larghe tese. Sembrava il comandante. - Lo abbiamo raccolto per la strada - rispose don Carlo. - Bravo! - fece colui. - A Palermo i carusi hanno operato
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altri, in una via larga e lunga di Catania. Ma qui niente tetti sfondati, niente pareti sconquassate, come a Palermo, e niente camicie rosse. Si udiva
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insanguinato. - Uno? Dicono che ne son morti tanti. Madonna santa! - A Palermo però c'erano case bruciate, tetti sfondati. - Come lo sai? - Li ho visti. Ho visto
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annodato davanti, come lo portavano a Palermo i soldati di Garibaldi da lui veduti nella piazza attorno a la fontana con tanti santi di pietra, quali egli
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esserci quel giovane soldato che lo aveva condotto dal Generale, a Palermo, e che gli aveva detto: - Ricordati che hai avuto una carezza da Garibaldi
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. - Eccellenza, sì!... Questi è mio paesano. - Vi ho portato una lettera a Palermo - disse Cuddu rincuorato. Garibaldi stette un istante pensoso, quasi cercasse
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da capo a piedi e sembrava dubitasse della capacità di lui per l' incombenza che dovevano affidargli. - Vuoi andare a Palermo? - E chi m' insegna la
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Pur troppo, lo avevano mezzo bruciato il bel Palermo, come aveva detto quel vecchio contadino! Que e là, lastricato sossopra, case crivellate da
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Garibaldi, dittatore. Palermo. Si rizzò e disse al ragazzo: - Vieni... Ecco il Generale - soggiunse, fatti pochi passi. Dal portone di faccia, Cuddu, vide
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importava delle due onze? Si dicevano tante cose a Ràbbato che la poveretta comprendeva a metà e male. A Palermo c'era la guerra. I regi avevano
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