pantomima, una gag allegra e deprimente da cinema muto. Tuttavia le previsioni ultime si presentano anche troppo facili: non si sfugge mai realmente ai
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uno spot o di un occhio di bue. Ecco che in Cinema (1963) l’americano ottiene un forte controluce nella figura stagliata di spalle, col braccio
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da uno scorcio di piazza tappezzato di manifesti, da un qualunque ingresso di cinema, da una fila di vetrine, da un lucido cofano d’auto su cui si
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’attenzione dell’artista si sofferma appunto sui temi dell’erotismo, della diva, del cinema e della violenza: una delle sue serie più sollecitanti porta il
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, avendo subito l’influenza della percezione meccanica della foto e del cinema. È come se Schifano guardasse sempre la realtà da dietro uno schermo
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dei gesti componenti la vita quotidiana, ciò accade perché la stessa vita reale è stata ridotta a quantità. Le foto prima e poi il cinema, a cui si è
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scatto dell’apparecchio fotografico, la comparsa di un dettaglio sul telone del cinema o sullo schermo televisivo, la sicurezza con cui un manifesto s
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i suoi commestibili, il fatto che li possiamo immaginare benissimo saltati fuori da qualche gag del vecchio cinema muto o con maggiore probabilità da
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cinema, lo spettacolo musicale, la pubblicità televisiva, la grafica. Così, migrando di nuovo dal sistema secondario e collaterale dell’arte, dove aveva
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verrebbe meno l’immaginario di un’epoca che dispone della fotografia e della televisione e che sta consegnando lo stesso cinema tra le rarità per
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