Sulla scorta di quanto accade invece in Paesi stranieri, più evoluti del nostro in questa materia, bisognerebbe volta a volta valutare se l'affidamento sia o no meritevole di tutela, basandosi sul solo caso concreto. In questo modo, si eviterebbe di "fare di tutta l'erba un fascio" e si procederebbe più razionalmente. Le lettere di intenti andrebbero divise in "deboli" se limitate alla mera presa d'atto dell'esistenza di una trattativa, e "forti" se tali da far scaturire un affidamento tutelabile. I contratti preliminari sarebbero "chiusi" se riferiti al settore immobiliare, e "aperti", cioè più flessibili ed elastici, per altri ambiti, dominati da esigenze di snellezza e celerità.
Il comportamento contrario a buona fede, e quindi abusivo, non è, pertanto, solo appannaggio delle maggioranze: la dottrina e qualche giudice (sino ad oggi non nazionale) hanno in proposito manifestato preoccupazione per una minoranza spesso "minacciosa", che riesce ad impedire modifiche dello statuto o a paralizzare deliberazioni che, come accade per l'aumento del capitale, richiedono una maggioranza qualificata.