alla lingua parlata e cioè nella letteratura, la quale segna profonde differenze di tono fra Octavio Paz e Vargas Llosa o Gabriel García Márquez
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poi Francis Bacon e Alberto Giacometti, e, soprattutto, conobbi Lucian Freud e Antonio López García. E da allora, quasi quarant’anni fa, che ho una
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La testa di Abacuc può ben essere messa a confronto con la testa maschile di quella scultura di Lopez Garcia; ma, oltre alla vaga somiglianza
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fotografi autoproclamatisi artisti anche attraverso un uso arbitrario della fotografia. López García mi poneva davanti alla sfida propria della grande arte
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viaggiato poco, soprattutto in Italia, dove pure López García non mancò di guardare e ammirare - fino a esserne sopraffatto - gli innumerevoli grandi
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E proprio in questa sua fedeltà alle origini e in questa sua inevitabile prerogativa di pittore spagnolo, López García si è mantenuto indenne e ha
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Il destino vuole che a fine 2011, contemporaneamente alle mostre di López García a Madrid e a Bilbao, il museo Guggenheim di New York abbia dedicato
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mettendo a confronto i due artisti nelle concomitanti mostre. Laddove López García esalta ogni sua opera come un organismo vivente in cui c’è memoria e
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, come il grande López García, sentono la tradizione come un peso che paralizza. Per i primi, la tradizione è una fonte che non si esaurisce, una
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, cioè quella Antonio López García, Emilio y Angelines, 1961-65. che nel passato era legata agli affreschi o ai teleri o alla pittura storica, è stata
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’è stato in Picasso, poi si è riprodotto faticosamente in Francis Bacon, per esaurirsi infine, dopo una sintesi epica, nella Pop art, in López García
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