, ripetendo talvolta con l’incertezza dello scolaro la lezione sua propria di grande maestro. Due passioni aveva conservato: la mistica, del moribondo e la
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Il giovane Utrillo prese i pennelli con lo stesso malanimo che aveva messo nel suo primo impiego in una banca. Ma siccome in lui era prepotente il
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ripari; ed applicò sul giovane traviato il metodo che gli aveva suggerito il dottor Ettlinger: la pittura, come «diversivo alla sua eccitazione nervosa».
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anno fa sulla «oppressione» esercitata dalla signora Valore nei confronti del «recluso» non hanno — pensiamo — nessuna consistenza. Utrillo non aveva
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stabili a Parigi, aveva appena vent’anni: i maestri impressionisti avevano già persuaso i primi mercanti e non era lontano il momento in cui un
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aveva avuto insegnamenti diretti da Gauguin) Ranson e Vallotton, fu certo il più ricco e geniale, tra i molti che fiorirono in quegli anni; tuttavia
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aveva chiamato Denis, quasi con una punta di delusione. Infatti, tutti i più convinti fautori dei nuovi «ismi» rispettarono Bonnard ma non lo amarono
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figlio, padre del pittore, era violoncellista e aveva sposato una russa; Jean nacque in Finlandia a Koukkala. A sedici anni, quando ancora frequentava
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Liberty di Le Havre, città dove, appunto, Braque ragazzetto insieme col padre aveva trasmigrato dalla nativa Argenteuil. A Le Havre era cresciuto Monet
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la laurea di pittore eccezionale. Era l’anno della grandiosa mostra retrospettiva di Cézanne, il quale aveva indicato la via di «cubifier la forme
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Poi la guerra mondiale disperse il gruppo che aveva preso il nome dallo studio di Picasso «Le Bateau-Lavoir». Braque, dopo tre anni di trincea, due
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di ribelle, poteva esprimersi, senza ricalcare i passi degli ultimi Impressionisti e dei primi Fauves; il suo sentimento «decorativo» aveva una
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Lando Landini aveva colto nel segno quando nel suo bel saggio su «Paragone» scrisse che lo sviluppo dell’arte di de Staël era una «avanzata a tentoni
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in campiture cubiste, in prospettive beccheggianti, ossessione visiva che l’artista aveva ereditato dal suo mestiere di documentarista e di giornalista
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aveva fatto nel 1954 per altre opere di Ben Shahn —queste tempere dall’interno; di sceverare il lato aneddotico e cronistico che pure esiste, da
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sopravvissuto: il male gli impediva ormai qualunque lavoro; e soprattutto inchiodava in una stasi sempre più depressiva un temperamento che aveva bisogno di un
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qui, non l’apparenza di quei modi, la lezione, invece, che dietro le sprezzature di quegli avanguardisti il pittore aveva saputo leggere della grande
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voglia», dicevano. Melli invece sapeva bene una cosa: era profondamente insoddisfatto delle mode sublimi dei suoi contemporanei: aveva troppo rispetto per
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a Monaco cogli espressionisti e la scuola di Kandinskij, più tardi a Parigi aveva compreso in radice la lezione del cubismo analitico, inserendosi
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, mentre egli le aveva conosciute sopratutto a Vienna e a Monaco. Nella monografia che Lionello Venturi ha dedicato a Spazzapan per i tipi del
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, come a rassodare un apprezzamento, a metter l’accento su un «perché». E quale opera e quale artista Prampolini non aveva visto, conosciuto, studiato
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Carlo Levi in questi quadri e monotipi appare piuttosto come un italiano appresso alle esperienze del Picasso rosa e bleu; del Soutine che aveva
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con più fondi furori, veniva da lontano, era anche lui un artista che, almeno nelle opere adulte, non aveva gran che da spartire col Novecento.
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— per usare un termine caro a Lionello Venturi — squisitamente europeo in quegli anni; gusto che, anzi, aveva perduto il suo carattere epidemico, o di
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acceso — come aveva insegnato il dolce fuoco modiglianesco —; e poi i fondi ancor lievemente romantici, perché mossi di chiaroscuri, insinuazioni quasi
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lezione dell’avanguardia, in quanto c’era di meglio in Italia (sopratutto in Morandi) e in quanto di stupefacente aveva dato la generazione dei Maestri
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, che nulla aveva a che fare con i «richiami all’ordine».
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o addirittura la volontà, ancora una volta agitata dalla reazione passatista, di «seppellire i vivi con i morti». Non aveva scritto ad esempio un
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pittore romano (che intorno al 1930 aveva visto a Parigi le opere della famosa «scuola» senza poterne connettere un discorso, ma aveva invece — al pari
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pittura per la scultura da parte di Raphael sua moglie una pittura che era «tonale» — dicevano i tonalisti — ma che poco o nulla aveva a che fare
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invece su Quadrivio ed altri fogli non ancora resi odiosi dal razzismo, era artista di rara e non velleitaria coerenza, che aveva portato e avrebbe
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Palermo; egli, a quanto ci sembra, portò coraggiosamente e con una rara intraprendenza a Milano la lezione di Picasso: nessuno infatti l’aveva
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sufficiente fiducia nel suo modo spietato di vincere l’irrazionale, l’inconscio, imbullettando, come aveva sempre fatto fino allora, i suoi gambi di corpi
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può venire a patti in varia guisa, ma mai dimenticarlo: né in fughe di opere di affresco, come aveva tentato alla Quadriennale, né in decalcomanie
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Non è difficile indagare sulle ragioni ideali e pratiche della preferenza di Brancusi per gli U.S.A.: già dal 1915 lo scultore rumeno aveva avuto tra
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1957 quando il Maestro aveva ottantun anni, la Biennale di Venezia sembra tornare, imbronciata e quasi per scommessa, all’idea della mostra.
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dell’artista, il solitario vecchio aveva creato una realtà spirituale concreta, era stato capace di mettere insieme per sé e per gli altri una serie
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marginalmente delle esperienze cubiste: e non aveva tutti i torti, da vecchio, nell’affermare che Picasso e il cubismo analitico gli avevano poco o nulla
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successivi al primo trentennio di questo secolo: è vero, si, che l’artista non inventò numerosi altri motivi dal nucleo di quelli cui aveva dato vita dal
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Il Dada nacque in un locale della Zurigo gotica verso il lago, al cabaret Voltaire, una specie di club dove aveva cominciato a riunirsi la legione
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discepoli, amici e ammiratori. Studiava negli ultimi tempi le antiche culture mesopotamiche e la pittura metafisica, come nel passato aveva approfondito
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funerali di Ettore, aveva allineato in un primo piano morti, vivi e moribondi, come parenti in gemiti dopo un crollo! In verità la composizione si
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, insieme con l’altro «quadro di naufraghi», il Don Juan, dipinto dodici anni prima. In quest’ultimo la «storia» così come ce l’aveva rappresentata nei
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