentino
se fossero tali per essenza, non si cangerebbero. Deve  dunque  esservi un quid sostanziale, che non sia niuno di essi, ma
sentimento fondamentale (forma extra7soggettiva). Avendo  dunque  l' uomo, come essere sensitivo, la forma dello spazio a sè
a Platone come una cotal forma dell' anima sensitiva.  Dunque  nella composizione dell' anima platonica non entra corpo
di Platone, tratta dal moto che questi le accorda. Convien  dunque  sapere che, movendo Platone dal principio dei Pitagorici,
e però svanisce del tutto la censura aristotelica. Rimane  dunque  a vedere soltanto, se noi abbiamo fondamento di attribuire
l' esteso continuo esiste pel semplice, in cui dimora ». Se  dunque  si considera tutto l' universo al modo di Platone come un
a questa: « Le cose percepite dal senso sono esterne,  dunque  non sono il senso; le cose percepite dalla mente sono
sono il senso; le cose percepite dalla mente sono interne,  dunque  sono la mente, dunque ella le percepisce considerando sè
percepite dalla mente sono interne, dunque sono la mente,  dunque  ella le percepisce considerando sè stessa, e se cessa dal
assioma che contra factum non datur argumentum . Il fatto  dunque  da verificarsi è questo: « se la mente quando pensa una
altro, cose grandemente da sè diverse. - Non può negarsi. -  Dunque  pensa sè stessa senza saperlo. - Così è. - Il pensiero di
senza saperlo. - Così è. - Il pensiero di sè stessa è  dunque  un pensiero, che non ha coscienza di sè. - Appunto. - All'
senza che facciate veruna affermazione? - No, di nuovo. -  Dunque  se la mente vostra crede, sa, è conscia di concepire e di
è una modificazione o una funzione dell' anima vostra ». E`  dunque  più chiaro del sole che il preteso argomento dei
le sensazioni non sono che modificazioni dell' anima; che  dunque  i corpi non sono che modificazioni dell' anima stessa:
considerate come produzioni della natura umana; gli oggetti  dunque  del pensiero venivano dall' uomo, nè l' uomo poteva più
non potersi negare che l' anima non possa uscire di sè,  dunque  conoscere tutto in sè stessa; ma non potersi neppur negare
comune ammetta che l' uomo conosca cose diverse da sè;  dunque  tale credenza dover essere un necessario effetto delle
la verace esistenza di cose diverse dall' anima. Credette  dunque  che altro non rimanesse a fare alla filosofia, per condursi
rispetto alle orribili conseguenze del criticismo. Egli  dunque  incominciò, al pari dello Scozzese, ad accordare
Tutto ciò mi attesta la coscienza di me stesso. Se  dunque  esiste la rappresentazione, il che non si nega, deve
Gli errori generatori del sistema di Reinhold sono  dunque  i precedenti, a cui s' aggiunse uno suo proprio; non perchè
proposizione l' Io porrebbe un Io che già è posto; ella  dunque  esprime l' atto, con cui l' Io riflette sopra sè stesso, e
già precedentemente? Niuno fa atti prima di esistere.  Dunque  il pronunciare Io suppone l' esistenza anteriore dell' Io.
Io suppone l' esistenza anteriore dell' Io. L' Io  dunque  non pone sè stesso nel senso di Fichte. La ragione, per la
può essere uno dei due termini. Se l' Io produce il Non7Io,  dunque  produce ciò che non è Io, produce un' entità diversa da sè;
ciò che non è Io, produce un' entità diversa da sè; egli  dunque  od esce colla sua attività da sè stesso, ovvero, senza
lo stesso. Che se l' Io produce un' entità diversa da sè,  dunque  il celebre sofisma, su cui si regge tutto l' idealismo
una fa l' altra non è fare equazione coll' altra. Si abusa  dunque  di questa parola equazione. Oltre di che, l' Io limitante
un sistema senza ragione, sistema del caso cieco; lungi  dunque  di spiegare la scienza, anzi si pone che il mondo esista ed
sè stessi. Ma poichè rispetto all' altro Io, sono Non7Io,  dunque  sono posti due volte. Anzi ogni Io è posto tante volte
ostacolo, che poi cerca di vincere e superare. E` violato  dunque  il principio ontologico del fare dell' ente; e tutto ciò
a sè, vi è qualche cosa che non è sè . Qualunque cosa sia  dunque  il Non7Io, e da qualunque parte tragga la sua esistenza,
dell' Io, e però che non è eguale all' Io. Essendo  dunque  assurdo il fare una equazione fra l' Io e il Non7Io,
che pone sè stesso, e che pone il Non7Io. Se trattasi  dunque  di due apparenze, non v' è più luogo a distinguere nel
coll' Io, e rispetto all' apparenza si divide dall' Io.  Dunque  o sono due sostanze, o due apparenze. E nell' uno e nell'
egli è opposto all' Io, e l' Io è la coscienza. Il dire  dunque  Non7Io è lo stesso che dire Non7Coscienza. Dunque va a
Il dire dunque Non7Io è lo stesso che dire Non7Coscienza.  Dunque  va a terra il principio di Fichte che lo spirito,
essenzialmente coscienza, cioè Io, sia lo stesso Non7Io;  dunque  vi è qualche cosa che non è la coscienza. Ma il fondamento
sistema stava tutto nel ridurre ogni cosa alla coscienza;  dunque  il fondamento del sistema va a distruggersi nello
coi quali fu stabilita la prima proposizione. La ripugnanza  dunque  e l' intima contraddizione non può essere più manifesta. La
filosofo leonbergese non può essere più mortale. Schelling  dunque  riconosce che la coscienza non è essenziale all' ente, e
niuna cosa se non in sè stesso, si dovrebbe concludere che  dunque  egli non può produrre niuna cosa che fosse fuori di sè,
mezzo dell' infinito e dell' eterno stesso, conclude che  dunque  un' opera, che rappresenti la più alta bellezza, non può
come nella loro causa esemplare . Perchè si ammette  dunque  una proposizione, opposta alla dottrina di tutti i teologi
infinita; perocchè quella è eterna, e questa è contingente;  dunque  non si identificano. La differenza fra l' anima e il corpo
opera, che rappresenta la più alta bellezza. Dopo aver  dunque  distinto nel discorso: 1) il finito e l' infinito; 2) la
non potrà produrre altro che sè stessa. Un assurdo  dunque  si raddossa sopra l' altro. E poichè quella nozione è l'
(se fosse una nozione producente) che sè stessa!! Niente  dunque  rimane spiegato con un tal modo di filosofare. Che poi le
di sè, onde anche pronuncia sè stesso dicendo Io . L' Io  dunque  involge l' opera della riflessione e la coscienza, che ha
A questo lavoro s' accinse Hegel. L' Io di Hegel essendo  dunque  l' Idea, egli si occupò a descrivere come questa si
sempre, secondo il metodo invalso, dal dimostrare. Asserì  dunque  che la Ragione, ossia l' Idea (perocchè è continua la
pensiamo ad una cosa meramente possibile e non realizzata.  Dunque  il pretendere che l' Idea operi e si trasformi in altro, è
La più leggera osservazione interna ce ne convince (1).  Dunque  l' Idea non può patire alcuna passione, nè essere il
e sogni di sogni (quasichè il sogno potesse sognare). Posto  dunque  che la virtù trasformatrice di Hegel sia il pensiero, egli
e le sue operazioni si scorgono diverse dall' pensato.  Dunque  egli, soggetto pensante, non si può mai confondere con
a sè stesso. 3) Se l' oggetto pensato non è il pensante,  dunque  il pensante pensa cosa diversa da sè, e non è più vero il
fondamentale, idealismo trascendentale, soggettivismo). 2)  Dunque  fuori del pensiero non v' è nulla. 3) Dunque ciò che si
2) Dunque fuori del pensiero non v' è nulla. 3)  Dunque  ciò che si crede che esista fuori del pensiero, non è che
stesso, che produce il Non7Io, negando sè stesso. 4)  Dunque  le stesse idee sono produzioni del pensiero. 5) Ma il
tutte le cose. - Sistema del Nullismo. 9) Il pensiero ha  dunque  due termini: il nulla e il più alto grado di sua attività .
le cose, se non congiunge questi due termini; ella si deve  dunque  fermare a quel punto, nel quale il nulla diviene ente; e
dell' autorità filosofica, che vincola l' ingegno, essendo  dunque  succeduta l' ira, che lo acceca, ebbe luogo un' età, che
alla materia, in questo modo: [...OMISSIS...] . L' anima  dunque  è ciò che si trova in un corpo e che fa sì che quel corpo
si dà il nome, nel caso nostro, che sia un animale. Non è  dunque  un atto accidentale del corpo (3), ma è un atto specifico,
perchè non è atto di corpo o di organo corporeo,  dunque  l' anima intellettiva non deve essere forma di corpo,
è la specie, ossia forma del corpo: [...OMISSIS...] . Nega  dunque  all' anima intellettiva l' esser subbietto e materia, il
che è l' anima dei bruti, ma dello stesso genere. Che cosa  dunque  Aristotele intende per ciò che è eterno? Che cosa intende
l' un dall' altro i diversi tubi di un cannocchiale. Dice  dunque  che nel seme è uno spirito, e in questo è la natura, cioè
altro elemento, che nell' intelligenza racchiudesi. Vuole  dunque  che il corpo potentia vitam habens, cioè il corpo che ha il
ciò che aveva detto prima: [...OMISSIS...] . Rimane  dunque  a cercare che cosa sia questa mente, che viene dal di
la cui leggerezza fu già da noi dimostrata (3), dice che  dunque  è uopo che abbiamo qualche potenza di acquistarli. L'
officio di formare i principŒ del ragionamento. Ma qual è  dunque  la differenza fra il sentire e l' intendere ? Questa
del possibile, ossia nell' essere puramente ideale. Egli  dunque  seguita a dichiarare come la sensione si fermi nello
idee delle sensazioni avute, che rimangono in noi; si salta  dunque  dall' ordine del senso a quello dell' intelligenza, senza
si concepiscono, nella quale idea sta l' universale. Se noi  dunque  riassumiamo l' analisi delle cognizioni umane, fatta da
se non secondo il rispetto sotto cui si considerano.  Dunque  tutta la questione dell' origine delle idee e delle
proposta in niuna parte delle opere dello Stagirita. Rimane  dunque  a vedere come la sciogliesse, e già l' abbiamo indicato; ma
comune con un altro reale, con un' altra sensazione reale;  dunque  non vi è alcun comune, alcun universale nell' esterno
se non sull' ente reale sensibile già percepito. Conviene  dunque  spiegare la percezione, il che noi abbiamo fatto nel «
meglio più cose reali vedute nella stessa idea. Aristotele  dunque  poteva avere tutta la ragione nel distinguere l' unum in
mente paragonati, si scorga il comune. La differenza sta  dunque  fra il comune in sè, che è nei singoli reali percepiti, e
e così eliminandoli affatto dalla filosofia. Toglie  dunque  Abelardo a dimostrare che un nome comune, fino che è solo,
i nervi dal primo errore che l' ebbe ingenerato. Altro è  dunque  il razionalismo , altro il metodo che ne deriva, e che
mettendo fuori suoi tralci, e fiori e frutti. La tendenza  dunque  che inclinò i teologi suaccennati a scemare il guasto
filosofi, o, a vero dire, sofisti, di Berlino. Ella è  dunque  singolar cosa a vedere, che quei teologi cattolici, che
già non sono più peccati. Ma se non sono peccati,  dunque  l' uomo non è obbligato d' evitarli, dunque non ha bisogno
sono peccati, dunque l' uomo non è obbligato d' evitarli,  dunque  non ha bisogno della grazia, perchè senza la grazia è già
conseguenze dai sommi Pontefici fulminate; ma perchè  dunque  non si abbandonano altresì i principii ond' esse derivano?
della fazione de' teologi nostri razionalistici. Questi  dunque  parlano in quell' articolo com' essi fossero tutta l'
di soppiatto coi mezzi più illegittimi le fanno guerra. Se  dunque  si dovessero allegare i teologi italiani , questi per fermo
sperare, pe' fedeli, a cui vantaggio scriviamo. Quanto  dunque  al « « confondersi l' una cosa coll' altra, » » io dimando,
non ammette che un solo senso, e questo cattolicissimo.  Dunque  il finto Eusebio ed il C. non possono accusare di
diventan forse altre proposizioni di senso diverso? Mai no.  Dunque  non è il caso, in cui una proposizione venga all' altra
di parole fu adoperata altre volte dagli eretici.  Dunque  sembra che voi altri vogliate stabilire quella inesattezza,
la voce contrario . Ora noi parlavamo di proposizioni.  Dunque  l' osservazione del C. è vana. Conciossiachè non si possono
Propagatore nè il Rosmini ha mai insegnato nulla di simile.  Dunque  con questa falsità non fa il C. che accrescere il numero di
in pena d' altri peccati liberi che precedettero. Dimostra  dunque  prima, che peccano con volontà quelli che peccano
discendenti, sono peccati numericamente distinti (1). Se  dunque  sono distinti numericamente i peccati, devono esser
il peccato per la proposizione XLVI di Bajo condannata.  Dunque  dee esservi un volontario distinto che costituisce il
errate nel tirare da questo principio la conseguenza, che  dunque  l' uomo non possa essere peccatore PER NATURA. Vi avviene
della volontà, la quale forma parte della umana NATURA. Se  dunque  questa potenza riceve una QUALITA` E DISPOSIZIONE IMMORALE,
vale altrettanto che libero; conchiudendo poi, che  dunque  anche negli articoli di Bajo ella dee aver avuto questa
d' intelligenza, non solo ogni atto di volontà (2). Qualora  dunque  S. Tommaso restringe l' atto umano all' atto libero, si dee
dà sant' Agostino ad una obbiezione di Giuliano pelagiano.  Dunque  il C. attribuisce a sant' Agostino, che scrive contro i
a ragione dice il Bossuet, che [...OMISSIS...] . Ora chi è  dunque  costui, che, rinnovando gli sfregi fatti in altri tempi
S. Agostino quello nell' abuso, che Bajo ne fa. Separiamo  dunque  la cattolica verità annunziata dal S. Dottore, dall' errore
bajano della imputazione a un principio non libero. Perduta  dunque  di vista la distinzione tra la parte vera e la parte falsa
dogma infallibile della Chiesa. Sotto il nome di Bajanismo  dunque  i teologi razionalisti combattono anche il dogma dell'
eterna, se non venisse a salvarnelo il santo battesimo. E`  dunque  manifesto il reo effetto di stabilire il Pelagianismo col
se non vengono redenti dal Salvator col battesimo. Dobbiamo  dunque  dirgli di nuovo, come S. Agostino a' Pelagiani.
e quell' altro ancora: [...OMISSIS...] . Perchè  dunque  dichiarare bajana la dottrina, che fa i bambini soggetti
soggiunge immediatamente: [...OMISSIS...] . Egli vuol  dunque  far credere, che l' Accademia della Sorbona, abbia involto
come dicono i teologi, benchè sia peccatore. Costante è  dunque  la mira, a cui collimano tutti i sofismi di cotesto occulto
alla libera volontà d' Adamo che lo commise. E perchè  dunque  confondete la colpa, il peccato, la pena del peccato?
la dottrina della Chiesa coll' autorità della Chiesa. Se  dunque  debbo ripetere quel che ho già detto, sappiate che nell'
questi eretici razionalisti: [...OMISSIS...] . Trovava  dunque  giusto il gran Padre che conseguitasse la penalità a quel
, dirò anch' io con S. Agostino, [...OMISSIS...] . Se  dunque  viene imputata la colpa prima a' posteri, ella non vien
di Adamo, senza bisogno d' altro intermezzo (3). Egli è  dunque  il Pelagianismo, che sordamente introducono cotestoro, quel
e di senso insieme, ma adeguata al peccato suo proprio. E`  dunque  chiaro, che considerano la pena non come un' immediata
di nulla. Che se non c' è ragione d' applicargliela tutta,  dunque  nè pure una parte. Il che conferma quanto sia falso il
veduto giustificato pel peccato passato in essi. Rimane  dunque  la dimanda: come i fanciulli senza atto di libera loro
, (così scrive Raimondo Sabunde), [...OMISSIS...] . E`  dunque  una cotal legge della natura, che il corpo del generante
Adamo è già tolta interamente: non esiste più. Che cosa è  dunque  la causa efficiente, che mette in essere il peccato ne'
cui Adamo prevaricò, del quale è veramente effetto. Ecco  dunque  come tutti i mali morali e fisici dei posteri hanno
l' anello di mezzo, il peccato ne' posteri. L' attribuire  dunque  al peccato inerente ne' bambini la dannazione, non è mica
Vannetti appunto avvenutogli: [...OMISSIS...] Abbiamo qui  dunque  il giudizio uniforme di tre dottissimi uomini del Cesari,
come eretica l' opinione del Cattarino e del Pighio.  Dunque  anche quella degli anonimi nostri [...OMISSIS...] Con
fu costituito, ma rispetto all' ordine naturale? E` ella  dunque  cosa conforme alla natura dell' uomo, l' esser esso
che rimase in Adamo dopo la sua prevaricazione. Affine  dunque  di conoscere qual sia il peccato de' posteri si fa a
che allegano essi medesimi come autorevole. La sentenza  dunque  d' Alessandro Zorzi seguito dai recenti è una novità nella
della vita, e la vita dell' anima è la grazia santificante.  Dunque  il peccato non è altro, che la privazione della grazia
è per lui un vero interior disordine. Applichiamo  dunque  la dottrina intorno alla morte del corpo a spiegare la
perfezione naturale, come decise la Chiesa contro Bajo (2).  Dunque  la semplice privazione della grazia santificante non può
alla natura dell' anima che la renda peccatrice; verrebbero  dunque  con tale risposta a contraddirsi. 2 ragione . Col nuovo
nel vostro sistema, non significa peccato. Vi sfideranno  dunque  i filosofi a dar loro una definizione del peccato, che sia
preteso peccato. I filosofi da voi istruiti dileggeranno  dunque  la Chiesa, come poco sincera, poco verace, anzi frivola e
tuttavia, morendo, una sua natural beatitudine. Direte voi  dunque  di no: non vi resta altro. Ma certamente in tal caso
vero, anche dopo l' osservazione de' nostri teologi. Non ha  dunque  creduto il buon senso naturale dei savii del paganesimo,
e sapientissimo averlo creato, [...OMISSIS...] . Bene  dunque  argomentarono i savii del Paganesimo, e male assai a detta
stringe; se non c' è, il suo valore, è nullo. S' ella  dunque  è congetturale, non è tale che relativamente a quell' uomo,
che non sono quelle ch' essa mostra aver di presente. Non è  dunque  il presente stato dell' umanità quello di prima
sotto il fascio di colpe antiche; è disordinata e infelice,  dunque  è rea. Così i filosofi del Paganesimo (1); l' argomento è
(1); l' argomento è ridotto a dimostrazione. Avean  dunque  ragione, e con essi il senso comune. E con un testimonio
presentemente l' uomo aggravato [...OMISSIS...] . Anche noi  dunque  diciamo co' razionalisti biblici che l' uomo non ha alcun
negativamente avversi a Dio, [...OMISSIS...] . Nell' uomo  dunque  che nasce non v' ha alcun difetto morale, v' ha sola la
privo a cagion del padre, che gliela perdette. Non dipende  dunque  dalla cosa in sè, ma dal positivo decreto di Dio l' esser
e strettamente personale. [...OMISSIS...] Conviene  dunque  cercare, che cosa S. Tommaso intenda per giustizia
de' doni gratuiti? Sarebbe priva certamente. Non basta  dunque  che la carne sia priva de' doni gratuiti, e che la carne
Verbo, e il Cristo fu unto per libero decreto del Padre. Se  dunque  non era dovuta alla carne che il Verbo poi assunse la
solo non contrasse, ma nè pure dovea contrarre il peccato.  Dunque  il peccato non è la mera privazione della grazia; ma esso è
non fu quella di Cristo operata per ispirito Santo. Essendo  dunque  l' originale vizio ne' posteri e peccato e colpa, due cose
attiva, d' una mozione, e d' una mozione determinata. E`  dunque  manifesto, che S. Tommaso (a cui non si può negare il buon
pure v' ha il reato tolto coll' acque battesimali. Che cosa  dunque  resta, ci dicano, i nostri Anonimi? Nel loro sistema non
chiama l' accennato difetto naturale [...OMISSIS...] . E`  dunque  in se stesso una semplice limitazione della natura, non un
di necessità che la natura umana sia senza peccato. Se  dunque  il peccato si considera in Adamo che lo commise, egli è un
[...OMISSIS...] . Di entrambi questi amori rimasero  dunque  privi anche i posteri d' Adamo spogli della originale
non che Iddio potea creare [...OMISSIS...] (2). S. Tommaso  dunque  non insegna nel testo addotto che Iddio avesse potuto
è ciò che forma la parte material del peccato. Quando  dunque  nell' uomo non manca la prima parte, quando non manca la
perchè inclina al peccato; [...OMISSIS...] . Quando  dunque  S. Tommaso dice peccato a quel difetto col quale potrebbe
dell' anima, e mettono in essa un' inordinazione. Prova  dunque  S. Tommaso, che meritano il nome di COLPA anche quei
tutte le cose, nè naturalmente, nè soprannaturalmente.  Dunque  l' uomo creato da Dio con questa pugna, benchè non potesse
peccato; stantechè Iddio non può creare l' uomo in peccato.  Dunque  nè pure l' anteporre la creatura al Creatore sarebbe
peccato, se non dipendesse dalla libera volontà. Quello  dunque  che non è colpa, nè pure è peccato. Risposta . I teologi
nè l' indurrebbe mai necessariamente a peccato alcuno.  Dunque  l' uomo presente, secondo S. Tommaso, è moralmente guasto
volontà a Dio, Iddio non potrebbe costituire mai un uomo.  Dunque  cade l' obbiezione quinta (1): dunque è falso che Iddio
mai un uomo. Dunque cade l' obbiezione quinta (1):  dunque  è falso che Iddio potrebbe crear l' uomo con una tale
. Sarà ella questa la natura pura dell' uomo? Sarà  dunque  l' uomo, per condizione di sua natura, venduto al peccato,
non certo una condizione della natura stessa. Essendo  dunque  di presente legata la natura dell' uomo, essa natura
vece rispose accordando che [...OMISSIS...] . Ammetteva  dunque  tutta intera l' antichità, ammetteva con essa S. Agostino,
generosità di Cristo, ed alla sua gloria. Questa felicità  dunque  gratuitamente loro largita non può addursi a provare che il
e la bontà e l' amore di Cristo verso gli uomini. Lasciato  dunque  da parte quel che viene da Cristo come gratuito suo dono, e
esser generato, è un male morale , e questo necessario .  Dunque  si danno de' mali morali necessarii. Questo male morale
da un atto di libera volontà commesso dal primo padre:  dunque  il male morale è necessario nella sua prossima cagione, ma
dare moralità buona o cattiva, che sia necessaria. Questi  dunque  sono i due estremi. Che cosa sente la Chiesa cattolica?
di tutti i teologi cattolici e de' filosofi. Che la volontà  dunque  di sua natura abbia i due detti modi di operare il
originale, e ne riceve una macchia, una deformità (1).  Dunque  non si può negare, che il male morale che aderisce all'
e del prossimo . L' oggetto prossimo della legge vetante è  dunque  ciò che prossimamente produce la deformità della volontà:
prossimo per sè ed assolutamente la deturpa. Il male morale  dunque  è una deordinazione della volontà, la quale è tale in sè
più proposizioni, perchè [...OMISSIS...] . S. Tommaso  dunque  ha ragione, e han torto i moderni teologi che negano il
questa proposizione, che, secondo la Chiesa cattolica v' ha  dunque  un opus malum , il quale benchè ex natura sua sia malvagio;
bisogno della condizione d' una libera volontà. La Chiesa  dunque  condannò Bajo perchè egli distruggeva col suo sistema la
il movimento necessario della volontà (1). Attenendoci  dunque  al genuino senso delle parole di S. Tommaso, egli pone il
è nato ad essere in potere dell' uomo, [...OMISSIS...] .  Dunque  (ecco la conclusione) col peccato libero ci sono due
deformi più l' anima? Il dirlo sarebbe manifesta eresia.  Dunque  si deve considerare come eresia anche il pretendere, come
della volontà? Chi mai potrà disconfessarlo? Ci ha  dunque  un male morale diverso dal demerito; un male necessario,
speciali, ne' quali s' avveri o no quella necessità. Che  dunque  sia di fede in generale, che v' abbia realmente un male
fosse da Dio dovuta, e non fosse quindi più grazia. Pongasi  dunque  l' ipotesi, che Iddio, come potrebbe farlo, negasse ad un
crea nell' animo de' fedeli, [...OMISSIS...] (2). Egli è  dunque  di fede, che Iddio potrebbe con giustizia lasciare anche
suoi aiuti, implicitamente in quell' orazione dimandati. Se  dunque  gli atti della volontà (3) d' un infedele fossero
io definita la libertà per [...OMISSIS...] . Coll' esporre  dunque  le leggi psicologiche, secondo le quali si move la volontà
nostra sentenza così: [...OMISSIS...] . Il nostro teologo  dunque  C. P., dopo molti andirivieni, è obbligato a concederci
l' animo ben disposto . Da questo il Sig. C. induce che io  dunque  insegno tutte le azioni essere necessarie, quando si fanno
egli mi fa dire all' opposto che [...OMISSIS...] . Egli  dunque  non intese che l' abito buono non fu da me posto qual
espressa in quelle parole: [...OMISSIS...] . Dopo aver  dunque  il nostro teologo fatto supporre, che le condizioni da me
razionalisti per far prevalere il loro sistema falsificano  dunque  continuamente l' altrui. Il sig. C. giunge a scrivere così:
sono le sue parole: [...OMISSIS...] . Il nostro teologo  dunque  attribuisce ai dottori cattolici la sentenza, che non ci
cattolici l' affibbiarla loro? Vediamolo diligentemente. Se  dunque  fosse vero, che i Dottori cattolici, (il che è quanto dire
in fine sotto il nome di concupiscenza? Con qual verità  dunque  i teologi razionalisti asseriscono che i dottori cattolici
male. Ma col dire in tal modo un errore di più, saranno  dunque  assolti dalla condanna antica? Non credo io. Similmente s'
significa liberum , come contende il nuovo Teologo. Questo  dunque  appartiene ancor alla dottrina della Chiesa cattolica. Ma
del demonio e dalla loro propria concupiscenza. A torto  dunque  i teologi di cui parliamo sostengono, che le forze del
ha coscienza, benchè poscia ne sperimenti i vantaggi. Sia  dunque  messo in più chiara luce il medicinale effetto che viene
alla sua buona libera volontà. La giustizia originale  dunque  in una tale ipotesi, non potea esser più che una giustizia
. L' Angelico poi dice, [...OMISSIS...] . Si prende  dunque  acconciamente la parola concupiscenza anche a significare
anzi che peccato ella stessa (1). L' anima razionale  dunque  ed appetitiva dell' uomo, quando l' uomo è generato « si
tronchi escono i rami. Gli atti particolari, le volizioni  dunque  sono produzioni della potenza di volere; la potenza di
filosofico del grand' uomo, [...OMISSIS...] . Riassumendo  dunque  in poco ciò che abbiamo detto finqui intorno alla
è sostenuta dall' infusion della grazia. Quella tendenza  dunque  che rimane specificamente diversa dalla precedente allora
se il peccato originale è pel battesimo estinto. Acciocchè  dunque  chiaramente s' intenda questa espressione consacrata dalla
avanti il battesimo, e che col battesimo cessa. Che cosa è  dunque  la mala qualità della concupiscenza innata che forma il
legata nell' animalità. L' attività radicale dell' anima è  dunque  unica, perchè unica è l' anima, ed ella si comparte a
tramandataci da tutta l' ecclesiastica tradizione. Forte è  dunque  la volontà dell' uomo che nasce per volere il bene
ALCUNA astenersi dalle azioni peccaminose, non ha  dunque  necessità per viver bene del santo battesimo; anzi, secondo
non che provate con irrefragabili autorità, scrivendo io  dunque  piuttosto pe' fedeli non teologi, che si cerca ingannare
meritorio di vita eterna. L' uomo battezzato è  dunque  congiunto con Dio, che a sè solleva l' attività dell'
animale dall' altra parte a sè la deprime. L' attività  dunque  suprema dell' anima, mediante la grazia, viene innalzata
viene descritto dal Santo Dottore, [...OMISSIS...] . E`  dunque  ingiurioso alla grazia di Cristo, è ingiurioso ai dottori
a vivere giustamente, il che la Chiesa riprova (2). Convien  dunque  riconoscere da chi vuol tenersi nella dottrina della Chiesa
influisca e che può a sè prevalentemente attirarla. Se  dunque  avvenga in progresso, che fra il bene morale e il bene
dal sacrosanto Concilio, [...OMISSIS...] . Egli è  dunque  chiaro, che qualora si parli della sola volontà dell' uomo,
una veduta ristretta ed esclusiva la loro. Essi errarono  dunque  per non avere osservato che al di sopra della sfera della
non si può certo trovar la causa del male atroce. Altrove  dunque  si vuol cercare il vizio d' un' educazione che si fece
questa non può cadere, e però tutto il danno è suo proprio.  Dunque  parlo io così a suo favore; quanto ho scritto in quest'
savio, cioè prima ancora della metà del secolo XVI? Perchè  dunque  non approfittarsene? Quanto poi agli uomini di buona fede
Io v'ho detto: voi avete vita;  dunque  avete una legge di vita... Svilupparsi, agire, vivere
risultati dei progressi di tutto quanto il genere umano. È  dunque  non solamente come necessità della vostra vita, ma come una
colla vita dei milioni che vivono intorno a voi. Voi siete  dunque  chiamati all'associazione. Essa centuplica le vostre forze:
chi non sentiva come l'una agisse sull'altra; s'avvezzarono  dunque  a non contemplarle; s'adoprarono a staccar l'uomo dalla
mi dia lume a dirvi il vero e a farmi intendere. Dobbiamo  dunque  prima considerare che Iddio si trova in tutte le cose
la vita, e con questa sua operazione si trova in esse: esse  dunque  sono presenti a Dio che le conosce, ma Dio non è presente
questa anche qualche cognizione di sè stesso. Quest' uomo  dunque  non solo è presente a Dio, ma anche Iddio comincia ad esser
altri uomini, ma gli dà di più sè stesso. Per intendere  dunque  come Iddio sia presente nell' anima del giusto, conviene
come si può con qualche similitudine. Questa differenza è  dunque  simile a quella di chi conosce che c' è un cibo squisito,
tutti questi tre casi, la differenza è immensa. All' anima  dunque  che è giusta, cioè incorporata a Gesù Cristo e a lui
sono chiamati e consacrati al suo speciale servizio. Voi  dunque  e tutte le vostre sorelle in Cristo, e noi tutti, teniamoci
quel desiderio disordinato che si chiama ambizione. Non ho  dunque  bisogno di vedere nel vostro cuore per ammonirvi di questo
vostre parole: « ex fructibus eorum cognoscetis eos ». Se  dunque  vedo alcuno de' miei fratelli amare le cose basse ed umili,
vedere il disonore, dove non c' è alcun disonore. Vincete  dunque  l' amor proprio, deponete l' ambiziosa voglia che vi
come in un bene infinito, a cui non manca nulla. Conviene  dunque  che cerchiate di conoscere voi stesso, conviene aprire gli
infelice, lasciando che la passione vi acciechi. Ascoltate  dunque  la mia voce, e conoscete in essa il divino volere: amatelo
« charitas, gaudium, pax , ecc. (Galat. V, 22) »; è  dunque  un errore il credere che questi sentimenti e affetti
sensibili soprannaturali sieno contrari alla perfezione. E`  dunque  un errore anche il credersi obbligato in coscienza a
producono, e sono ad un tempo causa di essa ed effetto. E`  dunque  un errore il credere che, per essere perfetti, basti «
sia poco a quelli di Dio, ed anche meno del nulla. Molto  dunque  non si fa mai nella vita spirituale se non quando si fa
abbraccia quello colla più affettuosa semplicità. Convien  dunque  essere soprammodo gelosi di questa pace, e non permettere
gli affetti nella bella calma e serenità di prima. Tutti  dunque  abbiamo di ciò somma cura. [...OMISSIS...] Il terzo mezzo
non applica il proposito della sua libera volontà. Conviene  dunque  che consideriate come un vostro dovere, e un dovere
l' amore, diminuisce pure in sè la forza del bene operare.  Dunque  dilatiamo il cuore: noi siamo chiamati da Dio ad avere un
dedit mihi Pater, sic facio ». I perfetti ubbidienti  dunque  sono i veri unanimi di Gesù Cristo; e questi sono veramente
non li mettiamo noi, o se erriamo mettendoli. Desideriamo  dunque  sopratutto la maggior gloria di Gesù Cristo; e poi non
o vacillare nella fede, o mancare di rassegnazione. E`  dunque  necessario che si sappia, da chi prega per la salute
vi pare avere qualche cosa d' amor proprio. Mi domandate  dunque  circa questa specie di gioia interiore che voi ne provate:
buona azione, se non forse per via di congettura. Invece  dunque  di parlare di voi in particolare, credo che sarà meglio che
l' unione, la fruizione di Dio come del sommo bene. Si ama  dunque  l' oggetto degnissimo d' essere amato. Godere della propria
come dicevo, nulla di comune colla superbia. Che cosa è  dunque  quel piacere puramente soggettivo, di cui non si può dire
come stessero di virtù tutti gli altri uomini: si arrogava  dunque  di sapere quello che non sapeva, per innalzare se medesimo;
a professare la piena e sincera obbedienza; condannerei  dunque  il giudizio mio proprio, e abbraccerei con tutto il
» ». S. Agostino soggiunge: [...OMISSIS...] . Non è  dunque  probabile che io aspiri ad un tanto elogio. [...OMISSIS...]
essere da Dio abbandonati, e però si salvano. Conviene  dunque  che vi prefiggiate di fare frequentissimi ed anzi continui
ci troviamo agitati dalla stessa incertezza. E` meglio  dunque  dire al Signore: « Io non mi conosco, voi solo mi
« Io non mi conosco, voi solo mi conoscete; togliete  dunque  da me tutto quello che vi dispiace, e mi basta, vivo
la sua intenzione di perdonare senza limiti. Evitate  dunque  in ogni caso la soverchia tristezza che abbatte, e
Società ha più forza, non più diritti dell'individuo. Come  dunque  proverete voi all'individuo ch'ei deve confondere la sua
nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta  dunque  di trovare un principio educatore superiore a siffatta
d'onde imparereste a simpatizzare colla Società? Voi  dunque  avete bisogno che cangino le vostre condizioni materiali,
pensiero d'ingiustizia verso chi vi fu ingiusto. Dovete  dunque  cercare, e otterrete questo come mutamento; ma dovete
a fare, quanto è possibile, migliori voi stessi. Quando  dunque  udite dirvi dagli uomini, che predicano la necessità d'un
rischiara il tutto alle innumerabili intelligenze. Egli è  dunque  conforme alla natura del Cristianesimo di pigliar sempre a
costanza e sicurezza d' animo e d' intendimento. Intima è  dunque  questa relazione della mente e dell' animo, degli affetti e
al vero intendimento delle cose quasi li manuduce. Ecco  dunque  in questo ragionamento indicato il supremo principio della
c' insegna che è un onorarlo, e adorarlo, e invocarlo. Qui  dunque  s' intende primieramente esser dalla dottrina della
si può rinvenire nelle cose sensibili appagamento. Indarno  dunque  le passioni più violente diventano ministre di un
cerco di oscurare la questione; anzi di chiarirla. Concedo  dunque  che la facilità sia un pregio desiderabilissimo, ove ella
di ciò che confessano non conoscere) inutili. Sollevarono  dunque  gli uomini da un' improba fatica? Non fecero che
de' libri de' fanciulli sarebbe un fanciullo. Se  dunque  non basta questa qualità di sapere impicciolirsi alle menti
lui alla stessa impresa sono chiamati cooperatori. Allora  dunque  tale edificio può riuscire perfetto, quando una gran mente
il cuore dell' uomo, che è quanto dir tutto l' uomo. Sarà  dunque  meglio detto che in tutto il curricolo degli studi non ci
lo smisurato campo degli errori e dei sogni. La Storia  dunque  si può dire il veicolo della Filosofia, pel quale essa
si possa aspettare o la patria o la umanità. Di pervenire  dunque  a questo non è altra regola ch' io sappia, se non lo
giammai d' incorrere in alcuna contradizione. La vita  dunque  debbe rendere quell' ordine stesso, e quella unità in tutta
e lo rende atto a reggerli, temperarli e conciliarli. Credo  dunque  di non ingannarmi dicendo, che qualunque questione politica
in calcoli laboriosi l' utilitario più perspicace. E`  dunque  desiderabile, che anche la questione della libertà dell'
con cui s' acquistano tutti quanti gli altri beni. Se  dunque  l' uomo mette impedimento all' uso inoffensivo ed onesto
da lui che insegnerebbe, se non ne fosse impedito. E`  dunque  manifesto che c' è un diritto naturale sacro ed inviolabile
società insegnative che essi formano tra loro. Considerato  dunque  non nella sua possibilità astratta, ma nelle sue varie
l' ira che toglie loro anche più del giusto. Mentre  dunque  c' è tempo si studi il problema del diritto speciale d'
scuole; 5 I Comuni e le provincie; 6 Il Governo. Esaminiamo  dunque  il diritto speciale che può competere a ciascuna di queste
sono autorizzati e mandati dai Vescovi. Ogni qual volta  dunque  alcun altro, fuori di questi, pretendesse d' arrogarsi l'
che si dice Bibbia o Sacra Scrittura. Il primo diritto  dunque  più speciale della Chiesa Cattolica riguardo all'
loro le dottrine, il principale dei quali è la stampa. Se  dunque  la Chiesa Cattolica rinviene in tutto ciò qualche cosa che
è, che ciò che s' insegna non sia erroneo e pernicioso. Se  dunque  la Chiesa veglia sulla dottrina, e impedisce che s' insegni
e merita il titolo di Governo al sommo illiberale . Salvi  dunque  gli accennati diritti della Chiesa intorno alla rivelata
Infatti il diritto è sempre una facoltà d' operare: dove  dunque  manca la facoltà fisica, manca il diritto, che è una
dottrina di Cristo, perchè sola la possiede in proprio. Che  dunque  i dotti abbiano un naturale diritto d' insegnare, non fa
il Governo lo impone, non si sa chi lo imponga. Quelli  dunque  che mettono qualche impedimento all' esercizio del diritto
tutti gli altri cittadini sieno perfettamente ignoranti. Se  dunque  questo non si può supporre, rimane, che il Governo col suo
di esaminatori e di giudici degli altri dotti. Il Governo  dunque  in questo sistema chiama per la necessità della cosa molti,
egli stesso contribuito a renderla tale. Cotesti Governi  dunque  alla ferula, che gli antichi maestri usavano cogli scolari,
« Io ho il diritto d' eleggere gli istitutori ufficiali:  dunque  posso eleggere chi voglio, e niuno può lamentarsi ». A
e la miglior scelta è quella de' più dotti e idonei.  Dunque  quest' è un dovere giuridico del Governo civile. Ammesso
hanno molti pregiudizi imbevuti nel tempo passato. Conviene  dunque  per ora privarli di quella libertà, fino che sieno formati
i padri di famiglia acquistino sentimenti liberali? In che  dunque  fate consistere questi sentimenti liberali, che volete
che non sono ancora divenuti come voi liberali? Non volete  dunque  la libertà, se non a favore di quelli che sono liberali
e che dicono effettivamente i più assoluti Governi. Voi  dunque  avete l' assolutismo nel cuore e nella corata; e potete
propria libertà, questa non varrebbe loro cosa alcuna. Se  dunque  un tal Governo giudica ed opera di buona fede, potrà
diritto? E` questo un essere coerenti ed onesti? Volete  dunque  fare servi e schiavi tutti i padri di famiglia, per
pretendete di fare la legge, e che essi la subiscano. Se  dunque  le opinioni intorno all' opportunità vanno divise, quale
quella che impera nella società, ma la forza. Volendo  dunque  sostituita al diritto l' opportunità, che cosa fate, se non
la loro confidenza nel clero regolare e secolare: è  dunque  opportuno impedirlo, acciocchè l' insegnamento diventi
e da queste continuamente divisi e distratti. Non rimane  dunque  per venire a capo di secolarizzare l' istruzione e l'
e di non impedire la loro libertà di esercitarli. E` vano  dunque  sperare d' ottenere una sincera e piena libertà d'
atto di barbarie secondo l' opportunità . Non c' è  dunque  qui il giusto mezzo: o il rispetto del diritto deve essere
di quello di maestri e d' istitutori della gioventù. E`  dunque  a stabilirsi prima di tutto questo principio, che i maestri
de' limiti? Ripetiamo che nessun diritto ne è senza. Quali  dunque  sono? Non si dà diritto d' insegnare se non entro i tre
cose oneste , e in un modo inoffensivo . Questi benefattori  dunque  sono obbligati di scegliere i maestri e gl' istitutori tra
insegnare cose oneste, e in un modo inoffensivo. I diritti  dunque  de' benefattori devono essere conciliati con quelli della
dotti lo stabilire i metodi dell' insegnamento. Non devono  dunque  i benefattori imporre a loro arbitrio il metodo che seguir
che « l' esercizio non impedito del diritto ». Facciamo  dunque  cenno di due soli de' diritti del Governo, riservandoci a
imperfetti, a malgrado che niuna legge li proibisca. Poste  dunque  queste provvidenze governative, non vedo che difficoltà ci
manifestate con un segno e una prova esteriore. Convien  dunque  che distinguiamo la classe de' benefattori da quella degli
quelli che ne traggono a se stessi guadagno. Quando  dunque  sia dimostrato, che le scuole non danno compenso alcuno al
costui deve computarsi tra gli speculatori. Per speculatori  dunque  intendo solo quegl' individui o persone morali che,
si forma, ma piuttosto si disforma e corrompe: s' avranno  dunque  giovanetti pieni di vanità, con un sapere indigesto e
manca la stampa, non mancano i giornali, non mancheranno  dunque  gli elogi ampollosi e mendicati. Così sorge una celebrità
ma prendono necessariamente un' indole personale. Proibendo  dunque  la speculazione sull' educazione e sull' istruzione della
negli inconvenienti che abbiamo sopra notati. La concederà  dunque  a condizione che lo stabilimento non abbia mai per capo lo
alle pedanterie, alle formalità burocratiche. C' è  dunque  tanta difficoltà a impedire gl' inconvenienti, che possono
influenza d' un corpo di persone immutabili. Converrebbe  dunque  secondo noi: 1 Che quelli a cui è commessa l'
il Consiglio provinciale e altro la Provincia. La questione  dunque  si riduce a quest' altra: « Qual è il diritto circa l'
atto, agli ulteriori progressi della società umana. Noi  dunque  tratteremo la nostra questione partendo dal principio che
sul medesimo suolo, e in una continua relazione tra loro: è  dunque  naturale e necessario, che essa abbia un capo e un
parte indipendente dal Governo generale. Si dee concepire  dunque  il Consiglio provinciale come un semplice organo e un aiuto
sia il concetto del Consiglio Provinciale. Consideriamo  dunque  a parte il diritto dell' autorità comunale e il diritto del
individui, che compongono la società a cui presiede. Non ha  dunque  nè il diritto nè l' ufficio d' impedire l' attività dei
circa l' istruzione e l' educazione. L' autorità comunale  dunque  non può intervenire in quelle scuole e istituzioni d'
che non sia la noncuranza de' medesimi. La necessità  dunque  che l' autorità tutoria del Governo eserciti una continua
se così si vogliono chiamare, del Comune. Vediamo  dunque  una disposizione utile, che il Governo obblighi i Comuni,
comunali: queste devono informarsi da altre: non giova  dunque  lasciare, che l' elezione dei maestri dipenda da
a favore della provincia che rappresenta. Non crediamo  dunque  che gli possa competere, in virtù del concetto della
s' unisce a certi tempi secondo il bisogno. Noi crediamo  dunque  conseguentemente, che ad esso, come tale, non ispetti
acciocchè non nascano equivoci, dee chiamarsi licenza . Se  dunque  il Governo civile vuole essere un Governo liberale, e si
usurpi su di quelli cosa alcuna, ma li seguiti. Riguardo  dunque  a quello che un Governo di tal natura può fare circa l'
tolleranza entro una certa sfera d' azione. Avendo noi  dunque  distinte cinque persone giuridiche aventi ragione d'
chi non l' ama, l' odia cordialmente. [...OMISSIS...] Tosto  dunque  che noi abbiamo parlato de' diritti, che ha la Chiesa
relativamente all' insegnamento non cattolico. Abbiamo  dunque  detto, che alla Chiesa Cattolica, cioè al Papa ed agli
la facoltà che noi abbiamo lasciata anche ai laici. Senza  dunque  trattenerci a rispondere all' autore di quell' articolo,
la larva si copre uno avvezzo a maneggiare la ferula. E`  dunque  necessario che rintuzziamo, non dico le villanie personali,
errori insinuati nel pubblico con tanta pervicacia. Dice  dunque  l' articolista (2), che la nostra teoria della libertà
e governati, e non a inventarne una nuova. Argomentammo  dunque  non esserci bisogno, e non essere neppur possibile, che il
ciechi, che condurrebbero altri ciechi nella fossa. Come  dunque  sarebbe ridicolo il concedere al cieco il diritto di vedere
della volontà di Dio » ». Ogni diritto di natura  dunque  si riduce a poter insegnare una dottrina contraria alla
colla sola dottrina religiosa del divino Maestro! Ci sono  dunque  degli uomini, a cui sembra che si tolga loro la terra sotto
nuova e a distruggere la vecchia. [...OMISSIS...] Ha  dunque  ragione in questo senso l' articolista, lo ripetiamo: colla
per mezzo degli operai da lui mandati nella sua vigna. C' è  dunque  una umanità vecchia, figlia della corruzione, e c' è una
sono venuto a portare la pace, ma la spada » » (1). Alcuni  dunque  prendono partito per la prima e ne vantano il diritto di
l' abbominio o le risa del suo sensato lettore! Gesù Cristo  dunque  si sarà limitato a insegnare a' suoi discepoli un solo
[...OMISSIS...] Non può esser più chiaro: questo potere  dunque  si estende a tutta la morale. Che se deve la Chiesa
delle leggi quant' elle mai possono essere, a lei  dunque  è commessa « « la scienza di tutti i doveri e di tutti i
con altre cosarelle, che non sono morali. Qual meraviglia  dunque  che poi dicano superbamente alla Chiesa Cattolica: « E che?
gli abbiamo cancellati, e però non sono più doveri. Siamo  dunque  anche noi maestri di morale. E però è conseguente che ci
nostra tesi, che vi eccitò lo sdegno. Che mai vi giova  dunque  l' aver profanato il nome, col citarlo sì fuor di
superiore ad ogni altra. Tutte le potestà della terra hanno  dunque  un assoluto dovere di rispettarli. In questi Stati poi, ne'
dell' inventario ed aggravò di nuovi debiti. Non può  dunque  eccitare meraviglia quell' astio profondo, quel livore che
leone domandasse guarentigia all' agnello. Le guarentigie  dunque  lo Stato le ha già, e le deve avere nella sua forza, ed è
non perturbi l' ordine della giustizia. Le guarentigie  dunque  che si domandano non sono fisiche, ma morali, le quali
della libertà umana quelli che la diffondono. A favore  dunque  e a nome dell' errore e della morte si domandano
che la Chiesa offre a lui nella sua stessa dottrina? Qual è  dunque  la dottrina del Governo civile? Niuno lo sa: niuno sa qual
Governi casualmente, e temporaneamente prevalgono. Non sarà  dunque  cosa ragionevole e desiderabile che il Governo, che per sua
delle guarentigie contro l' abuso ». Dall' intima natura  dunque  di questo sistema di governo nasce la necessità delle
il giudizio e il magistero della fede cattolica. Pretendete  dunque  di essere giudice e maestro d' una dottrina religiosa che
se voi, o Governo, non siete giudice e maestro, dovete  dunque  subire il giudizio di quella potestà, che ha ricevuto la
quale supporrebbe nientemeno che l' infallibilità. Operano  dunque  cotesti Governi contro la propria coscienza; sanno nel
che le attalenta. Ecco la necessità delle guarentigie. E`  dunque  ragionevole, che il popolo cattolico ne domandi al potere
e morale dell' insegnamento ». Questa guarentigia non è  dunque  data solamente alla Chiesa, ma è data ai popoli, ed è una
che la rendano viva ed efficace nella pratica. Per riguardo  dunque  all' insegnamento, a quale condizione si potrà dire, che il
temporale di Roma, e altro la Santa Sede Apostolica? Se  dunque  avete da fare, a ragion d' esempio, un trattato di
che non soffre siano messi limiti a' suoi arbitrii. Quando  dunque  il Papa vi dice sull' autorità ricevuta da Gesù Cristo: «
leali, e non confondono a bella posta le idee. La scusa  dunque  di non voler dipendere da un principe straniero svanisce da
ingannare e confondere l' opinione popolare. Per riassumere  dunque  in poche parole quello che dicevamo, il segno sicuro, al
giovare a' traviati, i quali non ammettono altri argomenti.  Dunque  è necessaria una filosofia, ecc.. Che se si volge lo
debbono essere anche la guida del filosofo. - Convien  dunque  dirigere la filosofia al fine dell' uomo - la moralità -
rende evidente la verità e la necessità della morale. - Se  dunque  dividiamo la Filosofia in due gran parti, nell' Ontologia e
, perchè quello non è che una realizzazione di questo:  dunque  nè pure la percezione coll' intuizione. Ogniqualvolta
si è provato, coll' intuizione che adduce necessità. Sono  dunque  erronei tutti i ragionamenti che negano la percezione.
trattare coi lettori più riverente e più dilicato. Poniamo  dunque  di dovere scrivere un trattato sull' uomo: non è possibile
lume di ragione, che le metta a profitto del sapere. Ove  dunque  si abbia una definizione vera, sebbene imperfetta, la quale
nella sensazione? non la possono vedere perchè non c' è.  Dunque  pronunziano quello che non vedono, quello che non sanno, il
Il conoscere ed il sentire sono fatti interni. Convien  dunque  riflettere sopra di essi; osservarli attentamente e
sono sensazioni, e che, se il sentire tuttavia è conoscere,  dunque  il conoscere non è più una cosa sola, non è una facoltà
dell' uomo non è ella stessa nessun uomo particolare.  Dunque  tutte le essenze che si conoscono sono cognizioni che
che certamente non si possono attribuire ai sensi.  Dunque  se vi ha una cognizione somministrata dai sensi, mediante
e conoscere che cosa è una cosa, è conoscerne l' essenza.  Dunque  se egli è vero che i sensi ci somministrano qualche
di affermare cosa alcuna e però nè pure di negare. Se  dunque  i sensi non fanno conoscer niente, convien dire che il
al senso qualche cognizione vanno macchiati di sensismo.  Dunque  non è sufficiente a purgarli dalla taccia di sensismo il
Ora il carattere proprio della cognizione è l' oggettività.  Dunque  tutti quei sistemi filosofici, i quali distinguono l' atto
dell' anima, e non cose esteriori, e ne induce che  dunque  non esistono realmente i corpi, ma solo le idee, prendendo
la quale anche le cose non necessarie fa utili. Ed ella è  dunque  ben pazza cosa l' insuperbirsi, come fanno i savi del
di presentarvi a lui come pura vergine » (1). Che  dunque  fare? Apparecchiarvene. Per non rimuovermi dai luoghi
tutto quello che poteva fare per le sue pecore. Compitelo  dunque  anche voi, essendo egli il modello. Voi non siete santa
egli il modello. Voi non siete santa come lui. Avete  dunque  due maniere di santificarvi per le fanciulle affidatevi. L'
siete aiutata dall' offizio stesso che avete preso. Fatelo  dunque  con tutta cura. « Correte in questa e in quella parte,
parte del profitto che si tira dalle letture. Non sarà  dunque  inutile di farne un piccolo cenno. Nel leggere si vuole
S. Agostino così dicea (1), che dovremo dir noi? Non badate  dunque  se gli spensierati si prendano come celia cosa tale: non
più che sarete in sull' esortarle, farete più bene. Fatelo  dunque  spessissimo, anzi continuo. Vengo all' offizio di sorella,
Chiudiamo il ragionamento, e diciamo: nessuno  dunque  entrerà in quel regno celeste, se non vorrà farsi il più
di che la natura medesima fa dono ai fanciulli. Egli basta  dunque  essere cristiani a dover sapere, che il pregio vero di
e d' essere investita perciò nel celeste tesoro. Vi sia  dunque  nell' animo fitta questa somma e incommutabile massima
e similitudine della divinità (1). [...OMISSIS...] Mirate  dunque  la nobiltà umana! vedete l' altissimo fonte di lei
nulla, fuori che cosa infinitamente da lei distante. Quanto  dunque  è per noi da educare quella illustre facoltà, e la cultura
di Cristo le fa, come dicemmo, con esso lui insieme. «  Dunque  non v' abbia alcuna fra voi, soggiungerete, la quale si
non si può veramente dare in mano di fanciulle. Se  dunque  chiedete come fare a stemperar loro questo cibo, rispondo
apparisce da quanto segue: [...OMISSIS...] . Chi ha  dunque  rinnovellata colla grazia la propria intelligenza ha
errori colla bocca, o colla vita li professavano. Vi sia  dunque  frequente sulle labbra quella sublime preghiera del reale
la propria meschinità. [...OMISSIS...] Voi dovete  dunque  scerre questo cibo come più loro giova. La regola è in S.
e a che destinate le vostri giovani donzelle. Sapete  dunque  anche come scerre lo spirituale nudrimento. Ben è vero che
cibo, che cotto e ben condito utilmente si mangia. A voi  dunque  sta di farne la più acconcia preparazione: ma di ciò è
colla mente in punti assegnati. La meditazione prescritta  dunque  sia breve: ma quel ch' io bramo si è un abito di riflettere
dell' Apostolo sono le seguenti. [...OMISSIS...] Letto  dunque  questo brano dell' Apostolo, voi prenderete a dichiararlo.
essi razza umana immalvagita nella radice. Si mostrarono  dunque  ciechi, ingrati, di dura cervice, di cuori incirconcisi
Era l' uomo inimico di Dio, schiavo del demonio; come  dunque  regalarlo? Che fece pertanto il Verbo? « Ascese in alto »,
Cristo poi fece, che tutti si potessero salvare. L' opera  dunque  di Cristo è infinita, e la salvazione degli uomini
prima, e rispetto a quella è come un accidente. Condotta  dunque  schiava la schiavitù , cioè data all' uomo coll' amicizia
suoi, cioè la salute stessa, in varia abbondanza. Francato  dunque  da questa schiavitù infernale, da questa necessaria
qui Mosè tutti i pregi e gli uffizi di Cristo. Ecco  dunque  quale è e come eccellente l' Apostolato di Cristo. Ora
nulla, ristringe e impicciolisce l' umana volontà. Somma è  dunque  l' apostolica dignità. L' Apostolo per eccellenza è Cristo,
fiumi s' allettano e riposano nel mare onde escono. Cristo  dunque  sommo de' profeti, Profeta per eccellenza, quegli da cui
« Deuteronomio » (5) si rende a Mosè simile encomio. Sembra  dunque  che l' Apostolato di cui parliamo in questo consista, nell'
detto lo stesso Profeta: [...OMISSIS...] . Dall' altezza  dunque  di Sion Cristo evangelizza Sionne e Gerusalemme, e
allora era futuro, come ora è passato. Non poteva essere  dunque  senza straordinario dono, che nell' antico tempo di questo
tornare alla similitudine delle membra e del capo, in che  dunque  consiste questa pienezza di podestà vescovile? a che è
bestie. E or l' uomo che cosa sacrifica? Sè stesso. Dovrà  dunque  struggere quanto in sè v' ha di buono? No: ma quanto v' ha
resi puri, resi spirito, emulatori de' martiri. Non basta  dunque  il moto de' labbri nella preghiera, e 'l componimento del
che s' egli a quello si nutre, altro non brama. Perchè  dunque  o ricercare nuove pratiche divote, o anteporre le private
di culto senza ingiustizia e senza punizione. Chi ama  dunque  d' essere nella divozione perfetto pensi d' udire bene la
e sangue divisi, imitino la violenta morte del Signore.  Dunque  ogni volta che alcuno presume di ricevere il pane
il sangue del giusto, che al Cielo grida vendetta. E` reo  dunque  del corpo e del sangue del Salvatore, abusando di sua
mensa del Signore e a quella dei demoni (3). Doppia maniera  dunque  è di mangiare il corpo di Cristo: altra colla bocca, e
mantenitore dell' ordine, sommesso a' maggiori? Tengono  dunque  ancora i nostri uffizŒ que' primi delineamenti messi dagli
di Sacerdoti e di popolo fedele che prega ivi raccolta. E`  dunque  necessario o conveniente, che tal Cristiano sappia che cosa
in trattando con Dio, o in trattando con noi. Ignominioso è  dunque  al Cristiano non intendere, quanto può, il linguaggio della
ciò, che gli uomini reputano dignitoso: quelle ricchezze  dunque  si mettono in chiesa non già per dare a queste il prezzo
migliori; nè quelli sono cari a Dio senza questi. Quando  dunque  venite in alcun tempio ampio e dovizioso, godete allora
che tutto e in tutti i modi spiri edificazione e pietà.  Dunque  nel Calice s' imagini di vedere il sepolcro nuovo del
ci dobbiamo tenere. Quanto civile, umano, riverente non è  dunque  il tratto dell' uom cristiano? quanto lontani ci conviene
giorno quasi a foggie novelle si ammanta! Ogni giorno  dunque  Chiesa santa esulta; e questo suo esultare crescerà insino
nell' ultima Domenica dell' anno ecclesiastico. Non v' ha  dunque  più bella cosa, che tenere dietro alla Chiesa. Con lei si
non ingrossare maggiormente il volume senza bisogno. Sarà  dunque  bello ed utile studio se voi entrerete a conoscere quasi la
il corpo, e mondano l' anima? [...OMISSIS...] Quelle acque  dunque  traggono loro potere dal sangue di Gesù. Quando Cristo morì
attesa la tenera età, ne' tormenti la prodigarono (2). E`  dunque  la santa verginità da virtù circondata. Ha la temperanza
capace, ad una vita più parziale e sequestrata. Non è  dunque  la perfezione che cerca, mentre la impaurisce una virtù più
si trapassa, a me sarà caro un poco di fermarmi. Veggiamo  dunque  le regole colle quali la cristiana legge santifica i
di occhi, concupiscenza di carne, e superbia di vita. Nulla  dunque  di questo sia fine al Cristiano, nulla ami di quanto è al
solo di un anno, di quello in cui anche patì. Lasciato  dunque  da parte l' anno i cui avvenimenti erano stati esposti dai
stili usati dagli uomini. Sotto questo aspetto giudicava  dunque  con verità elegantissime le scritture del nostro
di esse è il cominciamento del tempo. Il Verbo  dunque  era già nel principio del tempo, e perciò era avanti il
e non essere una cotal forma di questo atto. - Convien  dunque  riflettere che l' eternità è cosa affatto immune dal tempo,
suo effetto, perchè un tempo infinito non finisce mai. E`  dunque  da dirsi, che l' atto della creazione e il suo effetto sono
perocchè l' effetto è vestito, come dicevamo, dal tempo. Se  dunque  l' effetto, il mondo, si considera nel primo istante della
negli istanti successivi, dicesi conservante . Volendo  dunque  Mosè esprimere l' effetto della creazione e non quello
il Verbo è eterno, e il Verbo pure non esce dall' eternità;  dunque  egli (il Verbo) rimane in quell' atto, sicchè fra l' atto
è l' Esemplare del Mondo, benchè sia tale eminentemente. Se  dunque  il Verbo, come tale, cioè il Verbo concepito da noi nel
generazione, e queste col causato e col generato. Qualora  dunque  le parole di Giovanni « « Nel principio era il Verbo » » si
in quanto non pronuncierebbe, in tanto non sarebbe Verbo.  Dunque  ogni altro verbo non può essere che una ripetizione di ciò
pronunciato da un primitivo Verbo. Il Verbo primitivo è  dunque  quello che rende pronunciabili le cose, è quello in cui si
ripetendo il primo ne partecipano. Le intelligenze finite  dunque  hanno la loro possibilità ontologica nell' eterno Verbo. S.
cosa interna, un oggetto pronunciato dalla mente. Volendo  dunque  nominare questa cosa interna significata, invece d' imporle
[...OMISSIS...] , dice egli, [...OMISSIS...] Dopo aver  dunque  Sant' Agostino stabilito in questa maniera, che la parola
non salendo dalla considerazione del verbo umano. Conviene  dunque  riflettere che nell' umana mente altro suol essere l' idea
un atto libero di Dio gli ha fatti sussistere. Essendo  dunque  due cose affatto distinte e separate l' essenza e la
all' essenza quanto alla sussistenza dicesi Dio. Iddio è  dunque  quel solo essere la cui sussistenza è l' essenza. Se dunque
dunque quel solo essere la cui sussistenza è l' essenza. Se  dunque  Iddio sussiste per propria essenza, consegue che Iddio sia
come tale; ma sia l' essere essenziale, realissimo. Iddio  dunque  è l' essere per essenza. Ciò che è per sua propria essenza,
essenza, e quell' essere è anche sussistenza. Si apprenderà  dunque  coll' affermazione ? L' affermazione suppone la distinzione
E di vero, se la sussistenza divina è per sè essenza,  dunque  è intelligibile per se stessa. Ma se è per se stessa
per se stessa. Ma se è per se stessa intelligibile,  dunque  è anche per se stessa, a se stessa intesa . Perocchè ciò
sussistenza di quell' essere è l' essenza di quell' essere.  Dunque  questa sussistenza per la propria essenza è intesa e nota a
la propria essenza è intesa e nota a se stessa. Non vi ha  dunque  nulla di potenziale in questa cognizione, non vi ha una
di essere intesa per se stessa, in tanto è il Verbo divino.  Dunque  tutta la sussistenza divina, tutto l' essere assoluto è per
de' mondi possibili, l' idea de' contingenti. Le idee  dunque  dei contingenti appartengono al Verbo, ma non le cose
poi limitato è la creatura. Nella sussistenza divina vi ha  dunque  la possibilità delle creature, perchè vi ha l' essere che
di esemplare della realità o sussistenza limitata. Non è  dunque  una distinzione reale quella che si pone nel Verbo,
Ma la sussistenza divina è per sè intesa totalmente;  dunque  anche la sua potenza creatrice è per sè intesa. Ma convien
di potenza in atto essendo egli atto puro. Convien  dunque  riflettere che, sebbene in se stessa preceda la possibilità
è data all' uomo ed è cognita per se stessa. Qualora  dunque  l' uomo voglia conoscere a che s' estenda la possibilità
abbraccia tutto, meno la contraddizione. Nel concetto  dunque  dell' essere si contiene una sussistenza infinita e
Ma, se tutto ciò si trova nel concetto dell' essere,  dunque  tutto ciò è nell' essere stesso, altramente non sarebbe nel
o la conoscenza di ciò che si contiene nell' essere.  Dunque  nell' essere si contiene la sussistenza infinita e
potenza che ha l' essere di sussistere in un modo finito.  Dunque  nel concetto dell' essere noi troviamo la dimostrazione
da cui proceda, cioè la sussistenza dell' essere. Altra è  dunque  la relazione che il concetto dell' essere e l' essere ha
di questa divina perfezione alla creatura. Tutto  dunque  doveva cospirare a ciò; perchè Iddio non poteva amare che
l' essere finito che imita per quanto può il primo. Se  dunque  ama che sussista, egli ha una ragione in se stesso di farlo
che « « il bene è di natura sua diffusivo »(1) ». Essendo  dunque  Iddio mosso a creare dall' amor di se stesso, col quale ama
ha luogo unicamente coll' atto di creazione. Convien  dunque  dire che l' atto eterno della creazione del mondo sia l'
e nulla si può pensare di anteriore all' essere. Qualora  dunque  a noi sembra di potere pensare una tale potenza, noi c'
essenziale intellettivo pel quale ella è tale. Non v' ha  dunque  a farsi una sintesi per costituire Iddio come oggetto,
è fatto per Iddio, cioè per conoscerlo ed amarlo. Il mondo  dunque  fu fatto perchè Iddio si rendesse manifesto alle
il Verbo, ma ha solo un' analogia col Verbo divino. L' uomo  dunque  non conosce per natura il Verbo, non lo percepisce per sua
et lucifer oriatur in cordibus vestris (5) ». Il Verbo  dunque  è comunicato agli uomini per mezzo della operazione
philosophia scire Jesum, et hunc crucifixum (2) ». Vi ha  dunque  una scienza naturale, e una scienza o piuttosto sapienza
non siasi ancora manifestato agli uomini personalmente. E`  dunque  a considerare che la grazia , la quale consiste in un'
è toccata da S. Ireneo che dice: [...OMISSIS...] . Tolta  dunque  l' occasione dagli eretici Cerinto ed Ebione, che negavano
il Verbo è per sè luce che illumina ogni uomo. Quest' è  dunque  l' ordine nel quale procedono le intelligenze, e nel quale
negato da alcuno, siccome quello che è necessario. Convien  dunque  ammettersi questo, e quindi passare alla relazione ch' egli
distanza dall' eccellenza e dalla natura del Creatore.  Dunque  ciò che di natura sua è appo Dio deve avere la natura
dall' infinito: l' infinito poi è Dio stesso. Avendo  dunque  detto che il Verbo era appo Dio, ci ebbe posto in mano il
posto in mano il principio da cui cavare la conseguenza che  dunque  il Verbo era Dio, conseguenza che cava l' Evangelista
a indicare vicinanza o relazione intima di natura. A quelli  dunque  che non sapendo concepire le cose senza collocarle in
ideale, lume della mente. Perocchè tosto domandano: dove è  dunque  quest' essere ideale? e conviene rispondere che è in se
dalla sua congiunzione personale collo stesso Verbo. Rimane  dunque  a cercare il valore delle altre tre espressioni, che al
e col concetto di generazione che racchiude. Conviene  dunque  che queste tre espressioni, applicate all' unione del Verbo
Ma era stato detto altresì che « il Verbo era appo Dio »,  dunque  una persona divina era appo una persona divina: forza è
una persona divina era appo una persona divina: forza è  dunque  il dire che queste persone divine, l' una delle quali sta
sarebbe bisogno alcuno di dirlo. Che se entrambi sono Dio,  dunque  hanno la stessa natura divina, perocchè la natura divina
natura. Ma il Verbo è appresso a chi lo pronuncia: Iddio  dunque  che pronuncia il Verbo è una persona che ha una priorità
ragione novella: il che lasciamo definire ai lettori. E`  dunque  da considerare che la parola Dio non basta a definire il
se il Verbo era già in principio appresso il Padre,  dunque  non fu fatto, perocchè quello che è non ha bisogno di esser
luogo dell' Evangelista rimane egualmente solida. Dicevamo  dunque  che la parola per nel luogo di S. Giovanni: « omnia per
ammettevano in sè la comunicazione totale di essa. Altro è  dunque  la sapienza e virtù adoperata nell' azione di Dio creante,
sussistenza che è la realità delle medesime. In quanto  dunque  viene dal Verbo l' essenza delle cose, in tanto si
lo si considera come sussistenza operativa e producente. Se  dunque  si considera il Verbo come sussistenza e quindi anco come
virtù creatrice del Padre che gliela comunica. Avendo  dunque  l' essere dal Padre, e di conseguenza avendo dal Padre l'
persona operante, perchè ha la stessa natura del Padre. Se  dunque  si considera che il Verbo è la sussistenza divina per sè
trovarsi che nella libera volontà del Creatore. Il Padre  dunque  crea l' essere finito, cioè il fa sussistere amandolo, che
stesso e agli altri enti a' quali per sua essenza è legato.  Dunque  Iddio conviene che abbia questa potenza d' immaginazione,
a se stesso e agli altri; e questo è creare. Creare  dunque  è far sì che un oggetto veduto nella sua essenza ed
essenza è contenuta nel Verbo che è l' essere come oggetto:  dunque  la creazione si doveva fare pel Verbo e nel Verbo (1). E
appieno vero se non fosse soggetto reale anzi persona. Egli  dunque  pronuncia il suo Verbo, il quale è la stessa sussistenza
di Dio che in quanto pronuncia si chiama Padre. Non è  dunque  questo un pronunciamento sterile come quello dell' uomo, il
ma non potrebbe amarsi se non fosse a sè cognito, ama  dunque  se stesso cognito. Se stesso cognito ha un' anteriorità
appartenente alla sua essenza nella forma morale. Dato  dunque  che Iddio ami e voglia l' essere finito, consegue che egli
l' essere fisico, e l' ordine o la connessione di lui. Dato  dunque  che Iddio amando tutto l' essere, ami l' essere finito,
di tale scopo, e questo è il mondo creato. Amando  dunque  Iddio l' essere finito così concepito ed ordinato, che
della propria energia all' ente conosciuto. E` un atto  dunque  di ragione, ma non di una ragione semplicemente
amor divino, quindi per un atto di libera volontà . Iddio  dunque  crea le cose pronunciandole nel suo Verbo dove le conosce,
note, e quindi nel Verbo e pel Verbo sono fatte. Il Verbo  dunque  crea perchè ha la natura divina, è Dio; la natura divina
parte dell' esistenza nostra propria finita. Noi siamo  dunque  relativamente a noi stessi ed alla nostra consapevolezza
che noi soggetto, come oggetto reale, siamo nel Verbo. Noi  dunque  in senso composto siamo fuori del Verbo, in senso diviso
parte dell' universo della terra, cioè dell' uomo. Mosè  dunque  prima narrò la creazione in generale in quelle parole: « «
fatta mediante la parola, pel Verbo di Dio. La questione  dunque  che si offerisce al pensiero si è: « perchè la produzione
di essere perscrutato, perchè niente è senza cagione. Onde  dunque  una tale proprietà e distinzione di parlare? Il Verbo,
cose nell' idea non contiene la sussistenza. La sussistenza  dunque  delle cose contingenti non può passare dal non essere all'
o colla sostanza delle cose; e di queste parla Mosè. Se  dunque  la mera sussistenza non ha idea, non è determinata da
viene prodotta sul tipo di alcuna idea, non ha tipo; non è  dunque  per l' idea che esiste, ma è prodotta immediatamente dall'
Verbo è oggetto, cioè per sè noto, per sè intuibile. Iddio  dunque  creò la sussistenza delle cose contingenti nel Verbo
il vivere in un modo solamente soggettivo. Il Verbo  dunque  ha vita, prendendo questa parola come oggetto, come
come: « « Io sono la risurrezione e la vita »(2) ». Dicendo  dunque  l' Evangelista che nel Verbo era vita, viene a dire che il
non è vita in senso proprio, non è vera vita. La vita  dunque  in senso proprio e completo è il sentimento. Ora è da
principio d' alcun sentimento, nè per conseguente sarebbe.  Dunque  l' uomo non ha la vita in se stesso. Anche nell' ordine
avere vita in se stesso » ». Nella persona del Verbo  dunque  è vita, è sentimento: non si può distinguere in tal persona
da qualche cosa di straniero a se stesso. La vita  dunque  è nella stessa persona del Verbo, non le viene data da un
che glielo dia, e in dandoglielo possa limitarlo: non vi ha  dunque  alcuna cagione di limitazione, come nelle persone, o più
persone, o più generalmente ne' soggetti creati. Nel Verbo  dunque  vi ha vita senza possibilità di limitazione, vita pura,
ha detto l' Evangelista che « « il Verbo era Dio » »: se  dunque  egli è Dio, deve avere una vita infinita: se è Dio, e la
anche al Figliuolo avere vita in se stesso » ». Parlasi  dunque  d' una vita comune al Padre ed al Figliuolo, o piuttosto
partecipano della realizzazione d' un' essenza. Se  dunque  la vita, come essenza (qual viene espressa nell' idea della
ed una, e se in Dio l' essenza stessa è realizzata:  dunque  convien dire che la vita che è nel Figliuolo non possa
nelle creature sono diverse, e ciascuna ha i suoi gradi. Se  dunque  consideriamo la vita nell' uomo, preso semplicemente nell'
secondo il nostro modo limitato di pensare. Dobbiamo  dunque  vedere come ciascuna persona divina concorra per sua parte
che amando se stessa, si rende amata persona. L' amare  dunque  la sussistenza divina è comune a tutte e tre le divine
e nel Figliuolo e costituente queste due persone: l' essere  dunque  sussistenza divina amata è proprio della terza persona,
senza specie, gradi e confini: è la vita sussistente. Se  dunque  ciò che è creato fosse vita, sarebbe Dio; nè si
è vita egli stesso, può venirne anco spogliato e morire. E`  dunque  impossibile che l' Evangelista abbia detto che ciò che è
può aver natura di principio, ma sol di termine. Non par  dunque  alieno dalla dottrina filosofica e teologica il supporre
quali sussiste l' identica vita che nel Verbo. Ma perchè  dunque  preferì di dire che « nel Verbo era vita »? Perchè il suo
appartenenza del Verbo, o è creato o increato: se increato,  dunque  è il Verbo stesso; se creato, egli non può essere un'
è vita7luce, e la vita è sentimento e quindi realità, non è  dunque  una mera idea. Non è dunque la nuda idea dell' essere
e quindi realità, non è dunque una mera idea. Non è  dunque  la nuda idea dell' essere quella vita, di cui parla S.
sè amata nello Spirito Santo, onde viene la vita morale.  Dunque  S. Giovanni parla in questo luogo d' una luce compiuta, che
un sentimento reale, ma una pura intuizione. Qui non vi ha  dunque  quella « vita che è luce degli uomini ». Di che si deduce
non è una mera idea, ma è vita, vita che sta nel Verbo.  Dunque  era loro data una cotal percezione del Verbo, nel che sta
innocente, di conseguente prima d' aver peccato. Convien  dunque  dire che l' intendimento dell' Apostolo qui sia quello di
« ut gratia Dei pro omnibus gustaret mortem (1) ». Essendo  dunque  Cristo che opera tutto il bene soprannaturale nel corpo de'
divino alle cose di cui doveva l' uomo cibarsi. Convien  dunque  riflettere che le operazioni dell' uomo possono essere
il primo effetto in queste parole: [...OMISSIS...] . Sono  dunque  queste armi, enumerate da san Paolo, e da lui chiamate
la quale conviene ora che noi dichiariamo. Conviene  dunque  considerare che l' uomo col peccato si era reso inutile al
dar compimento al suo misericordioso disegno. Egli spiegò  dunque  il mistero della sua eterna volontà cogli avvenimenti.
sostenere la vista del giusto nel mezzo di essi. Essi  dunque  dissero e fecero quello che si trovava già scritto molti
o insidiatori, gli altri perseguitati o insidiati. Esigendo  dunque  la perfezione della virtù, nel che consiste la grandezza
la quale nel bene morale primieramente consiste. Questa  dunque  fu l' opera commessa dal Padre al Figliuolo mandato da lui
che costituiscono l' augustissima Triade; non vi ha  dunque  nè pure la forma morale dell' essere, perchè non vi ha l'
bene morale, l' assoluta e personale santità. Vi ha  dunque  una volontà personale del Padre che è la spirazione che
ma secondo l' ordine logico posteriore. Convien  dunque  dire che la volontà del Padre, di cui parliamo, sia la
il getto di questa pel guadagno di quella. Per adempire  dunque  questo mandato, e mostrare il suo amore al Padre (e nell'
tu hai amato me sia in essi, ed io sia in essi »(1). » Era  dunque  necessario che il Padre, come giusto, compensasse il
citato Salmo, della tua stessa sostanza, ex utero . Ora tu  dunque  decora anche la mia umanità di questa stessa gloria divina
che una parte di questa è in altri individui: a lui sembra  dunque  di completare in se medesimo la umana natura, qualora può
l' uomo con Cristo, e Cristo è nell' uomo. La morte  dunque  di tutto il genere umano satisfaceva alla divina giustizia,
le è conceduta prima della risurrezione dei corpi. Come  dunque  può dirsi col citato libro de' Maccabei, che sembrerebbe
bisogno di qualche segno sensibile per esser pensati. Ella  dunque  non ritiene se non l' intuizione immota dell' essere
Dio, perocchè il Signore è Dio de' vivi e non dei morti.  Dunque  questi Patriarchi sono viventi. Ma non potrebbero dirsi
dirsi viventi, se un giorno non dovessero risorgere.  Dunque  convien dirsi che i morti risorgono ». Questo ragionamento
futura resurrezione. Perchè sono vivi? perchè risorgeranno.  Dunque  non sarebbero vivi se non dovessero risorgere. Dunque l'
Dunque non sarebbero vivi se non dovessero risorgere.  Dunque  l' anima separata se non fosse destinata a risorgere, se
parlando al Padre: « Ego in eis et tu in me (2). » Se  dunque  Cristo è la vita, e se egli è nei suoi discepoli, egli è
chi ha la vita non avrebbe bisogno di risorgere. Altra è  dunque  la vita propria degli umani individui, la qual consiste
da' sacramenti desiderati. Il sangue di Cristo si dee  dunque  ricevere misto coll' acqua viva della fede, come la farina
per la fede viva di esso popolo: l' acqua rappresenta  dunque  il popolo credente, rappresenta l' atto o l' abito della
all' eucaristico soprasostanziale alimento. Tornando  dunque  alle citate parole di Cristo [...OMISSIS...] esse si
fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam . » Non è  dunque  a intendersi che non avrà più sete, quasi non voglia più
« dedisti ei potestatem omnis carnis (3). » Ogni carne  dunque  è in potere del Figlio, il quale però integra ogni carne
sia morto: ma chi ha la vita eterna non è morto. Conviene  dunque  dire che l' uomo possa esser morto secondo una vita, cioè
condizioni: « qui credit in me habet vitam aeternam . » E`  dunque  da dirsi che questa fede in Cristo trae seco per natural
che darà al mondo una nuova vita immortale ed eterna. Vi ha  dunque  una carne che Cristo abbandona alla morte; ma questa carne
perduta la loro vita naturale, la vita del mondo. Io darò  dunque  a morte la mia carne, ma nello stesso tempo darò un' altra
altrui la vita: « Ego sum panis vitae . » Cristo può esser  dunque  morto della sua vita naturale, ma non della sua vita
inculcano la necessità del battesimo: [...OMISSIS...] Se  dunque  chi non mangia la carne del Figliuolo dell' uomo e bee il
simbolo, e adempì la verità di quel concetto profetico. Se  dunque  era nell' antica tradizione, e nell' istinto della natura
un solo corpo con esso lui, pure ne partecipasse: questo  dunque  è il cibo soprasostanziale di tutti i santi che ammantano
fu potuto profanare nè dal demonio nè dall' uomo. Al frutto  dunque  dell' albero della vita, che nella prima istituzione doveva
accepit panem, et gratias agens fregit (2). » Essendo  dunque  questa vita divina, e per sè indipendente dalla carne e dal
di Cristo. Il passaggio da questa vita alla futura è  dunque  per costoro una vera risurrezione, e però s' adempie nel
dove è egli medesimo. Egli dice [...OMISSIS...] Attribuisce  dunque  alla fede, di cui egli è autore e consumatore (4), non a
si può aver la vita in se stessi: [...OMISSIS...] Conviene  dunque  dire che chi ha la fede in Gesù Cristo mangi la sua carne e
nella fede di Cristo senza poterla ricevere. Convien  dunque  dire, che essi mangino la carne del Figliuolo di Dio e
figurata nella manna è chiamata pane del cielo (4). Convien  dunque  dire che nel cielo si mangi questo cibo divino. E Cristo lo
non mangiano, non si nutrono di cibo come gli uomini. Come  dunque  si può dire che Cristo, la carne ed il sangue di Cristo, si
improvviso, quando vi apparirà in tutto il suo splendore.  Dunque  avete bisogno di credere tutto ciò, di credere alla vostra
al mondo, che è quello della finale risurrezione. Vi ha  dunque  l' eredità immarcescibile conservata in cielo per noi
dei Patriarchi è Iddio de' viventi e non de' morti. Giova  dunque  dichiarare, quanto a noi è dato, la gradazione di queste
suo corpo ed il suo sangue cotesti maravigliosi effetti. E`  dunque  da considerare primieramente, che il supremo principio
e soggettiva sieno due modi dello stesso ente. Acciocchè  dunque  il Verbo assuma a sè e si congiunga una creatura
victoria et triumphus repraesentatur »(4). » Continuandoci  dunque  al discorso precedente, se egli è vero che il principio
etiam sacramentaliter ac realiter, anathema sit (1). » E`  dunque  da distinguere fra non battezzati, i quali non ricevono,
Perocchè narra la Scrittura: [...OMISSIS...] Essendo  dunque  il medesimo Cristo in tutti, tutti hanno, per lo Spirito
ed è la sorgente della ricchezza d'Italia. Non vi sviate  dunque  dietro a speranze di progresso materiale che, nelle vostre
un solo Potere uscito dal vostro voto. La patria deve aver  dunque  un solo Governo. I politici che si chiamano federalisti, e
avete bisogno di libertà, di Comune e Unità di patria, sia  dunque  la vostra fede. Non dite Roma e Toscana, Roma e Lombardia,
La Patria non è un aggregato, è una associazione. Non v'è  dunque  veramente Patria senza un Diritto uniforme. Non v'è Patria
oggetto, nè quest' oggetto solo sarà il pensiero. - Cosa è  dunque  il pensiero? Egli è l' atto col quale il nostro spirito
siano l' atto dell' occhio immobile a riguardarli. Egli è  dunque  indubitato che ogni pensiero risulta da due elementi
ma questi all' incontro possono variare indefinitamente. Se  dunque  v' ha una legge fissa, secondo la quale lo spirito ascende
successivamente allo spirito si rappresentano. Cerchiamo  dunque  come gli oggetti si facciano innanzi allo spirito, e quali
più ampie viene di mano in mano ad altre meno ampie. Prima  dunque  apprende la somiglianza estesissima, che forma il genere, e
sono rosacei, ma non tutti i rosacei sono rose. Io devo  dunque  tornar da capo cominciando dall' individuo dello Spinalba
conosce ancora alcuna classe più estesa di questa. Io devo  dunque  dirgli, che ciò che vede non è un rosaceo, ma che è un
che abbraccia sotto di sè classi di varie larghezze. Dovrei  dunque  fargli intendere che de' fruttari ve ne son di più specie:
le somiglianze quai confini delle dissomiglianze.  Dunque  il primo è manifestamente il metodo alla natura conforme,
dire, in corpo il teorema che si vuol dimostrare. Potrebbe  dunque  la mente intendere l' ultimo teorema saltando via tutti gli
generale e che forma il principio supremo della Metodica è  dunque  la seguente: « Si rappresentino alla mente del fanciullo (e
preceduto da' pensieri delle due cose singolari. I pensieri  dunque  delle cose singolari sono quelli che somministrano la
suo sviluppo, come essere intelligente, incomincia. Convien  dunque  esaminare diligentemente l' indole di questa prima
aggiungervi ciò che fa l' intendimento. L' istinto animale  dunque  muove sempre da un gruppo di sensazioni: questo gruppo di
che si porta in un oggetto conosciuto. L' intendimento  dunque  prima di tutto percepisce, poi l' uomo opera, cioè vuole
della mente, chè questa ancora non le contempla. Or come  dunque  potrà la mente passare a contemplarle e intuirle? Col
significa nella maniera più generale l' oggetto; l' ente  dunque  non può esistere senza una mente, nè una mente può
quale egli s' accorge, che sussiste un qualche cosa . Vi ha  dunque  percezione tosto che lo spirito ha detta questa parola
sua esistenza fino alla riflessione più libera. Cominciamo  dunque  dal considerare il primo modo di perfezionamento, che
nella quale ella tiene il modo di agente . Ente e agente è  dunque  il medesimo in questa prima parola, in questa prima
ma è tipo d' infiniti individui possibili: ella determina  dunque  una classe o specie d' individui. Chiamo quell' idea
al di fuori con segni di esuberante letizia? Avete  dunque  ragione voi, o madri, che aspettate con sì gran desiderio,
de' labbri, co' quali egli s' attacca al seno materno, è  dunque  uno de' primi atti del suo istinto sensuale (3). L' istinto
dal piacere; il piacere diventa per lui un bisogno. Dopo  dunque  che il bambino si procacciò delle sensazioni coll'
tante volte, nasce nell' uomo un' attività: dall' intendere  dunque  deve scaturire un' attività razionale, il moto della
durata consistente, come quella che è labile e volubile. Se  dunque  il sentimento e la volizione del fanciullo ha tanto più d'
educare il sentimento e la volontà che la ragione. Conviene  dunque  fare in modo che l' animo del bambino si empisca per tempo
al soggetto, ma contrapposti al soggetto. Non basta  dunque  che le operazioni intellettive sieno unificate: l' unità
superiori ed è solo inopportuna nelle età inferiori. Dico  dunque  che alle intellezioni di primo ordine sconnesse risponde l'
riceve sono tra loro slegate, disordinate. Il primo ufficio  dunque  dell' arte dell' educare consiste: nel « regolare le
oggetti, quanti pe' sensi gli si presentano (1). Convien  dunque  con una somma pazienza farsi compagno al fanciullo in
insieme col secondo anno di sua esistenza. Gli comincia  dunque  la terza età col linguaggio: l' apprendimento de' segni
di tutte è quella dell' imaginazione. Se vi potesse esser  dunque  potenza, a cui dovessimo attribuire un movimento
per l' assenza dello stimolo. Il metodo pedagogico sarà  dunque  perfetto solo allora che: 1 Non esigerà mai, che il
lo stimolo, che muove ad esse l' attenzione umana. Riman  dunque  ancora ad acquistarsi dall' uomo dopo la prima età un gran
tornano insieme le memorie e le idee degli oggetti. Divien  dunque  il linguaggio una specie di memoria artifiziale, e giova ad
e le idee imaginali, che a quelle s' appoggiano. Egli è  dunque  impossibile l' avere per ciascuna di queste idee un
da sè stesso ogni po' di tempo che trascorra: egli porge  dunque  una nuova idea imaginale: basterebbe che a quel cavallo
avere un nome nuovo il suo tipo, la sua idea piena. E`  dunque  impossibile che i vocaboli significhino tali idee imaginali
le une e le altre, come noi facemmo osservare (1). Convien  dunque  considerare che non v' ha nè pur un sol vocabolo nella
un genere più lato formando un genere meno esteso. Convien  dunque  assicurarsi che il fanciullo, nell' uso de' vocaboli, sia
esclude qualsiasi altro pensiero. La bianchezza esprime  dunque  un modo d' astrazione più perfetto del sostantivo bianco .
della volontà col desiderio di esso. - La terza età  dunque  è altresì quella, nella quale ha la sua nascita il
gli oggetti buoni, e discernerli dai cattivi. Quivi  dunque  l' attività della volontà trova uno spazio immenso dove
» ed altri libri fatti sullo stesso pensiero. Quest' è  dunque  il tempo nel quale si può esercitare il giovane a
per un elemento comune a minor numero di oggetti: quelli  dunque  contengono un' astrazione maggiore di questi. Per esempio,
è il concetto d' un filosofo, nè si deve pretendere. Devesi  dunque  prendere quel concetto infantile o per dir meglio proprio
del vegetabile per la mente del nostro infante sarà  dunque  « ciò che è piantato in terra e che cresce ». L' astratto
correggano nelle sue difettose tendenze. Non vi ha  dunque  dubbio, che l' educazione deve avere la sua parte positiva;
impossibile, ma ciò solamente, ch' egli può dare. Convien  dunque  sapere, che cosa il fanciullo possa dare in ciascuna età:
poi tiene dietro ne' suoi passi all' intendimento. Sarebbe  dunque  cosa irragionevole il pretendere dal fanciullo, che egli
impari da lui lo sgraziato discepolo. Il fanciullo devesi  dunque  sempre considerare come un essere morale, perchè è sempre
intelletto, non ha che una esistenza soggettiva. Vi avrebbe  dunque  nel bene percepito dal fanciullo un elemento soggettivo
gran finezza dice che il bambino [...OMISSIS...] . Se noi  dunque  vogliamo raccogliere da tutto ciò qual sia la virtù morale
benevolenza, lo dicemmo già, non è che il bene. Qual è  dunque  il bene che può esser noto al bambino non arrivato più in
di bene, che dirige poscia tutti i suoi affetti. Egli  dunque  ritrova e riconosce il bene in tutto ciò, da cui gli
diverrà assai facilmente un uomo virtuoso. Noi faremo  dunque  qualche riflessione primieramente sulla maniera di far
percezione, ma ancora con quella della fede . Le persone  dunque  che educano o che semplicemente parlano al bambino potranno
sopra. Ora ci basta di chiedere: Perchè non aiutiam  dunque  gli avviamenti di questa natura? Perchè non ci facciam
gli avviamenti di questa natura? Perchè non ci facciam  dunque  discepoli alla providenza che ha costituita la natura?
posto dalla natura nel seno dell' anima umana? Perchè  dunque  ve l' ha posto? Per contenere, anche mediante il timore d'
di quest' essere ottimo massimo; e non da altro. Escluso  dunque  ogni timore fantastico e procurato al nostro tenero
passioni, e per male quello che è ad esse contrario. Se  dunque  sono insorte le passioni nel bambino ed egli perciò non si
dipende sovente da quegl' ignorati cominciamenti. Come  dunque  convien talor prevenire, talor far resistenza alla
a quel volto femmineo che prima a lui ride. Ella è  dunque  universale la disposizione che ha il bambino alla
ove s' aspetti il compimento di questo discorso. Esaminando  dunque  il valor morale de' due amori da noi distinti, convien fare
uno de' primarŒ fonti della depravazione umana. Lasciando  dunque  da parte le affezioni meramente sensuali e sentimentali,
età il fanciullo, comincia a concepire l' idea di Dio:  dunque  egli può altresì volgergli amore, o più tosto non può non
società, delle nazioni che dell' umanità intera (2)? Se  dunque  abbiam già fatto conoscere al nostro fanciullo il valore di
è inintelligibile e per ciò stesso insopportabile: chiudano  dunque  qui gli orecchi quanti non hanno ne' lor sentimenti tanta
Dio: e però essi non s' atterriscono a consultarla. Veggano  dunque  in qual maniera questa legge determini gli affetti de' loro
questa di limiti, cui quella rompe e trasporta. La natura  dunque  inclina l' uomo ad amare i suoi genitori; non tanto ad
(3), ed è buon cambio verso a sensuali tenerezze. L' amore  dunque  verso i genitori vien migliorato inserendo in esso l' onore
comando che in esso dee esistere l' amore : non dee essere  dunque  nè un amore puramente esterno e materiale, nè un onore
loro genitori, come pure di tutti gli altri uomini. Mi sia  dunque  permesso di dire che ogni usurpazione torna in danno di chi
il farli celeremente gli uni agli altri succedere. Sarebbe  dunque  impossibile il determinare in un trattato del Metodo, a
a determinare il tempo se non per approssimazione. Quando  dunque  diciamo che col secondo anno comincia la terza età del
e di sentimento precedentemente a loro. Le intellezioni  dunque  del second' ordine si dividono in due classi: I Classe
altra volta era buono al mio palato e al mio stomaco;  dunque  ciò che vedo è buono al mio palato e al mio stomaco ». E`
come vedremo nelle sezioni seguenti. Or quali sono  dunque  gli oggetti, che l' uomo viene a conoscere colle operazioni
moltitudine di cose sotto un certo rispetto uguali. Vediamo  dunque  per quali passi lo spirito si forma i concetti delle
effettivamente a lavorarsi e comporsi quelle idee. Egli è  dunque  questo che a noi conviene ora investigare. Egli è certo
dei numeri, renderà la dottrina più lucida. Egli è  dunque  evidente, che pei numeri tre, quattro, cinque e tutti gli
totale che all' unico soldato ch' egli mise da parte: può  dunque  ripetere la stessa operazione e cavar dalla frotta, che
veduto ciò che contemplavo in quella idea ». L' idea  dunque  della pianta è la regola che seguo in formando questo mio
suo spirito che fa di sè nuove manifestazioni. Noi dobbiamo  dunque  tener dietro a queste manifestazioni, a queste espressioni
vogliamo ora fare nel terzo di questi ordini. Quali sono  dunque  le regole morali del bambino giunto al terz' ordine d'
ordinata; o vero mal formata e mal ordinata. La condizione  dunque  delle regole morali, ch' egli si forma, dipende dalla
dee condurlo ad un contegno composto e regolato. Egli è  dunque  un errore l' applaudire a ciò che v' ha di ridicolo nelle
delle sue intellezioni e continua cogli altri. Giunto  dunque  al terz' ordine già in possesso del linguaggio, di questa
la credulità e l' ubbidienza del bambino nascono  dunque  dal bisogno, ch' egli sente di rendersi uniforme colle
sua tendenza ad esser rispettoso e benevole è universale.  Dunque  nell' essere intelligente, nel fondo della natura, trovasi
altre riflessioni esigono sui nessi delle cose: intende  dunque  il nome indeclinato e il verbo nel suo infinito e ne'
nelle quali il verbo è ancor nome ma esprimente azione. Chi  dunque  è arrivato al terz' ordine non potrà intendere se non quei
dee sollevarsi, e nel caso nostro è il quarto. Si dovrà  dunque  cercare di comporre il discorso che si fa a' bambini di
aggiungere sempre un' unità alle cose numerate. Egli ripete  dunque  la stessa operazione, e la segna con un numero nuovo.
questi pure da ragioni esteriori (1). Noi vogliamo  dunque  restringerci per ora ad osservare la moralità del bambino
ancora pel suo intelletto e per la sua volontà. Ma onde  dunque  avviene che moltissimi altri atti del bambino appariscono
suo concetto diventano una cosa sola con essi. Egli vuole  dunque  gli oggetti: il suo operare è sempre oggettivo: ma questi
che sarebber suoi proprŒ, s' egli lo sapesse. Convien  dunque  distinguere i piaceri e i dolori percepiti in se stessi,
forma dalla concezione e dall' intenzione di chi opera. Se  dunque  l' intenzione del bambino concepisce i dolori e i piaceri
abbiam percepiti e continuamente ci percipiamo. Applichiamo  dunque  per analogia all' operar del bambino, quanto avviene nell'
le intellezioni del terz' ordine. All' uopo nostro basterà  dunque  che facciamo osservare, che tutte le intellezioni di quest'
età precedente il fanciullo conobbe il numero due. Sembra  dunque  che di due cose egli potrebbe a questa età ravvisare la
l' IO non è un sentimento, è una coscienza. Or, come  dunque  e quando si forma l' uomo quella coscienza di sè stesso che
un sentimento sostanziale, il quale sentimento è egli. Sono  dunque  uniti il sentimento sostanziale e l' essere che risplende
che non ha la coscienza di essere intelligente. Acciocchè  dunque  arrivi a formarsi una tale coscienza, conviene che il
essere, illumini e vegga se stesso nell' essere. Convien  dunque  che cavi da sè un atto nuovo, non datogli dalla natura, ma
opera che a far gli rimane se vuol percepire se stesso. Se  dunque  tutto ciò che cade nel suo sentimento è in luogo da poter
del modo onde ne abbiamo spiegato l' origine. E`  dunque  questo primo IO « il sentimento sostanziale operante che
dell' esistenza sopra sensibile delle cose. Egli è  dunque  necessario alla mente il linguaggio, acciocchè ella possa
niente potesse resistere alle sue forze. [...OMISSIS...] E`  dunque  l' esperienza quella, che nella mente del fanciullo va
a dar fede a ciò che egli credesse assurdo. Egli non crede  dunque  assurdo che gli oggetti abbiano certe virtù e facoltà che
e mostra in sè la possibilità universale. Sino a tanto  dunque  che il bambino non ha altra regola de' suoi giudizŒ, se non
quest' universo è l' effetto di qualche cosa di costante;  dunque  continuerà ad avvenire ». Qualche cosa di simile vien
di possibilità assoluta, il bambino dice la verità. Se  dunque  altri gli afferma di poter volare, egli crede di non essere
più sono ristrette, portano un' incredulità maggiore. Vi ha  dunque  un' incredulità che nasce dall' ignoranza, cioè da opinioni
egli tuttavia scuote il capo e non mi dà retta. Egli  dunque  pena oltremodo a credere certe cose del tutto vere, che
del tutto vere, che sono credute dai dotti: l' incredulità  dunque  del rozzo è sotto un aspetto maggiore assai che non sia
assai che non sia quella dello scienziato. Comincia  dunque  l' uomo con una credulità universale circa le azioni degli
facile e piacevole, ora a cosa ardua e dolorosa. Sebben  dunque  il bambino sia inclinato parte ad uniformarsi all' altrui
L' osservò già una madre. [...OMISSIS...] La moralità  dunque  del quarto ordine si manifesta colla coscienza; ma sarebbe
più diligentemente osservati dall' istitutore. Cominciamo  dunque  dall' osservare che: Le volizioni appreziative sono quelle,
vedemmo, che solo al quart' ordine comincia il paragone;  dunque  al quart' ordine solamente può farsi quell' atto della
dei rinforzi e degli amminicoli, che la sostengono: ella  dunque  soggiace ad un progresso e ad un cotale sviluppamento nell'
Questo fatto venne già notato: [...OMISSIS...] . Credenza  dunque  produce credenza; ubbidienza produce ubbidienza nel
loro origine dal significato improprio e vago delle parole.  Dunque  al fanciullo una cognizione profonda della lingua
[...OMISSIS...] . L' azione, il far loro fare le cose è  dunque  il migliore mezzo per farle loro apprendere e per saldarle
ciascuna parte di cui le lettere si compongono. Vi ha  dunque  un progresso d' analisi, di cui deve fare uso il savio
e temperare l' attenzione del fanciullo a suo grado. Vi ha  dunque  bisogno di un metodo di lettura e di scritto uniti in un
può formarsi una distinta idea del numero tre. Come  dunque  l' aritmetica dell' età precedente dovea fermarsi a
la frivolità de' fanciulli ha la stessa origine. Si dee  dunque  anzi cercare una associazione assennata che una
e già questo solo non è un affare leggiero. Gioverà  dunque  per ispianare la strada, che qui passiamo in revista le
come intellezioni elementari, le conseguenze (1). Convien  dunque  che il savio istitutore sappia accortamente osservare, e
alla mente, la vita rispondere al cuore. Se la mente  dunque  si conforma all' ordine oggettivo delle cose, se si ha in
benevolo produce l' universalità della vita buona . Si dee  dunque  educare la mente del fanciullo a riconoscere tutti i nessi
dall' idea di Dio essere essenziale. L' unità di Dio dee  dunque  rendersi dominante nella mente del fanciullo: a Dio come a
cose in Dio colla maggior generalità possibile di parole è  dunque  la maniera più facile e il primo grado del far sentire e
è quello che unifica questa categoria di cose. Sarà  dunque  assai bene che si faccia considerare al fanciullo in tutte
che la natura stessa insegna ad esercitare. Chi abusa  dunque  della credulità fanciullesca, che è conseguenza della
e difficilissimi ad adempirsi: di questo dobbiamo  dunque  noi ora parlare: riprendiam da principio il ragionamento.
ch' egli ha, di conoscerla per bona e stimabile. Si dee  dunque  da noi esaminare questi due punti importanti, si dee
questo è del tutto superiore al suo sviluppo. Converrà  dunque  ricorrere ai dati estrinseci, su' quali giudica il
stimoli de' bisogni, che a ciò far la sollecitano. Veniamo  dunque  ora ad esporre alcuni cenni anche sullo sviluppo, che fa la
passo lo farò all' ordine seguente: nel sesto comincerà  dunque  nella mente del fanciullo l' idea distinta dell'
con ciò anco figlio della sua coscienza morale. Il rimorso  dunque  coll' atto dell' imputazione si amplifica, s' integra,
l' uomo non avea per ancora la coscienza di sè stesso. Era  dunque  il soggetto uomo, qual soggetto morale, che da una parte
razionale. Ma nel quint' ordine oggimai può farlo. Come  dunque  lo farà egli? Egli è indubitato, che egli intenderà di
ma alle suggestioni della volontà, che il corrompe. Se  dunque  la benevolenza del bambino s' è lasciata divenire esclusiva
ed eccellenza dell' ente intellettivo beneficante. Vedesi  dunque  qual sia il principio morale del fanciullo a questa età:
che misura i gradi di quella esigenza morale. La prima  dunque  era una norma, che potea dirsi concreta , perocchè era
della natura, non avvi dubbio di sorta. La vocazione  dunque  dell' uomo, dell' umanità, diviene da quell' ora più
bene si è il vero, e il cui proprio male si è il falso.  Dunque  il mentire è peccato e la veracità è dovere ». Da questa
di lui gli esseri reali. Questa forma di moralità potrebbe  dunque  venire espressa così: « fa ciò, che ti mostra dover tu fare
sono i tre modi, ne' quali l' essere sussiste. Il fanciullo  dunque  al quint' ordine d' intellezioni tocca si può dire tutta la
non fosser piacevoli gli stessi oggetti, ch' ella presenta?  Dunque  non è solo l' attività come attività la cagione perchè il
oggettiva (2), e del soggetto interamente obliviosa. Se  dunque  l' imaginazione, che si spiega nel fanciullo, non
dell' esperienza e delle cognizioni in lui crescenti. Egli  dunque  prende degli errori anche per questa via, per la quale si
ancora le altrui osservazioni: [...OMISSIS...] . Basta  dunque  un solo fatto, ed il fanciullo giudica degli altri, che
a determinare le forme e le leggi della società. Con ciò  dunque  noi supponiamo, che vi sia un' altra parte di giustizia
la sua sfera e quindi si ha la pace fra gli uomini. Vi ha  dunque  un Diritto extrasociale ed un Diritto sociale. L' ufficio
diritto al fine dell' associazione nella quale si unisce;  dunque  ha diritto altresì alla forma regolare di essa associazione
pure è instabile e momentanea l' obbedienza. Ad ottener  dunque  che una moltitudine di uomini obbedisca ad un solo od a
l' obbedire stesso è un riconoscere tale autorità. L' idea  dunque  di dovere, che è un' idea morale, va ad essere il legame di
finalmente un' autorità suprema ed anche una forza suprema:  dunque  è impossibile di levare dalla società il caso in cui non si
che non di ciò che possano gli altri contro di lui. Egli è  dunque  necessario di ricorrere sempre in fine del conto, per
d' avere in mano la forza, perchè non ne abusino. Sia pur  dunque  per molti alquanto strano, pure egli non cessa d' essere
maggiorità dei cittadini tiranneggiare la minorità. Egli è  dunque  evidente, che ogni disposizione governativa per esser
di tutti e in tutti casi contro l' umana tristizia. E`  dunque  da ritenersi come cosa dimostrata che a tutte le
minorità, o della parte debole o di tutto il corpo sociale.  Dunque  fra tutte le cose quella della massima importanza per la
Non più di quello che il popolo sa volere. Per conoscere  dunque  che cosa ottenga una rivoluzione conviene vedere che cosa
atti abbandonata puramente alla sua coscienza. Essendosi  dunque  in parole proclamata la libertà, è rimasto l' assolutismo
Stato, cause gravissime e talora difficilissime: debbono  dunque  queste essere riserbate alla suprema corte di giustizia che
e proporzionato alla popolazione dello Stato. Converrà  dunque  fissare la proporzione che deve osservarsi fra il numero
o che non si era a sufficienza spiegata. Domandando  dunque  attenzione per ispiegarsi meglio, cominciò dal dimostrare,
gli uomini indistintamente, sieno benestanti o no, che  dunque  la Società Civile ha l' obbligo di mantenere i suoi membri
beneficŒ, e non debiti che fossero a lor pagati. 1) Se  dunque  fin qui i proprietari non ebbero che un dovere d' umanità
succiano gli umori vitali dal tronco della società. Non è  dunque  utile tale società che sovverte l' ordine della natura, che
al doppio fine che sieno conservati ed accresciuti. Egli  dunque  aggiunge bensì qualche cosa allo stato di natura in cui si
il quale lo difende e lo aiuta al bene degli uomini. Egli è  dunque  un grande errore, sebbene frequente, quello di non vedere
un fine è quello di ottenerlo colla menoma azione. Egli è  dunque  un' insensatezza degli uomini moderni lo sforzo di
quale non si potrà più rompere, e si dovrà temere. Egli è  dunque  meglio per tutti egualmente gli uomini, ma specialmente per
ma in tal caso la declamazione va contro le ricchezze: or  dunque  queste si dovrebbono distruggere ed annientare. E` egli
Se un proprietario amministra male il suo, chi potrà  dunque  rimprocciarlo? Egli fa male, ma solo a sè stesso, e tale
la somma di tutte le modalità insieme raccolte. Restava  dunque  di vedere come tal principio si potesse ridurre alla
nissuno violi in lui questi due sacri diritti. La difesa  dunque  dei medesimi è l' unica modalità che si possa pensare ad
secondo le pubbliche disposizioni sanitarie: quelli  dunque  che hanno diritto che la loro sanità si conservi nel
di nuova forza; ed ogni nuova forza può nuocere 1). Non è  dunque  lo scopo della società civile, nè può esserlo, difendere i
giacchè del suo non hanno onde mantenersi; essi non danno  dunque  alla patria che quanto dà il mercenario al padrone al cui
proporzionale a quella modalità che ei porta in comune. Or  dunque  l' uomo non libero non ha nessuna modalità da mettere in
società, la quale era ciò che li rendeva cittadini. 2) Fece  dunque  osservare che la prima base della società era che ogni
dei proprŒ diritti, ma ciò facevano i loro padroni. Se  dunque  si facesse che i servi entrassero nell' amministrazione
diritto che nello stato di natura non avevano. Il passaggio  dunque  dallo stato di natura allo stato di società civile non si
mantenimento, senza chiamare altri in aiuto. La esistenza  dunque  dei mercenarŒ è precaria, e dipendente dalla volontà di
a forza lavoro, se quelli nol facessero a volontà. Vero è  dunque  che i mercenarŒ non sono al tutto alla condizione dei
più lontano, e non può venire meno il suo movimento. Egli è  dunque  contro questa legge di perfettibilità che andrebbero gli
dei mercenarŒ è utile, come abbiamo veduto, ai benestanti:  dunque  oltrechè sarebbe stolto distruggerlo, e di una stoltezza
di ciascun membro della Società civile. » Non poteva  dunque  rifiutarsi l' Assemblea dall' ammettere tal principio, se
commercio sono di somma utilità ai possessori delle terre:  dunque  questi quando anco potessero abbandonarli non lo faranno
delle terre somministrando le materie prime? Le arti  dunque  ed il commercio vennero ad esistere mediante una loro
mediante il lavoro ch' essi fecero della medesima. Come  dunque  il benestante dipende dalla terra per cavare della
la misura del prezzo più acconcia di tutte. Valutiamo  dunque  il prezzo delle cose in danaro, o per dir meglio
consideriamo la valutazione loro nel fatto. Quali sono  dunque  gli elementi che costituiscono questo prezzo, o questa
mediante un' equa convenzione. 1) La Società civile  dunque  è una specie di convenzione generale riguardante tutti gli
riconosciute esser quelle che la Commissione propose. Or  dunque  si tratta di formare la società sopra queste basi. Ma
dovesse considerarsi come un gittamento di dadi? Bisogna  dunque  vedere fino dove si estende l' obbiezione, che il formare
assai male conseguenze trarrebbero seco. Or via, qual' è  dunque  la forza dell' obbiezione? Ella sta in questo; che
essere da questo esempio intimamente connessa. L' equità  dunque  si può dire che non sia se non se la giustizia in pratica;
si potrebbe ottenere senza aver fatto la giustizia. E`  dunque  un dovere della legge naturale la formazione della
dei diritti era cosa appartenente all' utilità : giustizia  dunque  ed utilità erano i due scopi suddetti della società che si
umana dignità il primo più necessario ancora del secondo:  dunque  i due poteri che presiedevano a questi scopi erano supremi
in tutti e due questi modi contemporaneamente: la società  dunque  degli uomini non può che avere anch' essa due modi di
le stesse forze, e reagiscono in tutte le direzioni: fa  dunque  bisogno di regolarizzarle perchè non la turbino, e questa
dalla rigorosa giustizia non sarebbe la menoma: non sarebbe  dunque  equa tale arbitraria esclusione. In conferma del secondo
due voti; mentre non è che un solo essere morale. Non è  dunque  possibile che un uomo deleghi un altro a dare il voto per
del proprio giudizio e non quello dell' altrui; egli è  dunque  necessario che ciascuno che dà il voto lo dia da se stesso;
a cui delle due parti appartenga il diritto conteso. Se  dunque  il Tribunale non altera punto le relazioni naturali degli
cioè che dalla parte dei figli non ha coazione reattiva. Se  dunque  viene istituito il Tribunale per tenere nei suoi doveri gli
tempo dell' agitazione, e contenerli dagli eccessi. Egli è  dunque  conforme alla natura della cosa che i voti dei figliuoli
raffrenati con una legge morale, ma non giuridica. Imitate  dunque  l' autore della natura. Potrete anzi non imitarlo? avrete
non ve n' ha alcuno di cui essi non possono abusare. E`  dunque  da osservare diligentemente qual sia la natura delle
totalmente diverso dalle prime. Le instituzioni false  dunque  nascono allorquando si contorcono le instituzioni
e minori di numero dei casi in cui non abusano: questi casi  dunque  particolari di abuso non danno diritto alla società civile
delle instituzioni preventive e repressive . Ad ovviare  dunque  gli abusi dell' autorità paterna e maritale debbono
padri ed ai mariti la legge naturale per moderarlo. Egli è  dunque  inconveniente e contro la natura delle cose stabilire che
egli vuole il suo servo che si rimane d' esser servo. Se  dunque  è assurdo che l' autorità umana intervenga nei diritti fra
si cauteli contro la propria azione, la propria azione  dunque  è diversa dall' azione con cui si cautela, e questa viene
questa perciò non debbe nè mutar nè distrugger quella. Se  dunque  volendo dare la costituzione ad uno Stato si propone per
a fare od a riformare la costituzione dello Stato. Voi  dunque  dovete esaminare con diligenza l' opinione di questi
dare al medesimo una prova di qualche valore. Già che  dunque  si tratta d' un calcolo di estrema difficoltà per li molti
le stesse cose e subiscono le stesse tentazioni. Oltre  dunque  il dubbio che può ragionevolmente cadere sul grado di forza
sapere di certo se si sia andati avanti o indietro. Dovendo  dunque  voi fare una mutazione di cui l' esito vi fosse incerto per
civile una rappresentazione conveniente e possibile. »  Dunque  un tal diritto che ricevono i membri della società civile
ciò non sarebbe che un atto di tirannia. La dichiarazione  dunque  dei diritti naturali dell' uomo fatta dall' autorità civile
che li ha dichiarati, infallibile. Il potere civile  dunque  non debbe già arrogarsi di essere l' autorevole maestro
società civile è formata: questo è quel fiat che la crea.  Dunque  essa è in necessità di dichiarare imprescrittibile questo
titolo la perfezionatrice della giustizia. Proseguiamo  dunque  lo sviluppo del medesimo piano, torniamo all' ipotesi della
interessato nella causa. Ciascuna Assemblea inferiore  dunque  aveva essenzialmente ed imprescrittibilmente i seguenti
di tutti potessero avere contemporaneamente luogo. Essa  dunque  credette, che si potessero ottenere le deviazioni menome
che la sua Amministrazione era pessima. Se ne instituisce  dunque  un' altra, ma ben presto, atterrata anche questa, ne sorge
che può solo dar luogo al Tribunale politico, si esige  dunque  non solo che i Principi sieno retti e buoni, ma ben ancora
cui gli uomini vogliono che sia resa loro giustizia; egli è  dunque  la causa movente della giustizia privata nello stato di
ingiuria i suoi simili, e in essi la comune ragione. Era  dunque  necessario che si pensasse di riunire insieme le forze
della ragione comune è lo scopo della società civile: ella  dunque  viene formata dalle due parti necessarie per ottenere tale
proteggere la ragione comune e non lo farebbe. Che cosa è  dunque  necessario per assicurarsi quanto è più possibile che il
politico? Per tutti quelli che possono essere offesi.  Dunque  tutti quelli che possono essere offesi, e che entrano nella
in comune, e per i quali l' Amministrazione può mantenersi.  Dunque  nell' Amministrazione non può aver voto che chi possiede di
come la civile il danaro è quasi indispensabile. Egli è  dunque  naturale che nella Società civile si passi ben presto a
quello che risulta dal mantenimento delle persone. Lo scopo  dunque  dell' affezione nella Società domestica sono le persone
o certo in ultimo per un' aperta violenza. Egli è  dunque  falso ciò che vien comunemente creduto, che il governo
la necessità del rimedio era pure da tutti sentita: v' era  dunque  la disposizione degli animi a ricevere ciò che si
stati per gli principŒ dichiarati loro nemici: non restava  dunque  ai nobili che di lasciar la preda delle lor proprietà, e di
di quanto andasse debitore a questa forza. Si considerino  dunque  i progressi della Società nella Francia; e si vedrà, che
e non garantito per mancanza della proprietà. Che cosa  dunque  succederà? Se le persone governanti vengono prese in
Inglese dice [...OMISSIS...] Così l' Inghilterra  dunque  come gli altri stati d' Europa vide i piccoli proprietarŒ
che pur nel governo politico non erano rappresentate. Non è  dunque  da chiamar generoso il partito preso di difendere a tutto
riflessione portata sulle sue conseguenze. Il Sig. Raynal  dunque  con insegnare l' aumento indiscreto della popolazione
per impossessarsi quindi delle proprietà. I principii  dunque  del Sig. Raynal menavano appunto ai furti politici, contro
sociale per li selvaggi di cui non hanno bisogno. Scrivendo  dunque  per gli altri uomini tutti come sono, noi veggiamo per un
politico debbe fondare l' organizzazione della società. Or  dunque  crederassi di evitare a questo supposto disordine col dar
le occasioni che si presentano alla medesima. Non basta  dunque  per render ragione dei mali che avvengono al mondo
sempre avvenire che le forze altrui l' abbandonino. Egli è  dunque  una cattiva costituzione quella nella quale nessuno ha
come pure è priva di timore d' essere soverchiata. Ella  dunque  è priva di quella tentazione d' assalire l' altrui che
l' altrui che nasce dal bisogno di difendere il proprio. Ha  dunque  una tentazione di meno: una occasione di meno da far male:
tentazione di meno: una occasione di meno da far male: è  dunque  questa la costituzione da preferirsi. In tutta l' Europa vi
[...OMISSIS...] Nella mutazione della prima stirpe ebbe  dunque  influenza l' abilità personale, giacchè il Prefetto del
generale, non era più un semplice beneficio. La nazione  dunque  risentendosi di queste conseguenze doveva cercare di porre
questa conviene provare che v' abbia il titolo. Supposta  dunque  l' occupazione un buon titolo, il capitano della nazione
e la sua impresa fosse diretta con unità. La proprietà  dunque  delle terre conquistate apparteneva alla nazione
era naturale, che lo ricevesse dal suo capo. La incombenza  dunque  e il diritto di questo capo era di governare, di metter
già fossero state sue egualmente tutte le altre. La legge  dunque  che ora parla di una proprietà del principe sulla porzione
poco fa erano gl' inimici che avete distrutti. Non trovo  dunque  alcun mezzo perchè voi conserviate il presente stato
come un premio dell' obbedienza di quest' ordine. Voi tutti  dunque  che riceverete la vostra porzione di proprietà lasciate
di perderla dall' istante che ricusaste difenderla. »1) E`  dunque  evidente che l' instituzione feudale non è che un'
nazione verrebbe in pericolo di perire. Ella non può esser  dunque  la costituzione feudale una costituzione stabile; poichè
da Nitardo che questo trattato fu fatto dalla nobiltà. Fino  dunque  che il principe poteva esercitare con libertà il diritto
credere ch' egli sia il proprietario delle terre. Dipende  dunque  solo dall' indole del principe, e dalle circostanze che gli
difendere sè stessi, cioè di conservarsi e di ampliarsi. Or  dunque  nella società umana come vi sono due specie di diritti,
ad un mezzo inserviente alla difesa dei proprŒ diritti. Or  dunque  il potere politico viene come strappato e tirato da due
cattiveria: la quale ora è più grande ed ora è più piccola:  dunque  la minorità non viene già interamente distrutta, ma viene
necessario per l' amministrazione della giustizia? Non già.  Dunque  fino che i membri dell' amministrazione debbono anche esser
dalla loro ricchezza e povertà. L' amministrazione perfetta  dunque  non si può ottenere se non si divide da essa tutto ciò che
stesse si mettono in circolazione come cambiali. Si ha  dunque  ragione di gridare contro al materialismo che corrompe i
un' autorità suprema, ed anche una forza suprema:  dunque  è impossibile di levare dalla società il caso in cui non si
che non di ciò che possan gli altri contro di lui. Egli è  dunque  necessario di ricorrere sempre in fin del conto per trovar
d' avere in mano la forza, perchè non ne abusino. Sia pur  dunque  per molti alquanto strano, pure egli non cessa d' esser
maggiorità dei cittadini tiranneggiare la minorità. Egli è  dunque  evidente, che ogni disposizione governativa per esser buona
dubbio, e di dare all' equità una base costante: egli è  dunque  questo Tribunale che i popoli colle loro inquietudini
sdegno onde mirasi il delitto di lesa umanità. Egli è  dunque  il caso in cui gli uomini si troveranno tutti uniti, non
Ciascuno si riconoscerà debile contro di tutti: tutti  dunque  saranno interessati non più ad assalire la proprietà di
è l' unico officio del Tribunale di cui parliamo. Egli è  dunque  evidente che il secreto di stato, qualunque sia l' opinione
in due rami, divisi secondo i detti due offici. L' officio  dunque  di giudicare commesso ad un apposito Tribunale sarebbe un
cioè a dire rappresenta gli amministrati: essi non possono  dunque  esser giudici perchè sono parti, e lo scopo del Tribunale
l' amministrazione come più a sè torna conto: egli è  dunque  una divisione di amministrazione che nasce, e una divisione
gli unici sostegni del politico Tribunale. Non convien  dunque  fare di questo Tribunale la proprietà di alcuna famiglia, o
sono divisi ed assegnati in particolari proprietà. Ognuno  dunque  ha diritto di vivere solo nel caso che non venga lesa
vanno a perire, i quali hanno pure diritto di esistere. Chi  dunque  infrange la legge della proprietà per principŒ cospira alla
di una figliuolanza che non hanno il potere di nutrire, è  dunque  dannosa alla società. E ponendo essi al mondo una
a determinare le forme e le leggi della società. Con ciò  dunque  noi supponiamo, che vi sia un' altra parte di giustizia
la sua sfera e quindi si ha la pace fra gli uomini. Vi ha  dunque  un Diritto extrasociale ed un Diritto sociale. L' ufficio
diritto al fine dell' associazione nella quale si unisce;  dunque  ha diritto altresì alla forma regolare di essa associazione
pure è instabile e momentanea l' obbedienza. Ad ottener  dunque  che una moltitudine di uomini obbedisca ad un solo od a
l' obbedire stesso è un riconoscere tale autorità. L' idea  dunque  di dovere, che è un' idea morale, va ad essere il legame di
finalmente un' autorità suprema ed anche una forza suprema:  dunque  è impossibile di levare dalla società il caso in cui non si
che non di ciò che possano gli altri contro di lui. Egli è  dunque  necessario di ricorrere sempre in fine del conto, per
d' avere in mano la forza, perchè non ne abusino. Sia pur  dunque  per molti alquanto strano, pure egli non cessa d' essere
maggiorità dei cittadini tiranneggiare la minorità. Egli è  dunque  evidente, che ogni disposizione governativa per esser
di tutti e in tutti casi contro l' umana tristizia. E`  dunque  da ritenersi come cosa dimostrata che a tutte le
minorità, o della parte debole o di tutto il corpo sociale.  Dunque  fra tutte le cose quella della massima importanza per la
Non più di quello che il popolo sa volere. Per conoscere  dunque  che cosa ottenga una rivoluzione conviene vedere che cosa
atti abbandonata puramente alla sua coscienza. Essendosi  dunque  in parole proclamata la liberta, è rimasto l' assolutismo
Stato, cause gravissime e talora difficilissime: debbono  dunque  queste essere riserbate alla suprema corte di giustizia che
e proporzionato alla popolazione dello Stato. Converrà  dunque  fissare la proporzione che deve osservarsi fra il numero
o che non si era a sufficienza spiegata. Domandando  dunque  attenzione per ispiegarsi meglio, cominciò dal dimostrare,
gli uomini indistintamente, sieno benestanti o no, che  dunque  la Società Civile ha l' obbligo di mantenere i suoi membri
beneficŒ, e non debiti che fossero a lor pagati. 1) Se  dunque  fin qui i proprietari non ebbero che un dovere d' umanità
succiano gli umori vitali dal tronco della società. Non è  dunque  utile tale società che sovverte l' ordine della natura, che
al doppio fine che sieno conservati ed accresciuti. Egli  dunque  aggiunge bensì qualche cosa allo stato di natura in cui si
il quale lo difende e lo aiuta al bene degli uomini. Egli è  dunque  un grande errore, sebbene frequente, quello di non vedere
un fine è quello di ottenerlo colla menoma azione. Egli è  dunque  un' insensatezza degli uomini moderni lo sforzo di
quale non si potrà più rompere, e si dovrà temere. Egli è  dunque  meglio per tutti egualmente gli uomini, ma specialmente per
ma in tal caso la declamazione va contro le ricchezze: or  dunque  queste si dovrebbono distruggere ed annientare. E` egli
Se un proprietario amministra male il suo, chi potrà  dunque  rimprocciarlo? Egli fa male, ma solo a sè stesso, e tale
la somma di tutte le modalità insieme raccolte. Restava  dunque  di vedere come tal principio si potesse ridurre alla
nissuno violi in lui questi due sacri diritti. La difesa  dunque  dei medesimi è l' unica modalità che si possa pensare ad
secondo le pubbliche disposizioni sanitarie: quelli  dunque  che hanno diritto che la loro sanità si conservi nel
di nuova forza; ed ogni nuova forza può nuocere 1). Non è  dunque  lo scopo della società civile, nè può esserlo, difendere i
giacchè del suo non hanno onde mantenersi; essi non danno  dunque  alla patria che quanto dà il mercenario al padrone al cui
proporzionale a quella modalità che ei porta in comune. Or  dunque  l' uomo non libero non ha nessuna modalità da mettere in
società, la quale era ciò che li rendeva cittadini. 2) Fece  dunque  osservare che la prima base della società era che ogni
dei proprŒ diritti, ma ciò facevano i loro padroni. Se  dunque  si facesse che i servi entrassero nell' amministrazione
diritto che nello stato di natura non avevano. Il passaggio  dunque  dallo stato di natura allo stato di società civile non si
mantenimento, senza chiamare altri in aiuto. La esistenza  dunque  dei mercenarŒ è precaria, e dipendente dalla volontà di
a forza lavoro, se quelli nol facessero a volontà. Vero è  dunque  che i mercenarŒ non sono al tutto alla condizione dei
più lontano, e non può venire meno il suo movimento. Egli è  dunque  contro questa legge di perfettibilità che andrebbero gli
dei mercenarŒ è utile, come abbiamo veduto, ai benestanti:  dunque  oltrechè sarebbe stolto distruggerlo, e di una stoltezza
di ciascun membro della Società civile. » Non poteva  dunque  rifiutarsi l' Assemblea dell' ammettere tal principio, se
commercio sono di somma utilità ai possessori delle terre:  dunque  questi quando anco potessero abbandonarli non lo faranno
delle terre somministrando le materie prime? Le arti  dunque  ed il commercio vennero ad esistere mediante una loro
mediante il lavoro ch' essi fecero della medesima. Come  dunque  il benestante dipende dalla terra per cavare della
la misura del prezzo più acconcia di tutte. Valutiamo  dunque  il prezzo delle cose in danaro, o per dir meglio
consideriamo la valutazione loro nel fatto. Quali sono  dunque  gli elementi che costituiscono questo prezzo, o questa
mediante un' equa convenzione. 1) La Società civile  dunque  è una specie di convenzione generale riguardante tutti gli
riconosciute esser quelle che la Commissione propose. Or  dunque  si tratta di formare la società sopra queste basi. Ma
dovesse considerarsi come un gittamento di dadi? Bisogna  dunque  vedere fino dove si estende l' obbiezione, che il formare
assai male conseguenze trarrebbero seco. Or via, qual' è  dunque  la forza dell' obbiezione? Ella sta in questo; che
essere da questo esempio intimamente connessa. L' equità  dunque  si può dire che non sia se non se la giustizia in pratica;
si potrebbe ottenere senza aver fatto la giustizia. E`  dunque  un dovere della legge naturale la formazione della
dei diritti era cosa appartenente all' utilità : giustizia  dunque  ed utilità erano i due scopi suddetti della società che si
umana dignità il primo più necessario ancora del secondo:  dunque  i due poteri che presiedevano a questi scopi erano supremi
in tutti e due questi modi contemporaneamente: la società  dunque  degli uomini non può che avere anch' essa due modi di
le stesse forze, e reagiscono in tutte le direzioni: fa  dunque  bisogno di regolarizzarle perchè non la turbino, e questa
dalla rigorosa giustizia non sarebbe la menoma: non sarebbe  dunque  equa tale arbitraria esclusione. In conferma del secondo
due voti; mentre non è che un solo essere morale. Non è  dunque  possibile che un uomo deleghi un altro a dare il voto per
del proprio giudizio e non quello dell' altrui; egli è  dunque  necessario che ciascuno che dà il voto lo dia da se stesso;
a cui delle due parti appartenga il diritto conteso. Se  dunque  il Tribunale non altera punto le relazioni naturali degli
cioè che dalla parte dei figli non ha coazione reattiva. Se  dunque  viene istituito il Tribunale per tenere nei suoi doveri gli
tempo dell' agitazione, e contenerli dagli eccessi. Egli è  dunque  conforme alla natura della cosa che i voti dei figliuoli
raffrenati con una legge morale, ma non giuridica. Imitate  dunque  l' autore della natura. Potrete anzi non imitarlo? avrete
non ve n' ha alcuno di cui essi non possono abusare. E`  dunque  da osservare diligentemente qual sia la natura delle
totalmente diverso dalle prime. Le instituzioni false  dunque  nascono allorquando si contorcono le instituzioni
e minori di numero dei casi in cui non abusano: questi casi  dunque  particolari di abuso non danno diritto alla società civile
delle instituzioni preventive e repressive . Ad ovviare  dunque  gli abusi dell' autorità paterna e maritale debbono
padri ed ai mariti la legge naturale per moderarlo. Egli è  dunque  inconveniente e contro la natura delle cose stabilire che
egli vuole il suo servo che si rimane d' esser servo. Se  dunque  è assurdo che l' autorità umana intervenga nei diritti fra
si cauteli contro la propria azione, la propria azione  dunque  è diversa dall' azione con cui si cautela, e questa viene
questa perciò non debbe nè mutar nè distrugger quella. Se  dunque  volendo dare la costituzione ad uno Stato si si propone per
a fare od a riformare la costituzione dello Stato. Voi  dunque  dovete esaminare con diligenza l' opinione di questi
dare al medesimo una prova di qualche valore. Già che  dunque  si tratta d' un calcolo di estrema difficoltà per li molti
le stesse cose e subiscono le stesse tentazioni. Oltre  dunque  il dubbio che può ragionevolmente cadere sul grado di forza
sapere di certo se si sia andati avanti o indietro. Dovendo  dunque  voi fare una mutazione di cui l' esito vi fosse incerto per
civile una rappresentazione conveniente e possibile. »  Dunque  un tal diritto che ricevono i membri della società civile
ciò non sarebbe che un atto di tirannia. La dichiarazione  dunque  dei diritti naturali dell' uomo fatta dall' autorità civile
che li ha dichiarati, infallibile. Il potere civile  dunque  non debbe già arrogarsi di essere l' autorevole maestro
società civile è formata: questo è quel fiat che la crea.  Dunque  essa è in necessità di dichiarare imprescrittibile questo
titolo la perfezionatrice della giustizia. Proseguiamo  dunque  lo sviluppo del medesimo piano, torniamo all' ipotesi della
interessato nella causa. Ciascuna Assemblea inferiore  dunque  aveva essenzialmente ed imprescrittibilmente i seguenti
di tutti potessero avere contemporaneamente luogo. Essa  dunque  credette, che si potessero ottenere le deviazioni menome
che la sua Amministrazione era pessima. Se ne instituisce  dunque  un' altra, ma ben presto, atterrata anche questa, ne sorge
che può solo dar luogo al Tribunale politico, si esige  dunque  non solo che i Principi sieno retti e buoni, ma ben ancora
cui gli uomini vogliono che sia resa loro giustizia; egli è  dunque  la causa movente della giustizia privata nello stato di
ingiuria i suoi simili, e in essi la comune ragione. Era  dunque  necessario che si pensasse di riunire insieme le forze
della ragione comune è lo scopo della società civile: ella  dunque  viene formata dalle due parti necessarie per ottenere tale
proteggere la ragione comune e non lo farebbe. Che cosa è  dunque  necessario per assicurarsi quanto è più possibile che il
politico? Per tutti quelli che possono essere offesi.  Dunque  tutti quelli che possono essere offesi, e che entrano nella
in comune, e per i quali l' Amministrazione può mantenersi.  Dunque  nell' Amministrazione non può aver voto che chi possiede di
come la civile il danaro è quasi indispensabile. Egli è  dunque  naturale che nella Società civile si passi ben presto a
quello che risulta dal mantenimento delle persone. Lo scopo  dunque  dell' affezione nella Società domestica sono le persone
o certo in ultimo per un' aperta violenza. Egli è  dunque  falso ciò che vien comunemente creduto, che il governo
la necessità del rimedio era pure da tutti sentita: v' era  dunque  la disposizione degli animi a ricevere ciò che si
stati per gli principŒ dichiarati loro nemici: non restava  dunque  ai nobili che di lasciar la preda delle lor proprietà, e di
di quanto andasse debitore a questa forza. Si considerino  dunque  i progressi della Società nella Francia; e si vedrà, che
e non garantito per mancanza della proprietà. Che cosa  dunque  succederà? Se le persone governanti vengono prese in
dice [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] Così l' Inghilterra  dunque  come gli altri stati d' Europa vide i piccoli proprietarŒ
che pur nel governo politico non erano rappresentate. Non è  dunque  da chiamar generoso il partito preso di difendere a tutto
riflessione portata sulle sue conseguenze. Il Sig. Raynal  dunque  con insegnare l' aumento indiscreto della popolazione
per impossessarsi quindi delle proprietà. I principii  dunque  del Sig. Raynal menavano appunto ai furti politici, contro
sociale per li selvaggi di cui non hanno bisogno. Scrivendo  dunque  per gli altri uomini tutti come sono, noi veggiamo per un
politico debbe fondare l' organizzazione della società. Or  dunque  crederassi di evitare a questo supposto disordine col dar
le occasioni che si presentano alla medesima. Non basta  dunque  per render ragione dei mali che avvengono al mondo
sempre avvenire che le forze altrui l' abbandonino. Egli è  dunque  una cattiva costituzione quella nella quale nessuno ha
come pure è priva di timore d' essere soverchiata. Ella  dunque  è priva di quella tentazione d' assalire l' altrui che
l' altrui che nasce dal bisogno di difendere il proprio. Ha  dunque  una tentazione di meno: una occasione di meno da far male:
tentazione di meno: una occasione di meno da far male: è  dunque  questa la costituzione da preferirsi. In tutta l' Europa vi
[...OMISSIS...] Nella mutazione della prima stirpe ebbe  dunque  influenza l' abilità personale, giacchè il Prefetto del
generale, non era più un semplice beneficio. La nazione  dunque  risentendosi di queste conseguenze doveva cercare di porre
questa conviene provare che v' abbia il titolo. Supposta  dunque  l' occupazione un buon titolo, il capitano della nazione
e la sua impresa fosse diretta con unità. La proprietà  dunque  delle terre conquistate apparteneva alla nazione
era naturale, che lo ricevesse dal suo capo. La incombenza  dunque  e il diritto di questo capo era di governare, di metter
già fossero state sue egualmente tutte le altre. La legge  dunque  che ora parla di una proprietà del principe sulla porzione
poco fa erano gl' inimici che avete distrutti. Non trovo  dunque  alcun mezzo perchè voi conserviate il presente stato
come un premio dell' obbedienza di quest' ordine. Voi tutti  dunque  che riceverete la vostra porzione di proprietà lasciate
di perderla dall' istante che ricusaste difenderla. »1) E`  dunque  evidente che l' instituzione feudale non è che un'
nazione verrebbe in pericolo di perire. Ella non può esser  dunque  la costituzione feudale una costituzione stabile; poichè
da Nitardo che questo trattato fu fatto dalla nobiltà. Fino  dunque  che il principe poteva esercitare con libertà il diritto
credere ch' egli sia il proprietario delle terre. Dipende  dunque  solo dall' indole del principe, e dalle circostanze che gli
difendere sè stessi, cioè di conservarsi e di ampliarsi. Or  dunque  nella società umana come vi sono due specie di diritti,
ad un mezzo inserviente alla difesa dei proprŒ diritti. Or  dunque  il potere politico viene come strappato e tirato da due
cattiveria: la quale ora è più grande ed ora è più piccola:  dunque  la minorità non viene già interamente distrutta, ma viene
necessario per l' amministrazione della giustizia? Non già.  Dunque  fino che i membri dell' amministrazione debbono anche esser
dalla loro ricchezza e povertà. L' amministrazione perfetta  dunque  non si può ottenere se non si divide da essa tutto ciò che
stesse si mettono in circolazione come cambiali. Si ha  dunque  ragione di gridare contro al materialismo che corrompe i
un' autorità suprema, ed anche una forza suprema:  dunque  è impossibile di levare dalla società il caso in cui non si
che non di ciò che possan gli altri contro di lui. Egli è  dunque  necessario di ricorrere sempre in fin del conto per trovar
d' avere in mano la forza, perchè non ne abusino. Sia pur  dunque  per molti alquanto strano, pure egli non cessa d' esser
maggiorità dei cittadini tiranneggiare la minorità. Egli è  dunque  evidente, che ogni disposizione governativa per esser buona
dubbio, e di dare all' equità una base costante: egli è  dunque  questo Tribunale che i popoli colle loro inquietudini
sdegno onde mirasi il delitto di lesa umanità. Egli è  dunque  il caso in cui gli uomini si troveranno tutti uniti, non
Ciascuno si riconoscerà debile contro di tutti: tutti  dunque  saranno interessati non più ad assalire la proprietà di
è l' unico officio del Tribunale di cui parliamo. Egli è  dunque  evidente che il secreto di stato, qualunque sia l' opinione
in due rami, divisi secondo i detti due offici. L' officio  dunque  di giudicare commesso ad un apposito Tribunale sarebbe un
cioè a dire rappresenta gli amministrati: essi non possono  dunque  esser giudici perchè sono parti, e lo scopo del Tribunale
l' amministrazione come più a sè torna conto: egli è  dunque  una divisione di amministrazione che nasce, e una divisione
gli unici sostegni del politico Tribunale. Non convien  dunque  fare di questo Tribunale la proprietà di alcuna famiglia, o
sono divisi ed assegnati in particolari proprietà. Ognuno  dunque  ha diritto di vivere solo nel caso che non venga lesa
vanno a perire, i quali hanno pure diritto di esistere. Chi  dunque  infrange la legge della proprietà per principŒ cospira alla
di una figliuolanza che non hanno il potere di nutrire, è  dunque  dannosa alla società. E ponendo essi al mondo una
che questo ideale oggetto della sua mente. Perchè s' abbia  dunque  una azione reale sopra di noi, conviene che v' abbia un
parola reale , nè può essere altro, egli è evidente che  dunque  tanto dee essere diverso il modo reale dell' essere dal
diverso ed opposto dal modo ideale, come noi passiamo  dunque  ad avere il modo ideale ? Onde ci vien percepito questo
che sono specchio al pensare comune degli uomini. Basterà  dunque  esaminare che modo adoperò tutta l' antichità a imporre i
è il comune, e il reale è il proprio nelle cose. Ecco or  dunque  che cosa produca nell' uomo la percezione della realità
che ha dalla negativa. Nella cognizione positiva poniam  dunque  mente che la sensazione (o il vestigio che lascia dopo di
non ci è nota se non per un concetto puramente ideale. Ove  dunque  vogliasi in altra maniera presentare l' analisi della
si fa in noi. La cognizione di Dio propriamente detta si fa  dunque  dalle due altre parti, e quindi la cognizione, che col lume
e l' azione è il secondo che suppone quel primo. La ragione  dunque  della distinzione, che si fa della teoria dalla pratica , è
teoria possa trattare delle cose o delle azioni. V' ha  dunque  una parte di scienza che è Teoria delle cose , e un' altra
che è Teoria delle azioni (della pratica). Anche la pratica  dunque  ha la sua teoria, ma non è essa medesima una teoria o sia
dell' arte, e non l' arte della perfezione. Altra cosa è  dunque  essere artista, e altra essere scienziato: chi sa la teoria
richiesta a poter formarsi delle idee positive delle cose.  Dunque  l' uomo non può avere naturalmente idee positive se non di
esterna; il secondo, oggetto dell' esperienza interna.  Dunque  la cognizione dell' uomo non comprende altre idee positive
l' appellazione di cognizioni ideali7negative . La luce  dunque  e i colori nella loro specie rimangono per lui
proprietà e alla natura de' colori e della luce. Che cosa  dunque  più ragionevole, che più necessario della fede? Che più
sull' uomo, e un' operazione naturale. Tutte le cose  dunque  dell' universo sensibile che ci circonda, e noi stessi in
ciò che forma quello che si chiama l' ordine naturale . Se  dunque  una cosa estranea a quest' ordine, una cosa superiore al
reale azione della grazia nell' anima umana (4). Che diremo  dunque  del protestantesimo che nei nostri tempi s' è risoluto a
di Trento, quando fece questo canone: [...OMISSIS...] V' ha  dunque  una fede che è opera di Dio nell' uomo, colla quale, se l'
soprannaturale, una vicinanza , un possesso . Che cosa è  dunque  che fa sì, che l' assenso nostro a quelle verità sia
gli rimane. Riassumendo ciò che abbiamo detto, la Teologia  dunque  appartiene alla teoria, la Religione alla pratica: il
che non è veramente che una teologia . La Religione non è  dunque  una pura speculazione, una pura teologia: molto meno è
erezione stessa della casa viene adempita. Non convien  dunque  straziare il concetto della Religione, separandolo da
sono molte; ma l' essenza dell' anima è unica: quelle  dunque  sono diverse da questa, ma da questa derivano come tralci
il fondamento della specie delle cose è la loro essenza .  Dunque  l' intelletto appartiene all' essenza dell' anima umana. La
nel quale l' atto è vivo per produrre il suo termine. Or  dunque  distinta così l' azione ideale dall' azione reale, e veduta
cioè la confessione di Salomone: [...OMISSIS...] . Che  dunque  nelle sensazioni vi sia un principio illusorio, una
tosto da quell' Agente divino che ne è l' autore. Egli è  dunque  veramente non una mera potenza, ma un vero principio nuovo
potenza nuova, che ingrandire la nostra essenza. Dell' atto  dunque  di questa mutazione non possiamo avere alcuna coscienza,
renderlo potentissimo sopra tutte le sue passioni. L' uomo  dunque  colla fede soprannaturale non percepisce Iddio
veduto che s' inizia nell' uomo ogni moralità (4): la fede  dunque  è il principio della morale cristiana, cioè il primo suo
comunicata al di fuori dell' uomo. [...OMISSIS...] Egli è  dunque  acconcissimamente detta un insegnamento la operazione della
cosa in sè stesso, che pienamente il sazia e accontenta.  Dunque  egli ha Dio, egli possiede Dio. Prima farò qualche
ma a ognun de' possibili, qualsivoglia, si estende. Come  dunque  la facoltà razionale non finisce di conoscere, se non fino
in sè cosa ov' è il TUTTO, ove nulla manca dell' essere.  Dunque  si sente in sè Dio: l' operazione è deiforme . L'
oggetto cosa, ove nulla manchi e ove sia tutto l' essere.  Dunque  si sente nella operazione della grazia tutto l' essere,
si sente nella operazione della grazia tutto l' essere,  dunque  si sente Dio stesso, dunque l' operazione è deiforme .
della grazia tutto l' essere, dunque si sente Dio stesso,  dunque  l' operazione è deiforme . Udiamo ora i Padri della Chiesa.
così argomenta. L' uomo non si empisce da nessuna creatura:  dunque  quello Spirito, che per la grazia inabita nell' uomo, è Dio
comunemente la frase che lo Spirito Santo sia in noi . Egli  dunque  dimanda, in che modo sia in noi, e risponde così:
divino ammaestra gli uomini: [...OMISSIS...] . - Se è  dunque  come la scienza, che Iddio viene partecipato da noi, egli
suoi oggetti: Iddio opera immediatamente nell' intelletto:  Dunque  Iddio si presenta allo spirito dell' uomo come oggetto, o
a uno spirito, è il medesimo che crearvi un intelletto:  Dunque  Iddio non può essere partecipato dall' uomo immediatamente
l' essere reale terminato, sussistente (5). La forma  dunque  che si sopraggiunge all' uomo, che entra a partecipare
nostra mente di sè stesse, ma di sole le loro idee. Di Dio  dunque  non si dà idea pura (positiva), ma si dà solo la percezione
ma si dà solo la percezione della sua sostanza. O convien  dunque  negare all' uomo della grazia ogni partecipazione di Dio,
della essenza dall' essere nella natura divina, non è  dunque  ciò appunto che noi dicevamo sulla indivisibilità [in Dio]
reale e positiva comunicazione con la divinità. O convien  dunque  negare all' uomo della grazia qualunque reale cognizione e
le Scritture, dello Spirito Santo, [...OMISSIS...] . Or  dunque  secondo questo principio, non per mezzo della idea pura si
ha, se può averla; parlandosi qui d' idee possibili. Havvi  dunque  un rapporto essenziale e inalterabile fra la cosa reale e
dalla volontà , che è la parte attiva della intelligenza.  Dunque  il compimento dell' ordine esige delle volontà ordinate,
tre personali sussistenze, cioè tre distinte persone. Era  dunque  impossibile dall' effetto, cioè dall' universo, conoscere
di questi tre modi fosse una forma accidentale. Non vi è  dunque  altro sistema che eviti l' assurdo, non vi è altra
santa Trinità, e la sola fede lo ha proposto a credere. Era  dunque  impossibile che la ragion naturale ricorresse da sè a
il Padre e il Figliuolo spirarono lo Spirito Santo. Non è  dunque  vero il principio che una unica operazione sia quella colla
non v' ha altro in Dio se non queste due cose (2). V' ha  dunque  in Dio, propriamente parlando, un purissimo atto che forma
atto onde sussiste il Figliuolo e lo Spirito Santo. Vi ha  dunque  un solo atto, ma v' hanno in quest' atto tre relazioni
(5), perchè le persone non sono che relazioni. Gli effetti  dunque  degli atti nozionali, non diversi dagli atti nozionali
della natura divina che già è increata. Non essendo  dunque  una sostanza nuova che si produce, ma una sola relazione
divina con una relazione, che la costituisce in persona.  Dunque  anche le tre persone dell' augustissima Trinità si uniscono
si può acconciamente chiamare triniforme . Dall' essere  dunque  la santa Trinità termine della operazione della grazia e
alla cognizione da Cristo! Egli disse: [...OMISSIS...] .  Dunque  le Scritture, quando parlano di sapienza , di cognizione di
lo stesso vocabolo più e più volte: [...OMISSIS...] . E`  dunque  solenne questa parola di PERMANERE Cristo in noi e noi in
Padre e del Figlio, la santità loro. Di quel medesimo amore  dunque  onde si amano il Padre e il Figliuolo, di quella medesima
la carità originaria (5) che informa l' anima nostra.  Dunque  esso opera nella volontà . Nè meno opera per questo nell'
stesso di amarlo e seguirlo nelle opere della vita. Or  dunque  se la luce del Verbo si riceve in noi con un atto della
e che sono comuni veramente alla Santissima Trinità. Ove  dunque  lo Spirito stesso non si faccia forma dell' anima, la
la dottrina dell' Apostolo: [...OMISSIS...] . Agli uomini  dunque  è stato dato il Figliuolo, la sapienza personale: e agli
[è] che divide ai singoli, siccome vuole« (2) ». Altro è  dunque  lo spirito che dà i doni, e altro i doni suoi. Ora i Padri
quanto noi qui sosteniamo si fa la questione: Se  dunque  non avevano lo Spirito i Profeti o, se l' avevano, per che
conoscessero che egli era la persona del Figlio. Che cosa  dunque  è che volle far conoscere a' suoi discepoli? La propria
ma un sostituirne a quelle delle altre. In che maniera  dunque  di nuovo io chiedo, poteva dirsi con verità, che agli
appunto perchè egli era in essi: [...OMISSIS...] . Eccoli  dunque  di un' altra origine, dopo che ebbero in sè il sermone del
nostra e gli affetti santi, per appropriazione (5). Se  dunque  la percezione del Verbo si fa per la fede, anche prima
del mondo (3). Il gaudio suo e il gaudio nostro è  dunque  il medesimo: il gaudio nostro è una comunicazione del
il Figliuol tuo chiarifichi te« (2) ». Che cosa dimanda qui  dunque  il Figliuolo se non un aumento di luce? E quanta luce?
perchè il TUTTO è un solo, e non può essere due. Tanto  dunque  il Verbo, come lo Spirito insegnano alle anime in cui
lo conosceranno : che è ciò se non un dir loro, che vi ha  dunque  un modo nuovo di conoscerlo, cioè per cognizione riflessa,
indipendente al tutto da noi, sui quali ella opera. Egli è  dunque  evidente che, se è vero che il Verbo entra nelle anime
poi anche la forza, e in questa anche la specie. Il Verbo  dunque  è il principio della conoscibilità del Padre: ed è questo
detto sia conforme alla cattolica verità (3). In prima  dunque  è da considerarsi che non parliamo di una manifestazione
come è, cioè come principio mandante. [...OMISSIS...] E`  dunque  necessario che il Verbo venga nelle anime nostre come
per dir meglio, un apparir generato nella umanità. Si dice  dunque  mandato Cristo, perchè viene nell' umanità, opera e si dà a
divino«, perchè emana dal Verbo come calore da luce. E`  dunque  l' impressione dello Spirito Santo nelle anime un cotale
distinto, quanto è distinto Iddio da tutte le cose create.  Dunque  chi non ha questo sentimento, questa percezione, non può
questa percezione, non può avere l' idea corrispondente:  dunque  quand' anco fossero trovate e istituite delle parole a
comunica sè stesso a cui non fa degno (2). La Teologia è  dunque  dottrina comune e dottrina segreta. Indi è che le stesse
in questo stato, egli è privo di fede, egli nega  dunque  tutto ciò che eccede i sensi crassi o le facoltà del suo
la possa dell' uomo, dicendo: [...OMISSIS...] . Non fa  dunque  meraviglia, dopo di ciò, se i savii della terra,
umana e ai progressi della morale naturale«. - Il giudizio  dunque  è fatto prima di aprire i libri delle Scritture: non si
materiale, può avere degli oggetti nobilissimi. Sarà  dunque  buono argomento di escludere la comunicazione dell' uomo
un assurdo [per] conseguente hassi a conchiudere: non è  dunque  illusione, è verità. « Come l' uomo perviene a essere
che ha parlato. Iddio non può ingannare nè ingannarsi.  Dunque  si può credere sicuramente a lui senza pericolo di prendere
- Non è questo, dettato di ragione naturale? Il credere  dunque  a Dio, dopo conosciuto prima, per mezzo della ragione, che
immediata di questo risultamento? Nessuna. Come lo si tien  dunque  per certo? Unicamente perchè si giudica che quel metodo,
questo poco:« I soprannaturalisti rinunziano alla ragione,  dunque  han torto«. La ragione dell' aver torto è tutta nell'
questa, avessero tolto a unica guida un cieco istinto. Era  dunque  facile il vedere che il supporre tanti milioni di
a tutti gli altri è autorità. Che contrarietà può aversi  dunque  all' autorità il nostro professore, egli che mostrasi così
ella più che opinione, può esser più che autorità? Vi ha  dunque  nel nostro professore razionalista non poca oscurità e
facil cosa gli riesce il tirarne quella conseguenza, che  dunque  il suo assunto è certo, ciò che è quanto un dire che il
almeno averla sottomessa a notabili modificazioni. Vuol  dunque  che noi rinunziamo all' autorità di una dottrina, che conta
nel far uso della ragione, sembrasse il contrario. Convien  dunque  aver ben fermate colla ragione queste due cose: 1. la
altro genere di bellezza, può trarsi la conseguenza, che  dunque  noi possediamo il principio onde noi potremmo formarci noi
proprio soddisfacimento, sviluppo e compimento. Ed è vero  dunque  che la nostra retta ragione è atta a giudicare di una buona
che non si può ignorare da chicchessia, che affermava  dunque  in tuono sì dogmatico una proposizione che ripugna all'
eorum anche prima che il nuovo Testamento fosse scritto.  Dunque  v' ebbero degli argomenti e validi, ove non si vogliano
lo studio accurato e fedele delle loro dottrine. Non è  dunque  vero, diremo al signor professore, che quando noi parliamo
fare non ha punto di natural virtù? Or s' ella è così, chi  dunque  disse mai al signor professore che i cattolici per
intelligente (1). L' essere che gli è dato a vedere è  dunque  nell' uomo, ma non è l' uomo; e l' uomo commette una
parla di Dio nella seguente maniera: [...OMISSIS...] . Or  dunque  nel solo e puro essere si trovano tutte le cose, e ove si
e in un modo universale, perchè era nel mio spirito (1). Ma  dunque  se nell' essere ideale si trovano e sono già contenute
l' essere non è proprio se non di Dio solo (4). E`  dunque  per l' imperfezione, nella quale sussiste l' essere nella
se non ha t“cco e ottenuto il bene conosciuto. Chi vuol  dunque  vedere quanto si allarghi il pelago dell' umano desiderio,
sostanza, che ha il sussistere per sè e in sè medesima. Or  dunque  qual cosa potrà essere imagine di Dio? Qual cosa potrà
un vaso che dimanda di essere riempito. L' uomo non trovava  dunque  in sè stesso se non un vuoto: ma poteva egli forse meglio
grazia con degli atti successivi di buon volere. Vi aveva  dunque  una scala di meriti per la quale Adamo doveva ascendere,
come abbiamo detto, i doni della grazia. Non è  dunque  a credere che la mente di Adamo fosse arrivata già nel
e levandola più e più all' infinito e divino. A lui era  dunque  conceduta da prima quella felicità, se così vuol chiamarsi,
quello che domina e salva il corpo stesso. Nell' età  dunque  dell' innocenza tutto era in armonia nell' uomo, tutto si
progenerata da Adamo fu distrutta colla morte. L' umanità  dunque  riassunta e ricostruita dalla sua distruzione è simile all'
morale e che formano l' essenza della tentazione. E ora  dunque  si domanda: L' uomo della natura non guasta sarebbesi mai
Il sacrifizio comandato è un male reale, presente: conviene  dunque  che colla imaginazione egli possa proporsi e rendersi
« Iddio sia tutto in tutte le cose« (3) ». Considerata  dunque  la creatura sola senza aiuto di grazia, egli è evidente
de' principii che entrano a comporre l' umanità. Se  dunque  la grazia saldava e rinforzava, anzi pur completava l'
bene futuro, di cui si abbia avuto sensibile esperienza. Or  dunque  quest' arma, questa virtù messa nelle mani dell' uomo, era
E questa inclinazione era il principio dell' atto buono:  dunque  l' atto buono aveva il suo principio nella buona
Dio con certe anime predilette sue amiche (2). La volontà  dunque  dell' uomo, come Dio la fece a principio, era retta sì
grazia è proporzionata e come pedissequa della natura. Se  dunque  l' Angelo, col primo uso della sua volontà, poteva dare
trattarla, giovandomi solo l' averla accennata (1). Si deve  dunque  distinguere i principii attivi, che entrano nella umana
ad un cotal miglioramento dell' uomo come natura. Senza far  dunque  questa distinzione, essi si vengono lusingando di meritare
anche gli egoisti il vogliono almeno per sè stessi. Tutti  dunque  gli uomini, nessuno escluso, appunto perchè sono uomini,
cercano una perfezione ed altresì un ingrandimento. Qual è  dunque  la differenza per la quale alcuni sono detti buoni, ed
ne rimanesse rattristata e cassa nelle sue voglie. Egli è  dunque  manifesto che l' umanità prima avrebbe atteso alla
conoscimento che appieno lo soddisfaccia e lo bˆi: vi ha  dunque  una gradazione indefinita nella cognizione che l' uomo può
era degno di vedere svelatamente la faccia di Dio. Egli è  dunque  a vedere come sarebbe probabilmente seguito questo
abbiamo accennata descritta come a lei propria. Ma è ella  dunque  in uno stato così desiderabile l' umana specie? Vediamolo
se si ammette in essa stoltezza e malignità, non vi ha  dunque  più una intelligenza divina che presiede all' universo? Ed
Padre della Chiesa, nessuno innocente può essere misero. Or  dunque  come è misero il bambino prima ancora che conosca le cose
eterno, può addentrarla sventarla ed offenderla. Posto  dunque  che nel peccato originale sia la soluzione del gran nodo
candidezza o comechesia il colore naturale di un corpo. E`  dunque  in senso traslato che si piglia la parola macchia quando si
e di volizioni, ma solo sensazione e istinto cieco.  Dunque  nella sola concupiscenza animale non possono trovarsi le
anima pienamente la macchia del peccato. [...OMISSIS...]  Dunque  la mala inclinazione della volontà, secondo il dogma
il Tridentino. Il quale così soggiunge: [...OMISSIS...] .  Dunque  questa battaglia non è punto, secondo la cattolica fede,
sceglie quella parte che più egli vuole. L' energia  dunque  della sua libertà viene dal soggetto immediatamente, e
fallace e al senso e può illudersi da sè medesima. Or  dunque  quell' atto tutto libero, tutto procedente dal soggetto di
e molto più se egli è unico, della volontà. Egli riman  dunque  il soggetto stesso infetto e peccante. Si consideri la
la materia vanno intieramente a pacificarsi. Conviene  dunque  sapere che dall' essenza dell' anima, secondo la dottrina
secondo la dottrina di S. Tommaso, fluiscono le potenze. Se  dunque  per essenza dell' anima s' intende il principio delle
il soggetto uomo e con esso l' essenza dell' anima. Egli è  dunque  anche vero che il peccato originale risiede nell' essenza
con quell' atto medesimo, col quale da principio esiste.  Dunque  il peccato originale non può essere imputabile di quell'
la proposizione condannata da Pio V: [...OMISSIS...] .  Dunque  è vera la contraria, che la distinzione di un doppio amore,
ciò che è quanto dire un amore soprannaturale (1). L' amore  dunque  naturale di Dio consiste in amare Dio colle forze naturali,
[...OMISSIS...] . Se queste proposizioni sono condannate,  dunque  convien dire che sieno vere le contrarie: dunque un atto
dunque convien dire che sieno vere le contrarie:  dunque  un atto umano contrario alla retta ragione è un' offesa di
ragione è lo stesso che un atto contro alla giustizia:  dunque  chi pecca contro la giustizia, offende Iddio senza più; la
offendere Dio stesso appunto perchè Dio è la giustizia. Se  dunque  ciò è vero, sarà vero, altresì al contrario che quegli che
sua sostanziale e personale sussistenza (3). Egli pare  dunque  certo che nell' ordine della natura l' uomo, il quale opera
Or l' uomo si rese impotente a ciò col peccato. Ora egli è  dunque  sua colpa se gli mancano le forze a praticare la virtù
ciò che consegue dalle dottrine già da noi esposte (2). Ove  dunque  la causa della virtù sia congiunta con quella della
che noi abbiamo chiamato giudizio pratico (1). La forza  dunque  della libertà non è altro che la forza di formare questo
questo giudizio pratico a favore della virtù. Egli rimarrà  dunque  spiegato come la libertà sia stata vulnerata e indebolita,
modo che ogni colpa è figlia di un errore (1). A conoscere  dunque  onde procede l' infiacchimento della libertà relativamente
perchè la gloria viene dalla unione con Dio. Anche lo stato  dunque  di cotesti corpi risorti par verisimile dover essere un
si propaga l' uomo, considerato secondo la natura. Abbiamo  dunque  veduto che negli animali generanti vi ha una cotal massa
atto di un corpo, poichè un tal atto non è sostanza per sè.  Dunque  l' anima non può esser fatta dal corpo. Ma per condurre la
da quell' una che nel primo uomo fu creata? (4). Parlasi  dunque  di trar l' anima dall' anima; e non altro. Or su questa
in bilico S. Agostino. Egli dice: [...OMISSIS...] . Egli è  dunque  questo il costante modo di pensare di S. Agostino, quando
il santo Dottore? Ecco le sue parole: [...OMISSIS...] . Or  dunque  non era dubbioso S. Agostino se l' anima nascesse dal seme
costituisce la specifica differenza di questa natura. Or  dunque  sarebbe egli vero che per virtù del seme si traduca l'
alla casa; o se ella si dà per pena, è pena ingiusta. Vi ha  dunque  bensì fra i discendenti di Adamo e il padre una unione
riceve il nome con cui la medesima natura si appella. Vi ha  dunque  una terza unione fra i posteri e il primo parente, e questa
sono giustamente rifiutate dalla Scuola (3). Insegnando  dunque  questa, che l' anima intellettiva è creata di tutto punto
in un corpo, l' una sensitiva e intellettiva l' altra.  Dunque  quando l' anima intellettiva entra nel corpo, essa non
successione di tempo? Se per successione di tempo, vi sarà  dunque  nel feto un' anima mezzo corrotta e mezzo non corrotta
o quando è corrotta una parte? Se quando è corrotta tutta,  dunque  entrerà nel feto già morto. Se quando è corrotta una parte,
entrerà nel feto già morto. Se quando è corrotta una parte,  dunque  vi sarà un momento, nel quale il feto avrà in sè un' anima
è intellettiva, ma solo in quanto è sensitiva. Il corpo  dunque  non fa che cangiar forma, non punto diversa di natura, ma
della generazione aristotelica (1). E finalmente noi  dunque  non abbiamo l' anima che abbiamo ricevuto dai nostri padri
coscienza dipende dall' identità dell' anima. Cangiate  dunque  l' anima, un altro sentimento, un' altra coscienza, un
non somministrano che la pura materia bruta e inanimata. Or  dunque  ciò che viene da' parenti non è nè l' uomo nè l' animale,
e tutto il nostro intelletto e la nostra animalità. NOI  dunque  non abbiamo l' origine da Adamo, ma da Dio, e non possiamo
forza meccanica ed esterna è sola bastevole a ciò. Avrebbe  dunque  Iddio operato in questo solo e unico fatto della natura
Scritture che dicono: « lo spirito di ogni carne« (1) ». Or  dunque  se il principio senziente per sè non perisce, ma solo per
eterno e industruttibile, e l' altro distruttibile. Venendo  dunque  a perire la materia corporea, quest' anima non si dissipa
o che è moralmente sana, o moralmente infetta. Essendo  dunque  stata infetta già col primo peccato, gli altri peccati non
anzi una carne alterata, impestata dal peccato? Anteriore  dunque  alla concupiscenza è una morbosa e pestifera qualità della
è peccato, come dicono a una voce i Padri. Relativamente  dunque  al peccato di che vengono infette le potenze dalla volontà
discende e macchia le parti inferiori. Se si considera  dunque  il disordine in generale, il suo principio è nella parte
da Adamo, se essa stessa non viene pure da Adamo« (4) ». Or  dunque  se la ragione umana nel suo massimo vigore non poteva dare
conoscere, cioè all' essere ideale, infinito anch' egli. E`  dunque  necessario acciocchè l' uomo acquisti l' assoluta sua
universo esteriore che operava sopra i suoi sensi. L' esser  dunque  queste cognizioni di tal natura e ordine che avessero
una tale argomentazione avrebbe avuto luogo. Non poteva  dunque  essere [che] questa la regola che la divina Sapienza si
similitudini nè imagini nell' universo materiale. Egli è  dunque  da sapere, che quantunque tutte le similitudini e imagini
pari a quest' altra: fa il conto e saprai il risultato. Or  dunque  egli rimane però che tutti i beni creati sieno non già
all' uomo: Io sono il cielo, ossia l' esteso. La parola  dunque  in primissimo principio doveva servire a due usi, cioè
precedentemente nessun atto col quale meritarsela. Egli è  dunque  proprio de' Sacramenti, preso il vocabolo in senso stretto,
come la sperienza ne fa indubitabile prova, pur certo è che  dunque  anche allo stato di santità, in cui l' anima si trova colla
elementi, la creatura e il Creatore, l' uomo e Dio. E`  dunque  a vedersi l' alterazione che produsse il fatto accennato
tutta sè stessa e in tutti i tempi servire al Creatore. Se  dunque  in tutto il corso dell' esistenza della creatura trovasi un
rovine e che non aggiunga altri disordini al primo. Havvi  dunque  un ordine di giustizia eterno, immutabile e indipendente
sdegnato con lui, cioè mosso dalla sua giustizia a punirlo:  dunque  manca al tutto il rimedio, e l' uomo è interamente sfidato
argomentando così:« Ma se io faccio quel che non voglio,  dunque  non sono già IO (persona) che il faccio, ma quel peccato
privo di lume soprannaturale non le intenderebbe. Volendo  dunque  Iddio con dei segni sensibili significare la grazia e la
dell' uomo all' onore e culto divino (2). Egli è  dunque  il terzo carattere, dei segni dati da Dio all' uomo pel suo
passione dell' Uomo7Dio i Sacramenti scaturirono: essi  dunque  nascono tutti dal sacrificio e hanno questo intrinseco
E però S. Tommaso dice che [...OMISSIS...] . I segni  dunque  destinati da Dio a dover perfezionare l' uomo dopo il
alla sua eterna salute e all' opera della grazia. Continuò  dunque  l' ordine dei segni primitivi (senonchè resi ad esser
potersi mangiare se non la carne col sangue. Si manifesta  dunque  chiaramente che questo rispetto al sangue delle bestie è
uomini la facoltà di astrarre. Il santo Dottore prosegue  dunque  a determinare due stati della cognizione umana così:
la stessa natura e ripor[vi] la propria felicità. Era  dunque  vietato con quell' osservanza agli Ebrei di addomesticarsi
quei beni desiderati e di schivare quei mali temuti. Furono  dunque  gli uomini per tal modo condotti a dire seco medesimi: « Or
quasi come l' oro non appurato nella miniera. La materia  dunque  su cui esercitare l' estrazione non mancava più: era posto
ordine naturale; hanno solo delle analogie. Non si poteva  dunque  con dei simboli puramente naturali condurre il pensiero
luce inaccessibile (3). Per sì grande concetto non usavansi  dunque  più i simboli, ma solo il linguaggio proprio, e l'
che ella viene nominata enimmatica . In che modo si può  dunque  giungere alla determinazione sicura del significato del
il modo onde queste parole dovevano stabilirsi. Non faremo  dunque  qui che riassumerci, ma secondo il nostro solito non colle
insieme, cerchiamo di scoprirne l' intima natura. Quale è  dunque  la natura di questo nome ADAM? Guardiamo che cosa
o industria estrinseca e straniera ai nomi stessi. Qual è  dunque  questo mezzo, industria o circostanza, che fa capire un
l' oggetto individuale e sussistente. La sussistenza  dunque  non è espressa, ma viene supplita dallo spirito. Per
sua mente di sostantivare la sua percezione: quella qualità  dunque  veniva sostantivata, presa come una sostanza. Tale concetto
del nostro ragionamento. Gli uomini primitivi nominavan  dunque  gli oggetti sensibili e sussistenti con de' veri nomi
modo, onde gli uomini dovettero denominare le cose (2). Fu  dunque  il cielo denominato dall' altezza sua, la terra dalla sua
spirituali, che vede il discepolo colla sua mente. Si pensi  dunque  un maestro la cui parola sieno le verità stesse senz' altro
dire a riceverne poi a suo tempo la perfetta imagine. Or  dunque  il termine di questa interna operazione era il Verbo, ma il
che è degno di denominarsi percezione del Verbo stesso. Or  dunque  innanzi che questa percezione sia formata, il Verbo come
occultarsi; doveva ascendere alla destra del Padre (2). Era  dunque  necessario di lasciare al mondo qualche altro mezzo o segno
dallo spirito; ma a dirittura ciò che è nato di spirito. E`  dunque  uopo di considerare la parte esterna e la parte interna del
è presente in ogni luogo, in ogni cosa. Acciocchè  dunque  l' uomo il percepisca, non si richiede se non che l' uomo
splendente in ogni luogo parrebbe che non fosse. Si tratta  dunque  nella rigenerazione soprannaturale dell' uomo di dare a
e può conferirla in quel modo che a lui ne pare. Ella passa  dunque  dal Vescovo negli ordinandi come passò da Cristo ne'
a sè stessi per natura: [...OMISSIS...] . Che resta  dunque  a salvamento? Non la umana, ma la giustizia di Dio, cioè
di una cosa? egli è il principio della cosa (4). Cristo  dunque  coll' essere nelle menti degli antichi cominciava per essi
in una misericordia così preveniente. E conchiude che  dunque  siamo « giustificati gratis per la grazia di lui per la
ciò; l' ascrive tutta alla sua fede, senza le opere. Ella  dunque  fu e non poteva essere che gratuita (3). Ma per un' altra
volontà naturale, se non sorrette dalla grazia. Egli è  dunque  questo principio extra7volontario in ogni caso necessario
fede nella sua misericordia: [...OMISSIS...] . A questa  dunque  dee l' uomo ripararsi come a solo asilo di suo salvamento.
L' uomo nell' antico Testamento necessariamente dovea  dunque  essere legato e per così dire oppresso da un gran numero di
rimanevasi nell' ombra e nell' oscurità. Il percepirla era  dunque  impossibile nell' antico Testamento. Questa è la ragione
all' imitazione appunto di suo Padre « siate voi  dunque  perfetti, come anche il Padre vostro celeste è perfetto«
ma solo tutto al più a quelli degli uomini (3). Che restava  dunque  ad essi? ove porre la loro speranza? essi doveano volger
non da sè, ma mediante il Redentore promesso«. » Che  dunque  faceva Iddio? quello che fa un creditore, a cui venga
natura di quella fede, che abbiamo descritta (6). Si può  dunque  dire che nel popolo peculiare sceltosi da Dio, la fede avea
anima che a Dio volgevasi per quella fede (1). Duplice era  dunque  la causa operante, duplice l' effetto. La causa operante
aprisse la porta del cielo (6). L' uomo è creatura di Dio:  dunque  è fatto all' onore di Dio (1). Iddio è creatore dell' uomo,
Scrittura, il Signore le ha operate per sè« (2). » L' uomo  dunque  è ordinato al divino servizio. La legge evangelica, che è
perchè uomo fedele e perfetto. [...OMISSIS...] Precedette  dunque  al patto, ed alla circoncisione che n' è il segno, la fede
lor fatto. Queste comestioni di cibi sacri non erano  dunque  nuove consecrazioni propriamente, ma una continuazione
quella luce ubbidisca, o sia almeno pronta ad ubbidire. Or  dunque  essendo la grazia quella che produce e forma la santità,
della redenzione« (3) » cioè del vostro Battesimo. E`  dunque  una operazione dello Spirito Santo, secondo l' Apostolo l'
Confermazione è un altro lume che ci sopraggiunge. Come  dunque  non intenderebbe un discorso pieno di luminose verità colui
dell' uomo non richiede altro se non il Battesimo. Non è  dunque  la grazia che dà questa prima rigenerazione all' uomo,
volontà non si piega se non dietro a ciò che è conosciuto.  Dunque  il lume del Verbo prima di tutto luce nell' uomo in uno
del carattere, e però non come carattere stesso: la nozione  dunque  di carattere, come carattere, precede a quella di potenza.
altro che perdere la grazia colla commissione del peccato.  Dunque  lo Spirito Santo, nel quale siamo segnati, segnandoci, cioè
Matrimonio che è un sacro contratto fra gli sposi. Poniam  dunque  mano a trattar brevemente di ciascuno de' sette Sacramenti
effetti di questo lavacro di rigenerazione. Le raccorremo  dunque  tutte insieme ordinatamente e brevemente: e con questa
del carattere ad operazione soprannaturale (2). Tostochè  dunque  il Battesimo fu da Cristo instituito, esso fu suo
se non a quel modo in cui veramente si trovava essere.  Dunque  Cristo ancora vivente doveva unirsi coll' anima vivo;
una pittura originale onde debbono ritrarre le copie. Ciò  dunque  che Cristo esprime in sè stesso quale esemplare, è ciò che
non tanto la virtù visiva quanto la stessa visione. L' uomo  dunque  pel Battesimo s' incorpora a Cristo, secondo la frase
Tournely dà questa ragione: [...OMISSIS...] . Si accresce  dunque  la santificazione che all' uomo nasce dal Battesimo per la
però non rigenera il corpo, nè le potenze inferiori. Queste  dunque  aveano bisogno di essere confortate e munite colla grazia
quelle parole di Cristo: [...OMISSIS...] . Parlò  dunque  primo il Verbo; lo Spirito Santo suggerì di nuovo le cose
Spirito Santo fosse dato personalmente. Che cosa rimaneva  dunque  a fare allo Spirito Santo? La luce del Verbo era la luce
è quello che conferisce all' uomo lo Spirito Santo. Si deve  dunque  conchiudere che il ricevimento dello Spirito Santo, che s'
e di ricalcarle nella mente e renderle operative: primo  dunque  è il Verbo a operare, secondo viene lo Spirito Santo: il
riconosce per valido il loro rito della Confermazione.  Dunque  o la Chiesa erra, o l' imposizione delle mani non è
mani non è necessaria. Ma l' una e l' altra cosa è falsa.  Dunque  è il contrario, cioè che l' imposizione delle mani
la prima imposizione delle mani: [...OMISSIS...] . Se  dunque  il P. Iacopo Sirmondo trova degna di riso una tal dottrina,
in cielo ed in terra«, » e Dio regna in Cristo. Volea  dunque  dire, che non mangerà più la pasqua prima della sua
del Concilio di Trento e di quello di Basilea. Non v' ha  dunque  alcuna decisione della Chiesa, che c' impedisca la nostra
de' suoi pregi e delle sue eccelse prerogative. Acciocchè  dunque  un corpo comunichi ad un altro corpo della propria vita non
non parrebbe esser quella stessa che sulla croce ha patito.  Dunque  una tale teoria non si regge in piedi. Ma chi un po'
del Verbo il fondamento dell' identità del corpo. Se  dunque  il Verbo, mediante una soprannaturale operazione, rapisce a
presente, e non assumesse in sè quelle particelle? Si trova  dunque  presente nell' Eucaristico pane tutto il corpo di Cristo ex
a render chiaro questo concetto: [...OMISSIS...] . Or  dunque  secondo il santo Dottore, come sotto ogni parte dell' aria
il corpo di Cristo in questo Sacramento« (1). » Non è  dunque  che ogni particella contenga il corpo di Cristo quanto è
Cristo bambino, e poi cresciuto fino a perfetta misura.  Dunque  anche in Cristo vivente quaggiù ebbe luogo la stessa
aggiungere niuna nuova particella al corpo morto di Cristo.  Dunque  il corpo di Cristo risorto dovea avere più particelle che
mutarono, Se il corpo non si mutò mai dalla sua identità,  Dunque  l' identità di questo non è legata all' identità delle
o diminuzione di sua integrità perfettissima. Egli è  dunque  certo e dimostrato che non si può sostenere la seconda
semplice, e con un atto solo e purissimo fa tutte le cose.  Dunque  perchè si trovi il concetto dell' annichilamento non è
queste due cose non si potevano conciliare insieme. Egli  dunque  si appose a mutare il concetto dell' annichilazione.
è la cessazione intera dell' essere del pane e del vino.  Dunque  è una vera annichilazione nella opinione difesa dal
secondo la stessa etimologia, se non ridotta al niente? Se  dunque  la forma dell' acqua è ridotta al niente, non esiste più
ridotta al niente. Il nostro rispettabile autore introdusse  dunque  un esempio nel quale, secondo le sue dottrine, l'
dopo la consecrazione quell' essere è ridotto al niente:  dunque  quest' opera di Dio non persevera in eterno, contro ciò che
e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo « (2). » Or  dunque  non è lecito d' interpretare questa parola di
essere, e dopo ciò egli non riceve nè fa altra azione; egli  dunque  non riceve la conversione, ma solo, come dicevamo, l'
non esiste più ne può più essere convertito in cosa alcuna.  Dunque  il pane si annichila bensì, ma non veramente si converte,
ella s' annichila, s' annichila con lei ogni connessione.  Dunque  questa connessione sarà nella unità della forza, giacchè
e un' opera positiva per addurvi il corpo di Cristo.  Dunque  l' una cosa non vien fatta per l' identica forza onde vien
che fa cessare, ma un sottraimento di forza. Non ci può  dunque  essere connessione alcuna fra l' annichilamento e l'
senza un vincolo di naturale e necessaria dipendenza. Non è  dunque  più vero che Cristo vien ad essere nel Sacramento per la
l' eucaristiche specie, carità incorruttibile (3). Cristo  dunque  s' asconde sotto il velo delle mistiche specie per un atto
di Cristo. Il perchè fu detto: [...OMISSIS...] .  Dunque  non pur Cristo come Dio ma come Figliuol dell' uomo altresì
antichi Padri « forza o virtù perfezionatrice« (1). » Non è  dunque  necessaria l' invocazione dello Spirito Santo perchè
di cui non avrebbero più dato alcuno esempio. Sia pur  dunque  che non v' abbia esempio di una conversione sì mirabile,
i fedeli in error gravissimo toccante cose di fede. S' egli  dunque  è da credere, che non riputassero la conversione del pane e
che consiste nella incomunicabilità di suo essere. Se  dunque  questa parola« individuo sussistente« esprime il medesimo
che al corpo di Cristo succeda la relazione della presenza.  Dunque  la mutazione che nasce è meramente accidentale e non è vero
muti o la sostanza, o gli accidenti, o il luogo (2). Se  dunque  non nasce mutazione nè quanto alla sostanza nè quanto agli
colla transustanziazione non acquisti aumento di sorta.  Dunque  racchiude l' assurdo, perchè d' una parte lo distende il
in genere, anzichè quella della sostanza corporea. Convien  dunque  nel descrivere l' essenza del corpo, oltre porre il
il corpo, l' anima e la divinità di Cristo. Hassi  dunque  a spiegare non solo come sotto le specie del pane si trovi
o è anche la sostanza corporea? Se è la sola estensione:  dunque  sotto le specie del pane non esiste il corpo di Cristo, ma
al concetto che si vuol formarsi della sostanza. Riman  dunque  a spiegare che una stessa identica sostanza per sè fuori di
operare nell' estensione, altramente non sarebbe; rimangono  dunque  queste due difficoltà gravissime a superare: 1. Come il
nostro; e quella basta a farci concepire un corpo esteso.  Dunque  alla vera essenza del corpo esteso non appartiene che la
cogli altri corpi, o co' luoghi che occupano; come  dunque  si dirà che il corpo di Cristo sia sotto le specie del pane
sensibile, quando tale non è il corpo di Cristo. Come  dunque  si spiega questa relazione, quando la quantità che conserva
discendevano i due errori capitali de' Pelagiani: 1.  Dunque  non esiste il peccato originale, cioè un mal morale che si
cioè un mal morale che si contrae per generazione; 2.  Dunque  non esiste la grazia con cui Iddio ci santifica, o ci aiuta
uomo sola causa del bene e del male morale dell' uomo,  dunque  non si dànno tentazioni nè sigolarmente prese nè
perfettamente giusto, nè vincere tutte le tentazioni;  dunque  il solo libero arbitrio non è l' unica causa che produca
moralità possibile se non è prodotta dal libero arbitrio.  Dunque  quando la ragione dimostra all' uomo qualche opera morale o
alla tentazione, ma liberarli dall' inimico. Sia  dunque  che si ammetta l' una o l' altra di queste due opinioni, o
che se il male morale dipende dal solo libero arbitrio,  dunque  l' uomo col suo libero arbitrio può essere immune da ogni
forze del libero arbitrio non è vero peccato (1). Non solo  dunque  il cristiano, ma ancora l' infedele può essere in un tale
dannate è prodotto dall' attuale loro libero arbitrio;  dunque  non sono costretti di stare in un tale stato, ma col
fra la mera natura irrazionale e la volontà. L' errore  dunque  della loro mente, che li travolse nell' eresia si fu non
quest' altra proposizione: [...OMISSIS...] . Giansenio  dunque  avendo forse presente la condanna da cui era stato colpito
non hanno, per così dire, alcun termine. 12. Come  dunque  la dottrina cattolica tiene il mezzo fra i due opposti
errori, ma entrambi sieno evitati ad un tempo. Non dovrà  dunque  combattere, a ragion d' esempio, il Pelagianismo in tal
esso lei connessa fisicamente. Una qualità o atto morale  dunque  non può esser proprio di una persona se non costituisce
la natura del peccato originale ne' bambini. Che cosa è  dunque  il peccato? in che giace la sua essenza? « Il peccato »
largamente nella Dottrina del Peccato originale (1). 26. Se  dunque  il peccato è una deviazione della volontà personale,
intelligenti), il suo fine e al medesimo lo dirige. Se  dunque  si trattasse d' una inclinazione della volontà inferiore,
cose poi usare (9) come di altrettanti mezzi. 29. Tale è  dunque  la vera e propria ragione del peccato, la quale,
del Tridentino « quod mors est animae ». 30. Stabilita  dunque  la definizione generica del peccato, che ripone la natura
il peccato acquista denominazione di colpa . Due sono  dunque  le cose da spiegarsi, l' una come nel bambino ci sia
senza opera della sua libera volontà. 31. Ritenendo  dunque  noi fermamente colla Chiesa Cattolica, coll' insegnamento
peccato originale, ove dice: [...OMISSIS...] . Si apre qui  dunque  il passaggio a rispondere alla prima questione contro i
il dogma del peccato originale. Contrapposto che abbia  dunque  l' apologista della fede un altro valido raziocinio che
a intendersi e per molti anche impossibile. Dicevamo  dunque  che niente ripugna, che la volontà umana si trovi vestita
al medesimo è dato senza loro libera volontà (3). La Chiesa  dunque  riconosce colla condanna di quella proposizione bajana e
sarebbero pure colpevoli e demeritorie in causa.  Dunque  l' originale è un vero peccato che sussiste nel bambino,
dice che il peccato originale: [...OMISSIS...] . 37. Se  dunque  si considera da una parte che il Sacrosanto Concilio di
originale ne' bambini. [...OMISSIS...] . Avendo così  dunque  il santo Dottore stabilito che il genere del peccato abbia
la colpa ; 2 male involontario, e questa è la pena (1). Se  dunque  il peccato originale ne' bambini ha ragione di pena secondo
di nuovo distinto l' originale dall' originato. Combatte  dunque  S. Agostino i Pelagiani da una parte e i Manichei dall'
e di peccato imputato al libero suo autore. Nel concetto  dunque  di peccato (nell' ordine morale) altro non si acchiude,
del suo atto, e non può colla libera sua volontà evitarlo.  Dunque  non gli può essere imputato, e però non è sua colpa, ma
o piuttosto di ciò che egli stesso fa per mezzo suo. E`  dunque  più chiaro del sole, che secondo l' Angelico nel bambino
sono atti liberi, a cui solo il merito è dovuto. Di nuovo  dunque  il testo citato per distruggere la detta distinzione la
cioè di Adamo, che è la sentenza propria di Giansenio. Se  dunque  non si vuole calunniare a questo segno il santo Dottore
proposizioni dalla Santa Sede anatematizzate. Ripeterò qui  dunque  le parole colle quali ho conchiuso la seconda parte delle
suo atto il peccato originale che dicesi essere in lui:  dunque  non può darsi esso peccato originale nel bambino. Nè vale
originale ne' bambini è per essi fisicamente necessario:  dunque  è per essi puramente un peccato materiale, e non un peccato
forma, che è quella che dà la specie e il nome alle cose.  Dunque  non esiste alcun peccato originale nei bambini«. La maniera
essi, e così dando prova di amare Iddio suo fine. Nè pure  dunque  al peccato originale, sebbene fisicamente necessario per
a dire la forma vera e propria di peccato. Conviene  dunque  togliere l' equivoco delle parole, e invece di negare che
essere finochè i pupilli stessi non esistono. In che senso  dunque  si può mai chiamare un peccato proprio solo
è la grazia santificante: la privazione di questa grazia è  dunque  la morte dell' anima, e però in questa consiste il peccato
peccato, benchè ben sapeva che avrebbe peccato. Avendo  dunque  Adamo perduta colla sua disubbidienza la grazia, i suoi
loro: ecco che cosa è il peccato originale. Vedete  dunque  che non solo qui non c' è assurdo, ma nè pure c' è la
la grazia non avrebbero il peccato«. In questo sistema  dunque  il peccato originale de' bambini dipende da un decreto di
nelle proposizioni condannate in Baio e in Giansenio. E`  dunque  a esaminare la solidità di queste molteplici e diverse
grazia santificante a cagione del suo peccato. L' aver  dunque  Iddio tolto ad Adamo la grazia non poteva essere il peccato
non fare, il bambino non aveva alcun diritto. Il peccato  dunque  del bambino ha per vera causa quel decreto di Dio: e così
questo sia costituito peccatore, chi lo può intendere? O  dunque  Iddio spogliò il bambino della grazia ingiustamente, e
privarneli. Negano che abbiano in sè alcun peccato? perchè  dunque  privarli della grazia, perchè pretendere di più che questa
è giusta perchè dovuta al peccato che è in essi. Rimane  dunque  sempre a spiegare come in essi sia il peccato; cioè rimane
più non sia dimandato dalla natura stessa. Si ricorre  dunque  al vocabolo di privazione , dando a questa parola un'
esiste solo nella mente e nella volontà di Dio. Mancando  dunque  nel bambino un estremo della relazione, e le relazioni
nè il principio della relazione, ma solo il termine. Non è  dunque  una relazione inesistente nel bambino; e però non si può
atto di suo libero arbitrio questa privazione? Come è egli  dunque  peccatore, se pur voi intendete ch' egli abbia in sè un
« in quantum derivatur ex primo parente . » Ottimamente  dunque  distingue tra la materia dell' imputabilità, e l'
il che è un nuovo e manifesto errore. 56. c ) L' uomo  dunque  che fosse creato colla sola natura, e il bambino che ora
sua grazia, rimanendo grazia, e non debito, nè mercede. Ciò  dunque  che può costituire un titolo di diritto non è che una
tradizione, prende forma di un patto bilaterale. Se  dunque  i bambini che nascono non hanno alcuna cognizione del
pel quale la grazia sarebbe stata loro dovuta? Converrà  dunque  ricorrere a un patto fatto da Dio con Adamo anche in nome
fu un effetto della libera trasgressione di Adamo? E`  dunque  a considerarsi che quella proposizione fu condannata in
creare hominem, qualis nunc nascitur, » deducendone che  dunque  al presente l' uomo nasce senza alcuna ferita nella sua
d' eresia i loro sostenitori. Tali proposizioni baiane  dunque  nulla provano, se chi le adduce non ne spiega prima il
Adamo suo padre avesse trasgredito il divino precetto: voi  dunque  convenite meco nel fondo, dissentite solo nelle parole per
e se la natura viene trasmessa per via di generazione,  dunque  è tolto ogni assurdo che ci sia qualche cosa di morale che
a questa parola natura a nascendo [...OMISSIS...] (2). Dato  dunque  che la natura umana sia corruttibile ne' suoi accidenti,
« distincta proprietate ad dignitatem pertinente . » Se  dunque  la persona non è che il modo nel quale sussiste a pieno
la persona viene altronde come diremo. A quel modo  dunque  che non sono peccati morali i difetti che un pittore o uno
tollerare in alcun modo nel suo seno. Caro mio figlio, vada  dunque  tutto, ma ubbidire sempre, sinceramente, con fervore, con
senza dedurre da ciò d' essere in disgrazia di Dio. Siamo  dunque  certi assolutamente di essere in grazia? Nessun uomo a
senza una speciale rivelazione. E che perciò? Dovremo  dunque  affliggercene? Anzi dovremo finire di confidare in noi
come si stringe il bambino alla madre. Io vi rivolgerò  dunque  le parole di S. Agostino [...OMISSIS...] . Considerate
Dio, ell' avrebbe salvata se stessa e noi tutti. Vi hanno  dunque  dei ragionamenti che ingannano; e queste sono le armi
produsse l' infedeltà e l' incredulità. Rinunzieremo noi  dunque  perciò alla ragione? No certamente; ma ci terremo bensì in
prova per assicurarsi della verità della cattolica Fede: è  dunque  obbligata questa persona di rigettare i suoi dubbi sulle
io lo so perchè non posso negare la tal prova convincente:  dunque  è vero tutto ciò che nel sistema delle sue verità si
tutto ciò che nel sistema delle sue verità si contiene;  dunque  i miei dubbi sono insussistenti, essi provengono dalla
con Dio nel modo il più intimo? Quale assurdo il pensarlo!  Dunque  era vera la loro Fede: dunque erano veri tutti i singoli
Quale assurdo il pensarlo! Dunque era vera la loro Fede:  dunque  erano veri tutti i singoli articoli della loro Fede :
erano veri tutti i singoli articoli della loro Fede :  dunque  io n' ho abbastanza, non debbo cercare altro per crederli:
Ella vuole corrispondere all' amor divino: bene, abbandoni  dunque  i ragionamenti sopra i punti particolari della Fede che la
non mettervi vincoli od obbligazioni di coscienza; è  dunque  un' unione di spirito, una comunicazione di buone opere
anche quando è imposto sulle spalle da Dio medesimo. Come  dunque  non ne rimarrà oppresso e schiacciato colui, che osa
Signora, e non vedeva certo in essa la sua soggetta. A chi  dunque  fu soggetta veramente Maria, se non a Colui, di cui disse
mai uomo divenne Madre e restò vergine intemerata. Non  dunque  da dolori, ma da gaudii ineffabili fu accompagnato il parto
con introdurre i capricci della moda nella Chiesa di Dio.  Dunque  la scelta de' sacri parati non dee essere una questione di
lui vittime da immolarsi sull' altare dell' amor suo. Fino  dunque  che noi viviamo quaggiù in terra pensiamo pure ad amare
è fuori di noi, è Dio in sè stesso e nel prossimo. Giova  dunque  pensare a Dio e non a noi stessi; cercare lui specialmente
il che non è per ora verosimile. Su di questa materia  dunque  trovo necessario che Ella ponga ogni cura ad esprimere e
di formare delle vittime usurperebbe l' opera di Dio. Non è  dunque  possibile, a mio parere, istituire una società con questo
lettera contiene una non dubbia espressione. Voglia Ella  dunque  permettere, che un sacerdote cattolico del continente, che,
la loro direzione, senza esser mandati da essi? Procurai  dunque  nell' Istituto della Carità di conciliare questa
conosce in particolare i Decreti di Benedetto XIV. Posto  dunque  questo sommo attaccamento alle antiche e venerabili
dell' anime. E se il movimento non può venire da di giù,  dunque  viene da di su; ne stia certo. Ella mi domanda alcune
del prossimo e a gloria di Dio e della Chiesa. « Non si può  dunque  raggiungere la cima della perfezione se non unendosi in un
lo guida. « Justum deduxit Dominus per vias rectas ». Iddio  dunque  è quello in cui l' ubbidiente confida, e questa confidenza
Iddio « non confundit sperantes in se ». L' ubbidienza  dunque  da una parte è un atto di fede perfetta e di speranza in
Iddio a quelli che in lui s' abbandonano. Iddio conduce  dunque  l' uomo ubbidiente, ogni dì più, al vero suo bene, e per
occasioni di bene all' ubbidiente preso in cura da Dio. Se  dunque  sbaglia talora il superiore, non isbaglia Iddio che lo
e da cui tutti gli altri ricevere possono qualche valore.  Dunque  « exultemus in Domino » di avere trovato il tesoro nascosto
L' opera di Dio non è mai priva del suo effetto: riposi  dunque  tranquillo nella grazia dei Sacramenti, munito dei quali il
munito dei quali il suo Augusto partì da noi. Suffraghiamo  dunque  colla più gran fiducia nella divina bontà il carissimo
ciò imparandosi colà dove si legge: [...OMISSIS...] E`  dunque  mio sentimento e mio volere (e questo equivale per voi
vanno in Chiesa col loro libretto di preghiere. Io vorrei  dunque  che tutti i nostri missionari si prefiggessero d' accordo
quale l' uomo umiliato è preservato dai pericoli. A questo  dunque  tendete con tutto lo studio, ad acquistare un grande amore
non ispero ricever ordini prima di quel tempo. Attenetevi  dunque  ai miei consigli, e siate superiori a tutto ciò che dicono
Cristo « sive per infamiam, sive per bonam famam ». Stiamo  dunque  tranquilli ed allegri, se possiamo essere umiliati e patire
senza conoscerne o ricercarne i motivi. Furono proibite:  dunque  c' erano ragioni di proibirle, altro a me non importa
vi farebbe assai meno maraviglia l' avvenuto. Persuadete  dunque  il caro Bertetti, che io nulla vi tenni nascosto di quello
e che fui obbligato in coscienza a sottomettermi. Se  dunque  come tutte le cose sembrano tornare nello statu quo , anche
messe è molta per certo, ma gli operai sono pochi: pregate  dunque  il Signore della messe che mandi operai nella messe sua »
v' impiegaron tutta la vita, e ne restava ancora. Conviene  dunque  dimandarla al Maestro, e non cessare mai di dimandarla con
dove se ne andrà a riuscire, ma non certo a buon punto. Se  dunque  non vogliamo faticare indarno ed esserci messi per questa
domanda incessantemente aiuto e soccorso. Io v' insegnerò  dunque  ad uscire dai pericoli e dalle angustie in cui vi trovate,
ed afflitto e, Dio non voglia, fin anco crocifisso. E`  dunque  giusto, equo e doveroso che anche noi sopportiamo in pace e
sempre avuta della sua persona: un segno più certo Le sia  dunque  il pensiero che oso soggiungerle. Io sono persuaso che l'
esecuzione delle loro incombenze ed officii. Facciamoci  dunque  coraggio, o mio carissimo, e se siamo uomini, pensiamo che
è promessa. Ora, per grazia di Dio, è scoperto, convien  dunque  impedirlo di rodere, e, appena si sente il picchiettare de'
confidiate, in lui, in lui solo. L' aver conosciuto  dunque  il difetto che si nascondeva nel secreto dell' animo è già
in una parola, sareste, senz' accorgervi, in paradiso. E`  dunque  giusto e ragionevole che voi accusiate la vostra ignoranza
ne fa riuscire un' unica ed aggradevole armonia. Venendo  dunque  alla questione, dico, che la semplice e cieca ubbidienza si
quale incoraggiamento a qualunque sacrifizio! L' amore  dunque  di GESU` Cristo cresca ne' nostri cuori, e con esso
soggetti a fine di procurare la salute a popoli lontani. E`  dunque  necessario che, come i Superiori dell' Istituto sono
di onor temporale, e la carità illimitata. Non v' ha  dunque  cosa alcuna che non si possa loro liberamente comandare,
l' infermità umana, la quale rimane sempre in ogni caso. E`  dunque  molto più ampia e più libera la sfera, in cui può spiegarsi
una guarentigia maggiore di buon riuscimento. Vi abbia  dunque  carità e ragionevolezza, e vi avrà perfetta armonia; non vi
Maria santissima, a cui Ella è figlio divoto: che dubitar  dunque  con tale interceditrice? Rimuova il pensiero, per quanto
insieme, e il luogo dove abitiamo è Cristo. Accettino  dunque  le Reverenze Vostre i miei sincerissimi e cordialissimi
fucina temprate? A quella del divino amore. Non meritiamo  dunque  il rimprovero: « modicae fidei, quare dubitasti? » Anzi
incendiate altresì d' amor di Dio e del prossimo. A questo  dunque  attendete; e a tal fine mantenete pura l' anima vostra da
paura accresce assaissimo la timidezza stessa. Convien  dunque  non pensare alla propria timidezza e non rivolgere
cosa appaia davanti agli occhi degli uomini. Io giudico  dunque  che voi non solo siete obbligato gravemente a respingere il
vivendo e morendo santamente in questo Istituto. Dovete  dunque  riconoscere nei pensieri che vi vengono la voce del maligno
fa conoscere e sentire la sua potenza e misericordia. Lungi  dunque  da noi tanta bassezza, miseria e perversità da prender
Iddio non faccia qualche cosa di straordinario. Ecco  dunque  quello che dovete fare, mio carissimo fratello: spero che
nostra salute e perfezione secondo la volontà di Dio. Godo  dunque  che amiate cotesta solitudine, dove avete trovato il riposo
nostri, Antonio Rey ed Emilio Belisy francesi. Voi dovete  dunque  accingervi di fortezza e implorare dallo Spirito Santo
Superiore toccatovi da Dio, dove non vi abbia peccato. E`  dunque  il capitolo VII delle Regole nostre comuni che dovete
», e soggiunge « charitas vero aedificat ». Che importa  dunque  che voi ne sappiate di più di un altro, se non avete l'
avete trasportata dal mondo nella religione. Restituitela  dunque  al mondo, onde l' avete presa. Io vi ammonisco di vederci
ve ne sarebbero moltissimi ed eccessivi. Non procediamo  dunque  secondo la fantasia, ma una serena ragione e una carità
Maestro7Dio i mezzi della grazia, e infallibili. Conviene  dunque  far sì, che i giovinetti usino degnamente dei Sacramenti di
sieno verissime: ma siete forse voi che le commettete? No.  Dunque  quelle non nuociono all' anima vostra. Quando voi fate il
No, certo, perchè non siete voi quegli che lo produce. Se  dunque  non dipende da voi, perchè affliggervi, perchè turbarvi?
tristo, profondamente piagato. E che? Non vorremo  dunque  sostenere con fortezza quelle prove, tuttochè dure, alle
en règler l' usage, et qui en garantŒt la durèe ». A che  dunque  si riducono le cose decise dalla Chiesa coll' Enciclica?
aveste nessun obbligo preciso di rimanervi nell' Istituto:  dunque  per me conchiudo decidendo, che non avete peccato. Ma che
gloria divina, che sta in un' infinita misericordia. Che fa  dunque  l' uomo con questa fede? Niente altro che sentire
dabit vobis - confidite: ego vici mundum! » Che ci resta  dunque  a fare? Metter solo il collo sotto il soave giogo di
è anche scritto: « Voluntas Dei sanctificatio vestra ». Se  dunque  la volontà di Dio è la nostra santificazione, noi possiamo
vuole Iddio certamente da noi. Iddio è l' essenza del bene;  dunque  egli vuole da noi tutto il bene possibile, ed è quello che,
insegnatoci da Cristo? L' ubbidienza che si dice cieca è  dunque  un' ubbidienza illuminatissima , e con essa si rinuncia a
quanto si voglia di soverchio sottile e scrupoloso. Ciò  dunque  che mi cadde in animo di dirle si è, che talora le
ha una Provvidenza amorosissima che tutto regola e dispone:  dunque  io debbo essere contento di tutto ciò che non dipende da
sentire profondamente al cuore questa verità. Che importa  dunque  che i miei Superiori fallino? Io sono sicuro. D' altra
con una ragione secondaria e di bassa sfera, non è  dunque  sbagliato se lo considero con una ragione primaria e
giacchè « vir obediens narrabit victorias ». La necessità  dunque  della vita mista il Signore la vede, e se ella è reale per
al proprio benessere, e alle sostanze temporali. Rompiamo  dunque  con forza tutti questi attacchi, e la fantasia cesserà di
si trovino; ma perchè Iddio vuole, perchè Iddio manda. Se  dunque  i vostri Superiori vi mandano, fate bene ad ascoltarli, e
conseguire la perfezione, se Iddio ce le concede. Eleggete  dunque  per vostro maestro nella via della perfezione il solo Gesù
del suo Ministro che ha cura dell' anima nostra: entriamo  dunque  con fiducia e col cuore esultante, perchè il Signore che
salute eterna dell' anime de' suoi prossimi. Serva Ella  dunque  il Signore, che la favorì e La favorisce, con ampiezza di
come quella di ogni altro semplice fedele, è basata: ella è  dunque  indipendente tutta dal ragionamento, ed io non ho mai fatto
e solenne. - Ma questo involontario errore ci sarà egli  dunque  nelle vostre opere? Ella mi domanda. Le risponderò con S.
condannate e detestate insieme con essa; e com' è egli  dunque  possibile che io segua costoro? e voglia esser anch' io un
in modo da non lasciare intorno a ciò il minimo dubbio. Che  dunque  si pretende con tali accuse? qual progetto si cova
forse zelanti, ma non sempre secundum scientiam? Ecco  dunque  ciò che avverrà. La S. Sede tutto esaminerà colla sua
o non ne facessi quel conto, che pure ne fo. Vi parlerò  dunque  con tutta candidezza, come sono solito e come voi volete
non mi può più essere utile nella causa presente. Sia pur  dunque  vero, che io abbia errato, e voi condannatemi pure; ch' è
le cancrene più nascoste e più puzzolenti. Mio caro, che  dunque  sia finito fra voi e per sempre ogni segno di dissidio da
amorosamente alle nostre spalle, ed aiutandoci a portarle.  Dunque  larghezza di cuore, mia veneratissima signora contessa, e
cotesti che non vanno da sè stessi, ma sono mandati! Sta  dunque  il tutto nel fare la dovuta stima della propria perfezione,
sua sapienza e bontà; l' adoro e ne giubilo. Vi spiegherò  dunque  le massime che io tengo in ciò, e che sono conformi a
la carità; anche questa, dico io, n' è una; accettiamo  dunque  questo fedele di Cristo, ed usiamogli intorno tutta la
che portava Gesù Cristo ai poveri ed agli spregiati. Penso  dunque  che dobbiamo ricevere tutti gli uomini di buona volontà
ed elevato, la riuscita di lui può dirsi assicurata. E`  dunque  un errore quello di sdolcinare soverchiamente l' austerezza
concedono. Posso ingannarmi, ma non ingannarvi. Uditemi  dunque  fraternamente: giudicate liberamente tra voi medesimi, se
anche da chi cerca, nel fatto, eluderla. Perché  dunque  la condizione del popolo non ha migliorato? Perché il
Pensiero che Dio poneva, come anima, nell'universo. Abbiate  dunque  la Donna siccome compagna e partecipe, non solamente delle
amico che mai trovar vi possiate. Ma di che vi ragionerà  dunque  la presente? come vi potrà dare questa sicuro segnale d'
persone che ci amano e di quelle che ci odiano. Tutto  dunque  viene a noi da quel nostro buon Padre che sta nei Cieli;
ed agli insipienti » » [...OMISSIS...] . E arrossirò  dunque  di dirlo io? e mi vergognerò d' ascoltare la verità dalla
ci è suggerita dallo stesso spirito del cristianesimo? Io  dunque  la conforto, quanto so e posso, ad occuparsi nell' opere sì
ritenendo più che sia possibile questa divina missione. Se  dunque  si desse a questa Congregazione de' figliuoli della Carità
non s' acquista senza l' uso delle cose umane. Vorrei  dunque  santificare questa prudenza, vorrei che i pastori, tutta l'
che è più caro a Dio, più utile al suo santo regno. Viviamo  dunque  nella solitudine col cuore, non ricusiamo d' uscirne col
esaltato da terra, trarrò a me tutte le cose ». L' opera  dunque  della divina Provvidenza nel corso dei secoli, nei quali
commettono dei gravi disordini, vogliono inferirne che  dunque  tutti gli aiuti esteriori della pietà sono più dannosi che
suo confronto la magnificenza di quello di Salomone! Beato  dunque  io vi credo di tale sposalizio, a cui il Signore vi vuole
dalla particolare indole della instituzione. Intanto  dunque  che queste cose si preparano, noi ci terremo uniti collo
se Ismaele non può convivere insieme con Isacco. Il pastore  dunque  che è insieme religioso, riconosce nella Chiesa la sua
alla sua maggiore gloria, al suo più compiuto trionfo. Che  dunque  rimane a fare all' uomo cristiano? Lavorare la propria
la gloria di Dio risplenda nella sua infermità. Egli non sa  dunque  ancora niente delle intenzioni e disposizioni divine da se
che non si conforma con questo spirito a malo est . Siamo  dunque  semplici, siamo sinceri. La semplicità ci faccia
il tempo da farlo, sarà pure il tempo di parlarne; lungi  dunque  da noi ogni artificio umano, ogni esagerazione: non
chiaro in una lettera senza fare un trattato. E` meglio  dunque  per ora che stiamo con tranquillità d' animo perseveranti
buono, infinitamente potente a soccorrerci? Diciamo  dunque  coll' Apostolo, nelle nostre angustie: « Se Dio sta con
alle circostanze in cui ci troviamo? Egregiamente;  dunque  ai piedi del Crocifisso ella deponga tutto se stesso;
le cose sue, è certo che Gesù fa per lui. Non ci sia fatto  dunque  il rimprovero che Gesù faceva ai suoi discepoli, quando non
nostra prostrazione conosciuta, sentita! Che ci resta  dunque  a fare? Concentrarci nell' unico desiderio di essere più
l' opera che sembrano aver in voi cominciata. Pregate  dunque  anche per me, per me povero peccatore. Io passerò da
restato al tutto pago, e poi mi rivolse queste parole: « E  dunque  pensa Ella di ritornare in Diocesi? » Io gli risposi che «
nelle più grandi misericordie del Signore. Da parte mia  dunque  vi dirò « perseverate e non uscite da voi stesso dal
con qualche detrazione alla verità? Non è voluta da Dio:  dunque  nè pur noi vogliamola. Il zelo adunque non ci renda mai
o indirettamente, all' aumento dell' opera pia. Io  dunque  mi tratterrò ancora qui; lavorerò intanto delle opere, che
notte più tenebrosa, è il solo che vede la realtà: lasciamo  dunque  fare a lui: noi viviamo tementi e tranquilli, umiliati e
il Papa non è mai infallibile nelle cose politiche. Onde  dunque  saprò io indubitatamente che il suo comando è conforme in
come è il patire. Come la parola di Gesù Cristo smentisce  dunque  e confonde il nostro senso, la nostra natura, e tutti gli
maggiore, ed è, quasi direi, nel suo regno. Ah stiamoci  dunque  attaccati a quest' affabile, a quest' amorosa consolatrice!
dipendere dalle massime che si stabiliscono a principio.  Dunque  io giudico di somma importanza l' occuparci seriamente a
ha piantata già Gesù Cristo nella sua Chiesa: non se ne può  dunque  creare un' altra: si dee attenersi strettamente all'
posto dalla Chiesa, sulle traccie del suo Fondatore. Nulla  dunque  dee essere staccato da questi centri. Io son d' avviso che
la pace del cuore. « Nolite cogitare in crastinum ». Direi  dunque  che con tutta semplicità faceste ai vostri compagni il
non prevenirla, facendo un piccol passo alla volta. Cercate  dunque  che i vostri compagni si uniscano pure, come avete
pericoloso e contro le regole comuni. Io vi supplico  dunque  caldissimamente di non volere, di qui in avanti, far niente
che regole di prudenza pe' casi possibili: non conviene  dunque  pensare a tutto quello sviluppo, di cui parlano le
cose ed opere singole che abbiamo alle mani: pensiamo  dunque  ora a queste due case che sono qui cominciate, e a quella
questo si può ottenere in ogni stato, in cui ella si trovi;  dunque  è sempre contenta e perfetta. Mio carissimo, questo è il
prendendo la loro direzione e governo spirituale. Che posso  dunque  dir loro circa la proposta che essi mi fanno? Io non mi
amar Iddio, e nel camminare nella sua giustizia. Non è  dunque  nè pure il predicare, nè il fare grandi cose per gli altri
abbiamo ottenuto il tutto, siamo pieni, siamo beati. A che  dunque  altro pensare, se non a ciò che Gesù Cristo ci ha insegnato
stessa vita, e simboleggia la nostra ineffabile unità. Viva  dunque  Gesù, di cui siamo tralci; viva Maria nostra madre
e in una sicurezza che in ogni modo ci sarà tolta. Viviamo  dunque  coll' anima nostra nel cielo, in Dio: ecco l' unica via di
la fede non vede che un decreto di bontà! viviamo  dunque  di fede; e quel Dio che umilia innalzerà, quel Dio che
e agli interessi di questa misera vita, e la superbia. E`  dunque  una grazia grande quello che Dio vi fa col darvi lume a
però il Vescovo non li chiami e non li mandi. Essendo  dunque  proprio del laico e del sacerdote semplice la vita umile,
in questa, anzi nè pure starebbe in piedi. La condizione  dunque  nostra, e quella dei laici e dei preti secolari, è la
cagioni: ma risponderò poi con comodo a tutto. Portate  dunque  pazienza per ora e ricevete quello che vi posso dare, che è
ho temuto ; e le apparenze mi davano da temere. Se  dunque  credete che io abbia fallato nell' esporvi anche i miei
morale, esige che ci mettiamo con essi a contatto. Se  dunque  questa approvazione l' avessimo cercata, noi avremmo fatto
Sì, per la divina misericordia, non cerco altro; intendete  dunque  bene ciò che vi dico: non per il male, ma per il bene; non
una così prossima occupazione militare della casa. Addio  dunque  intanto, preghiamo il Signore incessantemente.
delle mie malvagità. « De profundis clamavi! » Pregate  dunque  istantemente e tutti, pregate pel vostro in Cristo A. R..
il fine è la salute delle anime de' membri stessi. Voglia  dunque  Vostra Altezza assicurarsi intieramente su questo punto;
vita e la nostra morte; egli mortifica e vivifica. In lui  dunque  solo confidiamo e pienamente riposiamo. Oh qual quiete
della Provvidenza, anche i nostri stessi falli. Siamo  dunque  contenti di tutto, e amiamola ogni dì più questa
tutti un corpo: ognuno è membro del proprio nostro corpo;  dunque  ognuno da parte sua studi di fare quello che può per la
e sollevare la croce che pesa in sui fratelli. Non ha  dunque  bisogno la religione di essere giustificata con industrie
più semplice, ed io credo altresì nulla di più dolce. Ciò  dunque  perchè si distinguono dagli altri cristiani, non è per lo
dalle mani di Dio con perfetta indifferenza. Tutto sta  dunque  in trovare i segni del divino volere. Senza questi, so io
fuori che in ciò che è contrario all' onestà. Di questo  dunque  vi consiglio. Parimenti posso dire dell' amore del bene .
ed il cilicio abitava pur troppo il serpente. Ringraziate  dunque  di tutto il vostro cuore la misericordia del Signore, che
ultima troverete annessa un' abbondante grazia. Abbiamo  dunque  scoperto il nemico, la vittoria vostra sarà certa. Attendo
cuore, di quello che sia che convertiate il mondo. Mirate  dunque  sempre nell' esemplare nostro amabilissimo Gesù Cristo, e
idra con cento capi e non potrebbe sussistere. Io non dirò  dunque  che l' Istituto della Provvidenza debba aver per direttore
« io sono chiamato da Dio ad evangelizzare questi popoli:  dunque  abbandonerò il mio superiore e la religione per esser più
cooperando all' opera manifestissima del demonio. Aspetto  dunque  nuova lettera e veramente consolante, nella quale mostriate
abbandonato questo suo servo e zelante ministro. Dite  dunque  il Te Deum e fate fare continua orazione, acciocchè ogni
perchè sia la causa esemplare della nostra Società? Perchè  dunque  imitarla sì poco nella rassegnazione, nell' abbandono di
distinta percezione. La sensazione nell'essere umano non è  dunque  un nudo scontro del soggetto cogli oggetti, non è un fatto
per così dire, i fili da tessere poscia in sistemi. L'uomo  dunque  e perché vive in presenza ad un unico universoe per la
o di sagacia, o anche solo d'ambizione e di ferocità. V'è  dunque  alcuno che guida quando li altri camminano, che riposa
avvedersi del sole, della luna, delle stelle. Egli aveva  dunque  fatto per inconscia necessità di natura un primo passo
e talora derelitto. Le leggi della forza analitica non sono  dunque  a cercarsi solo nelle leggi dell'intelletto. La percezione
in questa analisi ereditaria e progressiva oscillano  dunque  perpetuamente tra un ordine ideale che rappresenta le leggi