Sulla scorta di quanto accade invece in Paesi stranieri, più evoluti del nostro in questa materia, bisognerebbe volta a volta valutare se l'affidamento sia o no meritevole di tutela, basandosi sul solo caso concreto. In questo modo, si eviterebbe di "fare di tutta l'erba un fascio" e si procederebbe più razionalmente. Le lettere di intenti andrebbero divise in "deboli" se limitate alla mera presa d'atto dell'esistenza di una trattativa, e "forti" se tali da far scaturire un affidamento tutelabile. I contratti preliminari sarebbero "chiusi" se riferiti al settore immobiliare, e "aperti", cioè più flessibili ed elastici, per altri ambiti, dominati da esigenze di snellezza e celerità.
Il comportamento contrario a buona fede, e quindi abusivo, non è, pertanto, solo appannaggio delle maggioranze: la dottrina e qualche giudice (sino ad oggi non nazionale) hanno in proposito manifestato preoccupazione per una minoranza spesso "minacciosa", che riesce ad impedire modifiche dello statuto o a paralizzare deliberazioni che, come accade per l'aumento del capitale, richiedono una maggioranza qualificata.
A nostro parere siamo di fronte ad un'inopportuna e falsificata accezione del termine libertà, che viene ad essere invocata per costruire e fecondare un altrettanto falso "diritto a morire". Si tratta di una concezione di libertà non autenticamente tale: il "diritto a morire" secondo noi non può esistere, perché si tratterebbe di una contraddizione "in terminis", che va a minacciare il diritto ben più accertato e riconosciuto che è quello "a vivere"; esiste, se mai un diritto a vivere qualitativamente bene, e non solo dal punto di vista biologico, ma soprattutto antropologico, anche l'atto supremo della vita umana naturale che è appunto il morire, inteso a tutti gli effetti come "atto della vita" Anche la volontà del paziente (living-will) non è il termine ultimo della sua libertà, la quale ha da confrontarsi con altre volontà, come del resto accade in tutte le azioni umane. Saranno poi necessarie delle specificazioni, caso per caso, o per gruppo di casi, atte ad evitare le possibili forme di "accanimento terapeutico", laddove si sostituisca un "vitalismo biologico", il più delle volte artificiale e attuato con mezzi sproporzionati, alla vita propriamente intesa.
Accogliendo le ragioni avanzate dalla Corte, l'A. evidenzia come la violazione della difesa tecnica, pur risultando oggi ancora più accentuata, fosse già presente in relazione alla disciplina originaria del rito abbreviato: ciò accade in presenza della richiesta di rito abbreviato sia "semplice" sia "complessa". Qualche riflessione vie poi spesa rispetto ai parametri costituzionali utilizzati dal giudice delle leggi per giungere alla dichiarazione di illegittimità: se la Corte ha utilizzato soltanto l'art. 24 Cost., non è escluso che essa potesse riferirsi anche all'art. 111 comma 3 Cost. Infine, l'A. critica la Corte costituzionale per avere ritenuto che nella decisione di illegittimità sia rimasta assorbita anche la questione relativa al fatto che l'art. 458 comma 1 c.p.p. non preveda, in favore dell'imputato in stato di detenzione, un termine più ampio rispetto all'imputato libero: tale conclusione, se da un lato non elimina completamente l'ombra di una ipotetica disparità di trattamento tra imputato libero e imputato detenuto, dall'altro lato non esaurisce l'elenco delle facoltà riconosciute a quest'ultimo.
Si ritiene perfettamente logica e consequenziale anche l'affermazione secondo cui, non diversamente da quanto accade per ogni altro vizio fatto valere contro l'atto impugnato, anche i vizi di nullità della notifica e di decadenza dell'ente impositore restano sanati se non dedotti nel ricorso proposto contro l'atto stesso. Non convince, per contro, l'assunto secondo il quale i vizi della notifica dell'atto impugnato, nonostante la loro natura sostanziale, resterebbero comunque sanati con la proposizione del ricorso, in quanto così l'interessato mostrerebbe di aver avuto conoscenza dell'atto e in tal modo la notifica dell'atto stesso risulterebbe aver raggiunto il proprio scopo. Resta, infine, problematica l'adombrata distinzione tra giuridica inesistenza e nullità di notificazione dell'atto, mentre appare difficilmente spiegabile l'asserita inoperatività della sanatoria ex tunc del vizio di notifica dell'atto laddove la proposizione del ricorso abbia luogo decorso il termine previsto a pena di decadenza per la notifica dell'atto da parte dell'ente impositore e nel ricorso sia stata specificamente dedotta l'intervenuta decadenza.
Fortemente influenzata da quanto accade negli Usa, la storia bioetica in queste zone è stata legata allo sviluppo del principialismo di T.L. Beauchamp e J.F. Childress, applicato ad una serie di campi specifici quali l'assistenza e la cura del malato, la procreazione e l'aborto, la morte encefalica (principalmente in vista del trapianto di organi), l'etica della ricerca, l'ecologia. La Bioetica personalista ontologicamente fondata è ritenuta essere un campo assai propizio per proporre ed orientare verso la persona e la sua realtà trascendente e sociale, verso il bene comune e lo sviluppo nel campo medico. L'America Latina è il continente della speranza e anche la Bioetica latinoamericana può esserlo (specialmente attraverso la personalizzazione del "bios" e la rivendicazione della dimensione comunitaria e sociale dell'"ethos"). In tal senso la Bioetica personalista può contribuire alla costruzione d'un "ponte verso il futuro" e all'integrazione e alla cooperazione latinoamericana. L'articolo concentra la sua attenzione, in particolare, su tre temi particolarmente significativi: la scienza e la tecnologia, l'identità cristiana e il ruolo dell'educazione, i comitati etici ospedalieri. Per questi ed altri campi, il riferimento al personalismo è una vera sfida che comporta una risposta, un impegno ed azioni concrete.
Gli AA. ritengono che, a differenza di quanto solitamente accade, il medico-legale dovrebbe intervenire con maggiore incisività su questa materia, non limitandosi a registrare supinamente le spese ma assicurandosi che queste siano comprovate da certificazioni di natura contabile. A questo fine risulta inoltre fondamentale un'attenta conoscenza dei dispositivi normativi che regolano l'erogazione di trattamenti sanitari da parte del Sistema Sanitario Nazionale: in particolare delle leggi che, introducendo i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), hanno fornito delle vere e proprie liste di terapie (tra le quali figurano alcune delle tecniche fisiochinesiterapiche più in voga) non erogate dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN), in quanto non sono disponibili sufficienti evidenze scientifiche riguardo alla loro efficacia. Su queste basi normative, e considerando ognuna delle tecniche fisiochinesiterapiche alla luce delle loro precise indicazioni e controindicazioni, gli AA. propongono di valutare la risarcibilità o meno delle spese sostenute in campo riabilitativo e di considerare anche l'ipotesi del concorso colposo del soggetto che, in seguito ad un'indicazione medica o motu proprio, si affidi ad una terapia non validata, non conseguendo il miglioramento atteso.
Purtroppo, come spesso accade nel campo delle nuove tecnologie, anche la PEC dovrà affrontare mille difficoltà di carattere operativo e non solo, ma sicuramente rappresenta uno strumento indispensabile per una pubblica Amministrazione digitale.
A differenza di quanto accade per altri ordinamenti dello "spazio giuridico globale", che hanno finito per trovare una collocazione certa nell'ambito delle organizzazioni internazionali, il Club di Parigi, benché abbia alle spalle già un cinquantennio di storia, è ancora nella fase di transizione tra un potere pubblico dotato di organizzazione e un ordinamento giuridico vero e proprio.
I problemi del rapporto tra medicina e diritto chiamano in causa valori costituzionali di rango primario, come il diritto alla vita ed alla salute o la libertà di ricerca e diffusione del sapere. Per questo, il diritto costituzionale non può sottrarsi all'analisi dei problemi cercando le risposte, oltre che nei principi fondamentali espressi dalla Costituzione, anche in quelli inespressi: principio di proporzionalità, principio di precauzione e principio di affidamento. Da tali principi, e dalla giurisprudenza costituzionale che li ha sviluppati, ricaviamo l'insegnamento per cui le valutazioni sulla qualità e sull'appropriatezza delle scelte terapeutiche non possono provenire da autorità politiche, ma devono essere determinate da un vaglio obiettivo medico-scientifico e da istituzioni dotate delle competenze e risorse necessarie per compiere simili analisi. Nell'articolo si discutono due problematiche. In primo luogo, se la scienza medica sia in grado di prendere posizione con certezza su una questione, che pure è necessario governare secondo diritto: in tal caso, dovrà trovare applicazione il principio di precauzione. In secondo luogo, è possibile che essa si imbatta in altre sfere di autonomia, libertà e diritti, che rivendicano uno spazio proprio. E' quanto accade tutte le volte in cui si fronteggino, da un lato, le esigenze della pratica clinica o della ricerca e, dall'altro, il valore della tutela della vita sin dal concepimento, valore la cui rilevanza costituzionale è fuori dubbio. E' in questi casi di necessario bilanciamento di principi, valori o interessi che la politica ha un ruolo determinante alla ricerca di un equilibrato e ragionevole contemperamento pratico.
Dopo aver analizzato i limiti costituzionali posti al diritto di sciopero e descritto in modo sistematico il quadro normativo di riferimento, l'A. effettua un'analisi comparata del fenomeno della concentrazione degli scioperi nei diversi settori pubblici essenziali, riflettendo sul dato oggettivo che, se imposti dalla legge, i limiti al diritto di sciopero - diversamente da quanto accade tuttora - dovrebbero valere per tutti i settori pubblici essenziali, non solo per quello del trasporto aereo. L'A. pone, poi, in rassegna i motivi che hanno portato la Commissione di garanzia ad adottare le due delibere sopra citate, oltre a formulare l'invito, rivolto alle parti sociali, a ricercare un accordo in sostituzione della regolamentazione provvisoria per meglio adeguarla alle trasformazioni recentemente intervenute nel settore. In conclusione, l'A. riflette sugli effetti - diretti ed ultrattivi - della concentrazione degli scioperi nel settore del trasporto aereo, valutando i possibili impatti in base ai bacini di utenza del servizio e sostenendo che è dalla difficile individuazione dei diversi bacini di utenza in cui si articola il settore del trasporto aereo - e non dalla concentrazione - che derivano i principali problemi applicativi della disciplina del settore e la situazione di incertezza segnalata dalle organizzazioni sindacali. Il saggio si chiude con l'auspicio che le parti sociali collaborino con la Commissione, al fine di trovare un accordo che sostituisca la regolamentazione provvisoria attualmente vigente e che sia coerente con la scelta a favore dell'autonomia collettiva operata dal legislatore.
Ciò, come spesso accade, si è concretizzato in un fenomeno avente quasi esclusivamente portata nominalistica, culminato, con l'entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), con il superamento della qualificazione di "accreditamento istituzionale" e l'attribuzione di quella di "accreditamento definitivo" riferito, tra l'altro, alle sole strutture private. L'articolo, nel ricostruire le tappe più significative di tale processo, pone una serie di riflessioni, di interrogativi e di dubbi interpretativi che vengono sottoposti all'attenzione dei lettori.
Si tratta di un tema che presenta profili problematici, dalla soluzione non sempre agevole - come sovente accade, a causa dell'approccio "casistico" del nostro legislatore, allorquando si affronti il trattamento fiscale di istituti di nuova introduzione - che risente delle incertezze a proposito della natura giuridica dei crediti edilizi e, in particolare, del loro inquadramento tra gli istituti disciplinati dal legislatore civilistico.
L'art. 24 comma 1, lett. b), l. 7 agosto 1990 n. 241 - come modificato dall'art. 16 l. 11 febbraio 2005, n. 15 - esclude il diritto di accesso agli atti amministrativi nell'ambito dei procedimenti tributari, "per i quali restano fermi le particolari norme che li regolano". Tale limitazione, ad avviso del TAR, trova giustificazione in relazione alla fase di accertamento del procedimento stesso, che si caratterizza per una tendenziale segretezza dell'istruttoria, in analogia a quanto accade per la fase delle indagini preliminari nel procedimento penale. In detta fase l'Amministrazione Finanziaria può esercitare, per espressa previsione di legge, poteri investigativi che rischierebbero di esser privati di ogni efficacia ove si riconoscesse al contribuente la possibilità di accedere liberamente agli atti del procedimento. Le medesime esigenze di segretezza non sarebbero invece sottese alla fase della riscossione, rispetto alla quale potrebbe ipotizzarsi un vero e proprio diritto del contribuente alla conoscenza degli atti del procedimento, anche in vista dell'eventuale esperimento dei rimedi impugnatori consentiti dalla legge e dell'esercizio delle garanzie riconosciute dal c.d. Statuto del contribuente. Si tratta di una ricostruzione ermeneutica che prospetta un lettura costituzionalmente orientata dell'art. 24 comma 1, lett. b) l. n. 241 del 1990, certamente condivisibile, ma che rischia di interferire con un bilanciamento di interessi già effettuato "a monte" dal legislatore.
Mentre per le rendite a superstiti le due componenti analizzate spiegano totalmente la variazione dei coefficienti, così non accade per le rendite dirette, per le quali, limitatamente al caso delle rendite con evento successivo al 25 luglio 2000, la diminuzione delle aliquote medie di rendita in funzione dell'antidurata attenua fortemente l'incremento dei coefficienti.
Ciò comporta, a differenza di quanto accade nel lavoro privato, l'irrilevanza delle mansioni in concreto svolte e la insindacabilità del giudice, da parte del magistrato. La soluzione prescelta dalla Suprema Corte non sembra però assicurare pari dignità alla tutela della professionalità del dipendente pubblico rispetto a quello privato, oltre a collocarsi in controtendenza rispetto ai recenti provvedimenti legislativi che tendono ad un recupero dell'efficienza della pubblica amministrazione anche e soprattutto attraverso la valorizzazione delle professionalità interne alle amministrazioni.
Perché il paziente sia posto nelle condizioni di esercitare il diritto costituzionale di decidere se sottoporsi a un trattamento medico, è indispensabile che riceva tutte le informazioni necessarie per assumere una decisione consapevole. E', pertanto, indispensabile che il medico incaricato di acquisire il consenso sia in grado di fornire tali informazioni e abbia il tempo per rispondere a tutte le domande del paziente. Inoltre, in caso di consenso a sottoporsi a un trattamento chirurgico, il processo informativo deve svolgersi in un contesto adeguato, e comunque, fuori dalla sala operatoria. L'A. rileva che l'ordinamento giuridico italiano non esige, d'altro canto, che a informare il paziente e ad acquisire il suo consenso sia necessariamente il medico che eseguirà il trattamento. Tale precisazione assume notevole rilevanza pratica nell'organizzazione dell'attività medica svolta in équipe, dove sovente accade che il medico che deve eseguire il trattamento non sia di turno il giorno prima dell'intervento e non possa, pertanto, acquisire di persona il consenso del paziente. In tal caso, il consenso può essere acquisito da un altro medico della medesima équipe, a patto che questi disponga di tutte le informazioni necessarie e dell'autorità per decidere, insieme al paziente, se effettuare il trattamento.
., solo con le sent. cost. n. 348 e n. 349 del 2007 si è avuto il generale riconoscimento nel nostro ordinamento della disciplina di fonte internazionalistica sui diritti dell'uomo come norma interposta; né può ignorarsi che l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona farebbe acquisire alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo il grado e la forza del diritto comunitario. Nel frattempo, sono stati progressivamente ampliati i poteri della Corte europea dei diritti dell'uomo, ai cui provvedimenti viene assegnato l'effetto di autorità di cosa giudicata interpretata. La funzione della Corte di Strasburgo di garantire i requisiti del giusto processo, per un verso, non implica l'obbligo di abbassarne il livello di attuazione per gli Stati che maggiormente ne esaltino qualche aspetto (come accade per la regolamentazione del contraddittorio nel nostro codice di procedura penale) e, per l'altro, non consente una riduzione della portata innovativa delle sentenze della medesima Corte, quando rilevino inadempienze nei sistemi nazionali (come avviene per la disciplina italiana delle dichiarazioni unilaterali).
., accade in Spagna, Argentina, Perù, Cile, Nicaragua, Panama, Repubblica Dominicana, Costa Rica, Colombia, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras in cui le leggi interne prevedono contratti di apprendistato, formazione e tirocini professionalizzanti, diversamente regolati anche nella parte relativa di trattamenti retributivi, applicabili ai minori dai 13 anni in su e ai giovani fino ai 20 anni. Successivamente l'A. analizza alcuni provvedimenti sullo sviluppo delle risorse umane emessi dall'Organizzazione internazionale del lavoro e sottolinea il fatto che l'unico Paese che ancora oggi non contempla il contratto di apprendistato è il Messico, il cui Atto federale del lavoro del 1970 considera l'apprendistato una reminiscenza medievale utilizzata in materia inappropriata solo per non pagare o ridurre le retribuzione dei lavoratori. Ciò nonostante, rileva l'A., la legislazione messicana prevede che la formazione e l'istruzione vengano fornite dal datore di lavoro o da soggetti abilitati, iscritti in appositi registri tenuti dal Ministero del lavoro e del welfare. Da ultimo, l'A. fa una considerazione sui contratti di formazione: questi rappresentano una forma contrattuale pensata a favore del datore poiché laddove il periodo di formazione si concluda senza successo, il contratto si risolve automaticamente senza nessun aggravio per le parti.
In una evoluzione ormai prossima non è difficile prevedere una trasformazione anche psicologica degli utenti della Rete, che si muoveranno all'interno di essa per mezzo di propri Avatar, dotati di sembianze umane, ma privi di corporeità, come già accade in Second Life. Del fenomeno Second Life in Internet si cominciò a discutere nel 2003, allorquando questo mondo virtuale tridimensionale venne creato dalla società californiana Linden Labs. Tecnicamente dovrebbe parlarsi di Massive Multiplayer Online Role-Playing Game (MMORPG), ma la sua diffusione ne fa ormai un fenomeno sociale a livello planetario. L'idea di ambientare una seconda vita sulla Rete delle reti non è nuova. Essa ha interessato e appassionato scrittori di ogni genere e anche la filmografia ha spesso fatto ricorso a tale espediente per raccontare i paradossi delle vite virtuali, così dissimili da quelle reali, ma così intensamente vissute da non riuscire a discernere più la realtà dalla finzione, lasciando spesso al lettore il dubbio che quella vissuta da noi ogni giorno non sia la vera realtà. Ad oggi i tempi appaiono maturi per arrivare a immaginare un mondo sempre più interconnesso e interoperabile, ove il virtuale è più reale del reale. Second Life è un gioco on line con la diversità di non avere ambientazioni e missioni specifiche; la novità del gioco è la completa destrutturazione, consente a chiunque di fare pressoché qualsiasi cosa. Così SL, proprio per la sua connotazione generalista e specifica, al pari della vita reale, ben si presta a rappresentare una formidabile palestra giuridica per il futuro, quando le nostre vite saranno, presumibilmente, sempre più virtualizzate e le questioni giuridiche da affrontare saranno nuove e imprevedibili.
Non altrettanto accade in Francia, dove i termini "médiation" e "conciliation", definiscono due istituti giuridici e due differenti modelli di gestione dei conflitti. Anche in Italia le parole "conciliazione" e "mediazione" hanno una diversa area di impiego: si riferiscono a campi, pratiche e modelli diversi di gestione dei conflitti. Entrambe indicano una modalità consensuale e volontaria di composizione delle controversie che si svolge alla presenza di un terzo imparziale che guida le parti nella ricerca di una soluzione al conflitto. b) Differenziazione degli ambiti di competenza. Tuttavia, in questi ultimi venti anni si è assistito ad una spontanea e progressiva differenziazione tra i rispettivi ambiti di competenza: la "conciliazione" descrive la composizione delle controversie in campo civile e commerciale, la "mediazione" definisce invece la gestione dei conflitti in ambito sociale, scolastico, penale e familiare. Il fenomeno italiano degli Adr ci offre un panorama rigorosamente separato di pratiche, percorsi formativi e argomenti teorici che indicano la tendenza in atto verso una differenziazione tra la prassi della mediazione e quella della conciliazione. In sostanza sembra di assistere alla progressiva costruzione di un confine tra ambiti disciplinari sui quali bisognerebbe riflettere con attenzione. Il legislatore, che di recente è intervenuto nella materia con il d.lg. n. 28 del 2010, non ha accolto questa distinzione. La norma citata distingue tra "mediazione" e "conciliazione", ma non per regolare due pratiche autonome, quanto piuttosto per istituire una relazione di mezzo a fine tra le due, prevedendo che l'attività di mediazione sia finalizzata alla conciliazione.
A sostegno della conclusione si pone l'essenziale rilievo per cui, a fronte della modificazione soggettiva del rapporto patita, il terzo contraente risulta già tutelato tramite l'istituto del recesso, analogamente a quanto accade in altre ipotesi ove nessuna responsabilità è prevista a vantaggio del recedente (artt. 1722, n. 4, 1833, 2° co., 1918, 4° co., e 2612, 2° co., c.c.). - 4. La posizione dell'acquirente e il significato dell'art. 2558, 2° co., c.c. - 4.1. In realtà non può escludersi che tanto il terzo quanto l'acquirente subiscano danni in conseguenza della cessione dell'azienda. E, anche a fronte di una lettura sistematica della disposizione, deve superarsi l'impostazione unilaterale per la quale l'alienante dovrebbe essere responsabile esclusivamente verso l'una o l'altra delle parti coinvolte nella vicenda traslativa dell'azienda. Occorre invece riflettere sull'effettiva portata della disposizione, la quale, più che fondare positivamente una specifica fattispecie di responsabilità, sembra fare salve le responsabilità, verso l'acquirente o il terzo, già esistenti in capo all'alienante in virtù di altre fonti normative.
Tipologia di responsabilità civile che nasce dalla lettura combinata degli artt. 1218 c.c. e 1173 c.c. e che, diversamente dalla responsabilità extracontrattuale e in analogia a quanto accade in quella da inadempimento, sorge tra due soggetti entrati in contatto tra loro prima del verificarsi del danno e consegue ad una violazione di una norma specifica di condotta. Si applica pertanto la disciplina di cui agli artt. 1218 c.c. e ss. D) Causa in concreto del contratto. Ragione concreta della dinamica contrattuale che si identifica, a prescindere dallo schema negoziale scelto dalle parti, con lo scopo pratico del negozio. Pertanto, come evidenziato dalla Suprema Corte nella nota pronuncia n. 10490/2006, la causa, quale elemento essenziale del contratto ex art. 1325 c.c., va intesa non come funzione economico sociale, ma come funzione economico - individuale dell'accordo, ovvero come sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare. E) Contratto con effetti protettivi verso i terzi. Figura contrattuale non esplicitamente prevista dal codice civile ravvisabile, come ad esempio illustrato da Cassazione civile n. 589/1999, qualora un contratto, pur non attribuendo al terzo il diritto al conseguimento della prestazione principale, conferisce al medesimo il diritto a che il contratto stesso venga eseguito con diligenza tale da evitare danni al terzo medesimo, con la conseguente possibilità per questi di agire nei confronti del debitore, in via contrattuale, per il risarcimento del danno conseguente all'inadempimento contrattuale. F) Danno esistenziale. Danno non patrimoniale identificato nella compromissione delle attività realizzatrici della persona umana che, in presenza di un'ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno, risulterà risarcibile. Secondo le Sezioni Unite n. 26972/2008, tuttavia, il danno non patrimoniale sarebbe "categoria generale" e "unitaria" con la conseguenza che non sarebbe dunque identificabile una sua sottocategoria denominata "danno esistenziale". Ad ogni modo, risulterà risarcibile l'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona costituzionalmente garantito connessa all'alterazione della abitudini di vita e degli assetti relazionali che erano propri del soggetto danneggiato.
In mancanza di un termine espresso in tema di decadenza di alcune disposizioni agevolative, come accade in tema di proprietà agricola, il contribuente non può essere soggetto ad un'azione dell'amministrazione soggetta al solo termine di prescrizione ordinaria ex art. 2946 c.c., ma sarà soggetto ad un termine triennale che decorrerà dalla conclusione dell'istruttoria da parte della Regione. Prevedere un termine triennale per l'azione dell'amministrazione finanziaria appare coerente con il consolidato orientamento in tema di agevolazioni prima casa.
Nuovamente investite della questione con riferimento all'offerta di pagamento mediante assegno bancario, le Sezioni Unite hanno significativamente temperato la conclusione precedentemente prospettata, pur senza pervenire ad una sua radicale confutazione, e hanno osservato che il creditore, a differenza di quanto accade per l'offerta di contante e per l'assegno circolare, può rifiutare la ricezione dell'assegno bancario, purché riesca a dimostrare un motivo sufficientemente grave alternativo e distinto rispetto a quello incentrato sulla diversità della prestazione, lasciando chiaramente intendere che, a tal fine, è sufficiente far leva sul rischio della sua mancata copertura. In tal modo, le Sezioni Unite hanno riaffermato la necessità, già evidenziata dalla giurisprudenza antecedente al 2007, di invocare, nel caso in esame, il principio di buona fede in funzione correttiva del dettato normativo, in modo da evitare una sua applicazione letterale quando essa comporti risultati equitativamente ingiusti, pregiudicando le ragioni di chi risulti meritevole di maggiore protezione rispetto alla controparte.
Si è perciò voluto analizzare alcuni aspetti legati ad un settore, quello della Sanità che tra tutti rappresenta quello più emblematico e raffrontarne alcuni aspetti in relazione a ciò che accade in altre esperienze regionali in Italia. Infine proporre alcune valutazioni per dimostrare che riformare i meccanismi di generazione della spesa pubblica, rivedere le priorità, eliminare attività superflue, ridefinire i costi sfruttando le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e organizzando più efficacemente i servizi offerti, non è più una via ma una necessità.
Essi osservano come il principio della totale irrilevanza penale della reintegrazione protesica, fin qui affermato pressoché unanimemente dalla giurisprudenza, contrasti nei fatti con la realtà biologica poiché in molti casi il mezzo protesico modifica la tipologia del fatto illecito (come accade nell'impiego delle protesi vascolari in emergenza) e può condizionare la sussistenza o meno di alcune aggravanti biologiche (per esempio contribuendo alla conservazione di parti anatomiche altrimenti condannate all'amputazione). Segnalano inoltre come la chirurgia vascolare protesica aderisca specificamente al dettato civilistico della preferenziale reintegrazione in forma specifica del danno da fatto illecito altrui, contribuendo ad una migliore e più completa salvaguardia del diritto alla salute così come inteso dalla garanzia costituzionale espressa nell'articolo 32.
Rischio culturale, inoltre, quello dell'inimicizia rispetto al malato, che in chiave politica si ripropone in termini di cittadinanza fragile, come per esempio accade con i tentativi di strumentalizzare le nuove metodologie di lettura profonda della persona. Una capacità di predizione che, nelle sue applicazioni pratiche, ci mette perciò di fronte a non pochi aspetti problematici, persino inediti. Si profila, cosicché, la possibilità che l'azione terapeutica stessa sia esautorata per rispondere a esigenze di una mera medicalizzazione e che questa abbia, in effetti, come unico obiettivo quello di soddisfare solo meri criteri di produttività funzionale, all'interno di un progetto sociale sanitario legato a modelli interpretativi bio-organici della persona umana. Da qui l'implosione degli stessi concetti di malattia e di malato, la malattia è, infatti, intesa come fatto privato e debitum sociale, anche quando solo presunta e attesa, e la persona malata viene ad essere intesa come disfunzionale, non degna di amicizia e solidarietà sociale, cioè come una sorta di nemico pubblico. Il che, su un piano politico, si risolve inevitabilmente in una perdita di cittadinanza attiva. Nei nuovi e più complessi scenari della medicina diagnostica - rispetto all'eredità genetica e rispetto alla cosiddetta biopolitica - si pone allora come un'emergenza il problema della cittadinanza fragile e del cittadino vulnerabile, a causa del prevalere della lettura dell'immagine genetica dell'essere umano rappresentato, oramai, mediante la comparazione di screening, test diagnostici e profili di rischio.
Da ultimo vengono indicati gli elementi utili in ordine alle concrete modalità di conclusione dell'accordo ed agli strettamente connessi profili fiscali i quali, come spesso accade, possono rappresentare uno degli aspetti più delicati nella prassi applicativa.
Tra le ricadute della globalizzazione, vi è quella per cui gli investimenti finanziari, lasciati liberi, tendono a dirigersi là dove trovano le condizioni giuridiche che favoriscono profitti più elevati: gli Stati, com'è ovvio, tendono ad attrarre gli investimenti piuttosto che ad allontanarli e ciò induce frequenti torsioni del diritto interno per favorire gli investimenti di capitale. La politica è quasi disarmata di fronte al mercato; e se lo è la politica altrettanto accade per il diritto, che è in larga misura creazione della politica. In Italia, si è messo mano a una complessiva riforma societaria, partita con il testo unico sulla finanza del 1998, continuata con la nuova disciplina delle società di capitali, approdata infine alla modifica delle discipline concorsuali: con le nuove regole, si persegue l'obiettivo di efficienza economica, rendendo operante la regola concorrenziale predicata per il sistema economico generale. Il bilancio e la difficile compatibilità di quel sistema di regole con la tutela giurisdizionale (comprensiva della giurisdizione esecutiva) dei diritti assicurata, a tutti, dall'art. 24, primo comma, della Costituzione
Ciò accade sia quando la rete è essa stessa luogo di condotte illecite sia quando rappresenta un mero veicolo. Il reato commesso attraverso internet finisce per mutuare la dimensione ultraterritoriale (a volte transnazionale) dello strumento adoperato. Ad esempio della rete si è detto "il www è una delle più vaste biblioteche al mondo, ma anche la più grande fotocopiatrice mai esistita" ("National Research Council USA"). Ed è vivo il dibattito alla ricerca di un bilanciamento tra la tutela della diffusione democratica e condivisa del sapere e delle risorse e la tutela del diritto d'autore. Ancora, la rete è senza dubbio un formidabile e democratico mezzo di comunicazione e di informazione ma le stesse caratteristiche che la rendono tale sono in grado di produrre danni all'immagine ed alla reputazione ben più gravi di quelli arrecabili con i tradizionali sistemi di comunicazione. La rete, inoltre, per le sue caratteristiche di rapidità delle comunicazioni ed anonimato delle condotte, si presta ad essere veicolo di azioni criminali che sfruttano proprio tali caratteristiche. Diversamente, le regole che orientano la giurisdizione e la competenza del giudice sono, tradizionalmente, formulate con riferimento ad una dimensione territoriale ed abbisognano, quindi, di essere adattate a condotte illecite che si sono spostate in un ambiente intangibile e virtuale, che producono conseguenze in territori diversi e lontani, contestualmente e contemporaneamente, ovvero a distanza di tempo.
Per effetto della legge n. 234/2012, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'UE, si passa ora dalla legge Comunitaria a due diverse norme: la legge europea, che modifica direttamente le disposizioni del diritto interno, e la legge di delegazione europea, che attribuisce un potere normativo di secondo livello al Governo e alle Regioni, per le materie di specifica competenza. Disposizioni in materia di IVA sono contenute solo nella legge di delegazione europea, laddove si prevede la piena integrazione del regolamento (VE) 282/2011 nel nostro ordinamento. Si dovranno quindi abrogare le disposizioni incompatibili e riformulare le norme che necessitano di un migliore coordinamento. L'occasione potrebbe essere utile anche per intervenire su questioni interpretate in maniera difforme rispetto alla normativa comunitaria, come accade nel caso delle operazioni intracomunitarie poste in essere da operatori non iscritti al VIES [Vat Information Exchange System - Sistema elettronico di scambio di dati sull'IVA].
"reati informatici" (per tali intendendosi sia le fattispecie classiche di reato, laddove commesse mediante mezzi informatici, come accade per la diffamazione via Internet, che le nuove fattispecie "necessariamente" informatiche come l'accesso abusivo a sistemi informatici) è infatti il totale abbandono dell'unicità spaziale della scena del crimine. Agente e persona offesa possono in questo tipo di reati essere situati anche a migliaia di chilometri di distanza; azione ed evento del reato possono ricadere in circondari se non in ordinamenti giuridici differenti. Tali peculiarità, tali da stravolgere i concetti di "locus" e "tempus commissi delicti", hanno spinto gli interpreti a rimodellare i tradizionali istituti della giurisdizione e della competenza, in specie quella per territorio. Il presente scritto, dopo una prima parte dedicata all'adattamento dei due istituti alle nuove forme di illecito penale, prende in considerazione il concreto atteggiarsi dei problemi di competenza e giurisdizione nei reati di associazione per delinquere, nelle truffe "on line", nelle frodi informatiche, nel "phishing" e nella diffamazione via Internet.
Accade così che si sia potuto affermare che, con la sparizione del provvedimento autorizzativo disposta dalle misure di semplificazione, sparisce la figura stessa del terzo. Di qui la difficoltà di conciliare il nuovo ordine procedimentale con l'esigenza di tutelare tutti gli interessi che il diritto prende in considerazione quando detta le condizioni per lo svolgimento di determinate attività e assegna all'amministrazione il compito di assicurarne l'osservanza. Il presente scritto muove dalla constatazione che coloro cui fanno capo gli interessi che trovano composizione entro la disciplina di legge hanno titolo per pretendere l'attuazione dell'assetto dato agli interessi medesimi. L'interesse "pubblico" perseguito con la regolazione non è che la risultante della composizione normativa degli interessi privati in gioco e i titolari di questi interessi hanno un'autonoma pretesa all'esercizio dei poteri dei quali l'amministrazione dispone per assicurare l'osservanza dell'assetto normativo. In contesti del genere sembra appropriato configurare una relazione giuridica "multipolare" tra i titolari degli interessi in questione e l'amministrazione, togliendo dall'ombra la posizione del terzo. Il superamento del carattere riflesso della situazione del terzo rende tale situazione insensibile alle vicende del soggetto che aspira a svolgere l'attività, finché quest'ultima resta soggetta a regolazione e finché permane la responsabilità dell'amministrazione per l'effettività della regolazione medesima.
. - pur non qualificandosi, in generale e di per se stessa, autonomo soggetto di imposizione - si configura quale centro di imputazione di relazioni giuridiche, fiscalmente rilevanti, generandosi al riguardo interrelazioni fiscalmente eminenti con la "casa madre", alla stregua di ciò che accade per quanto attiene ai rapporti fra due soggetti diversi ed autonomi, legati da stretti vincoli soggettivi/oggettivi. Ed infatti i rapporti fra casa madre e s.o. sono caratterizzati da un regime fiscale di alterità e di contrapposizione di interessi, pur in presenza (spesso) di una loro unità soggettiva, giuridica ed economica. Tale alterità e differenziazione fiscale comporta che, al fine della determinazione del reddito della "casa madre" e della sua s.o., rilevi una problematica del tutto analoga a quella delle operazioni "intercompany" ad iniziare dalla problematica afferente i prezzi di trasferimento o le spese di regia e le spese promiscue. Invano si cercherebbero specifici strumenti idonei a supportare affidabili soluzioni normative. Al riguardo, si possono invocare i principi sanciti dall'art. 7 comma da 3 a 7 del Modello Convenzionale e nell'art. 14, ultimo comma, d.p.r. n. 600 del 1973 ove si impone alle imprese di rilevare nelle scritture contabili i fatti di gestione che interessano le s.o. determinando separatamente i risultati di esercizio di ciascuna di esse.
Il saggio è dedicato al processo di divorzio nell'ordinamento francese, all'interno del quale conserva uno spazio del tutto residuale la separazione personale che, a differenza di quanto accade nel nostro Paese, non rappresenta una condizione preliminare per lo scioglimento del vincolo coniugale. Dopo aver concentrato l'attenzione sui presupposti delle quattro forme di divorzio riconosciute in Francia (ossia "le divorce par consentement mutuel, le divorce pour acceptation du principe de la rupture du mariage, le divorce pour altération définitive du lien conjugal, le divorce pour faute"), l'indagine si sofferma sugli aspetti procedurali del divorzio, rientrante nella sfera di attribuzioni del "juge aux affaires familiales" istituito presso il "tribunal de grande instance". Il lavoro si sviluppa sull'analisi dei tratti salienti della procedura "gracieuse" del divorzio per "consentement mutuel", nonché sugli interessanti profili dell'uniforme procedura di divorzio "contentieux". Viene in particolar modo evidenziato il carattere bifasico del giudizio contenzioso, caratterizzato da una prima fase dedicata allo svolgimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, al cui esito negativo consegue la pronuncia dei provvedimenti provvisori ed urgenti ("ordonnance de non-conciliation") volti a regolamentare la vita familiare durante il processo; e da una seconda fase a cognizione piena (benché in forme leggermente diverse da quelle ordinarie) introdotta dall'istanza di uno dei coniugi ("assignation") in cui va indicata la forma di divorzio giudiziale che si richiede. Il giudizio divorzile termina con la pronuncia della sentenza, impugnabile nelle forme ordinarie del sistema processuale francese. Nella parte finale il lavoro prende in esame anche la "séparation de corps", che determina soltanto un allentamento del rapporto coniugale senza condizionare la proponibilità del giudizio di divorzio, non costituendo la separazione dei coniugi un passaggio obbligato per lo scioglimento del matrimonio.
Questo accade soprattutto nelle banche di credito cooperativo, caratterizzate da un forte legame di reciprocità con il territorio di riferimento. Tra i principali strumenti integrati di misurazione della performance, un ruolo particolare è assunto dalla Balanced Scorecard (BSC), la quale ben si sposa con le esigenze bancarie e permette di valutare la prestazione secondo quattro prospettive fondamentali. Il "paper" analizza due casi di studio di progettazione e implementazione della BSC negli istituti bancari al fine di comprendere le modalità di applicazione della BSC ed individuare gli elementi di comunanza e di divergenza tra i due casi.
Tale ricostruzione è incentrata sull'assunto che il soggetto passivo di tale tributo sia proprio il trust, sebbene - diversamente da quanto accade ai fini dell'imposta personale IRES [Imposta sui redditi delle società] - tale asserita soggettività passiva non abbia un fondamento sistematico e sia chiaramente contraddetta dal diritto positivo. L'Agenzia delle entrate sostiene inoltre che, mentre la costituzione di specifiche tipologie di trust di scopo auto-dichiarati disciplinati dal codice civile, segnatamente il fondo patrimoniale e i patrimoni destinati ad uno specifico affare, non attrae l'imposta proporzionale, lo stesso regime non sia applicabile alla costituzione degli altri trust di scopo auto-dichiarati regolati da leggi straniere. In realtà, non vi è alcuna differenza tra tali tipologie di destinazione patrimoniale che giustifichi questa discriminazione. La conclusione alla quale si perviene è che l'imposta proporzionale non può mai applicarsi alla costituzione dei trust di scopo (siano essi o meno auto-dichiarati) in quanto non v'è un soggetto passivo nei cui confronti pretenderla.
Nel processo tributario, l'estinzione del processo estingue l'azione ed è per questo che, rendendo inefficaci gli atti processuali, determina il definitivo consolidarsi degli effetti propri dell'atto impugnato; una volta che ciò sia accaduto, non è più proponibile alcuna azione per rimuovere tali effetti e per tal motivo anche il cd. principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione finisce col risultare concretamente inutile dopo l'estinzione del processo susseguente alla cassazione con rinvio. Se l'estinzione del processo tributario avviene in secondo grado, peraltro, tutto ciò non accade, in quanto, stante l'autonomia del giudizio d'impugnazione, la propagazione dell'inefficacia degli atti processuali conseguente all'estinzione s'arresta all'atto iniziale del giudizio d'impugnazione (nel caso: appello) e l'effetto che ne consegue è, e resta, soltanto il definitivo stabilizzarsi di una sentenza di primo grado che ha annullato o non annullato il provvedimento impugnato.
Quando ciò accade, sullo schermo situato in periferia appaiono i dati raccolti nelle banche. Se quest'operazione è compiuta illegittimamente si realizza il reato di accesso abusivo in un sistema informatico. Questo reato deve essere considerato commesso nel luogo in cui agisce chi penetra nella banca dati o in quello in cui si trova il server? Su tale tema è esploso un conflitto di competenza fra diversi giudici (sollevato da Roma, che ha rifiutato la sua competenza nel caso di accesso ad un server collocato in Roma avvenuto digitando un terminale a Firenze). La Cassazione ha dato torto a Roma. Roma ha risollevato però il conflitto. Che cosa farà ora la Corte? Il problema è di rilievo, essendo indiscutibile che la rete informatica si sottrae ai concetti tradizionali di spazio e luogo con i quali siamo abituati a ragionare. Le stesse banche dati sono d'altronde, oggi, collocate sovente in una "nuvola" non localizzabile: che senso avrebbe utilizzare nei loro confronti concetti ancorati al luogo in cui essa si trova?
Nel presente contributo si fornisce un quadro tra passato (non troppo remoto) e futuro di quanto accade nel mondo dei pagamenti "on line", con il rammarico di aver perso l'ennesima buona occasione.
In questo senso l'ampia bibliografia politico-economica rapidamente affermatasi sugli sviluppi istantanei di tale "Gruppo", ne ha evidenziato l'importanza significativa sotto lo specifico profilo giuridico-internazionale, dato il loro contributo determinante alla ricostruzione dei predetti "common legal principles", non diversamente da quanto accade nello spazio giuridico di un'Unione organizzata come quella europea, dove tali principi generali si identificano con le tradizioni costituzionali comuni. Sembra pertanto inevitabile non prescindere da tali fenomeni aggregativi affermando che la valorizzazione della tradizione giuridica continentale potrebbe certamente corrispondere ad una cornice o ad un ambiente giuridico comune per gli operatori economici BRICS entro il quale poter utilizzare al meglio le specificità dei loro diritti nazionali.
Accade talvolta che le fonti scritte (in particolare, la legge, e in alcuni ordinamenti la costituzione) facciano riferimento alla consuetudine. In diritto internazionale, è pacifico che la consuetudine sia fonte di produzione giuridica. In questo scritto, discuterò (con l'eccezione del paragrafo conclusivo) un unico problema: che cosa è la consuetudine? A che cosa fa riferimento il diritto, quando fa riferimento alla consuetudine? In tema di consuetudine, il principio della saggezza consiste nel riconoscere che il termine "consuetudine" designa non uno soltanto, ma una pluralità di fenomeni, che occorre tenere distinti. E' possibile, cioè, ricostruire, o modellare, più concetti di consuetudine. Nella prima parte di questo scritto presento una serie di definizioni, di crescente complessità, che identificano (famiglie di) concetti differenti: consuetudine come mera regolarità di comportamenti, regole sociali, concezioni causali e normative della consuetudine, consuetudini come fenomeni di interazione strategica (le convenzioni di Lewis e le norme di "fair play" appartengono a quest'ultima famiglia). Nella seconda parte, più breve, sostengo che, a causa dei profondi disaccordi dottrinali sui tratti della consuetudine come fonte del diritto e la mancanza di appropriate indicazioni da parte dei testi giuridici, tutto ciò che si può fare per determinare a cosa leggi e altri testi giuridici si riferiscano quando parlano di "consuetudine" è delineare la cornice dei diversi significati ammissibili del termine - ciò che faccio nella prima parte - senza sceglierne alcuno come il migliore, o quello giusto. Nel paragrafo conclusivo mostro infine come, nonostante le osservazioni dello stesso Hart (nel "Postscript" a "The Concept of Law"), la hartiana regola di riconoscimento debba essere intesa come una regola consuetudinaria, e non come una regola convenzionale.
Il calcolo della probabilità è un elemento essenziale della genetica forense, a differenza di quanto accade per altri settori delle scienze forensi, come ad esempio la dattiloscopia. Storicamente sono stati sviluppati due approcci statistici, l'uno basato sulla probabilità di esclusione, l'altro sul rapporto di verosimiglianza. L'approccio per esclusione permette di stabilire, sulla base delle frequenze geniche della popolazione di riferimento, la probabilità che un soggetto preso a caso, diverso dal sospettato (o dal padre putativo), possa essere la fonte della traccia (o il padre biologico). Tale probabilità non deve essere confusa con quella, differente, che il sospettato sia la fonte della traccia (o che il padre presunto sia il padre biologico). Il rapporto di verosimiglianza confronta invece due proposizioni contrapposte - quella dell'accusa (o quella di paternità) e quella della difesa (o di non paternità) - sulla base delle probabilità di osservare i dati genetici nell'una e nell'altra delle due ipotesi. Tale rapporto si può convertire nella probabilità che sia vera l'una o l'altra proposizione applicando il teorema di Bayes, che richiede la specificazione delle (soggettive) probabilità "a priori" attribuite alle due ipotesi alla luce dei dati circostanziali. Le criticità dei due approcci sono discusse nella parte conclusiva dell'articolo.
Nell'ambito della assicurazione sociale contro i rischi del lavoro sovente accade che tale aspetto non possa risultare probatoriamente dimostrato; che, cioè, nella fattispecie, non sempre possa dimostrarsi il ruolo "condizionante" del lavoro nella produzione del danno, ammettendosi la ricorrenza "probabilistica" o anche "possibilistica", come sufficientemente probatoria. L'Istituto assicuratore, con circolare del 2006 in tema di concausa, ha dimostrato provvida e sostanziale apertura, esplicitando nella circolare medesima, come sia ammesso all'indennizzo ogni circostanza in cui possa riconoscersi non solo la natura di causa, ma anche di concausa del lavoro nel determinismo della patologia denunciata. La giurisprudenza, dal canto suo, si è più volte pronunciata sul tema, riconoscendo il ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione evolutiva o di aggravamento della patologia. Nonostante ciò, i problemi sembrano comunque ancora lontani dall'essere risolti, soprattutto in merito alle patologie multifattoriali o tumorali, dove risulta estremamente labile il confine tra patologia professionale e patologia comune. Il riferimento è anche al recente aggiornamento dell' elenco della patologie per cui è obbligatoria la denuncia (D.M. 10.06.2014), ed al loro mancato inserimento nella lista delle malattie professionali, in specie per quanto riguarda le patologie di probabile o, persino, possibile, origine professionale. Sul piano dottrinario, infatti, esaminando la possibilità di ricorrere ad una considerazione dell'antecedente che meglio risponde alle opportunità sociali verso il pur immodificato rigore giuridico, non si può non considerare nell'ambito di cui si tratta, una causalità debolissima o "sociale': quale "tertium" rispetto alla causalità forte in ambito penalistico e quella debole, tipica dell'ambito civilistico ("più probabile che non').
La consulenza di etica clinica è una pratica comune e consolidata nel Nord America, a differenza di quanto accade nei Paesi europei. Essa rappresenta uno strumento utile ed efficace per affrontare gli aspetti più complessi riguardanti le cure in ambito sanitario, per comprendere i valori coinvolti e gli aspetti etici delle diverse scelte. Tuttavia è ampiamente condiviso che la consulenza etica non debba essere direttiva. Dobbiamo inoltre essere consapevoli che, per quanto autorevoli essi siano, il parere del consulente di etica clinica o del Comitato etico non possono però essere considerati ultimativi. In particolare, la responsabilità delle scelte e delle azioni ricade su coloro che le compiono. È dunque oltremodo importante sottolineare che la consulenza etica non rimuove né attenua la responsabilità dei curanti, tanto sul piano clinico quanto su quello etico. Deve pertanto essere fatto ogni sforzo per creare nei medici e negli infermieri la consapevolezza che l'etica clinica è una specifica competenza professionale e come tale da acquisire e aggiornare. L'esperienza in particolare del Nord America ha reso evidente come la consulenza etica possa essere uno strumento efficace nei reparti di Terapia Intensiva, aiutando l'"équipe" nel processo decisionale, così come i pazienti e le loro famiglie. Ad esempio, per i pazienti che sono destinati a non sopravvivere alla dimissione, la consulenza etica ha dimostrato di avere un effetto statisticamente significativo nel ridurre l'utilizzo dei trattamenti di supporto vitale, così come nella riduzione della durata della degenza in ospedale e in Terapia Intensiva, senza per altro comportare una differenza per quanto riguarda la mortalità In prospettiva, è condivisibile l'idea che il consulente di etica clinica divenga una figura familiare per il clinico e sia presente a sostegno dei pazienti, delle loro famiglie e di tutti i soggetti coinvolti a diverso titolo sui temi della salute (dai medici sino agli amministratori della cosa pubblica). Si rende dunque indispensabile definire un solido percorso formativo perché l'etica clinica (intesa come "a structured approach to ethical questions in clinical medicine") non è concepibile come un'attività di tipo "ideologico" ma, al contrario, richiede grande competenza e grande equilibrio.
Inoltre molti Stati membri hanno introdotto quote di genere a livello costituzionale o nelle leggi elettorali, mentre in alcuni Paesi accade che a tali forme di quote legislative si sostituiscano, o talora si aggiungano, quote volontariamente utilizzate dai partiti politici nella formazione delle liste elettorali. Lo studio è, pertanto, principalmente rivolto all'esame dei differenti tipi di quote (legislative e/o volontarie) adottate nei 28 Paesi membri dell'Unione, comparandone gli effetti sotto il profilo del perseguimento dell'eguaglianza di genere nella rappresentanza politica, nonché delle più recenti iniziative assunte a livello europeo per raggiungere il medesimo obiettivo.
Può soltanto essere valutato come antecedente storico-giuridico, come accade quando si valorizza un reato definitiva mente accertato, secondo il disposto e con le modalità dell'art. 238 bis c.p.p. A seguito dei numerosi interventi giurisprudenziali in materia, anche la disciplina della valutazione delle sentenze irrevocabili a fini probatori è stata oggetto di una complessa evoluzione. Le ultime pronunce della Suprema Corte hanno infatti ulteriormente esteso i confini della "cosa giudicata", affievolendo il suo originario ed intrinseco legame con il concetto di "irrevocabilità". Un esame approfondito della disciplina di cui agli artt. 238 bis e 649 c.p.p. consente tuttavia di cogliere la diversa natura degli istituti del giudicato e della preclusione, sulla scorta delle teorie elaborate da Chiovenda in materia.
La formazione del contratto internazionale di appalto, che sovente ha ad oggetto la realizzazione di importanti opere, l'esecuzione delle quali è destinata a protrarsi per lungo tempo, ha luogo attraverso un procedimento assai articolato, che - ogni volta in cui, come spesso accade, il committente sia un soggetto pubblico - prende le mosse dall'aggiudicazione a favore di un determinato appaltatore. Nonostante il mercato internazionale degli appalti occupi un segmento di notevole importanza, a fronte dello sforzo di armonizzazione condotto nell'àmbito della regolamentazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, la disciplina sostanziale del rapporto instauratosi tra committente ed appaltatore, che abbiano stipulato un contratto internazionale, non ha mai formato oggetto di una convenzione di diritto privato uniforme. Tale vuoto è standard, tra i quali si distinguono particolarmente quelli elaborati dalla FIDIC (Fédération Internationale des ingégneurs-Conseils), che, ormai da parecchi anni, rappresentano un importante punto di riferimento per la stesura dei contratti internazionali di appalto di costruzioni; e peraltro, nella preparazione del testo contrattuale, il modello non può che rappresentare solo una base di partenza per l'operatore, che dovrà apportarvi tutti gli adattamenti che si rendano necessari in relazione al caso concreto.
La Costituzione Italiana riconosce, all'art. 19, il diritto del singolo di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Allo stesso tempo riconosce all'art. 36, comma 3, il diritto del lavoratore al riposo settimanale, prevedendolo come irrinunziabile. Una eventuale pattuizione contraria di un contratto collettivo o individuale sarebbe radicalmente nulla. Il codice civile, all'art. 2109 c.c., e il D.Lgs. n. 66 del 2003, all'art. 9, cumulano questi due diritti stabilendo che il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, coincidente, di regola, con la domenica. Come ormai noto, tale regola è prevista dalla legge ordinaria solo in via tendenziale, non riscontrandosi, in tal senso, alcun ostacolo alla sua derogabilità. Ma cosa accade se un lavoratore non presta la propria attività lavorativa nel turno domenicale, nonostante il contratto lo preveda, adducendo come motivazione la sua volontà di non voler essere posto in servizio nelle giornate festive domenicali e cristiane, essendo tali giornate momento religioso e di pratica di fede, e il datore di lavoro, forte del suo potere disciplinare, applica allo stesso delle sanzioni? Questo il caso di cui si è dovuta occupare la S.C. di cassazione che, con la sent. n. 3416, ha respinto il ricorso del datore di lavoro, incentrando la motivazione sul difetto di proporzione tra la sanzione applicata al lavoratore e l'infrazione dallo stesso compiuta.