buchi e i tagli, di tele monocrome, dipinte con colori netti e timbrici, doveva preludere a quella rivoluzione contro l’informale che altrove fu molto
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stante, che non presenti riferimento alcuno con quelli già esistenti altrove, o che non ne sia né la replica, né l’imitazione, né la «presa in giro», mi
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romani (Scialoja, Turcato, Dorazio, Accardi, Consagra, ecc.) cui già altre volte ho avuto ampiamente ad accennare. Se del primo ho già parlato altrove
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rientrare nella categoria che questa volta ho cercato di illustrare. Ho ricordato altrove l’importante opera di Ceroli, uno degli scultori più vivi
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ad affermare quanto ho detto più sopra (e altrove) ossia come, tanto l’iconicità, quanto la semanticità dell’opera d’arte figurativa, non
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paese e altrove. È invece opportuno indicare la presenza, in tutto l’Occidente, d’un’analoga stagione di incertezza e di ristagno della fantasia
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Infatti lo squallore dei materiali (che ebbi già a paragonare altrove al wabì della poetica zen) può essere inteso, in parte, come autopunizione
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evoluzione. Ma, se l’informalismo è dilagato ormai in Europa ed altrove (e a questa Biennale ne abbiamo molti esempi deteriori, come - per l’Italia
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fase creativa - quella che altrove ho battezzata «neoconcretista» - che si vale cioè di uno studio dell’elemento percettivo, microstrutturale, tissulare
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di Oldenburg, come di quelli di Chamberlain. La loro importanza sta altrove: sta nell’aver compreso che soltanto con il connubio tra high-brow e low
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