Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

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Mitchell, Margaret

221432
Via col vento 50 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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VIA COL VENTO di MARGARET MITCHELL A. MONDADORI MILANO PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA UNICA TRADUZIONE AUTORIZZATA DALL'AMERICANO DI ADA SALVATORE E ENRICO PICENI 1a edizione - Dicembre 1937 2a» - Gennaio 1938 3a» - Marzo 1938 4a» - Giugno 1938 5a» - Ottobre 1938 6a» - Gennaio 1939 7a» - Agosto 1939 8a» - Dicembre 1939 Titolo dell'opera originale: GONE WITH THE WIND Copyright in U. S. A. by the MacMillan Company 1936 STAMPATO IN ITALIA - PRINTED IN ITALY - MCMXXXIX-XVIII VIA COL VENTO

A poco a poco la sofferenza cominciò a diminuire. A momenti si sentirebbe bene, e si insinuerebbe silenziosamente nello spogliatoio accanto alla camera di Lydia per allentare il busto e poi arrampicarsi su uno dei letti sdraiandosi accanto a una ragazza addormentata. Cercò di calmare il suo batticuore e di comporsi un viso piú tranquillo, poiché sentiva che doveva aver l'aspetto di una pazza. Se una delle ragazze si fosse svegliata avrebbe compreso subito che vi era qualche cosa che non andava. E nessuno doveva mai sapere che era successo qualche cosa. Attraverso l'ampia finestra del pianerottolo vide gli uomini che ancora indugiavano sotto agli alberi fronzuti. Come li invidiò! Che bella cosa essere un uomo e non aver da soffrire le pene attraverso le quali ella era passata pochi minuti fa! Mentre li guardava, con gli occhi che le ardevano e la testa che le girava, udí un veloce scalpitare di zoccoli nel viale principale, lo stridere della ghiaia e il suono di una voce eccitata che rivolgeva qualche domanda ai negri. La ghiaia scricchiolò ancora ed ella scorse la figura di un uomo a cavallo che galoppava attraversando il prato verde verso il gruppo indolente degli uomini. Un invitato ritardatario? Ma perché attraversava a cavallo il prato che era l'orgoglio di Lydia? Non lo riconobbe; ma quando egli balzò dal cavallo e afferrò il braccio di John Wilkes, distinse i suoi lineamenti eccitati. Tutti gli si affollarono intorno, abbandonando sulle tavole e a terra i bicchieri e i ventagli di palma. Malgrado la distanza, ella udí il clamore delle voci che interrogavano, chiamavano, e intuí la febbrile tensione degli uomini. Finalmente al disopra del vocio confuso si levò la voce di Stuart Tarleton in un grido esultante: - Yee-eey-y! - come se fosse a caccia. Ed ella udí per la prima volta, senza saperlo, il grido dei Ribelli. Mentre continuava a guardare, i quattro Tarleton, seguiti dai ragazzi Fontaine, uscirono dal gruppo e corsero verso le scuderie gridando: - Jeemes! Ehi, Jeemes! Sella i cavalli! «Si dev'essere incendiata la casa di qualcuno» pensò Rossella. Ma fuoco o non fuoco, lei non doveva fare altro che rientrare nella stanza da letto prima di essere scoperta. Il suo cuore batteva meno violentemente adesso; ella salí in punta di piedi i gradini, al disopra del vestibolo silenzioso. Una calda sonnolenza pesava sulla casa, come se anch'essa dormisse come le ragazze, fino al sopraggiunger della notte in tutta la sua bellezza con la musica e le candele. Pian piano aperse la porta dello spogliatoio e scivolò dentro. Aveva ancora la mano sulla gruccia quando dalla fessura della porta di fronte che metteva nella camera da letto le giunse la voce di Gioia Wilkes, sommessa come un sussurro. - Mi pare che Rossella si sia comportata come una sfacciata, oggi. La fanciulla sentí che il suo cuore ricominciava la folle danza; inconsciamente vi premette sopra la mano come per costringerlo a fermarsi. «Gli spioni ascoltano spesso cose molto istruttive» le risuonò nella memoria. Doveva uscire nuovamente? O farsi vedere e mettere in imbarazzo Gioia come meritava? Ma la voce che udí subito dopo la fece fermare. Neanche una coppia di muli avrebbe potuto trascinarla via quando riconobbe la voce di Melania. - Oh, Gioia, non esser cattiva. È soltanto vivace e spiritosa. A me è sembrata simpaticissima. «Oh» pensò Rossella ficcandosi le unghie nel corpetto. «Sentirsi difendere da quella piccola ipocrita!» Era peggio della lieve maldicenza di Gioia. Rossella non aveva mai avuto fiducia in nessuna donna e non aveva mai attribuito a nessuna - eccetto sua madre - motivi che non fossero egoistici. Melania era sicura di Ashley, perciò poteva concedersi il lusso di manifestare uno spirito cosí cristiano. Rossella pensò che in questo modo Melania faceva pompa della sua conquista e in pari tempo si procurava la nomea di essere buona e dolce. Era un trucco che anche lei aveva usato molte volte parlando di altre ragazze con gli uomini; ed era sempre riuscita in quel modo a convincerli della sua bontà e del suo altruismo. - Senti, cara - riprese Gioia aspramente, alzando un po' la voce - bisogna dire che sei cieca. - Ssst, Gioia - bisbigliò Sally Munroe - ti sentiranno in tutta la casa! Gioia abbassò la voce ma continuò. - Non hai visto che cercava di accaparrarseli tutti? Perfino Mr. Kennedy che è il corteggiatore di sua sorella. Non ho mai visto una cosa simile! E certo ha cercato di attirare anche Carlo. - Gioia ridacchiò con una certa sufficienza. - Sapete bene che io e Carlo... - Davvero? - bisbigliarono alcune voci eccitate. - Sí, ma non ditelo a nessuno, ragazze... Non ancora! Vi furono ancora delle risatine e le molle del letto cigolarono come se qualcuno avesse spinto Gioia. Melania mormorò qualche parola sulla sua felicità di avere Gioia per sorella. - Ah, io non sarei davvero felice di avere Rossella per sorella, perché è sfacciata come non ve ne sono altre - giunse la voce afflitta di Etta Tarleton. - Ma è quasi fidanzata con Stuart. Brent dice che non glie ne importa un fico; ma in verità anche lui ne è pazzo. - Se domandate a me - mormorò Gioia con misteriosa importanza - c'è solo una persona di cui a lei importi. Ed è Ashley. I bisbigli si fusero violentemente interrogando, interrompendo, e Rossella si sentí ghiacciare dal timore e dalla umiliazione. Gioia era una stupida, una cretina, una sempliciona per quanto concerneva gli uomini, ma aveva per quanto concerneva le altre donne, un istinto femminile che Rossella non aveva mai considerato. La mortificazione e l'orgoglio offeso di cui aveva sofferto nella biblioteca con Ashley e con Rhett Butler erano punture di spillo a paragone di questo. Si poteva aver fiducia che gli uomini - anche un individuo come Mr. Butler - avrebbero taciuto; ma con le chiacchiere di Gioia Wilkes che spettegolava a destra e a sinistra, prima delle sei tutta la Contea sarebbe al corrente. E Geraldo la sera prima aveva detto che non voleva che il paese ridesse di sua figlia. Come riderebbero tutti adesso! Un sudore vischioso le bagnò le costole partendo dalle ascelle. La voce di Melania, misurata e tranquilla, si levò sulle altre con lieve rimprovero. - Sai benissimo che non è cosí, Gioia, e non è gentile da parte tua... - È cosí, Melly, e se tu non fossi sempre intenta a cercare la bontà in quelli che non ne hanno, te ne accorgeresti. E io sono contenta. Le sta bene. Rossella O'Hara non ha mai fatto altro che mettere scompiglio e cercare di portar via gli spasimanti alle altre ragazze. Sai benissimo che ha portato via Stuart a Lydia, mentre non sapeva che farsene. E oggi ha cercato di attrarre Mr. Kennedy, Ashley, Carlo... «Debbo andare, a casa!» pensò Rossella. «Debbo andare a casa!» Se avesse potuto per opera di magía essere trasportata a Tara, al sicuro! Poter essere con Elena, vederla, nascondere il viso nel suo grembo, piangere e raccontarle tutto! Se avesse udito ancora una parola si sarebbe precipitata nella stanza e avrebbe afferrato a manate i pallidi capelli di Gioia e avrebbe sputato in faccia a Melania Hamilton per mostrarle ciò che pensava della sua carità. Ma si era già comportata in modo abbastanza volgare oggi, proprio come una qualsiasi miserabile stracciona bianca; e questo era il suo tormento. Si strinse le mani contro le gonnelle perché non frusciassero e indietreggiò furtivamente come un animale. «A casa» pensava nell'attraversare velocemente il vestibolo davanti alle porte chiuse e alle stanze silenziose; «debbo andare a casa.» Era già nel porticato, quando fu colpita da un nuovo pensiero: non poteva andare a casa, non poteva fuggire! Doveva assistere, sopportare tutta la malizia delle ragazze e la propria umiliazione e il crepacuore. Fuggire, significava dar loro maggiore esca. Picchiò il pugno chiuso contro la grande colonna bianca lí accanto, come se avesse desiderato essere Sansone e far crollare le Dodici Querce distruggendo tutti quelli che vi erano dentro. Li farebbe pentire, farebbe veder loro... Non sapeva ancora come, ma lo avrebbe fatto. Li offenderebbe peggio di come essi avevano offeso lei. Per il momento Ashley come Ashley era dimenticato. Non era il bel giovane sonnolento di cui ella era innamorata, ma era una parte dei Wilkes, delle Dodici Querce, della Contea; ed essa li odiava tutti perché ridevano. La vanità è piú forte dell'amore, a sedici anni, e nel suo cuore ardente non vi era posto per altro, ora, che per l'odio. «Non andrò a casa» pensò, «rimarrò qui e li farò pentire. E non lo dirò mai alla mamma. No, non lo dirò a nessuno.» Fece una sforzo per rientrare in casa, risalire le scale e andare in un'altra camera da letto. Nel voltarsi vide Carlo che rientrava dall'altra estremità del lungo vestibolo. Vedendola si affrettò verso di lei. Aveva i capelli in disordine e il viso color geranio per l'eccitazione. - Sapete che cosa è successo? - gridò anche prima di averla raggiunta. - Avete sentito? È arrivato or ora Paolo Wilson da Jonesboro con le notizie! Fece una pausa, senza fiato, essendole arrivato accanto. Ella non fece motto e lo fissò. - Lincoln chiede uomini, soldati, - volontari voglio dire - settantacinquemila! Di nuovo Mr. Lincoln! Ma possibile che gli uomini non pensassero mai a ciò che realmente accadeva? Ecco che questo idiota si aspettava che lei si eccitasse per i capricci di Mr. Lincoln, mentre aveva il cuore spezzato e la reputazione quasi rovinata. Carlo la fissò; il volto di lei era bianco come la cera e i suoi occhi verdi brillavano a guisa di smeraldi. Egli non aveva mai visto un fuoco simile nel volto di una fanciulla, un tale splendore negli occhi di nessuno. - Son troppo goffo - disse. - Avrei dovuto dirvelo piú dolcemente. Ho dimenticato che le donne sono cosí delicate. Mi dispiace di avervi turbata cosí. Non vi sentite venir meno? Posso andarvi a prendere un bicchier d'acqua? - No - rispose Rossella e cercò di sorridere convulsamente. - Vogliamo andare a sedere sul banco? - chiese il giovane prendendola per il braccio. Ella annuí ed egli la aiutò cortesemente a scendere i gradini e la condusse attraverso l'erba fino al banco di ferro sotto alla quercia piú maestosa, nel piazzale davanti alla casa. «Come sono fragili e tenere le donne» pensò; «basta nominare la guerra per vederle svenire.» Questa idea lo fece sentire molto uomo, e quindi egli raddoppiò di gentilezza. La fanciulla sembrava cosí strana, e nel suo volto bianco era una selvaggia bellezza che gli fece balzare il cuore. Possibile che ella fosse sgomenta al pensiero che egli potesse andare in guerra? No, era una presunzione eccessiva. Ma perché lo guardava cosí bizzarramente? E perché le sue mani tremavano, mentre tirava fuori il fazzolettino di trina? E le sue folte ciglia battevano come quelle delle fanciulle nei romanzi che aveva letto, per timidità ed amore. Carlo si schiarí la voce tre volte per parlare, senza riuscirvi. Abbassò gli occhi perché quelli verdi di lei erano cosí penetranti che sembrava quasi che vedessero al di là di lui. «Ha una quantità di quattrini» pensava rapidamente Rossella, mentre nel suo cervello si formava un nuovo piano. «E non ha genitori che possano darmi noia; e per di piú vive ad Atlanta. Se lo sposassi subito, farei vedere a Ashley che di lui non m'importava un fico... che volevo soltanto civettare. E per Gioia sarebbe la morte. Non troverà mai, mai un altro corteggiatore e tutti rideranno di lei. E Melania ne sarebbe addolorata, perché vuol molto bene a Carlo. E sarebbero addolorati anche Stu e Brent...» Non sapeva precisamente perché voleva dar loro un dispiacere, se non perché avevano delle sorelle dispettose. «E tutti sarebbero indispettiti quando io ritornassi qui in visita in una bella carrozza, con una quantità di bei vestiti e una casa mia. E non potrebbero mai, mai ridere di me.» - Certo, vuol dire combattere - disse Carlo dopo parecchi tentativi imbarazzati. - Ma non vi agitate, Miss Rossella; in un mese sarà tutto finito e sentiremo i loro lamenti. Sicuro, i loro lamenti! Non vorrei per nulla al mondo mancare di sentirli. Ho paura che stasera non ci sarà il ballo perché lo Squadrone deve riunirsi a Jonesboro. I ragazzi Tarleton sono andati a diffondere la notizia. So che alle signore dispiacerà. Ella fece - Oh! - non sapendo dire altro; ma questo bastò. Le stava ritornando il sangue freddo e la sua mente ricominciava a veder chiaro. Su tutte le sue emozioni si formava uno strato di ghiaccio ed ella pensò che non sentirebbe mai piú nulla di ardente. Perché non prendere quel bel ragazzo timido? Valeva come gli altri e a lei non importava nulla di nessuno. No, non avrebbe piú voluto bene a nessuno, anche se avesse vissuto fino a novant'anni. - Non posso decidere ora se andrò con Mr. Wade Hampton nella Legione della Carolina del Sud o con la Guardia di città di Atlanta. Ella disse ancora - Oh! - e i loro occhi s'incontrarono; e le ciglia che si agitarono furono la sua rovina. - Mi aspetterete, Miss Rossella? Sarà... Sarà divino sapere che voi mi aspettate finché li avremo battuti! - Attese senza respirare le parole di lei, osservando le labbra rosse che s'increspavano agli angoli e notando per la prima volta l'ombra di quegli angoli e pensando come sarebbe bello baciarli. La mano di lei, col palmo umido di traspirazione, scivolò nella sua. - Non vorrei aspettare - mormorò, e i suoi occhi si velarono. Seduto, stringendole la mano, egli la fissò a bocca aperta. Con gli occhi bassi, Rossella lo guardava attraverso le ciglia, con l'impressione che egli somigliasse a un rospo enorme. Egli fece per parlare piú volte, boccheggiò, tornò ad arrossire. - Possibile che mi amiate? Ella non rispose ma abbassò gli occhi e Carlo fu nuovamente trasportato in un'atmosfera di estasi e d'imbarazzo. Forse un uomo non dovrebbe rivolgere una simile domanda a una ragazza. E forse per lei sarebbe sconveniente rispondergli. Non avendo mai avuto il coraggio di mettersi prima d'ora in una simile situazione, Carlo non sapeva come comportarsi. Aveva voglia di urlare, di cantare e di baciarla; di far delle capriole sul prato e poi di correre a dire a tutti quanti, bianchi e negri, che essa lo amava. Ma si limitò a stringerle la mano fino a farle penetrare gli anelli nella carne. - Volete sposarmi presto, Miss Rossella? - Uhm! - rispose ella giocherellando con una piega della veste. - Dobbiamo fare un doppio matrimonio con Mel...? - No, - rispose ella rapidamente, e i suoi occhi ebbero uno splendore minaccioso. Carlo comprese di aver nuovamente commesso un errore. Era naturale che una fanciulla desiderasse una festa di nozze propria, non una gloria condivisa. Come era buona a passar sopra ai suoi rossori! Se almeno fosse buio ed egli fosse incoraggiato dalle tenebre, e riuscisse a baciarle la mano dicendole tutto ciò che anelava di dirle! - Quando posso parlare con vostro padre? - Piú presto è, meglio è - rispose ella, sperando che egli rallentasse la dolorosa pressione sui suoi anelli, senza costringerla a dirglielo. Egli balzò in piedi e per un attimo Rossella temette che facesse una capriola prima che la dignità lo trattenesse. La guardò, raggiante, con tutto il suo semplice onesto cuore negli occhi. Nessuno l'aveva mai guardata cosí, e nessuno piú la guarderebbe in quel modo; ma ella pensò soltanto che le sembrava un vitello. - Vado a cercarlo - disse col viso illuminato da un sorriso. - Non posso aspettare. Volete scusarmi... cara? - Pronunciò questa parola con sforzo, ma essendovi riuscito la ripeté con piacere. - Sí, vi aspetterò qui. È fresco e si sta bene. Egli attraversò il prato e scomparve dietro alla casa, lasciandola sola sotto la quercia le cui foglie stormivano. Dalle scuderie uscivano uomini a cavallo; i servi negri cavalcavano frettolosamente dietro ai loro padroni. I ragazzi Munroe passarono velocemente agitando i loro cappelli; i Fontaine e i Calvert percorsero la strada gridando. I quattro Tarleton attraversarono il prato e le passarono davanti, e Brent gridò: - La mamma ci darà i cavalli! Y-eey-iii! - Scomparvero lasciandola nuovamente sola. La casa bianca drizzava davanti a lei le sue grandi colonne, e sembrava che si ritraesse da lei con dignità. Oramai, non sarebbe stata mai piú la sua casa. Ashley non le farebbe mai oltrepassare quella soglia come sua sposa. Oh, Ashley! Che cosa ho fatto? Nella profondità del suo intimo, sotto l'orgoglio felice e il freddo senso pratico, qualche cosa si agitò dandole dolore. Era nata in lei un'emozione da adulta, piú forte della sua vanità e del suo egoismo volontario. Ella amava Ashley, sapeva di amarlo, e non gli aveva mai voluto tanto bene come nel momento in cui vide Carlo scomparire alla svolta del viale inghiaiato.

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Nello spazio aperto attorno al deposito, il suolo morbido era stato solcato e calpestato dal continuo affluire del traffico, fino a rassomigliare a un enorme porcile; a quando a quando i veicoli affondavano nel brago fino al mozzo. Una teoria incessante di carriaggi militari e di ambulanze caricavano e scaricavano dai treni rifornimenti e feriti aumentando il fango e la confusione quando arrivavano e ripartivano, coi conducenti che bestemmiavano, i muli che si sospingevano e il fango che schizzava a metri e metri di distanza. Rossella era sul predellino del treno; una graziosa figura pallidissima negli abiti da lutto, col velo di crespo che giungeva quasi fino a terra. Era esitante perché non voleva infangarsi le scarpette e le gonne, e frattanto guardava nella ressa di carri, carrozze e carrozzini, se scorgeva Miss Pittypat. Non vi era traccia della rotondetta e colorita signora; ma mentre Rossella guardava ansiosamente, un vecchio negro, magro, coi cernecchi brizzolati e un aspetto di autorità dignitosa, si avanzò verso di lei nel fango, col cappello in mano. - Miss Rossella, vero? Io essere Pietro, cocchiere di Miss Pitty. Tu non scendere in questo fango - ordinò severamente, mentre Rossella si raccoglieva le gonne preparandosi a saltar giú. - Tu delicata come Miss Pitty, che prendere raffreddore se bagnare piedi. Io ti portare. Malgrado la sua apparente magrezza e vecchiaia, egli prese in braccio Rossella con la massima facilità e osservando Prissy che era sulla piattaforma del treno col bimbo in braccio, si fermò: - Essere bambino che tu allevare? Tu, Miss Rossella, troppo giovine per allevare unico bambino di Mist' Carlo. Ma questo penseremo dopo. Tu, bambina, venire dietro a me e attenta non fare cadere piccolo. Rossella si rassegnò senza proteste a farsi trasportare verso la carrozza, ed anche alla maniera perentoria con la quale zio Pietro trattava lei e Prissy. Nell'attraversare il fango con Prissy che s'inzaccherava imbronciata dietro a loro, si ricordò ciò che Carlo le aveva narrato sul conto dello zio Pietro. - Ha fatto tutta la campagna messicana col babbo, curandolo quando fu ferito; in fin dei conti fu lui che gli salvò la vita. Praticamente si può dire che ha educato Melania e me, perché eravamo molto piccoli quando morirono il babbo e la mamma. La zia Pitty aveva avuto in quell'epoca una questione con suo fratello, lo zio Enrico; perciò venne a vivere con noi, anche per badare alla nostra educazione. Ma è la donna piú inesperta del mondo; è rimasta una cara bambina. E zio Pietro la tratta per l'appunto come se fosse tale. Non sarebbe capace di andare avanti, se Pietro non si occupasse di tutto. Fu lui che decise che io dovessi avere all'età di quattordici anni un assegno per le mie spese; ed insistette perché io andassi all'Università di Harward quando lo zio Enrico manifestò il desiderio che io prendessi la laurea colà. E decise quando fu il tempo che Melly si tirasse su i capelli e cominciasse a frequentare i divertimenti. È lui che dice a zia Pitty quando il tempo è troppo freddo o troppo umido perché non vada a fare delle visite, e quando deve mettere lo scialle... È il piú delizioso vecchio negro che io abbia mai visto ed è anche il piú devoto. L'unico male è che sa di essere lui il padrone di tutti e tre noi altri: corpo e anima. Le parole di Carlo furono confermate quando Pietro si arrampicò a cassetta e prese la frusta. - Miss Pitty essere tutta turbata perché non essere venuta a riceverti. Avere paura che tu non capire, ma io avere detto che lei e Miss Melly infangarsi tutte e rovinare abiti nuovi e io spiegare a te. Miss Rossella, meglio tu prendere bambino. Quella piccola negra lasciarlo cadere. Rossella guardò Prissy e sospirò. La negretta non era la migliore delle bambinaie. La sua recente promozione dai vestitini corti e dalle treccine girate intorno al capo, alla dignità di un lungo abito di percalle e di un turbante bianco inamidato, era stata una vera ubriacatura per lei. Non sarebbe arrivata a questa sommità cosí presto se non vi fosse stata la guerra e le richieste del commissario di Tara che rendevano impossibile a Elena di risparmiare il lavoro di Mammy e di Dilcey o anche di Rosa o di Tina. Prissy non si era mai allontanata di piú di un miglio dalle Dodici Querce o da Tara, e il viaggio in treno, aggiunto alla sua elevazione a bambinaia, fu piú di quanto potesse sopportare il cervello che era racchiuso nel suo piccolo cranio nero. Il viaggio di venti miglia da Jonesboro ad Atlanta l'aveva talmente eccitata che Rossella era stata costretta a tenere il bambino per tutto il tempo. Ora, la vista di tanta gente e di tanti edifici, completò lo scombussolamento di Prissy. Ella si girava da una parte e dall'altra, saltava, balzava, indicava ciò che vedeva agitando il bambino che gemeva lamentosamente. Rossella pensò con nostalgia alle vecchie braccia grasse di Mammy. Bastava che Mammy posasse le mani su un bambino, che questo smetteva di piangere. Ma Mammy era a Tara e Rossella non poteva far nulla. Era inutile prendere Wade dalle braccia di Prissy: piangeva altrettanto, quando lo teneva lei. Per di piú avrebbe tirato i nastri della sua cuffia e le avrebbe spiegazzato il vestito. Cosí finse di non aver udito le parole di Pietro. «Forse col tempo imparerò a trattare i bambini» pensò irritata mentre la carrozza sobbalzava e traballava nel fango davanti alla stazione. «Ma non riuscirò mai a divertirmi con loro.» E poiché il volto di Wade era diventato pavonazzo a forza di urlare, ordinò sgarbata: - Dàgli quel pezzetto di zucchero che hai in tasca, Prissy. Qualche cosa per farlo tacere. So che ha fame, ma in questo momento non posso far niente. Prissy tirò fuori il pezzetto di zucchero che Mammy le aveva dato alla mattina e le grida del bimbo cessarono. Con la calma sopravvenuta e con la nuova vista, che si offriva ai suoi occhi, lo spirito di Rossella cominciò a risollevarsi. Finalmente, quando Zio Pietro riuscí a trarre la carrozza dalle buche limacciose e si avviò per la Via dell'Albero di Pesco, ella provò per la prima volta, da parecchi mesi, un certo interesse. Come era cresciuta la città! Era passato poco piú di un anno da quando vi era stata per l'ultima volta, e non sembrava possibile che quella piccola Atlanta fosse cosí mutata. L'anno precedente ella era cosí preoccupata dei propri pensieri, cosí infastidita da qualsiasi menzione di guerra, che non si era accorta come dall'inizio di quella, Atlanta si fosse trasformata. Le stesse ferrovie che avevano fatto della città il punto d'incrocio commerciale in tempo di pace, erano di vitale importanza strategica in tempo di guerra. Lontana dalla linea di battaglia, la città e le sue ferrovie provvedevano al collegamento fra i due eserciti della Confederazione, quello della Virginia e quello del Tennessee e dell'Occidente. E nello stesso modo Atlanta riforniva gli eserciti di tutto ciò che occorreva loro e che proveniva dal Sud. A causa delle necessità della guerra, Atlanta era anche diventata un centro industriale, una base ospedaliera e uno dei principali depositi meridionali per le derrate e per le forniture degli eserciti in campo. Rossella si guardò attorno cercando la piccola città che ricordava cosí bene. Era scomparsa. Quella che vedeva adesso era come un bimbo che nottetempo fosse cresciuto fino a diventare un gigante indaffarato. Atlanta ronzava come un alveare, conscia della sua importanza nella Confederazione; e il lavoro era continuo per trasformare una regione agricola in industriale. Prima della guerra vi erano poche fabbriche di cotone, filande di lana, arsenali e negozi di macchine a sud di Maryland; fatto di cui i meridionali erano molto orgogliosi. Il Sud produceva uomini di Stato e soldati, piantatori e dottori, legali e poeti, ma non ingegneri o meccanici. Queste professioni volgari erano adatte per gli yankees. Ma ora che i porti della Confederazione erano bloccati dalle navi da guerra yankees e che ben poche merci giungevano, eludendo il blocco, dall'Europa, il Sud tentava disperatamente di adoperare il proprio materiale da guerra. Il Nord poteva rivolgersi a tutto il mondo per approvvigionamenti e per soldati; migliaia di irlandesi e di tedeschi si arruolavano nell'esercito dell'Unione attratti dal miraggio di laute paghe. Il Sud non poteva contare che su se stesso. In Atlanta vi erano delle fabbriche di macchine che faticosamente trasformavano i loro impianti per produrre materiale da guerra; faticosamente perché vi erano ben poche macchine nel Sud da potere utilizzare, e quasi ogni ruota e ogni dente dovevano essere fabbricati su disegni che venivano dall'Inghilterra. Vi erano molti stranieri ora, nelle strade di Atlanta. E i cittadini che un anno prima avrebbero drizzato le orecchie al minimo accento anche soltanto occidentale, ora non badavano affatto a tutte le lingue parlate da europei che avevano attraversato il blocco per venire a fabbricare macchine e munizioni. Uomini abili, senza i quali la Confederazione non avrebbe avuto la possibilità di fabbricare pistole e fucili, cannoni e polvere. Si sentiva quasi il palpito del cuore della città, mentre il lavoro continuava giorno e notte, per inviare a mezzo delle ferrovie il materiale da guerra ai due fronti di battaglia. I treni arrivavano e partivano a tutte le ore. Di notte le fornaci ardevano e i martelli battevano ancora per molto tempo dopo che la popolazione era andata a dormire. Dove l'anno prima erano terreni da costruzione, ora erano sorte fabbriche di finimenti e di scarpe, di fucili e di cannoni; fonderie che producevano binari ferroviari e carriaggi per sostituire quelli distrutti dagli yankees; e una varietà d'industrie minori per la fabbricazione di speroni, redini, fibbie, bottoni, tende, sciabole e pistole. Le fonderie cominciavano già a sentire la mancanza del ferro, perché attraverso il blocco ne giungeva poco o punto, e le miniere di Alabama erano quasi inoperose, dato che i minatori erano al fronte. Non si trovavano piú ad Atlanta pali di ferro a sostegno delle siepi, né cancelli di ferro né verande montate in ferro e neanche statuette metalliche, perché tutto ciò aveva già preso la via delle fonderie. Lungo la Via dell'Albero di Pesco e nelle strade adiacenti stavano i quartieri generali dei vari dipartimenti dell'esercito, ciascuno dei quali affollato di uomini in uniforme: il commissariato, il corpo di segnalazioni, i servizi postali, i trasporti ferroviari, il servizio di approvvigionamenti. Al di là dei sobborghi erano depositi di rimonta ove cavalli e muli venivano radunati in vasti recinti, e nelle strade laterali sorgevano gli ospedali. Da quanto le disse Zio Pietro, Rossella concluse che Atlanta doveva esser la città dei feriti, perché ospedali generali, ospedali per contagiosi e convalescenziari erano innumerevoli. E ogni giorno i treni che giungevano dai Cinque Punti scaricavano nuovi ammalati e nuovi feriti. La piccola città era scomparsa; e la nuova era animata da un movimento e da un brusio incessante. La vista di tanta gente frettolosa diede quasi il capogiro a Rossella che veniva dalla tranquillità rurale; ma ciò le piacque. Quell'atmosfera eccitante la sollevava. Era come se sentisse il ritmo accelerato del cuore della città battere insieme al suo. Mentre avanzavano lentamente nella fangaia che era la strada principale della città, ella osservò con interesse le nuove costruzioni e i nuovi volti. I marciapiedi erano affollati di uomini in uniforme che portavano le insegne di tutti i gradi e di tutti i rami del servizio; nella stretta carreggiata si pigiavano i veicoli: carriaggi, calessini, ambulanze, furgoni militari guidati da conducenti borghesi, che bestemmiavano, mentre i muli si dibattevano per togliersi dalla mota in cui sprofondavano; corrieri impillaccherati che correvano da un quartier generale all'altro portando ordini e dispacci; convalescenti che zoppicavano appoggiati alle stampelle e avevano generalmente una caritatevole signora per parte. Trombe e tamburi e comandi militari echeggiavano dai campi di esercitazioni dove le reclute venivano trasformate in soldati; e col cuore in gola, Rossella vide per la prima volta le uniformi yankees, quando Zio Pietro le indicò, con l'estremità della frusta, un distaccamento di uomini che indossavano logori abiti turchini e che erano avviati al deposito, come un gregge di pecore, da una compagnia di confederati con la baionetta inastata, per esser poi portati in un campo di prigionieri. «Oh» pensò Rossella con un sentimento di vera gioia, il primo che avesse provato dopo il giorno del famoso convito alle Dodici Querce «come mi piacerà stare qui! Tutto è cosí vivace ed eccitante!» La città era anche piú animata di quanto ella credesse, perché vi erano dozzine di nuovi locali di mescita; le prostitute, che seguono sempre gli eserciti, brulicavano nelle strade, e i lupanari si moltiplicavano con grande costernazione delle persone timorate di Dio. Alberghi, pensioni, case private erano piene di ospiti venuti per essere accanto ai parenti feriti che si trovavano nei grandi ospedali di Atlanta. Ogni settimana vi erano balli, ricevimenti e vendite di beneficenza e innumerevoli matrimoni di guerra, con gli sposi in congedo vestiti di grigio chiaro con gli alamari d'oro e le spose in fronzoli, tra file di sciabole sguainate, e brindisi fatti con champagne portato malgrado il blocco e addii lagrimosi. Di notte le strade buie risuonavano di musiche che venivano dai salotti, dove voci di soprano si univano a quelle dei soldati ospiti nella piacevole melanconia di «Le trombe suonan la tregua» e «La vostra lettera giunse, ma troppo tardi»; ballate lamentose che traevano le lagrime dagli occhi facili alla commozione di chi non aveva mai versato lagrime di vero dolore. Progredendo lungo la strada, nella fanghiglia molle, Rossella rivolse a Pietro un'infinità di domande a cui il negro rispose, indicando qua e là con la frusta, fiero di mostrare le proprie cognizioni. - Quello essere arsenale. Sí, miss; fare cannoni e altre armi. No, quelli non essere botteghe; essere uffici blocchi. Miss Rossella, tu non sapere cosa essere uffici di blocco? Essere uffici dove forestieri comprare nostro cotone confederato e mandare a caricare a Charleston e Wilmington e mandare a noi bolvere per fucili. No, miss, io non sabere che specie di forestieri essere. Miss Pitty dice che essere inglesi, ma nessuno capire una barola quando barlano. Sí, signora; essere fumo terribile e rovinare tutte tendine di seta di miss Pitty. Essere fonderie e laminatoi. E che rumore fare la notte! Nessuno boter dormire. No, signora, non botermi fermare per farti guardare; aver bromesso a miss Pitty di bortare te subito a casa... Miss Rossella, fare un inchino. Ecco miss Merriwether e miss Elsing che salutare. Rossella ricordava vagamente due signore che si chiamavano cosí, venute da Atlanta a Tara per il suo matrimonio e ricordava che erano le migliori amiche di miss Pittypat. Perciò si volse rapidamente dalla parte indicata da Pietro e si inchinò. Le due signore erano sedute in una carrozza dinanzi a un negozio di stoffe. Il proprietario e due commessi erano sulla soglia con le braccia piene di pezze di tessuto di cotone che stavano spiegando. Mrs. Merriwether era una donna alta e corpulenta, talmente stretta nel busto che il seno sporgeva in avanti come la prua di una nave. I suoi capelli grigi erano fatti piú abbondanti da una frangia di riccioli finti che erano fieramente bruni, disdegnando di adattarsi al resto della capigliatura. Aveva un viso rotondo e molto colorito in cui si fondevano una naturale scaltrezza e l'abitudine di comandare. Mrs. Elsing era piú giovane; una donnina sottile e fragile, che era stata una meraviglia e che conservava ancora il ricordo della freschezza svanita e un'aria elegante e imperiosa. Quelle due signore, insieme a una terza, Mrs. Whiting, erano le colonne di Atlanta. Dirigevano in tutto e per tutto le tre chiese a cui appartenevano; il clero, i cori e i parrocchiani. Organizzavano vendite e presiedevano comitati di lavoro, balli e picnic; sapevano chi faceva un buon matrimonio e chi no, chi beveva segretamente, chi aspettava un bambino e per quando. Erano delle vere autorità in fatto di genealogie di qualunque famiglia della Georgia, della Carolina del Sud e della Virginia; e non si tormentavano il cervello per gli altri Stati perché erano convinte che chiunque avesse importanza negli altri Stati doveva esservi giunto da uno di quei tre. Sapevano come ci si doveva e come non ci si doveva comportare quando si era persone bennate, e non mancavano mai di dire schiettamente il loro modo di pensare: Mrs. Merriwether con una voce stridula. Mrs. Elsing con un accento strascicato e Mrs. Whiting in un mormorio desolato che mostrava come le dispiaceva parlare di certe cose. Queste tre signore si detestavano reciprocamente e non avevano fiducia una nell'altra come i primi Triumviri a Roma; e la loro stretta alleanza si doveva probabilmente a quelle stesse ragioni. - Ho detto a Pitty che desidero avervi nel mio ospedale - gridò Mrs. Merriwether sorridendo. - Perciò non promettete nulla a Mrs. Meade o a Mrs. Whiting! - Me ne guarderò bene - rispose Rossella, ignorando completamente ciò che desiderava quella vecchia signora, ma provando una sensazione di calore nel vedersi bene accolta e nel sapersi desiderata. - Spero di vedervi presto. La carrozza continuò la sua strada e si fermò un momento per permettere a due signore che portavano appeso al braccio un cestino pieno di bende, di attraversare la strada melmosa posando il piede su alcune pietre che emergevano. Nello stesso istante l'occhio di Rossella fu colpito da una figura che era sul marciapiede, vestita di un abito sgargiante - troppo sgargiante per la strada - e di uno scialle con lunghe frange che le giungevano ai piedi. Voltandosi vide una donna alta e bella, con una massa di capelli rossi: troppo rossi per esser veri. Era la prima volta che vedeva una donna di cui poteva esser certa che «aveva fatto qualche cosa ai suoi capelli» e la osservò, affascinata. - Zio Pietro, chi è quella? - bisbigliò. - Non sapere. - Sí che lo sai. Ne sono certa. Chi è? - Si chiama Bella Watling - e il labbro inferiore di Pietro cominciò a sporgersi. Rossella afferrò subito che il negro non aveva fatto precedere il nome dall'appellativo di «signora» o «signorina». - E chi è? - Miss Rossella - rispose il vecchio gravemente accarezzando il fianco del cavallo con la sua frusta - Miss Pitty non permettere che voi domandare cose che non vi riguardano. In questo periodo esservi in città grosso mucchio di persone che non contare e che essere inutile parlare di loro. «Dio mio!» pensò Rossella rinchiudendosi nel silenzio. «Dev'essere una donna cattiva!» Non aveva mai visto una donna di malaffare e si voltò a riguardarla finché quella si perse nella folla. Le botteghe e le nuove costruzioni erano ora piú rade, con spazi di terreno fra l'una e l'altra. Finalmente il quartiere degli affari terminò; ora erano tutte case di abitazione. Rossella le riconobbe come vecchie amiche: quella dei Leyden, dignitosa e superba; quella dei Bonnell, con le colonnine bianche e le persiane verdi; la casa georgiana di mattoni rossi della famiglia McLure, dietro alle sue basse siepi di bosso. Ora progredivano piú lentamente, perché dai porticati e dai giardini le signore la chiamavano. Ne conosceva alcune superficialmente; altre le ricordava vagamente; ma la maggior parte le era sconosciuta. Pittypat aveva certamente propagato la notizia del suo arrivo. Ogni tanto bisognava sollevare il piccolo Wade perché le signore che si avventuravano ad avvicinarsi alla carrozza attraversando il pezzetto di marciapiede potessero ammirarlo. Tutte le gridavano che doveva far parte del loro circolo di lavoro - cucito o maglia - e del loro ospedale e di nessun altro; ed ella promise instancabilmente a destra e a sinistra. Mentre passavano dinanzi a una villetta di legno coperta di rampicanti verdi, una bimbetta negra che era appostata sui gradini d'accesso gridò: - Eccola, eccola! - e subito uscirono il dottor Meade con sua moglie e il figlio tredicenne Filli, salutandola a gran voce. Rossella ricordò che anche loro erano venuti al suo matrimonio. La signora si avanzò sul pezzo di marciapiedi dinanzi alla casa e allungò il collo per vedere il bimbo, ma il dottore, senza preoccuparsi del fango, lo attraversò per avvicinarsi alla carrozza. Era alto e robusto, con una barbetta caprina color grigio-ferro; gli abiti ciondolavano sulla sua persona magra come se fossero sospesi a un attaccapanni. Atlanta lo considerava come la sorgente di ogni forza e di ogni saggezza e non era da stupire che egli avesse assorbito qualche cosa di questa loro fede. Ma a parte la sua abitudine di pronunciare delle affermazioni come se fossero oracoli e il suo modo di fare lievemente pomposo, era il piú brav'uomo del mondo. Dopo avere stretto la mano a Rossella e aver solleticato Wade sotto il mento, il dottore annunciò che la zia Pittypat aveva promesso e giurato che sua nipote non andrebbe in altro comitato ospedaliero e di preparazione delle bende se non in quello di Mrs. Meade. - Dio mio, ma ho già promesso a un migliaio di signore! - esclamò la giovine. - Alla signora Merriwether, scommetto! - esclamò la signora Meade indignata. - Al diavolo quella donna! Sono sicura che va incontro a tutti i treni! - Ho promesso perché non sapevo di che cosa si trattava - confessò Rossella. - Prima di tutto, che cosa sono questi comitati ospedalieri? Il dottore e la moglie scossero il capo, un po' scandalizzati della sua ignoranza. - Già, naturalmente siete stata seppellita in campagna e quindi non potete sapere - la scusò la signora Meade. - Abbiamo dei comitati per i diversi ospedali e in giorni diversi. Curiamo gli uomini e aiutiamo i dottori e facciamo bende e vestiti; e quando gli uomini sono in condizione di poter lasciare l'ospedale, li accogliamo nelle nostre case per la convalescenza, finché sono in grado di tornare al reggimento. E ci occupiamo delle famiglie dei feriti poveri o peggio. Il dottor Meade è all'ospedale dell'Istituto dove opera il mio comitato; tutti dicono che è straordinario e... - Lascia andare, Mrs. Meade - la interruppe affettuosamente il dottore. - Non vantarti di me con la gente. Faccio quel poco che posso, dal momento che non hai voluto lasciarmi andare con l'esercito. - Non ho voluto! - esclamò la moglie indignata. - Io? È stata la città che non ha voluto, e lo sai benissimo. Figuratevi, Rossella, che quando si è saputo che voleva andare in Virginia come medico militare, le signore hanno firmato una petizione pregandolo di restare. La città non può fare a meno di lui. - Via, via, Mrs. Meade - si schermí il dottore crogiolandosi evidentemente in quegli elogi. - Del resto, avere un figliolo al fronte può bastare, in questi tempi. - E io andrò l'anno venturo! - esclamò il piccolo Filippo saltando eccitato. - Come tamburino. Sto imparando intanto a suonare il tamburo. Volete sentire? Vado a prenderlo. - No, adesso no - ordinò la signora Meade stringendolo a sé, con una subitanea espressione di spavento. - Non l'anno venturo, tesoro. Forse fra due anni. - Ma allora la guerra sarà finita! - esclamò il ragazzo con petulanza, sottraendosi. - E me lo hai promesso! Gli occhi dei genitori si incontrarono al disopra del suo capo e Rossella vide lo sguardo. Darcy Meade era in Virginia; ed essi si attaccavano maggiormente al figliuolo che era rimasto. Zio Pietro tossicchiò. - Miss Pitty essere molto in bensiero quando io andare alla stazione e se non andare presto avrà svenimenti. - Arrivederci. Oggi nel pomeriggio sono libera - disse ancora la signora. - E dite a Pitty da parte mia che se voi non venite nel mio comitato, peggio per lei. La carrozza si avviò nuovamente per la strada fangosa e Rossella si appoggiò ai cuscini dello schienale sorridendo. Si sentiva bene come non si era piú sentita da molti mesi. Atlanta, con la sua folla, la sua animazione e la sua corrente di eccitazione, era molto piacevole, molto esilarante, molto piú graziosa della solitaria piantagione presso Charleston, dove il muggito degli alligatori rompeva solo il silenzio notturno; meglio della stessa Charleston, sognante nei suoi giardini difesi da alte mura; meglio di Savannah con le sue larghe strade bordate di palme nane e il fiume lutulento che le scorreva accanto. Sí; e provvisoriamente anche meglio di Tara, per quanto Tara fosse un luogo tanto caro. Vi era qualche cosa di eccitante in quella città con le sue strade strette e fangose; qualche cosa di rozzo e di immaturo che ricordava la rudezza e l'immaturità che era sotto la fine vernice data a lei da Elena e da Mammy. E a un tratto sentí che questo era il luogo fatto per lei, non le vecchie città serene e tranquille, cui il fiume pigro e giallo non dava vitalità alcuna. Le abitazioni erano adesso sempre piú rade; sporgendosi in fuori Rossella vide finalmente i mattoni rossi e il tetto piatto della villetta di miss Pittypat. Era quasi l'ultima casa al nord della città. Dopo di essa, la Via dell'Albero di Pesco andava stringendosi e girava tortuosamente sotto alti alberi che la nascondevano alla vista, perdendosi poi nei folti boschi silenziosi. La barriera di legno era stata recentemente ridipinta in bianco e il giardinetto dinanzi alla casa che essa chiudeva era macchiato di giallo dalle ultime giunchiglie della stagione. Sulla gradinata erano due donne vestite di nero e dietro a loro una grossa donna gialla con le mani sotto il grembiule e la bocca aperta a un largo sorriso. La rotondetta miss Pittypat saltellava agitata sui piedi piccolini, con una mano sul petto abbondante a frenare il cuore che le batteva forte. Rossella vide Melania che le stava accanto e, con un senso di antipatia si rese conto che essersi rifugiata nel balsamo di Atlanta significava vedere questa personcina vestita a lutto, coi suoi ribelli riccioli neri tirati e lisciati con dignità di donna sposata, che le rivolgeva un gentile sorriso di gioia e di benvenuto sul visino triangolare.

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A Savannah e a Charleston aveva sempre sentito dire che la gente di Atlanta era molto pettegola e che si occupava dei fatti altrui piú di quanto si facesse nelle altre città del Sud; ora ne era convinta. La vendita aveva avuto luogo lunedí sera, e oggi era soltanto giovedí. Chi delle vecchie streghe si era presa il disturbo di scrivere ad Elena? Per un attimo sospettò di Pittypat, ma abbandonò immediatamente il pensiero. La povera Pitty aveva troppo timore di esser biasimata per il contegno di Rossella; e sarebbe stata l'ultima a dar notizia ad Elena della propria scarsa sorveglianza. Piuttosto, la signora Merriwether. «Stento a credere che tu abbia potuto mettere in non cale la tua dignità e la tua educazione. Passerò sopra alla scorrettezza di apparire in pubblico essendo in lutto, realizzando cosí il tuo ardente desiderio di esser d'aiuto all'ospedale. Ma ballare, e con un uomo come il capitano Butler! Ho udito molto parlare di lui (e chi non ne ha udito altrettanto?) e anche la settimana scorsa Paolina mi scrisse che è un individuo di pessima reputazione, messo al bando perfino dalla sua famiglia a Charleston; eccezion fatta, naturalmente, della sua disgraziata madre. È un pessimo arnese, che ha approfittato della tua giovinezza e inesperienza per metterti in berlina e disonorare pubblicamente te e la tua famiglia. Come ha potuto Miss Pittypat trascurare cosí il suo dovere verso di te?» Rossella guardò sua zia attraverso la tavola. La vecchia signora aveva riconosciuto la calligrafia di Elena e la piccola bocca era stretta con un'espressione di sgomento come quella di una bambina che teme una sgridata e spera di allontanarla con le lagrime. «Ho il cuore spezzato pensando che hai dimenticato la tua buona educazione. Avevo pensato di richiamarti immediatamente a casa; ma lascerò la decisione di questo a tuo padre. Egli sarà in Atlanta venerdí per parlare col capitano Butler e per riaccompagnarti qui. Temo che sarà molto severo con te, malgrado le mie suppliche. Spero e prego che sia stata solo la gioventú e la sventatezza a consentirti un contegno cosí sfrontato. Nessuno piú di me desidera servire la nostra Causa, e sono felice che le mie figlie abbiano gli stessi sentimenti, ma per disgrazia...» Continuava ancora sullo stesso tono, ma Rossella non terminò la lettura. Questa volta era veramente spaventata. Non si sentiva piú audace e temeraria. Si sentiva giovine e colpevole come quando aveva dieci anni e aveva scaraventato a Súsele un biscotto imburrato attraverso la tavola. Gli aspri rimproveri di sua madre, sempre cosí dolce, e il pensiero di suo padre che veniva apposta per parlare col capitano Butler, la turbarono fortemente. Ora comprendeva la serietà della faccenda. Geraldo sarebbe severo. Una volta, ella sapeva di potere evitare i castighi sedendo sulle sue ginocchia e facendosi gattina e carezzevole. - No... non vi sono cattive notizie? - balbettò Pittypat. - Il babbo arriva domani per castigarmi a dovere - rispose Rossella dolorosamente. - Prissy, cercami i sali - sussurrò Pittypat allontanando la sedia dalla tavola dov'era il piatto mezzo vuoto. - Sento... mi pare di svenire. - Essere dentro tasca tua sottana - fece Prissy che era rimasta a gironzolare attorno a Rossella intuendo un dramma sensazionale che l'avrebbe riempita di gioia. Vedere Geraldo adirato era sempre una cosa divertente, purché la sua ira non fosse diretta sopra di lei. Pitty frugò nella sua gonna e si portò la boccettina al naso. - Voialtre dovete restare accanto a me e non lasciarmi sola neanche un minuto - esclamò Rossella. - Vi vuol cosí bene papà, che se siete con me non farà tante storie. - Non potrò - fece Pitty debolmente alzandosi in piedi. - Mi... mi sento male. Debbo andarmi a mettere a letto. Vi resterò tutto domani. Gli farai le mie scuse. «Vigliacca!» pensò Rossella guardandola irritata. Melly venne in soccorso, benché fosse pallida e sgomenta alla prospettiva di trovarsi dinanzi al furibondo signor O'Hara. - Io... ti aiuterò a spiegargli che l'hai fatto per l'ospedale. Certo lo capirà. - No, non capirà - si lamentò Rossella. - E io morirò se devo tornare a Tara in disgrazia, come minaccia la mamma! - No, non puoi tornare a casa! esclamò Pittypat scoppiando in pianto. - Se tu te ne andassi, sarei costretta... sí, costretta a pregare Enrico di venire a stare con noi e tu sai che con Enrico io non posso vivere. Eppure sono cosí nervosa a stare in casa di notte, sola con Melania, con tanti stranieri in città! Tu sei cosí coraggiosa, che con te non m'importa di non avere un uomo! - No, non può riportarti a Tara! - disse Melly che sembrò anche lei sul punto di piangere. - Questa adesso è la tua casa. Che cosa faremo senza di te? «Sareste ben liete di farne a meno, se sapeste quello che veramente penso di voi» disse fra sé Rossella scontenta, desiderando che vi fosse qualche altra persona, piuttosto che Melania, per sventare le minacce di Geraldo. Era noioso essere difesa da una persona antipatica. - Forse dovremo posporre il nostro invito al capitano Butler - cominciò Pitty. - Impossibile! Sarebbe il colmo della scortesia! - esclamò Melania desolata. - Accompagnami in camera. Mi sento proprio male - gemette Pitty. - Oh, Rossella, come hai potuto far succedere questo? Pittypat era a letto sofferente quando Geraldo arrivò nel pomeriggio dell'indomani. Gli espresse molte volte il suo rammarico attraverso la porta chiusa, e lasciò che le due ragazze sgomentate presiedessero la tavola della cena. Geraldo serbava un silenzio minaccioso, benché avesse baciato Rossella e pizzicato le guance di Melania affettuosamente, chiamandola «cuginetta». Rossella avrebbe preferito di molto imprecazioni, grida e accuse. Fedele alla sua promessa, Melania rimase attaccata alle gonne di Rossella, come una piccola ombra; e Geraldo era troppo gentiluomo per rimproverare sua figlia dinanzi a lei. Rossella fu costretta a riconoscere che Melania si comportava benissimo, regolandosi come se non fosse accaduto nulla; e riuscí perfino a trascinare Geraldo a discorrere, dopo che la cena fu servita. - Voglio sapere tutto della Contea - disse, guardandolo con un gaio sorriso. - Lydia e Gioia scrivono di rado e so che voi siete al corrente di tutto quanto succede. Parlateci del matrimonio di Joe Fontaine. Geraldo si ringalluzzí al complimento e disse che le nozze erano state senza chiasso, «non come quelle di voialtre» perché Joe aveva avuto solo pochi giorni di licenza. Sally, la piccola Munroe, era molto bellina. No, non ricordava come era vestita, ma aveva sentito dire che non aveva un «abito del secondo giorno». - Davvero? - fecero le ragazze scandalizzate. - È naturale, dal momento che non ha avuto un secondo giorno - spiegò Geraldo con una grassa risata, senza ricordarsi che queste osservazioni non erano adatte per orecchie femminili. Questa risata risollevò lo spirito di Rossella e ferí la delicatezza di Melania. - Perché Joe ritornò in Virginia l'indomani - si affrettò ad aggiungere Geraldo. - Quindi non vi sono state visite né balli. I gemelli Tarleton sono a casa. - Lo abbiamo saputo. Sono guariti? - No, sono stati feriti gravemente. Stuart ha avuto una pallottola in un ginocchio e Brent in una spalla. Avete anche saputo che sono stati citati all'ordine del giorno, per il loro coraggio? - No, raccontaci! - Sono due scervellati... tutti e due. Credo che in loro vi sia del sangue irlandese - proseguí Geraldo compiaciuto. - Non mi ricordo piú che cosa hanno fatto, ma Brent adesso è luogotenente. Rossella fu contenta di apprendere le loro imprese; contenta alla maniera di una proprietaria. Una volta che un uomo era stato suo spasimante ella era convinta che continuasse ad appartenerle; e tutte le buone azioni di lui risultavano a suo favore. - E ho sentito anche dire che vi stanno dimenticando entrambe. Pare che Stuart abbia ricominciato a corteggiare alle Dodici Querce. - Gioia o Lydia? - interrogò Melania eccitata, mentre Rossella spalancava tanto d'occhi, quasi indignata. - Naturalmente, Lydia. Non le faceva già la corte prima che questa mia civetta gli strizzasse l'occhio? - Oh! - esclamò Melania imbarazzata dall'espressione di Geraldo. - E oltre a questo, il giovine Brent ha preso a girare intorno a Tara. Rossella non trovò parole. La defezione dei suoi spasimanti le sembrò quasi un insulto. Specialmente se ricordava come erano stati furibondi i due gemelli, quando ella aveva detto che avrebbe sposato Carlo. Stuart aveva perfino minacciato di ammazzare Carlo o Rossella, o se stesso o tutti e tre. Era stata una cosa divertentissima. - Súsele? - chiese Melly con un lieto sorriso. - Ma credevo che Mr. Kennedy... - Quello? - fece Geraldo. - Franco Kennedy se la prende comoda. Ha paura della sua ombra. Se non si decide a parlare gli domanderò quali sono le sue intenzioni. No, si tratta della mia piccola. - Carolene? - Ma è una bambina! - esclamò aspramente Rossella ritrovando la parola. - Ha circa un anno di meno di quello che avevi tu quando ti sei sposata - ritorse Geraldo. - Invidii forse alla tua sorellina il tuo antico spasimante? Melly arrossí, non essendo abituata a quella franchezza; e accennò a Pietro di portare la torta dolce di patate. Cercò freneticamente un altro argomento di conversazione che fosse un po' meno personale e che distogliesse il signor O'Hara dallo scopo del suo viaggio. Non riuscí a trovar nulla, ma Geraldo una volta preso l'aire non aveva bisogno di altro stimolo, se non di un uditorio. Parlò dei rubalizi del commissario dipartimentale, che ogni mese aumentava le sue richieste; della supina stupidità di Jefferson Davis e della volgarità degli irlandesi che si erano arruolati nell'esercito yankee per il vile denaro. Quando fu portato il vino sulla tavola e le due ragazze si alzarono per lasciarlo solo a bere, Geraldo fissò uno sguardo severo su sua figlia e le ordinò di rimanere con lui alcuni minuti. Rossella lanciò un'occhiata disperata a Melly, la quale torse il fazzoletto, impotente, e uscí richiudendo piano la porta scorrevole. - Dunque, signorina! - muggí Geraldo versandosi un bicchiere di Porto. - Avete un bel modo di agire! Cercate già un altro marito mentre siete vedova da cosí poco tempo? - Non gridar tanto, babbo. I servi... - Certamente sono già al corrente, e tutti quanti sanno la nostra disgrazia; la tua povera mamma si è dovuta mettere a letto ed io non ho piú il coraggio di tener alta la fronte. È una vergogna. No, gattina, è inutile che cerchi di venirmi intorno con le lagrime questa volta - aggiunse in fretta e con un certo panico nella voce, vedendo Rossella battere le palpebre e torcere la bocca. - Ti conosco, hai civettato perfino alla veglia funebre di tuo marito. Non piangere. Stasera non dirò altro perché devo vedere questo bravo capitano Butler che fa cosí poco conto della reputazione di mia figlia. Ma domattina... via non piangere. Non serve proprio a nulla. Quel ch'è sicuro è che ti riporterò domani a Tara prima che tu ci disonori tutti un'altra volta. Non piangere, tesoro. Guarda che cosa ti ho portato. Non è un bel regalo? Guarda, ti dico! Come hai fatto a creare tutto questo impiccio, costringendomi a venir qui con tutto il mio da fare? Non piangere!

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Gli approvvigionamenti richiedevano tal quantità di viveri che le tavole degli abitanti di Atlanta cominciavano a mostrare una certa penuria. La farina era poca e costava cosí cara che si adoperava generalmente il grano saraceno per biscotti e focacce. Le botteghe dei macellai erano quasi prive di bue e avevano ben poco montone; e questo costava tanto che solo le persone ricche potevano permettersi il lusso di mangiarne. In compenso, erano ancora abbondanti la carne di maiale, il pollame e i legumi. Il blocco yankee era diventato piú rigoroso e alcuni articoli di lusso, come il tè, il caffè, le seterie, le stecche di balena, l'acqua di Colonia, le riviste di moda e i libri erano scarsi e carissimi. Perfino i tessuti di cotone piú ordinari erano aumentati di prezzo e le signore erano costrette, loro malgrado, a indossare gli abiti della stagione precedente. Telai, che da anni erano stati relegati in soffitta a riempirsi di polvere tornavano all'onor del giorno e quasi in ogni salotto si trovavano rotoli di stoffa tessuta a mano. Tutti, soldati, borghesi, donne, bambini, negri, cominciavano a portare di queste stoffe. Il cenere, che era il colore delle uniformi della Confederazione, era praticamente scomparso per dar luogo a questi tessuti color bruno grigio. Gli ospedali cominciavano a preoccuparsi per la mancanza di chinino, di calomelano, di oppio, cloroformio e iodio. Le bende di tela e di cotone erano diventate troppo preziose per esser gettate via dopo averle adoperate; tutte le signore che facevano servizio di infermiera in qualche ospedale portavano a casa cestini di roba insanguinata da lavare e stirare per essere rimessa in uso. Ma per Rossella, appena uscita dalla crisalide della vedovanza, la guerra non era che un periodo di gaiezza e di divertimento. Anche le piccole privazioni di cibo e di vestiario non le davano noia in quella sua felicità di esser tornata nel mondo. Quando pensava alle giornate cupe e monotone dell'anno precedente, le sembrava che la vita avesse preso oggi un ritmo velocissimo. Ogni giorno le portava una nuova avventura; nuovi uomini che chiedevano di recarsi a farle visita, che le dicevano che era bella e che combattere e forse morire per lei era un privilegio. Amava Ashley con tutte le forze del suo cuore, ma non poteva fare a meno di invogliare altri uomini a chiederle di sposarla. La guerra sempre presente nello sfondo, dava alle relazioni sociali una piacevole mancanza di cerimonie, che le persone anziane osservavano allarmate. Le mamme stupivano vedendo che uomini a loro sconosciuti venivano a far visita alle figlie; gente che giungeva senza lettere di presentazione e i cui precedenti erano ignoti. La signora Merriwether, che non aveva mai baciato suo marito prima del matrimonio, non credeva ai suoi occhi quando sorprese Maribella che baciava il piccolo zuavo. E la sua costernazione aumentò quando Maribella rifiutò di sentirsi piena di vergogna. Anche il fatto che lo zuavo chiese immediatamente la mano della fanciulla non giovò a nulla. La signora Merriwether ebbe la sensazione che il paese andasse verso una completa rovina morale e non mancò di dirlo, spalleggiata dalle altre madri. Ma coloro che si aspettavano di morire fra una settimana o fra un mese non potevano certo attendere un anno per chiedere il permesso di chiamare una ragazza per nome, magari col «Miss» davanti. Né potevano perder tempo in un corteggiamento riguardoso come quello in uso prima della guerra. Al massimo aspettavano un paio di mesi prima di chiederla in moglie; e le ragazze a cui era stato insegnato che bisognava rifiutare almeno tre volte prima di accettare, ora accettavano alla prima domanda. Tutto ciò divertiva Rossella, la quale - a parte la noia di curare gli ammalati e di preparare le bende - sarebbe stata contenta che la guerra non finisse mai. In verità, ora sopportava ottimamente anche il servizio d'ospedale, perché questo luogo era un buonissimo terreno di caccia. I deboli feriti soccombevano al suo fascino senza lotta. Bastava cambiar le fasciature, sprimacciare i guanciali e sventolarli un pochino, ed ecco che si innamoravano. Era il paradiso, a confronto dell'anno scorso! Rossella era tornata ad essere quella che era prima di sposare Carlo; come se non si fosse mai maritata, non avesse mai avuto la triste notizia della sua morte, non avesse messo al mondo Wade. Guerra, matrimonio, maternità erano passate sopra di lei senza toccare alcuna corda profonda nel suo intimo; e il bambino era cosí ben curato dagli altri nella casa rossa, che ella quasi dimenticava di averlo. Era nuovamente Rossella O'Hara, la bella della Contea. I suoi pensieri erano identici a quelli di prima, ma il campo delle sue attività si era enormemente ampliato. Incurante della disapprovazione delle amiche di zia Pitty, ella si comportava come si era comportata prima del matrimonio; andava ai ricevimenti, ballava, usciva a cavallo con ufficiali, civettava, insomma faceva tutto ciò che faceva da fanciulla; soltanto non si toglieva il lutto. Sapeva che per Pitty e Melania sarebbe stato un colpo troppo forte. Si sentiva felice quanto poche settimane prima si era sentita disgraziata; felice di avere i suoi spasimanti, di essere sicura del proprio fascino; felice quanto era possibile esserlo con Ashley marito di Melania e in pericolo. Ma era piú facile sopportare il pensiero che egli appartenesse a un'altra, quando era lontano; con le centinaia di miglia che erano fra Atlanta e la Virginia, a volte le pareva che fosse piú suo che di Melania. I mesi d'autunno del 1862 trascorsero velocemente in queste divertenti occupazioni, interrotte da qualche breve visita a Tara. Queste non le davano la gioia che ella si riprometteva quando le pregustava ad Atlanta, perché non vi era il tempo di star seduta accanto ad Elena, mentre questa cuciva, aspirando il lieve profumo di verbena delle sue vesti; ed era impossibile avere lunghe conversazioni con sua madre e sentire le dolci mani di lei sulle sue guance. Elena, smagrita e preoccupata, era in piedi dalla mattina sino alla tarda sera, molto tempo dopo che tutta la piantagione era addormentata. Le richieste del commissario della Confederazione erano sempre piú gravose; ed ella aveva il compito di far produrre a Tara il piú possibile. Perfino Geraldo era occupatissimo, per la prima volta da molti anni, perché non aveva trovato un sorvegliante che sostituisse Giona Wilkerson e quindi correva in persona attraverso la piantagione. In queste condizioni, Rossella trovava Tara noioso. Perfino le sue sorelle si occupavano delle proprie faccende. Súsele si era messa «d'accordo» con Franco Kennedy e gli cantava «Quando questa guerra crudele sarà finita» con un'intenzione maliziosa che Rossella trovava insopportabile e Carolene fantasticava pensando a Brent Tarleton, sicché non era una compagnia interessante. Benché Rossella andasse sempre volentieri a Tara, pure era ben contenta quando le inevitabili lettere di zia Pitty e di Melania la supplicavano di tornare. Elena sospirava, attristata dal pensiero che la sua maggior figliuola e l'unico nipotino dovessero lasciarla. - Ma non debbo essere egoista e trattenerti qui quando c'è bisogno di te come infermiera ad Atlanta - diceva. - Soltanto... mi pare di non avere mai il tempo di parlare con te, tesoro mio, e di sentire che sei di nuovo la mia piccina, come una volta. - Sono sempre la tua piccina - rispondeva Rossella; e nascondeva il volto nel seno di Elena, sentendo che la coscienza le faceva dei rimproveri. Non diceva a sua madre che erano i balli e gli spasimanti che la richiamavano ad Atlanta e non il servizio della Confederazione. Vi erano molte cose che ella taceva a sua madre. E soprattutto conservava il segreto sul fatto che Rhett Butler si recava sovente in visita a casa della zia Pitty.

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Durante i mesi che seguirono la vendita, Rhett andò a trovarla ogni volta che veniva ad Atlanta; e portava a passeggio Rossella nella sua carrozza, le faceva da cavaliere ai balli e alle vendite, la aspettava fuori dell'ospedale per riaccompagnarla a casa. Ella non temeva piú che egli tradisse il suo segreto; ma in fondo al suo pensiero rimaneva il tormentoso ricordo che egli l'aveva vista nella peggior luce, e che sapeva la verità riguardo ad Ashley. Era questo che la costringeva a dominarsi quando egli la infastidiva. E ciò avveniva di frequente. Butler era sui trentacinque anni, piú anziano di qualsiasi corteggiatore ch'ella avesse mai avuto, e dinanzi a lui ella si sentiva smarrita come una bimba e incapace di trattarlo come aveva trattato quelli della sua età. La stuzzicava e sembrava che nulla lo divertisse maggiormente che il vederla irritata. Ed ella si lasciava spesso trascinare dalla collera, perché aveva l'ardente temperamento di Geraldo sotto il visino dolce che aveva ereditato da Elena. E d'altronde, non si era mai presa la pena di controllarsi, eccetto in presenza di sua madre. Ora le seccava moltissimo dover ringhiottire le parole per timore di quel sorriso divertito. Se almeno avesse anche lui perduto il controllo dei propri nervi, ella non si sarebbe sentita in istato di inferiorità. Dopo qualche discussione con lui, dalla quale raramente usciva vittoriosa, ella giurava che era un uomo impossibile, sgarbato, maleducato, col quale non voleva aver mai piú nessun rapporto. Ma presto o tardi egli tornava ad Atlanta, veniva, a far visita, apparentemente, alla zia Pitty e presentava a Rossella, con esagerata galanteria, una scatola di dolci che le aveva portato da Nassau. O prenotava il posto accanto a quello di lei a un concerto o reclamava una danza; e di solito ella era cosí divertita della sua sfacciata impudenza, che rideva e dimenticava le liti precedenti, fino alla prossima occasione. Cominciò ad aspettare le sue visite. In lui era qualche cosa di eccitante che Rossella non analizzava, ma che lo rendeva diverso da tutti gli altri. «È quasi come se ne fossi innamorata!» pensò un giorno sbalordita. Ma il senso di eccitazione persisteva. Quando egli veniva a far visita, la sua completa e schietta virilità faceva sembrare la casa signorile di zia Pitty troppo piccola, incolore e quasi misera. Rossella non era la sola in casa a reagire stranamente alla sua presenza; anche zia Pitty era in un curioso stato di agitazione e di fermento. Pur sapendo che Elena avrebbe disapprovato quelle visite e pur conoscendo che la società di Charleston lo aveva messo al bando, ella non resisteva ai suoi complimenti e ai suoi baciamano piú di quanto una mosca resista a un vasetto di miele. Inoltre, egli le portava sempre da Nassau qualche regalino che le assicurava di essersi procurato espressamente per lei e di aver portato attraverso il blocco arrischiando la vita: cartine di spilli e di aghi, bottoni, rocchetti di seta e forcine per capelli. Era quasi impossibile procurarsi di questi oggetti di lusso in quell'epoca; le signore portavano delle forcine di legno curvato a mano e pezzetti di legno coperti di stoffa come bottoni; e a Pitty mancava la forza morale di rifiutarli. Del resto, aveva una passione infantile per le sorprese e non resisteva al desiderio di aprire i pacchetti contenenti i doni. E una volta aperti, non si sentiva di rifiutarli. Quindi, dopo avere accettato i doni, non aveva il coraggio di dire a Butler che la sua reputazione rendeva scorrette le visite frequenti a tre donne sole prive di un protettore. Zia Pitty sentiva il bisogno di questo protettore ogni volta che Rhett Butler era in casa. - Non so che cosa sia - sospirava sgomenta. - Ma... sí, credo che sarebbe simpatico se... se uno avesse l'impressione che nel profondo del suo cuore egli rispetta le donne. Dopo la restituzione dell'anello, Melania lo riteneva invece un gentiluomo pieno di delicatezza e si irritava a queste osservazioni. Egli era impeccabilmente cortese verso di lei, ma essa si sentiva un po' intimidita; anche perché era generalmente timida con gli uomini che non conosceva sin dall'infanzia. In fondo le faceva pena; sentimento questo che avrebbe molto divertito Butler se ne fosse stato a conoscenza. Era certa che un dispiacere di natura romantica lo aveva reso duro e amaro, e che ciò di cui egli aveva bisogno era l'amore di una donna buona. In tutta la vita ella non aveva mai conosciuto il male e stentava a credere che esistesse veramente; di guisa che quando i pettegolezzi la informarono dell'avventura di Rhett con la fanciulla di Charleston ella rimase scandalizzata e incredula. E questo, invece di renderla ostile a lui, la fece diventare anche piú timidamente gentile, a causa dell'indignazione per quella che riteneva una grande ingiustizia sociale. Rossella era silenziosamente d'accordo con la zia Pitty. Anche lei sentiva che quell'uomo non rispettava alcuna donna, eccetto, forse, Melania. E aveva la sensazione di essere svestita ogni volta che egli la guardava; era quello sguardo insolente che le dispiaceva, come se tutte le donne fossero una sua proprietà di cui egli potesse godere quando gli pareva e piaceva. Solo per Melania non aveva quello sguardo; nessuna espressione beffarda, e nella sua voce, una nota speciale di cortesia, di rispetto, di desiderio di esserle utile. - Non so perché siate piú gentile con lei che con me - disse Rossella con petulanza un giorno, mentre era sola con lui, perché Melania e Pitty si erano ritirate per il riposo pomeridiano. Aveva osservato per un'ora Rhett che reggeva a Melania una matassa di lana e aveva notato la sua espressione imperscrutabile mentre questa aveva lungamente e orgogliosamente parlato della promozione di Ashley. Rossella sapeva che Rhett non aveva una grande opinione di Ashley e che non gl'importava proprio nulla che fosse stato fatto maggiore. Eppure rispose gentilmente e mormorò ciò che imponeva la cortesia a proposito del valore del giovine ufficiale. «E se io faccio tanto da nominare Ashley» pensò irritata «egli inarca subito le sopracciglia e sorride di quell'odioso sorriso d'intesa!» - Sono molto piú bella, io - continuò; - e non capisco perché siate piú gentile con lei. - Posso osare di sperare che siate gelosa? - Oh, non vi illudete! - Un'altra speranza distrutta. Se io sono «piú gentile» con Mrs. Wilkes è perché lo merita. È una delle poche persone buone, sincere e disinteressate che ho conosciute. Forse voi non avete notato queste qualità. Inoltre, malgrado la sua giovinezza, è una delle poche gran signore che ho avuto il privilegio di avvicinare. - Vorreste dire che io non sono una gran signora? - Mi pare che siamo rimasti d'accordo che non eravate affatto signora, fin dal nostro primo incontro. - Oh, perché siete cosí odioso e scortese da riparlarne! Come potete incolparmi per un momento di collera infantile! È passato tanto tempo, e da allora sono diventata una donna; l'avrei bell'e dimenticato se voi non vi accennaste continuamente. - Non credo che sia stata collera infantile e non credo che siate mutata. Siete capace adesso come allora di scagliare un portafiori se non ottenete quello che volete. Ma di solito lo ottenete. E quindi non avete bisogno di distruggere i ninnoli. - Dio, come siete... vorrei essere un uomo! Vi metterei alla porta e... - E vi fareste ammazzare. Faccio centro a cinquanta metri. Meglio servirvi delle vostre armi: fossette, portafiori e simili. - Siete un furfante. - Vi aspettate di vedermi andare in furia per questo? Mi dispiace di darvi una delusione. Non potrete farmi infuriare dandomi dei titoli che mi spettano. Sicuro, sono un furfante; perché no? Siamo in un paese libero, e un uomo può essere un farabutto, se gli fa comodo. Sono soltanto gli ipocriti come voi, cara signora, (altrettanto neri di cuore ma che cercano di nasconderlo) che si adirano quando uno li chiama col nome adatto. Di fronte al suo calmo sorriso e alle sue parole pungenti ella rimase disorientata. Le sue consuete armi a base di scherno, freddezza e impertinenza si spuntavano nelle sue mani, perché nulla di quanto ella poteva dire riusciva a ferirlo. Sapeva per esperienza che il bugiardo è il piú ardente difensore della propria sincerità, il codardo del proprio coraggio, il villano della propria signorilità, il farabutto del proprio onore. Ma con Rhett nulla di questo. Egli ammetteva tutto e rideva incitandola a dire ancora di piú. Andò e tornò molte volte in quei mesi, giungendo senza preavviso e ripartendo senza commiato. Rossella non seppe mai con precisione quali affari lo conducessero ad Atlanta, perché pochi altri comandanti del suo genere trovavano necessario allontanarsi tanto dalla costa. Scaricavano la loro mercanzia a Charleston o a Wilmington, dove trovavano a riceverli una quantità di negozianti e di speculatori del Sud che compravano all'asta i generi importati. Le sarebbe piaciuto credere che egli faceva quei viaggi apposta per veder lei; ma perfino la sua enorme vanità si rifiutava a questa supposizione. Se le avesse fatto un po' di corte, se fosse sembrato geloso degli uomini che le si affollavano intorno, se avesse una volta cercato di trattenere la mano di lei fra le sue o le avesse chiesto un ritratto o un fazzolettino da conservare per ricordo, ella avrebbe trionfato vedendolo sedotto dalle sue grazie. Ma egli rimaneva indifferente e sembrava che non si accorgesse neppure di tutte le sue manovre per condurlo alle proprie ginocchia. Quando egli giungeva in città, fra tutte le donne era un vivo mormorio. Non solo egli interessava per l'aureola romantica che gli dava il fatto di attraversare con grave rischio il blocco yankee, ma vi era anche l'elemento attraente della sua cattiva reputazione. E ogni volta che le signore di Atlanta si radunavano a spettegolare, questa reputazione diventava peggiore, ciò che lo rendeva ancor piú affascinante per le fanciulle. Innocenti per la massima parte, esse non sapevano con precisione su che cosa si fondasse tale reputazione; ma sapevano che una ragazza non era sicura quando stava con lui. Ed era strano che, invece, egli non avesse neppur baciato la mano di una ragazza da quando era venuto ad Atlanta per la prima volta. Questo però lo rendeva ancor piú misterioso ed eccitante. Era l'uomo di cui si parlava di piú, oltre agli eroi dell'esercito. Tutti sapevano che era stato espulso da West Point per ubriachezza e per «affari di donne». Il terribile scandalo della fanciulla di Charleston compromessa e del fratello ucciso era di dominio pubblico. Lettere da Charleston informarono poi che suo padre, un simpatico vecchio signore dotato di una ferrea volontà, lo aveva messo fuori di casa senza un penny, a vent'anni, e aveva perfino cancellato il suo nome dalla Bibbia famigliare. Dopo di allora egli si era recato in California, coi cercatori d'oro, nel 1849, e poi nell'America del Sud e a Cuba; i resoconti sulla sua attività in quei diversi paesi erano fin troppo saporiti. Ferimenti per causa di donne, omicidi, contrabbando d'armi nell'America centrale e, peggio di tutto, professione di giocatore; tutto questo era nella sua carriera, secondo quanto si narrava ad Atlanta. Non esisteva famiglia in Georgia che non avesse almeno un membro giocatore, il quale perdeva sul tappeto verde denaro, case, terre e schiavi. Ma la cosa era diversa. Si poteva giocare fino a ridursi sulla paglia rimanendo un gentiluomo; ma un giocatore di professione non poteva essere che un fuoricasta. Se non vi fossero state le particolari condizioni del tempo di guerra e i suoi servigi al governo della Confederazione, Rhett Butler non sarebbe mai stato ricevuto ad Atlanta. Ma oggi, anche i piú restii comprendevano che il patriottismo richiedeva maggior larghezza di vedute. I piú sentimentali sostenevano che la pecora nera della famiglia Butler si era pentita e cercava di espiare le sue colpe. Cosí le signore ritenevano che fosse un dovere incoraggiarlo sulla buona via. Inoltre, tutti sapevano che il destino della Confederazione riposava tanto sull'abilità delle navi che eludevano l'assedio yankee quanto sui soldati che erano al fronte. Si diceva che il capitano Butler fosse uno dei migliori piloti, assolutamente padrone dei propri nervi. Cresciuto a Charleston conosceva tutte le gole, insenature, baie, recessi, bassifondi della costa della Carolina; ed era come in casa sua anche nelle acque di Wilmington. Non aveva mai perso una nave né mai era stato costretto a buttare a mare un carico. Allo scoppiar della guerra, era emerso dall'oscurità con abbastanza denaro per comprare un veloce brigantino; e ora, guadagnando su ogni carico il duemila per cento, era proprietario di quattro navi. Aveva buoni piloti e li pagava bene; essi uscivano da Charleston e da Wilmington durante le notti buie, portando cotone per Nassau, l'Inghilterra, il Canadà.. Le filande inglesi erano inoperose e gli operai morivano di fame; chiunque era capace di eludere il blocco yankee poteva poi chiedere il prezzo che voleva a Liverpool. Le navi di Rhett erano fortunate e riuscivano a portare, al loro ritorno, i materiali di cui il Sud aveva tanto bisogno. Sí, le signore sentivano che si potevano dimenticare e perdonare molte cose ad un uomo cosí abile e coraggioso. Era una figura notevole che tutti si voltavano a guardare. Spendeva con larghezza, cavalcava uno stallone nero e portava sempre abiti di ultimissima moda e di taglio perfetto. Questo sarebbe bastato ad attirare l'attenzione sopra di lui, perché le uniformi dei soldati erano adesso logore e macchiate e i borghesi, anche quelli piú accurati, mostravano nei loro vestiti abili rammendi. Rossella non aveva mai visto calzoni cosí eleganti, fulvi, a quadretti o a righe. I suoi panciotti erano una meraviglia, specialmente quello di seta bianca ricamato a fiorellini rosa. E portava questi vestiti ricercati con aria indifferente, come se non si accorgesse neppure della loro eleganza. Poche donne resistevano al suo fascino quando egli aveva voglia di esercitarlo; e finalmente anche la signora Merriwether si piegò e lo invitò al pranzo domenicale. Maribella doveva sposare il suo piccolo zuavo alla prossima licenza di questi e piangeva ogni volta che ci pensava, perché si era messa in mente di sposare vestita di raso bianco e nella Confederazione non esisteva neanche un centimetro di questo tessuto. Né poteva farsi prestare il vestito, perché quelli degli anni precedenti erano stati trasformati in bandiere di combattimento. Invano la signora Merriwether cercava di convincerla che la lana tessuta a mano era l'abito ideale per una sposa confederata. Maribella voleva il raso. Era pronta a rinunciare alle forcine, ai bottoni, alle belle scarpine, ai dolci, al tè, per amore della Causa, ma voleva l'abito nuziale di raso. Rhett, avendo saputo questo da Melania, portò dall'Inghilterra metri e metri di magnifico raso bianco e un velo di trina e li regalò a Maribella come dono di nozze. Lo fece con una tal cortesia che non fu possibile neanche tentare di pagarglieli; e Maribella fu cosí felice che mancò poco non lo baciasse. La signora Merriwether si rese conto che un dono cosí costoso - e specialmente un dono di vestiario - non era affatto corretto; ma non trovò modo di rifiutare quando Rhett le disse, in linguaggio fiorito, che nulla era troppo bello per vestire la sposa di uno dei nostri eroi. E la signora lo invitò a pranzo, convinta di pagare largamente il dono con questa concessione. Oltre ad aver portato il tessuto, egli diede a Maribella ottimi consigli per la fattura del vestito. I cerchi a Parigi erano piú larghi, quell'anno, e le gonne piú corte. Non piú ornate di crespe ma tagliate a festoni che lasciavano vedere le sottovesti ricamate. Disse pure che in istrada non aveva visto mutandine lunghe, sicché immaginava che non si portassero piú. La signora Merriwether disse poi alla signora Elsing che temeva che, incoraggiandolo, egli avrebbe addirittura raccontato che specie di calzoncini portavano le parigine. Se non fosse stato un tipo cosí schiettamente virile, la sua abilità nel ricordare i particolari degli abiti delle signore lo avrebbero fatto passare per effeminato. Le signore trovavano strano assediarlo di domande concernenti la moda, ma lo facevano ugualmente, isolate com'erano dal mondo dell'eleganza, perché ben pochi libri passavano attraverso il blocco. Perciò Rhett era un ottimo sostituto al «Godey's» per le signore; e ogni volta che arrivava era il centro di gruppi femminili a cui riferiva che le cuffie erano piú piccole e collocate piú in alto, che si ornavano di piume e non di fiori, che l'Imperatrice dei Francesi aveva abbandonato lo «chignon» per la sera, e portava i capelli raccolti in alto scoprendo tutte le orecchie, e che le scollature erano di nuovo scandalosamente profonde.

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La signora Merriwether tornò a casa nella carrozza di zia Pitty; appena le quattro signore furono sedute, esplose. - Finalmente ci siamo, Pittypat Hamilton! Spero che sarete soddisfatta! - Di che cosa? - chiese Pitty in tono apprensivo. - Del contegno di quel miserabile Butler che voi avete protetto. Pitty si agitò, troppo sconvolta dall'accusa per ricordare alla signora Merriwether che Butler era stato anche suo ospite parecchie volte. Rossella e Melania lo pensarono ma, per educazione verso persone piú anziane, si trattennero dal fare l'osservazione. Invece guardarono attentamente le proprie mani coperte dai mezzi-guanti. - Ci ha insultati tutti ed ha insultato anche la Confederazione - continuò la signora Merriwether, e il suo seno abbondante ansimava violentemente sotto la lucente guarnizione di passamanteria del suo corpetto. - Dire che combattiamo per il denaro! Che i nostri capi ci hanno mentito! Bisognerebbe metterlo in prigione. Sí; ne parlerò col dottor Meade. Se fosse vivo il signor Merriwether gliela farebbe scontare! Ora, Pitty Hamilton, state a sentire. Non dovete piú permettere che quel mascalzone venga in casa vostra! - Oh! - fece Pitty smarrita e guardando, quasi a chiedere il loro soccorso, le due ragazze che tenevano gli occhi bassi; e poi il dorso eretto dello zio Pietro. Sapeva che egli ascoltava tutto quanto si diceva e sperava che si voltasse a prender parte alla conversazione, come faceva di frequente. Ma quegli non si mosse. Pitty sapeva che il vecchio negro non aveva alcuna simpatia per Butler. Quindi sospirò e mormorò: - Mah... Se credete, Dolly... - Credo - rispose con fermezza la signora Merriwether. - Intanto non so che idea abbiate avuto fin dal principio di riceverlo. Ma dopo il pomeriggio di oggi non vi sarà in tutta la città una casa onorevole che voglia accoglierlo. Abbiate un po' di abilità e proibitegli di venire in casa vostra. Volse alle ragazze un'occhiata penetrante. - Spero che voi due farete tesoro delle mie parole - continuò - perché in parte è colpa vostra. Siete state troppo gentili con lui. Ora dovete dirgli cortesemente, ma decisamente che la sua presenza e i suoi discorsi antipatriottici sono per voi ugualmente spiacevoli. Rossella si stava agitando internamente, pronta a reagire come un cavallo che sente la propria briglia toccata da un estraneo. Ma non osò parlare per timore che la signora Merriwether scrivesse un'altra lettera a suo padre. «Vecchia bufala!» pensò rossa d'ira repressa. «Che gioia sarebbe poterti dire quello che penso di te e del tuo modo di fare!» - Non avrei mai creduto di udire simili parole contro la nostra Causa - proseguí la signora Merriwether. - E se dovessi credere che voialtre due parlerete ancora con lui... per l'amor di Dio, Melly, che hai? Melania era pallida e aveva gli occhi sbarrati. - Continuerò a parlargli - disse a bassa voce. - Non sarò scortese con lui. Non gli proibirò di venire in casa. La signora Merriwether sembrò soffocare; zia Pitty spalancò la bocca e zio Pietro si voltò a guardare. «Perché non ho avuto io il coraggio di dir questo?» pensò Rossella con un senso di gelosia mista ad ammirazione. «Come fa questo piccolo coniglio ad avere il coraggio di ergersi contro la vecchia Merriwether?» Le mani di Melania tremavano, ma ella continuò in fretta come se avesse paura che l'ardire le venisse meno. - Non sarò scortese con lui a causa di ciò che ha detto, perché... ha avuto torto a dirlo forte... è stato sconsigliato... ma... è la stessa cosa che pensa Ashley. Ed io non posso vietare la mia casa a un uomo che la pensa come mio marito. Sarebbe un'ingiustizia. La signora Merriwether aveva ripreso fiato ed esplose. - Melly Hamilton! Non ho mai udito una simile menzogna! Nessuno dei Wilkes è mai stato un codardo... - Non ho detto che Ashley è un codardo - e gli occhi di Melania cominciarono a fiammeggiare. - Ho detto che egli pensa le stesse cose che pensa il capitano Butler, soltanto le esprime con parole diverse. E non va in giro a dirle nelle riunioni, spero. Ma a me lo ha scritto. La coscienza di Rossella si scosse mentre ella cercava di ricordare che cosa aveva scritto Ashley; ma la maggior parte di ciò che aveva letto le era uscito di mente. Quindi credette che Melania avesse smarrito il cervello. - Ashley mi ha scritto che non dovremmo combattere contro gli yankees e che siamo stati ingannati dagli uomini di Stato che ci hanno raccontato una quantità di bubbole - continuò Melly rapidamente. - E ha detto che nulla al mondo vale il danno che ci produrrà questa guerra. «Ah!» pensò Rossella. «È quella la lettera...!» - Non ci credo - replicò la signora Merriwether. - Tu hai frainteso le sue parole. - Io capisco perfettamente Ashley - ribatté Melania tranquilla, benché le sue labbra tremassero. - Egli intende esattamente dire quello che dice il capitano Butler, ma detto in altro modo. - Dovresti vergognarti di paragonare un uomo come Ashley Wilkes a un farabutto come il capitano Butler! Forse anche tu pensi che la Causa non valga nulla! - Io... non so che cosa penso - cominciò Melania incerta, mentre il suo ardore l'abbandonava e una specie di panico s'impadroniva di lei. - Morirei per la Causa... ed anche Ashley. Ma... voglio dire... che questi pensieri vanno lasciati agli uomini. - Non ho mai sentito una cosa simile! Fermo, zio Pietro, siamo a casa mia! Zio Pietro occupato ad ascoltare la conversazione, stava oltrepassando la casa dei Merriwether. La signora Merriwether discese, coi nastri della sua cuffia che si agitavano come vele al vento. - Te ne pentirai - disse. Zio Pietro frustò il cavallo. - Tu, signorina, vergognarti di mettere Miss Pitty in questo stato, - sgridò. - Non sono affatto agitata - rispose Pitty con stupore di tutti, perché generalmente sveniva per molto meno di questo. - Melly, tesoro, so che hai voluto difendermi, e sono stata veramente contenta di vedere che qualcuno ha umiliato Dolly. Come ha avuto tanto coraggio? Ma credi di aver fatto bene a dire ciò cli Ashley? - Ma è vero! - esclamò Melly e cominciò a piangere piano. - E non mi vergogno di dire che egli la pensa cosí. Egli crede che la guerra sia un errore, ma è pronto a combattere e a morire, e per questo occorre assai piú coraggio di quando si combatte per qualche cosa che si crede giusto. - Zitta, Miss Melly, non piangere in Strada di Albero di Pesco - borbottò zio Pietro affrettando il passo del cavallo. - Gente subito pronta a fare chiacchiere. Aspettare di essere a casa. Rossella non parlò. Non strinse neanche la mano che Melania aveva messo nella sua per cercare conforto. Ella aveva letto le lettere di Ashley per un solo scopo; per assicurarsi che egli l'amava ancora. Ora Melania aveva dato un nuovo significato a certi punti delle lettere che Rossella aveva appena scorso. La urtava il pensare che qualcuno cosí perfetto come Ashley, potesse avere dei pensieri in comune con un reprobo come Rhett Butler. Disse fra sé: «entrambi vedono la verità in questa guerra; ma Ashley è pronto a morire e Rhett no. Mi pare che questo dimostri il buon senso di Rhett». Si fermò un attimo, colpita dall'orrore di avere avuto un simile pensiero sul conto di Ashley. «Entrambi vedono la stessa spiacevole verità; ma Rhett ama guardarla in faccia e irritare il pubblico parlandone; mentre Ashley non può sopportarne la vista.» E questo la stupiva molto.

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Rossella mise zia Pitty a letto e dopo averle dato una bevanda a base di alcool, zucchero e acqua, la lasciò in custodia di Prissy e della cuoca e discese in istrada affrettandosi alla casa dei Meade. La signora era nella sua camera, al primo piano, insieme con Phil, attendendo il ritorno del marito; Melania, nel salotto a pianterreno, parlava a bassa voce in un gruppo di vicini. Si affaccendava con aghi e forbici a modificare una veste di lutto che la signora Elsing aveva prestato alla sua disgraziata amica. Tutta la casa era piena dell'odore acre della tintura nera che bolliva in un'enorme caldaia, dove la cuoca rimestava singhiozzando tutti gli abiti della sua padrona. - Come sta? - chiese dolcemente Rossella. - Neanche una lagrima - rispose Melania. - È terribile quando una donna non può piangere. Dice che andrà in Pennsylvania per riportare a casa la salma. Il dottore non può lasciare l'ospedale. - Ma sarà terribile! Perché non mandare Phil? - Perché teme che vada a raggiungere l'esercito. Sai che è alto per la sua età; e ora li prendono anche di sedici anni. Ad uno ad uno i vicini uscirono alla chetichella; nessuno teneva ad esser presente quando il dottore sarebbe rientrato. Melania e Rossella rimasero sole nel salotto a cucire. Melania era triste ma tranquilla; ogni tanto una lagrima cadeva sulla stoffa che aveva tra le mani. Ma evidentemente non aveva pensato che forse la battaglia stava continuando e che Ashley poteva anche esser morto. Col cuore angosciato, Rossella non sapeva se era meglio riferire a Melania le parole di Rhett, per avere il conforto di condividere il suo nuovo turbamento, o conservarlo per sé. Finalmente si attenne a quest'ultimo partito. Dopo un intervallo di silenzio, udirono rumore in istrada e, guardando attraverso le tende, scorsero il dottore che scendeva da cavallo. Aveva le spalle curve e il capo chino. Entrò lentamente e dopo aver deposto il cappello e la borsa, baciò le giovani donne senza parlare. Quindi salí le scale con passo stanco. Dopo un momento esse videro scendere Phil; tutto braccia, tutto gambe e tutto goffaggine. Gli accennarono di sedersi accanto a loro, ma il ragazzo andò a sedere sui gradini sotto il porticato, nascondendo il capo tra le mani. Melly sospirò. - È furibondo perché non vogliono lasciarlo andare a combattere. A quindici anni! Che gioia dev'essere, Rossella, avere un figlio cosí! - E mandarlo a farsi ammazzare? - replicò Rossella brevemente, pensando a Darcy. - Meglio avere un figlio, anche se dovesse essere ucciso, che non averne - ribatté Melania ingoiando un singhiozzo. - Tu non puoi capire, perché hai il piccolo Wade, ma io... Oh, Rossella, come desidero un bimbo! Forse ho torto a dirlo, proprio adesso; ma questo è ciò che ogni donna desidera... E nessuno lo sa meglio di te. Rossella fece uno sforzo per non sogghignare. Se Dio permettesse che Ashley... credo che non potrei sopportarlo; se egli morisse morrei anch'io. Se invece avessi un figlio suo per consolarmi della sua scomparsa... Oh, Rossella, come sei fortunata! Ti è rimasto un bambino di Carlo... Ed io, se Ashley morisse... io non ho nulla, nulla! Perdonami, Rossella, ma a volte sono tanto gelosa di te... - Gelosa... di me? - esclamò Rossella spaventata. - Sí, perché tu hai un bambino e io no. A volte mi illudo perfino che Wade sia mio, perché è terribile non averne! «Quante storie!» pensò Rossella con sollievo. Lanciò un'occhiata rapida alla figuretta sottile che chinava sul cucito il volto invaso da rossore. Melania poteva desiderare un bimbo, ma certo non aveva la figura adatta per la maternità. Era poco piú alta di una fanciulletta di dodici anni; aveva i fianchi stretti e il seno piatto. Il solo pensiero che ella potesse mai avere un bimbo da Ashley era insopportabile per Rossella; le sarebbe quasi sembrato di esser defraudata di qualche cosa di suo. - Perdonami quello che ti ho detto a proposito di Wade. Sai che gli voglio tanto bene... Non sei in collera con me? - Non far la sciocca - replicò Rossella brevemente. - Piuttosto vai nel porticato a dire qualche cosa a Phil. Sta piangendo.

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L'ESERCITO, ricacciato nella Virginia, si ritrasse per i quartieri d'inverno sul Rapidan: un esercito stanco e demoralizzato dopo la sconfitta di Gettysburg; e poiché il Natale si avvicinava, Ashley venne a casa in licenza. Rossella, rivedendolo per la prima volta dopo due anni, ebbe paura della violenza dei propri sentimenti. Allora, quando lo aveva visto nel salotto delle Dodici Querce, sposo di Melania, aveva creduto che non potrebbe mai amarlo con piú intensità; ma ora si rendeva conto che i sentimenti di quella sera lontana assomigliavano a quelli di una bimba a cui vien tolto un giocattolo, mentre ora la sua emozione era acutizzata dal lungo pensare, dal lungo sognare e dal ritegno che era stata costretta ad imporsi. Questo Ashley Wilkes, nella sua uniforme scolorita, coi capelli biondi arsi dal sole di due estati; era assai diverso dal giovinotto distratto e trasognato che ella aveva amato disperatamente prima della guerra. Era magro e abbronzato, mentre prima era chiaro di carnagione e ben proporzionato di membra; i lunghi baffi biondi che gli ricadevano sulla bocca erano l'ultima pennellata occorrente a farne il quadro di un perfetto soldato. Si teneva dritto militarmente nella sua logora uniforme, con la pistola nella fondina consumata e il fodero della sciabola deformato che batteva elegantemente sugli stivaloni dagli sproni opachi: il maggiore Ashley Wilkes, C. S. A. (Confederate States of America). In lui si scorgeva ora l'abitudine del comando, un'aria di autorità e di sicurezza di sé; ai lati della sua bocca cominciava a disegnarsi qualche ruga. Vi era un non so che di nuovo e di strano nella forma quadrata delle sue spalle, nella lucentezza fredda dei suoi occhi. Mentre una volta appariva pigro e indolente, ora era svelto come un gatto, con la continua tensione di chi ha i nervi sempre tesi come corde di violino. I suoi occhi avevano un'espressione di stanchezza e di tormento; e la sua pelle arsa dal sole era tesa sulle ossa sottili del volto... Era sempre il suo bell'Ashley, ma tanto diverso. Rossella aveva progettato di passare il Natale a Tara; ma dopo il telegramma di Ashley nessuna forza al mondo, neanche un ordine di Elena, avrebbe potuto strapparla da Atlanta. Se Ashley avesse pensato di andare alle Dodici Querce, si sarebbe affrettata ad accorrere a Tara per essergli accanto; ma egli aveva scritto ai suoi che lo raggiungessero ad Atlanta; e il signor Wilkes, insieme a Lydia e Gioia, erano già arrivati. Andare a Tara e privarsi di vederlo, dopo due anni? Privarsi del suono della sua voce, privarsi di leggere nei suoi occhi che egli non l'aveva dimenticata? Mai! Per nulla al mondo! Ashley giunse quattro giorni prima di Natale, con un gruppo di giovani della Contea essi pure in licenza; un gruppo dolorosamente diminuito dopo Gettysburg. Fra essi era Cade Calvert; un Cade sparuto che tossiva continuamente; due dei Munroe, eccitatissimi perché era la loro prima licenza, dal 1861, e Alex e Toni Fontaine, tutti e due magnificamente ubriachi, impetuosi e attaccabrighe. Il gruppo aveva una sosta di due ore fra un treno e l'altro; per impedire ai Fontaine di litigare fra loro o con gli addetti al deposito, Ashley li condusse tutti quanti a casa di zia Pitty. - Come se non bastasse quello che hanno fatto in Virginia - osservò amaramente Calvert guardandoli che disputavano già come due galletti su chi sarebbe il primo a baciare zia Pitty, commossa e lusingata. - Ma non hanno fatto altro che bere e questionare da quando siamo arrivati a Richmond. Sono anche stati messi agli arresti e avrebbero passato il Natale in prigione, se non si fosse intromesso Ashley. Ma Rossella non lo ascoltava neppure, troppo felice di trovarsi nuovamente nella stessa stanza in cui si trovava Ashley. Come poteva in quei due anni aver pensato che altri uomini erano belli o simpatici? Come aveva sopportato che le facessero la corte mentre c'era Ashley al mondo? Eccolo nuovamente a casa, separato da lei soltanto dalla larghezza di un tappeto; ed ella aveva bisogno di tutte le sue forze per non sciogliersi in lagrime di felicità ogni volta che lo guardava, seduto sul divano con Melly da una parte e Lydia dall'altra e Gioia appoggiata alla spalliera. Se avesse anche lei il diritto di sedergli accanto con un braccio passato sotto al suo! Se potesse almeno accarezzare un momento la sua manica, per essere ben certa della sua presenza... o tenergli una mano o servirsi del suo fazzoletto per asciugare le proprie lagrime di gioia! Melania faceva tutte queste cose senza vergognarsi. Troppo felice per essere timida e riservata, era in adorazione dinanzi a suo marito, con gli occhi, col sorriso, con le lagrime. E Rossella era troppo felice per esser gelosa! Ogni tanto si portava la mano sulla guancia che egli aveva baciata e risentiva l'emozione di quel momento. Certo non l'aveva salutata subito. Melania si era gettata fra le sue braccia, gridando incoerentemente, stringendolo come se non volesse piú staccarsi da lui. E poi, Lydia e Gioia lo avevano abbracciato, strappandolo dolcemente alla moglie. Quindi Ashley aveva abbracciato suo padre; un abbraccio dignitoso che dimostrava la serenità del profondo sentimento che li legava. Poi zia Pitty che saltellava qua e là, tutta eccitata. E finalmente si era volto verso di lei che era circondata dai giovinotti che reclamavano un bacio, ed aveva esclamato: - Oh Rossella! Come siete sempre carina! - E l'aveva baciata sulla guancia. Quel bacio le fece dimenticare tutte le frasi di benvenuto che aveva pensato di dirgli. Solo dopo molte ore ricordò che egli non l'aveva baciata sulle labbra. E allora pensò come sarebbe stato il loro incontro se fossero stati soli: egli avrebbe curvato la sua alta statura e lei si sarebbe rizzata in punta di piedi per sentirsi stringere a lungo. E poiché tale pensiero la rendeva felice, ella si convinse che questo potrebbe veramente accadere. Ma c'era tempo per tutto: una settimana intera! Senza dubbio ella riuscirebbe a trovarsi sola con lui e gli direbbe: - Vi ricordate le nostre cavalcate per i sentieri solitari? Vi ricordate come splendeva la luna quella notte in cui voi sedeste sui gradini di Tara e recitaste una poesia? (Dio mio! Che poesia era?) Vi ricordate quel giorno che mi feci male alla caviglia e voi mi riportaste a Tara fra le vostre braccia? Quante cose avrebbe potuto dirgli cominciando con le parole «vi ricordate»! Tanti episodi che lo riporterebbero ai bei giorni, quando andavano in giro per la Contea come i ragazzi spensierati; l'epoca in cui Melania Hamilton non era ancora entrata in scena. E forse ella leggerebbe nei suoi occhi una rapida emozione che le farebbe comprendere che, nonostante l'affetto coniugale per Melania, egli le voleva ancora bene, come quel giorno del banchetto, quando la verità gli era uscita di bocca suo malgrado. Non si fermava a pensare che cosa farebbe se Ashley le rivelasse il suo amore in parole inequivocabili... Le basterebbe sapere che le voleva ancora bene... Lo accarezzasse pure, Melania; ella saprebbe aspettare. Del resto, che cosa sapeva dell'amore quella candida creatura? - Amor mio, sembri un pezzente - disse Melania dopo che la prima eccitazione fu calmata. - Chi ti ha rattoppato l'uniforme e perché hanno adoperato dei pezzi di un altro colore? - Mi illudevo di essere elegantissimo - rispose Ashley. - Confronta la mia tunica con quelle degli altri e saprai apprezzare lo splendore di questi rattoppi. È stato Mosè che li ha fatti; e pensa che prima della guerra non aveva mai tenuto in mano un ago. Quanto ai rattoppi turchini... bisognava scegliere fra avere i buchi o chiuderli con pezzi di uniformi dei prigionieri yankee... Non c'era altro da fare. Quanto al sembrare un pezzente, ringrazia Dio che tuo marito non sia tornato a casa scalzo. La settimana scorsa ho dovuto dare addio alle mie vecchie scarpe, e sarei tornato a casa coi piedi avvolti in pezze di tela, se non avessimo avuto la fortuna di far la pelle a due «esploratori» yankee. Le scarpe di uno di loro mi andavano alla perfezione. Stese le lunghe gambe per fare ammirare le calzature. - Invece quelle dell'altro per me non vanno affatto - fece Calvert. - Troppo piccole e mi stanno facendo soffrire il martirio! Ma arriverò a casa in perfetto stile! - E quell'egoistaccio non ha voluto darle a uno di noi - interloquí Toni - mentre sarebbero andate benissimo al nostro aristocratico piedino. Mi vergogno di arrivare dalla mamma con queste ciabatte. Prima della guerra ella non avrebbe permesso neanche a uno dei nostri schiavi di portarle! - Non ci badare - esclamò Alex guardando le scarpe di Cade. - Gliele toglieremo quando saremo in treno. Dalla mamma non m'importa, ma... non voglio che Dimity Munroe mi veda con le dita che escono dai calzini! - Sicuro, sono mie - riprese Toni venendo in soccorso di suo fratello. - Sono stato io il primo a reclamarle. Ma Melania, prevedendo una delle famose liti dei Fontaine, intervenne a metter pace. - Avevo una magnifica barba - riprese Ashley. - Una delle piú belle dell'esercito... Ma quando siamo arrivati a Richmond, quelle due canaglie - e indicò i Fontaine - hanno deciso che siccome loro si facevano radere, io dovevo fare altrettanto. A Rossella sembrò che egli parlasse febbrilmente, per impedire che gli fossero rivolte delle domande a cui non voleva rispondere. Vide i suoi occhi abbassarsi e rialzarsi sotto lo sguardo turbato di suo padre; e allora, un po' perplessa, si chiese che cosa poteva nascondersi nel cuore di Ashley. Ma questo pensiero svaní subito, perché nella sua mente non poteva esservi altro se non un senso di delirante felicità e la speranza di potersi trovare sola con lui. Quella felicità durò finché tutti quanti intorno al caminetto cominciarono a sbadigliare, e il signor Wilkes e le figlie si accommiatarono per tornare all'albergo. Allora, quando Ashley, Melania, Pittypat e Rossella salirono le scale illuminate da zio Pietro, un brivido ghiaccio le attraversò il cuore. Fino a quel momento Ashley era stato suo, soltanto suo, anche se in tutto il pomeriggio ella non aveva potuto scambiare una parola con lui. Ma ora, augurando la buona notte, vide che le guance di Melania erano di porpora e che essa tremava. Vide pure che la sua espressione era timida ma felice e che quando Ashley aperse l'uscio della loro camera, essa scivolò dentro senza alzare gli occhi. Ashley disse «buona notte» bruscamente e richiuse l'uscio senza piú guardarla. Rossella rimase a bocca aperta, improvvisamente desolata. Ashley non era piú suo. Era di Melania. E finché Melania viveva, poteva andare in una camera con suo marito e richiudere l'uscio... chiuderlo a tutto il resto del mondo.

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A volte con un lieve senso di timore si domandava: «E poi?» ma subito scacciava il pensiero. Finita la guerra tutto si aggiusterebbe. Se Ashley l'amava non avrebbe potuto continuare a vivere con Melania. Ma non era possibile pensare a un divorzio; Elena e Geraldo, cattolici rigorosi, non le avrebbero mai permesso di sposare un uomo divorziato. Sarebbe stato un'allontanarsi dalla Chiesa! Però, dopo aver riflettuto, Rossella decise che se avesse dovuto scegliere fra la Chiesa e Ashley, avrebbe scelto quest'ultimo. Che scandalo sarebbe stato! Le persone divorziate erano messe al bando non solo dalla Chiesa, ma dalla società. Ma ella era pronta a sacrificare tutto per Ashley. Fu al tempo degli acquazzoni di marzo, mentre tutti quanti erano costretti a rimanere in casa, che ella ricevette il colpo doloroso. Melania, con gli occhi brillanti di gioia e con un certo pudico imbarazzo, le disse che aspettava un bambino. - Il dottor Meade ha detto che sarà per la fine di agosto o i primi di settembre. Lo avevo immaginato... ma fino ad oggi non ero sicura. Non è una cosa magnifica, Rossella? Avevo tanta paura di non averne, io che ne desidererei una dozzina! Rossella, che si stava pettinando prima di andare a letto, si fermò col pettine a mezz'aria. «Dio mio!» pensò, senza rendersi immediatamente conto di ciò che aveva udito. E a un tratto le venne in mente la porta chiusa della camera di Melania; e un dolore acuto come una coltellata le trafisse il cuore. Un dolore cosí violento come se Ashley fosse suo marito e le fosse stato infedele. Un bambino. Un bambino di Ashley. Com'era possibile, se egli amava lei e non Melania? - So che sei sorpresa - continuò Melania un po' ansimante. - Ma come farò, Rossella, a dirlo ad Ashley? Non sarebbe imbarazzante se potessi dirglielo in un orecchio... oppure... forse non dirgli nulla e lasciarglielo indovinare a poco a poco. - Dio mio! - esclamò Rossella quasi singhiozzando, lasciando cadere il pettine e appoggiandosi al marmo della toletta per sorreggersi. - Non fare cosí, cara! Sai che non è poi tanto terribile. L'hai detto tu stessa, e non è il caso di essere cosí preoccupata. È vero che il dottor Meade ha detto che io sono... sono... - Melania arrossí - molto stretta di bacino, ma ha detto anche che forse tutto andrà bene e... Rossella, lo scrivesti tu a Carlo o glie lo scrisse tua madre? O forse tuo padre? Dio mio, se almeno avessi la mamma! Non so proprio... - Taci! - fece Rossella violentemente. - Taci! - Oh, come sono stupida, Rossella! Perdonami. È vero che tutta la gente felice è egoista. In questo momento dimenticavo Carlo. - Ma taci! - esclamò di nuovo Rossella, cercando di controllare il proprio volto e dominare l'emozione. Melania, la donna piú piena di tatto che esistesse, aveva le lagrime agli occhi per la propria crudeltà. Come aveva potuto richiamare a Rossella il terribile ricordo di Wade nato alcuni mesi dopo la morte del povero Carlo? - Ti aiuto a svestirti, cara, - disse umilmente. - E ti pettinerò io. - Lasciami sola - ordinò Rossella col viso contratto. E Melania, scoppiando in lagrime di pentimento, uscí, lasciando la cognata con l'orgoglio ferito, la delusione e la gelosia come compagni del suo letto solitario. La giovane pensò che le sarebbe impossibile vivere ancora sotto lo stesso tetto con una donna che aveva in seno un bimbo di Ashley; e pensò di tornare a Tara, a casa sua. Si alzò l'indomani mattina con l'idea di preparare il suo baule subito dopo colazione. Ma appena furono sedute a tavola, Rossella cupa e silenziosa, Pitty stupita, e Melania felice, giunse un telegramma per quest'ultima; era dell'attendente di Ashley, Mosè. «Cercato ovunque senza ritrovarlo. Debbo tornare a casa?» Nessuno comprese il significato di quelle parole; ma gli occhi delle tre donne si volsero dall'una all'altra dilatati dal terrore, e Rossella dimenticò il suo proposito di andarsene. Interrompendo la loro colazione si recarono subito in città per telegrafare al colonnello di Ashley; ma appena giunte all'ufficio, fu consegnato loro un telegramma di questi. «Dolente informarvi Maggiore Wilkes mancante dopo ricognizione compiuta tre giorni fa. Vi terrò informata.» Fu uno spaventoso ritorno a casa: Zia Pitty piangeva nel suo fazzoletto, Melania sedeva rigida e pallidissima e Rossella era istupidita, rannicchiata in un angolo della carrozza. Giunte a casa, Rossella salí barcollando nella sua camera, afferrò il Rosario che teneva sul tavolino e, piombando in ginocchio, tentò di pregare. Ma la preghiera non venne alle sue labbra, ed ella fu presa da un folle terrore che Dio avesse distolto il Suo volto da lei a causa del suo peccato. Ella aveva amato un uomo sposato e aveva tentato di toglierlo alla moglie; e Dio l'aveva punita uccidendolo. Voleva pregare ma non poté levare al cielo lo sguardo. Avrebbe voluto piangere, ma le lagrime non venivano. Le ardevano nel seno ma non sgorgavano dai suoi occhi. La porta si aperse e Melania entrò. Il suo volto era pallidissimo, incorniciato dai capelli neri; gli occhi spalancati come quelli di un bimbo impaurito sperduto nel buio. - Rossella - disse tendendo le mani. - Devi perdonarmi quello che ti ho detto ieri perché.. non ho piú altri che te. Oh, Rossella so che il mio amore è morto! Un attimo dopo era fra le braccia di Rossella ed entrambe sedevano sul letto, strettamente abbracciate, con le lagrime dell'una che bagnavano le guance dell'altra. Anche Rossella piangeva adesso di un pianto doloroso. Ma quanto era peggio non piangere! «Ashley è morto» pensava «e sono io che l'ho ucciso perché lo amavo!» I singhiozzi la sopraffecero; e Melania, trovando un certo conforto in quel pianto, si strinse maggiormente a lei. - Almeno - bisbigliò - almeno... ho il suo piccino. «Ed io» pensò Rossella, troppo colpita adesso per poter essere gelosa «non ho nulla... nulla... nulla... eccetto l'espressione del suo volto quando mi disse addio.»

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Il suo volto era rigido, e la bocca le doleva perché involontariamente l'aveva sforzata a sorridere per evitare che i gemelli comprendessero il suo segreto. Piombò a sedere, con una gamba ripiegata sotto di sé, e le sembrò che il suo cuore si gonfiasse di disperazione fino ad essere troppo grande per il suo affetto. Lo sentiva battere a piccoli colpi bizzarri; aveva le mani fredde e un senso di sciagura la opprimeva. Nel suo volto era un'espressione di pena e di sbalordimento; lo sbalordimento di una bambina viziata che aveva sempre avuto tutto ciò che voleva, ed ora per la prima volta si trovava a contatto con quello che la vita ha di spiacevole. Ashley sposava Melania Hamilton! Oh, non poteva esser vero! I gemelli s'ingannavano. Le avevano fatto uno dei loro soliti scherzi. Ashley non poteva, no, non poteva essere innamorato di quell'altra. Nessuno poteva innamorarsi di un topolino come Melania. Rossella ricordò con sdegno la figuretta infantile di Melania, il suo volto triangolare dall'espressione seria e semplice. E Ashley non poteva averla vista in questi ultimi mesi. Non era stato ad Atlanta piú di due volte dopo il ricevimento che avevano dato l'anno scorso alle Dodici Quercie. No, Ashley non poteva essere innamorato di Melania, perché - oh, in questo non s'ingannava! - perché era innamorato di lei. Lei, Rossella, era la sola amata; lo sapeva! Udí il passo pesante di Mammy sul pavimento del vestibolo e si affrettò ad allungare la gamba e a cercare di dare al suo volto un'espressione piú tranquilla. Non bisognava che Mammy sospettasse che qualche cosa non andava bene. Mammy apparteneva agli O'Hara corpo e anima e i loro segreti erano i suoi segreti; bastava un'ombra di mistero per metterla sulla traccia, instancabilmente come un segugio. Rossella sapeva per esperienza che se la curiosità di Mammy non era immediatamente soddisfatta, essa ne avrebbe parlato ad Elena, e allora la fanciulla sarebbe stata costretta a rivelare tutto a sua madre o a cercare una menzogna plausibile. Mammy emerse dal vestibolo; una grossa vecchia con occhi piccoli e scuri come quelli di un elefante. Era di un nero lucido, puro africano, devota agli O'Hara fino all'ultima goccia del suo sangue, la mano destra di Elena, la disperazione delle sue tre figliole, il terrore delle altre persone di servizio. Mammy era negra, ma il suo codice di condotta e il suo senso di orgoglio era tanto alto quanto quello dei suoi proprietari, se non di piú. Era stata allevata nella camera da letto di Solange Robillard, madre di Elena O'Hara: una francese fredda, schizzinosa, altera, che non risparmiava né ai suoi figli né ai suoi servi la giusta punizione per qualsiasi infrazione al decoro. Era stata la nutrice di Elena, ed era venuta con lei da Savannah quando ella si era sposata. Mammy ben castigava chi ben amava. E siccome il suo amore per Rossella e il suo orgoglio di lei erano enormi, i castighi erano quasi continui. - Essere andati? Come mai non averli fatti rimanere a cena? Io avere detto a Poke di mettere due coperti di piú per loro. Dove essere tuoi cavalieri? - Oh, ero cosí stanca di sentirli parlare di guerra che non avrei potuto sopportarli anche a cena, specialmente con papà che si sarebbe unito a loro per strepitare contro Lincoln. - Tu avere tanta educazione quanto una gallina; dopo che Miss Elena mi avere fatto tanto faticare con te! E stare qui fuori senza scialle! A momenti cadere la notte. Ti avere detto tante volte che viene febbre se stare fuori di notte senza nulla sulle spalle. Venire subito in casa, Miss Rossella. Rossella si volse con studiata noncuranza, felice che nella sua preoccupazione per lo scialle, Mammy non avesse osservato il suo viso. - No, ho voglia di stare qui a contemplare il tramonto. È cosí bello. Vai a prendermi lo scialle, ti prego, Mammy: starò qui finché papà torna a casa. - Avere voce come se ti venire raffreddore - fece Mammy sospettosa. - Ma no! - esclamò Rossella con impazienza. - Vai a prendermi lo scialle. Mammy attraversò il vestibolo barcollando e Rossella la udí che chiamava, dal basso delle scale, la cameriera che era al piano superiore. - Rosa! buttami giù lo scialle di Miss Rossella! - Poi, a voce più alta: - Fannullona di una negra! Non essere mai dove dev'essere e non fare nulla di buono. Mi toccare salire a prenderlo io stessa. La fanciulla udí la scala cigolare e si alzò in piedi leggermente. Certamente Mammy ritornando avrebbe ripreso la predica sulla mancanza di ospitalità della fanciulla; e questa sentiva che non avrebbe potuto sopportare altre chiacchiere su un argomento cosí volgare, mentre il suo cuore si spezzava. Rimase in piedi, esitante, chiedendosi dove poteva nascondersi finché la pena del suo cuore fosse diminuita un poco; le venne un'idea che le diede un barlume di speranza. Suo padre era andato quel pomeriggio a cavallo alle Dodici Quercie, la piantagione dei Wilkes, per combinare con loro l'acquisto di Dilcey, la mulatta moglie del suo servo Pork. Dilcey era capo delle donne e levatrice alle Dodici Quercie e fin dal suo matrimonio, avvenuto sei mesi prima, Pork aveva supplicato giorno e notte il suo padrone di comperare Dilcey, a fine di poter vivere entrambi nella stessa piantagione. Quel giorno Geraldo, avendo ceduto, era andato a fare un'offerta per Dilcey. Certamente, pensò Rossella, papà saprà se questa terribile storia è vera. Anche se non gli hanno detto nulla, forse si sarà accorto di qualche cosa, avrà notato una certa eccitazione nei Wilkes. Se posso vederlo da solo prima di cena, gli tirerò fuori la verità: cioè che si tratta di uno dei soliti scherzi malvagi dei gemelli. Era l'ora del ritorno di Geraldo; e se voleva vederlo solo, la miglior cosa per lei era di andargli incontro, dove il viale sboccava nella strada. Discese tranquillamente i gradini dinanzi alla casa, e si volse a guardare attentamente per assicurarsi che Mammy non la osservasse dalle finestre del primo piano. Non vedendo nessuna faccia nera avvolta in un candido turbante che la rimirasse disapprovando tra le cortine, sollevò audacemente la sua gonna verde a fiori e si affrettò lungo il viale, con la velocità consentitale dalle scarpine chiuse da nastri incrociati. Ai due lati del viale inghiaiato i rami dei cupi alberi di cedro s'incontravano formando un arco che trasformava il viale in una galleria. Appena ella si trovò sotto i rami nodosi degli alberi, sicura di non essere più vista dalla casa, rallentò il passo. Sospirava perché le scarpine erano allacciate troppo strettamente per consentirle di correre, ma camminava più rapidamente che poteva. In breve fu all'estremità del viale e uscí sulla strada principale, ma non si fermò finché non ebbe girato la curva che metteva fra lei e la casa una grande macchia di alberi. Ansante e rossa in volto, sedette su un tronco per aspettare suo padre. Era già in ritardo, ma ella ne fu contenta perché questo le dava tempo di calmare l'affanno e di dare al suo volto un'espressione tranquilla in modo da non destare sospetti. Da un momento all'altro si attendeva di udire lo scalpitare del suo cavallo e di vederlo discendere la collina con la sua solita fantastica velocità. Ma i minuti passavano e Geraldo non giungeva. Ella guardava la strada, col cuore che ricominciava a dolerle. «Oh; non può essere vero!» pensò. «Perché non viene?» I suoi occhi erano fissi sulla strada di un rosso sanguigno dopo la pioggia della mattina. Ricostruiva col pensiero il tragitto: lo vedeva discendere la collina sino al pigro fiume Flint e poi attraversare le paludi sino all'altra collina dov'erano le Dodici Querce e dove Ashley viveva. Quella strada ora non aveva altra importanza se non quella di essere la strada che conduceva verso Ashley e verso la bella casa a colonne bianche che incoronava la collina come un tempio greco. «Oh, Ashley, Ashley!» pensò; e il suo cuore batté più rapido. Il freddo senso di sgomento e di stupore che l'aveva oppressa da quando i ragazzi Tarleton avevano parlato, fu respinto da lei nel fondo del suo cuore; e al suo posto risorse la febbre che la possedeva da due anni. Ora era stupita che Ashley non le fosse sembrato cosí attraente durante la sua adolescenza. Nei giorni dell'infanzia lo aveva visto andare e venire senza badargli. Ma da quel giorno, due anni prima, quando Ashley, tornato dal suo viaggio di tre anni in Europa, era venuto a far visita ai suoi genitori, lo aveva amato. Una cosa semplicissima. Si trovava sotto il porticato mentre egli giungeva a cavallo lungo il viale, vestito di grigio, con una grande cravatta nera sulla camicia pieghettata. Ricordava ancora ogni particolare del suo abbigliamento, il cammeo con la testa di Medusa sulla cravatta, le scarpe lucide, l'ampio cappello di panama che si era tolto immediatamente vedendola. Era smontato, aveva lanciato le redini a un bambinetto negro, ed era rimasto a guardarla coi suoi grandi occhi grigi, pigri e sorridenti; il sole brillava sui suoi capelli biondi in modo da farli sembrare un elmo di lucido metallo. Aveva esclamato: - Come siete cresciuta, Rossella! - E, dopo aver salito leggermente i gradini, le aveva baciato la mano. E la sua voce! No, ella non dimenticherebbe mai il balzo del suo cuore nell'udirla, languida e musicale, come se fosse la prima volta. Lo aveva desiderato in quel primo momento, desiderato semplicemente e irragionevolmente, come desiderava il cibo per nutrirsi, un cavallo per cavalcare e un morbido letto per dormire. Per due anni egli le aveva fatto da cavaliere a tutti i balli, le riunioni di pesca e quelle a base di porchetta arrostita. Non cosí assiduo come i gemelli Tarleton o Cade Calvert, non cosí insistente come i ragazzi Fontaine, ma non passava mai una settimana senza che Ashley si recasse a fare una visita a Tara. In verità non le aveva mai fatto la corte, né i suoi chiari occhi grigi avevano mai brillato di quella luce ardente che Rossella conosceva cosí bene negli altri uomini. Eppure... eppure... ella sapeva che l'amava. Non poteva ingannarsi; l'istinto piú forte della ragione e della conoscenza nata dall'esperienza, le diceva che egli l'amava. Troppo spesso ella aveva sorpreso i suoi occhi non sonnolenti né distratti, ed egli la guardava con una tristezza e un turbamento che la stupivano. Sapeva che la amava. Perché non glielo diceva? Questo non riusciva a comprenderlo. Ma vi erano in lui tante cose che ella non comprendeva. Era sempre cortese, ma distante. Nessuno avrebbe potuto dire che cosa pensasse, e Rossella meno degli altri. In un ambiente in cui tutti dicevano quello che pensavano e appena lo avevano pensato, lo strano riserbo di Ashley era esasperante. Egli era abile quanto gli altri giovanotti nei soliti passatempi della Contea: caccia, gioco, danza e politica. Ed era il miglior cavalcatore di tutti; ma differiva dagli altri in quanto queste piacevoli attività non erano per lui lo scopo e il fine della vita. Ed egli rimaneva solo nella sua passione per i libri e per la musica e nel suo amore per la poesia e nella sua tendenza a comporne. Oh, perché era cosí graziosamente biondo, cosí gentile e distante, cosí follemente noioso coi suoi discorsi sull'Europa e sui libri e la musica e la poesia, e tante cose che non la interessavano per nulla... eppure cosí desiderabile? Tutte le notti, quando andava a letto dopo essere rimasta seduta con lui nella semioscurità del porticato, Rossella si agitava irrequieta per ore ed ore e si confortava unicamente col pensiero che la prossima volta certamente egli le avrebbe chiesto di sposarlo. Ma la prossima volta il risultato era identico; e la febbre che la possedeva diventava sempre piú alta e piú ardente. Lo amava, lo desiderava e non lo comprendeva. Era una creatura dritta e semplice come i venti che soffiavano su Tara e sul giallo fiume che la percorreva; e sino alla fine dei suoi giorni ella non sarebbe riuscita mai a comprendere certe complicazioni. E ora, per la prima volta, si trovava di fronte a una natura complicata. Infatti Ashley era nato da una razza di uomini che passavano le loro ore libere a riflettere, non ad agire, a intessere sogni brillantemente colorati che non avevano in sé un barlume di vero. Egli viveva in un mondo interiore molto piú bello della Georgia, e tornava malvolentieri alla realtà. Guardava le persone senza provare per loro né simpatia né antipatia. Accettava l'universo e il suo posto in esso per ciò che erano e, crollando le spalle, tornava alla sua musica, ai suoi libri, al suo mondo migliore. Come avesse potuto conquistare Rossella il cui spirito era cosí estraneo al suo, era una cosa che la fanciulla ignorava. Il mistero che lo avvolgeva eccitava in lei la curiosità, come una porta senza chiave né serratura. Le cose che ella non poteva capire rendevano il suo amore piú forte, e la maniera strana e contenuta con la quale egli la corteggiava non faceva che rafforzare la determinazione di lei di averlo tutto per sé. Ella non aveva mai dubitato che un giorno o l'altro Ashley si sarebbe dichiarato; era troppo giovine e viziata per aver mai saputo che cosa fosse una sconfitta. Ed ora, come un colpo di fulmine, era giunta quella tremenda notizia! Ashley doveva sposare Melania! Non poteva esser vero! Soltanto la settimana scorsa, mentre cavalcavano verso casa, al crepuscolo, tornando da Fairhill, egli le aveva detto: - Rossella, debbo dirvi una cosa importante ma non so come cominciare. Ella aveva abbassato gli occhi modestamente, mentre il cuore le batteva con violenza, credendo giunto il felice momento. Quindi egli aveva ripreso: - Ora no! Siamo quasi a casa e non c'è il tempo... Oh, Rossella, come sono vigliacco! - e spronando il cavallo l'aveva riaccompagnata a casa salendo di corsa la collina. Seduta sul tronco d'albero, la giovinetta ripensava a quelle parole che l'avevano resa cosí felice; ma a un tratto esse presero un altro significato, un significato orribile. Forse aveva voluto darle la notizia del suo fidanzamento! Oh, se papà si fosse sbrigato a tornare a casa! Ella non poteva più sopportare l'attesa. Guardò nuovamente con impazienza la strada e fu nuovamente delusa. Il sole era adesso sotto all'orizzonte e lo splendore purpureo andava digradando in rosa. Il cielo sfumava lentamente dall'azzurro al delicato blu-verde di un uovo di pettirosso, e la calma divina del crepuscolo rurale discendeva a poco a poco sopra di lei. Un'oscura opacità scivolava lentamente sui campi. I solchi scavati nella terra e la strada infossata perdevano il loro magico colore sanguigno e diventavano semplice terra bruna. Al di là della strada nel prato, cavalli, muli e mucche, con la testa al disopra della barriera, aspettavano tranquillamente di essere ricondotti nelle stalle per avere il foraggio. Non amavano le ombre cupe dei cespugli lungo il ruscello che scorreva attraverso il prato, e muovevano le orecchie verso Rossella, come se fossero stati capaci di solidarietà umana. Nella strana mezza luce, i grandi pini della palude, di un verde cosí caldo sotto i raggi del sole, erano neri contro il cielo color ardesia; una fila impenetrabile di giganti neri, che nascondevano ai loro piedi la pigra acqua giallognola. Sulla collina al di là del fiume, i grandi comignoli bianchi della casa di Wilkes svanivano gradatamente nell'oscurità delle grandi querce che li circondavano; soltanto qualche punto luminoso - le lampade accese per illuminare la cena - mostrava che laggiù vi era una casa. L'umido e profumato tepore della primavera l'avvolgeva dolcemente, insieme col fresco odore della terra arata e dei verdi germogli. Tramonto, primavera e germogli non erano un miracolo per Rossella. Ella accettava quelle bellezze naturalmente, come l'aria che respirava e l'acqua che beveva, non avendo mai visto scientemente la bellezza in nulla se non nei volti femminili, nei cavalli, nelle vesti di seta ed altre cose tangibili. Eppure la serena luce crepuscolare sui ben coltivati campi di Tara portò una certa calma al suo spirito turbato. Ella amava quella terra, senza neanche sapere di amarla; l'amava come amava il volto di sua madre sotto la lampada, all'ora della preghiera. Sulla strada sinuosa Geraldo non si vedeva apparire. Certo, se ella fosse rimasta ancora ad attendere, Mammy sarebbe venuta a cercarla, per costringerla a rientrare. Ma appunto mentre aguzzava gli occhi nell'oscurità crescente, udí uno scalpitar di zoccoli giungere dall'estremità del poggio e vide mucche e cavalli disperdersi spaventati. Geraldo O'Hara stava tornando a casa attraverso la campagna a gran velocità. Salí la collinetta al galoppo del suo cavallo dal petto largo e dalle gambe sperticate, apparendo in distanza come un ragazzo su un cavallo troppo grande. I suoi lunghi capelli bianchi svolazzavano indietro; egli eccitava l'animale con lo scudiscio e con le grida. Benché piena della propria angoscia, Rossella lo guardò avvicinarsi con orgoglio affettuoso, perché Geraldo era un ottimo cavaliere. «Chi sa perché ha la smania di saltar le barriere quando ha bevuto un poco» disse fra sé. «Dopo la caduta dell'anno scorso, proprio in quel punto, quando si spezzò il ginocchio... Credevo che gli sarebbe servito di lezione; specialmente, poi, perché ha giurato alla mamma di non saltare piú.» Rossella non aveva rispetto per suo padre; lo considerava suo coetaneo più delle proprie sorelle, perché il saltar le siepi di nascosto di sua moglie gli dava un orgoglio da ragazzo e una gioia simile a quella di lei quando riusciva a farla in barba a Mammy. Si alzò in piedi e lo osservò mentre si avvicinava. Il grosso cavallo giunse alla barriera, si piegò sulle gambe posteriori e saltò senza sforzo, con la leggerezza di un uccello, mentre il suo cavaliere gridava d'entusiasmo, agitando lo scudiscio in aria, coi riccioli bianchi che ondeggiavano dietro il capo, Geraldo non vide sua figlia nell'ombra degli alberi, e proseguí accarezzando con approvazione il collo del cavallo. - Nessuno nella Contea può starti a paro, e neanche nella regione - disse con orgoglio alla sua cavalcatura. Quindi si pose frettolosamente a ravviarsi i capelli e a rassettare la camicia sgualcita e la cravatta che nella violenza della corsa gli era andata a finire sotto l'orecchia. Rossella conosceva questo frettoloso modo di rimettersi in ordine, che aveva per iscopo di apparire dinanzi alla moglie come un signore che ha cavalcato tranquillamente tornando da una visita a un vicino. Sapeva anche che ciò avrebbe dato a lei il pretesto di iniziare la conversazione con lui senza rivelare il suo vero scopo. Rise forte. Come aveva previsto, Geraldo sobbalzò; poi la riconobbe e sul suo volto florido apparve un'espressione timida e diffidente nel tempo stesso. Mise piede a terra con difficoltà, a causa del ginocchio rigido e, passandosi le redini intorno al braccio, mosse verso di lei. - Beh, signorina - le disse prendendole il ganascino. - sei stata qui a spiarmi e poi, come ha fatto tua sorella Susanna la settimana scorsa, andrai a dirlo alla mamma? Vi era dell'indignazione nella sua voce bassa un po' rauca, ma anche una certa blandizia, e Rossella per stuzzicarlo fece scoppiettare la lingua contro i denti, mentre lo aiutava a rimettere a posto la cravatta. L'alito di lui, che le respirava sul viso, sentiva fortemente di whisky Bourbon, con una lieve fragranza di menta. Egli emanava anche odore di tabacco da masticare, di cuoio e di cavalli; un miscuglio di profumi che Rossella associava sempre a suo padre e che le piaceva istintivamente negli altri uomini. - No, babbo, io non sono una pettegola come Súsele - lo assicurò, esaminando con aria giudiziosa se tutto era in ordine nel suo aspetto. Geraldo era piccolo: poco piú di un metro e cinquantacinque; ma cosí quadrato di spalle e grosso di collo, che quando era seduto gli estranei lo credevano alto. Il suo torso atticciato posava su corte gambe robuste, sempre serrate nei piú bei stivaloni di cuoio che si potessero trovare e sempre largamente piantate come quelle di un ragazzino barcollante. La maggior parte delle persone piccole di statura sono ridicole quando si prendono sul serio; ma il gallo bantam è rispettato nel pollaio, e cosí avveniva per Geraldo. Nessuno avrebbe mai avuto la temerità di credere Geraldo un ometto ridicolo. Aveva sessant'anni e i suoi capelli ricciuti erano argentei; ma il volto malizioso non aveva una ruga e gli occhi azzurri erano giovanili, di quella persistente giovinezza di chi non si è mai tormentato il cervello con problemi piú astratti della quantità di carte che bisogna chiedere in una mano di poker. Era un viso schiettamente irlandese, come se ne potevano trovare nel paese che aveva lasciato tanti anni prima: tondo, colorito; naso corto, bocca larga e aggressiva. Sotto il suo aspetto collerico, Geraldo O'Hara aveva il cuore piú tenero del mondo. Non poteva vedere uno schiavo fare il broncio dopo una reprimenda, per quanto meritata, né udire un gattino miagolare o un bambino piangere; ma aveva orrore che questa sua debolezza fosse scoperta. Egli ignorava che tutti coloro che lo conoscevano scoprivano dopo cinque minuti la bontà del suo cuore; la sua vanità ne avrebbe terribilmente sofferto, perché gli piaceva credere che quando egli gridava i suoi ordini, tutti tremavano obbedienti al suono della sua voce. Non si era mai accorto che ad una sola voce si obbediva alla piantagione: alla dolce voce di sua moglie Elena. Era un segreto che non avrebbe mai scoperto, perché tutti, da Elena fino al piú stupido lavoratore dei campi, erano uniti in una tacita e benevola cospirazione per lasciargli credere che la sua parola era legge. Rossella si lasciava impressionare meno di chiunque altro dalle sue grida e dalle sue ire. Era la sua figliuola maggiore; e Geraldo, ora che non sperava piú che venissero altri figli maschi dopo i tre che giacevano nella tomba di famiglia, aveva preso a trattarla come avrebbe trattato una ragazzo, in una maniera che ella trovava divertentissima. Ella somigliava a suo padre piú delle due sorelle minori, perché Carolene, battezzata Carolina Irene, era delicata e sognatrice, e Súsele - nata Susanna Eleonora - si inorgogliva della propria eleganza e del proprio aspetto signorile. Inoltre, Rossella e suo padre erano legati da un reciproco accordo per nascondere le loro marachelle. Se Geraldo la sorprendeva a scavalcare una barriera invece di camminare per mezzo chilometro fino a trovare un'apertura, oppure a sedere fino a ora tarda sui gradini della casa insieme a un giovinotto, la puniva personalmente e con veemenza, ma taceva il fatto a Elena e a Mammy. E quando Rossella lo scopriva a saltare le siepi e le barriere malgrado la solenne promessa fatta a sua moglie, o veniva a sapere attraverso i pettegolezzi della Contea, l'ammontare preciso delle sue perdite a poker, si asteneva dall'accennare al fatto, sia pure nella maniera astuta e ingenua di Súsele. Rossella e suo padre si assicuravano solennemente l'un l'altro che far giungere un fatto simile alle orecchie di Elena non avrebbe avuto altro risultato che di farla soffrire; e nulla al mondo li avrebbe indotti a darle un dispiacere. La fanciulla guardò suo padre nella luce crepuscolare e, senza saper perché, trovò nella sua presenza un certo conforto. Vi era in lui qualche cosa di vitale, di rude, di grossolano che le andava a genio. Essendo la negazione di ogni analisi, non si rese conto che ciò avveniva perché ella possedeva in alto grado quelle stesse qualità, malgrado sedici anni di sforzi da parte di Elena e di Mammy per distruggerle. - Ora hai l'aspetto molto presentabile - gli disse - e credo che nessuno possa sospettare i tuoi giochi se non sei tu a vantartene. Ma trovo che dopo esserti rotto il ginocchio l'anno scorso saltando la stessa barriera... - Ah, beh, ora ci manca soltanto che mia figlia mi dica quando devo e quando non devo saltare! - e le prese nuovamente il ganascino. - Il collo è mio; dunque... Del resto, signorina, che state facendo voi, fuori a quest'ora senza uno scialle? Vedendo che egli impiegava le solite manovre per sbrogliarsi da una conversazione spiacevole, ella infilò il braccio sotto al suo dicendo: - Ti stavo aspettando. Non sapevo che avresti fatto cosí tardi. Volevo sapere se hai comprato Dilcey. - L'ho comprata, e ad un prezzo rovinoso. Ho comprato lei e la sua piccola mulatta, Prissy. John Wilkes me le avrebbe quasi regalate, ma non voglio che si dica che Geraldo O'Hara approfitta dell'amicizia quando si tratta di affari. Gli ho fatto accettare tre biglietti da mille per tutt'e due. - Dio mio, babbo, tremila! E non avevi nessun bisogno di comprare Prissy! - Da quando in qua le mie figlie si mettono in cattedra a giudicarmi? Prissy è una graziosa piccola mulatta e... - La conosco. È una creatura stupida e timida; - replicò Rossella senza scomporsi. - E la sola ragione per cui l'hai comprata è che Dilcey ti ha pregato di comprarla. La spavalderia di Geraldo scomparve ed egli apparve confuso e turbato come sempre quando veniva sorpreso a compiere una buon'azione. La figlia rise del suo turbamento. - Beh, e se anche lo avessi fatto? A che mi sarebbe servito comprare Dilcey se poi si fosse immalinconita a causa della bambina? Del resto, non permetterò mai piú a un negro di sposarsi fuori di qui. È troppo dispendioso. Suvvia, piccola, andiamo a cena. L'oscurità era diventata piú profonda; dal cielo erano scomparse le ultime sfumature di verde e un freschetto pungente aveva sostituito il tepore primaverile. Ma Rossella s'indugiava, non sapendo come condurre il discorso su Ashley senza destar sospetti in suo padre. Era difficile, perché la fanciulla era priva di furberia; e suo padre le somigliava tanto che riusciva immediatamente a penetrare i suoi deboli sotterfugi, come lei penetrava i suoi. E nel farlo mancava generalmente di tatto. - Come stanno alle Dodici Querce? - Al solito. C'era Cade Calvert e dopo definita la faccenda di Dilcey ci siamo trattenuti tutti quanti nella galleria a bere qualche bicchierino. Cade è appena tornato da Atlanta, dove tutti sono agitati e parlano di guerra... Rossella sospirò. Se Geraldo cominciava a parlare della guerra e della secessione, non l'avrebbe piú smessa per qualche ora. Lo interruppe con un altro argomento. - Ti hanno parlato della riunione di domani? - Aspetta che ci penso. Miss... come diamine si chiama? quella piccina graziosa che era qui anche l'anno scorso... sai, la cugina di Ashley... ah, sí: miss Melania Hamilton! Dunque, lei e suo fratello Carlo sono già arrivati da Atlanta... - Ah, dunque è venuta? - E venuta; ed è molto carina; tranquilla e silenziosa come dovrebbero essere tutte le donne. Su, figliuola, non perdiamo tempo. La mamma ci starà cercando! Rossella si sentí cadere il cuore alla notizia. Aveva sperato e sperato che Melania Hamilton sarebbe stata trattenuta ad Atlanta dove abitava; e il sentire che anche suo padre approvava il suo carattere tranquillo cosí diverso dal suo, la decise a parlare apertamente. - C'era anche Ashley? - chiese. - C'era. - Geraldo lasciò il braccio di sua figlia e si volse a scrutarla. - E se è per questo che sei venuta ad aspettarmi, perché non lo hai detto subito, invece di girare intorno all'argomento? Rossella non trovò una parola da rispondere ed arrossí indispettita. - Avanti, parla. La fanciulla continuò a tacere, desiderando in cuor suo che le fosse permesso scrollare il proprio babbo per chiudergli la bocca. - C'era e ha chiesto molto cortesemente di te, come hanno fatto anche le sue sorelle e hanno detto che speravano che nulla ti avrebbe impedito di essere domani alla festa. Cosa di cui non garantisco - aggiunse malizioso. - Ora, figliuola, che cos'è questa storia fra te e Ashley? - Nessuna storia - rispose Rossella brevemente riattaccandosi al suo braccio. - Rientriamo, babbo. - Ora sei tu che hai voglia di andare - osservò Geraldo. - Ma io rimango qui finché non ti ho capita. Ora che ci penso, da un po' di tempo in qua sei di umore strano. Ti ha fatto la corte? Ti ha chiesto di sposarlo? - No - fu la breve risposta. - E non lo farà - riprese Geraldo. Un impeto di furore la invase; ma Geraldo le accennò con la mano di calmarsi. - Aspetta, bambina! Ho saputo oggi molto confidenzialmente da John Wilkes che suo figlio sposerà miss Melania. Sarà annunciato domani. La mano di Rossella ricadde dal suo braccio. Dunque, era vero! Si sentí stringere il cuore come in una morsa. Sentiva però sopra di sé lo sguardo di suo padre, un po' compassionevole, un po' annoiato di trovarsi di fronte a un problema che era incapace di risolvere. Egli voleva bene alla figliuola, ma l'idea che ella lo costringesse a cercare una soluzione ai suoi problemi infantili gli dava fastidio. Elena era capace di risolverli; Rossella avrebbe dovuto confidare a lei le sue pene. - Hai dunque fatto una figura ridicola... e l'hai fatta fare a noi? - gridò, alzando la voce come sempre nei momenti di eccitazione. - Sei corsa dietro a un uomo che non ti ama, mentre potresti avere i migliori giovanotti della Contea? La collera e l'orgoglio ferito presero il sopravvento sul dolore. - Non gli sono corsa dietro. Soltanto... mi sorprende. - Menti! - Quindi scrutando il visino dolorante, soggiunse, in un impeto di tenerezza: - Mi dispiace, figliuola. Ma dopo tutto, sei ancora una bambina; e vi sono tanti altri giovinotti! - La mamma aveva quindici anni quando ti sposò; ed io ne ho sedici - replicò la fanciulla con voce sorda. - Tua madre era diversa. Non è mai stata leggera come te. Su, bambina, stai allegra; la settimana ventura ti porterò a Charleston a far visita a zia Eulalia; e con tutto il tumulto che c'è lí per Forte Sumter, in pochi giorni ti scorderai di Ashley. «Mi crede una bambina» pensò Rossella a cui dolore e collera toglievano la parola «e immagina che un giocattolo nuovo basterà per farmi dimenticare la mia pena.» - Non fare la sciocca - continuò Geraldo. - Se avessi giudizio, avresti sposato già da un pezzo Stuart o Brent Tarleton. Pensaci, figliuola. Sposa uno dei due gemelli e allora le piantagioni saranno riunite, e Giacomo Tarleton ed io ti fabbricheremo una bella casa, proprio al confine, dove c'è la selvetta di pini... - Smettila di trattarmi come una bambina! - esclamò Rossella. - Non voglio andare a Charleston e non voglio avere una casa e sposare i gemelli. Voglio soltanto... - Si interruppe ma era troppo tardi. La voce di Geraldo era stranamente tranquilla ora ed egli parlava lentamente come se tirasse fuori ogni parola da un deposito di cui si serviva raramente. - Tu vuoi soltanto Ashley e non lo avrai. E se egli ti volesse sposare, darei il mio consenso malvolentieri, e lo darei soltanto a causa della buona amicizia che vi è fra John Wilkes e me. - E poiché ella lo guardava stupita, concluse: - Io desidero che la mia bimba sia felice; e con lui non lo saresti. - Oh, lo sarei! Lo sarei! - No. Solo quando si sposa chi è simile a noi può esservi la felicità. Rossella provò subitamente il perfido desiderio di gridare: «Ma tu e la mamma siete stati felici, eppure non vi somigliate in nulla» ma lo represse temendo di ricevere un ceffone per la sua impertinenza. - Noi e i Wilkes siamo assai diversi - proseguí lentamente Geraldo, cercando le parole. - I Wilkes sono differenti da tutti i nostri vicini, differenti da tutte le famiglie che ho conosciuto. È gente strana; ed è meglio che si sposino tra cugini e si tengano tutta la loro stranezza. - Ma babbo, Ashley non è... - Taci, gattina! Non dico niente contro il ragazzo, perché mi è simpatico. E dicendo strano non intendo dire stravagante. Non è la stranezza dei Calvert che giocherebbero tutto quello che hanno su un cavallo, o dei Tarleton che hanno sempre uno o due ubbriachi in ogni letto, o dei Fontaine che sono delle teste calde, pronti ad ammazzare un uomo per una sciocchezza. Questo genere di stranezze è facile a comprendersi e se non fosse per la grazia di Dio, sono difetti che anche Geraldo O'Hara potrebbe avere! E non voglio neanche dire che Ashley correrebbe dietro ad altre donne se tu fossi sua moglie o che ti batterebbe. Saresti forse piú felice se lo facesse, perché almeno lo capiresti. È strano in un senso tutto diverso, e non vi è modo di comprenderlo. Nelle cose che dice io non trovo né capo né coda. Dimmi la verità, gattina, tu capisci qualche cosa di tutte le sue sciocchezze sui libri, la musica, la poesia, i vecchi quadri e altre stupidaggini di questo genere? - Oh babbo! - esclamò con impazienza Rossella. - Se lo sposassi, lo cambierei! - Credi? - replicò stizzosamente Geraldo lanciandole uno sguardo penetrante. - Allora vuol dire che conosci ben poco gli uomini, non escluso Ashley. Nessuna moglie ha mai cambiato il cervello del marito, ricordatelo! E quanto a cambiare un Wilkes... Per la camicia di Giove! Tutta la famiglia è cosí e lo è sempre stata; e probabilmente lo sarà sempre. Ti dico che lo sono di nascita. Guarda come si agitano per andare a Nuova York e a Boston a sentir delle opere in musica e a vedere dei vecchi quadri! E ordinano libri francesi e tedeschi senza esclusione degli inglesi... E poi stanno ore ed ore seduti a leggere e a sognare Dio sa che cosa, quando potrebbero passare il tempo a cacciare e a giocare a poker come fanno tutti gli uomini normali! - Nessuno nella Contea cavalca meglio di Ashley - ribatté Rossella, furente per quell'accusa di effeminatezza che veniva lanciata su Ashley. - Nessuno, eccetto forse suo padre. E quanto al poker, non ti ha vinto duecento dollari proprio la settimana scorsa a Jonesboor? - I ragazzi Calvert hanno fatto nuovamente dei pettegolezzi - borbottò Geraldo - altrimenti non sapresti la cifra. Ashley può competere col miglior cavaliere e miglior giocatore: cioè con me, bambina! E non nego che se si mette a bere può dar dei punti perfino ai Tarleton. Fa tutte queste cose, ma senza passione. Perciò ti dico che è strano. Rossella rimase silenziosa e si sentí cadere il cuore in terra. Non poteva replicare a queste ultime parole, perché sapeva che Geraldo aveva ragione. Ashley non metteva alcuna passione nelle cose che faceva tanto bene. Si interessava solo con cortesia a tutto ciò che appassionava chiunque altro. Interpretando giustamente il suo silenzio, Geraldo le accarezzò il braccio e riprese trionfante: - Lo vedi, Rossella? Anche tu riconosci che è vero. Che ne faresti di un marito come Ashley? Lunatico come tutti i Wilkes! - Poi, con tono piú lusinghevole: - Parlandoti dei Tarleton, poco fa, non ho inteso influenzarti. Sono dei cari ragazzi, ma se preferisci Cade Calvert, per me è lo stesso. I Calvert sono brava gente, tutti quanti, benché il vecchio abbia sposato un'inglese. E quando io non ci sarò più... Stammi a sentire, tesoro! Lascerò Tara a te e a Cade... - Non vorrei Cade neanche se mi coprissero d'oro! - esclamò Rossella furibonda. - E ti prego di smetterla con questi consigli! Non desidero Tara né altre vecchie piantagioni. Le piantagioni non valgono nulla se... Stava per aggiungere «se non si ha l'uomo che si desidera»; ma Geraldo inasprito dal modo impertinente col quale ella trattava il dono offerto, la cosa che egli amava di più al mondo, dopo Elena, proruppe in una specie di ruggito. - E hai il coraggio, Rossella O'Hara, di dirmi in faccia che Tara... che questa terra... non val nulla? La fanciulla annuí caparbia. Il suo cuore era troppo esulcerato perché ella potesse preoccuparsi di destare o no la collera di suo padre. - La terra è la sola cosa al mondo che valga qualche cosa - urlò Geraldo, e le sue braccia corte e grosse facevano grandi gesti di indignazione - perché è la sola cosa al mondo che rimanga e, non dimenticarlo!, la sola cosa per cui vale la pena di lavorare, di lottare... di morire. - Oh babbo! - ribatté Rossella disgustata - parli come un irlandese! - Mi sono forse mai vergognato di esserlo? No; anzi ne sono orgoglioso. E non dimenticare che tu sei per metà irlandese! E per tutti coloro che hanno nelle vene anche una sola goccia di sangue irlandese, la terra su cui vivono è come una madre. È di te che mi vergogno in questo momento. Ti offro la piú bella terra del mondo - ad eccezione di Country Meath nel mio vecchio paese - e tu che cosa fai? Arricci il naso! Geraldo aveva cominciato ad abbandonarsi a una collera piacevolmente clamorosa, quando qualche cosa nel volto addolorato di Rossella lo fermò. - In fondo, sei giovine. L'amore per la terra ti verrà col tempo. Non potrà essere diversamente, perché sei irlandese. Ora sei una bambina, preoccupata soltanto dei tuoi adoratori. Quando sarai piú vecchia, vedrai... Ora rifletti, cerca di pensare a Cade o ai gemelli o a uno dei ragazzi di Evan Munroe, e vedrai come ti metterò bene a posto! - Oh, babbo! Geraldo era ormai stufo della conversazione e infastidito del problema che veniva a gravare sulle sue spalle. Inoltre si sentiva offeso che Rossella avesse ancora l'aria desolata dopo che le erano stati offerti i migliori giovanotti della Contea e per di piú, Tara. A Geraldo piaceva che i suoi doni fossero accolti con battimani e abbracci. - Ora non facciamo il broncio, madamigella. Non importa sapere chi sposerai, purché sia uno che la pensa come te e sia un bravo e orgoglioso meridionale. Per una donna, l'amore viene dopo il matrimonio. - Oh babbo, queste sono idee del tuo paese! - E sono idee ottime! Guarda un po', questi americani che hanno la smania di fare dei matrimoni d'amore, come i servitori, come gli yankees! I matrimoni migliori avvengono quando i genitori scelgono per la ragazza. Come potrebbe una stupida ragazzina come te distinguere un gentiluomo da un mascalzone? Guarda i Wilkes. Che cosa li ha conservati forti e orgogliosi attraverso tante generazioni? Il fatto di essersi sempre sposati tra di loro; tutti hanno sempre sposato i cugini o le cugine desiderate dalla famiglia. Rossella diede un piccolo grido, sentendo rinnovarsi la sua pena alle parole del padre che confermavano la tremenda inevitabile verità. Geraldo guardò il suo capo chino e si sentí a disagio. - Piangi? - chiese; e cercò di sollevarle il mento mentre sul suo volto si dipingeva una grande pietà. - No! - gridò la fanciulla con ira, volgendo altrove la testa. - Dici una bugia, ma ne sono fiero. Sono contento che tu sia orgogliosa; e voglio che questo orgoglio tu lo dimostri domani. Non mi piace che tutta la Contea spettegoli e rida di te, perché hai dato il cuore a un uomo che non ha mai avuto per te un pensiero che non fosse di semplice amicizia. «Lo ha avuto il pensiero» disse fra sé Rossella dolorosamente. «Oh, ne ha avuti tanti! Lo so. Ne sono certa. Se avessi avuto ancora un po' di tempo, so che lo avrei condotto a dirmi... Oh, se non fosse che i Wilkes debbono sempre sposarsi fra cugini!» Geraldo le prese il braccio e lo passò sotto al suo. - Ora andiamo a cena; e tutto questo rimane fra noi. È inutile preoccupare tua madre. Soffiati il naso, bambina. Rossella si soffiò il naso nel fazzoletto lacerato; quindi si avviarono a braccetto per il viale, col cavallo che li seguiva lentamente. In prossimità della casa la giovinetta stava per ricominciare a parlare, ma vide sua madre nella semioscurità del porticato. Aveva la cuffia, lo scialle e dietro a lei era Mammy col volto annuvolato, tenendo fra le mani la borsa di cuoio nero in cui Elena O'Hara portava sempre le bende e i medicinali che adoperava per curare gli schiavi. Le labbra di Mammy erano grosse e pendule; e quando essa era indignata, quello inferiore poteva raggiungere il doppio della sua lunghezza normale. In questo momento era lunghissimo, e Rossella comprese che Mammy stava rimuginando qualche cosa che non approvava. - Mister O'Hara - gridò Elena quando li vide avvicinarsi lungo il viale. Elena apparteneva a una generazione che rimaneva cerimoniosa anche dopo diciassette anni di matrimonio e la nascita di sei figli. - Mr. O'Hara, c'è bisogno di me dagli Slattery. Emma ha avuto un bambino, ma è moribondo e bisogna battezzarlo. Vado con Mammy a vedere che cosa posso fare. La sua voce aveva un tono interrogativo, come se ella attendesse l'approvazione di suo marito; una semplice formalità ma che a Geraldo faceva piacere. - Santo Dio! - proruppe Geraldo - perché quegli straccioni della palude vengono a chiamarti proprio a ora di cena e mentre io desidero raccontarti quello che si dice della guerra ad Atlanta! Vai, signora O'Hara. Non dormiresti tranquilla stanotte sapendo che fuori c'è qualcuno che ha delle angustie e tu non sei ad aiutarlo. - Non riposare mai tranquilla, perché dovere tante volte alzarsi per curare negri e bianchi poveri che non possono curarsi da soli - borbottò Mammy con voce monotona mentre scendeva i gradini e andava verso la carrozza che aspettava nel viale laterale. - Prendi il mio posto a tavola, cara - disse Elena accarezzando dolcemente il volto di Rossella con la mano coperta dal mezzo guanto. Benché sentisse alla gola il nodo delle lagrime, la fanciulla rabbrividí al tocco magico della mano materna, e al debole profumo di verbena che emanava la sua veste di seta. Per lei vi era in Elena O'Hara qualche cosa che toglieva il respiro; un miracolo che viveva in casa con lei e le ispirava rispetto, la affascinava, la blandiva. Geraldo accompagnò sua moglie fino alla carrozza e diede ordine al cocchiere di fare attenzione. Tobia, che aveva cura da vent'anni dei cavalli di Geraldo, sporse le labbra con muta indignazione nel sentirsi dire come doveva guidare. Mentre si allontanava, con Mammy seduta accanto a lui, entrambi erano la perfetta personificazione del broncio africano pieno di biasimo. - Se io non facessi tanto per quegli straccioni bianchi degli Slattery ed essi dovessero pagare qualcuno per tante cose - si adirò Geraldo - sarebbero costretti a vendermi quei miserabili pochi jugeri di fondo di palude e la Contea sarebbe sbarazzata di loro. - Poi, rallegrandosi in anticipazione di una delle sue solite burle: - Vieni, figliuola; andiamo a dire a Pork che invece di comprare Dilcey ho venduto lui a John Wilkes. Gettò le redini del suo cavallo a un negretto che era lí accanto e si avviò su per i gradini. Aveva quasi dimenticato il crepacuore di Rossella, e pensava solo a burlarsi del suo domestico. Rossella salí lentamente gli scalini dietro a lui, coi piedi pesanti. Pensava che, dopo tutto, un'unione fra lei e Ashley non sarebbe stata piú strana di quella di suo padre con Elena Robillard O'Hara. Come sempre, si chiese come mai sua padre, cosí rumoroso e cosí poco sensibile, avesse potuto sposare una donna come sua madre; poiché mai vi erano state due persone piú lontane come nascita, come educazione, come abitudini mentali.

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Melania, stranamente calma adesso, mandò telegraficamente all'attendente il denaro e l'ordine di ritornare subito a casa. Quando sulla nuova lista apparvero le parole «disperso - forse prigioniero», gioia e speranza rianimarono la casa. Melania non riusciva staccarsi dall'ufficio telegrafico se non per recarsi all'arrivo di tutti i treni, sperando di ricever lettere. Era molto sofferente; la gravidanza le dava parecchi disturbi, ma essa rifiutava di obbedire alle prescrizioni del dottor Meade che le ordinava di rimanere in letto. Era piena di una febbrile energia; la sera, Rossella la udiva per molto tempo passeggiare in camera sua dopo che tutti erano andati a dormire. Un pomeriggio tornò a casa nella carrozza che zio Pietro guidava col viso spaventato, sorretta da Rhett Butler. Era svenuta all'ufficio telegrafico e Rhett, che si trovava a passare e aveva visto la folla che si andava agglomerando, l'aveva riaccompagnata a casa. La portò su per le scale e la depose sul letto, sistemando i cuscini dietro il suo capo mentre tutte le donne di casa, sgomente, si affrettavano a prendere mattoni caldi, a cercare coperte e whisky. - Mrs. Wilkes - le disse Rhett bruscamente - voi aspettate un bimbo, non è vero? Se Melania non fosse stata cosí debole e sofferente, questa domanda l'avrebbe sbalordita. Anche con le amiche provava imbarazzo a parlare delle sue condizioni, e le visite del dottore erano un angoscioso tormento per lei. Ma che un uomo, e particolarmente Rhett Butler, le rivolgesse una domanda simile, era incredibile. Nel suo stato attuale, non fece che accennare di sí. E dopo, la cosa non le parve piú tanto tremenda perché Rhett sembrava preoccupato e molto affettuoso. - Allora bisogna che abbiate piú cura di voi stessa. Tutto questo correre su e giú non può farvi bene; e certamente danneggia il bambino. Se mi permettete, Mrs. Wilkes, cercherò, attraverso le relazioni che ho a Washington, di sapere qualche cosa di vostro marito. Se è prigioniero, sarà sulle liste dei Federali; e se non lo è... beh, tutto è preferibile all'incertezza. Ma ho bisogno della vostra promessa. Se non avete cura della vostra salute, giuro a Dio che non muoverò dito. - Come siete buono! - esclamò Melania. - Come fanno a dir tanto male di voi? - Quindi, sopraffatta dalla coscienza della spudoratezza dimostrata parlando del proprio stato con un uomo, cominciò a piangere debolmente. E Rossella, che saliva a precipizio le scale con un mattone caldo avvolto in un pezzo di flanella, la trovò con Rhett che le accarezzava una mano. Rhett mantenne la parola. Nessuno seppe mai quali fili egli riuscí a fare agire. Non osarono chiederglielo, per timore che ciò significasse un riconoscimento dei suoi stretti rapporti con gli yankees. Ci volle un mese prima di sapere qualche cosa; e le notizie che dapprima le sollevarono ai sette cieli, crearono nei loro cuori, in un secondo tempo, un'angoscia lacerante. Ashley non era morto! Era stato ferito e preso prigioniero; le informazioni dicevano che si trovava a Rock Island, un campo di prigionieri nell'Illinois. Nel primo impeto di gioia, pensarono solo al fatto che egli era vivo. Ma quando cominciarono a calmarsi, si guardarono sgomente, esclamando: - Rock Island! - come se avessero detto: - All'inferno! - Perché, come Aldersonville era un nome che spaventava quelli del Nord, cosí Rock Island terrorizzava gli abitanti del Sud che avevano qualche parente internato colà. Quando Lincoln rifiutò lo scambio dei prigionieri, credendo che il lasciare alla Confederazione il peso di nutrire e vestire i prigionieri dell'Unione avrebbe affrettato la fine della guerra, migliaia di uomini vestiti d'azzurro furono raccolti ad Aldersonville, in Georgia. I Confederati avevano scarsità di cibo e mancavano di medicinali e di articoli sanitari per i loro ammalati e feriti; avevano perciò ben poco da dividere coi prigionieri. Diedero loro da mangiare quello che davano ai soldati: grasso di porco e piselli secchi; e a questa dieta gli yankees morivano come le mosche; a volte piú di cento in un giorno. Inferocito da queste notizie, il Nord rese piú aspro il trattamento usato ai prigionieri confederati; e il luogo dove tale trattamento era peggiore era Rock Island. Il cibo era insufficiente; vi era una coperta ogni tre uomini; e le stragi prodotte dal vaiuolo, dalla polmonite e dal tifo fecero ritenere quel luogo come un lazzaretto. Tre quarti di coloro che vi eran mandati non ne uscivano vivi. E Ashley stava in quel luogo orrendo! Vivo, ma ferito; e a Rock Island la neve cadeva ininterrottamente. Era morto per le ferite, dopo che Rhett aveva avuto le informazioni? Era stato colpito dal vaiolo o delirava per la polmonite senza una coperta che lo riparasse? - Oh capitano Butler, non v'è modo... Non potete fare uso della vostra influenza per ottenere che venga scambiato? - esclamò Melania. - Mr. Lincoln, l'uomo giusto e pietoso che piange dirottamente sui cinque figliuoli di Mrs. Bixby, non ha lagrime per le migliaia di uomini che muoiono a Andersonville - rispose Rhett torcendo la bocca. - Non gl'importa nulla della loro morte. L'ordine è perentorio. Niente scambi. Non... non ve lo avevo detto prima, Mrs. Wilkes, ma a vostro marito è stata offerta la possibilità di uscirne e l'ha rifiutata. - No! - gridò Melania desolata. - Vi dico di sí. Gli yankees stanno reclutando uomini per il servizio di frontiera onde combattere contro gli Indiani; e li reclutano tra i prigionieri. Chiunque vuol prestare giuramento di fedeltà e arruolarsi nel reggimento che va contro gli indiani, vien liberato ed inviato in Occidente. Mr. Wilkes ha rifiutato. - Ma perché? - esclamò Rossella. - Perché non ha prestato giuramento per poi disertare e tornare a casa appena libero? Melania si volse a lei come una piccola furia. - Come puoi supporre che egli avrebbe fatto una cosa simile? Tradire la propria Confederazione prestando un abietto giuramento e poi mancare al giuramento stesso! Preferirei saperlo morto a Rock Island piuttosto che saperlo traditore. Sarei fiera di lui se morisse in prigione. Ma se facesse quello... non potrei piú guardarlo in faccia. Mai! È naturale che abbia rifiutato. Quando Rossella accompagnò Rhett alla porta, gli chiese, indignata: - Se foste stato voi, non vi sareste arruolato con loro, per evitare di morire in quel luogo, e non avreste poi disertato? - Senza dubbio - rispose Rhett, facendo brillare i suoi denti bianchi sotto ai baffetti neri. - E allora perché Ashley non l'ha fatto? - Perché è un gentiluomo. E Rossella si chiese come fosse possibile mettere in quella parola rispettosa tanto cinismo e tanto disprezzo.

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La predizione del dottor Meade fu giusta... fino a un certo punto. Johnston costituiva veramente un baluardo di ferro; e la sua resistenza fu cosí salda che gli yankees si ritirarono e tennero consiglio di guerra. Non potendo spezzare la linea dei confederati con un assalto diretto, pensarono di attraversare di nottetempo altri passi a semicerchio, sperando di giungere alle spalle dell'esercito di Johnston, tagliando la ferrovia dietro di esso, a Resaca; a quindici miglia al sud di Dalton. Visto il pericolo della preziosa linea ferroviaria, i confederati abbandonarono le trincee difese fino allora disperatamente e, alla luce delle stelle, fecero una marcia forzata sino a Resaca, per la via piú breve e diretta. Quando gli yankees, sciamando dalle alture, giunsero loro addosso, trovarono le truppe meridionali che li attendevano, trincerate dietro a parapetti improvvisati, con le batterie pronte e le baionette inastate. I primi feriti evacuati ad Atlanta portarono la notizia della ritirata del Vecchio Joe a Resaca; e la città fu sorpresa e un po' turbata. Era come se fosse apparsa una piccola nube a nord-ovest, la prima nube foriera di un temporale. Che diamine faceva il generale, permettendo che gli yankees penetrassero ancora per diciotto miglia nella Georgia? Le montagne erano una fortezza naturale, come aveva sempre detto il dottor Meade. Perché il Vecchio Joe non vi aveva trattenuto gli yankees? Johnston combatté disperatamente a Resaca e respinse di nuovo gli yankees; ma Sherman, con lo stesso movimento aggirante, formò col suo esercito un secondo semicerchio, attraversò il fiume Oostanaula e si lanciò ancora una volta sulla ferrovia alle spalle dei confederati. Le linee di questi furono nuovamente ritirate in gran fretta dai loro fossati rossi, per difendere la strada ferrata; e, indebolite dal sonno, esaurite dalla marcia e dalla battaglia e affamate, sempre affamate, esse fecero un'altra rapida ritirata a valle. Raggiunsero la cittadina di Calhoun, a sei miglia a sud di Resaca, con vantaggio sugli yankees, e si trovarono nuovamente pronti all'attacco quando quelli giunsero. Fu un attacco violento, in cui gli yankees furono respinti. Stanchi, i confederati chiesero adesso un po' di respiro e di riposo. Ma Sherman continuò ad avanzare inesorabilmente, allargando il suo esercito in una vasta curva, costringendo gli avversari a un'altra ritirata per difendere la ferrovia alle loro spalle. Marciavano dormendo, troppo stanchi per pensare; ma quando pensavano erano sempre pieni di fiducia nel Vecchio Joe. Sapevano che si ritiravano ma che non erano battuti. Soltanto, non avevano abbastanza uomini per poter contemporaneamente difendere le trincee e fronteggiare gli attacchi di fianco di Sherman. La ritirata era condotta con maestria; vi erano state poche perdite di uomini, mentre gli yankees lamentavano numerosissimi morti e feriti. I soldati grigi non avevano perduto un solo carriaggio e soltanto quattro cannoni; e Sherman non aveva potuto toccare la ferrovia alle loro spalle, malgrado i suoi attacchi frontali, lo spiegamento di cavalleria e gli attacchi di fianco. La ferrovia. Era ancora loro, quella piccola strada ferrata che attraverso la valle soleggiata giungeva ad Atlanta. I soldati si sdraiavano a dormire quando vedevano i binari scintillare debolmente alla luce delle stelle. Si sdraiavano a morire, e l'ultima cosa che i loro occhi scorgevano erano le rotaie metalliche che brillavano al sole spietato, nella calura soffocante. Mentre essi ripiegavano sulla vallata, un esercito di profughi ripiegava avanti a loro: piantatori e indiani crackers, ricchi e poveri, bianchi e negri, donne e bambini, vecchi, moribondi, paralitici, feriti, donne incinte affollavano la strada che conduceva ad Atlanta su treni, a piedi, a cavallo, in carrozze, carretti, furgoni su cui si accatastavano bauli e masserizie. I profughi precedevano di cinque miglia l'esercito in ritirata, fermandosi a Resaca, a Calhoun, a Kingston, sperando ad ogni tappa di sapere che gli yankees erano stati ricacciati sicché essi potessero tornare alle loro case. Ma non ritornavano sui loro passi per la strada piena di sole. Le truppe grige passavano dinanzi a case vuote, fattorie deserte, capanne solitarie con le porte spalancate. Qua e là qualche donna sola era rimasta con pochi schiavi spaventati; questi si recavano sulla strada a salutare le truppe, portando secchi d'acqua di pozzo per gli assetati; fasciavano i feriti e seppellivano i morti nelle loro tombe di famiglia. Ma in massima parte la valle era abbandonata e desolata e i raccolti si disseccavano sui campi lasciati nella piú assoluta incuria. Da Calhoun, Johnston indietreggiò a Adairsville, poi a Cassville e a Cartersville. Oramai il nemico aveva percorso cinquantacinque miglia dopo Dalton. A Chiesa della Nuova Speranza i grigi si fermarono per una tappa decisiva. E gli azzurri si avanzarono, senza tregua, come un serpente mostruoso che si snodava, colpiva velenosamente, ritraeva le sue spire ferite, ma colpiva di nuovo. Vi furono undici giorni di battaglia continua, disperata, a Chiesa della Nuova Speranza; gli assalti yankee vennero sanguinosamente respinti. Finché Johnston, investito ancora una volta di fianco, dové di nuovo ritirar di qualche miglio le sue linee assottigliate. I morti e feriti a Chiesa della Nuova Speranza furono numerosissimi. I feriti affluirono ad Atlanta nei treni rigurgitanti e la città fu atterrita. Mai, neanche dopo la battaglia di Chickamauga, ve n'erano stati tanti. Gli ospedali erano gremiti; si collocavano i feriti sul pavimento di magazzini vuoti, sopra balle di cotone. Negli alberghi, nelle pensioni, nelle case private i sofferenti si accalcavano. Zia Pitty ebbe la sua parte, benché protestasse contro la scorrettezza di avere degli estranei in casa quando Melania era in condizioni speciali, e certe visioni raccapriccianti potevano provocare un parto prematuro. Ma Melania tirò un po' piú su la sua crinolina per nascondere la vita ingrossata e i feriti invasero la casa di mattoni. Bisognò cucinare in continuazione, servire, far vento agli ammalati, lavare e arrotolare bende, e infinite furono le notti insonni, turbate dal parlare sconnesso di uomini in delirio. Finalmente la città fu satura, sicché i nuovi feriti furono incanalati verso Macon e Augusta. La nuvoletta all'orizzonte si era allargata rapidamente, e il temporale era ormai sulla città, con un vento pauroso e gelido. Nessuno aveva perduto la fede nell'invincibilità delle truppe; ma tutti - almeno i borghesi - avevano perso la fede nel generale. La Chiesa della Nuova Speranza era soltanto a trentacinque miglia da Atlanta! Il generale si era ritirato di sessantacinque miglia in tre settimane! Perché non resisteva, invece di ritirarsi? Era un pazzo, e peggio che un pazzo. Membri della Guardia Nazionale e della Milizia sostenevano che essi avrebbero condotto la campagna molto meglio e stendevano sulle tavole carte topografiche per dimostrare la verità di quanto asserivano. Quando le linee si assottigliarono ancora, il generale chiese disperatamente al Governatore Brown i suoi uomini; ma le truppe dello Stato erano in salvo e non vi era ragione di mandarle al macello. Combattere e ritirarsi! Per settanta miglia e venticinque giorni, i confederati avevano combattuto quasi quotidianamente. La Chiesa della Nuova Speranza era ormai un ricordo in mezzo ad altri tremendi ricordi del genere: caldo, polvere, fame, debolezza, marciare sulla strada rossa, sfangare nella mota rossastra, ritirarsi, trincerarsi, combattere... ritirarsi, trincerarsi, combattere. La Chiesa della Nuova Speranza era un incubo di vita trascorsa, e cosí Big Shanty, ove essi si rivoltarono a combattere come dèmoni. Ma anche dopo che i campi furono tutti turchini di morti yankee, sempre dei nuovi ne arrivavano, sempre di piú; sempre vi era quella sinistra curva delle linee azzurre, laggiú a sud-est, verso le retroguardie dei confederati, verso la ferrovia... verso Atlanta! Da Big Shanty le linee indebolite si ritirarono sulla strada della Montagna Kennesaw, presso la cittadina di Marietta, e quivi esse si allargarono in una curva di dieci miglia. Sui pendii delle montagne scavarono le loro trincee e stabilirono le feritoie, mentre sulle alture collocarono le loro batterie. Imprecando e sudando, gli uomini trascinarono i pesanti cannoni su per i versanti troppo ripidi perché i muli potessero arrampicarvisi. Messaggeri e feriti che giungevano ad Atlanta rassicurarono il popolo spaventato. Le alture di Kennesaw erano inespugnabili. Atlanta respirò di sollievo... Ma le montagne di Kennesaw distavano solo ventidue miglia! Il giorno in cui i primi feriti giunsero da Kennesaw, la carrozza della signora Merriwether fu dinanzi alla casa della zia Pitty alle sette di mattina; un'ora inverosimile! Il negro Zio Levi era latore di un biglietto che ingiungeva a Rossella di vestirsi immediatamente e recarsi all'ospedale. Fanny Elsing e le ragazze Bonnell, chiamate anche loro, sbadigliavano sul sedile in fondo, e la Mammy degli Elsing sedeva malinconicamente a cassetta con in grembo un cestino di materiale di medicazione appena lavato. Rossella si alzò malvolentieri, perché aveva ballato fino all'alba alla festa della Guardia Nazionale, e i piedi le dolevano. Maledisse silenziosamente l'instancabile e premurosa signora Merriwether, i feriti e tutta la Confederazione degli Stati del Sud, mentre Prissy le abbottonava il piú vecchio e sciupato dei suoi abiti di cotone, che usava per il servizio ospedaliero. Inghiottí l'amaro beveraggio di orzo e patate dolci disseccate che passava per caffè e scese a raggiungere le ragazze. Era stufa di tutto quel lavoro. Proprio quel giorno, direbbe alla signora Merriwether che Elena le aveva scritto di andare a Tara per un po' di tempo. Ma non le serví a nulla, perché la degna matrona, con le maniche rimboccate e il corpo robusto coperto da un ampio grembiale, le lanciò un'occhiata dura dicendole: - Non dite sciocchezze, Rossella Hamilton. Scriverò io oggi a vostra madre dicendole che ho bisogno di voi; e sono sicura che comprenderà e vi permetterà di restare. Svelta, mettetevi il grembiale e andate dal dottor Meade che ha bisogno di un aiuto per fare le fasciature. «Dio mio, che guaio!» pensò Rossella. «Certo la mamma mi dirà di restare; e io morirò se continuerò a sentire questo terribile odore! Vorrei esser vecchia, per poter comandare alle giovani, invece di ricevere ordini... e mandare le vecchie streghe come la Merriwether a farsi benedire!» Sí, era stanca di quella vita. Se vi era stato qualche cosa di romantico nel far l'infermiera, questo era finito da un pezzo. E poi, i feriti nella ritirata non erano simpatici come i primi. Non si curavano punto di lei e le chiedevano soltanto: - Come va la battaglia? Dov'è il Vecchio Joe? - E poi: - È bravo, sapete, il Vecchio Joe! Lei non credeva affatto alla bravura del Vecchio Joe, che aveva lasciato penetrare gli yankees nella Georgia per una profondità di ottantotto miglia. E tutti quei disgraziati che morivano, rapidamente, silenziosamente, essendo troppo indeboliti per combattere l'avvelenamento del sangue, la cancrena, il tifo e la polmonite che li avevano colpiti prima che fossero giunti ad Atlanta e avessero trovato un medico! La giornata era calda e le mosche entravano dalle finestre a sciami: grosse mosche che tormentavano gli uomini piú che non facessero le sofferenze. L'odore e i gemiti andavano aumentando. Il sudore bagnava il suo abito appena inamidato, mentre ella seguiva il dottor Meade con un catino fra le mani. Che nausea a stare accanto al dottore, cercando di non vomitare quando il suo bisturi tagliava le carni putride! E che orrore, gli urli della sala operatoria dove si facevano le amputazioni! Il cloroformio era cosí scarso che lo si adoperava soltanto per le amputazioni piú gravi e l'oppio era una cosa preziosa che serviva ad alleviare le pene dei moribondi, non quelle dei viventi. Non vi era né chinino né iodio. Rossella invidiava Melania che aveva il pretesto della gravidanza: l'unico accettato in quei momenti. A mezzogiorno si tolse il grembiale e sgusciò fuori dall'ospedale, incapace di resistere piú a lungo. Sapeva che quando fossero giunti i feriti col treno pomeridiano, vi sarebbe da fare per lei fino a sera, e probabilmente senza neanche mangiare. Si affrettò verso la Via dell'Albero di Pesco, respirando a grandi sorsate l'aria pura, per quanto glielo permetteva il busto allacciato stretto. Si fermò all'angolo, incerta sul da fare, poiché si vergognava di tornare a casa da zia Pitty, ma ben decisa a non tornare all'ospedale. In quel momento passò Rhett Butler in carrozzino. - Sembrate la figlia di un cenciaiolo - osservò, guardando con occhio critico l'abito di cotone rammendato e bagnato di sudore e d'acqua che era schizzata dal catino. Rossella fu irritatissima. Perché quell'uomo osservava sempre l'abbigliamento delle donne, e perché era cosí indelicato da rilevare la sua attuale ineleganza. - Non voglio che mi diciate nulla. Fatemi salire e conducetemi in qualche luogo dove nessuno mi veda. Non voglio tornare all'ospedale neanche se m'impiccano! Vi assicuro che non ne posso piú... - Traditrice della nostra gloriosa Causa! - Lo zoppo dà del cionco allo sciancato! Aiutatemi. Non m'importa dove stavate andando. Ora dovete condurmi a fare una passeggiata. Egli balzò a terra e Rossella pensò che era molto piacevole vedere un uomo non mutilato o pallido per la febbre o giallo per la malaria, ma di aspetto sano e ben nutrito. Era anche vestito elegantemente, e non aveva affatto l'aria preoccupata o turbata come tutti gli altri uomini. Il suo volto bruno era piacente e la sua bocca, dalle labbra rosse e ben tagliate, francamente sensuali, sorridevano distrattamente mentre egli l'aiutava a salire in carrozza. I muscoli del suo corpo robusto si disegnavano sotto l'abito fatto da un buon sarto; e, come sempre, la sensazione della sua forza fisica, la colpí, appena gli fu seduta accanto. Da lui emanava una vitalità gagliarda ed elastica, come quella di una pantera che si stirasse al sole, una pantera pronta a balzare e a colpire. - Piccola imbrogliona - disse mentre frustava il cavallo - ballate tutta la notte coi soldati, dando loro rose e nastri e dicendo che sareste pronta a morire per la Causa, e appena si tratta di fasciare quattro feriti e di togliere pochi pidocchi, tagliate la corda! - Non potreste parlare di qualche altra cosa e far correre di piú il cavallo? Non ci mancherebbe altro, che il vecchio Merriwether uscisse in questo momento dal suo negozio e poi andasse a dire alla vecc... a sua nuora che mi ha visto! Egli toccò la giumenta con la frusta e quella trottò vivamente lungo la strada dei Cinque Punti e attraversò i binari che tagliavano in due la città. Il treno carico di feriti era già arrivato e i portaferiti lavoravano attivamente a trasportare gli uomini malconci nelle ambulanze e nei carri coperti. Rossella non provò alcun rimorso vedendoli, ma solo un grande sollievo per essere riuscita a sfuggire. - Sono stanca dell'ospedale - riprese rassettandosi le gonne e legandosi meglio il nastro del cappello. - E ogni giorno ne arrivano di piú. Tutta colpa del generale Johnston. Se avesse tenuto testa agli yankees a Dalton... - Ma gli ha tenuto testa, bambina ignorante. E se avesse insistito a rimanere là, Sherman lo avrebbe aggirato e lo avrebbe schiacciato fra le due ali del suo esercito. Ed egli avrebbe perduto la ferrovia. - Insomma - fece Rossella per cui la strategia militare era arabo. - È sempre colpa sua. Avrebbe dovuto fare qualche cosa e mi pare che farebbero bene a mandarlo via. Perché non continua a combattere, invece di ritirarsi? - Anche voi, come tutti gli altri, chiedete la sua testa perché egli non può fare l'impossibile. A Dalton era Gesú il Salvatore; e alle montagne Kennesaw è Giuda il traditore. Tutto questo in sei settimane. Se riesce a respingere di nuovo gli yankees per venti miglia sarà nuovamente Gesú. Cara bambina, Sherman ha il doppio di uomini, e perciò può perderne due per ognuno dei nostri valorosi ragazzi. Invece Johnston non può perdere un solo uomo; anzi ha bisogno di rinforzi. - È vero che sarà chiamata la Milizia? e anche la Guardia Nazionale? - Cosí si dice. Sicuro, i beniamini del governatore Brown probabilmente dovranno andare a sentire l'odore della polvere e la maggior parte di essi sarà molto sorpresa. Il Governatore aveva promesso che non sarebbero andati; quindi si credevano al sicuro. Ma chi avrebbe creduto che la guerra sarebbe arrivata fin qui, e che essi avrebbero dovuto realmente difendere il loro Stato? - Come siete crudele a ridere di tutto questo! Figuratevi i vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale! Dovrà andare anche il piccolo Phil Meade e il nonno Merriwether e anche lo zio Enrico. - Ma io non parlo dei ragazzi né dei veterani della guerra messicana; alludevo ai bravi giovanotti come Guglielmo Guinan che ama portare una bella uniforme e agitare la sciabola... - E voi! - Mia cara, io non porto uniforme e non agito la sciabola; e la fortuna della Confederazione non m'interessa. Non faccio parte della Guardia Nazionale né di nessun esercito. Ne ho avuto abbastanza delle cose militari a West Point... Beh! spero che il Vecchio Joe abbia fortuna. Il generale Lee non può aiutarlo perché ha da fare nella Virginia. Perciò le truppe della Georgia sono l'unico rinforzo che può avere. Ma se fanno tanto da respingerlo dalle montagne e farlo scendere nella pianura di Atlanta ricordatevi le mie parole: sarà un macello. - La pianura di Atlanta? Ma è impossibile che gli yankees vi arrivino. - Kennesaw è soltanto a ventidue miglia, e scommetto... - Guardate lí in istrada, Rhett! Tutta quella gente! Non sono soldati! Che diamine...? Sono negri! Sulla strada si avanzava una nube di polvere rossa da cui veniva uno scalpiccio di piedi nudi; un centinaio e piú di voci negre, rauche e profonde, cantavano un inno. Rhett trasse la carrozza al di là della curva della strada e Rossella guardò curiosamente il gruppo di negri con zappe e picconi sulle spalle, guidati da un ufficiale e accompagnati da un gruppo di uomini che portavano le insegne del corpo del genio. - Che diamine...? - ricominciò. A un tratto i suoi occhi si posarono su un negro che era nella prima fila: un gigante alto quasi un metro e novanta, di un nero d'ebano, che camminava con la grazia flessuosa di una belva; i suoi denti bianchi brillavano mentre cantava «Scendi, o Mosè». Certamente sulla terra non vi era un altro negro cosí alto e con una voce cosí forte, eccettuato il grosso Sam, il capolavorante di Tara. Ma che diamine faceva qui il grosso Sam, cosí lontano da casa, specialmente ora che mancava il sorvegliante ed egli era il braccio destro di Geraldo? Mentre Rossella si sollevava a metà sul sedile della carrozza per vedere meglio, il gigante la scorse e sul suo volto nero si disegnò una smorfia di contentezza. Si fermò, lasciò cadere la sua zappa, e si avviò verso di lei, chiamando i negri piú vicini: - Dio onnipotente; Essere Miss Rossella! Guarda, Elia! Profeta! Apostolo! Vedere Miss Rossella! Vi fu confusione nei ranghi. La folla si fermò incerta, ghignando, e il grosso Sam, seguito da altri tre grandi negri, attraversò di corsa la strada verso la carrozza, seguito dall'ufficiale che gridava. - Tornate in linea! Tornate indietro vi dico, o... Oh, ma è Mrs. Hamilton! Buon giorno, signora; ed anche a voi, signore. Ma che cosa fate? Provocate l'ammutinamento e l'insubordinazione? Dio sa se mi hanno dato poco da fare stamattina, costoro! - Oh, capitano Randall, non li sgridate! Sono i nostri schiavi. Questo è il grosso Sam, il nostro capolavorante. E gli altri sono Elia, Apostolo e Profeta di Tara. È naturale che vengano a salutarmi. Come state, ragazzi? Strinse le mani a tutti; la sua bianca manina scomparve in quelle enormi dei negri, i quali furono pieni di gioia e di orgoglio, mentre spiegavano ai loro compagni che quella era la loro bella signorina. - Ma che cosa fate, cosí lontano da Tara? Scommetto che siete scappati. Essi risero compiaciuti. Poi il grosso Sam rispose: - Scappati? No, non essere scappati. Loro essere venuti a prenderci perché noi essere i piú grandi e piú forti di Tara. Avere specialmente cercato me, perché cantare cosí bene. Sí, Mist' Frank Kennedy essere venuto a prenderci. - Ma perché, grosso Sam? - Come, Miss Rossella! Non avere sentito? Noi dovere scavare trincee per signori bianchi per nascondersi dentro quando venire yankees. Il capitano Randall e i due che erano in carrozza nascosero un sorriso per questa ingenua spiegazione dell'uso delle trincee. - Mr. Geraldo non volere lasciarmi andare perché dire che non poter fare senza me, ma Mrs. Elena avere detto: «Prendere lui, Mr. Kennedy; Confederazione avere bisogno di grosso Sam piú di noi». E avere dato a me un dollaro e detto di fare tutto quello che ufficiali bianchi ordinare. E noi essere qui. - Che vuol dire tutto questo, capitano Randall? - Oh, molto semplice. Dobbiamo aggiungere alle fortificazioni di Atlanta parecchie miglia di trincee, e il generale non può occupare a questo dei combattenti. Perciò abbiamo cercato nelle campagne i tipi piú robusti per fare tutto il lavoro. - Ma... Un freddo principio di spavento strinse il petto di Rossella. Miglia di trincee! Per che cosa potevano servire? L'anno prima era stato costruito un certo numero di ridotte con piazzole per artiglieria tutto intorno ad Atlanta, a un miglio dal centro della città. Questi grandi lavori sotterranei erano collegati con fossati che circondavano completamente la città. - Ma... perché dobbiamo essere fortificati piú di quanto siamo già? Certamente il generale non lascerà che... - Le nostre fortificazioni attuali sono soltanto a un miglio dalla città - replicò brevemente il capitano Randall. - E sono troppo vicine per essere comode... o sicure. Queste nuove giungeranno assai piú lontano. Un altro ripiegamento condurrebbe i nostri uomini in Atlanta. Rimpianse immediatamente di aver detto queste parole, perché vide gli occhi di lei dilatarsi dal terrore. Ma certamente non vi sarà un altro ripiegamento - si affrettò a soggiungere. - Le linee attorno a Kennesaw sono inespugnabili. Le batterie sono piantate al sommo delle montagne e dominano le strade; quindi gli yankees non possono in nessun modo attraversarle. Ma Rossella vide che egli abbassava gli occhi dinanzi allo sguardo penetrante di Rhett e fu sgomentata. Ricordò l'osservazione di Butler: «Se riescono a farlo ritirare nella pianura d'Atlanta, sarà un macello». - Ma credete, capitano... - Ma no! Non vi preoccupate. Il Vecchio Joe ritiene giusto prendere delle precauzioni che sono eccessive. Questo il motivo delle nuove trincee... Ma ora dobbiamo andare. Molto lieto di avervi veduta. Salutate la vostra padrona, ragazzi, e andiamo. - Addio, ragazzi. Se state poco bene, o altro, informatemi. Abito in Via dell'Albero di Pesco; quasi l'ultima casa della città. Un momento... - Frugò nella sua reticella. - Dio mio, non ho neanche un quattrino. Per favore, Rhett, datemi qualche spicciolo. Tieni, grosso Sam, compra un po' di tabacco per te e per i tuoi compagni. E siate buoni e ubbidienti col capitano Randall. Il gruppo si riformò, la polvere si levò nuovamente in una nuvola rossa quando essi ripresero a camminare. E la voce del grosso Sam si levò un'altra volta a cantare: «Scendi, Moseeeè! Quaggiú, sulla teeeerra d'Egiiiitto! E di' al vecchio Faraooone di lasciarci andar liiiiberi!» - Rhett, il capitano Randall mi ha mentito, come tutti gli uomini... che cercano di nasconderci la verità per timore dei nostri svenimenti. Se non vi è pericolo, Rhett, perché fanno queste nuove fortificazioni? E l'esercito è cosí povero d'uomini che occorre servirsi dei negri? Rhett diede la voce alla giumenta. - L'esercito è terribilmente impoverito. Altrimenti, perché verrebbe chiamata la Guardia Nazionale? Quanto alle fortificazioni, possono servire in caso d'assedio. Il generale si prepara a compiere qui la sua ultima ritirata. - Un assedio! Oh, voltate il cavallo. Voglio tornare a casa mia, a Tara, subito subito. - Perché tanta fretta? - Un assedio! Ma ci pensate: un assedio! Dio mio, ne ho sentito parlare... Il babbo ci si è trovato, o forse suo padre, e mi ha raccontato... - Quale assedio? - Quello di Drogheda, quando Cromwell strinse gli irlandesi e questi non avevano nulla da mangiare... Il babbo mi ha detto che morivano di fame per le strade e che finirono col mangiare gatti e topi e perfino scarafaggi... E mi ha detto che prima di arrendersi si mangiarono gli uni con gli altri... ma non so se questo sia vero. Un assedio! Madre di Dio! - Siete la donna piú barbaramente ignorante che io abbia conosciuta. L'assedio di Drogheda è stato nel Seicento e qualche cosa, e il signor O'Hara non può esservisi trovato. Del resto, Sherman non è Cromwell. - Ma è peggio! Dicono... - Quanto alle carni strambe mangiate dagli irlandesi... vi assicuro che per conto mio preferirei un topo ben cucinato a certa roba che mi propinano all'albergo. Credo che farò bene a tornare a Richmond. Lí c'è ancora da mangiar bene se si ha denaro per pagarlo. I suoi occhi irridevano lo sgomento dipinto sul volto di lei. Irritata di aver lasciato vedere la propria paura, ella gridò: - Non so davvero perché siate rimasto qui tanto tempo! Non pensate se non a mangiar bene e altre cose del genere! - Trovo che è il miglior modo di passare il tempo: mangiare e... hm, altre cose del genere. Quanto all'essere rimasto qui... ho letto tante descrizioni di assedi, ma non ne ho mai visto nessuno. Non mi dispiacerebbe assistervi. Non ho nulla da temere, non essendo un combattente; e quest'esperienza mi attira. Non bisogna mai trascurare le esperienze, Rossella: esse arricchiscono la mente. E poi rimango per salvarvi quando vi sarà l'assedio. Non ho mai salvato una donna in pericolo. Anche questa sarà un'esperienza interessante. Rossella sentiva che egli la prendeva in giro; ma che nelle sue parole era un fondo di serietà. Crollò la testa, infastidita. - Non ho nessun bisogno che mi salviate. So badare a me stessa, grazie. - Non lo dite, Rossella! Pensatelo, se volete, ma non ditelo mai a un uomo. Questo è il torto delle ragazze yankee, che sarebbero simpaticissime se non dicessero sempre che non hanno bisogno di nessuno. E allora gli uomini lasciano che se la sbroglino da sole. Fu seccatissima, perché nessun insulto poteva esser peggiore che l'essere paragonata a una ragazza yankee. - Come correte! - gli disse quindi gelida. - Mi raccontate delle frottole; sapete benissimo che gli yankees non arriveranno mai ad Atlanta. - Scommetto che saranno qui fra meno di un mese. Scommetto una scatola di dolci contro... - I suoi occhi neri corsero alle rosee labbra di lei. - Contro un bacio. Per un attimo il timore dell'invasione yankee le strinse il cuore, ma la parola «bacio» la distrasse subito. Questo era un terreno conosciuto, assai piú interessante delle operazioni militari. Represse a stento un sorriso di trionfo. Dal giorno in cui le aveva regalato il cappello verde, Rhett non aveva mai detto una parola che potesse essere interpretata come quella di un innamorato. E adesso, senza nessun incoraggiamento da parte sua, eccolo che parlava di baci. - Non mi piacciono questi discorsi - replicò con freddezza. - E del resto, preferirei baciare un maiale. - Non si tratta di gusto; e d'altronde ho sempre sentito che gli irlandesi hanno simpatia per i porci. Li tengono perfino sotto al letto. Ma voi, Rossella, avete un tremendo bisogno di baci. Tutti i vostri spasimanti vi hanno rispettata troppo, Dio sa perché!, o hanno avuto paura di comportarsi come bisognava con voi. Il risultato è che vi date delle arie insopportabili. Avete bisogno di esser baciata, e da uno che sa baciare. La conversazione non si svolgeva come Rossella desiderava; cosa che le accadeva sovente con lui. - E probabilmente credete di esser voi la persona adatta? - gli chiese con sarcasmo, dominandosi a stento. - Senza dubbio, se volessi prendermi la pena... Dicono che so baciare molto bene. - Oh... - cominciò indignata nel sentire cosí messo in non cale il suo fascino. Ma abbassò gli occhi confusa, vedendo nella profondità dei suoi occhi, malgrado il sorriso irridente, una fiammella che si spense subito. - Probabilmente, vi sarete chiesta perché non ho dato alcun seguito a quel casto bacetto che vi diedi, il giorno in cui vi portai il cappello... - Non ho mai... - Vuol dire che non siete sensibile, Rossella; e questo mi dispiace. Tutte le ragazze sensibili si stupiscono se un uomo non tenta di baciarle. Sanno che non dovrebbero desiderarlo e che dovrebbero sentirsi insultate se un uomo lo facesse... ma lo desiderano ugualmente. Fatevi coraggio, cara. Un giorno o l'altro vi bacerò e la cosa vi piacerà. Ma adesso no; perciò vi prego di non essere impaziente. Come sempre, il suo scherno la rendeva furente. Vi era sempre troppa verità in quello che egli diceva. Ma questo era troppo. Gli darebbe una buona lezione, il giorno in cui fosse tanto villano da tentare di prendersi qualche libertà! - Volete aver la bontà di voltare il cavallo, capitano Butler? Desidero tornare all'ospedale. - Davvero, bell'angelo assistente? Pidocchi e catini di sangue sono preferibili alla mia conversazione? Lungi da me impedire a due mani volenterose di lavorare per la Nostra Causa Gloriosa! - Voltò il cavallo e questo riprese il cammino verso i Cinque Punti. - Quanto al fatto di non aver mosso piú alcun passo - riprese come se ella non gli avesse fatto comprendere che la conversazione era terminata - vi dirò che aspettavo che foste un po' piú donna. Sono egoista, nei miei piaceri; e non ho mai amato baciare le bambine. Accennò a un sogghigno, vedendo con la coda dell'occhio il seno di lei che ansimava di collera silenziosa. - E poi - continuò dolcemente - aspettavo che il ricordo dello stimabile Ashley Wilkes impallidisse alquanto. All'udire il nome di Wilkes, una pena improvvisa le strinse il cuore, mentre le lagrime le pungevano gli occhi. Impallidire, il ricordo di Ashley? Neanche se fosse morto da mille anni. Pensò al giovine ferito, moribondo in una lontana prigione yankee, senza un cencio per coprirsi, senza una persona amata che gli tenesse la mano, e fu piena di odio verso l'uomo ben pasciuto che le sedeva accanto e che le parlava con un leggero sarcasmo nella voce strascicata. Era troppo adirata per parlare, sicché continuarono per un poco a procedere in silenzio. - Ora ho ricostruito tutto sul conto vostro e di Ashley - riprese Rhett dopo un certo tempo. - Ho cominciato quando avete fatto quella volgare scenata alle Dodici Querce; e da quel giorno ho appreso molte cose tenendo gli occhi aperti. Quali cose? Per esempio, che voi nutrite ancora per lui una romantica passione da scolaretta, che egli ricambia nei limiti che la sua natura di uomo onesto gli permette. E che Mrs. Wilkes non ne sa nulla; fra tutti e due, le avete fatto un bello scherzo. Ho capito tutto, meno una cosa che punge la mia curiosità. L'ineffabile Ashley ha mai compromesso la sua anima immortale baciandovi? Un silenzio e un gesto del capo che si volgeva altrove furono la risposta. - Bene; dunque vi ha baciata. Immagino che sia stato quando fu qui in licenza. E ora che probabilmente è morto, voi circondate di un culto quel ricordo. Ma sono certo che finirete col dimenticarlo e allora... Ella si volse come una furia. - Allora... andate al diavolo! - E i suoi occhi verdi brillavano di collera. - E fatemi scendere da questa carrozza prima che io mi getti a terra. E non voglio che mi rivolgiate la parola mai piú! Egli fermò la carrozza; ma prima che potesse scendere per aiutarla, ella era balzata a terra. L'abito le si impigliò nella ruota, e per un attimo la folla dei Cinque Punti ebbe una rapida visione di sottovesti e mutandine. Ma Rhett si chinò e la liberò con sveltezza. Ella sfuggí senza una parola, senza neanche voltarsi indietro; l'uomo rise piano e diede la voce al cavallo.

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La tattica prudente del generale Johnston non era quella di Hood; questi assalí gli yankees a est e li assalí a ovest. Sherman stava accerchiando la città come un atleta che cerca il punto debole nel corpo dell'avversario; e Hood non rimase nelle sue trincee ad aspettare l'attacco. Uscí temerariamente ad incontrare il nemico e gli piombò sopra con violenza. In pochi giorni furono combattute le battaglie di Atlanta e di Ezra Church, ed entrambe furono di un'importanza che fece apparire quella dell'Albero di Pesco come una scaramuccia. Ma gli yankees non sembravano disposti a indietreggiare. Avevano sofferto enormi perdite, ma non cedevano. Le loro batterie lanciavano proiettili nell'interno della città, uccidendo persone nelle case, scoperchiando tetti, scavando buche nelle strade. I cittadini si ripararono alla meglio nelle cantine e nei sotterranei. Atlanta era in pieno assedio. Undici giorni dopo di aver assunto il comando, il generale Hood aveva perso quasi tanti uomini quanti ne aveva perduto Johnston in 74 giorni di battaglie e di ritirata, e Atlanta era investita da tre lati. La ferrovia da Atlanta a Tennessee era adesso completamente nelle mani di Sherman. L'unica ferrovia ancora aperta era quella che giungeva a Macon e Savannah. La città era affollata di soldati, rigurgitante di feriti, invasa da profughi; e quell'unica linea ferroviaria era inadeguata ai suoi bisogni. Ma finché era possibile difendere quella linea, Atlanta poteva resistere. Rossella fu terrorizzata quando comprese come quella linea era importante e come Sherman avrebbe combattuto per impadronirsene, e come Hood l'avrebbe disperatamente difesa. Questa era la ferrovia che raggiungeva la Contea passando per Jonesboro. E Tara era soltanto a cinque miglia da Jonesboro! Tara che le era sembrata dover essere un divino rifugio a confronto dell'ardente inferno di Atlanta, Tara era solo a cinque miglia da Jonesboro.

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Macon era la loro destinazione; e molti di quelli che presero il treno quella sera erano già fuggiti cinque o sei volte, da quando Johnston aveva cominciato a ripiegare. Ora viaggiavano con meno bagaglio di quando erano arrivati ad Atlanta. Parecchi non portavano se non una sacca da viaggio e un po' di viveri in un fardelletto. Qua e là servi spaventati portavano bricchi d'argento, posate e qualche ritratto di famiglia che era stato salvato nella prima fuga. Le signore Merriwether e Elsing rifiutarono di partire. C'era bisogno di loro all'ospedale; e inoltre esse dicevano fieramente che non avevano paura e che nessun yankee le avrebbe scacciate dalle loro case. Ma Maribella e il suo piccino, insieme a Fanny Elsing, andarono a Macon. La signora Meade fu disubbidiente per prima volta in vita sua e rifiutò di prendere, secondo l'ordine di suo marito, il treno che l'avrebbe portata in salvo. Disse che il dottore aveva bisogno di lei; e poi Phil era in trincea, ed ella voleva esser vicina, in caso... Ma la signora Whiting e molte altre signore del circolo di Rossella partirono. Zia Pitty, che era stata la prima ad accusare il Vecchio Joe per la sua politica di ripiegamento, fu anche tra le prime a fare i bauli. I suoi nervi - disse - erano delicati ed ella non poteva fuggire in cantina. Quindi andrebbe a Macon, dalla sua vecchia cugina, la signora Burr, e le ragazze andrebbero con lei. Rossella non desiderava affatto andare a Macon. Per quanto avesse paura delle cannonate, preferiva rimanere ad Atlanta, perché detestava cordialmente la vecchia Burr. Quindi disse che sarebbe andata a Tara, mentre Melly poteva andare a Macon con la zia. A questa proposta Melania cominciò a piangere in modo da spezzare il cuore. Quando Zia Pitty corse, a chiamare il dottore, Melania prese fra le sue le mani di Rossella, supplicandola: - No, non puoi andare a Tara e lasciarmi! Sarò tanto sola senza di te! Morirei se tu non fossi con me quando... quando arriverà il bambino. Sí, sí, so che c'è zia Pitty, che è tanto cara... Ma lei non ha mai avuto bambini... E poi, certe volte mi dà ai nervi... Non mi lasciare! Sei stata una sorella per me e poi... - e sorrise debolmente - hai promesso ad Ashley di aver cura di me. Mi disse che te lo avrebbe chiesto. Rossella la fissò stupita. Come poteva Melania voler tanto bene a chi stentava a dissimulare la sua antipatia per lei? E come poteva essere tanto stupida da non indovinare il segreto del suo amore per Ashley? Si era tradita tante volte, in quegli ultimi mesi di tormento! Ma Melania non poteva veder nulla di male nelle persone a cui voleva bene... Sí, aveva promesso di aver cura di Melania... E forse Ashley era morto; ma l'impegno che aveva preso la obbligava... - Va bene - disse brevemente - ho promesso e manterrò la mia promessa. Ma non voglio andare a Macon. Piuttosto verrai tu a Tara. Alla mamma farà piacere averti in casa. - Oh sí! È tanto cara, la tua mamma. Ma la zia morirebbe al pensiero di non essere accanto a me quando nascerà il bambino; e so che non vuole andare a Tara. È troppo vicina ai luoghi dove si combatte... Il dottor Meade, che era accorso all'urgente chiamata di Pitty aspettandosi di trovarsi di fronte a un parto prematuro, fu indignato; e udendo le ragioni di quello scompiglio, non nascose il suo pensiero. - Non c'è neanche da pensare, per voi, di andare a Macon, Melly. Non rispondo di voi se vi muovete. I treni sono rigurgitanti; e ci si può aspettare di esser pregati di scendere in mezzo ai boschi, se un treno occorre per trasporto di feriti. Nelle vostre condizioni... - Ma se andassi a Tara con Rossella... - Vi ho detto che non vi dovete muovere. Il treno di Tara è lo stesso treno di Macon. E poi, nessuno sa precisamente dove sono gli yankees... Il treno potrebbe anche essere catturato. E se anche arrivaste bene a Jonesboro, vi sono poi cinque miglia in carrozza per arrivare a Tara. Aggiungete che nella Contea non c'è neanche un medico, perché anche il vecchio dottor Fontaine ha raggiunto l'esercito. - Ma ci sono le levatrici... - Ho detto un medico - ribatté bruscamente il dottore; e involontariamente i suoi occhi corsero alla sua figuretta sottile. - Non voglio che vi muoviate. Non credo che desideriate di partorire in treno o in carrozzino, credo? La franchezza del sanitario costrinse le donne ad arrossire e a tacere imbarazzate. - Rimanete tranquilla qui, dove io posso sorvegliarvi; e state a letto. Inutile correre su e giú per le cantine. No, neanche se i proiettili entrano dalle finestre. Dopo tutto, pensate che fra breve gli yankees saranno battuti... Dunque, miss Pitty, voi andate a Macon e lasciate qui le giovani signore. - Sole? - gridò Pitty inorridita. - Ci sono tante donne anziane. E mia moglie abita a due passi. Del resto, con miss Melly in quelle condizioni, non credo che riceveranno visite di uomini. Dio mio, miss Pitty! È tempo di guerra. Non si può badare tanto alle convenienze. Uscí dalla stanza e discese, fermandosi nel porticato ad attendere che Rossella lo raggiungesse. - Vi parlerò francamente - le disse tirandosi la barbetta grigia. - Mi sembra che abbiate un certo buon senso; quindi risparmiatemi i rossori inutili. Non voglio piú sentir parlare di viaggi per Melly. Temo che non resisterebbe. Avrà un parto difficile, anche nella migliore delle ipotesi... È stretta di bacino e probabilmente avremo bisogno del forcipe; perciò non voglio che càpiti nelle mani di qualche ignorante levatrice negra. Le donne come lei non dovrebbero aver bambini, ma... Ad ogni modo, fate i bauli di miss Pitty e mandatela a Macon. È cosí spaventata che non è una buona compagnia per sua nipote. Quanto a voi - proseguí fissandola coi suoi occhi penetranti - non voglio sentir dire che andate a casa. Rimarrete qui fino alla nascita del piccino. Non avete paura, spero? - Oh no! - mentí Rossella. - Brava figliuola. Mia moglie vi farà da accompagnatrice sempre che ne avrete bisogno, e vi manderò la vecchia Betsy per farvi la cucina, perché miss Pitty vuol portare con sé i suoi servi. Sarà per poco. Il bimbo dovrebbe nascere tra cinque settimane, circa; ma con le primipare non si può mai esser sicuri. Può anche anticipare. Zia Pitty partí per Macon, piangendo a calde lagrime, portando con sé zio Pietro e la cuoca. Regalò all'ospedale la carrozza e il cavallo, in uno slancio di patriottismo di cui si pentí immediatamente. E Rossella e Melania rimasero sole con Wade e Prissy in una casa che era adesso assai piú tranquilla, malgrado il cannoneggiamento continuo.

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IN quei primi giorni dell'assedio, mentre gli yankees cercavano qua e là di penetrare attraverso il cerchio di difesa, Rossella provava una tal paura ad ogni cannonata che non riusciva se non a tapparsi le orecchie con le mani, aspettandosi da un attimo all'altro di esser travolta. Quando udiva l'urlo che annunciava l'avvicinarsi del proiettile, si precipitava in camera di Melania e si gettava sul letto accanto a lei; si abbracciavano strette nascondendo il capo fra i guanciali, gridando. Prissy e Wade fuggivano in cantina, nell'oscurità piena di ragnatele; Prissy urlando con quanta voce aveva in gola, Wade singhiozzando e gemendo. Allo spavento di potere essere squarciata da un obice si aggiungeva il terrore che da un momento all'altro nascesse il bimbo di Melania. Che avrebbe fatto, in questo caso? Sapeva che avrebbe lasciato morire Melania piuttosto che arrischiarsi ad andare a cercare il dottore, con le palle di cannone che cadevano come pioggia d'aprile. E sapeva che Prissy si sarebbe lasciata ammazzare prima di uscir di casa. Che farebbe, dunque? Discuteva di questo sottovoce con Prissy che calmò i suoi timori. - Miss Rossella, non preoccuparti per dottore quando essere momento. Io sapere come fare. Mia mamma essere levatrice, e avermi abituata per fare anche me levatrice. Tu lasciar fare a me. Rossella respirò sollevata; ma nondimeno continuò a desiderare disperatamente che quella prova fosse già passata. Anelante di esser lontana dal rombo del cannone, nella tranquillità di Tara, ogni sera pregò fervidamente perché il bimbo nascesse l'indomani; ella avrebbe allora assolto la sua promessa e potrebbe lasciare Atlanta. Tara le sembrava sicura e lontana da tutti gli spaventi. Smaniava per la sua casa e per la mamma come non aveva mai smaniato per nulla nella vita. Le sembrava che vicino a Elena non avrebbe paura, qualunque cosa accadesse. E ogni sera andava a letto con l'intenzione di dire a Melania, l'indomani, che non poteva piú resistere e che voleva partire per Tara; Melania sarebbe andata in casa della signora Meade. Ma appena coricata, si rivedeva davanti il viso di Ashley mentre, torturato internamente, le diceva con un lieve sorriso: «Avrete cura di Melania, non è vero? Voi siete forte... Promettetemelo.» Ed ella aveva promesso. Ashley era certamente morto, e la vedeva, la costringeva a mantenere la promessa. Rispondendo alle lettere di Elena che la scongiuravano di tornare a casa, ella scrisse diminuendo la gravità del pericolo, spiegando le condizioni di Melania e promettendo di partire subito dopo la nascita del bimbo. Elena, sensibile ai legami di parentela, acconsentí riluttante, ma chiedendo che mandasse immediatamente a casa Wade e Prissy. Quest'idea fu completamente approvata da Prissy, che era ormai ridotta un'idiota che batteva i denti al menomo rumore. Passava tanto tempo in cantina, che le ragazze non avrebbero neanche potuto mangiare, se non vi fosse stata la vecchia Betsy a cucinare qualche cosa. Rossella era anch'essa ansiosa di mandare il piccino lontano da Atlanta, non tanto per la sua salvezza, quanto perché i suoi terrori la irritavano in sommo grado. Wade era talmente impaurito dal fragore delle esplosioni che rimaneva afferrato alle gonne della madre anche durante i momenti di calma, senza neanche poter emettere la voce. Aveva paura di andare a letto la sera, paura del buio, paura di addormentarsi perché gli yankees potevano arrivare e portarlo via; e il suo tremito lieve durante la notte la esasperava. Ella non era meno sbigottita di lui; ma il vedersi ricordata continuamente la sua paura da quel visino atterrito la irritava. Sí; Tara era il luogo adatto per Wade. Prissy ve l'avrebbe portato subito, ritornando senza indugio per trovarsi presente al momento del parto di Melania. Ma prima che Rossella li avesse messi sul treno, giunse notizia che gli yankees si erano avanzati verso il sud e che continue scaramucce si svolgevano lungo la ferrovia fra Atlanta e Jonesboro. Se il treno su cui viaggiavano Prissy e il bimbo fosse catturato... Rossella e Melania impallidirono a questo pensiero, perché le atrocità degli yankees contro i bambini erano ben note. Quindi si rinunciò a mandarlo a Tara, ed egli rimase in casa, silenzioso come lo spettro della paura, sempre attaccato alla sottana di sua madre, come se quella fosse la sola salvezza possibile. L'assedio continuò durante le soffocanti giornate di luglio e la città cominciò ad adattarvisi. Sembrava che ormai il peggio fosse passato, e che non vi fosse altro da temere. La vita poteva riprendere quasi normalmente. Tutti sapevano che si trovavano su un vulcano, ma finché questo non eruttava, non vi era nulla da fare. Perché preoccuparsi, dunque? Chi sa se avrebbe eruttato mai... Hood tratteneva il nemico e la cavalleria difendeva la ferrovia di Macon. No, la città non sarebbe invasa! A poco a poco Rossella riprese coraggio. Certo, continuava a sobbalzare ad ogni cannonata, ma non correva piú a nasconder la testa fra i guanciali di Melania. Si limitava a dire debolmente: - Questa è caduta vicina, vero? Era meno atterrita anche perché la vita ora aveva preso la consistenza di un sogno: troppo tremendo per esser vero. Non era possibile che lei, Rossella O'Hara, si trovasse in continuo pericolo di morte; non era possibile che la loro tranquilla esistenza fosse mutata completamente in cosí breve tempo. Era irreale - grottescamente irreale - che quel cielo cosí azzurro al mattino potesse esser profanato dal fumo dei cannoni che restava sospeso sulla città come nuvole dense; che i caldi meriggi pieni della penetrante dolcezza del caprifoglio e delle rose rampicanti potessero essere cosí spaventosi quando i proiettili scoppiavano nelle strade, lanciando attorno schegge che laceravano uomini e animali. Le sonnolente sieste pomeridiane erano cessate perché - nonostante vi fossero periodi di calma - la Via dell'Albero di Pesco era rumorosa a tutte le ore per lo strepito dei cannoni e delle ambulanze che passavano, il gemito dei feriti che venivano trasportati agli ospedali, il calpestío frettoloso dei reggimenti che passavano, dalle trincee stabilite in un lato della città alle fortificazioni del lato opposto piú minacciate, e la corsa precipitosa dei corrieri che si affrettavano verso il Quartier Generale come se da loro dipendesse il destino della Confederazione. Le notti portavano il silenzio; ma un silenzio sinistro e minaccioso. Era come se le rane, i grilli, i merli fossero troppo spaventati per alzar la voce nel consueto coro delle notti estive. Qua e là la quiete era interrotta dal crepitio di qualche fucilata sparata dalle ultime linee di difesa. Sovente, nelle ultime ore della notte, quando i lumi erano spenti e Melania dormiva, Rossella - che era desta - udiva cigolare il cancello d'entrata e bussare leggermente ma frettolosamente alla porta. Soldati senza volto erano nell'oscurità del porticato e voci sconosciute parlavano. A volte eran voci e modi piú signorili: - Signora, infinite scuse del disturbo: potrei avere un po' d'acqua per me e per il mio cavallo? - A volte erano le voci profonde dei montanari, altre volte quelle nasali dell'estremo Sud, piú raramente la cadenza strascicata della costa che le colpiva il cuore, perché le ricordava la voce di Elena. - Signora, c'è un mio camerata che avevo messo in groppa, ma non può piú reggersi... Potete farlo entrare? - Signora, perdonate l'indiscrezione, ma... posso passare la notte sotto al vostro porticato? Ho visto le rose e ho sentito l'odore del caprifoglio... come a casa mia!... No, quelle notti non erano reali. Erano un incubo e costoro ne facevano parte: uomini senza viso e senza corpo, voci stanche che uscivano dalle tenebre. Dar loro dell'acqua, somministrare cibo, metter guanciali nel porticato, fasciar ferite, sorregger la testa ai moribondi... No, impossibile che questo stesse accadendo a lei! Una notte fu zio Enrico che venne a bussare. Non aveva piú l'ombrello né la valigetta; e anche la sua pancia era scomparsa. La pelle del viso pendeva floscia come quella delle guance di un bull-dog e i suoi lunghi capelli bianchi erano incredibilmente sudici. Era quasi scalzo, formicolante di pidocchi e affamato; ma il suo spirito irascibile non era domo. Lo avevano utilizzato come un giovinotto; ed egli poteva effettivamente competere coi giovani, cosa impossibile al nonno Merriwether, con la sua lombaggine. Il capitano aveva voluto rimandare a casa il vecchio, ma questi si era opposto: preferiva ancora la guerra alla convivenza con la nuora, che brontolava tutto il giorno, per fargli smettere di masticar tabacco e altre cose simili. La visita di zio Enrico fu breve: aveva avuto solo ventiquattro ore di permesso; e la metà di quel tempo occorreva per venire dalle fortificazioni e ritornarvi. - Ragazze, non vi rivedrò per un pezzo - annunciò mentre immergeva voluttuosamente i piedi nel catino d'acqua fresca che Rossella gli aveva posto dinanzi, nella camera da letto di Melania. - La nostra compagnia si mette in moto domattina. - Per andar dove? - chiese Melania afferrandogli il braccio. - Non mi toccate! Sono pieno di pidocchi. La guerra sarebbe un divertimento, se non vi fossero i pidocchi e la dissenteria. Dove andiamo? Non me l'hanno detto, ma mi pare di aver capito che si va verso il Sud, verso Jonesboro. - E perché? - Perché ci sarà da combattere in quella zona, cara figliuola. Gli yankees tentano di impadronirsi della ferrovia. E se la prendono, buona notte Atlanta! - Dio, Dio, zio Enrico, credi che vi riusciranno? - Silenzio, ragazze! Come volete che la prendano, se ci sono io? - Zio Enrico sorrise del loro spavento; poi tornando serio: - Sarà una dura battaglia, figliuole. Dobbiamo vincerla. Sapete che gli yankees hanno in mano tutte le ferrovie, eccetto quella di Macon; ma oltre a questo - forse voialtre lo ignorate - sono padroni di tutte le strade, eccetto quella di McDonough. Atlanta è in un culdisacco, e i cordoni di questo sono a Jonesboro. Se gli yankees prendono quella ferrovia, possono tirare la corda e prenderci come un topo in trappola. Ecco perché non bisogna che la prendano... Vado, ragazze. Sono venuto soltanto per salutarvi e per vedere se Rossella era ancora con te, Melania. - È naturale che è con me - rispose Melania affettuosamente. - Non ti preoccupare per noi, zio, e bada a te stesso. Lo zio si asciugò i piedi; quindi, infilandosi le sue scarpe a brandelli, emise un gemito. - Bisogna che vada - disse poi. - Ho da percorrere cinque miglia. Rossella, trovami qualche cosa da mangiare, da portar via. Qualunque cosa. Dopo avere abbracciato Melania, scese in cucina dove Rossella stava avvolgendo in un tovagliolo una focaccia di granoturco e qualche mela. - Zio... è davvero una cosa tanto seria? - Seria! Sicuro, perbacco. Sono le nostre ultime difese. - E credete... che arriveranno a Tara? - Che diamine... - cominciò zio Enrico, irritato di quella mentalità femminile che pensava solo a ciò che la interessava personalmente. Quindi, vedendo il suo volto atterrito, si raddolcí. - Certo no. Tara è a cinque miglia dalla ferrovia, e gli yankees non mirano che a questa. Hai il cervello di un passerotto. - Si interruppe bruscamente. Poi riprese: - Non ho fatto tutta questa strada stasera soltanto per salutarvi. Ho delle cattive notizie da comunicare a Melania, ma quando è stato il momento di dirglielo, me n'è mancato il coraggio. Quindi lascio l'incarico a te. - Ashley... avete saputo... che è morto? - Come vuoi che sappia qualche cosa di Ashley, in fondo a una trincea? No. Si tratta di suo padre. John Wilkes è morto. Rossella sedette di colpo, tenendo in mano il fardelletto non ancora annodato. - Volevo dirlo a Melania... ma non ho potuto. Glielo dirai tu. E dàlle questi. Trasse di tasca un pesante orologio d'oro da cui pendevano dei suggelli, una piccola miniatura della defunta signora Wilkes e un paio di grossi bottoni da polso. Fu soltanto nel vedere l'orologio che tante volte aveva scorto fra le mani del vecchio Wilkes, che Rossella comprese veramente che il padre di Ashley era morto. E fu troppo colpita per piangere. Lo zio tossicchiò senza guardarla, temendo delle lagrime che lo avrebbero sconvolto. - Era un uomo coraggioso, Rossella. Dillo a Melly. E dille che lo scriva alle figlie. Ed è stato un ottimo soldato, malgrado la sua età. Una granata lo ha squarciato ed ha ferito anche il cavallo, che ho poi finito io stesso. Era una bella giumenta. Sarà bene che tu scriva anche alla signora Tarleton per informarla. Teneva moltissimo alla sua cavallina. Dammi quel fardello, bambina, debbo andare. E non prendertela tanto. Non è una bella morte, per un vecchio, finire come un giovine? - No, non doveva morire! Non doveva andare alla guerra... Doveva vivere per veder crescere il suo nipotino e poi morire tranquillamente nel suo letto. Oh, perché è andato? Non credeva alla secessione e odiava la guerra... - Molti di noi la pensano cosí, ma a che serve? Credi che mi diverta servir da bersaglio, alla mia età, ai tiratori yankee? Ma non vi è altra scelta, in questi momenti, per un gentiluomo. Abbracciami, bambina, e non stare in pensiero per me. Uscirò da questa guerra sano e salvo. Rossella lo abbracciò e ascoltò i suoi passi nel buio; udí aprirsi e richiudersi il cancello. Rimase un attimo a guardare gli oggetti che aveva in mano. Poi salí le scale per andare da Melania.

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Dopo aver mandato a Melania il vassoio della colazione, Rossella disse a Prissy di recarsi a chiamare la signora Meade; quindi sedette con Wade per mangiare a sua volta. Ma per una volta tanto non aveva appetito. L'apprensione nervosa per Melania e il terrore del cannone le toglievano l'appetito. Il suo cuore si comportava in modo strano: per qualche minuto batteva regolarmente, poi a tonfi sordi e rapidi che le facevano quasi dolere il petto. Stentava a inghiottire la pesante farinata di granoturco; e la miscela d'orzo e di patate dolci che passava come caffè non era mai stata cosí ripugnante. Senza zucchero né crema, era amara come il fiele; la graminacea che doveva addolcirla ne migliorava assai poco il sapore. Respinse la tazza dopo il primo sorso. Se non vi fosse stata altra ragione per odiare gli yankees, vi era questa privazione di caffè con zucchero e crema. Wade era un po' piú tranquillo e non protestava, secondo il suo solito, contro quella specie di pastone ripugnante. Ingoiava una dopo l'altra le cucchiaiate che sua madre gli metteva in bocca, mandandole giú con lunghe sorsate d'acqua. I suoi dolci occhi neri seguivano tutti i movimenti di lei, con uno sbalordimento che sembrava riflettere tutto il malcelato sgomento di Rossella. Quando ebbero finito, ella lo mandò a giocare nel cortile posteriore e lo guardò attraverso il prato con vero sollievo. Si alzò e rimase irresoluta ai piedi della scala. Salire da Melania? Non se ne sentí la forza. Perché Melania aveva scelto proprio quel giorno, per partorire! E tutti quei discorsi funebri! Sedette sul gradino piú basso e cercò di ricomporsi, con un gran desiderio di sapere com'era andata la battaglia ieri, come stava andando oggi. Strano che una grande battaglia si svolgesse a poche miglia di distanza senza che se ne sapesse nulla! E com'era strano anche il silenzio di quella estrema propaggine della città, in contrasto col fragore del cannoneggiamento! Come si sentiva sola! Tranne il signor Meade e i Merriwether, tutti avevano abbandonato quella zona! Rimpianse di non avere zio Pietro, il quale avrebbe potuto andare al Quartier Generale per sapere qualche cosa. Se non fosse stato per Melania, sarebbe andata lei stessa; ma non poteva lasciarla prima che venisse la signora Meade. Perché non veniva? E dove si tratteneva Prissy? Si alzò e andò a mettersi sotto il porticato per vederle arrivare. Dopo un pezzo vide spuntare Prissy sola: camminava pigramente come se avesse avuto tutta la giornata di tempo e cercava di fare ondeggiare le sue sottane, torcendo il collo per vederne l'effetto. - Come te la prendi comoda! - esclamò Rossella quando la negra aperse il cancello. - Che ha detto la signora Meade? Quando viene? - Non c'era. - E dov'è? A che ora torna? - Io dire. - Prissy parlava lentamente, come per darsi la gioia di accrescere importanza al suo messaggio. - Cuoca avere detto che Miss Meade essere uscita presto perché giovine badrone Phil essere ferito; e miss Meade avere preso carrozza con vecchio Talbot e Betsy ed essere andata a cercarlo. Cuoca dice essere ferito grave e forse miss Meade non poter venire qui. Rossella ebbe l'impulso di scrollarla. I negri erano sempre fieri quando potevano dare una cattiva notizia. - Avanti, non stare lí come un idiota. Corri dalla signora Merriwether e pregala di venire o di mandare la sua Mammy. - Non essere in casa, miss Rossella. Io essere passata da lei venendo a casa. Essere andata via. Casa tutta chiusa. Credo essere a ospedale. - Perciò sei stata tanto tempo! Per tua regola, quando ti mando in qualche posto, non devi «passare» da nessuno; capito? Ora vai... Si interruppe. Chi era rimasto in città, dei loro amici, che potesse aiutarla? Ah, la signora Elsing. Certo non aveva alcuna simpatia per Rossella, ma voleva molto bene a Melania. - Vai dalla signora Elsing e spiegale bene tutto pregandola di venire qui. E stammi a sentire. Il bimbo di miss Melly sta per arrivare: ci può essere bisogno di te da un momento all'altro. Perciò spicciati! - Sí, badrona. - Svelta, ti dico! Prissy accelerò il passo in modo quasi insensibile e Rossella rientrò in casa. Esitò ancora prima di salire. Dovrebbe spiegare a Melania perché la signora Meade non poteva venire; e la notizia che Phil era gravemente ferito le avrebbe certo fatto male. Beh, le racconterebbe una frottola. Trovò Melania coricata di lato: il vassoio della colazione era intatto. - La signora Meade è all'ospedale; ho mandato a chiamare la signora Elsing. Ti senti male? - Non molto - mentí Melania. - Dimmi, Rossella, quanto tempo ci mise Wade a venire al mondo? - Pochissimo - rispose Rossella con una tranquillità che era lontana dal provare. - Ero nel cortile e feci appena a tempo a rientrare in casa. Mammy disse che era una cosa scandalosa... proprio come se fossi stata una negra! - Spero di fare anch'io come una negra - riprese Melania accennando un sorriso che si trasformò in una smorfia di dolore. Rossella guardò le anche strette di Melania, ma disse incoraggiandola: - Oh, non è poi una cosa tanto terribile. - Lo so. Forse io sono un po' vile. E... viene subito la signora Elsing? - Subito. Ora vado giú a prendere un po' d'acqua fresca per lavarti. Fa molto caldo oggi. Impiegò molto tempo a prender l'acqua, correndo continuamente alla porta per avvistare Prissy. Ma questa non si vedeva; sicché ella si decise a salire. Passò la spugna sul corpo in sudore di Melania e le pettinò i lunghi capelli neri. Dopo un'ora udí uno scalpiccío sordo sulla strada: si affacciò e vide Prissy che veniva lentamente, come prima, prendendo degli atteggiamenti come se vi fosse stato del pubblico ad ammirarla. «Un giorno o l'altro la picchierò» pensò Rossella affrettandosi a scendere le scale per andarle incontro. - Miss Elsing essere all'ospedale. Cuoca dire che molti soldati feriti arrivare con treno. Cuoca preparare zuppa per portare a badrona. E dire... - Non m'importa niente di quello che dice - interruppe Rossella sentendosi riempire di sgomento. - Mettiti un grembiale pulito perché ora ti mando all'ospedale. Ti darò un biglietto per il dottor Meade; e se non c'è, lo darai al dottor Jones o a uno degli altri medici. E se non ti sbrighi a tornare, questa volta ti scortico viva. - Sí, badrona. - E domanda a quei signori le notizie della battaglia. Se non lo sanno, vai al deposito e domanda ai macchinisti che hanno condotto il treno. Domanda se stanno combattendo a Jonesboro o nelle vicinanze. - Dio Signore, miss Rossella! - e un subitaneo terrore invase il volto nero di Prissy. - Yankees non essere a Tara, vero? - Non lo so. Perciò ti dico di domandare. Prissy cominciò improvvisamente a singhiozzare ad alta voce, aumentando il senso di ansia di Rossella. - Smettila! Miss Melania ti sente. Vai presto a cambiarti il grembiale. Frettolosamente, Prissy corse nella parte posteriore della casa, mentre Rossella scarabocchiava due parole sul margine dell'ultima lettera di Geraldo: l'unico pezzetto di carta che fosse in casa. Nel ripiegarla, le caddero sott'occhio le parole di Geraldo «... la mamma... il tifo... a nessun patto... venire a casa...» Singhiozzò quasi. Se non vi fosse stata Melania, sarebbe partita subito; anche se avesse dovuto andare a piedi! Prissy uscí di corsa, col biglietto in mano, e Rossella andò al piano di sopra, cercando una fandonia plausibile per spiegare l'assenza della signora Elsing. Ma Melania non chiese nulla. Era coricata sul dorso, e il suo viso era tranquillo; quella vista calmò per il momento Rossella. Sedette e cercò di parlare di cose indifferenti; ma il pensiero di Tara e di una possibile disfatta per opera degli yankees la torturava. Vedeva Elena morente, gli yankees che entravano in Atlanta, che bruciavano tutto, uccidevano tutti. E il tuonare lontano intanto persisteva, penetrando nelle sue orecchie in ondate di spavento. Finalmente non riuscí piú a pronunciar parola e rimase a fissare la finestra aperta sulla strada assolata, sugli alberi le cui foglie pendevano immote coperte di polvere. Anche Melania taceva; ad intervalli, però, il suo viso si contorceva pel dolore. Dopo ogni trafittura diceva: - Non è poi tanto terribile - ma Rossella sapeva che mentiva. Avrebbe preferito degli urli a quella silenziosa sopportazione. Sentiva che avrebbe dovuto aver compassione di Melania, ma non riusciva a mostrarle una briciola di simpatia. Era troppo tormentata dalla propria angoscia. Una volta guardò quel viso contorto dalle doglie e si chiese perché proprio lei - fra tutti al mondo - doveva essere qui con Melania in quel momento; lei che non aveva con quella donna nulla di comune, che la odiava, che sarebbe felice di vederla morta. Chi sa, forse questo desiderio sarebbe appagato, magari prima di sera. A quest'idea fu presa da un terrore superstizioso. Portava disgrazia desiderare la morte di qualcuno! E anche imprecare! - Le imprecazioni ricadono su chi le lancia - diceva Mammy. Si affrettò a pregare che Melania non morisse e cominciò febbrilmente a parlare, senza neanche sapere quel che diceva. Finalmente Melania le posò una mano ardente sul polso. - Non sforzarti a discorrere, cara. So quanto sei preoccupata. E sono desolata di darti anch'io tanto pensiero. Rossella tacque, ma fu incapace di rimaner tranquilla. Che farebbe se né il dottore né Prissy tornavano in tempo? Andò alla finestra, guardò in istrada e tornò a sedere. Passò un'ora. E poi ne passò un'altra. Giunse il mezzogiorno; il sole era alto e scottante e non un soffio agitava le foglie polverose. Le doglie di Melania erano piú forti adesso. I suoi lunghi capelli erano bagnati di sudore e la camicia da notte le si incollava al corpo. Rossella le asciugò il viso senza parlare; ma si sentiva invadere dal timore. Dio mio, se il bimbo si presentasse prima dell'arrivo del dottore! Che fare? Non aveva la piú piccola nozione di ostetricia. Aveva contato, nell'eventualità, su Prissy, la quale sapeva tutto; almeno cosí aveva detto piú volte. Ma dov'era Prissy? Perché non tornava? Perché non veniva il dottore? Andò di nuovo alla finestra e in quel momento le sembrò che il rombo del cannone fosse cessato. Se si allontanava, poteva significare che la battaglia era piú vicina a Jonesboro oppure che... Vide Prissy che si avvicinava correndo e che, scorgendola alla finestra, aperse la bocca per un grido. Ma vedendo il panico scritto su quel volto nero e comprendendo che Melania si sarebbe spaventata udendo gridare una cattiva notizia, Rossella posò rapidamente il dito sulle labbra e lasciò la finestra. - Vado a prendere un po' d'acqua fresca - disse cercando di sorridere. Poi uscí chiudendo accuratamente l'uscio. Prissy era seduta sui gradini della scala, ansimando. - Stare combattendo a Jonesboro, miss Rossella! Dire che nostri stare perdendo. O Dio, miss Rossella! Che cosa succedere di mamma e di Pork? Oh Dio! Cosa succedere se yankees venire qui? Oh Dio... - Per l'amor di Dio, taci! - E Rossella le pose una mano sulla bocca. Che cosa succederebbe qui... e a Tara? Scacciò questo pensiero per preoccuparsi dell'urgenza immediata. - Dov'è il dottor Meade? Viene? - Non averlo visto, miss Rossella. - Come? - Non essere all'ospedale. Nemmeno miss Merriwether e miss Elsing. Un uomo aver detto che dottore essere sotto tettoia dei carri con feriti di Jonesboro, ma io avere avuto paura di andare sotto tettoia... esservi tanti moribondi. Io aver paura di morti... - E gli altri dottori? - Miss Rossella, non aver potuto trovare uno per far leggere tuo biglietto. Tutti correre per l'ospedale come matti. Un dottore aver detto a me di non seccare con bambini che nascere quando esserci tanti uomini che morire. Trovare donna per aiutarti. E allora io essere andata a chiedere notizie di battaglia perché tu avermi detto di domandare e tutti dire che si combatte a Jonesboro e... - Hai detto che il dottor Meade è al deposito? - Sí, badrona. - Stammi a sentire. Io vado a cercare il dottore e tu vai disopra, da miss Melania e farai tutto quello che ti dirà di fare. Ma se ti sfugge una parola sulla località della battaglia, ti mando subito nel Sud, quanto è vero Dio. E non dirle neanche che gli altri medici non possono venire. Hai capito? - Sí, badrona. - Asciúgati gli occhi, prendi una brocca d'acqua fresca e vai su. Rinfresca miss Melania con la spugna. E dille che io sono andata a chiamare il dottore. - Essere arrivato momento, miss Rossella? - Non lo so. Ho paura che sia, ma non me ne intendo. Tu devi saperlo. Vai su. Rossella prese sulla tavola dell'anticamera il suo largo cappello di paglia e se lo mise sulla testa. Si guardò nello specchio e automaticamente respinse qualche ciocca di capelli, ma senza vedersi. Piccoli brividi irradiavano dal suo stomaco per tutto il corpo, benché si sentisse tutta sudata. Uscí in fretta nella strada assolata; nel calore soffocante sentiva le tempie batterle con violenza. Da lontano udí levarsi e poi diminuire un vocío confuso. Dopo un poco cominciò ad ansimare, perché il busto era allacciato molto stretto, ma non rallentò il passo. Il vocío diventava piú forte. Verso la casa dei Leyden, in prossimità dei Cinque Punti, vi era un gran movimento; il movimento di un formicaio distrutto. Si vedevano negri correre col panico dipinto sul viso; sotto ai porticati alcuni bambini bianchi piangevano senza che nessuno se ne curasse. La strada era affollata di carri e di ambulanze rigurgitanti di feriti, e di carrozze su cui si accatastavano bauli, valige, mobili. Uomini a cavallo venivano dalle strade laterali e correvano verso il quartier generale. Dinanzi alla casa dei Bonnell vide il vecchio Amos che teneva le redini del cavallo e che la salutò con gli occhi spalancati. - Tu non andare ancora, miss Rossella? Noi andare adesso. Vecchia miss stare facendo valigia. - Andar dove? - Dio lo sa, miss. In qualche posto. Yankees stare venendo. Si affrettò senza neanche salutarlo. Gli yankees stavano venendo! Si fermò un attimo per riprender fiato e calmare il batticuore, appoggiandosi a un lampione per non svenire; in quel momento vide giungere a spron battuto un ufficiale. Istintivamente si pose in mezzo alla strada e gli fece cenno. - Fermate, per carità! Fermatevi! Egli trattenne il cavallo cosí improvvisamente che questi si drizzò sulle zampe posteriori. Il volto dell'ufficiale era segnato di stanchezza, ma egli si tolse ugualmente il cappello grigio. - Signora? - Ditemi, è vero? Gli yankees stanno venendo? - Temo di sí. - Non siete certo? - Sì, signora, sono certo. Mezz'ora fa è arrivato al Quartier Generale un dispaccio dei combattenti di Jonesboro. - Di Jonesboro? Siete sicuro? - Sicuro. Inutili le menzogne pietose, signora. Il dispaccio era del generale Hardee e diceva: «Ho perduto la battaglia e sono in piena ritirata». - Oh Dio! Il volto abbronzato dell'uomo non mostrò commozione. Egli raccolse le redini e si rimise il cappello. - Un momento, signore, vi prego... Che dobbiamo fare? - Non saprei, signora. L'esercito sta evacuando Atlanta. - E ci lascia in balia degli yankees? - Pare di sí. Spronò il cavallo e Rossella rimase in mezzo alla strada coi piedi affondati nella polvere rossa. Gli yankees stavano venendo. L'esercito partiva. Che fare? Dove fuggire? No, non poteva fuggire. C'era Melania a letto, che aspettava il bambino. Ma perché le donne partorivano? Se non ci fosse Melania, lei prenderebbe Wade e Prissy e si nasconderebbe nei boschi dove gli yankees non potrebbero trovarla. Ma era impossibile portare Melania nei boschi. No, bisognava trovare il dottor Meade. Forse potrebbe affrettare il parto. Raccolse le gonne e riprese la corsa ritmando il passo sul ritornello: «Arrivano gli yankees! Arrivano gli yankees!» Cinque Punti era formicolante di gente, di carri, di ambulanze, di carrozze cariche di feriti. Da quella folla giungeva un fragore simile a quello di un mare in burrasca. Allora uno strano spettacolo colpí i suoi occhi. Frotte di donne venivano dalla parte della ferrovia portando sulle spalle prosciutti, sacchi di patate. Accanto a loro trotterellavano bambini che inciampavano sotto fasci di canne da zucchero; ragazzi piú grandicelli trascinavano sacchi di granturco e di farina gialla. Donne, uomini, bambini, bianchi e negri si affrettavano, con visi sconvolti, trasportando involti e sacchi di viveri; piú viveri di quanti ella ne avesse visti in un anno. A un tratto la folla si aperse per dare il passo a una carrozza nella quale era la fragile ed elegante signora Elsing, con le redini in una mano e la frusta nell'altra. Pallidissima e senza cappello, coi capelli grigi che le ciondolavano sul d'orso, ella frustava il cavallo come una furia. Sul sedile posteriore della carrozza era la sua mammy negra, Melissy, che stringeva al petto con una mano un pezzo di lardo, mentre con l'altra e coi piedi cercava di trattenere le valige e le scatole ammonticchiate attorno a lei. Un sacco di piselli secchi si era aperto e il contenuto si andava disseminando lungo la strada. Rossella gridò per chiamarla, ma il vocío della folla coperse la sua voce e la carrozza continuò la sua pazza corsa. Per un istante non comprese il significato di quel movimento; ma poi, ricordando che i magazzini del commissariato erano accanto alla ferrovia, capí che erano stati spalancati al popolo perché potesse salvare quanto poteva, prima dell'arrivo degli yankees. Si aperse un varco attraverso la calca, oltrepassò la folla isterica che si agglomerava ai Cinque Punti, e si diresse con la maggior velocità possibile verso il deposito. Attraverso il groviglio dei carri e delle ambulanze e una nuvola di polvere, scorse dottori, infermieri e portatori che fasciavano frettolosamente, si chinavano, sollevavano dei corpi. Meno male; almeno troverebbe subito il dottor Meade. Quando svoltò l'angolo dell'Albergo Atlanta e giunse completamente in vista del deposito e delle rotaie, si fermò sbigottita. Sotto il sole spietato, a spalla a spalla, teste contro piedi, giacevano centinaia di feriti, sulle rotaie, sui marciapiedi, sotto le tettoie dove usualmente si ricoveravano i vagoni. Alcuni erano rigidi e tranquilli, altri si torcevano gemendo. Dovunque, sciami di mosche si avventavano ronzando sui volti degli uomini; dovunque sangue, bende sudice, gemiti, imprecazioni. Sentore di sangue, di sudore di corpi non lavati, di escrementi si levava in ondate nauseabonde. Indietreggiò portandosi le mani alla bocca, sentendo che stava per rigettare. Non poteva andare avanti. Aveva visto feriti nell'ospedale, nel prato di zia Pitty, ma mai nulla di simile. Nulla che somigliasse a quest'inferno di spasimi, di fetore, di lamentazioni e... Presto, presto, presto!... Gli yankees stavano arrivando! Fece uno sforzo su se stessa e si avanzò, cercando di distinguere fra le figure di coloro che erano in piedi il dottor Meade. Ma si accorse che se non guardava dove metteva i piedi correva rischio di calpestare qualche soldato. Sollevò le gonne e cercò di dirigersi verso un gruppo di uomini che davano degli ordini ai portantini. Mani febbrili le afferravano gli abiti e voci rauche supplicavano: - Signora... acqua! Per pietà, signora, acqua! In nome di Cristo, acqua! Il sudore le rigava il volto mentre strappava il suo abito da quelle mani convulse. Se avesse calpestato uno di quegli uomini, avrebbe urlato e sarebbe svenuta. Calpestò dei morti, uomini che avevano gli occhi spalancati e le mani rattrappite sul petto dove il sangue coagulato era appiccicato alle uniformi lacere, uomini che avevano la barba indurita dal sangue rappreso e dalle cui mascelle frantumate usciva un gemito che voleva dire: «Acqua! Acqua!» Se non trovava il dottor Meade, comincerebbe a urlare anche lei, come una pazza. Guardò verso il gruppo degli uomini e gridò con tutta la sua voce: - Dottor Meade! C'è il dottor Meade? Un uomo si staccò dal gruppo e guardò verso di lei. Era il dottore. Senza giacca e con le maniche rimboccate sino alle spalle. La camicia e i calzoni erano rossi come quelli di un macellaio, e perfino l'estremità della sua barba grigia era insanguinata. Aveva il viso di un uomo ubriaco di stanchezza, di ira impotente e di ardente pietà. Ma la sua voce era calma e decisa. - Meno male che siete venuta. Ho bisogno di tutti quanti. Per un attimo ella lo fissò sbalordita, lasciando ricadere le sue gonne che andarono a sbattere sul viso di un ferito che cercò di voltare la testa per evitare quelle pieghe soffocanti. Che voleva dire il dottore? - Presto, figliuola! Venite qui. Ella raccolse nuovamente le gonne e lo raggiunse il piú presto che poté attraverso le file di corpi. Gli mise una mano sul braccio e sentí che tremava di stanchezza; ma il suo volto non aveva traccia di debolezza. - Dottore! - esclamò. - Dovete venire. Melania sta per avere il bambino. Il dottore la guardò come se non capisse. Ella ripeté: - Melania. Il bambino. Dovete venire. Le... Come fare a dire certe cose con tanti uomini che sentivano? Ma non si poteva fare altrimenti. - Le doglie stanno aumentando. Vi prego, dottore! - Un bambino! Santo Dio! - tuonò il dottore. E a un tratto il suo volto si contrasse di odio e di rabbia verso un mondo nel quale potevano accadere simili cose. - Siete pazza? Io non posso lasciare questi uomini. Muoiono a centinaia. Non posso lasciarli. Trovate una donna che vi aiuti. Chiamate mia moglie. Aperse la bocca per dirgli la ragione per cui la signora Meade non poteva venire, ma si trattenne. Egli ignorava che suo figlio fosse ferito! Chi sa se sapendolo sarebbe rimasto lí... Qualche cosa nel suo intimo le disse che anche se Phil fosse moribondo, egli sarebbe rimasto al suo posto, dando il suo aiuto a centinaia di uomini anziché a uno solo. - Dovete venire, dottore. Voi stesso avete detto che sarà un parto difficile... - Era proprio lei, Rossella, che diceva quelle cose indelicate ad alta voce, in quell'inferno di spasimi e di lamenti? - Morrà se non venite! Meade si liberò sgarbatamente dalla mano che posava sul suo braccio e parlò come se non la udisse. - Morire? Sí, muoiono tutti quanti... tutti questi uomini. Mancano le bende, i medicinali... chinino, cloroformio. Dio, Dio, un po' di morfina! Solo un po' di morfina per i piú gravi. Solo un po' di cloroformio. Maledizione agli yankees! Maledizione agli yankees! Rossella cominciò a tremare; i suoi occhi si riempirono di lacrime di spavento. Il dottore non poteva venire. Melania morrebbe... e lei aveva desiderato che morisse. Il dottore non veniva. - In nome di Dio, dottore! Vi scongiuro! Il dottor Meade si morse le labbra; la sua mascella si irrigidí, il suo volto ridiventò freddo. - Tenterò, figliuola. Non posso promettere. Gli yankees stanno per arrivare e le truppe abbandonano la città. Non so che cosa faranno dei feriti. Non vi sono piú treni. La linea di Macon è in mano loro... Ma tenterò. Correte a casa adesso. Del resto, non ci vuol molto a raccogliere un bambino. Tagliate il cordone... Si voltò perché un sergente era venuto a parlargli, e ricominciò a dare ordini indicando questo e quel ferito. L'uomo che era ai suoi piedi guardò Rossella con compassione. Ella si volse altrove: il dottore l'aveva dimenticata. Si fece nuovamente strada in mezzo ai feriti e tornò alla Via dell'Albero di Pesco. Il dottore non veniva. Doveva cavarsela da sola. Meno male che Prissy se ne intendeva... Le doleva il capo e sentiva che il corpetto dell'abito le si incollava alla pelle per il sudore. Le gambe sembrava che non volessero piú portarla, e la strada le parve interminabile. Ma il ritornello «arrivano gli yankees!» ricominciò ad ossessionarla. Il cuore riprese a batterle con furia e le gambe ritrovarono un po' di forza. Attraversò nuovamente la folla ai Cinque Punti, tanto densa che non si poteva camminare sui marciapiedi. Passavano lunghe file di soldati coperti di polvere, disfatti dalla stanchezza. Sembravano migliaia, sudici, con la barba lunga, i fucili appesi alle spalle. Dietro a loro erano i carri d'artiglieria; i conducenti frustavano le mule macilente con rozzi staffili di pelle. Non aveva mai visto tanti soldati insieme. Ritirata! Ritirata! La soldatesca la respinse contro il marciapiedi affollato, ed ella sentí un acre odore di whisky di grano. Nella calca presso Via Decatur erano donne in abiti vistosi, i cui volti dipinti davano una nota di festa stranamente discordante. In gran parte erano ubriache, e i soldati a cui davano braccio erano piú ubriachi di loro. Ella scorse fuggevolmente una massa di riccioli rossi e vide Bella Wading; udí il suo riso stridente e avvinazzato, mentre si aggrappava a un soldato mutilato di un braccio che barcollava. Dopo avere oltrepassato i Cinque Punti, trovò la folla meno densa; raccolse allora le gonne e riprese a correre. Dinanzi alla Chiesa wesleyana si fermò: ansimava, aveva un tremendo mal di stomaco e il busto troppo stretto le segava la vita. Piombò sui gradini della chiesa e si nascose il capo fra le mani, cercando di respirare profondamente. Non aveva mai dovuto agire di sua iniziativa, in tutta la vita. Vi era sempre stato qualcuno che aveva fatto le cose per lei, che l'aveva aiutata e protetta. Le sembrava impossibile di trovarsi cosí sola, senza un vicino, senza un amico. Aveva sempre avuto amici, conoscenti e schiavi volenterosi. E in quest'ora di necessità, nessuno. Era completamente sola, atterrita, lontana da casa sua. La sua casa! Se almeno fosse laggiú, a Tara... Anche con gli yankees. Anche se Elena era ammalata. Anelava al dolce viso di Elena, alle forti braccia di Mammy attorno al suo corpo. Si alzò a fatica e riprese a camminare. Giungendo in vista della casa scorse Wade che usciva dal cancello per correrle incontro, e che, vedendola, cominciò a frignare mostrandole un ditino scorticato. - Bibi! - gridava. - Fatto bibi! - Zitto! Zitto! Altrimenti ti batto. Vai nel cortile dietro alla casa a giocare. E non ti muovere. - Wade ha fame... - piagnucolò il bimbo ficcandosi in bocca il dito ferito. - Non me n'importa. Vai nel cortile e... Guardò in alto e vide Prissy alla finestra, con lo sguardo e la preoccupazione dipinti sul viso. Rossella le accennò di scendere ed entrò in casa. Che bel fresco in anticamera! Si sciolse i nastri del cappello e lo gettò sulla tavola, passandosi il braccio sulla fronte madida di sudore. Prissy scese i gradini a tre per volta. - Essere venuto dottore? - No. Non viene. - Dio, miss Rossella! Miss Melania star male. - Il dottore non può venire. Siamo sole. Bisogna che tu prenda il bambino; io ti aiuterò. Prissy spalancò la bocca agitando la lingua senza riuscire a spiccicar parola. Guardò Rossella di sbieco, agitò i piedi, inquieta, Si contorse tutta. - Non fare la sciocca! - gridò Rossella infuriata da quell'espressione idiota. - Che c'è adesso? Prissy indietreggiò verso la scala. - Per carità, miss Rossella... - I suoi occhi erano pieni di vergogna e di spavento. - Ebbene? - Per carità... Bisogna avere dottore. Io... io... miss Rossella, io non saper niente di nascite di bambini. Mamma non aver mai voluto che io stare presente quando partorivano. Rossella si sentí mancare il respiro in un brivido di orrore, prima di essere invasa dall'ira. Prissy tentò di prender la fuga, ma Rossella l'afferrò. - Brutta negra bugiarda... che vuoi dire? Mi hai detto che sapevi tutto quello che bisogna fare... Qual è la verità? Parla! - La scrollò furiosamente. - Aver detto bugia! Non sapere come aver mentito... Io aver visto solo un bambino, dopo essere nato, perché Mamma avermi mandata via per non farmi guardare. Rossella la fissò; Prissy indietreggiò nuovamente. Per un attimo la mente della giovine donna si rifiutò ad accogliere la verità; ma quando comprese che Prissy non ne sapeva di ostetricia piú di quanto ne sapesse lei, si sentí infiammare dalla collera. Non aveva mai battuto uno schiavo in tutta la sua vita; ma ora percosse quella guancia nera con tutta la forza del suo braccio stanco. Prissy urlò, piú per paura che per dolore e cominciò ad agitarsi per liberarsi dalla stretta di Rossella. Mentre quella gridava, il gemito al secondo piano cessò e la voce di Melania, debole e tremante, chiamò: - Sei tu, Rossella? Vieni, ti prego! Rossella lasciò il braccio di Prissy, la quale cadde a terra piagnucolando, e per un attimo rimase immobile, ascoltando il gemito che era ricominciato. Ebbe l'impressione di sentirsi schiacciare da un giogo; un peso che le gravava sulla nuca e che avrebbe sentito piú greve appena avesse mosso un passo. Cercò di ricordarsi tutto quello che Elena e Mammy avevano fatto per lei quando era nato Wade; ma quasi tutto si perdeva in una nebbia confusa. Comunque, ricordando qualche cosa, parlò rapidamente e con autorità a Prissy. - Accendi il fuoco e metti a bollire dell'acqua nella caldaia. E porta su tutti gli asciugamani che trovi e quella balla di cotone. Portami anche le forbici. Non venirmi a dire che non le trovi. Cercale e portamele. Svelta. Rimise in piedi Prissy e la mandò in cucina con una spinta. Poi si irrigidí e cominciò a salire le scale. Sarebbe difficile dire a Melania che solo lei e Prissy avrebbero dovuto aiutare il bimbo a venire al mondo.

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Esse non cessavano dall'infastidire Melania, benché Rossella agitasse continuamente il ventaglio di palma; appena le aveva scacciate dal viso andavano a posarsi sulle gambe e sui piedi; ed ella gemeva: - Per carità! Sui piedi! Rossella aveva le braccia indolenzite. Aveva chiuso le persiane, di guisa che la camera era nella semioscurità; solo qualche puntino luminoso passava attraverso le fessure e ai lati. Gli abiti, in quel calore di stufa, diventavano sempre piú bagnati di sudore a misura che le ore passavano. Prissy era accoccolata in un angolo e la sua traspirazione aveva un fetore cosí insopportabile che Rossella l'avrebbe mandata in cucina, se non avesse temuto che quella, appena fuori di vista, se la desse a gambe. Melania si torceva sul letto, senza tregua. A volte cercava di sollevarsi a sedere, ma ricadeva subito indietro e riprendeva a torcersi. Dapprima aveva cercato di trattenersi dal gridare, mordendosi le labbra; ma Rossella, i cui nervi erano tesi fino all'inverosimile, le aveva detto: - Non sforzarti ad essere coraggiosa, per carità. Urla, se ne hai bisogno. Non c'è nessuno che senta, all'infuori di noi. Con l'avanzarsi del pomeriggio, i gemiti di Melania aumentarono; qualche volta erano addirittura urli. In quei momenti Rossella si nascondeva la testa fra le mani coprendosi le orecchie e si contorceva augurandosi di morire. Tutto era preferibile all'essere incapace di alleviare quel martirio. Tutto era preferibile a rimanere ad attendere un bambino che impiegava troppo tempo a venire al mondo. Attendere, mentre sapeva che gli yankees erano ai Cinque Punti. Febbrilmente si pentiva di non aver prestato piú attenzione ai discorsi delle donne maritate quando parlavano di maternità e di parti. Almeno ora saprebbe se Melania aveva un parto lungo o no. Ricordava vagamente che Zia Pitty raccontava di una sua amica che aveva avuto le doglie per due giorni ed era morta senza che il bimbo fosse nato. Se Melania dovesse continuare per due giorni! Ma era troppo delicata: non avrebbe potuto resistere a 48 ore di doglie. Se il bimbo non si sbrigava, morirebbe... E come potrebbe lei alzare piú gli occhi in faccia ad Ashley, se questi era ancora vivo, e dirgli che Melania era morta... dopo avergli promesso di aver cura di lei? Da principio Melania aveva voluto tenere la mano di Rossella quando le doglie erano piú forti; ma la stringeva talmente da stritolarle quasi le ossa. Dopo un'ora le mani di Rossella erano cosí indolenzite che non poteva neanche piú muoverle. Quindi annodò insieme due lunghi asciugamani di cui legò le estremità alla spalliera del letto; poi diede a Melania la parte annodata. E quella vi si attaccò come attingendone forza, tirandola, torcendola, lacerandola. La sua voce ora somigliava a quella di un animale preso in trappola e moribondo. Ogni tanto lasciava ricadere l'asciugamani e guardava Rossella con gli occhi dilatati dalla sofferenza. - Parla, ti prego, parla! E Rossella diceva la prima cosa che le passava per la mente, finché Melania afferrava nuovamente l'asciugamani e ricominciava a torcersi. L'atmosfera era annebbiata dal caldo, dalla sofferenza, dalle mosche ronzanti e il tempo passava con una lentezza spaventosa. A Rossella sembrava di trovarsi lí da un'eternità: aveva voglia di urlare insieme a Melania e riusciva a vincersi soltanto mordendosi le labbra. Una volta Wade venne fino alla porta in punta di piedi e si fermò sulla soglia frignando. - Wade ha fame! - Rossella si alzò per andare da lui, ma Melania sussurrò: - Non mi lasciare! Se tu sei qui, posso resistere! Allora Rossella mandò Prissy a riscaldare la farinata della colazione per dar da mangiare al bambino. Quanto a lei, pensò che non avrebbe mai piú potuto inghiottire un boccone. L'orologio sul caminetto si era fermato e Rossella non aveva alcun modo di sapere l'ora; ma poiché il caldo soffocante era un po' scemato e i puntini luminosi si erano oscurati, ella aperse la persiana. Con sua sorpresa vide che il sole, come un'enorme palla vermiglia, era basso sull'orizzonte. Chi sa perché, aveva immaginato che non dovesse tramontare mai piú. Chi sa che cosa era avvenuto in città? Chi sa se tutte le truppe avevano sgombrato? Se gli yankees erano arrivati? Se i Confederati avrebbero abbandonato il posto senza combattere? I Confederati... com'erano pochi! E Sherman aveva tanti uomini e tutti ben nutriti! Sherman! Quel nome la sgomentava come quello di Satana. Ma non vi era tempo di pensarci adesso, perché Melania chiamava per avere un po' d'acqua, un asciugamani asciutto sulla testa e perché le scacciasse le mosche dal viso. Al crepuscolo, mentre Prissy, sgambettando come un piccolo fantasma nero, accendeva la lampada, Melania si sentí piú debole. Cominciò a chiamare Ashley, con una insistenza che sembrava delirio, finché Rossella provò il desiderio di soffocare quella voce monotona con un guanciale. Forse il dottore avrebbe finito col venire. Con un barlume di speranza, alzò la testa e ordinò a Prissy di correre alla casa del dottor Meade a vedere se lui, o la signora, fossero tornati. - E se non c'è, chiedi alla signora Meade o alla cuoca che cosa bisogna fare. Pregale di venire! Prissy uscí di corsa e Rossella la vide allontanarsi con una velocità di cui non l'avrebbe creduta capace. Dopo un certo tempo tornò, sola. - Dottore non essere venuto a casa tutto il giorno. Forse essere andato via con soldati. Miss Rossella, Mist' Phil essere finito. - Morto? - Sí, badrona. Talbot, il cocchiere avere detto che essere stato... - Non importa. - Non avere visto miss Meade. Cuoca aver detto che miss Meade voler lavarlo e seppellirlo prima che arrivare yankees. Cuoca dice che se doglie essere troppo forti, tu mettere un coltello sotto il letto e questo tagliare doglie in due. Rossella provò il desiderio di batterla ancora; ma Melania aveva spalancato gli occhi terrorizzata e stava bisbigliando... - Dio mio... stanno venendo gli yankees? - No - rispose Rossella risoluta. - Prissy è una bugiarda. - Sí, badrona - annuí Prissy con calore. - Stanno arrivando - sussurrò Melania senza lasciarsi ingannare; e nascose il viso tra i guanciali. La sua voce giunse alle orecchie di Rossella come un soffio. - Il mio povero piccino... Il mio povero piccino... - E, dopo un lungo intervallo: - Tu non devi restare qui, Rossella. Devi prendere Wade e andar via. Era ciò che Rossella pensava; ma udirlo da Melania la irritò, e le diede un senso di vergogna, come se la sua vigliaccheria fosse scritta a chiare lettere sul suo viso. - Non dire sciocchezze. Non ho paura. E sai che non ti lascerò. - Potresti anche andare... Tanto, io sto per morire... - E riprese a mugolare.

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Rhett volse il cavallo a ovest dell'Albero di Pesco, e il carro traballante sobbalzò cosí violentemente sulla strada piena di buche, da strappare un gemito a Melania. Gli alberi oscuri s'intrecciavano al di sopra dei loro capi e ai due lati della strada le case buie e silenziose si distinguevano chiaramente, e le bianche palizzate delle barriere spiccavano come una fila di pietre sepolcrali. La strada stretta sembrava una oscura galleria, ma attraverso il denso fogliame rosseggiava l'orrendo bagliore del cielo, e le ombre si avvicendavano sulla strada nera come una danza di spettri. L'odore del fumo si faceva sempre piú intenso e, sulle ali della brezza ardente, giunse un pandemonio di suoni dal centro della città; erano urla ed era il cupo rombo dei pesanti carri dell'esercito e il calpestío degli innumerevoli piedi che marciavano. Quando Rhett fece voltare il cavallo in una strada laterale un'altra esplosione assordante lacerò l'aria, ed un razzo mostruoso fatto di vampe e di fumo si proiettò verso il cielo a occidente. - Deve essere l'ultimo treno di munizioni - fece Rhett, calmo. - Non so perché non le hanno portate via stamattina, quegli sciocchi! C'era tutto il tempo. Beh, peggio per loro. Credevo che girando attorno al centro della città, avremmo evitato il fuoco e la folla ubriaca, raggiungendo senza pericolo la parte meridionale. Ma dobbiamo attraversare in un punto qualsiasi la via Marietta, e quest'esplosione, se non mi sbaglio, è avvenuta proprio in quei paraggi. - Dobbiamo... dobbiamo attraversare il fuoco? Chiese Rossella balbettando. - Se facciamo presto, no - rispose Rhett; e balzando giú dal carretto, scomparve nell'oscurità di un cortile. Quando tornò aveva tra le mani un ramo di albero che batté senza pietà sul dorso piagato del cavallo. L'animale prese un trotto pesante, ansimando e stentando; e il carro balzò in avanti con una scossa che li gettò uno sull'altro. Il bimbo emise un vagito, e Prissy e Wade gridarono; solo da Melania non si udí lamento. Avvicinandosi a via Marietta, gli alberi erano piú radi e le enormi fiamme che salivano dagli edifici illuminavano la strada e le case come se fosse di pieno giorno creando ombre mostruose che si torcevano come vele lacerate di una nave che sta per affondare. Rossella batteva i denti; aveva freddo e tremava benché il calore delle fiamme fosse quasi contro il loro volto. Questo era l'inferno, ed essa vi si trovava; se ne avesse avuto la forza sarebbe balzata giú dal carro e sarebbe corsa nuovamente verso la strada buja da cui erano venuti, verso il rifugio della casa di Pittypat. Si strinse di piú a Rhett, afferrò il suo braccio con dita tremanti, e lo guardò cercando una parola, un conforto, qualche cosa che la rassicurasse. Nel bagliore vermiglio che li avvolgeva, il suo profilo bruno si disegnava come un'antica medaglia; bello, crudele e decadente. Al suo contatto egli si volse verso di lei con gli occhi pieni di una luce che la spaventò come quella dell'incendio. - Guardate, - le disse, posando una mano sull'impugnatura di una delle pistole che aveva alla cintura - se chiunque, bianco o negro, si avvicina al carro dalla vostra parte e cerca di mettere una mano sul cavallo, sparate; lo interrogheremo dopo. Ma per carità non sparate sul cavallo. - Ho... ho una pistola - sussurrò Rossella stringendo convulsamente l'arma che aveva in grembo, sicura che se la morte l'avesse guardata in faccia, ella avrebbe avuto troppa paura per far scattare il grilletto. - Davvero? E dove l'avete presa? - È quella di Carlo. - Carlo? - Sí... mio marito. - Ma avete mai avuto veramente un marito, mia cara? mormorò egli e rise dolcemente. Ma perché non aveva serietà, neanche in quel momento? Perché non correva? - E come pensate che io abbia avuto un bambino? - esclamò irritata. - Oh, c'è mezzo anche senza marito... - Volete tacere e affrettarvi? Ma egli tirò le redini bruscamente fermandosi nell'ombra di una casa, presso via Marietta, non toccata dalle fiamme. - Presto! - era la sola parola che ella potesse pensare. - Presto! Presto! - Soldati - disse Rhett. I soldati del distaccamento scendevano da via Marietta, fra gli edifici in fiamme, con passo stanco, i fucili tenuti alla meglio, le teste basse, troppo affaticati per affrettarsi, per preoccuparsi delle travi che crollavano a destra e a sinistra e del fumo che li investiva. Erano tutti laceri, al punto che non vi era differenza tra ufficiali e soldati; soltanto qua e là, su qualche cappello, era appuntato un logoro distintivo con la scritta: «C. S. A.» «Confederated States of America.». Molti erano scalzi; qua e là una fasciatura sudicia bendava un braccio o una testa. Passarono, senza guardare né a destra né a sinistra, cosí silenziosi che se non fosse stato per il calpestío, si sarebbe potuto credere che fossero fantasmi. - Guardateli bene - disse la voce schernevole di Rhett - cosí potrete dire ai vostri nipotini, un giorno, che avete visto la retroguardia della Gloriosa Causa in ritirata. Rossella, a un tratto, sentí di odiarlo, con una forza che in quel momento superò il suo sgomento e lo fece apparire meschino e insignificante. Sapeva che la sua salvezza e quella di coloro che erano nel carro dietro a lei dipendevano da lui, da lui solo; ma lo detestò ugualmente perché scherniva quelle file cenciose. Pensò a Carlo morto, ad Ashley forse morto egli pure, e a tutti gli allegri e valorosi giovani sepolti alla meglio chi sa dove; e dimenticò che anche lei, una volta, li aveva considerati degli sciocchi. Non riuscí a spiccicar parola, ma gli occhi che fissò sopra di lui ardevano di odio e di disgusto. Al passaggio delle ultime file, una figura piccola che trascinava il fucile nella polvere, barcollò, si fermò, guardò gli altri con volto istupidito di un sonnambulo. Era piccolo come Rossella; il suo fucile era quasi piú grande di lui e il viso sudicio era imberbe. «Al massimo sedici anni» pensò Rossella; «sarà uno della Guardia Nazionale o un ragazzo fuggito dalla scuola.» Mentre ella lo guardava, le ginocchia del ragazzo si piegarono lentamente ed egli cadde nella polvere. Un altro, un uomo alto e barbuto, si chinò; porse il proprio fucile e quello del ragazzo a un compagno, poi sollevò il corpo sottile e se lo pose sulle spalle, ricominciando a camminare, appena curvo sotto il peso, mentre il ragazzo, infuriato come un bimbo preso in giro, gridava disperatamente: - Mettimi a terra! Posso camminare! Mettimi a terra, ti dico! L'uomo barbuto non rispose e scomparve col suo peso all'angolo della strada. Rhett, con le redini abbandonate, taceva: sul suo volto era una strana espressione di tristezza. In quel momento vi fu a pochi passi da loro uno scroscio di travi che crollavano e Rossella vide una lunga e sottile lingua di fiamma levarsi dal tetto del magazzino accanto al quale si erano riparati. Quindi larghi drappi sanguigni rischiararono il cielo; il fumo li investí e Wade e Prissy cominciarono a tossire. - In nome di Dio, Rhett! Siete pazzo? Presto, presto. Rhett non rispose ma percosse crudelmente col ramo d'albero il dorso del cavallo che fece un balzo in avanti. Con tutta la velocità che fu possibile ottenere attraversarono traballando e rimbalzando la via Marietta. Dinanzi a loro, ai due lati della strada corta e stretta, era una doppia cortina di fuoco; una luce accecante li abbagliava, un calore intenso ardeva la loro pelle e un muggito continuo percuoteva le loro orecchie, accompagnato da crolli e scricchiolii. Attraversarono quell'inferno in un minuto che sembrò loro un secolo; e quindi, improvvisamente, si ritrovarono nella semioscurità. Mentre percorreva la strada e poi traballando sulle rotaie della ferrovia, Rhett adoperava la frusta automaticamente. Il suo volto era irrigidito e sembrava assente, quasi egli avesse dimenticato dove si trovava. Aveva le braccia strette al corpo e il mento proteso in avanti, come se fosse immerso in pensieri spiacevoli. Il calore gli faceva gocciolare la fronte e le guance, ma egli non si asciugava. Voltarono in una strada stretta, quindi in un'altra, e poi in altre ancora, finché Rossella perse completamente l'orientamento, mentre sentiva diminuire il ruggito delle fiamme. Rhett continuava a tacere. Soltanto frustava il cavallo con regolarità. Il riflesso sanguigno nel cielo andava sfumando, e la strada si faceva cosí spaventosamente buia, che Rossella avrebbe voluto udire una parola, magari un insulto, un'ingiuria, purché fosse una parola. Ma egli taceva. - Rhett - mormorò a un certo momento afferrandogli il braccio. - Che cosa avremmo fatto senza di voi? Come sono contenta che non siate nell'esercito! Egli volse il capo e le diede un'occhiata che la fece indietreggiare abbandonando il suo braccio. Non vi era sarcasmo, ora, nei suoi occhi; ma piuttosto un'espressione di collera e anche di stupore. Torse le labbra volgendo nuovamente il capo. Per un pezzo proseguirono in un silenzio interrotto soltanto dai lievi vagiti del bimbo e da qualche gemito di Prissy. Finalmente Rhett voltò il cavallo ad angolo retto e dopo un poco si trovarono su una strada larga e soffice. Le forme incerte delle case diventavano sempre piú rare e ai due lati si stendevano folte boscaglie. - Siamo fuori città, adesso - disse Rhett brevemente tirando le redini; - e sulla strada principale per McDonough. - Presto. Non vi fermate! - Lasciate respirare un momento questa bestia. - Poi volgendosi a lei, le chiese lentamente: - Siete ancora decisa, Rossella, a commettere questa follia? - Quale? - Volete ancora tentare di arrivare a Tara? È un suicidio. Fra voi e Tara vi è la cavalleria di Lee e l'esercito yankee. Dio mio! Avrebbe ora rifiutato di condurla a casa, dopo ciò che ella aveva sopportato in quella tremenda giornata? - Oh, sí, sí! Vi prego, Rhett, sbrighiamoci. Il cavallo non è stanco. - Un momento. Non potete andare a Jonesboro seguendo la linea ferroviaria. Si è combattuto qui tutto il giorno. Conoscete altre strade, carrozzabili o sentieri, che non attraversino Jonesboro? - Oh, sí! - esclamò Rossella sollevata. - Conosco una strada carrozzabile che lascia Jonesboro di fianco e fa il giro di diverse miglia. Papà ed io la percorrevamo a cavallo. Sbuca vicino alla proprietà di Maclntosh ed è soltanto a un miglio da Tara. - Bene! Allora può darsi che riusciate. Il generale Steve Lee è stato da quella parte durante il pomeriggio di oggi per coprire la ritirata. Forse gli yankees non vi sono ancora. Quindi potete arrivate se gli uomini di Lee non vi prendono il cavallo. - lo... posso arrivare? - Sí, voi. - La sua voce era aspra. - Ma Rhett... voi... non ci accompagnate? - No. Vi lascio qui. Ella si guardò attorno con uno sguardo folle; guardò il cielo livido, gli alberi neri che sembravano le pareti di una prigione, le figure spaventate nel carro, e finalmente lui. Era impazzita? O non aveva udito bene? - Ci lasciate? E dove... dove andate? - Cara figliola, vado con l'esercito. Ella sospirò, sollevata e irritata. Perché scherzava in questo momento? Rhett nell'esercito! Dopo tutto quello che aveva sempre detto... - Che gusto spaventarmi cosí! Andiamo! - Non sto scherzando, mia cara. E sono dolente che voi non accettiate con spirito migliore il mio sacrificio. Dov'è il vostro patriottismo, il vostro amore per la Nostra Causa Gloriosa? Ora sarebbe il momento di dirmi che debbo tornare vittorioso o morto. Ma fate presto, perché a me occorre un po' di tempo per farvi un bel discorsetto prima di partire per la guerra. Era la solita voce beffarda. Egli la scherniva e in certo modo, scherniva anche se stesso. Non era possibile che parlasse sul serio. E non era credibile che pensasse di lasciarla su quella strada buia con una donna che poteva essere moribonda, un neonato, una piccola imbecille negra e un bimbo atterrito; non poteva lasciarle il compito di portarli attraverso miglia e miglia di campi di battaglia, in preda a mille pericoli. - Scherzate, Rhett! Gli afferrò il braccio e lagrime di terrore le sgorgarono dagli occhi. Egli sollevò la sua mano e glie la baciò leggermente. - Egoista sino alla fine, non è vero, mia cara? Pensate soltanto alla vostra preziosa salvezza e non alla valorosa Confederazione. Immaginate invece, come saranno rincorate le nostre truppe da questa mia comparsa all' ultima ora! - Nella sua voce era una maliziosa tenerezza. - Oh, Rhett, come potete farmi questo? Perché mi volete abbandonare? - Perché? - egli rise gaiamente. - Forse a causa di quella stupida sentimentalità che è appiattata in fondo a tutti noi meridionali. Forse... Forse perché mi vergogno. Chi Io sa? - Vergognarvi? Dovreste morire di vergogna a lasciarci qui, sole, senza aiuto... - Cara Rossella! Voi non siete senza aiuto. Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno. - Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero. - «Non ho potuto amarti, cara, piú di quanto amassi l'onore.» Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude. - Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: «Mi lascia, mi lascia.» Ma non provava emozione. Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentí i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose. - Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata cosí. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare cosí. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura. - Tesoro - mormorò egli - tesoro... Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udí la vocetta acuta di Wade. - Mamma! Wade ha paúla! Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia. - Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. - Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpí sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso. - Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso. - Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! - Cara ragazza, come siete inopportuna! - Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai piú! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che... - Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà. Lo udí ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udí parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania. - Mrs. Wilkes? La voce spaventata di Prissy rispose: - Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro. - Non è morta? Respira? - Sí, signore. Respirare. - Allora, è meglio cosí. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

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Si trasse a sedere e si guardò attorno. Grazie a Dio, nessun yankees in vista! Il loro nascondiglio non era stato scoperto durante la notte. Ricordò tutto; il viaggio tormentoso come un incubo, dopo che l'eco dei passi di Rhett si era spenta, la notte interminabile, la strada nera piena di radici e di buche sulle quali si trabalzava, i solchi profondi in cui il carretto scivolava, la forza quintuplicata dal terrore con la quale lei e Prissy erano riuscite a trarre le ruote da quei solchi. Ricordò con un brivido quante volte aveva spinto il cavallo nolente attraverso campi e boschi, quando sentiva avvicinarsi dei soldati, non sapendo se erano amici o nemici... ricordò anche la paura che un colpo di tosse, uno sternuto, i singulti di Wade rivelassero la loro presenza agli uomini in marcia. Oh, quella strada nera su cui gli uomini sembravano fantasmi senza voce; solo il calpestio nella polvere soffice, e il debole ticchettio delle briglie! E il momento terribile in cui il cavallo aveva rifiutato di entrare nel bosco, e soldati di cavalleria e carri di artiglieria leggera erano passati oltre, nel buio che le nascondeva, cosí vicini che ella avrebbe potuto quasi toccarli e che l'odore del loro sudore giungeva alle sue nari! Finalmente, quando era giunta in prossimità di un crocevia, aveva visto ardere dei fuochi da campo; erano gli ultimi resti della retroguardia di Steve Lee che aspettavano l'ordine di ritirarsi. Si era allora messa per un campo arato finché gli ultimi riflessi dei fuochi erano scomparsi. Ma aveva perduto l'orientamento nell'oscurità e aveva singhiozzato non potendo ritrovare la piccola strada carreggiabile che conosceva cosí bene. Quando finalmente era riuscita a trovarla, il cavallo era caduto a terra e aveva rifiutato di muoversi, di rialzarsi, anche quando lei e Prissy l'avevano percosso. Lo aveva staccato; quindi, disfatta dalla stanchezza, si era trascinata fino alla parte posteriore del carretto dove si era arrampicata a fatica. Ricordava vagamente di avere udito prima di chiudere gli occhi, una debole voce che anche quando pregava, si scusava: - Rossella, per favore, posso avere un po' d'acqua? - Non ce n'è - aveva risposto; e si era addormentata di colpo. Ora era mattina; e il mondo era calmo e sereno, verde e oro sotto i raggi del sole. Nessun soldato in vista. Aveva fame e sete; era indolenzita e piena di sudore per il fatto che lei, Rossella O'Hara, che non poteva dormire se non fra lenzuola di lino e su materasso di piume, aveva dormito sulle tavole come una misera schiava. Volse gli occhi abbacinati dal sole su Melania e sussultò inorridita. La povera donna era cosí pallida e immobile che Rossella credette che fosse morta. Sembrava una vecchia, coi lineamenti stirati, su cui le ciocche di capelli neri cadevano in disordine. Ma con un respiro di sollievo vide il lievissimo sollevarsi e abbassarsi del seno: Melania respirava ancora. Rossella si fece visiera con la mano e si guardò attorno. Evidentemente avevano trascorso la notte sotto gli alberi del cortile di accesso di qualche casa perché dinanzi a lei era un viale inghiaiato fiancheggiato da cedri. «Ma è la piantagione di Mallory» pensò; e il suo cuore balzò di gioia all'idea di trovare amici e aiuto. Ma nella piantagione era un silenzio di tomba. L'erba e gli arbusti del prato erano strappati e calpestati, come se zoccoli, ruote, piedi, avessero camminato freneticamente avanti e indietro finché il suolo non era stato completamente sconvolto. Guardò verso la casa, e invece del vecchio edificio bianco col tetto coperto di latta che conosceva cosí bene, scorse un lungo rettangolo di pietre di granito annerite; quelle delle fondamenta; e in mezzo agli alberi due grossi mucchi di mattoni fumiganti. Si sentí stringere il cuore. Troverebbe cosí anche Tara, rasa al suolo, silenziosa come la morte? - Non devo pensare a questo adesso - si disse in fretta. - Non devo. Altrimenti sarò ripresa dal terrore. - Ma suo malgrado il cuore ricominciò a batterle precipitosamente e ogni battito sembrava dirlo: - A casa! Presto! A casa! Presto! Bisognava muoversi. Ma prima occorreva trovare qualche cosa da mangiare e dell'acqua; specialmente acqua. Svegliò Prissy la quale si guardò attorno con gli occhi spaventati. - Oh Dio, miss Rossella. Io credere di non svegliarmi mai piú se non nella Terra Promessa. - C'è tempo, per quella, - rispose Rossella cercando di respingersi indietro i capelli, scarmigliati. Si sentiva sudicia e già bagnata di sudore. Gli abiti erano sgualciti; non si era mai sentita cosí poco pulita - le sembrava quasi di emanare cattivo odore! - e cosí stanca. Muscoli che ignorava di possedere le dolevano per l'insolito esercizio a cui li aveva sottoposti la notte prima; ed ogni movimento acutizzava le sue sofferenze. Guardò Melania e vide che i suoi occhi neri erano aperti. Erano brillanti di febbre e cerchiati da occhiaie profonde. Le labbra aride si socchiusero e bisbigliarono: - Acqua. - Alzati, Prissy - ordinò Rossella. - Andiamo al pozzo a prendere un po' d'acqua. - Ma, miss Rossella, forse esserci qualche morto e... - Scendi subito, ti ho detto; altrimenti... - E Rossella, che non era in vena di discutere, discese faticosamente a terra. Pensò allora al cavallo. Dio! Se fosse morto durante la notte! Sembrava prossimo a dare l'ultimo respiro quando lei gli aveva tolto i finimenti. Girò attorno al carretto e lo vide sdraiato. Se fosse morto, lei maledirebbe Dio e morrebbe. Era successo a qualcuno nella Bibbia, che aveva maledetto Dio ed era morto. Ne comprendeva perfettamente i sentimenti, ora. Ma il cavallo era vivo. Respirava con fatica, ma era vivo. Un po' d'acqua farebbe bene anche a lui. Prissy discese riluttante dal carretto e con molti gemiti seguí timorosamente Rossella per il viale. Dietro alle rovine le file delle capanne degli schiavi imbiancate a calce erano mute e deserte sotto gli alberi. Fra il quartiere degli schiavi e le fondamenta fumiganti, trovarono il pozzo; sospeso alla sua tettoia era ancora il secchio. Svolsero la fune e quando il secchio tornò in alto pieno di acqua fredda, Rossella lo portò alle labbra e bevve lungamente rumorosamente, spruzzandosi d'acqua dappertutto. Bevve finché la voce petulante di Prissy: - Anche io avere sete, miss Rossella! - le ricordò che anche gli altri avevano bisogno di bere. - Sciogli la corda, porta il secchio al carretto e dài da bere a miss Melania e a Wade; il resto dàllo al cavallo. Non credi che miss Melania dovrebbe allattare il piccolo? Morirà di fame. - Oh, miss Rossella, miss Melania non avere latte e non potere neanche avere! - Come lo sai? - Avere visto troppe donne come lei. - Non darti delle arie con me. Lo abbiamo visto ieri, come te ne intendi di bambini! Sbrigati. Io vado a cercare qualche cosa da mangiare. La ricerca fu vana, finché nell'orto trovò alcune mele. I soldati erano passati prima di lei e sugli alberi non vi era piú nulla. Quelle che trovò a terra erano per la maggior parte marce. Sollevando la gonna, si riempí il grembo delle migliori e tornò verso il carretto, sentendo che nelle scarpine le penetravano terriccio e sassolini. Perché non aveva pensato a mettere delle scarpe piú pesanti, iersera? Perché non aveva preso il cappello da sole? Perché non aveva portato qualche cosa da mangiare? Si era comportata come una stupida. Ma aveva creduto che a tutte quelle cose pensasse Rhett. Rhett! Sputò a terra, per il disgusto di quel nome. Come lo odiava! Com'era stato spregevole! E lei si era lasciata baciare... i suoi baci le erano quasi piaciuti. Doveva essere pazza... Che individuo abbietto! Giunta al carretto, divise le mele e gettò quelle che avanzavano nella parte posteriore del veicolo. Il cavallo ora era in piedi, ma pareva che l'acqua non lo avesse ravvivato molto. Di giorno sembrava anche piú miserevole che di notte. Aveva tutte le ossa fuori e il dorso era ridotto una sola piaga. Nel mettergli i finimenti, Rossella si ritraeva per non toccarlo e quando gli mise il morso in bocca vide che era completamente sdentato. Cosí vecchio? Non avrebbe potuto, Rhett, dal momento che rubava un cavallo, rubarne uno migliore? Salí sulla cassetta e lo frustò col ramo di noce americano. La bestia si avviò, respirando con difficoltà; ma cosí lentamente che Rossella si disse che certo avrebbe progredito piú velocemente a piedi. Se non avesse dovuto occuparsi di Melania e di Wade, di Prissy e del pupo! Avrebbe percorso a passo veloce la distanza che la separava da Tara e dalla mamma. Non potevano esservi piú di quindici miglia; ma col passo di quella rozza sfiancata ci vorrebbe tutto il giorno, perché sarebbe necessario fermarsi ogni tanto per farla riposare. Tutto il giorno! Guardò la strada rossigna e i solchi profondi prodotti dalle ruote dei carriaggi e delle ambulanze. Passerebbero delle ore prima di sapere se Tara esisteva ancora e se Elena vi era. Lunghe ore prima di terminare quel viaggio sotto il sole ardente. Guardò Melania che giaceva con gli occhi chiusi sotto quel sole; sciolse i nastri del suo cappello e lo porse a Prissy. - Mettiglielo sul viso. Almeno le riparerà gli occhi. - E sentendo il calore violento sul capo scoperto pensò: «Prima di sera sarò piena di lentiggini come un uovo di faraona». Non era mai stata al sole senza cappello o velo, non aveva mai tenuto le redini senza guanti, per proteggere la candida pelle delle sue mani. Eppure adesso era esposta al sole in un carretto sconquassato, con un cavallo bolso; assetata, affamata, lorda di polvere e di sudore, incapace di fare altro se non di procedere a passo lento per quella landa deserta. E dire che poche settimane prima era cosí sicura e tranquilla, nella certezza che Atlanta non sarebbe mai caduta e la Georgia non sarebbe mai invasa! Chi sa se Tara era ancora in piedi? O se anch'essa era stata spazzata via dal vento che si era scatenato sulla Georgia? Percosse con la frusta il dorso del cavallo e cercò di fargli affrettare il passo, mentre le ruote sconnesse sbalzavano lei e gli altri da un lato all'altro del carretto.

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Aperse le tre finestre, lasciando penetrare l'odore delle querce e della terra; ma l'aria immota era insufficiente a disperdere il fetore accumulato da tante settimane nella stanza chiusa. Carolene e Súsele, pallide ed emaciate, dormivano di un sonno interrotto, svegliandosi ogni tanto e lamentandosi, mentre fissavano con gli occhi spalancati l'ampio letto nel quale, in altri tempi, avevano tante volte passato le ore ridendo e bisbigliando. Nell'angolo della stanza era un lettino a un posto; un letto francese; stile Impero, che Elena aveva portato da Savannah. In quello era stata Elena ammalata. Rossella sedette accanto al letto grande, fissando stupidamente le due sorelle. Il whisky, bevuto a stomaco vuoto, le faceva degli strani scherzi. A volte le ragazze le sembravano piccine piccine, lontanissime e la loro voce le giungeva come il ronzio di un insetto. Altre volte le vedeva enormi e le pareva che si gettassero sopra di lei con la velocità del lampo. Era stanca da morire. Avrebbe voluto dormire per giornate intere. Si sarebbe poi destata sentendo Elena che la scuoteva dolcemente dicendole: - È tardi, Rossella. Non devi essere tanto pigra. - Ma no; questo non accadrebbe mai piú. Non c'è piú nessuno, nessuno piú vecchio di lei, nel cui grembo posare il capo, nessuno sulle cui spalle ella potesse deporre il suo grave fardello! La porta si aperse piano lasciando entrare Dilcey, col bimbo di Melania attaccato al seno, e la borraccia del whisky in mano. Nella luce fumosa e incerta, sembrò a Rossella piú sottile di quando l'aveva vista l'ultima volta; e il sangue indiano era piú evidente sul suo volto. Gli zigomi erano piú sporgenti, il naso aquilino piú aguzzo e la pelle color del rame piú chiara. La veste di calicò scolorito era aperta davanti e lasciava vedere il suo seno florido. Stretto contro di lei, il bimbo di Melania aveva attaccato avidamente la sua boccuccia pallida al capezzolo bruno e succhiava, premendo i piccoli pugni contro la carne morbida, come un gattino nella calda pelliccia del ventre materno. Rossella si alzò faticosamente e pose una mano sul braccio di Dilcey. - Sei stata buona a rimanere, Dilcey. - Come potere io andar via con quella canaglia negra, miss Rossella, quando tuo padre essere stato tanto buono da comprare me e la mia piccola Prissy e anche tu essere stata cosí buona? - Siediti, Dilcey. Dunque, il bambino succhia? E come sta miss Melania? - Il bambino non ha niente; soltanto è affamato. E quando io prendere un bimbo affamato, lui dopo stare bene. Miss Melania va bene. Non morire; non dover temere, miss Rossella. Vedute tante, bianche e negre, come lei. Molto stanca e nervosa e spaventata per il bambino. Ma io averla lavata e dato poco liquore rimasto borraccia. Ora lei dormire. Cosí, il whisky di grano era servito a tutta la famiglia! Rossella pensò istericamente che forse sarebbe bene a darne un sorso al piccolo Wade, per vedere se cessasse i suoi singulti... E Melania non morrebbe. E al ritorno di Ashley... se tornasse... No, anche a questo penserà piú tardi. Quante cose da pensare... piú tardi! Improvvisamente sobbalzò sentendo un rumore stridente e un ritmico "ker-bunk, ker-bunk..." che interruppe il silenzio esterno. - Mammy tirare su acqua per fare spugnature alle badroncine - spiegò Dilcey, posando la borraccia sulla tavola fra boccette di medicinali e bicchieri. - Avere bisogno di bagnare spesso. Rossella rise improvvisamente. Doveva avere i nervi molto scossi se il cigolio del mulinello del pozzo, legato ai suoi ricordi piú lontani, poteva spaventarla. Dilcey la fissò col viso immobile; ma Rossella sentí che quella la comprendeva. Ricadde sulla sua sedia. Se potesse togliersi il busto stretto, il colletto che la soffocava, le scarpine piene di terriccio e di sassolini che le facevano male ai piedi! Il mulinello cigolava piú lentamente man mano che la fune vi si avvolgeva, portando il secchio piú vicino all'orlo. Fra poco Mammy sarebbe con lei.. la sua Mammy, la Mammy di Elena. Sedette silenziosa, senza badare a nulla, mentre il bimbo sazio di latte, si lamentava piano per essere stato allontanato dalla mammella. Dilcey, senza parlare, guidò la bocca del piccino, acquetandolo, mentre Rossella ascoltava il lento avvicinarsi dei passi di Mammy attraverso il cortile posteriore. Com'era calma la notte! Le scale gemettero sotto il peso di Mammy; ed eccola nella stanza: Mammy con le spalle tirate giú dal peso di due secchi di legno, col suo buon viso nero triste della incomprensibile tristezza di un viso di scimmia. I suoi occhi si illuminarono alla vista di Rossella, i suoi denti bianchi brillarono mentre deponeva i secchi; e Rossella corse a lei, posando il capo sul largo seno su cui tante teste, bianche e nere, si erano posate. Ecco finalmente qualche cosa dell'antica vita che era rimasta immutata. Ma le prime parole di Mammy dissiparono le sue illusioni. - Essere tornata a casa, la bambina di Mammy! Oh miss Rossella, che cosa fare ora che miss Elena essere morta? Oh, almeno io essere morta insieme a lei! Io non potere stare senza miss Elena. Non essere rimasto altro che guai e miserie. Fardelli troppo pesanti, tesoro, troppo pesanti! Rossella alzò il capo e le accarezzò il volto rugoso. - Ma tu essere spellata! - Mammy afferrò le manine con le sue grosse zampe e le guardò inorridita. - Ma come, miss Rossella, io averti sempre detto che dovere stare attenta alla tua pelle... e anche tutto il viso bruciato dal sole! Povera Mammy, pensava ancora a queste cose cosí poco importanti, benché la morte e la guerra le fossero passate accanto! A momenti direbbe che le signorine con le mani spellate e il volto macchiato di lentiggini non trovavano marito. Ma non le diede tempo di fare l'osservazione. - Mammy, voglio che mi racconti di mia madre. Non ho potuto sopportare che il babbo me ne parlasse. Gli occhi di Mammy si riempirono di lagrime mentre ella si chinava a prendere i secchi. Li portò senza far parola accanto al letto; quindi, tirando giú le lenzuola, cominciò a rialzare le camicie da notte di Carolene e di Sùsele. Rossella vide che Carolene aveva una camicia pulita ma a brandelli, e che Sùsele era avvolta in una vecchia vestaglia di tela bruna, guarnita di pesante trina d'Irlanda. Mammy piangeva silenziosamente mentre bagnava i due corpi, servendosi di un vecchio grembiule come asciugamani. - Miss Rossella, essere stati gli Slattery, quei rifiuti, straccioni, buoni-a-niente, abbietti Slattery che avere dato malattia a miss Elena. Io avere detto che non fare bene a occuparsi di quella gente, ma miss Elena cosí buona che non poter mai dire di no a chi aver bisogno di lei. - Slattery? - chiese Rossella stupita. - E come mai sono venuti qui? - Essere ammalati di quella malattia - e Mammy accennò col cencio alle due ragazze ignude e bagnate. - La figlia di vecchia miss Slattery, Emma, essersi messa a letto, e giovine miss Slattery essere venuta di corsa a chiamare badrona, come sempre fare quando qualche cosa andar male. E miss Elena essere andata a curare miss Emma. E stare poco bene già da un pezzo; essere indebolita, troppo da fare con commissario che rubare tutto quello che noi coltivare. E sempre mangiare come un uccellino. Io aver detto di lasciare bianchi straccioni soli, ma lei non darmi retta. Beh, quando miss Emma cominciare a star meglio, miss Carolene essersi ammalata. Sí, badrona, tifo arrivare qui e colpire miss Carolene e poi miss Súsele. E miss Elena cominciare a curare anche loro. Con tutta battaglia e yankees che attraversare fiume e noi non sapere cosa poter succedere di noi, io sentirmi impazzire. Ma miss Elena sempre fredda come un cocomero. Essere soltanto preoccupata perché non potere avere medicine per badroncine. E una sera, dopo avere fatto spugnature circa dieci volte, dire a me: «Mammy, se io poter vendere mia anima, venderei per un pezzo di ghiaccio da mettere sulla testa di mie figlie». E non voler lasciare entrare Mist' Geraldo e neanche Rosa e Tina, soltanto io, perché avere già avuto il tifo. E poi essersi ammalata lei e io avere visto subito che esserci niente da fare. Mammy si irrigidí e si asciugò gli occhi col grembiule. - Essere stato molto rapido; e anche quel bravo dottore yankee non aver potuto far niente. Non capire piú niente; io parlare e chiamare, ma lei non riconoscere piú nemmeno sua Mammy. - Mi ha mai... nominata... mi ha mai chiamata? - No, gioia. Credere di essere una ragazza, di nuovo a Savannah. Non avere chiamato nessuno per nome. Dilcey si voltò, posando il bimbo sulle sue ginocchia. - Sí, badrona. Aver chiamato qualcuno. - Tu stare zitta, negra-indiana! - Mammy si era voltata con minacciosa violenza verso Dilcey. - Zitta, Mammy! E chi chiamò? Il babbo? - No. Non tuo babbo. Essere stato quella notte che bruciare cotone... - Hanno bruciato il cotone? Dimmi subito! - Sí, tutto. I soldati avere rotolato le balle nel cortile e aver dato fuoco gridando e cantando. Tre annate di cotone messe in serbo: centocinquantamila dollari in una fiammata! - E le fiamme fare luce come se essere giorno; noi avere paura che bruciare anche la casa, ed essere tanto chiaro in questa camera che vedere come di giorno col sole. E quando luce brillare, miss Elena essersi come svegliata e drizzata sul letto e gridare forte: «Filippo! Filippo!» Io non avere mai sentito questo nome, ma lei averlo chiamato. Mammy fissava Dilcey pietrificata, ma Rossella si lasciò cadere il capo fra le mani. Filippo... chi era e che cos'era stato per la mamma, se lei era morta chiamandolo?

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ROSSELLA era a casa da due settimane, quando la vescica piú grande del suo piede cominciò a suppurare facendole gonfiare l'estremità in modo che le era impossibile mettere la scarpa e che riusciva a camminare solo appoggiandosi al calcagno. La disperazione s'impadroní di lei. Se l'arto fosse andato in cancrena come le ferite dei soldati, ed ella dovesse morire cosí, senza un medico? Per quanto la vita fosse amara, ella non desiderava lasciarla. E poi, chi si occuperebbe di Tara se ella moriva? In un primo tempo aveva sperato che Geraldo tornasse in sé e prendesse la direzione della casa; ma in quelle due settimane la speranza era svanita. Oramai la piantagione e i suoi abitanti erano affidati alle sue mani inesperte, poiché Geraldo rimaneva lunghe ore seduto, come assente dalla vita; e quando ella gli chiedeva qualche consiglio rispondeva: - Fai come ti sembra meglio, figliola. - O, peggio ancora: - Domanda alla mamma, gattina. Senza dubbio egli non muterebbe piú; e Rossella comprendeva che fino alla morte Geraldo continuerebbe ad attendere Elena, convinto che ella fosse in un'altra stanza. Quella mattina la casa era tranquilla perché tutti, eccetto Rossella, Wade, e le tre inferme, erano andati nella palude alla caccia della scrofa. Perfino Geraldo si era avviato attraverso i campi malconci, appoggiando una mano sul braccio di Pork e tenendo nell'altra un pezzo di fune. Súsele e Carolene avevano tanto pianto che si erano addormentate, come facevano almeno due volte al giorno, quando pensavano ad Elena e le lagrime inondavano le loro guance smunte. Melania, che si era alquanto sollevata sui guanciali per la prima volta in quel giorno, aveva i due pargoli uno su ogni braccio. Wade sedeva ai piedi del letto, ascoltando una fiaba. Per Rossella il silenzio di Tara era insopportabile, perché le ricordava troppo acutamente la quiete mortale della desolata campagna attraversata nel venire da Atlanta. La mucca e il vitello non si facevano sentire da qualche ora. Non vi erano uccelli che cinguettassero fuori dalla finestra, e perfino la rumorosa famiglia dei merli, che da tanti anni viveva nella magnolia, quel giorno era taciturna. Ella aveva trascinato una sedia bassa accanto alla finestra aperta della sua stanza, e guardava il viale d'accesso col mento appoggiato sulle braccia posate sul davanzale. Accanto a lei, sul pavimento, era un secchio d'acqua nel quale ella immergeva ogni tanto il piede ammalato. Era di pessimo umore. Proprio quando aveva bisogno di tutte le sue forze, quel piede si metteva a suppurare! Era sicura che quegli stupidi negri non riuscirebbero a catturare la scrofa. Avevano impiegato una settimana a prendere i porcellini, uno ad uno, e la madre era ancora in libertà. Se fosse andata lei nella palude, insieme a loro, si sarebbe alzata le gonne fino alle ginocchia e avrebbe lanciato il nodo scorsoio in men che non si dica... Ma anche dopo aver preso quella bestia... se si prendeva... Che fare dopo aver mangiato quella e i porcellini? La vita continuerebbe e l'appetito pure. L'inverno si avvicinava e non c'era piú nulla da mangiare; anche i poveri rimasugli dei legumi dei vicini stavano per finire. Occorrevano piselli secchi, orzo, farina, riso,... tante, tante cose! E poi grano e semi di cotone per la semina della primavera e anche nuovi abiti. Dove prendere tutto questo, e come pagarlo? Aveva frugato nelle tasche di Geraldo e nella sua cassa, e tutto ciò che aveva trovato erano pacchetti di titoli della Confederazione e tremila dollari in banconote della Confederazione stessa. Bastavano giusto per un pasto completo per tutti, pensò ironicamente, ora che il denaro della Confederazione valeva quasi meno che nulla. Ma anche se avesse del denaro e potesse comprare delle provviste, come potrebbe portarle a Tara? Perché Dio aveva fatto morire il vecchio cavallo? Perfino quell'animale malandato sarebbe stato prezioso per loro. Oh, i bei muli muscolosi, e i bei cavalli, e la sua piccola giumenta, i ponies delle ragazze e lo stallone di Geraldo... Oh, avere solo una di quelle bestie, magari il piú caparbio dei muli! Comunque, quando il piede sarà guarito, andrà a Jonesboro. Sarà la piú lunga passeggiata della sua vita, ma la farà. Anche se gli yankees hanno bruciato completamente la città, vi sarà qualcuno nel vicinato che potrà dirle dove è possibile procurarsi dei viveri. In quel momento ebbe la visione di Wade piagnucoloso. Non gli piacevano le patate dolci, ripeteva; voleva del riso col sugo e poi voleva anche un bastone per il tamburo. La luce del sole improvvisamente si oscurò. Rossella lasciò ricadere la testa sulle braccia e lottò contro le lagrime. Piangere era inutile; il solo momento in cui le lagrime potevano servire, era quando un corteggiatore chiedeva qualche cosa. In quel momento fu colpita da uno scalpitio di zoccoli; ma non alzò la testa. Troppo spesso le era parso di udire quel rumore, nello stesso modo in cui aveva immaginato di udire il fruscio delle gonne di Elena. Sentí battere il cuore piú velocemente, come sempre, prima di avere il tempo di dire a se stessa: «Non essere stupida». Ma il rumor di zoccoli rallentò assumendo il ritmo di una passeggiata; si sentí la ghiaia scricchiolare. Un cavallo... i Tarleton, i Fontaine! Alzò gli occhi. Era un soldato di cavalleria yankee. Automaticamente si trasse dietro la tenda e lo guardò affascinata, e cosí sgomenta, che le mancò il respiro. L'uomo, grosso, rozzo, con una barba nera incolta che gli scendeva sulla tunica sbottonata, cavalcava piegato in avanti. Gli occhi piccoli e socchiusi per il sole abbagliante, osservavano tranquillamente la casa, da sotto la visiera del berretto azzurro. Scese lentamente e attorcigliò le redini sul pomo della sella; frattanto Rossella sentí che il respiro le ritornava, improvviso e doloroso come dopo aver ricevuto un colpo nello stomaco. Uno yankee, uno yankee con una lunga pistola al fianco! E lei era sola in casa con tre ammalate e due lattanti! Mentre egli percorreva il viale con la mano sulla pistola e guardando vivamente a destra e a sinistra, un caleidoscopio di immagini spaventose le passò dinanzi agli occhi: storie raccontate da zia Pittypat di attacchi a donne indifese, di gole tagliate, di case incendiate, di bambini sventrati; tutti gli indicibili orrori inseparabili dal nome di «yankee». Il suo primo impulso fu di nascondersi nel gabinetto, di scivolare sotto al letto, di fuggire per la scala posteriore e correre urlando verso la palude; qualunque cosa pur di sfuggirgli. Ma udí il suo passo guardingo sui gradini dell'ingresso, e la sua andatura pesante nel vestibolo; e comprese che ogni via di scampo era ormai preclusa. Irrigidita dallo spavento, lo udí passare di camera in camera a pianterreno, con passo che diventava sempre piú sicuro a misura che si accorgeva che la casa era deserta. Ora si trovava nella sala da pranzo; fra poco andrebbe in cucina. Al pensiero della cucina una rabbia subitanea invase Rossella. E lo spavento diede luogo a un furore strapotente. La cucina! Quivi, sul fornello, erano due casseruole: una piena di mele al forno e l'altra di minestrone fatto coi legumi portati faticosamente dalle Dodici Querce e dall'orto di Maclntosh; un pranzo che doveva servire per nove persone affamate ed era appena sufficiente per due. Rossella dominava il suo appetito da qualche ora, aspettando il ritorno degli altri; e il pensiero che lo yankee potesse divorare il loro magro pasto la fece tremare di collera. Dio li maledica tutti! Erano discesi come delle cavallette, distruggendo tutto, ed ora tornavano ancora per rubare i miseri rimasugli. Ah no, per Dio, ecco uno yankee che non ruberebbe piú nulla a nessuno! Si tolse l'altra scarpa e, a piedi scalzi, andò velocemente al cassettone senza neanche piú sentire il dolore della sua ferita. Aperse senza far rumore il cassetto superiore e afferrò la pesante pistola che aveva recata da Atlanta: l'arme che Carlo aveva portata, ma con la quale non aveva mai sparato. Frugò nella borsa di cuoio sospesa alla parete sotto la sua sciabola e trasse una cartuccia che insinuò nell'arme con mano che non tremava. Rapidamente e silenziosamente corse fuori dalla stanza e scese le scale reggendosi alla ringhiera con una mano e tenendo con l'altra la pistola fra le pieghe della gonna. - Chi va là? - chiese una voce nasale. Ed ella si fermò a metà delle scale, col sangue che le ronzava nelle orecchie in modo cosí violento che quasi non le faceva udire la voce dell'uomo. - Fermi, o sparo! - gridò ancora la voce. Era fermo sulla soglia della stanza da pranzo, con la pistola in una mano e nell'altra la cassettina da lavoro di legno rosa in cui erano il ditale d'oro, le forbicine e l'agoraio d'oro. Rossella sentí agghiacciarsi le gambe, ma l'ira le fece avvampare il volto. La scatola da lavoro di Elena in quelle mani! Volle gridare: «Posatela subito! Posatela subito, brutto...» ma le parole non uscirono. Rimase a guardarlo al di sopra della ringhiera e vide il suo volto mutare la sua espressione di turbamento e di tensione in un sorriso fra sprezzante e grazioso. - Dunque c'è qualcuno in casa - disse rimettendo la pistola nel fodero e attraversando il vestibolo fino a trovarsi proprio sotto a lei. - Tutta sola, bella signorina? Con la rapidità del lampo ella sollevó l'arme al di sopra della ringhiera in direzione del viso barbuto. Prima che egli potesse portare la mano alla cintura, Rossella fece scattare il grilletto. Il rinculo della pistola la fece indietreggiare, mentre il fragore dell'esplosione le riempiva le orecchie, e il fumo acre le penetrava nelle narici. L'uomo cadde all'indietro con una violenza che fece tremare il mobilio. La scatola gli sfuggí dalle mani spargendo attorno il contenuto. Senza neanche accorgersi di ciò che faceva, Rossella scese le scale di corsa e fu accanto a lui, guardando ciò che era rimasto di quel volto al di sopra della barba; un buco sanguinoso al posto del naso, gli occhi bruciati dalla polvere. Due rivoli di sangue cominciarono a scorrere sul pavimento, uno proveniente dal viso, l'altro dal capo. Era morto. Senza alcun dubbio. Aveva ucciso un uomo. Il fumo saliva in lente volute al soffitto e il rigagnolo rosso si allargava. Per un tempo incalcolabile ella restò immobile, e nel calore della mattina d'estate ogni minimo rumore e profumo sembrò ingigantire: il battito del suo cuore, il fruscio delle foglie di magnolia, il lontano lamento di un uccello di palude, la lieve fragranza dei fiori fuori della finestra. Aveva ucciso un uomo, lei che non era mai rimasta sino al termine di una caccia, che non sopportava le stride dei maiali al macello, il guaito di un coniglio in trappola. «Ucciso!» pensò stupidamente. «Ho commesso un assassinio. È impossibile.» I suoi occhi corsero alla mano tozza e vellosa che posava sul pavimento, vicino alla scatola da lavoro, e improvvisamente ebbe la sensazione di essere nuovamente viva, viva gioiosamente, di una fredda gioia da figlie. Avrebbe affondato con piacere il tallone nella larga ferita che era al posto del naso di quell'uomo, e il sangue caldo sul piede nudo le avrebbe dato piacere. Aveva colpito per vendicare Tara... ed Elena. Sul pianerottolo superiore udí un calpestio affrettato e incerto; poi una pausa; quindi nuovi passi, lenti e strascicati, accompagnati da un rumore metallico. Riprendendo coscienza del momento e del luogo, Rossella alzò gli occhi e vide in cima alla scala Melania vestita solo dell'accappatoio cencioso che funzionava da camicia da notte; il suo debole braccio era tirato in basso dal peso della sciabola di Carlo. Gli occhi di Melania afferrarono la scena nel suo insieme; il corpo vestito di azzurro nella pozza di sangue, la scatola da lavoro, Rossella scalza e pallida con la pistola stretta nella mano convulsa. I suoi occhi incontrarono quelli di Rossella. Un raggio di orgoglio feroce illuminava il suo volto generalmente dolce; nel suo sorriso era un'approvazione e una gioia che uguagliavano il tumulto che agitava il seno della giovine temeraria. «È come me!» pensò Rossella. «Comprende i miei sentimenti! Avrebbe fatto lo stesso!» Con un brivido, guardò la fragile donna per la quale non aveva mai provato che disprezzo e antipatia. Ora, lottando contro l'odio per la moglie di Ashley, nasceva in lei un sentimento di ammirazione e di camerateria. In un lampo, si accorgeva che sotto la voce gentile e gli occhi di colomba di Melania si celava una lama d'acciaio infrangibile; e sentí pure che nel sangue tranquillo di Melania erano squilli e fanfare di intrepido ardimento. - Rossella! Rossella! - gridarono le voci sgomente di Carolene e di Súsele, soffocate dall'uscio chiuso; e la vocetta di Wade urlò: - Zietta! Zietta! - Melania pose rapidamente un indice sulle labbra e posando la sciabola sul primo gradino, attraversò faticosamente il pianerottolo e aperse la porta delle ammalate. - Non abbiate paura, bambine! - La sua voce era scherzosa. - Vostra sorella ha voluto pulire la pistola di Carlo e involontariamente ha fatto partire un colpo che le ha fatto una paura terribile!... Pensa, Wade, che la mamma ha sparato con la pistola del tuo papà! Quando sarai grande, sparerai anche tu. «Con che freddezza sa mentire!» pensò Rossella con ammirazione. «Io non avrei avuto l'idea... Ma perché mentire? Bisogna che sappiano quello che ho fatto.» Guardò nuovamente il corpo; ora la sua ira e il suo terrore svanivano e la reazione le faceva vacillare le ginocchia. Melania si trascinò nuovamente sino alla sommità della scala e cominciò a scendere reggendosi alla ringhiera, mordendosi il pallido labbro inferiore. - Torna a letto, sciocca; ti ammazzerai! - esclamò Rossella; ma Melania la raggiunse nel vestibolo. - Rossella - bisbigliò - dobbiamo portarlo fuori e seppellirlo. Non può essere che sia solo; e se lo trovano qui... - Dev'essere solo - replicò Rossella. - Non ho visto nessun altro dalla finestra. Sarà uno sbandato. - Anche se è solo, bisogna che nessuno sappia... I negri potrebbero parlare, e tu potresti essere arrestata. Dobbiamo nasconderlo prima che gli altri tornino dalla palude. Spinta ad agire dall'insistenza di Melania, Rossella rifletteva. - Potrei seppellirlo nell'angolo del giardino, sotto il noce... Il terreno dev'essere morbido, perché Pork ha scavato per dissotterrare il bariletto di whisky. Ma come portarlo fin là? - Prendiamo una gamba per ciascuna e trasciniamolo - disse Melania con fermezza. L'ammirazione di Rossella aumentò. - Tu non puoi - riprese. - Lo trascinerò io. Torna a letto. Ti ammazzerai. Non tentare di aiutarmi, altrimenti ti porto su in braccio. Il volto pallido di Melania abbozzò un sorriso di comprensione. - Sei molto buona, Rossella - e le sfiorò la guancia con le labbra. Poi, prima che Rossella si fosse riavuta dalla sorpresa, proseguí - Se tu puoi trascinarlo da sola, io pulirò intanto il... sí, il pavimento prima che gli altri tornino a casa; e... senti... - Di'? - Credi che sarebbe... disonesto frugare nella sua giberna? Potrebbe esservi qualcosa da mangiare. - Hai ragione - rispose Rossella, seccata di non avere avuto lei stessa quell'idea. - Tu guarda nella giberna; io esaminerò le tasche. Chinandosi sul morto con disgusto, finí di sbottonargli la tunica e cominciò sistematicamente a frugare nelle tasche. - Dio mio! - mormorò tirando fuori una saccoccia rigonfia avvolta in uno straccio. - Melania... Melly, questa è piena di denaro! Melania non rispose, ma sedette a un tratto sul pavimento e si appoggiò alla parete. - Non badarci - mormorò - mi sento un po' debole. Rossella tolse il cencio e allargò le pieghe del cuoio con mano tremante. - Guarda, Melly... guarda! Melania guardò e i suoi occhi si dilatarono. Ficcate dentro alla rinfusa erano una quantità di banconote degli Stati Uniti, insieme a denaro della Confederazione, e in mezzo a quelle erano una moneta d'oro di dieci dollari e due da cinque. - Non metterti a contare adesso - riprese Melania mentre Rossella cominciava a sfogliare i biglietti di banca. - Non abbiamo il tempo... - Capisci, Melania, che questo denaro significa che potremo mangiare? - Sí, cara. Lo so; ma ora non abbiamo tempo. Guarda nelle altre tasche mentre io frugo nella giberna. Le tasche dei calzoni contenevano soltanto un mozzicone di candela, un temperino, una borsa da tabacco e un pezzo di spago. Melania trasse dalla giberna un pacchetto di caffè che annusò come se fosse il piú soave dei profumi, un rimasuglio di galletta e la miniatura di una bambina in una cornicetta d'oro ornata di perline, una spilla di granati, due larghi braccialetti d'oro, due catenelle e un ditale anche d'oro, una tazza d'argento da bambino, un anello con un solitario, un paio di forbici d'oro e un paio di pendenti di brillanti a forma di pera che anche ai loro occhi inesperti sembrarono essere non meno di un carato ciascuno. - Un ladro! - mormorò Melania ritraendosi con ribrezzo. - Deve aver rubato tutto questo! - Senza dubbio. Ed era venuto qui sperando di rubare ancora qualche altra cosa. - Hai fatto bene a ucciderlo - e i dolci occhi di Melania s'indurirono. - Ma ora bisogna sbrigarsi. Rossella si chinò e afferrò i piedi del morto. Ma com'era pesante e come si sentí improvvisamente debole! E se non riuscisse a smuoverlo? Si volse di spalle e mettendosi sotto le braccia quei piedi, cominciò a tirare. Il suo piede ammalato che nell'eccitazione aveva dimenticato, ora le dava una sofferenza che le faceva stringere i denti, costringendola a portare tutto il proprio peso sul calcagno. Sforzandosi e sudando riuscí a trascinarlo per tutto il vestibolo, lasciandosi dietro una traccia rossa. - Se fa sangue nel cortile, non potremo nasconderlo - disse rabbrividendo. - Dammi il tuo accappatoio, Melania, glie lo avvolgerò intorno alla testa. Il volto pallido di Melania divenne vermiglio. - Non fare la sciocca, nessuno ti guarda. Se io avessi una sottoveste o delle mutandine, le adoprerei. Accoccolandosi presso la parete, Melania si sfilò l'accappatoio cencioso e lo porse a Rossella, cercando di coprirsi il seno alla meglio con le braccia. «Meno male che io non ho tanto pudore» pensò Rossella sentendo piú che vedere, l'imbarazzo di Melania, mentre ella avvolgeva la tela attorno al viso in poltiglia. Riuscí a trascinare il corpo fino al porticato posteriore e, fermandosi per asciugarsi la fronte col dorso della mano, diede un'occhiata verso Melania che era rannicchiata contro la parete con le ginocchia piegate contro il petto nudo. «Era proprio il momento di stare a pensare al pudore!» disse fra sé Rossella; ma subito dopo si vergognò. Dopo tutto... dopo tutto Melania si era trascinata fuori dal letto per venire in suo aiuto con un'arme troppo pesante per lei. C'era voluto del coraggio, quella specie di coraggio che Rossella riconosceva lealmente di non possedere; quel coraggio tutto d'un pezzo che aveva caratterizzato Melania nella terribile notte della resa di Atlanta e durante il lungo viaggio verso casa. Era l'intangibile, incrollabile coraggio dei Wilkes, qualità che Rossella non possedeva, ma a cui rendeva omaggio. - Torna a letto - le disse voltandosi. - In questo modo arrischi la vita. Pulirò io dopo averlo sepolto. - Ma no; strofinerò con uno di quei tappeti vecchi - sussurrò Melania guardando la pozza di sangue col viso sconvolto. - Ah, be', se vuoi proprio star male, io poi non verrò a curarti! Piuttosto, se qualcuno ritorna prima che io abbia finito, trattienilo in casa e digli che il cavallo è venuto qui non si sa da dove. Melania rimase rannicchiata contro la parete e si coperse le orecchie per non udire la serie di colpi prodotti dalla testa del morto che batteva contro i gradini. Nessuno domandò da dove era venuto il cavallo; era ovvio che fosse un superstite della recente battaglia e tutti furono troppo contenti di averlo. Nessuno spettro si levò dalla tomba scavata da Rossella per spaventarla durante le lunghe notti in cui la stanchezza le impediva di dormire. Nessun sentimento di orrore o di rimorso l'assaliva; e ciò la stupiva perché ella sapeva che fino a un mese prima sarebbe stata incapace di quel gesto. La graziosa e giovane signora Hamilton, con le sue fossette e i suoi pendenti sempre in moto, che riduceva in poltiglia il viso di un uomo e poi lo seppelliva in una fossa scavata frettolosamente! Rossella sogghignò pensando alla costernazione che una simile idea avrebbe dato a coloro che la conoscevano. - Non voglio piú ricordarmene - decise. - Oramai la cosa è fatta e sarei stata molto stupida se non l'avessi ammazzato. Ma credo di essere cambiata parecchio da quando sono tornata a casa, altrimenti non avrei potuto. Era effettivamente cambiata piú di quanto non immaginasse, e la corazza che aveva cominciato a formarsi attorno al suo cuore quel giorno in cui ella giaceva nell'orto degli schiavi alle Dodici Querce, si andava a poco a poco indurendo. Ora che aveva un cavallo, Rossella poteva pensare a informarsi di quel che fosse accaduto ai vicini. Da quando era arrivata a casa si era chiesta disperatamente mille volte: «Ma siamo proprio i soli rimasti nella Contea? Tutto è stato incendiato, tutti si sono rifugiati a Macon?» Con la memoria fresca della rovina delle Dodici Querce e delle abitazioni dei MacIntosh e degli Slattery, aveva paura, quasi, di apprendere la verità. Ma era meglio sapere il peggio che ignorarlo. Decise quindi recarsi prima alla casa dei Fontaine, non perché fossero i piú vicini, ma perché poteva esservi il vecchio dottor Fontaine; e Melania aveva bisogno di un medico. Non si andava rimettendo come avrebbe dovuto e Rossella era spaventata del suo pallore e della sua debolezza. Non appena il suo piede le permise d'infilare una scarpina, ella montò quindi il cavallo dello yankee. Con un piede in una staffa accorciata e l'altra gamba di traverso sul pomo della sella, ella si avviò attraverso i campi, verso Mimosa. Con sua sorpresa e piacere vide che la casa giallo-pallido era ancora ritta fra gli alberi di mimosa. Una felicità che le fece quasi venire le lagrime la invase quando vide uscire dalla casa le tre signore Fontaine che le diedero il benvenuto con baci ed esclamazioni di gioia. Ma quando i primi saluti affettuosi furono scambiati, e tutte si riunirono nella sala da pranzo, Rossella ebbe un brivido. Gli yankees non erano arrivati a Mimosa, perché questa era lontana dalla strada principale; perciò i Fontaine avevano ancora la loro casa e le loro provviste. Ma a Mimosa regnava lo stesso strano silenzio che opprimeva Tara e tutta la regione. Tutti gli schiavi, ad eccezione di quattro serve, erano fuggiti, spaventati dall'avvicinarsi degli yankees. Non un uomo in casa a meno che non si volesse calcolare come tale il bambino di Sally, il piccolo Joe appena fuori dalle fasce. Nella grande casa erano sole la nonna Fontaine, ormai settantenne, sua nuora che era sempre stata chiamata la signora giovane, benché avesse compiuto i cinquant'anni, e Sally che ne aveva appena compiuto venti. Quantunque isolate e prive di qualsiasi protezione, non mostravano terrore; probabilmente, - pensò Rossella - perché Sally e la signora giovane troppo temevano l'indomabile nonna che aveva sempre avuto occhi e lingua ugualmente acuti, per osare lamentarsi. Fra le tre donne non esisteva parentela di sangue, ed esse erano di età assai diversa; ma pure erano unite da un legame di spirito e di esperienza. Tutte portavano abiti neri tinti in casa, tutte erano tristi, preoccupate e amareggiate; ma questi sentimenti non trapelavano dai loro sorrisi e dalle loro parole. I loro schiavi erano fuggiti, il loro denaro non valeva nulla, il marito di Sally era morto a Gettysburg e anche la signora giovane era vedova, essendo il giovane dottor Fontaine morto di dissenteria a Vicksburg. Gli altri due ragazzi, Alex e Toni, erano nella Virginia; e nessuno sapeva se erano vivi o morti; il vecchio dottor Fontaine era rimasto con la cavalleria di Wheeler. - E quel vecchio pazzo, a settantatré anni cerca di fare il giovinotto benché sia pieno di reumatismi - disse la nonna, fiera di suo marito, con gli occhi che smentivano le parole aspre. - Sapete nulla di ciò che sta succedendo ad Atlanta? - chiese Rossella dopo che si furono messi a sedere. - Noi a Tara siamo completamente privi di ogni notizia. - Qui siamo nella stessa condizione, figliola - rispose la vecchia. - Sappiamo soltanto che Sherman si è finalmente impadronito della città. - Ed ora che sta facendo? Dove sta combattendo? - Come vuoi che tre povere donne isolate in campagna sappiano qualche cosa della guerra, quando da settimane non abbiamo visto né una lettera né un giornale? - replicò la vecchia aspramente. - Uno dei nostri negri ha parlato con un altro che ne aveva visto un terzo che era stato a Jonesboro. Hanno detto che gli yankees si erano acquartierati ad Atlanta per far riposare uomini e cavalli; ma non so se sia vero. - Pensare che eravate a Tara e non lo sapevamo! - esclamò la signora giovane. - Come mi rimprovero di non essere mai venuta a vedere! Ma qui c'è tanto da fare dopo che i negri sono andati via, che non mi sono mai potuta muovere. Avrei pur dovuto trovare il tempo; era un dovere. In verità credevamo che gli yankees avessero bruciato Tara, come hanno fatto per le Dodici Querce e per la casa di MacIntosh, e che i vostri si fossero rifugiati a Macon. Non immaginavamo mai che voi, Rossella, foste tornata. - E come potevamo pensare diversamente, se i negri del signor O'Hara, quando passarono di qui, erano tutti spaventati e ci dissero che gli yankees stavano per incendiare Tara? Una sera, poi, vedemmo i riflessi del fuoco da quella parte, e durarono per delle ore; e i nostri stupidi schiavi si spaventarono tanto che fuggirono. Che cosa fu bruciato? - Tutto il nostro cotone: un valore di centocinquantamila dollari - rispose Rossella amaramente. - Ringrazia Dio che non abbiano bruciato la tua casa - replicò la nonna, appoggiando il mento al suo bastone. - Il cotone si può coltivare ancora, mentre la casa non si ricostruisce. A proposito, avete cominciato a raccogliere il cotone, voialtri? - No, - rispose Rossella; - ma è quasi tutto rovinato. Non credo che ve ne sia piú di tre balle. E poi, tutti i nostri negri-contadini se ne sono andati e non c'è nessuno per raccoglierlo. - Dio mio, tutti i contadini andati via e nessuno per raccoglierlo! - scimmiottò la nonna, lanciando a Rossella uno sguardo satirico. - E le tue belle manine, e quelle delle tue sorelle? - Io raccogliere il cotone? - esclamò Rossella inorridita, come se la nonna avesse suggerito un delitto. - Come una contadina? Come una stracciona? Come le donne di Slattery? - Straccioni! Dio mio, com'è delicata e signorile questa generazione! Ti dirò che quando io ero una bambina, mio padre perse tutto il suo patrimonio, e io non ebbi paura di lavorare con le mie mani, anche nei campi, finché papà non mise assieme abbastanza denaro per comprare degli altri schiavi. Ho zappato la terra, ed ho raccolto il cotone, e se sarà necessario, lo farò ancora. - Ma allora - esclamò la nuora lanciando sguardi imploranti alle due ragazze perché la aiutassero a lisciare le penne rabbuffate della vecchia, - erano altri tempi, e adesso tutto è cambiato! - I tempi non cambiano mai quando c'è bisogno di lavorare - affermò la vecchia senza lasciarsi addolcire. - Ed io mi vergogno per te, Rossella, di sentirti parlare come se il lavoro onesto fosse una cosa indegna. Per cambiare argomento Rossella si affrettò a chiedere: - E che notizie dei Tarleton e dei Calvert? Si sono rifugiati a Macon? Hanno avuto la casa incendiata? - Gli yankees non sono arrivati a casa Tarleton, perché come la nostra, è lontana dalla strada maestra; ma sono andati dai Calvert e hanno rubato tutte le provviste e il pollame, e hanno fatto fuggire tutti i negri. Era Sally che aveva cominciato a parlare, ma la nonna l'interruppe. - Sicuro! Promisero a tutte le negre abiti di seta e orecchini d'oro! E Catina Calvert ha raccontato che alcuni soldati son partiti portando in groppa delle stupide negre. I risultati saranno dei bambini gialli, e non credo che il sangue yankee migliorerà. - Oh, mamma! - Non fare quella faccia scandalizzata, Giovanna. Siamo tutte maritate, no? E Dio sa che abbiamo visto dei bambini mulatti anche prima di ora! - Come mai non hanno bruciato la casa dei Calvert? - La casa è stata salvata per gli sforzi combinati della seconda signora Calvert e di quel suo sorvegliante yankee, Hilton - rispose la vecchia signora, la quale parlava sempre della ex- governante come della o seconda signora Calvert» benché la prima fosse oramai morta da venti anni. «Noi siamo simpatizzanti con l'Unione» - continuò con voce nasale e strascicata rifacendo l'accento yankee. Ed affermò che tutti i Calvert erano yankees. Pensare che il signor Calvert è morto nel Wilderness! E Raiford a Gettysburg e Cade è nella Virginia, con l'esercito! Catina era cosí mortificata che avrebbe preferito che la casa fosse incendiata! Disse che Cade diventerebbe idrofobo il giorno in cui, tornando a casa, venisse a saperlo. Ma questo è ciò che accade quando un uomo sposa una yankee: né orgoglio né dignità; non pensano che alla loro pelle... Ma come mai non hanno incendiato Tara, Rossella? Per un attimo Rossella tacque. Sapeva che la domanda seguente sarebbe: «E come state tutti? Come sta la cara mamma?» E non poteva, no, non poteva dire che Elena era morta. Sapeva che se avesse pronunciato quella parola dinanzi a quelle donne simpatiche sarebbe scoppiata in lagrime; e non doveva piangere. Non aveva pianto da quando era arrivata a casa; ed era certa che se aprisse la via alle lagrime, tutto il suo coraggio svanirebbe. Ma capiva anche che se taceva, le Fontaine non le perdonerebbero mai di aver loro nascosto quella notizia. - Suvvia, parla - proseguí con asprezza la vecchia. - Non lo sai? - Ecco: io sono arrivata a casa l'indomani della battaglia - rispose in fretta - e gli yankees erano andati via. Il babbo mi disse che... non avevano bruciato la casa perché Súsele e Carolene stavano tanto male che non si poteva trasportarle altrove. - È, la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve. - La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori. - E ora come stanno le ragazze? - Molto meglio; ma sono debolissime. - Poi, vedendo la domanda sulle labbra della vecchia signora, si affrettò a cambiare conversazione. - Volevo appunto... volevo chiedervi se potete prestarci qualche cosa da mangiare. Gli yankees hanno distrutto tutto, come uno stormo di cavallette. Ma se siete poco provviste, ditemelo francamente e... - Manda Pork con un carretto e ti daremo la metà di quello che abbiamo: riso, farina, prosciutto, qualche pollo. - No, questo è troppo! Io... - Non una parola! Non voglio sentirla. Altrimenti, perché si sarebbe vicini? - Siete cosí buona che non so... Ma ora debbo andare. A casa saranno preoccupati di non vedermi ancora tornare. La nonna si alzò bruscamente e prese Rossella per un braccio. - Voi due rimanete qui - disse alle altre. - Debbo dire una parola a Rossella. Aiutami a scendere gli scalini, Rossella. La signora giovane e Sally salutarono Rossella, promettendo di andare presto a trovarla. Erano divorate dalla curiosità di sapere di che cosa dovesse parlare la nonna; ma sapevano che questa non lo avrebbe mai detto. Con la mano sulla briglia del cavallo, Rossella attendeva, col cuore angosciato. - Ora dimmi: - cominciò la vecchia - che cosa c'è che non va bene a Tara? Che cosa ci nascondi? Rossella fissò gli occhi acuti che la guardavano e comprese che potrebbe parlare senza piangere. Nessuno piangeva dinanzi alla nonna Fontaine, a meno che non ne avesse il permesso da lei. La mamma è morta - disse piano. La mano appoggiata al suo braccio si strinse e le palpebre grinzose ebbero un battito. - L'hanno uccisa gli yankees? - È morta di tifo. Il giorno prima del mio arrivo. - Non ci pensare. - La voce era severa; e Rossella vide che la nonna inghiottiva con sforzo. - E tuo padre? - Il babbo è... il babbo non è piú lo stesso. - Che vuoi dire? È ammalato? - Il colpo... è cosí stranito... non è... - Non dirmi che non è piú in sé. Il colpo gli ha toccato il cervello? Fu un sollievo per lei udire enunciare cosí schiettamente la verità. Com'era buona la vecchia a non dirle parole di simpatia che l'avrebbero fatta piangere! - Sí - rispose con tristezza - ha perduto il senno. Sembra come addormentato e a volte non si ricorda che la mamma è morta. Rimane delle ore ad aspettarla pazientemente, lui che era cosí impaziente! Ma è peggio quando si ricorda... Improvvisamente balza in piedi e corre fuori di casa, fino al nostro cimitero. Ritorna trascinandosi, con gli occhi pieni di lagrime e dice: «Caterina Rossella, la mamma è morta. La mamma è morta». E lo ripete all'infinito, tanto che mi par di impazzire. Di notte, qualche volta, sento che la chiama; allora scendo dal letto e vado a dirgli che è andata a trovare uno schiavo ammalato. E lui brontola perché dice che si strapazza sempre per curare gli altri. È difficile farlo tornare a letto: è come un bambino. Come vorrei che il dottor Fontaine fosse qui! So che farebbe qualche cosa per il babbo. E anche Melania ha bisogno del medico. Non si è rimessa come dovrebbe dopo il parto e... - Melly... un bambino? Ed è con te? - Sí. - E perché non è a Macon con sua zia e i suoi parenti? Non mi pareva che tu avessi gran simpatia per lei, benché fosse sorella di Carlo. Andiamo, via, raccontami. - È un po' lungo, nonna Fontaine. Non volete rientrare in casa e mettervi a sedere? - Posso stare in piedi - fu la breve risposta. - E se racconti la storia dinanzi alle altre, si mettono a piangere e ti fanno commuovere e dopo ti senti male. Avanti, racconta. Rossella cominciò semplicemente a narrare l'assedio e lo stato di Melania; e mentre andava avanti, trovava negli occhi che la fissavano le parole di sgomento e di orrore che da principio le erano mancate. Tutto le tornò in mente: il calore estenuante della giornata in cui era nato il bimbo, il terrore, la fuga, l'abbandono di Rhett. Parlò dell'oscurità della notte, dei fuochi che potevano essere di amici o di nemici, degli uomini e dei cavalli morti che aveva incontrato lungo la strada, delle rovine fumiganti, della fame, della desolazione, della paura che anche Tara fosse bruciata. - Credevo che arrivando a casa avrei deposto il tremendo fardello. Credevo che mi fosse già accaduto quanto di peggio poteva accadere; ma quando seppi che era morta, compresi che cosa era veramente il peggio. Abbassò gli occhi e attese che la nonna dicesse una parola. Il silenzio era cosí prolungato che temette di non essere stata compresa. Finalmente udí la voce; parlava con un tono di bontà assolutamente nuovo. - Figliuola, è male per una donna trovarsi di fronte al peggio che le può accadere, perché dopo di questo non ha piú paura di nulla. Ed è male, per una donna, non aver paura di nulla. Credi che non capisca tutto quello attraverso cui sei passata? Ho capito benissimo. Avevo circa la tua età quando avvenne la rivolta degli indiani, dopo il massacro del Forte Mims... - la sua voce era stranamente lontana - e riuscii a nascondermi fra i boschi e vidi la nostra casa incendiata e i miei fratelli e sorelle scotennati dagli indiani. E io non potevo fare altro che supplicare il Cielo perché la luce delle fiamme non rivelasse il mio nascondiglio. Trascinarono fuori mia madre e la uccisero a pochi metri dal luogo dove io ero sdraiata nel sottobosco. E anche a lei tolsero il cuoio capelluto; e ogni indiano le ficcava il suo tomahawk nel cranio. Io ero la beniamina della mamma... e vidi tutto questo. La mattina mi avviai all'accampamento piú vicino, che era a circa trenta miglia. Mi ci vollero tre giorni, attraverso le paludi e gli indiani; i nostri, quando li trovai, mi credettero pazza... Là conobbi il dottor Fontaine, che si occupò di me. Sono passati cinquant'anni; e da allora non ho mai piú avuto paura di nulla, perché sapevo che nulla di peggio potrebbe ormai accadermi. Dio vuole che le donne siano creature timide; in una donna che non ha paura è qualche cosa di innaturale... Rossella, cerca che ti rimanga sempre qualche cosa di cui temere... e cerca che ti rimanga qualche cosa da amare... Tacque e rimase con gli occhi fissi, come se rivedesse il giorno in cui aveva avuto paura, mezzo secolo prima. Rossella si mosse impaziente. Aveva creduto che la nonna l'avrebbe compresa e forse l'avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi. Ma, come tutti i vecchi, si era messa a parlare di cose avvenute tanto e tanto tempo prima; cose che non interessavano nessuno. Si pentí di essersi confidata a lei. - Ora vai, bambina; altrimenti a casa staranno in pensiero - riprese a un tratto la vecchia signora. - Manda Pork col carretto oggi nel pomeriggio... E non credere di poter deporre il tuo fardello, perché non lo puoi. Lo so.

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Ma la notizia giunse a Tara solo due settimane dopo. Vi era troppo da fare, a Tara, per andare in giro a raccogliere chiacchiere; e poiché i vicini erano altrettanto occupati, le visite erano rade e le notizie si diffondevano lentamente. Si stava procedendo all'aratura e alla seminagione con le sementi che Pork aveva portato da Macon. Dopo il suo viaggio, il negro era taciturno, talmente era fiero di essere tornato sano e salvo col suo carretto carico di oggetti di vestiario, sementi, pollame, prosciutto, carne secca e farina. A poco a poco raccontò la storia delle sue piccole fughe: i sentieri reconditi, le strade trasversali e poco frequentate, le vecchie tracce, le scorciatoie che aveva preso per tornare a Tara. Era stato via cinque settimane: settimane angosciose per Rossella. Ma non lo rimproverò al suo ritorno, felice del risultato della gita e contenta che egli riportasse buona parte del denaro che aveva ricevuto. Sospettava vagamente che egli non avesse comprato tutto quello che aveva portato; specialmente i polli: Pork si sarebbe vergognato di spendere il denaro quando trovava lungo la via tanti pollai incustoditi e tante dispense a portata di mano. Ora che avevano da mangiare, tutti quanti a Tara cercavano di rendere alla vita una certa normalità. Vi era da lavorare per tutti; anche troppo. Gli steli disseccati del cotone dell'anno prima dovevano essere estirpati per dar posto alla nuova seminagione; e il cavallo, non abituato al lavoro dell'aratura, trascinava malvolentieri il vomere attraverso i campi. Dall'orto bisognò strappare la gramigna; e a poco a poco si cominciò anche a ricostruire le miglia e miglia di palizzate che gli yankees avevano bruciate. Le trappole per i conigli furono visitate due volte al giorno, e vennero ricollocati gli ami per pescare nel fiume. Vi erano materassi da rifare, pavimenti da riattare; e poi cucinare, rigovernare, dar da mangiare ai maiali e ai polli, raccogliere le uova. Bisognava mungere la mucca e farla pascolare presso la palude; occorreva che vi fosse di guardia qualcuno, per tema che tornassero gli yankees o gli uomini di Franco Kennedy a catturarla. Perfino il piccolo Wade aveva le sue incombenze. La mattina usciva col suo cestino a raccogliere rametti e schegge di legno per accendere il fuoco. Furono i giovani Fontaine - i primi uomini della Contea che tornarono a casa - che portarono la notizia della resa: Alex, che aveva ancora le scarpe, camminava; e Toni, scalzo, cavalcava un muletto a dorso nudo. Erano piú bruni che mai, dopo quattro anni di vita all'aperto, esposti al sole e al maltempo; piú magri e muscolosi; la barba nera che avevano lasciato crescere li faceva sembrare stranieri. In cammino per Mimosa, e ansiosi di giungere a casa, si fermarono un attimo per abbracciare le ragazze e diedero la notizia della resa. Tutto era finito; e sembrava che avessero poca voglia di parlarne. Volevano soltanto sapere se Mimosa era stata incendiata. Sospirarono con sollievo nell'udire che la loro casa era stata risparmiata e risero quando Rossella raccontò loro la selvaggia cavalcata di Sally e come aveva scavalcato la loro barriera. - È una ragazza in gamba - affermò Toni; - ed è proprio una disgrazia per lei che Joe sia stato ucciso. Avete un po' di tabacco da masticare, Rossella? - Ho solo un po' di tabacco da pipa: lo fuma il babbo... - Ah, non sono ancora arrivato cosí in basso! Ma probabilmente ci arriverò... - E Dimity Munroe come sta? - chiese Alex con avidità ma con un leggero imbarazzo; e Rossella ricordò vagamente che egli si era sempre mostrato premuroso verso la sorellina di Sally. - Sta bene. È dalla zia, a Fayetteville. La loro casa a Lovejoy è stata incendiata; e il resto della famiglia sta a Macon. - Ma non capite - fece Toni, divertendosi delle occhiate furibonde che gli lanciava suo fratello - che vuole soltanto sapere se Dimity ha sposato qualche bravo colonnello della Guardia Nazionale? - Ma no; non si è sposata affatto - rispose Rossella divertita. - Forse avrebbe fatto meglio - brontolò Alex. - Come diamine... Scusate, miss Rossella; ma come può un uomo chiedere a una ragazza di sposarlo quando non ha piú la croce di un quattrino, non ha uno schiavo, non ha nulla di nulla da offrirle? - Sapete benissimo che Dimity non ci farebbe caso - rispose Rossella. Non le costava nulla dir bene di Dimity, perché Alex Fontaine non era mai stato un suo spasimante. - Fa lo stesso. Se non ci fa caso lei, ci faccio caso io... Mentre Rossella discorreva coi giovinotti nel porticato anteriore, Melania, Súsele e Carolene erano scivolate silenziosamente in casa, appena udita la notizia della resa. Rientrando, dopo che i Fontaine si erano avviati attraverso i campi verso Mimosa, Rossella udí le ragazze singhiozzare; erano tutt'e tre sedute sul divano nello studio di Elena. Tutto era finito: crollato il bel sogno che avevano amato e per cui avevano sperato; perduta la Causa che aveva portato via amici, innamorati, mariti, e aveva ridotto in povertà le loro famiglie. Ma per Rossella, non vi erano lagrime. Il suo primo pensiero era stato: «Ringraziamo Dio! Ora nessuno potrà piú rubare la mucca. Il cavallo è salvo. Possiamo togliere l'argenteria dal pozzo e tutti possono avere un coltello e una forchetta». Che sollievo! Non avrebbe piú il batticuore sentendo uno scalpitar di zoccoli. Non si sveglierebbe piú la notte trattenendo il respiro e tendendo l'orecchio chiedendosi se era realtà o sogno il tintinnar di finimenti che sentiva nel cortile, il tramestio e gli aspri comandi degli yankees. E, soprattutto, Tara era salva! Il suo tremendo incubo non si avvererebbe mai piú. Sí; la Causa era perduta; ma la guerra le era sempre sembrata una follia e la pace era assai migliore. Ella non aveva mai contemplato con gli occhi sbarrati le Stelle e le Strisce che salivano su un'asta, e mai aveva provato un brivido sentendo suonare «Dixie». E nelle sue privazioni non era stata sostenuta dal pensiero della Causa per la quale si poteva sopportare qualsiasi sacrificio. Tutto era finito! Finita la guerra che sembrava interminabile, che aveva spezzato la sua vita con una frattura cosí netta da rendere difficile perfino il ricordare i giorni precedenti, liberi e sereni. Non le sembrava di esser lei, la graziosa Rossella con gli scarpini verdi, con cento schiavi, con la ricchezza di Tara accumulata dietro di sé, e coi genitori pronti a soddisfare ogni suo capriccio. La giovinetta di quattro anni prima era scomparsa e al suo posto era una donna con gli occhi verdi penetranti, che contava il denaro e costringeva le sue manine a molti lavori faticosi, una donna a cui dal naufragio non era rimasto nulla, se non la terra rossa su cui posava i piedi. Mentre ascoltava i singhiozzi delle ragazze, la sua mente lavorava attivamente. «Pianteremo molto piú cotone. Domani manderò Pork a Macon a prendere altra semente. Il cotone arriverà alle stelle, quest'anno!» Entrò nello studio e, senza guardare le ragazze piangenti, sedette alla scrivania e prese la penna per calcolare il prezzo della semente e quanto denaro contante rimaneva in cassa. «La guerra è finita!» pensò; e a un tratto lasciò cadere la penna, sentendo un'ondata di felicità correrle per le vene. Era finita; e Ashley... Se Ashley era vivo, ora tornerebbe a casa. Chi sa se Melania aveva pensato a questo, nel suo dolore per la Causa perduta! Ma i giorni e le settimane passarono senza notizie di Ashley. Il servizio postale era malsicuro; e nei distretti rurali non esisteva affatto. Un viaggiatore occasionale proveniente da Atlanta portò un biglietto piagnucoloso di zia Pitty che chiedeva alle ragazze di tornare. Ma nessuna notizia di Ashley.

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E per mesi e mesi turbe di individui laceri, barbuti, coi piedi feriti e sempre affamati salirono la collinetta rossa e vennero a riposare sui gradini ombreggiati, chiedendo qualcosa da mangiare e l'alloggio per la notte. Erano soldati confederati che tornavano alle loro case. La ferrovia aveva portato i resti dell'esercito di Johnson dalla Carolina del Nord ad Atlanta; da qui essi avevano cominciato il loro pellegrinaggio a piedi. Dopo l'ondata degli uomini di Johnson, arrivarono i veterani dell'esercito della Virginia e poi quelli delle truppe occidentali; tutti andavano verso il Sud, verso case che forse non esistevano piú, verso famiglie che forse erano morte o disperse. In maggioranza erano a piedi; certuni cavalcavano qualche macilento animale, che le condizioni della resa avevano loro permesso di conservare; ma anche l'occhio meno sperimentato vedeva che non avrebbero mai potuto arrivare sino alla Florida o alla Georgia meridionale. A casa! A casa! Era l'unico pensiero dei soldati. Alcuni erano tristi e taciturni, altri allegri e sprezzanti; ma tutti erano sorretti dal pensiero che la guerra era finita e che si tornava a casa. Pochi erano amareggiati; questo sentimento restava l'appannaggio delle donne e dei vecchi. Essi avevano combattuto coraggiosamente, erano stati battuti, e ora contavano di mettersi pacificamente a lavorare la terra all'ombra della bandiera contro la quale avevano combattuto. A casa! A casa! Non parlavano d'altro; non di battaglie né di ferite, non di prigionia né di avvenire. Piú tardi racconterebbero ai loro figli e nipoti le battaglie, le scorrerie e le cariche, le marce forzate, la fame, le ferite; ma non adesso. Qualcuno era privo di un braccio o di una gamba o di un occhio; molti avevano cicatrici che li avrebbero fatti soffrire del maltempo, anche se vivessero settant'anni; ma tutto questo sembrava adesso poco importante. Piú tardi, sarebbe diverso. Vecchi e giovani, chiacchieroni e taciturni, ricchi piantatori e miserabili straccioni, tutti avevano in comune due cose: i pidocchi e la dissenteria. I soldati confederati erano cosí abituati alla presenza dei parassiti che non se ne preoccupavano affatto, e si grattavano indifferentemente anche dinanzi alle signore. Quanto alla dissenteria - il «flusso sanguigno» lo chiamavano delicatamente le signore! - sembrava che non avesse risparmiato nessuno, dal soldato al generale. Quattro anni di nutrimento scarso, di viveri grossolani, spesso andati a male, avevano prodotto il malanno; e tutti quelli che passavano dinanzi a Tara ne erano ammalati o convalescenti. Mammy somministrava a tutti quanti il decotto di radici di more che Elena aveva sempre usato come rimedio sovrano per quella malattia ed essi bevevano ubbidienti, facendo una smorfia, ricordando forse altri severi volti neri, altre inesorabili mani nere che porgevano cucchiaiate di medicinali. Per le «bestioline» Mammy era ugualmente inflessibile. Nessun soldato pidocchioso doveva entrare. Essa li avviava dietro a una macchia folta, li faceva svestire, dava loro un grande catino d'acqua e sapone da bucato per lavarsi e li forniva di coperte per nascondere la loro nudità mentre essa faceva bollire i loro panni nella tinozza della cenerata. Le ragazze avevano un bel protestare che una simile condotta umiliava i soldati; Mammy rispondeva che esse sarebbero molto piú umiliate se avvenisse loro di trovare i pidocchi nelle proprie vesti. Quando i soldati cominciarono a giungere quasi ogni giorno, Mammy si dolse perché veniva loro concesso l'uso delle stanze da letto. Temeva sempre che qualche parassita le fosse sfuggito. Per non sentirla piú discutere, Rossella trasformò in dormitorio il salotto col grande tappeto di velluto. Mammy strepitò ugualmente perché si permetteva ai soldati di dormire sul tappeto di miss Elena, ma Rossella fu irremovibile. Bisognava pure che quei disgraziati dormissero in qualche luogo. A tutti quanti chiedevano avidamente di Ashley; Súsele domandava di Kennedy. Ma nessuno dei soldati aveva mai udito quei nomi o voleva parlarne. A loro bastava essere vivi; non avevano voglia di ricordare le migliaia di tombe senza nome in cui erano sepolti quelli che non tornerebbero mai piú a casa. La famiglia cercava di dar coraggio a Melania dopo ognuna di queste delusioni. Certamente Ashley non era morto in prigionia. Se questo fosse avvenuto, qualche cappellano yankee lo avrebbe scritto. Senza dubbio, la località era tanto lontana; ci volevano dei giorni per arrivare, specialmente se doveva venire a piedi, come tanti di quegli uomini... Perché non aveva scritto? Dio mio, la posta è ancora cosí irregolare... E se fosse morto mentre era in cammino per venire a casa?... Ma no, Melania, qualche donna yankee lo avrebbe scritto... Una donna yankee? Bah!... Ma sí, Melania; vi sono delle brave donne anche fra loro... Ti ricordi, Rossella, quella che conoscemmo a Saratoga...? Era simpatica; dillo a Melly... - Simpatica?! - rispose Rossella. - Sicuro: mi chiese quanti cani tenevamo per far rigare dritto gli schiavi! No, no, sono d'accordo con Melania. Non ho mai visto uno yankee simpatico; né uomo né donna. Ma non piangere, Melly! Ashley tornerà. La strada è lunga, e forse... forse non ha scarpe. Al pensiero di Ashley scalzo, Rossella avrebbe pianto. Zoppicassero pure gli altri soldati, coi piedi avvolti negli stracci; ma non Ashley! Egli doveva tornare a casa su un purosangue, vestito di abiti eleganti, con una piuma sul cappello! Era troppo degradante per lei l'idea che Ashley fosse ridotto nelle stesse condizioni di quei soldati che vedeva quotidianamente... Un pomeriggio di giugno, mentre tutti radunati sotto al porticato dietro la casa osservavano con interesse Pork che tagliava il primo melone semi-maturo della stagione, si sentí rumor di zoccoli sulla ghiaia del viale d'accesso. Prissy si alzò pigramente per andare al cancello, mentre quelli rimasti discutevano calorosamente se bisognava nascondere il melone o conservarlo per la cena, nel caso che il visitatore fosse un soldato. Melly e Carolene suggerirono di offrirne al soldato; ma Rossella, appoggiata da Súsele e da Mammy, sussurrò a Pork di nasconderlo in fretta. - Non fate le sciocche, ragazze! Basta appena per noi; e se vi fossero due di questi affamati, non riusciremmo neanche ad assaggiarlo. Mentre Pork era rimasto col melone in mano, ancora incerto sulla decisione definitiva, si udí la vocetta di Prissy gridare. - Dio di misericordia! Miss Rossella! Miss Melania! Venire presto! - Chi è? - gridò Rossella balzando in piedi e attraversando di corsa il vestibolo seguita da Melania e dagli altri che gridavano confusamente. «Ashley!» pensò. «Oh, forse...» - Zio Pietro! Zio Pietro di miss Pittypat! Corsero al porticato anteriore e videro il brizzolato despota della casa di Pitty scendere da un ronzino che aveva come bardatura delle strisce di vecchie coperte. La dignità abituale della larga faccia nera era temperata dalla gioia di rivedere dei vecchi amici, col risultato che la fronte era aggrottata mentre la bocca era spalancata per la contentezza, col labbro pendulo come quello di un vecchio cane sdendato. Tutti scesero di corsa i gradini e gli strinsero la mano con effusione, bianchi e negri, rivolgendogli un sacco di domande; ma la voce di Melania si alzò al disopra delle altre. - La zia non è ammalata, spero? - No, badrona. Stare bene, grazie a Dio - e Pietro fissò uno sguardo severo prima su Melania e poi su Rossella, dando loro immediatamente la sensazione di essere colpevoli, senza sapere di che cosa. - Stare bene, ma essere arrabbiata con voi, badroncine; e se non mettere d'accordo, essere arrabbiato anch'io! - Come, Zio Pietro! Che diamine... - Non dovere cercare di scusarvi. Non avere miss Pitty scritto e riscritto di tornare a casa? Io avere visto lettere e avere visto lei piangere quando voi rispondere che avere troppo da fare in questa vecchia fattoria per tornare a casa! - Ma, Zio Pietro... - Come potere lasciare miss Pitty sola quando sapere che essere tanto paurosa? Voi sapere che non essere mai vissuta sola e tremare sempre come foglia da quando essere tornati da Macon. E dire a me di dire a voi, chiaro e tondo che lei non capire che voi tutte abbandonare lei in momento di bisogno. - Oh basta! - gridò aspramente Mammy, indignata di sentir parlare di Tara come di una «vecchia fattoria». Bisognava essere un ignorante negro cittadino per non sapere la differenza fra una fattoria e una piantagione. - Non avere anche noi momenti di bisogno? Non avere avuto grande bisogno di miss Rossella e di miss Melania? E se miss Pitty aver bisogno di assistenza, non avere suo fratello? Zio Pietro le lanciò uno sguardo indignato. - Noi non avere avuto niente da fare con mist' Enrico da molti anni e non incominciare proprio adesso. - Quindi si rivolse alle ragazze che cercavano di nascondere il loro sorriso. - Voi badroncine dovervi vergognare di lasciare povera miss Pitty sola, con metà di suoi amici morti e altra metà a Macon; e Atlanta piena di soldati yankee e straccioni negri liberati. Le due ragazze avevano subíto il rimprovero cercando di avere l'aria mortificata; ma l'idea di zia Pitty che mandava il vecchio Pietro per sgridarle e ricondurle ad Atlanta finí col farle scoppiare in una risata. Naturalmente Pork, Mammy e Dilcey fecero eco, felici di vedere il detrattore della loro diletta Tara beffeggiato e schernito. Súsele e Carolene si unirono al coro e perfino sul viso di Geraldo si disegnò un vago sorriso. Tutti ridevano, ad eccezione di Pietro, che si dondolava su un piede e sull'altro con crescente indignazione. - Cosa avere tu, negro? - interrogò Mammy con un sogghigno. - Essere troppo vecchio per proteggere tua badrona? Pietro si risentí. - Io troppo vecchio? No, madama! Io poter proteggere miss Pitty come sempre fatto. Non averla protetta a Macon dove essere rifugiati? E quando yankees essere venuti a Macon e lei svenire continuamente perché avere tanta paura? E non avere cavalcato su questo ronzino per riportare badroncine ad Atlanta? Non per proteggere... - E Pietro si drizzò in tutta la sua altezza come per vendicarsi... ma per quello che sembrare. - Chi, cosa sembrare? - Quello che dire gente vedendo miss Pitty vivere sola. Dire cose scandalose sul conto di signorine che vivere sole - continuò Pietro; e i suoi ascoltatori si resero conto che per lui Pittypat era ancora la graziosa fanciulla sedicenne che doveva essere difesa dai pettegolezzi. - E io non volere che gente criticare. E non volere che prendere estranei per compagnia... No, madama. E avere detto: «Finché avere persone di tuo sangue, non dovere far questo». Questo avere detto. E ora persone di suo sangue rinnegarla. Miss Pitty essere una bambina e... A questo, Rossella e Melania risero anche piú forte e piombarono sui gradini non potendosi piú reggere. Finalmente Melly si asciugò le lagrime che il riso convulso aveva fatto sgorgare dai suoi occhi. - Povero Zio Pietro! Mi dispiace di aver riso. Davvero! Perdonami. Miss Rossella ed io non possiamo venire a casa adesso. Forse io potrò venire in settembre, dopo il raccolto del cotone. La zia non ti avrà mandato con l'idea che tu potessi ricondurci su quel sacco d'ossa? A questa domanda il viso rugoso di Pietro espresse la piú grande costernazione. Il suo labbro pendulo si ritrasse con la rapidità con la quale una tartaruga ritrae il capo nel guscio. - Miss Melly, io credere che diventare vecchio, perché avere dimenticato perché avermi mandato, ed essere cosa importante. Io avere una lettera per te. Miss Pitty non averla voluta affidare alla posta e a nessun altro per portartela... - Una lettera per me? Di chi? - Essere... E miss Pitty dire: «Tu, Pietro, portare a miss Melly» e io dire... Melly balzò in piedi con una mano sul cuore. - Ashley! Ashley! È morto! - No. badrona! No, badrona! - E la voce di Zio Pietro sembrò uno squillo, mentre egli frugava nella tasca della sua giacca. - Essere vivo! Essere sua lettera. Venire a casa. Lui... Dio di misericordia! Sorreggila, Mammy! Lasciarmi... - Lasciala stare, vecchio scemo! - tuonò Mammy lottando per impedire a Melania di piombare a terra. - Scimmia pietosa! Prenderla qui, piano. Tu, Pork, prendere piedi. Miss Carolene, reggere sua testa. Mettere su divano in salotto. Fu un tumulto: tutti erano attorno a Melania, tranne Rossella, gridando spaventati, correndo in casa a prendere guanciali e acqua. In un istante Rossella e Pietro rimasero soli nel porticato. Ella era immobile, incapace di muoversi, e fissava il vecchio negro che agitava debolmente una lettera. Il viso nero e grinzoso era pietoso come quello di un bimbo rimproverato da sua madre; tutta la sua dignità era scomparsa. Per un attimo Rossella pensò soltanto: «Non è morto! Ritorna!» e questo non le diede né gioia né eccitazione: solo una stupefatta immobilità. La voce di Zio Pietro le giunse come da lontano, lamentosa e calmante. - Mist' Willie Burr di Macon che essere nostro parente avere portato a miss Pitty. Mist' Willie essere in stessa prigione di mist' Ashley. Lui avere avuto cavallo ed essere arrivato presto. Ma mist' Ashley venire a piedi e... Rossella gli strappò di mano la lettera. Era diretta a Melania e la soprascritta era di mano di Pitty, ma ella non esitò. La aperse in fretta e il biglietto di Pitty che vi era accluso cadde al suolo. Dentro alla busta era un pezzo di carta piegata, sudicia per le molte tasche per cui era passata, sgualcita e con gli angoli strappati. L'indirizzo era di mano di Ashley: «Alla signora Ashley Wilkes, presso la signorina Sara Giovanna Hamilton, Atlanta, oppure alle Dodici Querce, Jonesboro, Georgia». Con dita tremanti, aperse e lesse: «Diletta, ritorno a casa, accanto a te...». Le lagrime cominciarono a riempirle gli occhi, sicché non poté piú leggere; il cuore le batteva cosí forte che quasi le toglieva il respiro. Stringendo la lettera, salí di corsa i gradini, attraversò il vestibolo, passò dinanzi al salotto dove tutti gli abitanti di Tara si affollavano a soccorrere Melania, entrò nello studio di Elena. Chiuse la porta a chiave e si gettò sul divano piangendo, ridendo, baciando la lettera. - Diletta - mormorò - ritorno a casa, accanto a te...

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A meno di avere le ali, occorrevano settimane, forse mesi perché Ashley potesse compiere il viaggio dall'Illinois alla Georgia; ma nondimeno i cuori si mettevano a battere follemente appena un soldato entrava dalla strada principale nel viale d'accesso di Tara. Ogni straccione barbuto poteva essere Ashley. E se non era lui, era forse un soldato che poteva avere sue notizie. Bianchi e negri si precipitavano nel porticato ogni volta che si udiva uno scalpiccio di piedi. La vista di un'uniforme bastava a fare accorrere tutti dal pascolo, dalla legnaia, dai campi di cotone. Per un mese, dopo l'arrivo della lettera, il lavoro rimase quasi fermo. Nessuno voleva trovarsi fuori di casa se egli arrivava; e Rossella meno di chiunque altro. E non poteva insistere perché gli altri fossero assidui ai loro doveri, quando ella trascurava i suoi. Ma visto che, col trascorrere delle settimane, Ashley non giungeva, Tara riprese il suo sistema solito di vita. Nel cuore di Rossella cominciò a sorgere il timore che gli fosse accaduto qualche cosa cammin facendo; Rock Island era molto lontana e poteva darsi che nel momento in cui era stato messo in libertà Ashley fosse debole o ammalato. Per di piú era senza denaro e attraversava a piedi un paese dove i confederati erano odiati. Se almeno avesse saputo dov'era, ella gli avrebbe mandato del denaro; tutto quello che era in casa, a costo di lasciar morire di fame la famiglia, perché egli potesse mettersi in treno e affrettare il suo ritorno. «Diletta, ritorno a casa, accanto a te...» Nel primo impulso di gioia, quelle parole avevano voluto dire che Ashley tornava a casa, da lei. Ora, ragionando, comprendeva che egli tornava accanto a Melania; a Melania che in quei giorni girava per la casa cantando di gioia. A Rossella avvenne di chiedersi amaramente perché Melania non era morta ad Atlanta, nel dare alla luce il bimbo. Le cose si sarebbero sistemate benissimo; lei avrebbe sposato Ashley dopo un intervallo ragionevole e sarebbe stata una buona matrigna per il piccolo Beau. E quando aveva di questi pensieri, non si affrettava piú a pregare Dio perché le perdonasse; Dio non le faceva piú paura. I soldati vennero ancora, isolati o a coppie, e sempre ugualmente affamati. Rossella maledisse l'uso dell'ospitalità che non permetteva, nell'èra dell'abbondanza, a nessun viaggiatore di proseguire il suo cammino senza aver avuto alloggio per una notte, cibo per sé e per il suo cavallo e tutta la cortesia che la casa poteva offrire. Costoro divoravano dei viveri che dovevano nutrire gli abitanti di Tara; legumi per i quali ella aveva faticosamente lavorato la terra, vettovaglie che era andata a comprare a miglia e miglia di distanza. Era difficile procurarsi delle provviste; e il denaro contenuto nel portafogli dello yankee non durerebbe sempre. Rimanevano pochi biglietti, oramai, e due monete d'oro. Perché bisognava continuare a nutrire quell'orda famelica? Diede perciò ordine a Pork che quando vi erano soldati in casa, la tavola fosse servita in modo piú scarso. E questo durò finché si accorse che Melania, la quale non si era mai rimessa in forze dopo la nascita di Beau, induceva Pork a mettere nel suo piatto pochissimo cibo, per dividere fra gli ospiti quella che doveva essere la sua porzione. - No, Melania - la sgridò. - Sei debole; e se non mangi di piú ti ammalerai e ci toccherà curarti. Lascia che quegli uomini sopportino la fame; l'hanno sofferta per quattro anni, e qualche giorno di piú non farà loro troppo male. Melania si volse e sul suo volto era un'emozione che Rossella non aveva mai visto in quegli occhi sereni. - Non mi sgridare, Rossella! Lasciami fare. Non sai che sollievo è per me. Ogni volta che do la mia parte a un pover'uomo, penso che forse in quel momento c'è una donna che dà al mio Ashley una parte del suo pranzo e questo lo aiuta a tornare accanto a me. «Il mio Ashley...» «Diletta, torno a casa, accanto a te...» Rossella si volse altrove ammutolita. Dopo d'allora, Melania notò che il pasto era piú abbondante quando vi erano ospiti, quantunque Rossella contasse a questi ogni boccone che mettevano in bocca. Quando i soldati erano troppo sofferenti per proseguire, Rossella li faceva coricare senza troppa buonagrazia. Eran bocche di piú da nutrire; e poi qualcuno doveva accudire a loro, ed era un aiuto di meno per la costruzione delle palizzate, per zappare, arare, sarchiare. Un giorno un soldato portò, collocato di traverso sulla sella, un ragazzo biondo, sul cui volto nasceva appena una leggera pelurie, che aveva trovato svenuto a poca distanza da Tara; probabilmente uno dei giovinetti delle scuole militari. Morí senza riprendere conoscenza; e forse in qualche parte del Sud, una donna era in attesa e si chiedeva perché il suo figliuolo non giungeva ancora a casa; nella stessa maniera in cui lei e Melania guardavano col cuore pieno di speranza ogni figura che s'incamminava lungo il viale dei cedri. Seppellirono il giovinetto nel piccolo cimitero di famiglia, accanto ai tre bimbi O'Hara; e Melania pianse, pensando che forse qualcuno rendeva quest'ultimo estremo servigio al corpo di Ashley. Un altro soldato lottò lunghi giorni contro una terribile polmonite. Ma poiché era abbastanza robusto, le cure ebbero ragione del male, e un giorno i suoi occhi chiari si fissarono non piú offuscati dal delirio su Carolene che era seduta accanto a lui recitando il rosario. - Dunque non eravate un sogno - mormorò con voce afona. - Spero di non avervi dato troppo disturbo, signora. La sua convalescenza fu lunga ed egli trascorse ore interminabili sdraiato accanto alla finestra, a contemplare l'albero di magnolia e dando ben poca noia. Carolene aveva simpatia per lui, a causa dei suoi silenzi tranquilli e privi d'imbarazzo. Ella gli rimaneva seduta accanto durante gli ardenti pomeriggi, facendogli vento senza parlare. Era molto taciturna, Carolene, e passava lunghe ore a pregare. Quando Rossella entrava in camera sua senza picchiare, la trovava sempre inginocchiata accanto al letto; cosa che la urtava, perché a lei sembrava che il tempo di pregare fosse passato. La religione era sempre una faccenda un po' commerciale, per Rossella: se Dio aveva ritenuto di doverli punire in quel modo, voleva dire che non sapeva che farsene delle loro preghiere. Ella Gli prometteva di essere buona in cambio dei favori che Gli chiedeva; e se Egli non stava ai patti, a lei sembrava di non doverGli piú nulla. E quando trovava Carolene a pregare mentre lei aveva lavorato tutto il giorno, sentiva che sua sorella schivava la sua parte di fatica. Questo diceva a Will Benteen, il convalescente, un pomeriggio in cui egli aveva potuto finalmente alzarsi; e fu stupita di udirgli dire con la sua voce piana: - Lasciatela fare, miss Rossella. È un conforto per lei. - Un conforto? - Sí; prega per vostra madre e per lui. - Chi «lui»? Gli occhi azzurri del convalescente la fissarono senza stupore. Nulla lo sorprendeva; e che Rossella ignorasse ciò che era nel cuore di sua sorella non gli sembrò strano. Altrettanto naturale gli parve il fatto che Carolene si fosse sfogata con lui, un estraneo. - Il suo corteggiatore, quel ragazzo Brent o un nome simile che fu ucciso a Gettysburg. - Suo corteggiatore? - fece Rossella brevemente. - Neppur per sogno. Brent e suo fratello facevano la corte a me. - Sí, me lo ha detto. Pare che la maggior parte dei giovani della Contea vi corteggiassero. Ma quando voi andaste via, Brent si occupò di lei; e l'ultima volta che venne in licenza si fidanzarono. Dice che non si è mai curata di nessun altro giovine; perciò pregare per lui le dà un po' di conforto. - Oh, storie! - esclamò Rossella; ma sentí nel cuore una piccola punta di gelosia. Guardò curiosamente quell'uomo con le spalle ossute, i capelli rossicci e gli occhi chiari e fermi. Egli sapeva sulla sua famiglia cose che lei non si era presa il disturbo di indagare. Dunque era per questo che Carolene continuava a pregare? Beh, le passerebbe. Tante ragazze avevano perduto l'innamorato, e tante il marito... E lei non aveva forse superato il dolore della morte di Carlo? E conosceva una ragazza di Atlanta che era già vedova per la terza volta, a causa della guerra, eppure era ancora capace di occuparsi degli uomini. Ne disse tante e tante; ma Will crollò la testa. - Miss Carolene non è cosí - disse finalmente. Era piacevole parlare con Will perché egli diceva poche parole ma era un ottimo ascoltatore. Rossella gli esponeva i suoi problemi sull'aratura, sulla semina e sulla sarchiatura; sull'ingrasso dei maiali e l'alimentazione della mucca; ed egli dava buoni consigli perché era stato proprietario di una piccola fattoria nella Georgia meridionale e di due negri. Sapeva che oramai i suoi schiavi erano liberi e il terreno pieno di gramigna e di ortiche. Sua sorella, la sua unica parente, se ne era andata nel Texas con suo marito diversi anni prima ed egli era solo al mondo. Eppure nessuna di queste cose lo turbava, come non lo turbava l'aver lasciato una gamba nella Virginia. Sí, Will era un conforto per Rossella nelle giornate piú penose, quando i negri brontolavano, Súsele si lamentava e piangeva, e Geraldo chiedeva troppo spesso dov'era Elena. A Will poteva dire tutto. Gli raccontò perfino che aveva ucciso lo yankee e fu molto orgogliosa del suo breve commento: - Ben fatto! Tutta la famiglia finiva con l'andare in camera di Will a sfogare i propri malumori: perfino Mammy, che da principio era rimasta a distanza perché non le sembrava abbastanza signore, avendo posseduto soltanto due schiavi. Quando poté cominciare a girare per la casa, Will si diede da fare a intrecciare cestini e ad aggiustare i mobili rovinati dagli yankees. Sapeva intagliare il legno, e Wade era sempre con lui, perché Will gli fabbricava dei giocattoli, i soli che il piccino avesse mai posseduto. La presenza di Will permetteva a ciascuno di recarsi tranquillamente al proprio lavoro, lasciandogli in custodia Wade e i due bimbi in fasce; soltanto Melly lo superava nel calmare un bimbo piangente bianco o negro che fosse. - Siete stata molto buona con me, Miss Rossella - le disse un giorno; - per me che sono completamente estraneo. Vi ho dato molto disturbo; e se non vi dispiace, rimarrò qui a lavorare per voi, finché vi avrò compensata, almeno in parte, di ciò che avete fatto per me. Non potrò mai pagarvi completamente, perché non si può ripagare chi ci ha ridato la vita. Quindi egli rimase; e a poco a poco, quasi inavvertitamente, gran parte del peso rappresentato da Tara scivolò dalle spalle di Rossella su quelle ossute di Will Benteen.

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Parlava poco, non dimostrava energia, non aveva l'aria d'interessarsi a nulla, ma sapeva tutto ciò che accadeva a Tara e faceva un'infinità di cose silenziosamente, con pazienza e abilità. Benché avesse una sola gamba lavorava piú veloce di Pork. E, cosa che sembrava miracolosa a Rossella, riusciva perfino a far lavorare Pork. Quando la mucca ebbe la colica e il cavallo si ammalò di un male misterioso che minacciava di ucciderlo, Will rimase intere notti a vegliarli e li salvò. Aveva conquistato il rispetto di Rossella, mostrandosi abile commerciante: infatti usciva la mattina con uno o due cestini di mele, patate dolci ed altri legumi e tornava con sementi, stoffe, farina, ed altre cose che ella non sarebbe mai stata capace di procurarsi, per quanto fosse brava. A poco a poco era diventato un membro della famiglia, e dormiva su una branda nel piccolo spogliatoio che precedeva la camera di Geraldo. Non parlava di lasciare Tara; e Rossella si guardava bene dall'accennarne, per timore di sentirsi rispondere che presto sarebbe partito. Ed era talmente comodo avere un uomo in casa! Se Carolene avesse avuto un filo di cervello, si sarebbe accorta che Will s'interessava a lei. Rossella sarebbe stata eternamente grata a Will, se egli le avesse chiesto la mano della sua sorellina. Senza dubbio, prima della guerra, Will non sarebbe stato un partito desiderabile. Era un semplice fattore, di educazione mediocre, con scarsa grammatica e ignorante di molte delle finezze che gli O'Hara erano abituati a trovare in un gentiluomo. Rossella si chiese infatti se si poteva chiamarlo un gentiluomo; e decise di no. Melania lo difendeva ardentemente, dicendo che chiunque aveva la bontà di cuore di Will e la sua generosità verso gli altri non poteva che essere di buona famiglia. Certo Elena sarebbe svenuta al pensiero che una sua figliuola sposasse un uomo simile; ma la necessità aveva allontanato Rossella da molti degli insegnamenti di sua madre. Gli uomini erano scarsi, le ragazze si dovevano maritare e Tara aveva bisogno di un uomo. Ma Carolene, sempre piú sprofondata nel suo libro di preghiere, trattava Will come un fratello e non gli badava piú che tanto. «Se Carolene avesse un po' di gratitudine per ciò che ho fatto per lei, lo sposerebbe per non farlo andar via» pensava Rossella indignata. «Ma no; deve invece passare il tempo a piangere uno stupido ragazzo che probabilmente non ha mai pensato seriamente a lei.» Will rimase dunque a Tara senza che ella sapesse perché; egli si rivolgeva con deferenza a Geraldo, ma considerava Rossella come il vero capo della casa. Ella approvò l'idea di noleggiare il cavallo, benché questo per la famiglia volesse dire rimaner temporaneamente privi di un mezzo di trasporto. Súsele ne sarebbe particolarmente irritata, perché la sua grande gioia consisteva nell'andare a Jonesboro o a Fayetteville con Will, quando questi vi si recava per affari. Approfittava dell'occasione per far visita ai vecchi amici, e ascoltare tutti i pettegolezzi della Contea; e si sentiva nuovamente la signorina O'Hara di Tara. Afferrava con gioia ogni opportunità di lasciare la piantagione, e di darsi delle arie con le persone che ignoravano che essa rastrellava e preparava i riquadri dei legumi nell'orto. Melania li raggiunse sulla veranda col bimbo in braccio; e allargando sul pavimento una vecchia coperta vi posò sopra il piccolo Beau. Benché felice, nell'attesa di Ashley, Melania era sempre eccessivamente magra e pallida. Il vecchio dottor Fontaine aveva detto che si trattava di disturbi femminili; e si trovò d'accordo col dottor Meade nell'affermare che essa non avrebbe mai dovuto aver figli; un secondo parto, poi, la ucciderebbe. - Oggi a Fayetteville - disse Will - ho trovato una cosa curiosa che ho pensato vi possa interessare, e l'ho portata a casa. - Frugò nella tasca dei calzoni e ne trasse un biglietto di banca della Confederazione. - Ve ne sono per tremila dollari nel baule del babbo - sospirò Rossella. - E Mammy mi scongiura di darglieli per chiudere le fessure delle finestre e non lasciar passare il vento. Credo che finirò per farlo; almeno serviranno a qualche cosa. - No, Rossella. - fece Melania - Conservali per Wade. Un giorno, forse, ne sarà fiero. - Oh, io spero che quando Wade sarà grande, avrò delle banconote di valore da dargli, invece di questi stracci. Will che si era messo a giocare col piccolo Beau sulla coperta, alzò gli occhi e facendosi schermo con una mano, guardò verso il cancello. - Arriva gente - disse strizzando le palpebre. - Un altro soldato. Rossella seguí il suo sguardo e vide uno dei soliti soldati barbuti, che si avanzava lentamente sotto i cedri; un uomo coperto da una lacera uniforme mista di grigio e di turchino, con la testa china e i piedi che si trascinavano stanchi. - Speravo che avessimo finito coi soldati - disse Rossella - Auguriamoci che questo non sia troppo affamato. - Avrà fame di certo - disse Will brevemente. Melania si alzò. - Dirò a Dilcey di aggiungere un piatto, e pregherò Mammy che non faccia svestire quel disgraziato troppo bruscamente, secondo il suo solito, e... Si fermò cosí improvvisamente che Rossella si volse a guardarla. Melania si era portata la mano alla gola come se si sentisse soffocare. E Rossella vide che il suo volto era pallidissimo e gli occhi neri si erano dilatati enormemente. «Ora sviene» pensò Rossella balzando in piedi e afferrandola per un braccio. Ma in un attimo Melania si era svincolata e aveva disceso i gradini. Volò per il viale inghiaiato lieve come un uccello, con le gonne ondeggianti e le braccia protese. E Rossella comprese la verità, con la rapidità della folgore. Indietreggiò per appoggiarsi alla parete della veranda, mentre l'uomo alzava il volto coperto di una sudicia barba bionda e si fermava guardando verso la casa, come se fosse troppo stanco per muovere ancora un passo. Il suo cuore balzò, si fermò, riprese a battere, mentre Melly si gettava fra le braccia del soldato gridando in modo incoerente. Rossella fece due passi in avanti, come rapita, ma fu trattenuta dalla mano di Will che le aveva afferrato la sottana. - Non li turbate - disse calmo. - Lasciatemi, sciocco! Lasciatemi, è Ashley! Egli non rallentò la stretta. - Dopo tutto, è il marito di lei, non è vero? - chiese con calma; e abbassando lo sguardo su di lui in un misto di gioia e di furia impotente, Rossella vide nella tranquilla profondità dei suoi occhi, comprensione e pietà.

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Tutti provavano un senso di eccitazione senza saper perché; come se fosse stata comunicata a tutti quanti da Rossella, la quale era vermiglia in volto, con gli occhi brillanti e rideva come nessuno l'aveva piú udita ridere da mesi e mesi. La sua risata piaceva a tutti, specialmente a Geraldo. Gli occhi di lui apparivano meno smarriti del solito mentre seguivano la figura che sfarfallava nella stanza; e quando essa gli passava accanto, la mano del vecchio si tendeva ad accarezzarla quasi approvando. Le ragazze erano eccitate come se si preparassero per una festa e scucivano, tagliavano, imbastivano come se ciascuna facesse una veste da ballo per sé. Rossella andava ad Atlanta a cercar del denaro, a fare un'ipoteca... Che cos'era un'ipoteca? Rossella spiegò che l'anno venturo restituirebbero il denaro col ricavato del cotone; e lo disse con tanta sicurezza che nessuno pensò ad investigare maggiormente. E quando le chiesero chi le avrebbe prestato il denaro ed ella scherzosamente rispose: - Segreto professionale! - la stuzzicarono a proposito del suo ignoto amico milionario. - Sarà il capitano Rhett Butler - fece Melania maliziosamente; e poi scoppiò in una risata per quell'assurdità, sapendo che Rossella lo detestava e ogni qualvolta parlava di lui diceva sempre «quello sciacallo di Butler». Ma Rossella non rise; e Ashley che aveva cominciato a ridere si interruppe bruscamente vedendo il rapido sguardo lanciato da Mammy alla sua padroncina. Súsele, in vena di generosità per l'occasione, tirò fuori il suo colletto di trina d'Irlanda, un po' sciupato ma ancora grazioso, e Carolene insistette perché Rossella prendesse i suoi scarpini che erano in migliore stato di tutti gli altri esistenti a Tara. Melania pregò Mammy di lasciarle abbastanza ritagli di velluto per ricoprire la carcassa del suo cappello ormai logoro e suscitò le risa generali dicendo che il vecchio gallo del pollaio sarebbe costretto ad abbandonare, come guarnizione, la sua bella coda dai riflessi metallici, a meno che non prendesse immediatamente la fuga verso la palude. Rossella, mentre guardava le mani che volavano sul lavoro, udí quel riso e guardò tutti quanti con celata amarezza e disprezzo. «Non hanno l'idea di ciò che sta veramente accadendo a me, a loro, al Sud. Credono ancora, malgrado tutto, che nulla possa veramente accadere a nessuno di loro, perché sono chi sono: gli O'Hara, i Wilkes, gli Hamilton. Anche i negri credono questo. Pazzi! Stolti! Non capiranno mai! E nulla li muterà. Melly può vestire di stracci e raccogliere il cotone e magari aiutarmi ad uccidere un uomo, ma questo non la muta. È ancora la perfetta signora Wilkes! E Ashley, dopo la guerra, le ferite, la prigionia, è lo stesso gentiluomo di una volta, quando possedeva le Dodici Querce. Will è diverso. Egli comprende come le cose sono realmente; ma non ha mai avuto molto da perdere. Quanto a Súsele e Carolene... credono che si tratti di cosa temporanea. Sono convinte che Dio farà un miracolo, specialmente a loro beneficio. Ma Egli non lo farà. Il solo miracolo sarà quello che io vado a tentare con Rhett Butler... Essi non possono cambiare. Io sono la sola veramente mutata... e se avessi potuto farne a meno, ne sarei ben contenta.» Finalmente Mammy mandò gli uomini fuori dalla sala da pranzo, per poter cominciare le prove. Pork aiutò Geraldo a salire le scale per condurlo a letto, e Ashley e Will rimasero soli nel vestibolo illuminato da una lanterna. Tacquero per un poco: Will masticava il suo tabacco come un placido ruminante, ma il suo volto era tutt'altro che placido. - Non mi piace - disse finalmente con voce sommessa - questa gita ad Atlanta. Non mi piace neanche un poco. Ashley lo guardò; poi volse rapidamente lo sguardo altrove chiedendosi se Will nutriva lo stesso tremendo sospetto che lo tormentava. Ma era impossibile. Will ignorava ciò che era avvenuto nel frutteto in quel pomeriggio e la disperazione di Rossella. Né poteva aver notato il viso di Mammy quando era stato pronunciato il nome di Rhett Butler; d'altronde, Will non sapeva che Butler aveva del denaro e ignorava la cattiva reputazione di colui. Per lo meno, Ashley era convinto che Will non fosse al corrente di queste cose; ma dal suo ritorno a Tara si era accorto che quell'uomo, come Mammy, sapeva tante cose senza che alcuno glie le dicesse; sovente le intuiva prima che avvenissero. Ora nell'aria era una minaccia che Ashley non avrebbe saputo definire, ma da cui sapeva di non poter salvare Rossella. In tutta la sera i loro occhi non si erano mai incontrati, e la brillante gaiezza con la quale essa lo aveva trattato lo spaventava. Il sospetto che lo lacerava era troppo atroce per essere formulato in parole. Né aveva egli il diritto d'insultarla chiedendole se vi fosse fondamento di verità. Strinse i pugni. Non aveva alcun diritto su ciò che riguardava lei; in quel pomeriggio aveva rinunciato per sempre. E nessuno poteva aiutarla. Ma in quell'attimo il ricordo di Mammy e della sua espressione decisa mentre tagliava il velluto, lo risollevò alquanto. Mammy sorveglierebbe Rossella, che questa lo volesse o no. «Tutta colpa mia» pensò con disperazione. «Sono io che l'ho condotta a questo punto.» Ricordò come ella aveva irrigidito le spalle quando si era allontanata e come aveva sollevato la testa. Si sentí struggere il cuore per la propria inettitudine, e provò contemporaneamente un senso di ammirazione. Sapeva che nel vocabolario di lei non esisteva la parola «coraggio»; e sapeva che ella lo avrebbe fissato stupita se egli le avesse detto che era l'anima piú intrepida che avesse mai conosciuto. Sapeva che essa prendeva la vita come veniva, opponendo il suo forte spirito a qualsiasi ostacolo si presentasse, lottando con una decisione che non ammetteva sconfitta, e continuando a combattere, anche quando vedeva che la sconfitta era inevitabile. Ma per quattro anni egli aveva visto altri che avevano rifiutato di ammettere la sconfitta; uomini che avevano gaiamente affrontato il futuro disastro, perché erano intrepidi e coraggiosi. Ed erano stati ugualmente sconfitti. Mentre fissava Will nel vestibolo poco illuminato, Ashley pensò che non aveva mai conosciuto una intrepidezza pari a quella di Rossella O'Hara che partiva alla conquista del mondo avvolta nelle tende di velluto di sua madre e adorna con le penne della coda di un galletto.

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A cena, sulla tavola di zia Pitty, apparve l'inevitabile farinata di granturco e i piselli secchi; mangiandoli Rossella giurò a se stessa che queste due pietanze non apparirebbero mai piú sulla sua tavola quando ella avesse nuovamente denaro. E qualunque prezzo dovesse pagare, il denaro lo avrebbe; piú di quanto le occorreva per le tasse di Tara. Anche se dovesse commettere un delitto. Alla luce gialla della lampada, chiese a zia Pitty notizie delle sue finanze, nell'assurda speranza che la famiglia di Carlo potesse prestarle ciò che le occorreva. Pitty s'immerse nei particolari delle sue disgrazie, piangendo a calde lagrime. Non sapeva che fine avevano fatto le sue fattorie, le proprietà in città, e il denaro liquido; ma certo tutto era sparito. Questo almeno le aveva detto suo fratello Enrico. Non vi era piú altro che la casa dove abitava; e Pitty non si fermò neanche a pensare che quella casa non era mai stata sua, ma era proprietà di Melania e Rossella. Zio Enrico riusciva a stento a pagare le imposte di quella casa. Inoltre le dava ogni mese qualche cosa per vivere; e benché ciò la umiliasse, ella era costretta ad accettare. - Enrico dice che non sa come fare, ma probabilmente mentisce, e ha del denaro; soltanto non vuole darmene. Rossella sapeva che zio Enrico non mentiva. Le poche lettere scambiate con lui a proposito della proprietà di Carlo, l'avevano confermato. Il vecchio avvocato si batteva coraggiosamente per salvare la casa e il terreno su cui un tempo sorgeva il magazzino, perché Wade e lei recuperassero ancora qualche cosa dopo il naufragio. «No, non ha denaro» pensò cupamente Rossella. «Bisogna cancellare lui e zia Pitty dalla mia lista. È inutile, non rimane che Rhett. Ma bisogna che non vi pensi ora... Debbo fare in modo che Pitty ne parli, sicché io possa suggerirle d'invitarlo per domani.» Sorrise e strinse le mani grassocce di zia Pitty tra le sue. - Cara zietta, non parliamo di cose spiacevoli come il denaro. Raccontami invece le notizie dei vecchi amici. Come stanno la signora Merriwether e Maribella? Ho saputo che il marito di Maribella è tornato a casa. E gli Elsing, e i Meade? Pittypatt fu felice di mutare argomento e smise subito di piangere. Diede notizie particolareggiate sui vecchi vicini: che cosa facevano, che cosa mangiavano e come si vestivano. Raccontò con orrore che prima del ritorno di Renato Picard, la signora Merriwether e la figlia vivevano cuocendo delle focacce e vendendole ai soldati yankee. Figurarsi! A volte vi erano due dozzine di yankees nel cortile dei Merriwether ad aspettare che le focacce uscissero dal forno. Ora che Renato era a casa, tutti i giorni andava con un vecchio carretto al campo yankee e vendeva focacce e biscotti ai soldati. La signora Merriwether diceva che appena avesse un po' piú di denaro, aprirebbe una pasticceria in città. Pitty non voleva criticarla, ma... - Quanto a me, preferirei morir di fame piuttosto che avere un simile commercio con gli yankees. La signora Meade e il dottore avevano trovato la loro villetta distrutta dall'incendio e non avevano né il denaro né la voglia di ricostruirla, ora che i figliuoli erano morti. La signora Meade diceva che ne avrebbe fatto a meno; a che prò avere una casa quando non si avevano figli né nipotini? Erano dunque andati ad abitare con gli Elsing, che avevano rifabbricato la parte della casa che era crollata. Anche la coppia Whiting aveva là una camera; e la signora Bonnell parlava di andarvi lei pure, se riusciva ad affittare la sua casetta a un ufficiale yankee con la famiglia. - Ma come fanno a entrarci tutti? - trasecolò Rossella. - La signora Elsing e Fanny dormono in salotto - spiegò Pitty la quale conosceva a menadito la sistemazione di tutti i suoi amici - e Ugo in soffitta. La signora Elsing li chiama «ospiti paganti»; ma - e qui Pitty abbassò la voce - in realtà non sono che dei pensionanti. Pensa: la signora Elsing ridotta a dirigere una pensione! Non è orribile? - Trovo che è ammirevole - rispose brevemente Rossella. - Vorrei soltanto aver avuto degli ospiti paganti a Tara in tutto quest'anno, invece di tanti invitati. Forse ora non saremmo cosí mal ridotti! - Come puoi dire una cosa simile? Chi sa che cosa direbbe la tua povera mamma all'idea di far pagare l'ospitalità di Tara! La signora Elsing è stata costretta a farlo, perché non riusciva a tirare avanti coi suoi lavori di cucito, le pitture di Fanny su porcellana e Ugo che andava in giro vendendo legna da ardere. Figurati: Ugo che aveva studiato da avvocato! Mi viene da piangere, vedendo che i nostri ragazzi sono costretti a questo. Rossella pensò ai suoi lavori agricoli, all'aratro fra le sue mani incallite, e trovò che Ugo Elsing non meritava uno speciale compatimento. Che vecchia ingenua era rimasta Pitty! - Perché non fa l'avvocato? Non è piú possibile ad Atlanta? - Oh, sí! Anzi c'è tanto da fare. Una quantità di citazioni perché nessuno sa piú dove cominciano e dove finiscono le proprietà. Ma non si ricevono compensi facendo questo, perché nessuno ha denaro per pagare... Ah, a momenti dimenticavo! Te l'ho scritto che Fanny Elsing si sposa domani sera? Naturalmente bisognerà andare. Spero che tu abbia un altro vestito. Non è brutto questo, ma è un po' sciupato. Sí?... hai un bel vestito? Sono contenta, perché sarà il primo matrimonio elegante dopo la caduta di Atlanta; con dolci, vino e ballo. Non so come faranno gli Elsing a fare tante spese! - E chi sposa Fanny? Credevo che dopo la morte di Dallas McLure... - Non devi criticarla. Certo non tutte rimangono fedeli al ricordo come sei tu a quello del povero Carlo. Aspetta... Come si chiama? Non mi ricordo... Conosco sua madre perché siamo state a scuola insieme. Forse... Perkins? Parkison... Sí, sí, Parkison. Di Sparta. Una buona famiglia, ma... Ecco, non so come fa Fanny a sposarlo! - Perché? Forse beve o... - Dio mio, no. È un ottimo figliuolo; ma è stato ferito... non so, lo scoppio di una granata... lo ha ferito alle gambe... Insomma, cammina tutto sciancato e questo gli dà un aspetto molto volgare. - Le ragazze devono bene sposare qualcuno. - No davvero - ribatté Pitty drizzando la cresta. - Io non ne ho sentito affatto il bisogno. - Ma chi parla di te, tesoro! Tutti sanno come eri circondata e come lo sei ancora! Mi ricordo il giudice Carlton che ti faceva gli occhi dolci... - Smettila, Rossella; quel vecchio stupido! - rise Pitty, tornando di buon umore. - Ma certo Fanny poteva fare una scelta migliore. Non credo che abbia dimenticato il povero Dallas, ma davvero non è come te, tesoro. Tu avresti potuto rimaritarti dieci volte, e sei rimasta fedele al povero Carlo. Lo abbiamo detto tante volte, Melly ed io, mentre tutti quanti affermavano che eri una civetta senza cuore. Rossella passò sopra alla mancanza di tatto di questa confidenza; e abilmente condusse Pitty a parlare dell'uno o dell'altro, attendendo con impazienza di poter giungere a parlare di Rhett. Zia Pitty chiacchierava, felice di avere qualcuno che l'ascoltasse. Le cose ad Atlanta andavano malissimo, diceva; tutto a causa dei sistemi usati dai repubblicani. - Figurati, vogliono accordare il voto ai negri! Hai mai sentito una cosa simile? Quantunque... non so... Ora che ci penso, mi pare che zio Pietro abbia molto piú buon senso di tutti i repubblicani che ho conosciuto ed è molto piú educato. Ma quest'idea ha messo sottosopra tutti i negri. Alcuni di loro sono terribilmente insolenti. In istrada, perfino di pieno giorno, spingono le signore giú dal marciapiedi nel fango. E se un gentiluomo osa protestare lo arrestano e... A proposito, ti ho detto che il capitano Butler è in prigione? - Rhett Butler? Rossella fu grata a zia Pitty di averle risparmiato di essere la prima a pronunciare quel nome. - Ma sicuro! - L'eccitazione coloriva le guance di Pitty. - È in prigione per aver ucciso un negro; e vogliono impiccarlo! Pensa, il capitano Butler impiccato! Per un attimo Rossella sentí che il respiro le mancava, e non poté fare altro che fissare la vecchia e grassa signora che era evidentemente soddisfatta dell'effetto prodotto. - Non sono ancora riusciti a provarlo, ma certo qualcheduno ha ucciso il negro che aveva insultato una donna bianca. E gli yankees sono sottosopra, perché recentemente sono stati uccisi parecchi negri. Non hanno prove contro il capitano Butler; ma desiderano dare un esempio; cosí dice il dottor Meade. E dice anche che se lo impiccano, sarà la prima buona azione degli yankees; ma veramente io non so... Pensare che il capitano Butler era stato qui una settimana fa e mi ha portato la piú bella quaglia del mondo! Mi ha anche chiesto di te, dicendo che temeva di averti offesa durante l'assedio e che tu non gli avresti mai perdonato. - E quanto tempo starà in prigione? - Chi lo sa? Forse finché lo impiccheranno; ma può darsi che non riescano a provare che è colpevole d'omicidio. Però gli yankees non si preoccupano molto se una persona è colpevole o no, quando si tratta d'impiccarla. Sono molto in pensiero... - Pitty abbassò la voce misteriosamente - per il Ku Klux Klan. L'avete anche voialtri in campagna? Sono sicura di sí; ma Ashley non ve ne avrà parlato. Vanno in giro la notte vestiti come fantasmi e vanno dai «carpetbaggers» che hanno rubato del denaro o dai negri che si sono mostrati sfacciati. A volte si limitano a spaventarli e ad imporre loro di lasciare Atlanta. Ma quando non si comportano come essi vogliono, li frustano e magari li uccidono. E li lasciano in un luogo dove possono essere trovati facilmente col biglietto del Ku Klux appuntato addosso... Gli yankees sono molto irritati di questo e vogliono dare un esempio... Ma Ugo Elsing mi ha detto che non crede che impiccheranno il capitano Butler, perché sono convinti che egli sappia dov'è il denaro e non voglia dirlo; e cercano di farlo parlare. - Che denaro? - Non lo sai? Non te l'ho scritto? Figúrati che quando il capitano Butler è tornato qui con le tasche piene di quattrini, mentre nessuno di noi sapeva come fare per mangiare, tutti quanti cominciarono a mormorare. Erano furibondi perché quello speculatore che aveva sparlato della Confederazione era cosí ricco, mentre tutti quanti erano poveri. Nessuno osava chiedergli come aveva fatto per mettere a parte quel denaro; soltanto io osai accennargliene. Egli rise e mi rispose: «Certo non in un modo onesto!» Sai che non si può mai farlo parlare ragionevolmente! - Ma era notorio che guadagnava molto col contrabbando... - Senza dubbio, tesoro. Ma è una miseria, a confronto di quello che possiede realmente! Tutti, compresi gli yankees, sono convinti che egli abbia nascosto chi sa dove dei milioni in oro, appartenenti al governo della Confederazione. - Milioni... in oro? - Diamine, tesoro, dove vuoi che sia andato tutto l'oro del nostro paese? Qualcuno deve averlo avuto; e il capitano Butler è uno di costoro. Gli yankees credevano che lo avesse portato via il presidente Davis quando lasciò Richmond; ma quando lo catturarono, il pover'uomo non aveva neanche un quattrino. E a guerra finita, si è detto che i contrabbandieri del blocco dovevano averlo portato via, e si guardavano bene dal parlare. - Milioni... in oro! Ma come... - Non portò forse il capitano Butler migliaia di balle di cotone a Nassau e in Inghilterra per venderle per conto del governo? - chiese Pitty trionfante. - Non solo cotone suo, ma anche cotone del governo? E ti ricordi a che prezzi arrivò il cotone in Inghilterra in quel periodo! Pare che Butler fosse agente del governo; che dovesse vendere il cotone ed acquistare armi per noi. In breve: quando il blocco si fece troppo stretto, egli non poté piú portare dentro armi; e siccome non poteva avere speso neanche la centesima parte del denaro riscosso per il cotone, sono semplicemente milioni di dollari depositati nelle banche inglesi da Butler e da altri come lui, in attesa che il blocco si allentasse. E certamente il denaro non è stato depositato a nome del governo ma in proprio... Tutti ne hanno parlato, dopo la resa, criticando severamente questa gente che allora faceva il contrabbando attraverso il blocco; e quando gli yankees hanno arrestato Butler sotto l'imputazione di avere ucciso il negro, le voci debbono essere giunte anche al loro orecchio; infatti hanno chiesto a Butler dov'è il denaro. Perché, sai, gli yankees dicono che tutti i fondi della Confederazione ora appartengono a loro. Ma il capitano Butler dice che non sa nulla... E il dottor Meade dice che finiranno con l'impiccarlo; ma che l'impiccagione è una pena troppo mite per un ladro e un profittatore... Dio, cara, che faccia! Ti senti male? Ti ha fatto impressione sentire questa storia? Sapevo che era un tuo spasimante, ma credevo che la cosa fosse finita da un pezzo. Personalmente non mi piaceva che ti facesse la corte, perché è un tale furfante... - Non è mio amico - profferí Rossella con sforzo. - Anzi ebbi una disputa con lui durante l'assedio, dopo che tu eri andata a Macon. E... dov'è? Nel deposito degli attrezzi dei pompieri vicino alla piazza. - Nel deposito...? Zia Pitty rise. - Sí; gli yankees lo usano come carcere militare. I soldati sono accampati nelle tende che hanno collocato intorno alla piazza; e siccome il deposito è a una delle estremità, hanno stabilito lí le prigioni. A proposito: devo raccontarti una cosa buffa riguardo al capitano Butler... non so piú chi me l'ha detta. Dunque: ti ricordi com'era elegante e accurato? Nel deposito non gli hanno permesso di fare il bagno. E siccome lui insisteva ogni giorno, finalmente lo hanno condotto fuori dalla cella nel cortile, e c'era un abbeveratoio per i cavalli dove tutto il reggimento si era lavato nella stessa acqua! E volevano che si bagnasse lí dentro; allora lui rispose che preferiva il proprio sudiciume meridionale al sudiciume yankee! E... Rossella udiva la voce continuare gaiamente; ma non distingueva piú le parole. Non riusciva a pensare che due cose: Rhett aveva piú denaro di quanto lei credesse, ed era in prigione. Il fatto che quell'uomo fosse in carcere e forse in procinto di essere impiccato mutava alquanto la prospettiva, rendendola anche piú brillante. A lei, in verità, non importava nulla che Rhett andasse a penzolare all'estremità di una forca. Condivideva, in fondo, l'opinione del dottor Meade... Ma se riusciva a sposarlo mentre era in carcere, tutti i milioni diventerebbero suoi il giorno in cui egli fosse impiccato. E se il matrimonio non era possibile, forse ella riuscirebbe ad ottenere un prestito con la promessa di sposarlo quando fosse liberato, o promettendogli... sí, promettendogli qualunque cosa! E se lo impiccavano, il giorno della restituzione non verrebbe mai. Per un momento inorridí al pensiero di diventar vedova per il benigno intervento del governo yankee. Milioni in oro! Poter riparare Tara, ingaggiare degli agricoltori, piantare miglia e miglia di cotone... E avrebbe dei bei vestiti, e tutto quello che le faceva piacere, e mangerebbe a volontà; e cosí anche Súsele e Carolene. E Wade avrebbe dei buoni cibi e ingrasserebbe un pochino; avrebbe dei vestiti caldi e una governante, e piú tardi andrebbe all'università... invece di crescere scalzo e ignorante come un boscaiolo! E potrebbe far curare il babbo da un buon medico; e per Ashley... Dio, quante cose potrebbe fare per Ashley! Il monologo di zia Pitty si interruppe bruscamente con un: - Ebbene, Mammy?, e destandosi dai suoi sogni Rossella vide Mammy sulla soglia, con le mani sotto al grembiule, che la fissava col suo sguardo penetrante. Chi sa da quanto tempo si trovava lì, e chi sa quante cose aveva udite e osservate! - Miss Rossella sembrare stanca. Essere meglio che andare a letto. - Sí, sono stanca - e Rossella si alzò e guardò Mammy con uno sguardo infantile e un po' smarrito - e temo che mi stia anche venendo un raffreddore. Zia Pitty, ti dispiace se domani rimango a letto e non ti accompagno a fare le tue visite? Vorrei proprio andare al matrimonio di Fanny domani sera; e se il mio raffreddore peggiora, non potrò uscire. Invece, con una giornata di letto me la caverò. L'espressione di Mammy mutò; ella apparve preoccupata quando prese le mani di Rossella e la guardò in faccia. Era pallida e disfatta; tutta la sua eccitazione era caduta. - Avere mani di ghiaccio, tesoro. Venire subito a letto. Io preparare tè di sassifraga e portare mattone caldo per farti sudare. - Dio, come sono sciocca! - esclamò la vecchia signorina balzando in piedi e accarezzando il braccio di Rossella. - Ho chiacchierato senza pensare alla tua stanchezza... Domani resterai a letto a riposarti e io verrò a farti compagnia... Oh Dio, no; non posso! Ho promesso alla signora Bonnell di andare da lei. Ha la grippe, e anche la sua cuoca sta poco bene. Mammy, sono felice che tu sia qui; cosí domattina verrai con me ad aiutarmi. Mammy accompagnò Rossella su per le scale, borbottando contro il raffreddore e le scarpine troppo sottili e altre osservazioni del genere. Rossella fu molto contenta pensando che forse la mattina dopo potrebbe liberarsi di Mammy e andare alla prigione yankee per vedere Rhett. Mentre saliva le scale sentì in distanza il brontolio del tuono che le ricordò il rombo lontano delle cannonate. Rabbrividì. Per tutta la vita il tuono le ricorderebbe ormai il cannone e la guerra.

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Mammy era dinanzi al porticato quando Franco aiutò Rossella a scendere dal carrozzino. Evidentemente era lí da qualche tempo, perché il suo turbante era umido e lo scialle che si stringeva alle spalle era macchiato di pioggia. Il suo volto grinzoso era pieno di collera e di apprensione e il labbro inferiore piú sporgente di quanto Rossella ricordasse di averlo mai visto. Ella si affrettò a scrutare Franco; ma quando vide chi era, il suo viso mutò espressione: piacere, sorpresa e un lieve senso di colpevolezza. Andò incontro a Franco con sorrisi e inchini, compiaciuta quando egli le strinse la mano. - Essere molto bello vedere persone conoscenti. Come stare, mist' Franco? Avere ottimo aspetto! Se io sapere che miss Rossella essere con voi, non avere avuto tanto pensiero. Quando essere tornata a casa e aver visto che essere uscita, avere grande preoccupazione di saperla sola in giro per questa città piena di miserabili negri liberati. Perché non avermi detto che uscire, tesoro? Con tuo raffreddore! Rossella ammiccò timidamente a Franco, il quale, malgrado la cattiva notizia ricevuta pochi minuti prima, sorrise comprendendo che ella gli chiedeva il silenzio e lo ammetteva in una graziosa cospirazione. - Corri a prepararmi degli abiti asciutti, Mammy. E un tè caldo. - Tuo vestito nuovo tutto rovinato! - brontolò Mammy. - Adesso io asciugarlo e spazzolarlo perché tu potere mettere stasera per il matrimonio. Rientrò in casa e Rossella si appoggiò a Franco mormorando: - Venite a cena, stasera. Siamo tanto sole. E poiché dobbiamo andare al matrimonio, ci farete da cavaliere! E vi prego, non dite nulla a zia Pitty di... di Súsele. Le dareste un grande dolore; ed io non posso sopportare l'idea che mia sorella... - No, no! State tranquilla! - Siete stato cosí buono con me, oggi, e mi avete fatto tanto bene. Sento che mi è tornato il coraggio. - Gli strinse la mano e lo lasciò, non senza aver fatto manovrare tutta l'artiglieria dei suoi occhi. Mammy, che aspettava dietro alla porta, le lanciò un'occhiata indefinibile e la seguí ansimando per le scale. Le tolse senza parlare gli abiti che pose ad asciugare sulle sedie e la mise a letto rincalzandole le coperte. Dopo averle portato una tazza di tè bollente e un mattone caldo avvolto in un pezzo di flanella, la guardò e poi cominciò, con una sfumatura di scusa che la giovine non aveva mai udito nella sua voce: - Perché, agnellino mio, non avere detto a tua Mammy cosa voler fare? Io non avrei fatto tutta questa strada fino ad Atlanta. Io essere troppo vecchia e troppo grassa per andare in giro. - Che vuoi dire? - Tesoro, tu non potermi ingannare perché io ti conoscere. Io vedere viso di mist' Franco e tuo viso e leggere come parroco leggere Bibbia. E io avere sentito che tu avere parlato piano a lui di miss Súsele. Se io avere saputo che tu avere da fare con mist' Franco, io essere rimasta a casa dove stare meglio! - Insomma - e Rossella si avvolse meglio nelle coperte, comprendendo che era inutile tentare di distogliere Mammy dalla traccia - che cosa credi che sia successo? - Io non sapere, ma io aver visto tuo viso ieri. E ricordare che miss Pitty avere scritto a miss Melly che quel farabutto Butler avere tanto denaro e io non dimenticare quello che sento. Ma mist' Franco essere gentiluomo anche se non essere tanto bello. Rossella le lanciò uno sguardo aspro che Mammy ricambiò con calma onniscienza. - E ora che farai? Andrai a raccontarlo a Súsele? - Io aiutare te per mist' Franco se farti piacere, in tutti i modi che potere. Rossella rimase tranquilla, mentre Mammy si muoveva per la stanza, ben contenta che fra loro non occorressero troppe parole. Né domande né spiegazioni né rimproveri. Mammy aveva compreso e taceva. I suoi occhi variegati vedevano sino in fondo, con la buona fede dei selvaggi e dei bambini, non turbata da questioni di coscienza quando un pericolo minacciava la sua beniamina. Rossella era la sua piccina; e se la sua piccina voleva qualche cosa, anche se questa apparteneva ad un'altra persona, Mammy l'aiuterebbe ad ottenerla. Rossella era la figlia di miss Elena; quindi Mammy diventava sua alleata senza ombra di esitazione. Il mattone ardente aveva riscaldato i piedi impietriti di Rossella, la quale sentí ora infiammarsi la speranza che le era appena apparsa durante il suo ritorno a casa. La forza le ritornava insieme al calore e a una nuova eccitazione che le diede il desiderio di ridere forte. «Non sono ancora sconfitta» pensò esultante. Poi disse: - Dammi lo specchio, Mammy. - Tenere spalle sotto coperte - ordinò la negra porgendole lo specchio con un sorriso sulle labbra tumide. Rossella si guardò. - Sembro uno spettro; e ho i capelli ispidi come la coda in un cavallo. - Essere sempre bella. - Hum... Piove forte? - A catinelle. - Mi dispiace, ma bisogna che tu vada in città per me. - Piovere troppo. - Se non vai tu, vi andrò io. Ho bisogno di una bottiglia d'acqua di Colonia. Per lavarmi i capelli. E poi un vasetto di gelatina di cotogne per lisciarli. - Io non lavare tuoi capelli con questo tempo umido e tu non mettere acqua di Colonia come quelle donne... Io non lasciarti fare questo. - Oh sí; lo farò. Guarda nel mio portamonete: c'è quella moneta d'oro da cinque dollari. E... giacché sei in città, Mammy, mi prenderai anche... hm... un vasetto di «rouge». - Che cosa? - chiese Mammy sospettosa. Rossella la guardò con una freddezza che era ben lungi dal provare. Non si poteva mai sapere qual era il sistema migliore per turlupinare Mammy. - Non ci pensare. Domanda cosí. - Io non comprare quello che non sapere cosa essere. - Dio, come sei curiosa! È belletto. Per il viso. Non stare lí come una mummia e sbrigati. Vai. - Belletto! - proferí Mammy. - Per il viso! Ah, tu non essere tanto grande che io non poterti picchiare! Non essere mai stata cosí scandalizzata in vita mia! Tu essere impazzita! Miss Elena rivoltarsi nella sua tomba in questo momento! Dipingere tuo viso come una... - Sai benissimo che la nonna Robillard si è sempre imbellettata e... - Sissignora; e portare solo una sottoveste e quando essere bagnata restare appiccicata e far vedere forma di sue gambe; ma questo non voler dire che tu fare lo stesso! Quando vecchia padrona essere giovine tempi erano scandalosi; ma tempi cambiare e oggi non... - In nome di Dio! - esclamò Rossella perdendo la pazienza e respingendo le coperte. - Ora ti rimando subito a Tara! - Tu non potermi mandare a Tara se io non volere andare. Io essere libera - ansimò Mammy con ardore. - E io volere rimanere qui. Tu non muoverti! Voler prenderti polmonite proprio adesso? Posare subito quel busto! No, tesoro, tu non andare in nessun posto con questo tempo. Dio mio! Essere come tuo padre! Tornare subito a letto! Io non andare a comprare pittura! Morire di vergogna se gente pensare che essere per mia bambina! Tu cosí carina che non avere bisogno di pitture. Gioia mia, solo donne cattive adoperare quella roba. - E ottengono i risultati che vogliono, no? - Gesummio, sentila! Agnellino, non dire queste cose cattive! Posare subito quelle calze bagnate. Tu non potere andare a comprare quella roba. Miss Elena non mi perdonare se io lasciarti andare. Torna a letto. Io andare. Forse io trovare una bottega dove non ci conoscere.

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Era già abbastanza riprovevole che Rossella avesse venduto i suoi orecchini al capitano Butler (proprio a lui!) e avesse comprato la segheria senza neanche consultare suo marito; ma il peggio era che non si rivolgeva a lui nemmeno per il funzionamento dell'industria. Come se non si fidasse di lui e del suo giudizio! Come tutti gli uomini che conosceva, Franco era persuaso che una donna doveva essere guidata dall'intelligenza superiore del marito; doveva accettare le opinioni di lui e non averne di proprie. Alla maggior parte delle donne egli avrebbe accordato volentieri ogni libertà. Dolce di carattere, non era capace di rifiutare. Gli sarebbe piaciuto esaudire gli sciocchi desideri di una soave personcina, e sgridarla affettuosamente per la sua stupidità e la sua stravaganza. Ma quello che Rossella si metteva in mente era incredibile. Per esempio, la faccenda della segheria. Era stato un colpo per lui, quando, in risposta alle sue domande, ella gli aveva detto con un dolce sorriso che intendeva condurla da sci. - Voglio occuparmi io dell'industria dei legnami - aveva detto. Franco non dimenticherebbe mai l'orrore di quel momento. Incredibile. Non esisteva nessuna donna d'affari ad Atlanta. Anzi, Franco non aveva mai saputo che anche altrove ve ne fossero. Se qualcuna era costretta, dalle difficoltà dei tempi, a procacciare un po' di denaro per aiutare la famiglia, lo faceva in maniera assolutamente femminile e tranquilla: infornava pane e focacce come la signora Merriwether, o dipingeva ceramiche o cuciva o affittava camere, come le signore Elsing, o dava lezioni come le signore Meade e Bonnell. Costoro guadagnavano del denaro, ma rimanendo in casa, come deve fare una donna. Ma che questa lasci la protezione della sua casa e si avventuri nel mondo crudele degli uomini, avendo contatto con loro, esponendosi agli insulti e ai pettegolezzi... Specialmente quando non era costretta a farlo, avendo un marito che poteva largamente provvedere per lei! Franco aveva sperato che fosse uno scherzo - di gusto discutibile, ma uno scherzo; ma in breve constatò che ella si occupava realmente della segheria: si alzava presto la mattina per andarvi e spesso non tornava a casa che molto tempo dopo che egli aveva chiuso la bottega ed era rientrato per la cena. Percorreva in carrozza le lunghe miglia per giungere allo stabilimento, con la sola protezione di zio Pietro che faceva smorfie di biasimo; e i boschi erano pieni di negri liberati e di canaglia yankee. Franco non poteva accompagnarla perché il negozio gli prendeva tutto il suo tempo: - Se non tengo d'occhio quel furfante di Johnson, è capace di vendere il mio legname e mettersi in tasca il denaro. Quando avrò una persona di fiducia a cui affidare la direzione, non avrò bisogno di andarci cosí spesso. Potrò andare in città ad occuparmi delle vendite. Vendere il legname in città! Questo era peggio di tutto. Spesso lasciava per una giornata lo stabilimento e andava a fare dei contratti; in quei giorni Franco avrebbe voluto nascondersi nell'angolo piú oscuro della sua bottega per non vedere nessuno. Sua moglie venditrice di legname! I pettegolezzi erano infiniti. Probabilmente anche sul conto di lui, che le permetteva di condursi in modo cosí poco femminile. Franco si sentiva imbarazzatissimo quando qualche cliente gli diceva: - Ho visto poco fa la signora Kennedy a... - Tutti quanti si prendevano la briga di andargli a raccontare che cosa faceva sua moglie. Rossella era capitata proprio mentre Tommy Wellburn stava comprando del legname da un altro, per la costruzione del nuovo albergo. Era balzata giú dal suo carrozzino in mezzo ai rozzi muratori irlandesi che stavano mettendo le fondamenta e aveva detto brevemente a Tommy che si stava facendo imbrogliare. Aveva affermato che il suo legname era migliore e meno costoso e glielo aveva dimostrato con cifre e dati. Che scandalo, una donna che mostrava pubblicamente di conoscere la matematica! E non contenta di avere avuto l'ordine della fornitura, Rossella, invece di andarsene tranquillamente, si era ancora fermata a discorrere con Johnnie Gallegher, il capomastro dei manovali irlandesi, un ometto dal viso duro che godeva una pessima reputazione. La città ebbe argomento di chiacchiere per parecchie settimane. Per giunta, poi, ecco che Rossella guadagnava veramente col suo stabilimento; e nessuno poteva ammettere che una donna sapesse cavarsela nell'esercizio di un'attività maschile. Inoltre, non dava nulla dei suoi guadagni al marito per il suo negozio. La maggior parte del denaro veniva spedito a Tara, ed ella scriveva interminabili lettere a Will Benteen, indicandogli ciò che doveva fare. Piú tardi disse a Franco che quando le riparazioni di Tara fossero terminate, ella aveva l'intenzione di far fruttare il proprio denaro prestandolo contro ipoteche. - Ahi! Ahi! - gemeva Franco ogni volta che vi pensava. Una donna non avrebbe neanche dovuto sapere che cos'erano le ipoteche! Rossella era una fucina di progetti; e ciascuno sembrava a Franco peggiore del precedente. Parlava perfino di costruire uno spaccio per bevande sul terreno dove prima sorgeva il magazzino incendiato da Sherman. Franco non era astemio, ma protestò vivamente contro quell'idea. Essere proprietario di uno spaccio di quel genere era una cosa immorale; quasi quanto il possedere una casa di prostituzione! Non seppe però spiegarle in che cosa consisteva l'immoralità; quindi, alle sue argomentazioni zoppicanti ella rispose: - Sciocchezze! - Gli osti sono sempre degli ottimi locatari - continuò poi. - Lo zio Enrico lo diceva sempre. Pagano puntualmente l'affitto; ed io potrei fabbricare con del legname di poco prezzo; con il ricavo annuale, con quello della segheria e con gl'interessi delle ipoteche, potrei comprare altri stabilimenti per il legname. - Ma, dolcezza mia, non hai bisogno di altri stabilimenti! - esclamò Franco inorridito. - Dovresti anzi vendere quello che hai. Ti stanchi troppo; e hai visto quanto hai stentato a trovare dei negri liberati come operai... - Quei negri infetti non valgono nulla - acconsentí Rossella senza badare al suggerimento. - Johnson dice che non sa mai la mattina come procederà il lavoro, perché ignora se avrà tutto il personale o no. È gente che lavora un paio di giorni e poi si riposa finché ha speso quello che ha guadagnato. Veramente, piú vedo i risultati dell'emancipazione e piú mi convinco che è stata un delitto. È stata la rovina dei negri. Migliaia di loro non lavorano; e i pochi che lavorano non producono nulla. E se uno li rimprovera o li tocca appena con la punta del frustino, per il bene delle loro anime, l'Ufficio Emancipazione vi salta addosso come un basilisco. - Tesoro, tu non permetterai che Johnson batta... - No di certo - ribatté impaziente. - Non ti ho detto che se lo facessi gli yankees mi metterebbero in prigione? - Scommetto che tuo padre non ha mai battuto un negro in vita sua. - Una volta sola. Un mozzo di stalla che non strigliò il suo cavallo dopo una giornata di caccia. Ma allora era ben diverso. I negri emancipati sono un'altra cosa; e una buona frustata farebbe molto bene a parecchi di loro. Franco era sbalordito non solo per le idee e i progetti di sua moglie, ma per il mutamento sorprendente avvenuto in lei nei pochi mesi del loro matrimonio. Non era piú la creatura dolce e soave che egli aveva preso in moglie. Nel breve periodo del corteggiamento, egli si era detto che non aveva mai conosciuto una donna piú leggiadramente femminile, ignorante, debole e timida. Ora era diventata una specie di maschietto. Malgrado le sue guance rosee, le sue fossette e i suoi sorrisi, parlava e agiva come un uomo. Aveva una voce brusca e decisa; sapeva quello che voleva e lo raggiungeva per la via piú breve, come un uomo, senza le svolte e i sentieri nascosti particolari alle donne. E poi, vi era quel Butler. Le sue visite frequenti a casa di zia Pitty erano la piú grande delle umiliazioni. Franco lo aveva sempre trovato antipatico, anche quando aveva fatto affari con lui prima della guerra. Spesso malediceva il giorno in cui lo aveva condotto seco alle Dodici Querce presentandolo ai suoi amici. Lo disprezzava per la freddezza con la quale aveva condotto le sue speculazioni durante la guerra e perché non era stato nell'esercito. Gli otto mesi di servizio di Rhett erano noti soltanto a Rossella, perché Rhett l'aveva pregata, con scherzoso timore, di non rivelare a nessuno la sua «vergogna». E soprattutto Franco lo disprezzava per la faccenda dell'oro della Confederazione; uomini onesti come l'ammiraglio Bullock e altri che si erano trovati nella stessa situazione, avevano restituito parecchie migliaia di dollari al tesoro federale. Ma che a Franco piacesse o no, Rhett era un visitatore frequente. Ostensibilmente, veniva a trovare Pitty, la quale sembrava crederlo e si dava delle arie per quelle visite. Ma Franco aveva la spiacevole sensazione che l'attrazione per Rhett non fosse precisamente Pitty. Il piccolo Wade gli voleva molto bene, benché di solito fosse timido con gli estranei, e lo chiamava «zio Rhett», ciò che infastidiva Franco. Il quale non poteva fare a meno di ricordare che Rhett era stato il cavalier servente di sua moglie durante la guerra e l'opinione pubblica aveva parlato molto di loro. Immaginava quindi che anche oggi si parlasse; ma certo nessuno aveva il coraggio di accennare a Franco, col quale si limitavano a criticare la condotta di Rossella riguardo allo stabilimento. Egli si accorgeva però che gli inviti a pranzi e riunioni diventavano meno frequenti, per sua moglie e per lui, e che i visitatori si andavano sempre piú diradando. Rossella non se ne curava, perché aveva poca simpatia per la maggioranza dei loro conoscenti e perché molto occupata; ma Franco sentiva acutamente la mancanza di visite e di inviti. Durante l'intera sua vita Franco era stato sotto il dominio della frase «che cosa dirà il mondo?» ed era senza difesa contro le ripetute sconvenienze compiute da sua moglie. Sentiva che tutti biasimavano Rossella e disprezzavano lui per la sua debolezza. D'altronde, se egli le avesse ordinato di smettere di fare ciò che, secondo il suo modo di vedere, un marito non dovrebbe permettere, o anche soltanto di discutere o di criticare, si sarebbe scatenata la tempesta. «Povero me! Povero me!» pensava desolato. «Si infuria piú prontamente di qualunque altra donna, e la collera le dura piú a lungo che alle altre!» Anche quando le cose andavano bene, era sorprendente vedere con che rapidità la donna affettuosa e allegra che tornava a casa cantarellando poteva trasformarsi in una persona completamente diversa. Bastava che egli dicesse: - Tesoro, se fossi in te, farei... - e la tempesta si scatenava. Le sopracciglia nere di lei si aggrottavano venendo a incontrarsi a sommo del naso in un angolo acuto, e Franco impallidiva visibilmente. Ella aveva l'indole di un tartaro e la collera di un gatto selvaggio; in quei momenti non sapeva piú quello che diceva e non si curava di essere offensiva anche in sommo grado. In queste occasioni tutta l'atmosfera della casa si incupiva. Franco andava alla bottega di buon'ora e rientrava tardi. Pitty si rifugiava nella sua camera come un coniglio si rannicchia nella sua tana. Wade e zio Pietro si ritiravano nella rimessa e la cuoca, chiusa in cucina, si guardava bene dall'alzar la voce a cantare le lodi del Signore. Soltanto Mammy sopportava con indulgenza l'umore di Rossella; forse perché era stata abituata per molti anni alle esplosioni di Geraldo O'Hara. In verità, Rossella non aveva l'intenzione di essere sgarbata; anzi desiderava essere una buona moglie per Franco, poiché gli voleva bene e gli era grata di averla aiutata a salvare Tara. Ma egli la faceva impazientire troppo spesso. Inoltre, si sentiva incapace di rispettare un uomo che si lasciava dominare in quel modo; e il suo atteggiamento timido ed esitante in qualsiasi circostanza spiacevole la irritava indicibilmente. Ma sarebbe passata sopra a questo e sarebbe anche stata felice, ora che le questioni finanziarie erano risolte, se la sua esasperazione non fosse stata sempre rinnovata dal constatare che Franco non sapeva fare gli affari e desiderava che neanche lei li facesse. Com'era da prevedere, egli aveva rifiutato di chiedere il pagamento dei conti sospesi finché lei non ve lo aveva costretto; e anche allora lo aveva fatto scusandosi. Questo bastò a farle comprendere che la famiglia Kennedy rimarrebbe sempre in posizione assai modesta, se non pensava lei a procurare il denaro occorrente. Forse Franco era stato un discreto commerciante prima della guerra; ma ora, secondo lei, era cosí noiosamente antiquato e cosí ostinato nel fare le cose come si facevano una volta! Gli mancava completamente l'aggressività resa necessaria dai nuovi tempi. Invece lei ne era dotata e intendeva servirsene, piacesse o non piacesse a suo marito. Bisognava guadagnare del denaro e la cosa non era facile. Il meno che Franco potesse fare, secondo lei, era non intromettersi nei suoi progetti che stavano dando buoni risultati. Con la sua inesperienza, non era tanto semplice condurre lo stabilimento, tanto piú adesso che la concorrenza era molto piú aspra che da principio; perciò ella era quasi sempre stanca, preoccupata e sgarbata quando la sera tornava a casa. E quando Franco, tossicchiando come per scusarsi, cominciava a dire: «Tesoro, io farei questo...» oppure «Se fossi in te, tesoro, non farei quest'altro» Rossella stentava a non lasciarsi trasportare dall'ira. E spesso si lasciava trasportare. Se suo marito era incapace di guadagnare del denaro, perché la infastidiva, mentre lei ne era capace? E perché la importunava con argomentazioni cosí stupide? Che cosa importava, in fondo, se lei era poco femminile? Franco desiderava tranquillità e riposo. La guerra gli aveva rovinato la salute, aveva distrutto il suo patrimonio e fatto di lui un vecchio. Egli non rimpiangeva nulla di questo; e dopo quattro anni non chiedeva altro alla vita se non un po' di pace e di bontà; dei visi affettuosi attorno a sé e la cordialità dei suoi amici. Trovò in breve che il solo modo di aver la pace in famiglia era lasciare che Rossella facesse tutto quello che voleva. In questa maniera, la vita in casa poteva essere sopportabile; e poteva anche accadere che quando egli tornava a casa nelle serate fredde, sua moglie gli aprisse la porta con un sorriso e lo baciasse su un orecchio o sul naso o in altro luogo poco appropriato. Ma era una pace falsa, conquistata a costo di tutto ciò che, secondo lui, avrebbe dovuto procedere in altro modo nella vita coniugale. «Una donna dovrebbe occuparsi della sua casa e della sua famiglia e non andare di qua e di là come un uomo. Chi sa, forse se avesse un bambino...» Sorrideva al pensiero di un bimbo; e vi pensava spesso. Rossella aveva detto sovente che non ne desiderava, ma i bimbi non aspettano di essere invitati. Se Rossella avesse un piccino gli vorrebbe bene e sarebbe lieta di rimanere a casa ad occuparsi di lui, come le altre donne. Sarebbe allora costretta a vendere lo stabilimento ed ogni problema sarebbe risolto. Rossella non era felice; per quanto egli fosse ignorante in fatto di donne, non era tanto cieco da non accorgersene. A volte la notte si destava e la sentiva piangere sul guanciale. La prima volta che si era destato sentendo il letto scosso dai suoi singhiozzi, le aveva chiesto spaventato: «Che hai, tesoro?» ed era stato respinto da un'esclamazione irritata: «Oh, lasciami stare!» Sí, un bimbo la renderebbe felice e le toglierebbe dalla testa il pensiero degli affari. Di tanto in tanto Franco sospirava pensando che aveva imprigionato un uccello, vivo di colori e tutto fiamma, mentre un passero sarebbe stato ugualmente adatto per lui; anzi sarebbe andato assai meglio.

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IN una notte piovosa d'aprile, Toni Fontaine giunse da Jonesboro su un cavallo coperto di schiuma e mezzo morto d'esaurimento, e venne a bussare alla porta di zia Pitty, destando Rossella e Franco il quale corse ad aprirgli col cuore in gola. Per la seconda volta in quattro mesi, Rossella comprese che cos'era la Ricostruzione con tutte le sue complicazioni, e si rese conto di ciò che aveva voluto significare Will dicendo: «I nostri guai sono appena cominciati»; e quanto erano giuste le dolorose parole di Ashley: «Quello che ci attende è peggio della guerra... peggio della prigione... peggio della morte». La prima volta era stato quando aveva saputo che Giona Wilkerson poteva, con l'aiuto degli yankees, scacciarla dalla sua casa. Ma l'arrivo di Toni la sgomentò molto di piú. Toni giunse di notte, sotto una pioggia torrenziale, e pochi minuti dopo era nuovamente scomparso per sempre. Ma nel breve intervallo aveva sollevato il sipario su una scena di nuovo orrore; un sipario che ella sentiva che non si abbasserebbe mai piú. In quella notte burrascosa, quando udí il picchiotto battere alla porta disperatamente, rimase sul pianerottolo stringendosi la vestaglia al collo e guardando nel vestibolo scorse il volto triste e spettrale di Toni prima che egli soffiasse sulla candela che Franco teneva in mano. Si affrettò a scendere nell'oscurità e gli afferrò la mano umida, mentre egli sussurrava: - M'inseguono... fuggo nel Texas... il mio cavallo è quasi morto... e io muoio di fame. Ashley mi ha detto che voi... Non accendete la candela! Non svegliate i negri... non voglio farvi avere dei fastidi, se posso evitarlo. In cucina, dove imposte e persiane erano ben chiuse, permise che si accendesse un lume, e parlò con Franco a scatti, mentre Rossella cercava di racimolargli qualche cosa da mangiare. Era senza pastrano e bagnato fino all'osso; senza cappello, coi capelli neri appiccicati al cranio. Inghiottí in un sorso il whisky che ella gli aveva portato. Rossella ringraziò Dio che zia Pitty russasse indisturbata al piano superiore; altrimenti dinanzi a quella apparizione sarebbe svenuta. - Un maledetto... peggio di un rinnegato, - disse Toni tendendo il bicchiere per avere ancora da bere. - Ho fatto correre il cavallo, e se non mi allontano in fretta ci rimetto la pelle. Ma ne valeva la pena. Sí, per Dio! Cercherò di arrivare nel Texas e li mi fermerò. Ashley è stato con me a Jonesboro e mi ha detto di venire da voi. Ho bisogno di un altro cavallo, Franco, e un po' di denaro. Il mio cavallo è quasi morto... tutta la strada fin qui a spron battuto... e sono scappato di casa senza cappello né pastrano, e senza un centesimo. Non che a casa ve ne siano molti, di centesimi! Rise e addentò avidamente il panino di granoturco e un piatto di talli di rape su cui il grasso raffreddato aveva formato delle chiazze bianche. - Posso darvi il mio cavallo, - disse Franco con calma. - In casa ho soltanto dieci dollari, ma se potete aspettare fino a domattina... - Sto fresco se aspetto! - esclamò Toni enfatico, ma gioviale. - Probabilmente li ho alle calcagna. Non ho un gran vantaggio. Se non ci fosse stato Ashley che mi ha trascinato e issato sul cavallo, sarei rimasto lí come un imbecille e probabilmente a quest'ora mi avrebbero già fatto la pelle. Un bravo ragazzo Ashley. Dunque, Ashley era immischiato in questa strana faccenda. Rossella sentí freddo e si portò la mano alla gola. Ma perché Franco non domandava che cosa era successo? Perché prendeva la cosa freddamente come se non vi fosse nulla di straordinario? - Ma... - cominciò -... che cosa... chi... - L'ex sorvegliante di vostro padre... quel maledetto Giona Wilkerson. - Lo avete...? È morto? - Dio mio, Rossella! - fece Toni con stizza. - Quando comincio a tagliare a pezzi una persona, credete che mi accontenti di una graffiatura? No, per Dio, la taglio a fettine. - Bene - approvò Franco. -. Non mi è mai piaciuto quel tipo. Rossella lo guardò. Non era il Franco dolce e tranquillo che lei conosceva, quello che si tirava nervosamente la barba e che lei dominava con tanta facilità. Era freddo e sereno, e fronteggiava la situazione senza parole inutili. - Ma Ashley... che cosa ha?... Niente. Voleva ucciderlo, ma io gli ho detto che era affar mio, perché Sally è mia cognata; ed ha finito col darmi ragione. È venuto a Jonesboro con me, per il caso che Wilkerson mi sopraffacesse. Ma non credo che il nostro vecchio Ash potrà avere delle noie per questo. Almeno lo spero. Non c'è un po' di marmellata per mettere su questo panino? E non potreste prepararmi un pacchetto da portare con me? - Se non mi dite tutto, mi metto a urlare. - Aspettate che io me ne sia andato, poi urlate quanto vi pare. Vi dirò tutto mentre Franco sella il cavallo. Quel maledetto Wilkerson ne aveva fatte abbastanza. La storia delle vostre tasse è una delle sue infamie. Ma il peggio è la maniera che ha di incitare i negri. Se qualcuno mi avesse detto che sarebbe venuto il giorno in cui avrei detestato i negri...! Maledette le loro anime nere! Credono a tutto ciò che dicono quei farabutti e dimenticano ciò che noi abbiamo fatto per loro. Adesso vogliono dar loro i diritti politici e li negano a noi. E se fanno questo, sarà finita per noi! Per Bacco, lo Stato è nostro! Non appartiene agli yankees! Perdio, Rossella, non si può tollerare! E non sarà tollerata. Faremo qualunque cosa, magari anche un'altra guerra. Fra poco avremo giudici negri, legislatori negri, scimmie nere uscite dalla giungla... - Ma presto, ditemi! Che avete fatto? - Datemi un altro di quei panini prima di fare il pacchetto. Dunque: si era venuti a sapere che Wilkerson era andato un po' troppo oltre con la faccenda dell'uguaglianza dei negri. Ma sí, tiene a quegli idioti dei discorsi che durano delle ore! E ha avuto la sfacciataggine di... - Toni stentava a esprimersi - di dire che i negri hanno diritto... su... sulle donne bianche. - No, Toni! - Sí, perdio! Vi fa impressione, eh? Eppure non dovrebbe riuscirvi nuovo. Glie lo hanno detto anche qui ad Atlanta. - Non... non lo sapevo. - Si vede che Franco ha evitato di farvelo sapere. Ad ogni modo, dopo di questo, avevamo pensato che una sera avremmo chiamato in disparte il signor Wilkerson, per fare i conti con lui; ma prima che potessimo far ciò... Vi ricordate quel giovinotto negro, Eustacchio, che faceva da capoccia ai nostri? - Sí. - Si è presentato oggi alla porta della cucina mentre Sally preparava il pranzo e... non so che cosa le ha detto. Credo che non lo saprò mai. Ma l'ho udita urlare e sono corso in cucina dove l'ho trovato ubriaco fradicio... L'ho steso a terra, e quando la mamma è venuta in cucina per occuparsi di Sally, sono saltato a cavallo e ho galoppato verso Jonesboro in cerca di Wilkerson. La colpa era sua. Quel maledetto negro non avrebbe mai pensato di fare una cosa simile se lui non glie lo avesse detto. Passando davanti a Tara ho incontrato Ashley che naturalmente è venuto con me. Voleva che lasciassi fare a lui per vendicarsi del modo in cui Wilkerson aveva agito nella faccenda di Tara, ma io gli ho detto che spettava a me perché Sally era la moglie di mio fratello morto. E abbiamo discusso per tutta la strada. Arrivati in città, figurati, Rossella, che non avevo neanche la pistola con me. L'avevo lasciata nella stalla. Con la furia che avevo avuto... Fece una pausa e addentò il panino; Rossella ebbe un brivido. L'ira sanguinaria dei Fontaine era ben conosciuta nella Contea. - Quindi mi è toccato servirmi del coltello. Ho trovato quell'individuo all'osteria. L'ho spinto in un angolo, mentre Ashley teneva indietro gli altri, e gli ho detto il fatto suo prima di bucargli la pancia. È stato affare d'un momento. La prima cosa di cui mi sono accorto è che Ashley mi ha messo sul cavallo dicendomi di venire da voi. Ashley conserva il sangue freddo in questi casi. Franco entrò portando sul braccio il suo pastrano che porse a Toni. Era il solo indumento pesante che possedesse, ma Rossella non protestò. - Ma Toni... - mormorò. - A casa hanno bisogno di voi. Se tornaste indietro a spiegare... - Franco, voi avete sposato una pazza - rise Toni mentre infilava le maniche. - Crede che gli yankees ricompensino un uomo che impedisce ai negri di toccare le sue donne. Sí, lo ricompensano, ma con un nodo scorsoio. Datemi un bacio, Rossella. Può darsi che non vi veda mai piú, e certo a Franco non dispiacerà. Il Texas è lontano. Non oso scrivere; quindi pensate voi a informare i miei che fino a qui sono giunto sano e salvo. Ella si lasciò baciare; quindi i due uomini uscirono sotto la pioggia torrenziale e si fermarono un attimo a discorrere nel porticato posteriore. Dopo un momento udí un trepestio di zoccoli: Toni era partito. Aperse una fessura dell'uscio e vide Franco che conduceva nella stalla un grosso cavallo zoppicante. Richiuse e sedette con le ginocchia che le tremavano. Ora comprendeva che cos'era la Ricostruzione; le sembrava che la casa fosse circondata da selvaggi nudi, accoccolati sui calcagni. Ora le tornavano in mente tante cose a cui non aveva badato: conversazioni che aveva sorpreso, ma non ascoltato, discorsi fra uomini interrotti al suo arrivo, piccoli incidenti a cui non aveva dato importanza. E anche gli ammonimenti di Franco quando non voleva che ella andasse allo stabilimento protetta unicamente dal vecchio zio Pietro. Tutte queste cose si riunivano a formare un quadro terrificante. I negri erano in alto, e dietro a loro erano le baionette degli yankees. Ella poteva essere uccisa, violentata, e probabilmente nessuno se ne occuperebbe. E se qualcuno volesse vendicarla, sarebbe impiccato dagli yankees senza neppure la soddisfazione di un processo e di un giurí. Gli ufficiali yankee che non conoscevano leggi e non si curavano delle circostanze in cui un delitto veniva commesso, facevano a meno di ogni procedura e non esitavano a mettere la corda al collo di un meridionale. «Che possiamo fare?» pensò torcendosi le mani in un'agonia di terrore. «Che possiamo fare contro questi dèmoni che sarebbero capaci di impiccare un simpatico ragazzo come Toni perché, per proteggere le sue donne, ha ucciso un furfante ubriaco e un mascalzone rinnegato?» - Non si può sopportare! - aveva esclamato Toni; e aveva ragione. Non si poteva sopportare; e intanto non vi era altro da fare. Cominciò a tremare, e per la prima volta in vita sua vide le persone e gli avvenimenti come qualche cosa che era completamente staccato da lei; vide che Rossella O'Hara, debole e spaventata, non era la creatura piú importante del mondo. Vi erano nel sud migliaia di donne come lei, spaventate e smarrite. Ed anche migliaia di uomini che avevano posato le armi, ma ora le avevano riprese, pronti a rischiare le loro teste per difendere queste donne. Nel volto di Toni era qualche cosa che ella aveva visto rispecchiata in altri volti ad Atlanta, senza essersi soffermata ad analizzarla. Era un'espressione assai diversa dalla stanchezza che aveva visto in coloro che erano tornati dalla guerra. Questi non pensavano allora ad altro che a giungere a casa. Ora avevano altri pensieri: i nervi rilassati cominciavano a riprender vigore e il vecchio spirito tornava a infiammarli. E come Toni, essi pensavano: «È cosa che non si può sopportare!» Per la prima volta sentí una vera comunanza con le persone che aveva intorno, si sentí unita ai loro timori, alla loro amarezza, alla loro determinazione. Il Sud era troppo bello per poter essere abbandonato senza lotta, troppo amato per essere calpestato dagli yankees che odiavano i meridionali sino al punto di esser felici di trascinarli nel fango, troppo diletto per essere lasciato in potere di negri ignoranti, ebbri di whisky e di libertà. Ripensando al subitaneo arrivo di Toni e alla sua rapida partenza, ella si sentí affine a lui, ricordando la vecchia storia della partenza di suo padre dall'Irlanda, in fretta e furia e di notte, dopo un omicidio che per lui e per la sua famiglia non era stato delitto. Il sangue violento di Geraldo era in lei. Ricordò la sua gioia ardente nell'uccidere il ladro yankee. Il sangue violento era in tutti loro, pericolosamente a fior di pelle, sotto la cortesia esteriore. Tutti gli uomini che ella conosceva, perfino il sonnolento Ashley e l'irrequieto Franco, erano cosí nel loro intimo: pronti a uccidere in caso di necessità. Anche Rhett, benché fosse un farabutto senza coscienza, aveva ucciso un negro perché era stato «insolente verso una signora». Quando Franco rientrò tossendo, gocciolante di pioggia, ella balzò in piedi. - Oh, Franco, quanto durerà? - Finché gli yankees ci odieranno cosí. - E non si può far nulla? Franco passò la mano stanca sulla sua barba bagnata. - Stiamo facendo qualche cosa. - Che cosa? - Perché parlarne prima di averla compiuta? Può darsi che ci vogliano degli anni. Forse... forse il Sud sarà sempre cosí. - Oh, no! - Vieni a letto, tesoro. Devi essere infreddata. Tremi. - Quando finirà? - Quando potremo ancora votare. Quando ogni uomo che ha combattuto per il Sud potrà mettere il suo voto nell'urna per un meridionale democratico. - Un voto? - ella esclamò disperata. - E a che può servire quando i negri hanno perso il cervello... quando gli yankees li aizzano contro di noi? Franco continuò a spiegare con pazienza; ma l'idea che i voti potessero porre rimedio a tutto quello, era troppo complicato per lei. Ella pensava soltanto con soddisfazione che Giona Wilkerson non potrebbe piú minacciare Tara; e di questo era grata a Toni. - Quei poveri Fontaine! È rimasto il solo Alex, e a Mimosa c'è tanto da fare! Perché Toni non ha avuto il buon senso di... di farlo di notte quando nessuno poteva vederlo? Franco le passò un braccio attorno alla vita. Di solito ella diventava nervosa quando egli la prendeva in quel modo; ma stanotte vi era negli occhi di suo marito una strana espressione, e il suo braccio era fermo. - Non è cosa di poca importanza spaventare i negri e dare una lezione ai rinnegati nella persona di uno di loro. Finché vi sono dei giovinotti come Toni, non avremo bisogno di preoccuparci troppo per il Sud. Se riusciamo a stare uniti e a non cedere di un pollice agli yankees, forse un giorno vinceremo. Ma non preoccuparti, tesoro. Lascia che pensino gli uomini. Forse noi non vedremo piú questo; ma certo un giorno verrà. Gli yankees si stancheranno di molestarci quando vedranno che non riescono a spuntarla; e allora potremo vivere e allevare i nostri figlioli. Ella pensò a Wade e al segreto che da qualche giorno teneva chiuso in sé. No, non desiderava che i suoi figlioli crescessero in questo lievito di odio e di incertezza, di amarezza e di violenza, di miseria e di disperazione. Per i suoi figlioli desiderava un mondo sicuro e ordinato in cui poter guardare all'avvenire e sapere che questo era sicuro per loro; un mondo in cui i suoi figlioli conoscessero solo dolcezza, tepore, abiti caldi e cibi nutrienti. Franco credeva che ciò si sarebbe ottenuto coi diritti politici. Ma a che serviva il voto? Alle persone per bene nel Sud non sarebbe mai piú concesso di votare. Una sola cosa al mondo poteva essere un baluardo sicuro contro le calamità del destino: il denaro. Ella pensò febbrilmente che bisognava guadagnarne molto e metterlo al sicuro. E bruscamente disse a suo marito che aspettava un bambino.

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Sapeva che lei e Franco erano già nel libro nero degli yankees a causa di Toni; e che il disastro poteva piombare sopra di loro da un momento all'altro. E proprio adesso l'idea di essere respinta ai suoi inizi la atterriva: ora che attendeva un bimbo, che lo stabilimento cominciava a rendere e a Tara vi era bisogno di denaro per arrivare fino al raccolto del cotone. Se perdesse tutto e dovesse trovarsi a combattere contro quel mondo impazzito soltanto con le sue armi deboli e spuntate! No; meglio uccidersi piuttosto che ricominciare! Nella rovina e nel caos di quella primavera del 1866 ella volse ogni sua energia soltanto a far sí che lo stabilimento producesse. Vi era denaro ad Atlanta; e l'ondata di riedificazione le dava la possibilità di guadagnare; cosa che le era possibile solo rimanendo fuori di prigione. Ma - continuava a ripetersi - bisognava essere indifferente, sopportare con dolcezza gli insulti, cedere alle ingiustizie, non offendere nessuno, bianco o nero, che potesse farle del male. Ella detestava gli impudenti negri emancipati e si sentiva ribollire il sangue ogni volta che udiva, al suo passaggio, le loro osservazioni impertinenti e le loro risate stridule. Ma non lanciava mai loro un'occhiata di disprezzo. Odiava i «carpetbaggers» e i rinnegati che si arricchivano con facilità mentre lei lottava; ma non diceva una sillaba contro di loro. Nessuno avrebbe maledetto gli yankees con maggiore entusiasmo di lei; ma anche nell'intimità della sua famiglia ella si guardava bene dal parlarne. «Non voglio rovinarmi per non saper tacere» pensava torva. «Vadano pure in prigione gli altri che fanno delle chiacchiere, e si facciano impiccare quelli che appartengono al Ku Klux Klan. (Che nome terribile; quasi tanto spaventoso per Rossella come per i negri!) Grazie a Dio, Franco non si è mai immischiato in queste storie! E stiano pure a complottare e a lamentarsi di ciò a cui non possono rimediare. Che cos'era il passato a paragone del terribile presente e del dubbio futuro? E che importava il voto quando il pane, il tetto e il rimaner fuori di prigione erano i veri problemi? Oh, se Dio mi aiutasse a rimaner tranquilla fino a giugno!» Solo fino a giugno! Rossella sapeva che in quell'epoca sarebbe costretta a rinchiudersi in casa di zia Pitty e a rimanervi fino alla nascita del bambino. Vi era già chi la criticava perché si mostrava ancora in pubblico; nessuna signora andava in giro quando era incinta. Franco e Pitty la pregavano di non esporsi - e di non esporli - a seccature; ed ella aveva promesso di smettere di lavorare a giugno. Solo fino a giugno! Per quell'epoca ella avrebbe messo lo stabilimento in condizione di poter procedere anche senza di lei. E in giugno avrebbe abbastanza denaro da potersi difendere contro un'eventuale sfortuna. Vi era tanto da fare e il tempo era cosí breve! Avrebbe voluto che le giornate fossero piú lunghe, e contava i minuti, sforzandosi febbrilmente nella sua caccia al denaro. Sotto la spinta, la bottega andava meglio e Franco si stava facendo perfino pagare alcuni vecchi conti. Ma tutte le sue speranze erano sulla segheria. La richiesta per il materiale da costruzione era assai maggiore della possibilità di fornirne; i prezzi del legname, dei mattoni, della pietra aumentavano ogni giorno, e Rossella teneva in attività lo stabilimento dall'alba finché vi era un barlume di luce. Ogni giorno passava parecchie ore laggiú, occupandosi di tutto e facendo del suo meglio per combattere i ladronecci che, ne era sicura, si compivano ai suoi danni. Ma la maggior parte del suo tempo passava in corse attraverso la città, presso costruttori, appaltatori e carpentieri; a volte si recava anche presso stranieri, dei quali aveva sentito dire che avrebbero intrapreso costruzioni in avvenire, per farsi promettere che avrebbero comprato solo da lei. Ben presto divenne cosa frequentissima vederla per le strade di Atlanta, seduta nel suo carrozzino accanto al vecchio e dignitoso negro che aveva un'aria di disapprovazione; indossava un abito a pieghe e teneva le manine coi mezzi guanti incrociate nel grembo. Zia Pitty le aveva fatto un bel mantello verde che le nascondeva tutta la persona e un cappello verde che armonizzava coi suoi occhi; ed ella indossava sempre quel grazioso abbigliamento quando si recava in giro per affari. Un debole accenno di rossetto sulle guance e un lieve profumo di acqua di Colonia ne faceva una personcina seducente finché non le accadeva di scendere dal carrozzino, mostrando cosí il suo corpo. Ma ciò avveniva di rado, perché ella sorrideva agli uomini che si precipitavano per parlare con lei accanto al suo veicolo, e rimanevano magari col capo nudo sotto la pioggia a discorrere di affari. Non era la sola che aveva visto la possibilità di guadagnare nel commercio del legname; ma non temeva i concorrenti. Orgogliosamente cosciente della propria scaltrezza, sapeva di non esser da meno di nessuno di loro. Era figlia di Geraldo O'Hara; e l'istinto commerciale che aveva ereditato era stato ancora acuito dalla necessità. Dapprima gli altri commercianti avevano riso di lei; riso dell'idea di una donna che si occupava di affari. Ma ora non ridevano piú. Bestemmiavano in silenzio quando la vedevano passare. L'essere donna spesso agiva in suo favore, perché - quando ne era il caso - ella sapeva sembrar debole e fare appello alla bontà del suo interlocutore. Dava l'impressione di essere una signora timida e coraggiosa, trascinata dalle circostanze in una posizione sgradevole; una povera donnina che probabilmente sarebbe morta di fame se i clienti non avessero comperato il suo legname. Ma quando le arie signorili non erano efficaci, ella sapeva diventare una fredda commerciante, capace di vendere a prezzo minore dei suoi concorrenti pur di procurarsi un nuovo cliente. E non aveva alcun scrupolo nel denigrare la merce dei suoi rivali. Come se le dispiacesse dover dire delle verità dolorose, sospirava mormorando ai possibili compratori che il legname di quegli altri era molto caro e di cattiva qualità; pieno di buchi lasciati dai nodi e probabilmente di poca durata. La prima volta che aveva mentito in quel modo si era sentita sconcertata e colpevole; sconcertata per la facilità con cui la menzogna le era venuta alle labbra, colpevole perché come un lampo era stata attraversata dal pensiero: «Che cosa direbbe la mamma?» Certo Elena sarebbe stupita e incredula e parlerebbe di onore, di onestà, di verità, di doveri verso il prossimo. Per un attimo Rossella chinò il capo, figurandosi il volto di sua madre. Ma il quadro scomparve subito, cancellato da un impulso avide e privo di scrupoli, sorto nei giorni miserabili di Tara e rinsaldato dalle attuali difficoltà di vita. Superò dunque questa specie di piccolo rimorso come ne aveva superato altri, con un lieve sospiro di rimpianto per non essere come Elena la avrebbe voluta; e ripetendo, con una scrollata di spalle, la sua solita frase: - Penserò a tutto piú tardi. Ma non pensò mai piú ad Elena in rapporto al proprio commercio, né ebbe mai piú occasione di rimpiangere i mezzi adoperati per togliere gli affari ai concorrenti. Sapeva che anche se mentiva sul loro conto, non le sarebbe accaduto nulla. La cavalleria dei meridionali la proteggeva. Una signora meridionale poteva mentire, ma nessun gentiluomo degli stessi paesi l'avrebbe mai accusata di menzogna. Gli altri commercianti in legname non potevano fare altro che rodersi internamente e sfogarsi nel seno delle loro famiglie, dicendo che avrebbero voluto che la signora Kennedy fosse un uomo per cinque minuti. Un proletario bianco che gestiva una segheria sulla strada di Decatur cercò di combattere Rossella con le sue stesse armi, accusandola apertamente di essere bugiarda e imbrogliona. Ma questo lo danneggiò piú che giovargli, perché tutti rimasero inorriditi che uno «straccione bianco» osasse dire simili cose contro una signora di buona famiglia, anche se questa si comportava in modo cosí poco femminile. Rossella sopportò tali maldicenze con silenziosa dignità; ma dopo un po' di tempo cominciò ad offrire la propria merce alla clientela di lui a prezzi notevolmente inferiori; e forní legname di prima scelta a fine di dimostrare la propria probità. Sicché il concorrente fu in breve ridotto al fallimento e - con grande scandalo di Franco - Rossella riscattò trionfalmente il piccolo stabilimento di Decatur a prezzo irrisorio. Sorse allora il problema di trovare una persona di fiducia per la gestione. Non voleva un altro come il signor Johnson, di cui sapeva che, malgrado la sua sorveglianza, continuava a vendere il suo legname per conto proprio. Ma pensava che non doveva essere difficile trovare un uomo adatto, dato che le strade erano piene di disoccupati alcuni dei quali erano anche persone che un tempo erano state ricche. Non passava giorno che Franco non desse del denaro a qualche ex-soldato affamato e che Pitty e la cuoca non rifornissero di cibo qualche mendicante vagabondo. Ma Rossella per ragioni di cui ella stessa non si rendeva conto, non desiderava nessuno di costoro. «Non voglio uomini che dopo un anno non hanno trovato nulla da fare» pensava. «Se non si sono ancora adattati alla pace, non si adatteranno a me. E poi hanno tutti un'aria cosí depressa. Io voglio una persona energica come Tommy Welburn oppure Kells Whiting o uno dei ragazzi Simmons, oppure... qualcheduno come loro. Nessuno di loro ha quell'aspetto "non m'importa di nulla" che i soldati avevano dopo la sconfitta. Sembrano invece persone a cui importi di tutti.» Ma con sua sorpresa i ragazzi Simmons, che avevano impiantato una fornace, e Kells Whiting, il quale vendeva un preparato fatto da sua madre che garantiva di lisciare i capelli piú crespi in sei applicazioni, la ringraziarono cortesemente e rifiutarono. Lo stesso fu con un'altra decina di uomini che interrogò. Disperata, aumentò lo stipendio che offriva, ma senza miglior risultato. Uno dei nipoti della signora Merriwether le fece notare con impertinenza che, pur non avendo una particolare soddisfazione a fare il carrettiere, tuttavia preferiva farlo col proprio carretto, anziché lavorare agli ordini di Rossella. Un giorno Rossella si avvicinò col suo calessino al carretto delle focacce di Renato Picard e chiamò l'ex-zuavo che aveva accolto nel suo veicolo lo sciancato Tommy Welburn per riaccompagnarlo a casa. - Sentite un po', Renato: perché non venite a lavorare con me? Dirigere uno stabilimento mi sembra piú onorevole che andare attorno a vendere focacce. Vi dovreste vergognare. - Infatti muoio di vergogna, - rise Renato. - Ma che volete che m'importi del rispetto umano? Sono stato rispettabile finché la guerra mi ha privato di tutto lasciandomi libero come un negro. Mai piú avrò della dignità. Libero come un uccello! Mi piace il mio carretto di focacce, mi piace la mia mula. Mi piacciono questi cari yankees che comprano con tanto garbo le focacce di mia suocera. No, cara Rossella, io aspiro ad essere il Re delle Focacce! Questo è il mio destino. Come Napoleone, seguo la mia stella! - E fece schioccare la frusta drammaticamente. - Ma voi non siete nato per vendere focacce, come Tommy non era nato per discutere con una squadra di rozzi muratori. Il mio genere di lavoro è piú... - Evidentemente voi eravate nata proprio per dirigere un'industria di legname - disse Tommy sorridendo. - Sicuro; mi pare di vedere la piccola Rossella sulle ginocchia di sua madre a imparare la lezione: «Non vendere mai del buon legname finché riesci a farti pagar bene quello cattivo». Renato rise, picchiando amichevolmente con una mano sul dorso di Tommy; i suoi occhietti di scimmia brillavano gaiamente. - Non fate l'impertinente - rispose freddamente Rossella, che trovò poco spiritosa l'osservazione di Tommy. - Si capisce che non ero nata per dirigere una segheria! - Non ho affatto l'intenzione di essere impertinente. Ma quel che è certo, è che voi la dirigete la segheria, e molto bene. Del resto nessuno di noi fa quello che avrebbe creduto di dover fare nella vita; però mi pare che ce la caviamo lo stesso. Ma perché non chiamate qualche intraprendente «Carpetbagger» a lavorare per voi? Ce ne sono tanti! - Neanche per sogno. I Carpetbaggers rubano tutto quello che non è ferro rovente o che non è saldamente inchiodato. Se fossero capaci di qualche cosa di buono, sarebbero rimasti dov'erano, invece di venir qui a mangiarci vivi. Io voglio una brava persona, di buona famiglia, abile, onesta ed energica... - Non chiedete molto. Ma non lo troverete con lo stipendio che offrite. Tutti gli uomini che corrispondono ai vostri «desiderata» sono già occupati; magari aderiscono alla loro occupazione come un cavicchio rotondo ad un buco quadrato, ma qualche cosa da fare l'hanno trovato. Qualche cosa per conto loro; e preferiscono questo al dover lavorare per una donna. - Mi pare che gli uomini non abbiano molto buon senso, quando hanno bisogno di lavorare per vivere! - Può darsi, ma hanno una certa dose di orgoglio. - Orgoglio? Ma l'orgoglio non porta in tavola né panini né bistecche. I due uomini risero, un po' involontariamente, e a Rossella sembrò che essi fossero solidali in una disapprovazione tutta maschile. Evidentemente ciò che Tommy aveva detto era la verità: tutti gli uomini che ella aveva avvicinato o che voleva avvicinare, lavoravano duramente, combattendo una nuova battaglia, piú aspra della precedente. - Rossella, - riprese Tommy un po' impacciato - mi dispiace di chiedervi un favore, dopo essere stato impertinente; ma ve lo chiedo lo stesso. Può darsi anche che la cosa possa farvi comodo. Mio cognato, Ugo Elsing, non fa molti affari andando in giro a piazzare legna da ardere. Io faccio quello che posso, ma... debbo pensare a Fanny e poi ho anche mia madre e due sorelle vedove a Sparta. Ugo è un bravo ragazzo e voi avete bisogno di un brav'uomo; è anche di buona famiglia ed è onesto. - Ma... mi pare che Ugo non abbia molta scaltrezza; altrimenti, anche nel suo piccolo commercio, avrebbe successo! Tommy si strinse nelle spalle. - Voi giudicate le cose con una certa severità, Rossella. Comunque, pensateci sopra. Vi potrebbe capitare di peggio. Credo che la sua onestà e il suo buon volere possano compensare la sua mancanza di scaltrezza. Rossella non rispose per non essere scortese. Ma secondo lei vi erano poche qualità - se pure ve n'erano - che potessero supplire la mancanza di scaltrezza. Dopo avere inutilmente interrogato parecchie persone e avere respinto le importune richieste di alcuni «Carpetbaggers», finalmente si decise ad accettare il suggerimento di Tommy. Ugo Elsing era stato durante la guerra un ardito e abile ufficiale; ma due gravi ferite e quattro anni di continue battaglie sembravano avergli tolto ogni abilità, lasciandolo di fronte alle difficoltà della pace sgomento e sbalordito come un bambino. «È uno stupido» pensò Rossella «e non capisce nulla di affari; scommetto che non è neanche capace di sommare le dita di una mano con quelle dell'altra. E temo che non imparerà mai! Ma almeno è onesto e non mi deruberà.» Rossella non faceva molto spreco, personalmente, di onestà; ma appunto perché la valutava poco in se stessa, la apprezzava negli altri. «Peccato che Gianni Gallegher sia legato con Tommy Wellburn» pensò ancora. «Quello è proprio l'uomo di cui avrei bisogno. Duro come il ferro e agile come un serpente; ma se io lo pagassi bene sarebbe anche onesto. Ci comprendiamo benissimo a vicenda e potremmo fare ottimi affari insieme. Forse quando la costruzione dell'albergo sarà finita potrò averlo; fino allora dovrò contentarmi di Ugo e di Johnson. Se metto Ugo nel nuovo stabilimento e lascio Johnson nel vecchio, potrò rimanere in città ad occuparmi delle vendite mentre loro si occupano della parte industriale della faccenda. Se almeno Johnson non rubasse! Potrei mettere un deposito di legname sulla metà del terreno che mi lasciò Carlo. Se Franco mi lasciasse fabbricare una bettola sull'altra metà! Oh, ma la costruirò lo stesso, non appena avrò abbastanza denaro di mio; non m'importa come la prenderà! Se non fosse cosí scrupoloso! Dio mio, se non dovessi avere un bimbo proprio in questi momenti! Fra poco sarò cosí grossa che non potrò piú uscire. Dio, se non aspettassi questo bimbo! E se questi maledetti yankees mi lasciassero tranquilla! Se...» Se...! Se...! Se...! Vi erano tanti «se» nella sua vita; nessuna sicurezza, sempre la minaccia di perder tutto, e aver nuovamente freddo e fame. Senza dubbio, Franco guadagnava un po' di piú adesso; ma era sempre in lotta coi raffreddori e spesso costretto a rimanere parecchi giorni a letto. Che disastro sarebbe se diventasse invalido! No; non poteva fare troppo assegnamento sopra di lui. Non poteva contare che su se stessa. E quello che guadagnava le sembrava tanto poco! Che farebbe se gli yankees venissero a confiscarle tutto? Se...! Se...! Se...! Metà dei suoi guadagni la spediva mensilmente a Will, a Tara; una parte andava a Rhett per scalare il debito e il resto lo metteva da parte. Nessun avaro aveva mai contato il suo oro piú spesso di lei, nessun avaro aveva maggior timore di perderlo. Non metteva il denaro alla banca per paura che questa potesse fallire o che gli yankees glielo confiscassero. Portava con sé il piú che poteva, nascosto nel busto; e celava pacchetti di banconote sotto qualche mattone sconnesso, nel sacchetto degli stracci, fra le pagine della Bibbia. E la sua preoccupazione cresceva col passare delle settimane, perché ogni dollaro che metteva da parte era un dollaro di piú che sarebbe perduto se venisse il disastro. Franco, Pitty e la servitú sopportavano le sue esplosioni con bontà irritante, attribuendo il suo umore disuguale allo stato di gravidanza. Franco sapeva che bisogna tollerare molte cose dalle donne incinte; quindi rinfoderava il proprio orgoglio e non protestava piú contro il fatto che sua moglie dirigeva i due stabilimenti e andava in città a qualunque ora, come nessuna signora avrebbe fatto. La condotta di lei lo imbarazzava; ma egli era sicuro che dopo la nascita del bimbo essa sarebbe stata nuovamente la creatura dolce e femminile che egli aveva corteggiato. Ma nonostante la docilità di suo marito, Rossella continuava ad essere di cattiv'umore e spesso a Franco sembrava che ella agisse come una ossessa. Nessuno sembrava comprendere che cosa veramente la faceva agire come una pazza. Era la smania di riuscire a mettere tutto in ordine prima di doversi rinchiudere, di avere abbastanza denaro da parte per il caso che l'uragano la travolgesse nuovamente: il denaro era l'ossessione del suo cervello in quel periodo. Quando pensava al bambino, era con una specie di collera per la sua intempestività. «La morte, le risse, i dolori del parto! Non vi è mai un momento adatto per nessuna di queste cose!»

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Rossella andò a sedere su uno dei bariletti vuoti che funzionavano da sedili, guardandosi in giro in cerca di Will Benteen. Avrebbe dovuto trovarsi alla stazione per riceverla; non poteva dubitare che ella avrebbe preso il primo treno possibile, appena ricevuto il laconico messaggio che l'informava della morte di Geraldo. Era partita cosí in fretta che aveva messo nella sacca da viaggio soltanto una camicia da notte e uno spazzolino per i denti; nemmeno un cambio completo di biancheria. Si sentiva a disagio nella stretta veste nera che s'era fatta prestare dalla signora Meade, non avendo avuto il tempo di provvedersi un abito da lutto. La signora Meade era molto magra adesso; inoltre la gravidanza di Rossella rendeva l'abito anche piú stretto. Malgrado il dolore che provava per la morte di Geraldo, ella non dimenticava il proprio aspetto e guardava con disgusto il suo corpo ingrossato. La sua figuretta non esisteva piú; il volto e le caviglie erano gonfi. Finora non si era molto preoccupata del suo fisico; ma sapendo di dover vedere Ashley fra un'ora, vi pensava molto. E si sentiva assai turbata di dovergli apparire dinanzi portando in seno il figlio di un altro. Le sembrava che quel figlio fosse una prova di infedeltà al suo amore per lui. Ma soprattutto le dispiaceva che egli dovesse vederla con la vita goffa e il passo pesante: cosa che non poteva evitare. Batté il piede con impazienza. Will sarebbe dovuto venire a prenderla. Senza dubbio, poteva andare da Bullard a chiedere di lui o - qualora le dicessero che non era potuto venire - a sentire se vi era qualcun altro che potesse accompagnarla a Tara. Ma le seccava entrare nella bottega. Era sabato e probabilmente vi sarebbe stata una metà degli uomini della Contea. Le seccava farsi vedere, nel suo stato, con quell'abito stretto che accentuava la sua deformità. E non aveva voglia di udire le condoglianze per la morte di Geraldo. Non aveva bisogno di simpatia. Sentiva che se qualcuno le nominasse suo padre, si metterebbe a piangere. E non voleva. Sapeva che se cominciasse, piangerebbe come quella volta nella criniera del cavallo, durante la tremenda notte della caduta di Atlanta, quando Rhett l'aveva lasciata sulla strada oscura; terribili lagrime che spezzavano il cuore e non si potevano fermare. No, non voleva piangere! Sentí nuovamente il nodo alla gola, come tante volte da quando aveva ricevuto la notizia; ma piangere non serviva a nulla: solo a indebolirla. Ma perché né Melania né Will né le ragazze le avevano scritto che Geraldo era ammalato? Sarebbe accorsa a curarlo, avrebbe condotto un medico da Atlanta... Che sciocchi, tutti quanti! Possibile che senza di lei non sapessero far nulla? Lei non poteva essere contemporaneamente in due luoghi; e ad Atlanta faceva del suo meglio per aiutare tutti loro! Si agitò sul sedile, diventando nervosa nel vedere che Will non giungeva. Dov'era? In quel momento udí scricchiolare sotto un passo pesante la cenere che copriva le rotaie dietro a lei; voltandosi vide Alex Fontaine che attraversava i binari e si avviava verso un carro, portando sulle spalle un sacco d'avena. - Oh Dio! Siete proprio voi, Rossella? - esclamò egli lasciando cadere il sacco e correndo a stringerle la mano; sul suo viso piccolo e bruno si leggeva uno schietto piacere. - Sono felice di vedervi. Ho visto Will dal maniscalco; faceva ferrare il cavallo. Il treno era in ritardo, quindi egli ha creduto di avere abbastanza tempo. Volete che corra a cercarlo? - Sí, Alex, per favore. - E malgrado il suo dolore, sorrise. Era cosí piacevole rivedere un volto della Contea! - Oh... hm... Rossella - cominciò Alex goffamente tenendole ancora la mano - sono tanto addolorato... per vostro padre. - Grazie - rispose Rossella; e le dispiacquero le parole di lei perché rievocavano il volto florido e la voce tonante di Geraldo. - Se può essere un conforto per voi, vi dirò Rossella, che tutti qui eravamo fieri di lui. Egli... sí, ci figuriamo che sia morto come un soldato per la buona causa. Che diamine voleva dire? Un soldato? Qualcuno lo aveva ucciso? Si era trovato in una rissa? Ma non volle udire di piú. Avrebbe pianto, se avesse parlato di lui; e non voleva piangere finché non fosse nel veicolo con Will, in campagna, dove nessuno poteva vederla. Will non aveva importanza. Era come un fratello. - Alex, non voglio parlarne - replicò brevemente. - Non vi dò torto, Rossella - riprese Alex mentre il suo volto si accendeva di collera. - Se fosse mia sorella... Sentite, Rossella: non ho mai detto una parola contro una donna; ma sono convinto che Súsele meriterebbe una buona frustata. Ma che sciocchezze stava dicendo? Che c'entrava Súsele? - Mi dispiace dirvi che tutti la pensano allo stesso modo sul suo conto. Will è il solo che prende le sue parti... e anche miss Melania; ma lei è una santa e non vede il male in nessuno... - Ho detto che non desidero parlarne - ripeté Rossella freddamente; ma Alex non parve impermalito. Sembrò comprenderla e questo le diede noia. Ella non voleva sentire sparlare della propria famiglia da un estraneo e non voleva che egli si accorgesse della sua ignoranza intorno all'accaduto. Perché Will non le aveva scritto ogni cosa? Le spiacque che Alex la guardasse con tanta insistenza. Certo si era accorto delle sue condizioni e questo la imbarazzava. Invece Alex, scrutandola nella scarsa luce crepuscolare, si stupiva di vederla cosí mutata, quasi irriconoscibile. Era forse perché si trovava in stato interessante? O il dolore per la morte del vecchio babbo, di cui era stata la preferita? Ma no, il mutamento era piú profondo. Veramente, aveva migliore aspetto di quando l'aveva vista per l'ultima volta: almeno, ora si vedeva che mangiava regolarmente. E dai suoi occhi era scomparsa quell'espressione di animale inseguito. Piuttosto erano duri e imperiosi; e in tutta lei era un'aria di autorità e di sicurezza, anche quando sorrideva. Indubbiamente era una bella donna; ma non aveva piú quella dolcezza un po' birichina che la rendeva cosí attraente e quel modo lusinghevole di guardare gli uomini che li faceva impettire tutti quanti. D'altronde, non erano tutti mutati? Alex guardò i propri rozzi abiti e il suo volto riprese la consueta espressione di amarezza. A volte, quando non riusciva ad addormentarsi, si chiedeva come sarebbe stato possibile far fare l'operazione a sua madre; come si sarebbe fatto per dare un'educazione al bimbo del defunto Joe; come poteva procurarsi il denaro per un'altra mula; e allora rimpiangeva che la guerra fosse finita e che non durasse sempre. Allora, essi non comprendevano la loro fortuna. Nell'esercito vi era sempre da mangiare, sia pure pane di granturco; sempre qualcuno che dava gli ordini, sicché non si aveva quella terribile responsabilità dei molteplici problemi da risolvere... nessun'altra preoccupazione che quella di essere ucciso. E poi, vi era Dimity Munroe. Alex desiderava sposarla e sapeva che non era possibile avendo già da pensare al mantenimento di tante persone. La amava da tanto tempo; ed ora le rose delle sue guance cominciavano a sfiorire e i suoi occhi ad essere meno giocondi. Se almeno Toni non fosse fuggito nel Texas! Un altr'uomo che aiutasse risolverebbe la situazione. Invece suo fratello, cosí simpatico e vivace, errava chi sa dove, nell'Ovest, senza un quattrino... Sí, tutti erano cambiati. Sospirò profondamente. - Non vi ho ringraziata di ciò che voi e Franco avete fatto per Toni - disse poi. - Siete stati voialtri, non è vero?, che lo avete aiutato a fuggire? Ho sentito dire che è arrivato sano e salvo nel Texas. Non ho avuto il coraggio di scrivervi per domandarvi... Ma gli avete prestato del denaro? Vorrei restituirvelo... - Per carità, Alex, tacete! Non parliamo di questo adesso! - Per una volta tanto, non le importava del denaro. Alex rimase in silenzio per un istante. - Vado a cercare Will - riprese quindi - e domani verremo tutti al funerale. Mentre raccoglieva il sacco di avena e si voltava per andarsene, un carretto sconquassato svoltò da una strada laterale e venne a fermarsi cigolando dinanzi a loro. Will gridò prima di scendere: - Scusate il ritardo, Rossella. Discese goffamente, le si avvicinò zoppicando e si curvò a baciarla sulle gote. Non l'aveva mai baciata e non aveva mai mancato di far precedere il suo nome da «miss»; questo, mentre la stupí, le fece piacere perché le diede un senso di calore. Egli la aiutò con molta attenzione a salire nel carretto scavalcando la ruota; guardando il veicolo Rossella riconobbe che era quello stesso carretto sul quale era fuggita da Atlanta. Come aveva potuto durar tanto? Will doveva tenerlo con molta cura. Il ricordo di quella notte le fece male. Avesse dovuto fare a meno delle scarpe ed economizzare sul cibo, avrebbe provveduto a un nuovo carro per Tara, facendo bruciare questo. Will non parlò dapprima; e Rossella gliene fu grata. Lasciarono il villaggio e, per la strada rossa, si avviarono verso Tara. Un pallido rosa indugiava ancora nel cielo; grossi cirri fioccosi avevano riflessi d'oro e di verde chiaro. La pace del crepuscolo campestre scendeva sopra di loro calmante come una preghiera. Come aveva potuto resistere tanti mesi - pensò Rossella - lontana dal fresco profumo dei campi, dalla terra arata, dalla dolcezza delle notti d'estate? Il terreno umido aveva un sentore cosí piacevole, cosí familiare che ella provò il desiderio di scendere a raccoglierne una manciata. Il caprifoglio che si arrampicava sui muriccioli purpurei ai due lati della strada rivestendoli di un drappeggio verde, emanava una fragranza acuta come sempre dopo la pioggia; ed era il profumo piú soave del mondo. Sul loro capo uno stormo di rondini roteò rapidamente; a quando a quando un coniglio spaventato si fermava per un attimo in mezzo alla strada, con la bianca coda ritta come un piumino per la cipria. Ella vide con piacere che il cotone cresceva bene: gli arbusti verdi si drizzavano vigorosi sulla terra vermiglia. Com'era bello tutto ciò! Come mai era rimasta assente tanto tempo? - Rossella, prima di parlarvi del signor O'Hara... desidero dirvi tutto prima che arriviate a casa... debbo chiedervi la vostra opinione su una faccenda. Oramai vi considero come il capo di casa. - Di che si tratta, Will? Egli volse per un attimo su lei il suo sguardo dolce e sereno. - Vorrei la vostra approvazione per il mio matrimonio con Súsele. Rossella si afferrò al sedile, cosí stupita che per poco non cadde all'indietro. Sposare Súsele! Chi poteva avere quell'idea, dopo che lei le aveva portato via Franco? - Dio mio, Will! - Debbo comprendere che non vi opponete? - Oppormi? No, ma... Mi avete tolto il respiro! Sposare Súsele! Ho sempre creduto che vi interessaste a Carolene. Will non distolse gli occhi dal cavallo; il suo profilo non mutò ma a Rossella parve che egli sospirasse impercettibilmente. - Forse era cosí. - E non vi vuole? - Non gliel'ho mai chiesto. - Ma è una sciocchezza! Domandateglielo! È molto migliore di Súsele! - Rossella, voi ignorate molte cose che sono successe a Tara. Non vi siete molto occupata di noi in questi ultimi mesi. - Non mi sono occupata di voi? - Rosella prese fuoco subito. - Che cosa credete che sia rimasta a fare ad Atlanta? Immaginate che vada a spasso in tiro a quattro e frequenti le feste da ballo? Non vi ho mandato sempre del denaro? Non ho pagato le tasse e fatto aggiustare il tetto e comprato il nuovo aratro e le mule? Non ho... - Non cominciate subito a infiammarvi - ribatté egli imperturbabile. - Se vi è qualcuno che sa ciò che avete fatto, quello sono io; e posso dire che il vostro è stato il lavoro di due uomini! Un po' raddolcita, lo interrogò. - E allora, che volete dire? - Avete riattato il tetto sul nostro capo e riempito di viveri la dispensa; non lo nego; ma non vi siete occupata di quello che poteva accadere nella testa dei diversi individui a Tara. Non vi biasimo, Rossella, voi siete fatta cosí: non vi siete mai interessata molto di quello che pensavano le persone. Ma sto cercando di dirvi che se non ho mai chiesto Carolene è stato perché sapevo che era inutile. Ella è stata per me come una sorellina ed è stata piú schietta con me che con chiunque altro. Ma non ha mai dimenticato quel ragazzo morto e non lo dimenticherà mai. Ed è meglio che sappiate subito la sua intenzione di entrare in un convento presso Charleston. - Volete scherzare? - Sapevo che sareste rimasta sbalordita; e volevo appunto pregarvi di non discutere con lei su questo; di non sgridarla e di non ridere di lei. Lasciatela andare. Non desidera altro. Ha il cuore spezzato. Will pronunciò queste parole con flemma; quindi si chinò a raccogliere una pagliuzza in fondo al carretto e la mise in bocca. Quell'osservazione gli diede un vantaggio sopra di lei. Come sempre, quando sentiva dire la verità, per quanto spiacevole, quel fondo di onestà che era in Rossella la costringeva a riconoscerla. Rimase senza parlare alquanto, cercando di abituarsi all'idea di veder Carolene monaca. - Promettetemi di non fare delle storie con lei. - Va bene, prometto. - Lo guardò con una nuova comprensione e una certa sorpresa. Will aveva amato Carolene, e la amava ancora abbastanza da prendere le sue difese e cercare di facilitarle l'adempimento dei suoi desideri; eppure voleva sposare Súsele. - E che cos'è questa faccenda di Súsele? Non le volete bene, che io sappia? - Oh sí, in un certo senso... Súsele non è cattiva come credete. Sono sicuro che andremo abbastanza d'accordo. Súsele ha bisogno soltanto di avere un marito e dei bambini; del resto questa è la cosa di cui tutte le donne hanno bisogno. Il carro trabalzò per alcuni minuti sulla strada piena di buche senza che nessuno dei due parlasse. Rossella rifletteva. Doveva esservi qualche cosa che non appariva, qualche cosa di piú profondo e importante, per indurre il pacato e mite Will a sposare una creatura scontenta e brontolona come Súsele. - Non mi avete detto la vera ragione, Will. Ho il diritto di conoscerla se sono il capo della famiglia. - È giusto; e spero che comprenderete. Io non posso lasciare Tara, Rossella: è come se fosse la mia casa, la sola casa che ho mai avuto; voglio bene ad ogni pietra di Tara, dove ho lavorato come se fosse cosa mia. E quando si comincia a lavorare per una cosa, ci si affeziona ad essa. Capite? Ella comprese; e provò un impeto di affetto per lui, perché anch'egli voleva bene a ciò che ella amava piú di tutto. - Ed ora che vostro padre non c'è piú e Carolene va in convento, resteremmo soltanto io e Súsele; capirete che io non potrei vivere a Tara senza sposare vostra sorella. Sapete bene come chiacchiera la gente. - Ma... ma c'è Melania... e Ashley... Al nome di Ashley egli si volse a guardarla coi suoi occhi inscrutabili. Ancora una volta ella ebbe la sensazione che Will sapesse e comprendesse tutto di lei e di Ashley, senza biasimare né approvare. - Se ne andranno fra breve. - Se ne andranno? E dove? Tara è casa loro come è casa vostra. - No, non è casa loro. E Ashley ha l'impressione di non guadagnare il suo mantenimento. Fa del suo meglio; ma non è nato per fare il coltivatore; voi lo sapete come lo so io. Se va a spaccar legna, c'è il pericolo che si dia l'accetta sul piede, ed è incapace di fare un solco dritto con l'aratro. Ma non è colpa sua: non è il suo mestiere. Ed è un tormento per lui vivere a Tara della carità di una donna, senza poter fare molto per ripagarla... - Carità? Ha forse detto...? - No, mai una parola. Voi lo conoscete. Ma io ne sono certo. Stanotte, mentre vegliavamo vostro padre, gli ho detto che avevo chiesto Súsele e che lei aveva detto di sí. Allora Ashley mi disse che questo era un gran sollievo per lui, perché capiva che, dopo la morte del signor O'Hara, lui e sua moglie sarebbero stati costretti a rimanere a Tara per non far chiacchierare la gente a proposito di me e di Súsele. E mi disse che stava progettando di lasciare Tara per andare in cerca di lavoro. - Lavoro? Che lavoro? E dove? - Non so con precisione; ma mi ha detto che andrà nel Nord. Ha un amico yankee a New York, il quale gli ha scritto a proposito di non so che impiego in una banca. - Oh no! - fu un grido che sfuggí a Rossella; e a quel grido Will le lanciò lo stesso sguardo di prima. - Forse sarà meglio che vada nel Nord. - No! No! Non credo! Il suo cervello lavorava febbrilmente. Ashley non doveva andare nel Nord. Altrimenti non lo vedrebbe piú. Anche se non lo vedeva da mesi, se non aveva mai piú parlato con lui dopo la scena del frutteto, non era passato giorno che ella non avesse pensato a lui, rallegrandosi che fosse sotto il suo tetto. E non aveva mai mandato un dollaro a Will senza pensare che anche quello sarebbe servito a rendere piú piacevole la vita di Ashley. Certo egli non era nato per quella vita, per arare la terra e spaccare la legna e non faceva meraviglia, perciò, che desiderasse lasciare Tara. Ma Rossella non poteva lasciarlo andar via dalla Georgia. Se fosse necessario, pregherebbe Franco di dargli un posto nella sua bottega, licenziando il commesso che ora aveva. Ma no... neanche quello era il posto di Ashley! Un Wilkes commesso di negozio! Mai! Eppure doveva esservi qualche cosa... Ma sicuro, la sua segheria! Ma accetterebbe Ashley un'offerta da lei? Non gli sembrerebbe ancora una carità? Bisognava fargli credere che fosse un favore che faceva lui a Rossella. Bisognava licenziare Johnson e mettere Ashley nella vecchia segheria, lasciando Ugo a gestire la nuova. Ella spiegherebbe ad Ashley che la salute malferma di Franco e il dover badare al negozio impedivano a suo marito di aiutarla; e parlerebbe della sua attuale condizione come di un altro motivo per il quale aveva bisogno del suo aiuto. Gli farebbe comprendere che di quest'aiuto non poteva fare a meno. E lo cointeresserebbe per metà negli utili dello stabilimento... pur di averlo vicino, pur di farlo sorridere, pur di carpire qualche volta un suo sguardo che le dicesse che le voleva ancora bene. Ma promise a se stessa che mai piú tenterebbe di indurlo a parlarle d'amore, mai piú cercherebbe di fargli rinunciare a quello stupido onore che egli apprezzava piú dell'amore. E doveva trovar modo di farglielo comprendere; altrimenti egli potrebbe rifiutare, per timore di un'altra scena terribile come l'ultima. - Posso trovargli qualche cosa da fare ad Atlanta - disse. - Questo è affar vostro e suo - rispose Will e si rimise la pagliuzza in bocca. - Ora, Rossella, debbo chiedervi ancora qualche cosa, prima di parlarvi di vostro padre. Desidero che non abbiate a rimproverare Súsele. Quello che è fatto è fatto, e anche se la scorticaste, non richiamereste in vita il signor O'Hara. Del resto, lei ha creduto onestamente di fare per il meglio. - Volevo appunto chiedervi... Che cos'è successo? Alex mi ha detto delle frasi confuse, accennandomi che bisognerebbe picchiarla... Che ha fatto? - In verità, sono tutti irritati contro di lei. Tutti quelli che ho visto oggi a Jonesboro mi hanno giurato che la faranno a pezzi la prima volta che la vedranno; ma vedrete che si calmeranno. Promettetemi che non le direte nulla. Non desidero che vi siano questioni stasera col cadavere del signor O'Hara nel salotto. «Parla come se fosse già il padrone di Tara!» pensò Rossella indignata. E quindi ebbe la visione di Geraldo morto, nel salotto, e cominciò a singhiozzare disperatamente. Will le passò un braccio intorno alla vita, la strinse affettuosamente e non le disse nulla. Mentre il carro sobbalzava nelle buche della strada, Rossella, col capo appoggiato sulla spalla di Will, non ricordava piú il Geraldo degli ultimi due anni, il vecchio smemorato che attendeva sempre una donna che non tornerebbe mai piú. Rivedeva il vecchio pieno di vivacità, con la sua criniera d'argento, la sua rumorosa gaiezza, i suoi scherzi, la sua generosità. Ricordava che quando era bimba, egli le era sembrato l'uomo piú meraviglioso del mondo: quel babbo impetuoso che la portava in sella con sé quando saltava le siepi, la sculacciava quando era cattiva, gridava quando ella gridava e la perdonava per farla tacere. E lo rivedeva quando tornava da Charleston o da Atlanta carico di doni che non erano mai appropriati; e ricordava anche, con un debole sorriso fra le lagrime, quando tornava a casa ubriaco cantando a squarciagola delle canzoni irlandesi. E com'era avvilito, l'indomani mattina, dinanzi ad Elena. Ecco, ora l'aveva finalmente raggiunta! - Perché non mi avete scritto che era ammalato? Sarei venuta subito... - Non è stato ammalato neanche un minuto. Tenete, cara, prendete il mio fazzoletto. Ora vi dirò tutto. Ella si soffiò il naso nel fazzoletto di lui; neanche un fazzolettino aveva portato con sé! E poi si rannicchiò nel cavo del suo braccio. Com'era buono Will! E sempre cosí calmo! - È stato cosí. Voi ci avete mandato il denaro ed io e Ashley abbiamo pagato le tasse, comprato le mule, le sementi e poi qualche maiale e dei polli. Miss Melly si occupa delle galline e fa molto bene. È una brava donna, miss Melly. Insomma, dopo aver comprato tutto quello che occorreva, era rimasto ben poco. Ma nessuno di noi si lamentava, eccetto Súsele. Miss Melania e Carolene stavano in casa e portavano i loro abiti vecchi con orgoglio; ma voi conoscete Súsele. Non si è mai abituata alle privazioni. Si seccava moltissimo di essere cosí mal vestita quando io la conducevo a Jonesboro o a Fayetteville; specialmente perché alcune di quelle signo... donne dei «Carpetbaggers» andavano in giro in gran lusso. E le mogli di quei maledetti yankees! Insomma, per le signore della Contea è un punto d'onore, il portare quello che hanno di peggio; ma per Súsele no. E si era anche messa in mente di avere un cavallo e una carrozza, dicendo che anche voi ne avete una. - Non è una carrozza: è un vecchio calessino - disse Rossella sdegnata. - Non ha importanza. Tanto vale che io vi dica anche che Súsele non ha mai digerito il fatto che voi avete sposato Franco Kennedy; e non le posso dare tutti i torti. Dovete convenire voi pure che non è stato un bello scherzo da fare a una sorella. Rossella si sollevò dalla sua spalla, furibonda come un serpente pronto a scattare. - Un bello scherzo? Vi prego di moderare i termini, Will Benteen! Potevo forse evitare che mi preferisse a lei? - Voi siete una ragazza coraggiosa, Rossella; e sono sicuro che avreste potuto evitarlo. Le ragazze vi riescono sempre, se vogliono. E invece dovete averlo lusingato. Ed era lo spasimante di Súsele. Una sua lettera scritta una settimana prima che voi giungeste ad Atlanta, era tutta zucchero e miele e diceva che pensava di sposarla appena avesse messo assieme un po' di denaro. Súsele mi ha fatto leggere la lettera. Rossella tacque perché sapeva che egli diceva la verità. Non si sarebbe mai aspettata di essere giudicata da Will. E la menzogna detta a Franco non le era mai pesata molto sulla coscienza. Se una ragazza non sapeva trattenere un corteggiatore, voleva dire che meritava di perderlo. - Non dite cattiverie, Will. Credete che se Súsele lo avesse sposato avrebbe speso un centesimo per Tara o per uno di noi? - No, non credo che avremmo mai visto un penny del vecchio Franco. Ma il vostro è stato lo stesso un brutto scherzo; e se volete dire che il fine giustifica i mezzi, la cosa non mi riguarda. Insomma, Súsele dopo di allora è diventata noiosa e pungente come una vespa. Non credo che gli volesse bene, ma era stata ferita nella sua vanità; e poi la tormentava il fatto che voi avevate abiti e carrozza e vivevate ad Atlanta mentre lei era sepolta a Tara. E a lei piace andare a ricevimenti e visite... Le donne sono cosí. Breve: un mese fa la condussi a Jonesboro e la lasciai andare a far delle visite mentre io mi occupavo di affari; quando tornammo a casa era silenziosa ma vidi che era cosí eccitata che stava per scoppiare. Credetti che avesse sentito qualche pettegolezzo interessante e non vi feci molta attenzione. Per circa una settimana la vidi girare per casa sempre eccitata ma senza dir nulla. Poi, andò a far visita a miss Catina Calvert... Oh, se la vedeste, Rossella! Povera figliuola, era meglio che morisse piuttosto che sposare quel pusillanime yankee, quell'Hilton. Sapevate che egli aveva ipotecato la casa e che ora l'ha perduta e debbono andar via? - Non lo so e non m'importa di saperlo. Voglio sapere del babbo. - Ora ci arrivo - continuò Will con pazienza. - Quando tornò a casa disse che tutti quanti avevamo mal giudicato Hilton. Disse che era una persona perbene, ma tutti noi ridemmo di questo. Allora cominciò a condurre a spasso vostro padre nel pomeriggio; e molte volte tornando a casa li vedevo seduti sul muricciolo attorno al cimitero, e vedevo che gli parlava con vivacità agitando le mani. E lui la guardava perplesso scuotendo la testa. Voi sapete com'era ridotto, Rossella. Sempre piú stordito, senza piú sapere dov'era e chi erano le persone attorno a lui. Una volta la vidi che indicava la tomba di vostra madre e il signor O'Hara cominciò a piangere. E quando tornò a casa tutta eccitata e felice, io le parlai molto aspramente. «Che cosa vi viene in mente» le dissi «di tormentare il vostro povero babbo parlandogli della mamma?» Lei si mise a ridere e mi rispose: «Occupatevi dei vostri affari. Un giorno sarete contento di quello che faccio.» Quella sera miss Melly mi disse che Súsele le aveva raccontato il suo progetto ma lei non credeva che avesse parlato sul serio. E non ne aveva accennato a nessuno di noi perché la sola idea la sconvolgeva. - Ma che idea? Volete spiegarmi una buona volta? A momenti siamo a casa. Ed io voglio sapere. - Sto cercando di dirvelo. E siamo cosí vicini che sarà meglio fermarci finché non ho finito. Tirò le redini e il cavallo si fermò. Erano presso la siepe di serenella che segnava il limite della proprietà dei MacIntosh. Attraverso gli alberi Rossella scorgeva i grandi comignoli spettrali ancora ritti sulle rovine silenziose. Avrebbe preferito che Will avesse scelto un altro luogo per fermarsi. - Insomma, la sua idea era questa: far ripagare agli yankees il cotone che hanno bruciato, la roba che hanno portato via e le barriere e le tettoie che hanno demolite. - Agli yankees? - Non ne avete sentito parlare? Il governo yankee indennizza tutti gli abitanti del Sud simpatizzanti con l'Unione che hanno avuto danni nelle loro proprietà. - Sí; l'ho sentito dire. Ma, noi che c'entriamo? - Secondo Súsele, c'entriamo moltissimo. Quel giorno che venne a Jonesboro incontrò la signora MacIntosh, e mentre discorrevano Súsele notò che la signora aveva un bel vestito e le chiese come mai... Allora la MacIntosh si diede molte arie dicendo che suo marito aveva reclamato presso il governo federale perché era stata distrutta la proprietà di un leale simpatizzante per l'Unione, il quale non aveva mai dato aiuto alla Confederazione in nessun modo. - Oh, non hanno mai dato niente a nessuno, quegli scozzesi! - interruppe Rossella con violenza. - Può darsi. Io non li conosco. Ad ogni modo, il governo ha dato loro non so piú quante migliaia di dollari. Una bella cifra. Questo impressionò Súsele, la quale vi pensò su tutta la settimana, senza dirci nulla perché sapeva che ne avremmo riso. Ma bisognava pure che parlasse con qualcuno; fu allora che andò da miss Catina e parlò con quel maledetto straccione di Hilton, il quale le diede una quantità di altre idee. Le disse che vostro padre non era nato in questo paese; non aveva combattuto, non aveva avuto figli in guerra e non aveva mai coperto nessun ufficio sotto la Confederazione. E dato tutto questo si poteva affermare che il signor O'Hara era simpatizzante per l'Unione. Le riempí la testa: sicché, venuta a casa, Súsele cominciò a parlare col signor O'Hara il quale, ci scommetterei, non sapeva neanche che cosa sua figlia gli dicesse. E certamente lei faceva assegnamento su questo per condurlo a fare il giuramento di fedeltà senza che egli se ne accorgesse neppure. - Papà pronunciare il giuramento! - Era cosí indebolito di mente che certamente lei vi contava. E nessuno di noi ha sospettato nulla di tutto questo. Vedevamo che stava combinando qualche cosa, ma non avremmo mai supposto che si sarebbe servita della vostra defunta mamma per rimproverargli di lasciare che le sue figlie fossero vestite di stracci mentre poteva avere dagli yankees centocinquantamila dollari. - Centocinquantamila dollari - mormorò Rossella sentendo diminuire il suo orrore per il giuramento. Quanto denaro! E per averlo bastava firmare un giuramento di fedeltà al governo degli Stati Uniti, un giuramento che stabiliva che il firmatario aveva sempre subíto il governo precedente, senza mai dargli aiuto. Centocinquantamila dollari! Per una piccola menzogna! Davvero, non poteva biasimare Súsele. E Alex aveva detto che si sarebbe dovuto frustarla?! Erano pazzi, tutti quanti. Quante cose farebbe, lei, con quel denaro! Quante cose farebbero tutti quei pazzi della Contea! Che importava una piccola menzogna? Dopo tutto, qualunque cosa si potesse togliere agli yankees, era denaro bene acquistato, in qualunque modo. - Ieri, verso mezzogiorno, mentre Ashley ed io eravamo a spaccar legna, Súsele prese questo carretto, vi mise sopra vostro padre e andò con lui in città senza dir nulla a nessuno. Miss Melly ebbe un sospetto, ma sperando che Súsele avrebbe mutato idea, non ci pose sull'avviso. Non credeva che Súsele sarebbe stata capace... Oggi ho saputo che cosa era successo. Quel pusillanime Hilton pare che sia in buoni rapporti con gli altri repubblicani della città e Súsele gli aveva promesso di dar loro una parte del denaro - non so quanto - se essi acconsentivano a riconoscere che il signor O'Hara, da buon irlandese era stato un leale simpatizzante per l'Unione, e non aveva appartenuto all'esercito, eccetera eccetera; e se avessero firmato delle raccomandazioni. Vostro padre non doveva fare altro che giurare e firmare la carta che sarebbe poi stata mandata a Washington. La faccenda del giuramento fu rapida; vostro padre non disse nulla e tutto andò bene fino al momento di firmare. Allora parve che tornasse in sé per un istante e crollò il capo. Non credo che sapesse di che si trattava; ma la cosa non gli piaceva. Súsele lo prendeva sempre al contrario, e l'esitazione di lui la irritò, dopo tutta la fatica che aveva fatta. Lo condusse via dall'ufficio e camminò con lui su e giú per la strada, dicendogli che vostra madre gridava contro di lui dalla tomba perché egli lasciava soffrire le sue figlie mentre avrebbe potuto provvedere a loro. Mi hanno detto che vostro padre piangeva come un bambino, come sempre quando udiva il nome di miss Elena. Tutti li videro, e Alex Fontaine si avvicinò a chiedere che cos'era successo; ma Súsele gli rispose male dicendogli di occuparsi dei fatti suoi, sicché egli se ne andò furibondo. Non so come le venne l'idea; ma so che nel pomeriggo si provvide di una bottiglia di acquavite, condusse il signor O'Hara nell'ufficio e cominciò a farlo bere. Da un anno, Rossella, non abbiamo alcool a Tara, eccetto un po' di vino di more che fa Dilcey; quindi vostro padre non c'è piú abituato. In breve fu ubriaco; e dopo che Súsele ebbe ancora discusso e argomentato per un pezzo, finalmente disse di sí e acconsentí a firmare. Ma mentre stava per metter la penna sulla carta, Súsele commise un errore. «Adesso» esclamò «gli Slattery e i Maclntosh la finiranno di darsi delle arie di superiorità con noi!» Dovete sapere che gli Slattery hanno fatto una richiesta di indennizzo molto elevata per quella catapecchia incendiata dagli yankees e il marito di Emma ha ottenuto il pagamento. Dunque, mi hanno detto che all'udire quei nomi il vostro babbo si è raddrizzato e l'ha guardata con occhio penetrante. Non era piú smarrito; e le chiese: «Gli Slattery e i MacIntosh hanno firmato una carta come questa?» Súsele cominciò a dire di sí e di no e a balbettare; e allora egli gridò ad alta voce: «Dimmi se quel maledetto orangista e quel maledetto straccione bianco hanno firmato una carta come questa!» E allora Hilton, credendo di calmarlo: «Sissignore, ed hanno avuto dei bei quattrini come li avrete voi.» Il vecchio signore emise un ruggito come un toro. Alex Fontaine dice che lo sentí dalla bettola dove si trovava. E poi gridò: «E voi credete che O'Hara di Tara voglia seguire il sudicio esempio di un maledetto orangista e di un maledetto straccione bianco?» Lacerò la carta in due pezzi e la gettò sul viso di Súsele urlando: «Tu non sei mia figlia!» e fu fuori dall'ufficio prima che i presenti potessero riaversi dalla sorpresa. Alex racconta che lo vide scendere in istrada come un toro infuriato; sembrava di nuovo quello di una volta e urlava e bestemmiava a piena voce, benché fosse ubriaco fradicio. Davanti alla bettola era il cavallo di Alex; vostro padre vi si arrampicò sopra in un batter d'occhio e scomparve in una nuvola di polvere continuando a bestemmiare con tutte le sue forze. Verso il crepuscolo Ashley ed io eravamo seduti in attesa, sui gradini del porticato, preoccupati di non vederlo tornare; miss Melania, al piano di sopra, piangeva gettata sul letto; non aveva voluto dirci nulla. A un tratto udimmo uno scalpitar di cavallo sulla strada e qualcuno che gridava come alla caccia della volpe; e Ashley disse: «Strano! Sembra il signor O'Hara quando veniva a trovarci prima della guerra.» Dopo un attimo lo vedemmo apparire all'estremità del pascolo. Doveva aver saltato la siepe proprio in quel punto. E venne di gran carriera su per l'altura, cantando con quanta voce aveva in gola. Non sapevo che vostro padre avesse una voce cosí forte. Cantava una vecchia canzone irlandese, come se fosse l'uomo piú contento del mondo, e batteva il cavallo col cappello; il cavallo andava di carriera. Avvicinandosi all'altro limite del pascolo non tirò le redini e comprendemmo che stava per saltare anche quell'altra barriera. Ci alzammo spaventatissimi e in quell'attimo lo udimmo gridare: «Guarda, Elena! Guarda come salto anche questa!» Ma il cavallo si fermò bruscamente senza saltare; e vostro padre gli passò fra le orecchie. Non sofferse affatto. Quando lo raccogliemmo era già morto. Doveva essersi rotto il collo.» Will attese per un momento che Rossella parlasse; quando vide che taceva, raccolse le redini. - Vai, Sherman - disse; e il cavallo si avviò verso casa.

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All'alba, quando il sole cominciò a illuminare i pini sulle colline a oriente, si levò dal letto scomposto e sedette accanto alla finestra; posò sul braccio il capo stanco e guardò, al di là del frutteto, verso i campi di cotone. Tutto era fresco, rugiadoso, silenzioso e verde; e la vista della campagna portò balsamo e conforto al suo cuore dolente. Tara aveva l'aspetto sereno e tranquillo, all'alba, benché il suo padrone fosse morto. Il pollaio tozzo, ben chiuso per difendere le galline dai topi e dalle faine, era accuratamente imbiancato a calce; cosí pure il porcile. L'orto coi suoi piccoli filari di grano saraceno, di piselli gialli, di fave, di rape, era ben sarchiato ed aveva come difesa una palizzata di paletti di quercia. Il frutteto era ripulito dagli arbusti parassiti; sotto agli alberi crescevano soltanto le margherite. Il sole accendeva di colore le mele e le pesche che si scorgevano tra il fogliame. E al di là erano le lunghe file di piante di cotone, verdi e immote; verso di esse si avviavano ondeggiando le anatre e i polli, perché in quella terra morbida si trovavano i vermi e le larve migliori. Rossella si sentí struggere il cuore di gratitudine verso Will che aveva fatto tutto questo. Malgrado il suo affetto per Ashley, non poté renderlo meritevole di quel benessere: la rifioritura di Tara non era dovuta al piantatore-aristocratico, ma all'instancabile e piccolo fattore» che amava la terra. Certo era una piccola fattoria che non si poteva paragonare alla piantagione di altri tempi, coi suoi pascoli affollati di mule e di cavalli di razza e i campi di grano e di cotone che si stendevano a perdita d'occhio. Ma quello che c'era, era in ottimo stato; e il giorno in cui le condizioni migliorassero si potrebbe ricominciare a coltivare la terra ora incolta, che sarebbe piú fertile, del resto. Will non si era limitato a impiantare una fattoria di pochi jugeri. Egli era riuscito a difenderla contro i due nemici dei piantatori georgiani: il pinastro e il rovo. Questi non si erano furtivamente insinuati nell'orto, nei pascoli, nei campi di cotone, né si installavano insolentemente accanto al porticato di Tara come facevano in moltissime piantagioni della regione. Rossella sentí arrestarsi i battiti del suo cuore quando ripensò com'era stata vicina, Tara, a tornare allo stato selvaggio. Fra lei e Will avevano fatto veramente una gran cosa: avevano tenuto lontano gli yankees, i «Carpetbaggers» e i parassiti naturali. E, meglio di tutto, Will le aveva detto che dopo il raccolto del cotone non sarebbe piú stato necessario che ella mandasse denaro; a meno che qualche altro «Carpetbagger» non agognasse a impadronirsi di Tara e quindi non facesse imporre altre tasse sbalorditive. Rossella sapeva che Will avrebbe un arduo lavoro da compiere, se voleva fare a meno del suo aiuto; ma ammirava e rispettava il suo sentimento di indipendenza. Finché era stato in posizione di inferiorità, egli aveva potuto accettare il suo denaro; ma ora che diventava suo cognato ed era il solo uomo in casa, intendeva sussistere coi propri sforzi. Sí: veramente Will era stato mandato da Dio.

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Tornando a casa con Baldo nel crepuscolo freddo, Rossella vide un assembramento di cavalli sellati, di carrozzini e di carri dinanzi alla bettola della «Ragazza del Giorno». Vi era Ashley a cavallo con una strana espressione di attesa; i ragazzi Simmons si sporgevano dal loro carrozzino facendo dei gesti enfatici; Ugo Elsing, con la sua ciocca di capelli neri ricadente sugli occhi, agitava le mani. Nel centro dell'assembramento era il carrettino delle focacce del nonno Merriwether; e nell'avvicinarsi, Rossella vide che Tommy Wellburn e lo zio Enrico Hamilton erano rannicchiati a cassetta accanto a lui. «Preferirei» pensò Rossella irritata «che lo zio Enrico non tornasse a casa in quell'equipaggio. Dovrebbe vergognarsi. Come se non avesse un cavallo proprio. Ma fa cosí per poter andare tutte le sere alla bettola col nonno.» Nell'avvicinarsi alla folla ebbe la sensazione che vi fosse qualche cosa: malgrado la sua insensibilità si sentí stringere il cuore. «Oh!» pensò. «Speriamo che non vi sia stato qualche altro ratto. Se il Ku Klux lincia ancora un negro, gli yankees ci massacreranno!» E disse a Baldo: - Fermatevi. È successo qualche cosa. - Non vorrete fermarvi davanti a una bettola?! - si oppose Baldo. - Vi ho detto di fermare... Buona sera a tutti! Ashley... zio Enrico... È successa una disgrazia? Sembrate tutti cosí... Si volsero a lei salutando e sorridendo; ma nei loro volti era una strana eccitazione. - Disgrazia o fortuna secondo il punto di vista - rispose zio Enrico. - A me pare che il Parlamento non avrebbe potuto agire in modo diverso. - Il Parlamento? - E Rossella pensò che la cosa non la interessava e respirò di sollievo. - Che diamine ha fatto? - Ha semplicemente rifiutato di ratificare l'emendamento - disse con orgoglio il nonno Merriwether. - Cosí la vedranno, gli yankees! - Oh, ma ce la faranno scontare! - esclamò Ashley. - L'emendamento? - chiese Rossella cercando di sembrare intelligente. Non aveva mai capito nulla di politica e non perdeva neanche il tempo a riflettere. Sapeva che poco tempo prima era stato ratificato il XIII emendamento (o era il sedicesimo?) ma ignorava il significato della parola «ratifica». Il suo volto mostrò la sua mancanza di comprensione e Ashley sorrise. - È l'emendamento che permette il voto ai negri - spiegò. - È stato sottoposto al Parlamento che non ha voluto ratificarlo. - Bella sciocchezza! Sapete che gli yankees ce lo faranno inghiottire per forza! - Perciò ho detto che ce lo faranno scontare. - Io sono fiero del Parlamento, fiero della loro audacia! - gridò zio Enrico. - Gli yankees non possono costringerci a inghiottirlo se non vogliamo. - Lo possono e lo faranno. - La voce di Ashley era calma, ma i suoi occhi erano turbati. - E la nostra situazione diventerà anche peggiore. - È impossibile, Ashley! Le cose non possono peggiorare. - Sicuro che lo possono. Supponete che ci diano un Parlamento negro? Un governatore negro? E se avessimo una legge militare anche piú dura di quella che abbiamo oggi? Gli occhi di Rossella si spalancarono dal terrore, mentre ella cominciava a comprendere qualche cosa. - Sto cercando di capire che cosa sarebbe meglio per la Georgia. - Il volto di Ashley aveva un'espressione irresoluta. - Se è piú saggio combattere questa cosa come ha fatto il Parlamento, sollevando il nord contro di noi, e mettendo contro di noi tutto l'esercito yankee per costringerci ad accordare il voto ai negri. Oppure... reingoiare la nostra dignità meglio che possiamo, sottometterci e accettare l'emendamento senza proteste. Il risultato è lo stesso. Non possiamo far nulla. Dobbiamo prendere la medicina che hanno deciso di darci. Forse sarebbe meglio per noi prenderla senza recalcitrare. Rossella udí a malapena queste parole, e certo la loro importanza le sfuggí. Come sempre, Ashley vedeva i due lati della questione. Ella ne vedeva uno solo: fino a che punto questo schiaffo dato agli yankees poteva interessarla. - Allora. secondo voi bisognerebbe diventare radicali e votare per i repubblicani? - scherní con voce rauca il nonno Merriwether. Vi fu un silenzio pieno di tensione. Rossella vide la mano di Baldo fare un rapido movimento verso la pistola e poi fermarsi. Baldo riteneva, e lo diceva spesso, che il nonno era un vecchio pallone gonfiato; e certo egli non avrebbe permesso che colui insultasse il marito di miss Melania, anche se questi parlava come un imbecille. La perplessità scomparve dagli occhi di Ashley, che arsero di collera. Ma prima che egli avesse aperto bocca, lo zio Enrico aveva investito il nonno. - Perdio... Oh, scusa, Rossella!... Pezzo d'imbecille, come potete dire questo ad Ashley? - Ashley non ha bisogno di voi per prendere le sue difese - ribatté il vecchio freddamente. - E sta parlando come un rinnegato... Sottomettersi, eh? Per l'inferno! (Scusate, vero, Rossella?) - lo non credo nella secessione - riprese con voce tremante di collera Ashley. - Ma quando la Georgia si è separata, io sono andato con lei. Non credevo nella guerra, ma ho combattuto. E non credo che si debba rendere gli yankees piú furenti di quanto sono. Ma se il Parlamento ha deciso di farlo, io sono con lui. E... - Baldo - disse bruscamente zio Enrico - conducete miss Rossella a casa. Questo non è posto per lei. La politica non è per le donne. E qui a momenti vi sarà questione. Andate, Baldo. Buona notte, Rossella. Mentre si avviavano verso la Via dell'Albero di Pesco, il cuore di Rossella batteva per il nuovo spavento. Che effetto avrebbe sulla sua sicurezza quel pazzo gesto del Parlamento? Vi sarebbe pericolo che gli yankees, irritati, le portassero via gli stabilimenti? - Beh! - borbottò Baldo. - Ho sentito parlare di conigli che sputano in faccia ai bulldogs, ma fino ad ora non ne avevo mai visti. Il Parlamento avrebbe potuto addirittura mettersi a urlare: «Viva Jeff Davis e la Confederazione!» e avrebbe avuto lo stesso risultato. Questi yankees che amano i negri si sono messi in mente di farli nostri padroni. Ma bisogna ammirare il coraggio del Parlamento! - Ammirarlo? Sono degli imbecilli! Spararli, bisognerebbe! Renderanno furibondi gli yankees. Non era meglio se radi... rati... come si dice? E tranquillizzare gli yankees invece di eccitarli maggiormente? Tanto, riusciranno lo stesso a sottometterci; e allora tanto vale arrenderci adesso. Baldo la fissò col suo occhio gelido. - Arrendersi senza combattere? Le donne non hanno piú dignità di quanto ne abbia una capra.

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Rossella, con la bimba in braccio, uscí nel porticato e si sdraiò su di una sedia a dondolo. Indossava un abito nuovo di lanetta verde guarnito di metri e metri di trina nera; sul capo aveva una cuffietta di pizzo nero che le aveva regalato zia Pitty. Abito e cuffia le stavano molto bene ed ella lo sapeva e ne era lieta. Che piacere essere nuovamente graziosa dopo essere stata brutta per tanti mesi! Sedeva cullando la bimba e cantarellando a bocca chiusa, quando udí rumor di zoccoli giungere dalla strada; guardando curiosamente attraverso i rampicanti che ornavano il porticato, scorse Rhett Butler che cavalcava verso la casa. Da parecchi mesi era assente da Atlanta; era partito subito dopo la morte di Geraldo. Rossella ne aveva sentito la mancanza; ma ora avrebbe ardentemente desiderato di non vederlo. La vista del suo volto bruno le dava un senso di colpevolezza che la faceva tremare. Aveva sulla coscienza qualche cosa che concerneva Ashley e non voleva parlarne con Rhett; ma era sicura che egli l'avrebbe costretta alla discussione, anche contro la sua volontà. Si fermò dinanzi al cancello e balzò a terra leggermente; guardandolo, già nervosa, ella pensò che assomigliava a un'illustrazione di un libro di cui Wade voleva sempre sentir la lettura. «Gli mancano soltanto gli orecchini e un coltellaccio fra i denti. Ma pirata o no, oggi non mi taglierà la gola, se posso evitarlo!» Quando lo vide nel viale d'accesso, lo salutò col piú dolce dei sorrisi. Che fortuna avere indossato il bel vestito e quella cuffietta che le stava cosí bene! Il suo sguardo le disse che anch'egli la trovava graziosa. - Un nuovo pupo! Che sorpresa, Rossella! - rise; e si chinò a scostare la coperta che nascondeva il brutto visino di Ella Lorena. - Non fate lo sciocco! - esclamò la donna arrossendo. - Come state, Rhett? Siete stato via un pezzo! - Sí. Lasciatemi tenere il piccino, Rossella. So tenerlo benissimo; ho le piú strane abilità! Somiglia tale e quale a Franco. Quando avrà i baffi... - Spero bene di no. È una bambina. - Una bimba? Tanto meglio. I maschietti sono guai. Cercate di non averne altri, Rossella! Stava per rispondergli duramente che non voleva piú né maschi né femmine, ma si trattenne e sorrise, cercando rapidamente un argomento di conversazione che tenesse il piú possibile lontana la temuta discussione. - Avete fatto buon viaggio, Rhett? Dove siete stato? - Oh... a Cuba... Nuova Orléans... in altri luoghi. Tenete, Rossella, riprendete la pupa. Comincia a sbavare e non riesco a prendere il fazzoletto... Senza dubbio è carina, ma mi sta bagnando il davanti della camicia. Ella riprese la bimba e Rhett si appoggiò negligentemente alla balaustra tirando fuori un sigaro da un astuccio d'argento. - Andate sempre a Nuova Orléans. - riprese Rossella con un po' di broncio. - E non mi dite mai che cosa vi andate a fare! - Sono un lavoratore, Rossella; e forse il mio lavoro mi chiama in quella città. - Voi, un lavoratore! - Rise con impertinenza. - Non avete mai lavorato in vita vostra. Siete troppo indolente. Tutta la vostra attività consiste nel finanziare i «Carpetbaggers» nei loro ladrocini, prendendo la metà dei profitti, e corrompere gli ufficiali yankee perché vi lascino mettere in opera i vostri piani per derubare i poveri contribuenti. Egli gettò indietro la testa e rise. - Come sareste contenta di avere abbastanza denaro per poter fare altrettanto. - Solo a pensarlo mi sento... - e cominciò ad arruffare il pelo. - Ma forse riuscirete un giorno o l'altro ad essere in condizione da potervi dare alla corruzione su vasta scala. Forse diventerete ricca, facendo lavorare i galeotti! Ella rimase un po' sconcertata. - Come avete fatto ad essere già al corrente di quanto riguarda le mie maestranze? - Sono arrivato ieri e ho passato la serata alla bettola della «Ragazza del Giorno», dove si apprendono tutte le notizie della città. Come pettegolezzi, vale la migliore riunione di dame. Mi è stato detto che avete assunto dei galeotti e avete incaricato quel piccolo aguzzino di Gallegher di ammazzarli di lavoro. - Non è vero - ribatté Rossella adirata. - Non li ammazzerà. Sorveglierò io. - Davvero? - Senza dubbio! Come potete insinuare una cosa simile? - Vi chiedo scusa, signora Kennedy! So che le vostre ragioni sono sempre al disopra di qualsiasi rimprovero. Ma Johnnie Gallegher è il piú gelido sgherro che io abbia mai visto. Farete bene a sorvegliarlo davvero, altrimenti correte rischio di aver delle noie quando un ispettore capiterà da queste parti. - Occupatevi dei vostri affari e lasciatemi tranquilla - rispose indignata. - E non parliamo piú dei galeotti. Tutti quanti si sono scagliati contro di me per questa faccenda. La mia maestranza riguarda me sola... Ma non mi avete ancora raccontato che cosa avete fatto a Nuova Orléans. Vi andate tanto spesso che tutti dicono... - Si interruppe. Non aveva avuto l'intenzione di parlar tanto. - Che cosa dicono? - Che... insomma, che avete un amore laggiú. E che state per sposarvi. È vero, Rhett? Aveva da tanto tempo questa curiosità, che non si era potuta trattenere dal chiederglielo. E l'idea che Rhett prendesse moglie le diede una lieve puntura di gelosia incosciente. Egli la fissò, immediatamente all'erta, facendola arrossire alquanto. - Ve ne importerebbe molto? - Oh Dio, mi dispiacerebbe perdere la vostra amicizia - rispose ella con affettazione; e cercando di avere l'aria indifferente, si chinò ad aggiustare meglio la copertina di Ella Lorena. Egli rise; poi disse brevemente: - Guardatemi, Rossella. Rossella alzò gli occhi involontariamente; il suo rossore divenne piú intenso. - Dite pure alle vostre curiose amiche che quando mi sposerò sarà perché non ho potuto avere in altro modo la donna che desideravo. E non ho mai desiderato una donna tanto da sposarla. Rossella si sentí confusa e imbarazzata ricordando quella notte, durante l'assedio, quando egli le aveva detto: «Non sono un uomo che prende moglie»; e poi le aveva chiesto di diventare la sua amante; ricordò anche la terribile giornata in cui era andata a fargli visita in prigione, e questo ricordo le diede un intollerabile senso di vergogna. Sul volto di lui apparve lentamente un sorriso malizioso, mentre egli leggeva nei suoi occhi ciò che ella stava pensando. - Ma soddisferò la vostra volgare curiosità - riprese. - Non è una donna che mi attira a Nuova Orléans, ma un bambino. Un maschietto. - Un bambino! - Questa inattesa informazione le fece dimenticare il suo imbarazzo di poco prima. - Sí; è sotto la mia tutela ed io ho la responsabilità legale di lui. È in collegio a Nuova Orléans ed io vado spesso a vederlo. - E a portargli dei regali? - «Ecco» pensò «perché capisce cosí bene che cosa può far piacere a Wade!» - Sí. - Ma guarda! Ed è carino? - Anche troppo. - Buono? - Affatto. È insopportabile. Sarebbe meglio che non fosse mai nato. I ragazzi sono creature fastidiose. Volete sapere altro? Sembrava irritato, come se gli seccasse di aver parlato di questa faccenda. - No, se non avete voglia di parlarne - replicò Rossella con alterigia, benché ardesse di curiosità. - Ma non riesco a vedervi nella parte di tutore. - E rise, sperando di sconcertarlo. - Lo credo. Avete delle vedute troppo ristrette. Non disse altro e continuò a fumare in silenzio. Ella avrebbe voluto lanciargli qualche cosa di offensivo, ma non le venne in mente nulla. - Vi sarei grata se non ne parlaste - riprese Rhett dopo un poco. - Benché chiedere a una donna di tacere è chiedere l'impossibile. - So conservare un segreto - ribatté Rossella con dignità offesa. - Davvero? Non lo avrei mai creduto. Ora smettete codesto broncio, Rossella. Mi dispiace di essere stato sgarbato; ma ve lo siete meritato perché avete voluto ficcare il naso nelle cose che non vi riguardano. Fatemi un bel sorriso e siate carina per qualche minuto, prima che io abbordi un argomento spiacevole. «Oh Dio! Adesso parlerà di Ashley e dello stabilimento!» pensò. Si affrettò a sorridere facendo le fossette. - Dove altro siete stato, Rhett? Non sarete rimasto tutto questo tempo a Nuova Orléans? - No. Quest'ultimo mese sono stato a Charleston. Mio padre è morto. - Oh, mi dispiace... - È inutile. Sono certo che a lui non è dispiaciuto morire e a me non dispiace che sia morto. - Dite delle cose atroci, Rhett! - Sarebbe piú atroce se io fingessi di essere addolorato; non vi pare? Fra noi non vi è mai stato affetto. Io somigliavo troppo a suo padre che egli biasimava. Piú tardi il suo biasimo per me divenne antipatia; ammetto che io non feci nulla per farlo mutare. Tutto ciò che egli pretendeva da me mi annoiava terribilmente. E finalmente mi mandò fuori di casa senza un centesimo e senza alcuna capacità. Ero semplicemente un signore di Charleston, buon tiratore di pistola e ottimo giocatore di poker. E per lui fu un'offesa personale il fatto che io non morii di fame ma misi a profitto la mia abilità di giocatore, sicché il poker mi diede da vivere. L'affronto di un Butler diventato giocatore fu cosí grave che la prima volta che tornai a Charleston egli proibí a mia madre di vedermi. E durante la guerra, quando le circostanze mi portavano a Charleston, mia madre era costretta a mentire e veniva a vedermi di nascosto. Questo non accrebbe il mio affetto per lui. - Oh, non sapevo tutto questo! - Era quello che si dice un gentiluomo di vecchia scuola, cioè ignorante, testardo, intollerante e incapace di pensare diversamente dagli altri gentiluomini di vecchia scuola. Tutti i suoi amici lo ammiravano perché mi aveva scacciato e mi considerava come morto. «Se il tuo occhio destro ti offende, strappalo.» Io ero il suo occhio destro, il suo figlio primogenito ed egli mi strappò da sé. Sorrise un poco, quasi divertito. - Avrei potuto perdonare tutto questo; ma non posso perdonare ciò che fece a mia madre e a mia sorella dopo la fine della guerra. Rimasero completamente prive di mezzi: la casa incendiata e i campi di riso ridiventati terre paludose. La casa di città andò all'asta perché non avevano da pagare le tasse e loro si ridussero a vivere in due stanzucce che non sarebbero state adatte neanche per dei, negri. Mandai alla mamma un po' di denaro, ma il babbo lo rimandò indietro - denaro corrotto, capirete! - quindi andai parecchie volte a Charleston e diedi nascostamente del denaro a mia sorella. Ma il babbo lo trovava sempre e faceva l'inferno, sicché la vita era diventata insopportabile per quella povera figliuola. E il denaro mi veniva restituito. Non so come hanno vissuto... Cioè, lo so. Mio fratello dava quello che poteva, benché ne avesse pochi e neppure lui volesse accettar nulla da me. Il denaro degli speculatori è denaro maledetto! Hanno dunque vissuto della carità degli amici. Vostra zia Eulalia è stata molto buona. È una delle migliori amiche di mia madre. Le ha dato da vestire e... Dio mio! Mia madre vivere di carità! Era una delle rare volte in cui lo vedeva senza maschera, col volto indurito da un giusto odio verso suo padre e pieno di dolore per sua madre. - Zia Eulalia! Ma non credo che abbia molto piú di quanto le mando io! - Ah, è questa la provenienza! Siete poco delicata, mia cara, a dirmi questo aumentando la mia umiliazione! Permetterete che vi rimborsi! - Con piacere - rispose Rossella sorridendo; ed egli sorrise a sua volta. - Come brillano i vostri occhi, Rossella, all'idea di un dollaro! Siete sicura di non avere nelle vene del sangue scozzese o ebraico, oltre al vostro buon sangue irlandese? - Non siate odioso! Non ho avuto affatto l'intenzione di rinfacciarvi quello che passa attraverso zia Eulalia. Ma veramente, quella zia crede che io il denaro lo fabbrichi. Mi scrive sempre per averne di piú; e davvero io non sono in condizione di mantenere mezza Charleston! Di che cosa è morto vostro padre? - Di nobile inedia, credo... e spero. Gli sta bene. Voleva far morir di fame la mamma e Rosa Maria. Ora che è morto, potrò aiutarle. Ho comprato una casa per loro presso la Batteria e avranno delle persone di servizio; ma non dovranno far sapere che il denaro viene da me. - Perché no? - Voi non conoscete Charleston, mia cara! Vi siete stata soltanto in visita. La mia famiglia può esser povera, ma ha una posizione da salvaguardare. E non potrebbe conservarla se si sapesse che dietro ad essa è denaro che proviene dal gioco, dalla speculazione, dai «Carpetbaggers». No; hanno già raccontato che mio padre aveva fatto una forte assicurazione sulla vita e si è privato ed ha privato loro perfino del necessario per poter continuare nei pagamenti, in modo che dopo la sua morte esse fossero al sicuro. Cosí egli fa anche una bellissima figura... Martire della sua famiglia. Spero che si rivolterà nella sua tomba sapendo che la mamma e Rosa Maria vivono comodamente malgrado i suoi sforzi... E mi dispiace un poco che sia morto, perché so che desiderava di morire... - Perché? - In verità, egli morí il giorno in cui Lee si arrese. Non si è mai potuto adattare ai nuovi tempi ed ha passato questi ultimi anni a parlare dei tempi andati. - Ma ditemi, Rhett, sono tutti cosí i vecchi? - Pensava a Geraldo e a quello che aveva detto di lui Will. - Dio mio, no! Guardate vostro zio Enrico e quel vecchio gatto selvatico del signor Merriwether, per non nominare altri. Hanno cominciato una vita nuova il giorno in cui sono partiti con la Guardia Nazionale e mi pare che siano tornati a casa ringiovaniti e vadano diventando sempre piú vivaci. Ho incontrato il nonno Merriwether col carretto delle focacce; frustava il cavallo bestemmiando come un vecchio soldataccio. E mi ha detto che si sente ringiovanito di dieci anni da quando non è piú sotto gli artigli della nuora e va in giro col carretto. E zio Enrico si diverte a combattere gli yankees in tribunale, difendendo la vedova - credo gratuitamente - contro i «Carpetbaggers». Se non vi fosse stata la guerra, si sarebbero ritirati da un pezzo a curarsi i reumatismi. Sono nuovamente giovani perché sono utili e sentono che sono necessari. E amano quest'epoca che dà nuove possibilità ai vecchi. Ma vi sono tante persone, anche giovani, che sentono come mio padre e vostro padre. Non sanno e non vogliono adattarsi; e questo mi conduce all'argomento spiacevole che voglio discutere con voi, Rossella. - Dio mio! - fece Rossella fra se, a quell'attacco cosí improvviso. - Ci siamo. Come farò a cavarmela? - Conoscendovi come vi conosco, non mi sarei dovuto aspettare da voi né lealtà né onestà. Ma, come uno sciocco, mi sono fidato di voi. - Non vi capisco. - Può darsi. Ad ogni modo, avete l'aria molto imbarazzata. Poco fa, mentre percorrevo Via dell'Edera per venire da voi, mi sento chiamare da dietro una siepe: era la signora Melania Wilkes! Naturalmente mi sono fermato e abbiamo chiacchierato. - Davvero? - Sí; abbiamo avuto una piacevole conversazione. Mi ha detto che aveva sempre desiderato esprimermi la sua ammirazione pel fatto che anch'io mi sono unito a combattenti, sia pure nell'ultima ora. - Che stupidaggine! Melly è una sciocca. Quella notte c'è mancato poco che morisse, a causa della vostra eroica condotta. - Probabilmente avrebbe pensato che sacrificava la sua vita per la buona causa. Quando le ho chiesto che cosa faceva ad Atlanta, è rimasta sorpresa della mia ignoranza e mi ha raccontato che adesso abita qui e che voi siete stata tanto buona da associarvi il signor Wilkes nella vostra azienda. - Ebbene? - Quando vi prestai il denaro per acquistare la segheria feci un patto espresso che voi accettaste; e cioè che lo stabilimento non doveva servire per mantenere Ashley Wilkes. - State diventando insolente. Vi ho restituito il denaro; lo stabilimento è mio e ne faccio quello che mi pare. - Vorreste dirmi come avete guadagnato il denaro che mi avete restituito? - Vendendo il legname, naturalmente. - Col denaro che vi ho prestato io perché poteste cominciare. Dunque il mio denaro è stato adoperato per il mantenimento di Ashley. Siete una donna senza onore e se non mi aveste restituito quello che vi prestai, sarebbe per me una gioia richiedervelo adesso e mettere il vostro stabilimento all'asta se non poteste pagarmi. Parlava leggermente ma i suoi occhi ardevano di collera. Rossella si affrettò a portare le ostilità nel territorio nemico. -Perché odiate tanto Ashley? Siete geloso di lui? Si sarebbe morsa la lingua dopo queste parole, perché egli gettò indietro la testa e rise clamorosamente facendola arrossire di mortificazione. - Aggiungete la presunzione alla disonestà - disse poi. - Non la finirete mai di sentirvi la bella della Contea? Crederete sempre di essere la piú graziosa delle birichine, e che tutti gli uomini muoiono d'amore per voi. - Neanche per sogno! - ella esclamò con calore. - Ma non capisco perché odiate tanto Ashley; e questa è la sola spiegazione a cui posso pensare. - Bene; pensate qualche altra cosa, deliziosa incantatrice, perché questa è una spiegazione sbagliata. Quanto a odiare Ashley... non lo odio come non lo amo. Il mio solo sentimento verso di lui e verso quelli che sono come lui è la pietà. - Pietà? - Sí; e anche un po' di disprezzo. Suvvia, gonfiatevi di rabbia come un tacchino e ditemi che egli vale mille mascalzoni come me, e che io non dovrei essere presuntuoso da provare per lui pietà o disprezzo. E quando avrete finito di bollire, vi dirò il mio pensiero, se vi interessa. - Non mi interessa affatto. - Ve lo dirò lo stesso, perché non posso permettere che voi continuiate ad alimentare la vostra buffa illusione sulla mia gelosia. Ho pietà di lui perché avrebbe dovuto morire e non è morto. E lo disprezzo perché non sa che cosa fare di se stesso ora che il suo mondo è crollato. Nell'idea che egli esprimeva era qualche cosa che non le riusciva nuovo. Ricordava confusamente di aver udito delle parole simili, ma non sapeva né dove né quando. Ma la collera le impedí di fermarsi a riflettere. - Se aveste libertà d'azione, tutte le persone per bene negli Stati del Sud sarebbero morte. - E se avessero loro libertà d'azione, credo che tutti quelli come Ashley preferirebbero essere morti. Morti e collocati sotto una bella pietra su cui è scritto: "Qui giace un soldato della Confederazione morto per il suo paese" oppure "Dulce et decorum est" o qualche altro epitaffio del genere. - Non vedo il perché! - Voi non vedete mai nulla se non è scritto a lettere di scatola e a distanza del vostro naso! Se fossero morti non avrebbero pensieri, e non vi sarebbero per loro problemi insolubili. E le loro famiglie sarebbero fiere di loro per molte generazioni. Per soprappiú, ho sempre sentito dire che i morti sono felici. Voi credete che Ashley Wilkes sia felice? - Ma, certamente... - Ricordò l'espressione degli occhi di Ashley e s'interruppe. - E Ugo Elsing o il dottor Meade sono felici? Come erano felici mio padre e vostro padre? - Forse non son felici come potrebbero perché hanno perduto tutto il loro denaro. Egli rise. - Non si tratta del denaro, mia cara. Vi dico che hanno perduto il loro mondo, il mondo in cui erano cresciuti, e sono come pesci fuor d'acqua o gatti con le ali. Avrebbero dovuto fare certe date cose, occupare certe date posizioni, e cosí via. Cose, posizioni e tutto scomparvero per sempre quando il generale Lee giunse ad Appomattox. Oh, non abbiate quell'aria stupida, Rossella. Che cosa volete che faccia Ashley Wilkes, ora che la sua casa è scomparsa, la sua piantagione è stata sequestrata per via delle tasse e i gentiluomini vanno a venti per un penny? Può forse lavorare con la testa o con le mani? Scommetto che avete perduto una quantità di denaro da quando egli gestisce l'azienda. - Non è vero. - Siete molto carina. Posso venire a vedere i vostri libri qualche domenica sera quando non avete da fare? - Potete andare al diavolo. E anche adesso, per far piú presto. - Tesoro, sono stato dal diavolo ed è un compagno malinconico. Non ho affatto l'intenzione di tornarvi, neanche per voi... Dunque: voi avete preso il mio denaro perché ne avevate disperatamente bisogno. Abbiamo fatto un accordo per lo scopo a cui doveva servirvi e voi non avete mantenuto questo accordo. Ricordatevi, deliziosa creatura, che verrà il tempo in cui avrete ancora bisogno di farvi prestare da me del denaro. Mi chiederete di finanziarvi, ad interesse incredibilmente basso, per poter comprare altre aziende ed altre mule. E potete contarci poco su quei quattrini. - Quando avrò bisogno di denaro me lo farò prestare dalla banca, - ribatté Rossella freddamente, mentre dentro di sé ardeva di collera. - Davvero? Provateci. Io ho molti capitali in banca. - Proprio? - Sí; sono cointeressato in parecchie imprese. - Vi sono delle altre banche... - Oh, una quantità. E se vi riesco, farò in modo che non possiate avere un centesimo da nessuno. Se avete bisogno di denaro potrete andare dagli usurai «Carpetbaggers». - Vi andrò con piacere. - Vi andrete, ma con poco piacere quando sentirete il loro tasso d'interesse. Tesoro mio, nel mondo degli affari si paga il fio delle azioni poco oneste. Avreste dovuto giocare con me a carte scoperte. - Siete proprio un gentiluomo! Cosí ricco e potente andate a stuzzicare dei poveri diavoli come siamo Ashley ed io! - Non mettetevi al suo livello. Voi non siete ancora vinta. Nessuno può vincervi. Ma lui è completamente a terra e vi resterà finché non avrà dietro di sé una persona energica che lo guidi e lo protegga. E io non intendo che il mio denaro vada a beneficio di un simile individuo. - Eppure avete aiutato me, mentre anch'io ero a terra. - Ma voi, mia cara, eravate un rischio interessante. Perché non vi appoggiavate ai vostri parenti maschi singhiozzando nel rimpianto degli antichi tempi. Vi siete drizzata e vi siete fatta avanti a gomitate; la vostra fortuna è stata solidamente fondata sul denaro rubato dal portamonete di un morto e quello rubato alla Confederazione. Avete al vostro attivo un omicidio, il furto di un marito, un tentativo di prostituzione, e poi menzogne e durezze e altre cose che richiederebbero esame piú accurato. Tutto ciò mostra che voi siete una persona energica e risoluta; valeva la pena di arrischiare del denaro per voi, perché è divertente aiutare chi si aiuta. Presterei diecimila dollari senza neanche una ricevuta, a quella vecchia matrona romana che è la signora Merriwether. Ha cominciato con un cestello di focaccine, e guardatela adesso! Ha una pasticceria che dà lavoro a mezza dozzina di persone; il vecchio nonno è felice col suo carretto delle consegne e quel piccolo creolo indolente, Renato, lavora indefesso e con piacere... Guardate anche quel povero Tommy Wellburn, che fa il lavoro di due uomini, avendo il corpo di mezzo uomo e lo fa bene; oppure... ma non voglio continuare ad annoiarvi. - Sí, mi annoiate. Ma mi distraete - disse Rossella freddamente, sperando di irritarlo e di sviarlo dall'argomento di Ashley. Ma egli rise brevemente e rifiutò di raccogliere il guanto. - Gente come quella merita di essere aiutata. Ma Ashley Wilkes... Bah! La sua razza non ha utilità né valore in un mondo sconvolto come il nostro. In un mondo rinnovato, quelli come lui sarebbero i primi a morire. È gente che non merita di sopravvivere perché incapace di lottare. Questa non è la prima volta che il mondo è stato messo a soqquadro e non sarà l'ultima. E quando accadrà nuovamente, ciascuno perderà ogni cosa, e tutti saranno uguali: allora tutti ricominceranno dal principio senza aver nulla se non la loro scaltrezza e la forza delle loro mani. Ma vi sono di quelli, come Ashley, che non posseggono né astuzia né forza, o, se ne posseggono, hanno scrupolo ad adoperarla. E cosí vanno a fondo e meritano di andarvi. È una legge naturale e il mondo cammina meglio senza di loro. Ma vi sono sempre quei pochi che si salvano e col tempo ritornano ad essere ciò che erano prima che il mondo andasse sottosopra. - Anche voi siete stato povero; avete detto voi stesso che vostro padre vi ha messo fuori casa senza un centesimo! - disse Rossella furibonda. - Dovreste dunque comprendere Ashley e simpatizzare con lui! - Comprendo ma non simpatizzo. Dopo la resa, Ashley aveva molto di piú di quanto avevo io quando sono stato scacciato di casa. Per lo meno ha avuto molti amici che lo hanno aiutato, mentre io ero «Ismaele». Ma che cosa ha fatto Ashley? - E osate paragonarvi a lui, presuntuoso che non siete altro! Grazie a Dio, egli non vi somiglia! Non s'insudicerebbe le mani come voi, guadagnando denaro coi «Carpetbaggers» e con gli yankees! È scrupoloso e onesto. - Ma non tanto scrupoloso e onesto da non accettare denaro e aiuto da una donna. - Che altro avrebbe potuto fare? - Debbo dirlo io? Io so soltanto ciò. che ho fatto io, tanto quando sono stato scacciato da mio padre, quanto oggi. E so ciò che hanno fatto altri uomini. Nella rovina di una civiltà abbiamo visto l'opportunità di fare qualche cosa e ne abbiamo approfittato: alcuni onestamente, altri sott'acqua; e lo stiamo ancora facendo. Ma gli Ashley hanno avuto le stesse possibilità e non ne hanno approfittato. Non sono abili, Rossella, e solo chi è abile merita di sopravvivere. Ella udiva vagamente le sue parole perché ora le stava tornando preciso il ricordo che le era appena balenato, quando egli aveva cominciato a parlare. Rivide il frutteto di Tara battuto dal freddo vento invernale, e Ashley dinanzi a un mucchio di legna con lo sguardo fisso lontano. Aveva detto... che cosa? Qualche parola straniera che poi aveva spiegato e aveva parlato della fine del mondo. Allora non aveva compreso ciò che egli aveva voluto dire, ma ora cominciava a vederlo chiaramente, con un senso di sbalordimento e di stanchezza. - Eppure Ashley disse... - Che cosa? - Sí, una volta a Tara disse qualche cosa di... non so... tramonto di dèi e della fine del mondo e altre sciocchezze di questo genere. - Ah, il «Götterdämmerung!!» Gli occhi di Rhett brillarono d'interessamento. «E che altro?» - Oh, non ricordo bene. Non stavo molto attenta. Ma... sí, qualche cosa a proposito dei forti che rimangono in piedi e dei deboli che vengono stroncati. - Ah, dunque lo sa! Quindi la cosa è ancor piú penosa per lui. Molti di loro non lo sanno e non lo sapranno mai. E per tutta la vita si chiederanno come mai l'antico incanto è svanito. Lui invece sa di essere stato stroncato. - No, non lo è! E non lo sarà finché io avrò respiro! Rhett la guardò tranquillamente; il suo volto bruno era raddolcito. - Come avete fatto, Rossella, a fargli acconsentire a venire ad Atlanta a impiegarsi nella vostra azienda? Ha resistito molto? Come in un lampo ella rivide la scena dopo i funerali di Geraldo ma la ricacciò dalla sua mente. - No davvero - rispose indignata. - Gli spiegai che avevo bisogno del suo aiuto perché non mi fidavo di quel furfante che gestiva la segheria e Franco era troppo occupato... e io aspettavo Ella Lorena... Fu ben contento di venire in mio soccorso. - Com'è comoda la maternità! Vi siete dunque servita di questo... E cosí siete riuscita a condurlo, povero diavolo, dove volevate; ed eccolo lí legato a voi dalla gratitudine come i galeotti lo sono dalle loro catene. Tanti auguri a tutti e due. Ma, come vi ho detto al principio di questa discussione, non avrete mai piú un centesimo da me per nessuno dei vostri progettini cosí poco signorili, mia piccola ingannatrice. Ella si sentiva punta dalla collera e dalla delusione. Infatti, da qualche tempo. meditava di farsi prestare ancora del denaro da Rhett per comprare un terreno in città e installarvi un deposito di legname. - Non ho bisogno del vostro denaro - esclamò; - ne guadagno abbastanza con lo stabilimento gestito da Johnnie Gallegher, ora che non mi servo piú di operai negri. E poi ho dato del denaro contro ipoteche e anche il negozio rende bene, adesso. - Sicuro, l'ho sentito dire. Avete una bell'abilità nell'imbrogliare l'innocente, la vedova e l'orfano, e l'ignorante! Ma dal momento che dovete rubare, perché non derubate il ricco e forte anziché il povero e debole? Da Robin Hood in poi, questo è stato considerato altamente morale! - Perché è molto piú facile e sicuro derubare, come dite voi, i poveri. Egli rise silenziosamente, stringendosi nelle spalle. - Siete un'elegante delinquente, Rossella! Una delinquente! Strano che quel termine la offendesse. Non era una delinquente, disse fra sé con ira. Almeno, non aveva l'intenzione di esserlo. Voleva essere una gran signora. Per un attimo la sua mente tornò indietro negli anni ed ella rivide la madre col suo lieve ondeggiar di gonne e il soave profumo di verbena, le sue manine instancabili sempre occupate al servizio degli altri, amata e rispettata. E a un tratto sentí male al cuore. - È inutile che cerchiate di tormentarmi - disse stancamente. - So che non sono... scrupolosa come dovrei. E non sono buona e dolce come mi è stato insegnato ad essere. Ma non posso farne a meno, Rhett. Sinceramente, non posso. Che altro avrei potuto fare? Che sarebbe avvenuto di me, di Wade, di Tara, di tutti noi se io fossi stata... gentile quando quello yankee venne in casa? Avrei dovuto... non voglio neanche pensarlo! E se io fossi stata buona e scrupolosa quando... quando Giona Wilkerson voleva metterci in mezzo alla strada? Dove saremmo adesso? E se fossi stata semplice e tranquilla e non avessi tormentato Franco a proposito di tutti quei debitori... Beh, lasciamo andare. Può darsi che io sia una delinquente; però non lo sarò sempre, Rhett. Ma in questi ultimi anni... che avrei dovuto e potuto fare? Ho cercato di dirigere attraverso la burrasca un battello con un carico pesante. E ho avuto tanto da fare per tenerlo a galla che non potevo preoccuparmi di molte cose che non erano importanti, come buone maniere, signorilità e... sí, insomma cose di questo genere. Ho avuto troppa paura che la mia navicella andasse a fondo; quindi ho gettato a mare quello che mi sembrava peso inutile. - Cioè orgoglio, onorabilità, onestà, virtú e bontà - enumerò egli. - Avete ragione, Rossella. Non sono cose importanti quando una nave sta per affondare. Ma guardatevi attorno; osservate i vostri amici. O riescono a portare i loro battelli in porto col carico intatto, oppure preferiscono affondare con le bandiere al vento. - Sono una massa di imbecilli - replicò ella brevemente. - C'è tempo per tutto. Quando avrò messo assieme molto denaro, sarò gentile e dolce quanto vorrete. Allora me lo potrò permettere. - Vorrete permettervelo, ma non vi riuscirete. È difficile ripescare un carico gettato a mare; e quando vi si riesce, di solito lo si ritrova irreparabilmente danneggiato. E temo che quando potrete darvi il lusso di ripescare l'onore, la virtú e la bontà che avete gettato a mare, troverete che si sono mutati non precisamente in qualche cosa di bello e di strano... Si alzò improvvisamente e prese il suo cappello. - Ve ne andate? - Sí. Non siete contenta? Vi lascio coi rimasugli della vostra coscienza. Fece una pausa e guardò la bimba, tendendole un dito perché lo afferrasse. - Immagino che Franco sia gonfio di orgoglio. - Oh, senza dubbio! - Ed ha un sacco di progetti per la piccina, no? - Sapete bene come sono sciocchi gli uomini quando si tratta dei loro bimbi... - E allora ditegli... - Si interruppe bruscamente, con una strana espressione sul volto. -... ditegli che se vuole realizzare i suoi progetti per la bambina, farà bene a rimanere piú spesso a casa la sera. - Che volete dire? - Quello che ho detto. Ditegli di restare in casa. - Oh, infame creatura!... Vorreste insinuare che il povero Franco... - Oh Dio! - Rhett scoppiò in una risata clamorosa. - Non ho affatto voluto dire che va in giro con delle donne! Franco! Oh Dio! E scese i gradini continuando a ridere.

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Il Nord era deciso ad ottenere il voto per i negri, e a questo scopo la Georgia era stata dichiarata ribelle e posta sotto la legge marziale. L'esistenza della Georgia come Stato non era piú riconosciuta; come la Florida e l'Alabama essa era diventata «Distretto Militare n. 3», sotto il comando di un generale federale. Se fino allora la vita era stata incerta e piena di apprensioni, ora lo era doppiamente. I regolamenti militari che erano sembrati cosí severi un anno prima, erano dolci in confronto di quelli emessi dal generale Pope. Con la prospettiva di un governo negro, l'avvenire appariva oscuro e senza speranza. Quanto ai negri, la loro nuova importanza li ubriacava; comprendendo di essere spalleggiati dall'esercito yankee, essi diventavano sempre piú insultanti. Nessuno si poteva salvare dai loro oltraggi. In un periodo cosí spaventoso, Rossella era terrorizzata ma risoluta; andava ancora in giro sola, con la pistola di Franco nascosta sotto i cuscini del carrozzino. Ella malediva silenziosamente il Parlamento perché aveva attirato sul loro capo questo nuovo disastro. Che vantaggio aveva avuto questo gesto che tutti chiamavano spavaldo? Non aveva fatto che peggiorare le cose. Avvicinandosi al viale che, attraverso gli alberi nudi, conduceva al fondo valle dove sorgeva l'accampamento di Shantytown, Rossella diede voce al cavallo per farlo andare piú presto. Si sentiva sempre a disagio quando doveva passare dinanzi a quel sordido e sudicio gruppo di vecchie tende dell'esercito e di casupole di fango. Era il luogo che aveva la peggiore reputazione nelle vicinanze di Atlanta, perché vi abitavano in una sozza promiscuità negri, prostitute negre e un gruppo di straccioni bianchi di infimo ordine. Si diceva che fosse il rifugio dei criminali negri e bianchi, ed era il primo luogo che i soldati yankee andavano a frugare quando cercavano un delinquente. Sparatorie e risse erano cosí frequenti che le autorità si prendevano raramente il fastidio d'investigare, e di solito lasciavano che quella gente regolasse da sé le proprie losche questioni. Nel bosco retrostante era nascosta una fabbrichetta clandestina di whisky di infima qualità; la sera le capanne risuonavano di urla briache e di bestemmie. Perfino gli yankees riconoscevano che quella era una plaga pestifera che si sarebbe dovuto sgombrare; ma non facevano alcun passo in questo senso. Gli abitanti di Atlanta e di Decatur, che erano costretti a passare per quella strada, erano indignati. Gli uomini portavano le pistole alla cintola, le donne non transitavano volentieri di là, neanche sotto la protezione dei loro mariti, perché di solito vi erano file di negri ubriachi seduti lungo la via, che urlavano insulti e bestemmie contro di loro. Finché aveva avuto la scorta di Baldo, Rossella non si era preoccupata di nulla, perché neanche la negra piú impudente osava ridere in sua presenza. Ma da quando ella era stata costretta ad andar sola, si erano verificati parecchi incidenti noiosi e irritanti. Le prostitute negre sembrava facessero il possibile per cimentarla ovunque ella si recasse. Non vi era da fare altro che fingere di non accorgersene. Non poteva nemmeno sfogarsi con la propria famiglia o con gli amici perché era sicura di sentirsi dire: - Che altro volevi che ti capitasse? - E avrebbero ancora tentato di impedirle queste gite a cui ella non voleva rinunciare. Grazie a Dio, oggi non vi era nessuna donna sui margini della strada! Nel passare dinanzi al viottolo che conduceva all'accampamento, ella guardò con disgusto il gruppo di abitazioni agglomerate nel piccolo avvallamento, sotto ai raggi obliqui del sole pomeridiano. Soffiava un vento freddo che portò alle sue nari un odore misto di fumo di legna, di grasso di porco e di latrine. Percosse con le redini il dorso del cavallo e si affrettò verso la svolta della strada. Proprio mentre cominciava a trarre un respiro di sollievo, si sentí balzare il cuore in gola dallo spavento, vedendo scivolare silenziosamente da dietro a una grossa quercia un negro enorme. Fu terrorizzata ma non tanto da perdere la presenza di spirito. In un attimo il negro affrontò il cavallo, mentre ella afferrava la pistola. - Che vuoi? - gridò Rossella con tutta l'energia di cui era capace. Il grosso negro si rifugiò dietro la quercia e la voce che le rispose era piena di spavento. - Per carità, miss Rossella, non uccidere grosso Sam! Il grosso Sam! Per un attimo rimase ammutolita. Il grosso Sam, il capoccia di Tara, che ella aveva visto per l'ultima volta durante l'assedio... Che diamine... - Vieni fuori e fammi vedere se sei davvero Sam. Egli uscí riluttante dal suo nascondiglio: era una figura gigantesca; aveva i piedi nudi, i calzoni di cotonina rossa e una giacchetta azzurra di uniforme, troppo corta e troppo stretta per lui. Vedendo che era veramente il grosso Sam ella rimise la pistola sotto ai cuscini e sorrise. - Oh, Sam! Che piacere di vederti! Sam galoppò verso il carrozzino, roteando gli occhi dalla gioia e facendo brillare i suoi denti bianchi; con due zampone nere grosse come prosciutti afferrò la mano che ella gli tendeva. La sua lingua rosa si agitava come quella di un cane assetato; era tutto vibrante, e le sue allegre contorsioni erano comiche come le capriole di un mastino. - Mio Dio, essere troppo bello vedere qualcuno della famiglia! - esclamò stringendole la mano in modo da stritolarle le ossa. - E come mai tu andare in giro con pistola, miss Rossella? - Non posso farne a meno, Sam, con tutta la gentaglia che c'è in giro. Ma che diamine fai in un posto cosí ignobile come Shantytown, tu che sei un negro rispettabile? E perché non sei venuto in città a vedermi? - Per fortuna, miss Rossella, io non abitare a Shantytown. Essere qui solo di passaggio. Per niente al mondo io vivere in questo posto. Non aver mai visto simile gentaglia negra. E non sapere che tu essere a 'Tlanta. Credere che tu essere a Tara. E volere andare a Tara appena possibile. - Sei rimasto ad Atlanta dall'epoca dell'assedio? - No, badrona! Io aver viaggiato! - Le lasciò la mano e Rossella agitò a stento le dita per vedere se le ossa erano intatte. - Tu ricordare quando avere visto me l'ultima volta? Rossella ricordò la giornata ardente prima dell'assedio, quando essendo in carrozzino con Rhett aveva incontrato la squadra di negri che marciava verso le fortificazioni cantando «Discendi, Mosè!». Accennò di sí. - Bene. Allora io avere lavorato come una bestia per scavare trincee e riempire sacchi di terra finché Confederati lasciare 'Tlanta. Il capitano che comandare me essere stato ammazzato e non essere piú nessuno per dire a grosso Sam cosa dover fare; e allora io rimanere sdraiato fra cespugli. E poi pensare di andare a casa, a Tara, ma sentir dire che tutto paese intorno a Tara essere bruciato. E poi non saper come fare per tornare perché avere paura che pattuglie prendermi perché io non avere passaporto. Allora arrivare yankees; e un militare colonnello, avere visto me e avermi preso per badare a sua casa e pulire sue scarpe. Sí, badrona! E io diventare domestico come Pork, mentre io essere soltanto negro contadino. Io dire a colonnello che io essere negro contadino e lui... Oh, miss Rossella, yankees essere gente molto ignorante! Lui non sapere differenza! E io restare con lui e andare a Savannah insieme quando generale Sherman conquistare e, Dio mio, miss Rossella, io non avere mai visto cose cosí orribili! Rubare e incendiare e... Avere bruciato Tara, miss Rossella? - Vi avevano dato fuoco, ma noi riuscimmo a spegnerlo. - Bene; io essere molto contento di sapere questo. Tara essere mia casa e io voler tornare. E quando guerra essere finita, colonnello dire: «Tu, Sam, tornare al Nord con me. Io pagare buon salario». Come tutti negri, badrona, io volere provare questa famosa libertà prima di tornare a casa, e io andare nel Nord con colonnello. Sissignora, noi andare a Washington e Nuova York e Boston e dove colonnello abitare. Io essere negro viaggiatore! Essere tante case e tante carrozze nelle strade di yankees che tu non potere immaginare! Io avere sempre paura di essere investito! - Ti piaceva il Nord, Sam? Sam si grattò la testa lanosa. - No... non piacere. Colonnello essere molto brav'uomo e capire negri. Ma sua moglie essere diversa. Sua moglie prima volta che vedere me, avermi chiamato «mister». Sí, davvero e io credere di cadere all'indietro quando lei avere detto cosí. Poi colonnello dire a lei di chiamarmi «Sam» e lei chiamarmi cosí. Ma tutti yankees prima volta che mi vedere, chiamare me «mist' O'Hara». E dirmi di sedere con loro come se io essere come loro. Ma io non essermi mai seduto con bianchi ed essere troppo vecchio per imparare. E trattare me come loro, ma dentro loro cuore, miss Rossella, non avere simpatia; loro non amare negri. E avere paura perché io essere cosí grande. E tutti chiedere come essere cani sanguinari e domandare particolari di battiture che io avere ricevute. E io, miss Rossella, non essere mai stato battuto, se Dio vuole! tu sapere che «mist» Geraldo non avere mai permesso di battere negro costoso come me! Quando io avere detto questo e avere raccontato come era buona miss Elena e che avermi curato per una settimana quando io avere polmonite, loro non credere. E io avere tanto desiderio di rivedere miss Elena e Tara, finché non potere piú resistere e una notte scappare e chiedere a tutti i carri che passare la strada per 'Tlanta. Finché arrivare qui; e se tu essere tanto buona di comprarmi biglietto ferrovia, io essere tanto contento di tornare a casa. E rivedere miss Elena e mist' Geraldo! Io avere abbastanza di libertà. Avere bisogno di qualcuno che pensare darmi da mangiare tutti giorni, e dirmi cosa dovere fare e non fare e curarmi quando essere ammalato. Se mi tornasse polmonite, come fare? No, badrona! Loro chiamare me «mist' O'Hara», ma non essere capaci curarmi. E miss Elena curarmi se io essere ammalato e... Che cosa avere, miss Rossella? - Il babbo e la mamma sono morti, Sam. - Morti? Tu non dire la verità, miss Rossella?! Questo non essere modo di trattare povero Sam! - È la verità. La mamma morí quando gli uomini di Sherman vennero a Tara, e il babbo... è finito nel giugno scorso. Non piangere, Sam! Ti prego, altrimenti piango anch'io! No, non piangere! Non posso sopportarlo. Non parliamo di questo adesso. Ti racconterò un'altra volta... Miss Súsele è a Tara e ha sposato un brav'uomo, il signor Will Benteen. E miss Carolene è in un... - Rossella fece una pausa. Non avrebbe mai potuto spiegare a quel gigante piangente che cos'era un convento. - È andata ad abitare a Charleston. Ma Pork e Prissy sono a Tara... Andiamo, Sam, soffiati il naso. Hai proprio desiderio di andare a casa? - Sí; ma non essere come credevo, con miss Elena e... - E non ti piacerebbe restare ad Atlanta e lavorare per me? A me occorre un cocchiere e bisogna che sia uno che possa incutere timore a tutti i mascalzoni che vi sono in giro. - Sí, badrona. Questo essere vero. E io dire a te che non fare bene ad andare in giro sola. Tu non sapere che canaglie essere negri in questi tempi, specialmente quelli che stare qui a Shantytown. Non essere sicuro per te. Io essere qui da due giorni, ma avere sentito loro parlare di te. E ieri, quando tu essere passata e quelle donnacce negre averti detto brutte parole, io avere riconosciuta te, ma tu andare troppo presto e io non potere raggiungerti. Ma io pensare a questa gente! Sicuro! Avere visto che oggi non essere qui attorno nessuno di loro? - L'ho notato; e certo debbo esserne grata a te, Sam. Dunque, che ne dici dell'idea di venire a farmi da cocchiere? - Miss Rossella, grazie, badrona. Ma credere che essere meglio io andare a Tara. Il grosso Sam chinò gli occhi; il suo alluce nudo tracciò inutili segni nella polvere della strada. Sembrava inquieto. - Perché? Ti darò un buon salario. Devi rimanere con me. Il grosso e stupido viso nero sul quale si poteva leggere come su quello di un bimbo, si rialzò a guardarla; vi era un'espressione di timore scritta su quei lineamenti. Si avvicinò e appoggiandosi a un lato del carrozzino, sussurrò: - Miss Rossella, io dovere andare via da 'Tlanta. Dovere andare a Tara dove non potermi trovare. Io... io avere ucciso un uomo. - Un negro? - No, badrona. Un bianco. Un soldato yankee; e loro stare cercando me. Perciò io essere qui a Shantytown. - Com'è stato? - Lui essere ubriaco e avere detto qualche cosa che io non poter sentire e io avergli messo mani sul collo... Non avere avuto intenzione di ammazzarlo, miss Rossella, ma mia mano essere molto forte e prima che io essermi accorto, lui già morto. E io avere tanta paura che non sapere cosa fare! Allora essere venuto a nascondermi qui e quando ieri averti visto passare, avere detto: «Mio Dio! Quella miss Rossella! Lei pensare a me. Non farmi prendere dagli yankees. Lei rimandare me a Tara». - Dici che ti cercano? Sanno che sei stato tu? - Sí, badrona. Io essere cosí alto che non potere essere scambiato con altro. Credo che essere il negro piú alto di 'Tlanta. Essere già venuti a cercarmi qui ieri sera, ma una donna negra avermi nascosto in una capanna nei boschi finché loro essere andati via. Rossella aggrottò le ciglia riflettendo. Non era affatto spaventata o spiacente che Sam avesse commesso un delitto; soltanto era delusa di non poterlo avere come cocchiere. Un negro grande come Sam sarebbe stato una guardia del corpo non meno sicura di Baldo. Pazienza; bisognava trovar modo di farlo andare a Tara, perché non cadesse in mano delle autorità. Valeva troppo per lasciarlo impiccare! Era stato il miglior capoccia che Tara avesse mai avuto! Rossella non riusciva a concepire che adesso era libero. Apparteneva ancora a lei, come Pork, Mammy, Pietro, la cuoca e Prissy. Era ancora «uno della famiglia»; e come tale doveva essere protetto. - Ti manderò a Tara stasera - disse finalmente. - Ora, Sam, io devo andare ancora avanti un tratto; ma sarò di ritorno prima del calar del sole. Tu mi aspetterai qui. Non dire a nessuno dove vai; e cerca se puoi procurarti un cappello per nasconderti il viso. - Io non avere cappello. - Tieni, eccoti un quarto di dollaro. Compra un cappello da uno di questi luridi negri e aspettami qui. - Sí, badrona. - Il suo viso brillava per il sollievo di avere qualcuno che gli diceva che cosa doveva fare. Rossella proseguí pensierosa. Certamente per Will un buon coltivatore sarebbe il benvenuto a Tara. Pork non era mai stato un grande aiuto, come contadino, e non lo sarebbe mai. Con l'andata di Sam a casa, Pork potrebbe venire a raggiungere Dilcey ad Atlanta, come gli era stato promesso alla morte di Geraldo. Raggiunse lo stabilimento che il sole era già al tramonto; piú tardi di quanto aveva creduto. Johnnie Gallegher era sulla soglia della miserabile baracca che serviva da cucina per il piccolo accampamento. Su un tronco dinanzi alla casupola di pietra che serviva da dormitorio sedevano quattro dei cinque galeotti che rappresentavano il personale dello stabilimento. Le loro uniformi erano sporche e bagnate di sudore; ad ogni movimento si udiva il tintinnare delle loro catene, ed essi avevano un'aria di apatia e di disperazione. «Come sono macilenti e malsani» pensò Rossella guardandoli duramente; eppure quando li aveva presi, poco tempo prima, erano in migliori condizioni! Non alzarono neanche gli occhi quando ella scese dal carrozzino, ma Johnnie si volse verso di lei sollevando incurantemente il cappello. Il suo piccolo viso bruno era duro come una noce. - Non mi piace l'aspetto di quegli uomini - disse Rossella bruscamente. - Sembra che stiano poco bene. Dov'è l'altro? - Dice che è ammalato - rispose laconicamente Johnnie. - È nella sua amaca. - Che cos'ha? - Soprattutto pigrizia. - Vado a vederlo. - Non ci andate. Probabilmente è nudo. Ci penso io. Domani tornerà al lavoro. Rossella esitò; in quel momento vide uno dei forzati alzare stancamente il capo e lanciare a Johnnie un'occhiata carica d'odio prima di riabbassarlo. - Li avete frustati? - Scusate, signora Kennedy, chi è che dirige lo stabilimento? Voi mi avete messo a questo posto e mi avete affidato la direzione. Mi avete dato libertà d'azione. Avete da lamentarvi di me? Non ho fatto per voi il doppio di quello che faceva il signor Elsing? - Sí, questo è vero. - Ma un brivido percorse Rossella da capo a piedi. Vi era qualche cosa di sinistro in quel baraccamento; qualche cosa che ai tempi di Ugo Elsing non vi era. Un senso di solitudine, di abbandono che la fece raccapricciare. Quei forzati erano lontani da tutto e da tutti, e cosí completamente alla mercé di Johnnie Gallegher, che se egli li avesse frustati o comunque mal trattati, probabilmente lei non lo avrebbe mai saputo. E coloro non oserebbero lagnarsi con lei, per timore di peggiori punizioni dopo la sua partenza. - Sono sparuti. Date loro abbastanza da mangiare? Eppure Dio sa che per il loro vitto spendo tanto che potrebbero essere grassi come porcelli. Soltanto la farina e la carne di maiale sono costate trenta dollari il mese scorso. Che cosa date loro per cena stasera? Si avvicinò alla baracca e guardò dentro. Una grassa mulatta, che era curva su un vecchio fornello arrugginito, si volse abbozzando un saluto e continuò a mescolare in una casseruola dove cuocevano dei fagioli. Rossella sapeva che Johnnie Gallegher viveva con quella donna; ma ritenne che fosse meglio fingere di ignorarlo. Vide che eccettuato i fagioli e un pane di granturco non vi erano altri preparativi per la cena. - Non fate altro per questi uomini? - No, signora. - C'è della carne a cuocere insieme a quei fagioli? - No, signora. - Non c'è lardo? Ma i fagioli non valgono nulla senza lardo. Non nutrono abbastanza. Perché non c'è lardo? - Mist' Johnnie dice che è inutile. - Dovete mettercelo. Dove tenete le provviste? La negra volse gli occhi spaventati verso un piccolo armadio a muro che serviva da dispensa e che Rossella spalancò. Vi era a terra un bariletto aperto di farina di granturco, un sacchetto di farina di frumento, una libbra di caffè, un poco di zucchero, un barattolo di sorgo e due prosciutti. Uno di questi, posato sulla scansia, era stato cotto da poco e ne erano state tagliate un paio di fettine. Rossella si voltò verso Johnnie come una furia e incontrò il suo sguardo incollerito. - Dove sono i cinque sacchi di farina di frumento che vi ho mandato la settimana scorsa? E il sacco di zucchero e quello di caffè? Ho mandato cinque prosciutti e dieci libbre di lardo e non so quanti sacchi di ignami e di patate... Dove sono? Non potete averle consumate in una settimana, anche dando agli uomini cinque pasti al giorno. Avete venduto tutto, ladro che siete! Venduto i miei viveri e vi siete messo in tasca il denaro; e a questi uomini date fagioli e pane di granturco! Sfido che sono cosí magri! Levatevi di lí. Gli passò davanti impetuosamente e andò alla porta. - Ehi, voi lí in fondo! Sí, voi...! Venite qui! L'uomo si alzò e andò goffamente verso di lei, facendo tintinnare le catene; ella vide che i suoi malleoli nudi erano rossi e irritati per lo strofinare del ferro. - Quando avete avuto del prosciutto l'ultima volta? L'uomo guardò a terra. - Parlate! L'uomo continuò a tacere, avvilito. Finalmente alzò gli occhi, guardò Rossella implorando e li riabbassò. - Paura di parlare, eh? Bene, andate in dispensa e prendete quel prosciutto sulla scansia. Rebecca, dàgli il tuo coltello. Voi, portate il prosciutto a quegli uomini e dividetelo con loro. E tu, Rebecca, prepara delle focacce e del caffè per costoro. E dàgli del sorgo in abbondanza. Subito, cosí vedo mentre glielo dai. - Questo essere caffè privato e farina di mist' Johnnie - azzardò Rebecca sgomentata. - Di mister Johnnie, proprio?! Suppongo che anche il prosciutto sia suo. Fai quello che ti dico. Sbrigati. Johnnie Gallegher, venite con me fino al carrozzino. Attraversò lo spiazzo in disordine e si arrampicò nel veicolo, osservando con cupa soddisfazione che gli uomini strappavano il prosciutto a brandelli che ficcavano voracemente in bocca. Sembrava che temessero che qualcuno potesse da un momento all'altro rapir loro quel cibo. - Siete un vero furfante! - gridò furibonda a Johnnie che era accanto alla ruota, col cappello ricacciato indietro sulla fronte aggrottata. - E mi consegnerete il prezzo dei miei viveri. Per l'avvenire vi porterò le provviste giorno per giorno invece di mandarvi il necessario per un mese. Cosí non potrete truffarmi. - Per l'avvenire io non ci sarò. - Vi licenziate?! Ebbe l'impulso di gridare: «Tanto meglio!» ma la fredda mano della prudenza la trattenne. Che farebbe, se Johnnie se ne andasse? Con lui, era stato prodotto il doppio di legname di quanto se ne produceva sotto la gestione di Ugo. E proprio adesso ella aveva ricevuto una grande ordinazione, la piú grossa che avesse mai avuta; ed era urgente. Se Johnnie se ne andava, chi provvederebbe alla gestione dello stabilimento? - Sí, mi licenzio. Voi mi avete dato qui pieni poteri, e mi avete detto che da me non volevate altro se non la maggior quantità possibile di legname. Non mi avete detto allora che sistemi dovevo usare; e non intendo che veniate a dirmelo adesso. Non potete lagnarvi che io non abbia rispettato il contratto. Come ottengo il risultato, è cosa che non vi riguarda. Vi ho fatto guadagnare del denaro e ho ben guadagnato il mio salario... e quello che ho potuto arrangiare in piú. E adesso voi venite qui a immischiarvi, a rivolgere delle domande agli uomini, a distruggere la mia autorità. Come volete che, dopo questo, io possa conservare la disciplina? Che vi importa se occasionalmente qualcuno riceve un colpo di frusta? Sono degli indolenti che meritano anche di peggio. E se anche non sono rimpinzati?... Non meritano di meglio. O vi occupate degli affari vostri e lasciate che io mi occupi dei miei, o me ne vado stasera stessa. Il suo viso duro era piú spietato che mai; e Rossella si sentí incerta sul da farsi. «Che farò, se se ne va stasera? Non posso rimanere tutta la notte a guardia dei galeotti!» Evidentemente il suo volto rivelò il suo pensiero, perché l'espressione di Johnnie mutò alquanto e i suoi occhi sembravano meno crudeli. Anche la sua voce suonò meno aspra. - Si fa tardi, signora Kennedy; è meglio che andiate a casa. Non ci guasteremo per una piccola cosa come questa; vi pare? Potete trattenere dieci dollari sul mio stipendio del mese prossimo e siamo pari. Gli sguardi di Rossella andarono involontariamente al miserabile gruppo che stava divorando il prosciutto; poi pensò al malato. Avrebbe dovuto liberarsi di Johnnie Gallegher che era un ladro e un aguzzino. Chi sa che cosa faceva a quei disgraziati quando lei non c'era... Ma, d'altra parte era abile; e lei aveva bisogno di un uomo che sapesse il fatto suo. Inutile: ora non poteva mandarlo via. Soltanto, in avvenire sorveglierebbe che i forzati avessero le giuste razioni di vitto. - Vi tratterrò venti dollari - disse brevemente - e tornerò a discutere su questa faccenda di mattina. Raccolse le redini. Ma sapeva che non se ne sarebbe piú parlato. Era un affar finito; e anche Johnnie lo sapeva. Mentre percorreva il viottolo verso la strada di Decatur, la sua coscienza e il suo desiderio di guadagno combatterono un'aspra battaglia. Non vi era scopo ad esporre delle vite umane alla brutalità di quel piccolo uomo. Se uno di quei disgraziati moriva, ella sarebbe colpevole quanto lui, perché lo aveva lasciato a quel posto conoscendo i suoi mali trattamenti. Ma d'altra parte... d'altra parte, quegli uomini avevano il torto di essere dei forzati. Se avevano commesso dei delitti ed erano stati arrestati, meritavano ciò che loro capitava. Ciò in parte sollevò la sua coscienza; ma mentre percorreva la strada, i visi smunti dei forzati le tornarono dinanzi agli occhi. - Oh, vi penserò dopo! - si disse; e ricacciando il pensiero nel fondo piú recondito della sua mente, richiuse la porta del ripostiglio in cui nascondeva le immagini piú segrete.

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Il sole era completamente scomparso quando ella raggiunse la curva della strada poco prima di Shantytown; i boschi dietro a lei erano oscuri. Con la caduta dell'ultimo raggio, una brezza fredda si era messa a soffiare tra i rami, facendo scricchiolare i tronchi nudi e frusciare le foglie secche. Non si era mai trovata fuori a quell'ora sola; era un po' inquieta e avrebbe voluto essere a casa. Non vide il grosso Sam; e nel fermare il cavallo per attenderlo si sentí preoccupata della sua assenza, temendo che gli yankees lo avessero già raggiunto. Udí un passo che veniva dal sentiero che conduceva all'accampamento ed emise un sospiro di sollievo. Sgriderebbe ben bene Sam perché l'aveva fatta aspettare. Ma non era lui. Alla curva apparve un bianco alto e cencioso, accompagnato da un negro tozzo e tarchiato che aveva le spalle e il petto di un gorilla. Ella percosse rapidamente il dorso del cavallo con le briglie e afferrò la pistola. La bestia si mosse per prendere il trotto, ma improvvisamente scartò vedendo il bianco che tendeva la mano. - Signora, potete darmi qualche cosa? Ho fame. - Lèvati davanti - rispose cercando di parlare con voce ferma. - Non ho denaro. Ehi là! - fece poi al cavallo. Con un movimento subitaneo la mano dell'uomo fu sulla briglia. - Affèrrala - gridò al negro. - Probabilmente ha il denaro. nascosto in seno. Ciò che avvenne dopo fu per Rossella come un incubo rapidissimo. Ella sollevò la pistola ma l'istinto le disse di non sparare contro il bianco, per timore di colpire il cavallo. Quando il negro fece per balzare sul carrozzino, con un sogghigno lascivo che gli spalancava la bocca sino alle orecchie, ella sparò a bruciapelo. Non seppe mai se lo aveva colpito o no, perché nell'attimo seguente la pistola le fu strappata di mano con una stretta che quasi le spezzò il polso. Il negro era accanto a lei, tanto che se ne sentiva il fetore, e cercava di trarla giú dal veicolo. Con la mano libera ella si difese ferocemente, graffiandogli il viso; quindi sentí la grossa mano di lui sulla gola e, con un rumore di stoffa lacerata, il suo corpetto fu aperto dal collo alla cintura. Quindi la mano nera frugò tra i suoi seni; ella provò un terrore e una repulsione inimmaginabile e si mise a urlare come una pazza. - Falla tacere! Búttala giú! - gridò ancora il bianco; e la mano nera cercò la bocca di Rossella. Ella la morse con tutta la violenza di cui fu capace e attraverso le grida sentí il bianco bestemmiare e comprese che sulla strada buia era giunto un terzo uomo. La mano nera si staccò dalla sua bocca e il negro fece un salto indietro mentre il grosso Sam gli si lanciava addosso. - Correre, miss Rossella! - gridò Sam lottando col negro; e Rossella, urlante e tremante, afferrò redini e frusta e percosse con entrambi il cavallo. Questo fece un balzo, ed ella sentí che la ruota passava su qualche cosa di soffice e di resistente. Era il bianco che giaceva sulla strada dove lo aveva gettato un pugno di Sam. Impazzita dal terrore, ella percosse ancora il cavallo il quale prese un'andatura folle che faceva ondeggiare e saltare il calessino. Nel suo terrore, sentendo un passo che la inseguiva ella incitava il cavallo perché andasse piú veloce. Se quello scimmione nero la raggiungeva, era sicura che morrebbe prima che egli la toccasse. Una voce gridò dietro a lei: - Miss Rossella! Ferma! Senza rallentare, si voltò tremando e vide il grosso Sam che galoppava dietro a lei, con le sue lunghe gambe che battevano regolarmente il terreno come due stantuffi. Ella trattenne un attimo il cavallo quando Sam le giunse accanto; il negro si lanciò sul carrozzino accoccolandosi accanto a lei. Aveva il viso bagnato di sudore e di sangue; le chiese ansimando: - Tu essere ferita? Averti ferita? Non riuscí a rispondere; ma vedendo la direzione del suo sguardo si accorse che il suo corpetto era aperto fino alla cintura lasciando scorgere il suo seno nudo e il suo copribusto. Con mano tremante avvicinò i due lati e cominciò a piangere tenendo il capo chino, con singhiozzi pieni di spavento. - Dare a me redini - disse Sam strappandogliele. - Avanti, cavallo! La frusta schioccò e il cavallo spaventato prese nuovamente un galoppo furioso che minacciò di rovesciare il calessino nel fosso. - Io sperare di non avere ucciso babbuino nero. Ma non avere aspettato per accertarmi - ansimò ancora. - Ma se averti fatto male, miss Rossella, io tornare indietro a finirlo. - No... no... vai avanti, presto! - singhiozzò Rossella.

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IN un pomeriggio piovoso, poco tempo dopo il primo compleanno di Diletta, Wade indugiava nel salone, avvicinandosi ogni tanto a una finestra per schiacciare il nasino contro i vetri. Era un ragazzetto sottile, con le gambe lunghe, piccolino per i suoi otto anni, tranquillo fino alla timidezza; non parlava mai se non era interrogato. Evidentemente si annoiava ed era in cerca di un passatempo, perché Ella stava in un angolo, occupata con le sue bambole, Rossella sedeva alla scrivania borbottando fra sé mentre sommava una lunga colonna di cifre, e Rhett, sdraiato sul pavimento, faceva ciondolare accanto all'orecchio di Diletta il proprio orologio sospeso alla catena. Piú volte Wade prese qualche libro lasciandolo poi cadere a terra con strepito e sospirando profondamente, finché Rossella si volse a lui irritata. - Dio benedetto, Wade! Vai fuori a giocare. - Non posso. Piove. - Ah? Non me n'ero accorta. Ebbene, fai qualche cosa. Mi fai diventare nervosa, girandolando attorno in quel modo. Vai a dire a Pork che attacchi la carrozza e ti porti da Beau a giocare con lui. - Beau non è in casa - sospirò Wade. - È andato al ricevimento per il compleanno di Raul Picard. Raul era il figliuoletto di Maribella e Renato Picard: un odioso marmocchio pensava Rossella - piú simile a uno scimmiotto che ad un bambino. - Vai a trovare qualcun altro. Chiama Pork. - Nessuno è rimasto a casa. Sono tutti alla riunione da Picard. Tutti... La frase interrotta «tutti... meno io» rimase sospesa a mezz'aria; ma Rossella, immersa nella sua contabilità, non vi badò. Rhett si sollevò a sedere e chiese: - Perché non sei andato anche tu, figliuolo? Wade si strinse a lui, strisciando i piedi imbarazzato. - Non sono stato invitato. Rhett porse il suo orologio alle manine distruttrici di Diletta e si alzò in piedi agilmente. - Lascia un momento quelle maledette cifre, Rossella. Perché Wade non è stato invitato? - Per l'amor di Dio, Rhett! Non infastidirmi adesso. Ashley ha fatto una tal confusione in questi conti... Che dicevi, la riunione infantile? Non è cosa insolita che Wade non sia stato invitato; e se lo fosse non ve lo manderei. Non dimenticare che Raul è il nipotino della signora Merriwether, la quale preferirebbe avere nel suo sacrosanto salotto un negro piuttosto che uno di noi. Rhett, che stava guardando Wade con occhio attento, vide che il bimbo esitava. Vieni qui, figliuolo - disse traendolo a sé, - ti piacerebbe andare a quella riunione? - No, signore - rispose il bimbo coraggiosamente; ma abbassò gli occhi. - Hm... Dimmi un po', Wade: ci vai alle riunioni di Joe Withing o di Franco Bonnell... insomma, di qualunque dei tuoi compagni? - No, signore. Non mi invitano. - Mentisci, Wade! - esclamò Rossella voltandosi. - Sei andato a tre riunioni infantili la settimana scorsa: dai bambini Bart, dai Gelert e dagli Hundon. - Come collezione di muli con finimenti da cavallo, non avresti potuto sceglier di meglio - replicò Rhett con voce dolcemente strascicata. - E ti sei divertito? Parla. - No, signore. - Perché? - Non... non Io so. Mammy... Mammy dice che sono «straccioni bianchi». - La scorticherò viva! - gridò Rossella balzando in piedi. - E quanto a te che parli in questo modo degli amici della mamma... - Il bimbo dice la verità; e anche Mammy - ribatté Rhett. - Ma tu non sei mai stata capace di riconoscere la verità incontrandola... Non ci pensare, figliuolo. Non andrai piú a nessuna riunione che non ti piaccia. Tieni - e trasse di tasca un biglietto di banca - di' a Pork di attaccare la carrozza e fatti condurre in città. Ti comprerai dei dolci... molti dolci, tanti da farti venire un magnifico mal di pancia. Wade, raggiante, intascò la banconota e guardò ansiosamente verso sua madre per averne la conferma. Ma Rossella, con le sopracciglia aggrondate, fissava Rhett. Questi aveva sollevato Diletta dal pavimento e la cullava fra le braccia tenendo il suo visino contro la propria guancia. Rossella non vedeva la sua espressione; ma le parve di scorgere nei suoi occhi quasi una specie di timore... timore e autoaccusa. Incoraggiato dalla generosità del padrigno, Wade gli si avvicinò timidamente. - Zio Rhett, posso chiederti una cosa? - Senza dubbio. - Lo sguardo di Rhett era ansioso, assente, mentre egli stringeva a sé la testolina di Diletta. - Che vuoi? - Zio Rhett, sei stato... hai combattuto durante la guerra? Gli occhi di Rhett si fecero attenti e penetranti, ma la sua voce era indifferente. - Perché vuoi saperlo? - Perché Joe Whiting ha detto che non sei stato soldato; e anche Franco Bonnell. - Ah... E tu che hai risposto? Wade sembrò afflitto. - Ho... ho detto... che non lo sapevo. - E poi con impeto: - Ma non ho dato retta e li ho picchiati. Però tu sei stato alla guerra, zio Rhett? - Sí - proruppe Rhett con violenza improvvisa. - Sono stato alla guerra. Ho appartenuto all'esercito per otto mesi. Ho combattuto sempre, da Lovejoy fino alla battaglia di Franklin, nel Tennessee. Ed ero con Johnston quando si arrese. Wade si gonfiò di orgoglio, ma Rossella rise. - Credevo che ti vergognassi del tuo passato guerresco disse poi. - Non mi avevi detto di tenerlo nascosto? - Taci! - fu la breve risposta di Rhett. - Sei soddisfatto, Wade? - Oh sí! Lo sapevo che eri stato alla guerra. Sapevo che non avevi avuto paura, come dicono loro. Ma... perché non eri coi babbi degli altri bambini? - Perché i padri degli altri bambini erano tanto stupidi che furono messi in fanteria. Io ero un bravo tiratore e perciò mi misero in artiglieria. In quella regolare, non nella Guardia Nazionale. Bisogna essere intelligenti, Wade, per fare gli artiglieri. - Lo credo! - E il volto del bimbo brillava. - Sei stato ferito, zio Rhett? Rhett esitò. - Digli della tua dissenteria! - lo scherní Rossella. Rhett posò la bimba sul pavimento; poi si aperse la camicia tirandola fuori dalla cintura dei calzoni. - Vieni qui, Wade; ti farò vedere dove sono stato ferito. Wade si avvicinò, eccitato, e guardò il punto indicato dal dito di Rhett. Una lunga cicatrice attraversava il suo petto bruno fino all'addome muscoloso. Era il ricordo di un duello a coltellate avuto di California, ma Wade, che non lo sapeva, emise un profondo respiro di felicità. - Scommetto che sei quasi bravo come mio padre, zio Rhett. - Quasi; non del tutto. - E Rhett ficcò nuovamente la camicia nei calzoni. - Ora va e spendi il tuo dollaro; e sappi come devi rispondere a qualunque ragazzo dirà che io non sono stato nell'esercito. Wade uscí saltellando, pieno di gioia, e Rhett prese nuovamente in braccio la pupa. - Ora spiegami il perché di tutte quelle menzogne, mio valoroso soldato! - fece Rossella. - Un ragazzo deve poter essere orgoglioso di suo padre o del suo padrigno. Non posso permettere che provi vergogna dinanzi a quei piccoli bruti. I bambini sono crudeli. - Che sciocchezze! - Non avevo mai pensato che per Wade la cosa avesse importanza - riprese Rhett lentamente. - Non ho mai riflettuto alle sue sofferenze. E per Diletta le cose non andranno cosí. - Cosí come? - Credi che permetterò che la mia piccina si vergogni di suo padre? E sia lasciata fuori dalle riunioni di bimbi quando avrà otto o dieci anni? Credi che permetterò che sia umiliata come Wade per cose di cui non ha colpa ma di cui siamo colpevoli tu ed io? - Oh, le riunioni infantili! - Dopo di quelle, vi sono i ricevimenti per signorine. Credi che io voglia lasciare che mia figlia sia tenuta in disparte dalle persone rispettabili di Atlanta? Non intendo affatto mandarla nel Nord in collegio e in visita perché la buona società di qui o di Charleston, Savannah e Nuova Orléans non la riceve! Né voglio che sia costretta a sposare uno yankee o uno straniero perché le famiglie perbene meridionali non la vorranno... per il fatto che sua madre è stata una pazza e suo padre un mascalzone. Wade che era tornato, si era fermato sulla soglia, ascoltatore interessato ma perplesso. - Diletta potrebbe sposare Beau, zio Rhett. La collera scomparve dal volto di Rhett quando egli si volse verso il fanciullo; egli considerò le sue parole con apparente serietà, come sempre quando discorreva coi bambini. - È vero, Wade. Diletta può sposare Beau Wilkes. Ma tu chi sposerai? - Oh, io non mi sposerò - rispose Wade schiettamente, felice di parlare da pari a pari con la sola persona che, ad eccezione di zia Melly, non lo rimproverava mai e lo incoraggiava sempre. - Io andrò ad Harvard per diventare avvocato, come mio padre; e poi sarò un bravo soldato come lui. - Melly farebbe bene a non parlare tanto! - esclamò Rossella. - Tu non andrai a Harvard, Wade. È una scuola yankee, ed io non voglio che tu la frequenti. Andrai all'Università di Georgia; e quando avrai la laurea, dirigerai i miei stabilimenti. Quanto alla bravura guerresca di tuo padre... - Zitta - impose brevemente Rhett a cui non era sfuggito il brillare degli occhi del bambino quando aveva parlato di quel padre che non aveva mai conosciuto. - Tu crescerai e sarai un brav'uomo come tuo padre, Wade. Cerca di somigliargli, perché era un eroe; e non badare se ti parlano di lui in altro modo. Egli sposò tua madre; dunque questa è una sufficiente prova di eroismo. Ed io farò in modo che tu vada a Harvard e prenda la laurea di avvocato. Ora corri da Pork a dirgli che ti conduca in città. - Ti sarò grata se mi lascerai educare i miei figli a modo mio! - proruppe Rossella appena Wade, ubbidiente, fu uscito trotterellando. - Sei una pessima educatrice. Hai rovinato tutte le possibilità di Wade e di Ella; ma non ti permetterò di fare altrettanto per Diletta. Diletta sarà una principessina e tutti quanti la desidereranno. Non vi sarà luogo ove ella non possa andare. Credi che quando sarà grande le farò fare amicizia con tutta la canaglia che gira qui per casa? - Sono tuoi amici... - E anche tuoi, gioia cara. Ma non li voglio per mia figlia. Ti pare che vorrò farle sposare uno di questa banda di rinnegati con la quale tu passi il tempo? Irlandesi arrivisti, yankees, straccioni bianchi, «Carpetbaggers», pidocchi rifatti... La mia Diletta, col suo sangue dei Butler e dei Robillard... - ... e degli O'Hara... - Gli O'Hara possono essere stati re d'Irlanda una volta, ma tuo padre non era altro che un furbo arrivista. E tu non sei nulla di meglio... Anch'io ho la mia parte di colpa. Ho attraversato la vita come un pipistrello che vola all'impazzata, senza dare importanza a ciò che facevo perché nulla m'interessava. Ma Diletta mi interessa. Dio, che sciocco sono stato! Diletta non sarà ricevuta a Charleston, qualunque cosa facciano mia madre o le tue zie... - Parli tanto seriamente, Rhett, che sei buffo. Diamine, col nostro denaro... - Al diavolo il nostro denaro! Nessuna ricchezza può comprare quello che io voglio per lei. Preferirei che Diletta fosse invitata a mangiare pan secco nella miserabile dimora di Picard o della signora Elsing, anziché essere la ragazza piú ricercata a un gran ballo in onore della Repubblica. Sei stata una sciocca, Rossella. Avresti dovuto assicurarti un posto in società per i tuoi figliuoli anni fa; ma non lo hai fatto. Non ti sei neanche curata di conservare la posizione che avevi. E non si può sperare che tu ti modifichi adesso. Hai troppo desiderio di guadagnare denaro e di tiranneggiare le persone. - Tutto questo mi pare una tempesta in un bicchier d'acqua - affermò freddamente Rossella mentre raccoglieva le sue carte come a indicare che, per quanto la concerneva, la discussione era finita. - Solo la signora Wilkes può aiutarci; e tu fai del tuo meglio per insultarla e allontanarla da noi. Oh, risparmiami le tue osservazioni sulla sua povertà e sui suoi vestiti sciupati. Essa è l'anima di Atlanta e il centro di tutto ciò che qui ha un po' di valore. Meno male. Sono certo che mi aiuterà. - E che intendi di fare? - Mi propongo di coltivare tutti i dragoni-femmina della Vecchia Guardia, specialmente le signore Merriwether, Elsing, Whiting e Meade. Se anche dovessi strisciare dinanzi a ogni vecchia strega che mi detesta, lo farò. Sopporterò con pazienza la loro freddezza e mi farò vedere pentito del mio passato. Contribuirò alle loro maledette beneficenze e andrò nelle loro chiese. Ammetterò i servigi che ho resi alla Confederazione, vantandomene e, peggio di tutto, farò parte del loro Klan... quantunque speri che un Dio misericordioso non vorrà mettere sulle mie spalle un peso cosí grave. E non esiterò a ricordare a quei pazzi a cui salvai la vita che essi mi debbono riconoscenza. E tu, mia cara, ti guarderai bene dal distruggere dietro le mie spalle tutto il mio lavoro, vietando ipoteche a coloro a cui faccio la corte, vendendo loro cattivo legname o altre cose del genere. E il Governatore Bullock non rimetterà mai più i piedi in questa casa. Hai capito? E neanche i componenti di quella banda di malfattori eleganti coi quali hai fatto amicizia. Se malgrado questo persisterai ad invitarli, ti troverai nella posizione imbarazzante di non avere in casa un marito che ti aiuti a ricevere. Se coloro vengono in casa, io passerò quelle ore nel bar di Bella Watling, raccontando a tutti quanti che non voglio stare sotto lo stesso tetto con quella gente. Rossella che lo aveva ascoltato in preda a viva irritazione, rise. - Dunque il giocatore di professione e lo speculatore vuol diventare una persona rispettabile! Ti dirò allora che il primo passo verso la rispettabilità dovrebbe essere la vendita della casa di Bella Watling. Era un colpo sparato alla cieca. Rossella non era mai stata assolutamente certa che suo marito fosse proprietario di quella casa. Rhett rise a sua volta, come se le avesse letto nel pensiero. - Grazie per il suggerimento.

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Il suo abito nuovo di mussolina verde a fiori si allargava in pieghe ondeggianti sulla gonna a cerchi ed armonizzava a perfezione con le scarpine di marocchino verde dal tacco basso che suo padre le aveva portato recentemente da Atlanta. L'abito fasciava mirabilmente il vitino di quaranta centimetri di circonferenza, il piú sottile nelle tre contee, e disegnava il seno, abbastanza maturo per i suoi sedici anni. Malgrado la castità dell'amplissima gonna, la semplicità con cui i capelli erano intrecciati e raccolti in un nodo, la compostezza delle bianche mani congiunte nel grembo, la sua vera personalità non riusciva a celarsi. Gli occhi verdi erano vivacissimi nel visino dolce, pieni di volontà, avidi di vita, in assoluto contrasto col suo contegno riservato. Questo derivava dagli affettuosi consigli materni e dalla severa disciplina della bambinaia; ma gli occhi erano suoi ed erano indipendenti. Seduti a fianco della fanciulla, i gemelli stavano comodamente appoggiati alle spalliere delle loro sedie; socchiudevano alla luce del sole gli occhi muniti di occhiali montati in metallo e ridevano e chiacchieravano incrociando pigramente le lunghe gambe dai saldi muscoli di cavalcatori. Avevano diciannove anni, erano alti un metro e novanta; coi volti abbronzati e i capelli fulvi, gli occhi dall'espressione gaia e arrogante, vestiti di identiche giacche turchine e calzoni da cavalcare color mostarda, si somigliavano come due piante di cotone. Fuori, il sole del tardo pomeriggio scendeva all'orizzonte e illuminava il cortile avvolgendo in una gloria di raggi gli alberi di còrniolo che formavano solide masse di fiori bianchi su uno sfondo verde tenero. I cavalli dei gemelli, due grossi animali rossicci come i capelli dei loro padroni, zampavano sulla strada maestra; attorno a loro squittiva e saltellava la muta dei veltri magri e nervosi che accompagnava Stuart e Brent dovunque andassero. Un po' in disparte, con aria aristocratica, era sdraiato un grosso cane da pastore, che, col muso posato sulle zampe anteriori, aspettava pazientemente che i giovanotti andassero a casa per la cena. Fra i cani, i cavalli e i due gemelli era un'affinità piú profonda di quella derivante dall'essere sempre insieme. Erano tutti giovani animali sani, spensierati, graziosi e vivaci; i ragazzi focosi e temerari come i loro cavalli ma, con tutto ciò, docili e ubbidienti con chi sapeva come trattarli. Benché fossero nati fra le agiatezze della vita della piantagione e fossero stati serviti in tutto e per tutto sin dall'infanzia, i volti dei tre giovani seduti sotto al porticato non avevano l'aspetto languido né molle. Avevano piuttosto il vigore e la vivacità di coloro che hanno passato tutta la vita all'aria aperta e non si sono troppo occupati di malinconia e di libri. La vita nella contea di Clayton nella Georgia settentrionale era ancora agli inizi, né aveva lo sviluppo già raggiunto in Augusta, Savannah, Charleston. Le provincie meridionali piú vecchie e piú tranquille guardavano con un certo disdegno gli abitanti di quella parte della regione che confinava coi loro paesi; ma qui, nella parte settentrionale, la mancanza di certe finezze dell'educazione classica non era considerata una vergogna, purché questa fosse compensata dall'abilità nelle cose che piú importavano. E queste erano: il coltivare del buon cotone, saper cavalcare, ballare con leggerezza, tirare al bersaglio, inchinarsi alle signore con eleganza e comportarsi come un gentiluomo di fronte ai liquori. Tutte cose in cui i gemelli eccellevano: ed essi erano ugualmente saldi nella loro notoria incapacità ad apprendere qualunque cosa fosse contenuta fra le pagine di un libro. La loro famiglia aveva piú danaro, piú cavalli e piú schiavi di qualsiasi altra nel paese; ma i ragazzi avevano meno nozioni grammaticali di quante ne avesse la maggior parte dei loro poveri vicini. Questa la ragione per cui Stuart e Brent poltrivano sotto il porticato di Tara in quel pomeriggio d'aprile. Erano stati espulsi in quei giorni dall'Università di Georgia; la quarta Università che li metteva alla porta in due anni; i due fratelli maggiori, Tom e Boyd, erano tornati sempre a casa anche loro, non volendo rimanere in un istituto dove i gemelli non erano i benvenuti. Stuart e Brent consideravano la loro ultima espulsione come un bellissimo scherzo; e Rossella, che da quando aveva lasciato l'anno prima l'Accademia femminile di Fayetteville non aveva piú aperto un libro, lo trovava anch'essa divertentissimo. - Sapevo che a voi due non importava nulla di essere espulsi; e neanche a Tom - disse. - Ma Boyd? È uno di quelli che tengono ad avere un'educazione, e voi due gli avete fatto lasciare le Università di Virginia, di Alabama e della Carolina del Sud; e ora quella di Georgia. Con questo sistema, non riuscirà mai a finire gli studi. - Oh, potrà leggere il codice nell'ufficio del giudice Parmalee a Fayetteville - rispose Brent incurante. - Del resto, ciò non ha importanza. Tanto saremmo dovuti tornare a casa ad ogni modo, prima che fosse finito il corso. - Perché? - La guerra, ochetta! Può darsi che scoppi da un giorno all'altro; e non puoi supporre che qualcuno di noi resti in collegio mentre c'è la guerra! - Sai benissimo che la guerra non ci sarà - fece Rossella seccata. - Son tutte chiacchiere. Ashley Wilkes e suo padre hanno detto la settimana scorsa al babbo che i nostri commissari a Washington stanno per venire ad un... un... accordo amichevole col signor Lincoln riguardo alla Confederazione. E ad ogni modo, gli yankees hanno troppa paura di noi per combattere. Non ci sarà nessuna guerra ed io sono stufa di sentirne parlare. - Non ci sarà la guerra! - esclamarono indignati i gemelli, come se qualcuno li avesse truffati. - Ti assicuro, tesoro, che la guerra ci sarà - affermò Stuart. - Può darsi che gli yankees abbiano paura di noi, ma dopo il modo con cui il generale Beauregard li ha messi fuori dal Forte Sumter l'altro ieri, bisognerà che si battano se non vogliono essere bollati come codardi dinanzi al mondo intero. La Confederazione... Rossella fece una smorfia di noia e di impazienza. - Se pronunciate ancora una volta la parola «guerra» me ne vado in casa e chiudo la porta. Nessuna parola in vita mia mi è mai parsa tanto insopportabile, se non la parola «secessione». Il babbo parla di guerra la mattina, a mezzogiorno e la sera, e tutti quelli che vengono a trovarlo non fanno che nominare il Forte Sumter e i Diritti di Stato e Abe Lincoln, finché mi sento cosí esasperata che avrei voglia di urlare! E poi vi sono anche tutti i ragazzi che ne parlano. In tutta la primavera non c'è stato nessun divertimento, nessuna riunione perché i giovinotti non possono parlare d'altro. Sono stata tanto contenta che almeno la Georgia abbia aspettato dopo Natale a separarsi, altrimenti anche i ricevimenti natalizi sarebbero andati a monte. Se pronunciate ancora la parola «guerra» me ne vado in casa. E lo avrebbe fatto, perché era incapace di sopportare per molto tempo una conversazione di cui ella non fosse l'argomento principale. Ma sorrideva nel parlare, sicché sulle sue guance si formavano due graziose fossette, e le sue lunghe ciglia nere palpitavano come ali di farfalla. I ragazzi furono affascinati, com'ella aveva previsto, e si affrettarono a chiederle scusa per averla annoiata. La sua mancanza di interessamento non la diminuiva ai loro occhi; essi pensavano che la guerra era una cosa che riguardava gli uomini e non le donne, e il suo atteggiamento parve anzi a loro una prova della sua femminilità. Essendo riuscita a sviarli dal noioso argomento della guerra, ella tornò ad interessarsi della loro situazione immediata. - Che cosa ha detto la mamma del fatto che siete stati nuovamente espulsi? I ragazzi si sentirono a disagio, ricordando qual era stata la condotta della mamma tre mesi prima, quando essi erano tornati dall'Università di Virginia. - Veramente - disse Stuart - non ha ancora avuto occasione di dir nulla. Stamattina noi e Tom siamo usciti presto, prima che si alzasse; Tom si è fermato dai Fontaine mentre noi siamo venuti qui. - E ieri sera, quando siete arrivati, non ha detto nulla? - Oh, siamo stati fortunati. Poco prima del nostro arrivo, era stato portato il nuovo stallone che Mammà si è procurato il mese scorso nel Kentucky, e tutti erano sottosopra. Quel bestione - è un gran cavallo, Rossella; devi dire a tuo padre di venirlo a vedere - aveva già dato un morso, cammin facendo, al garzone che lo aveva condotto e aveva calpestato due negri di Mammà che erano andati all'arrivo del treno a Jonesboro. E pochi minuti prima del nostro arrivo aveva mezzo demolito la stalla a calci e quasi ammazzato Strawberry, il vecchio stallone di Mammà. Abbiamo visto Mammà fuori della stalla con un sacchetto di zucchero, che cercava di ammansirlo, e vi riusciva. I negri, tutti spaventati, stavano a guardare Mammà che parlava col cavallo come se fosse una persona e gli dava da mangiare in mano. Nessuno sa trattare i cavalli come Mamma. Quando ci ha visti ha detto: «In nome del cielo, che diamine siete tornati a fare a casa? Siete peggio delle piaghe d'Egitto!» Allora il cavallo cominciò a sbuffare e a impennarsi, e Mammà a gridare: «Via, andate via! Non vedete che è nervoso, questo tesoro? Andate, mi occuperò di voi domattina!» Cosí ce ne andammo a letto e stamattina ci siamo alzati prima di lei e abbiamo lasciato Boyd a casa per parlarle. - Credi che lo picchierà? - Come tutti gli abitanti della Contea, Rossella non riusciva a capire come la piccola signora Tarleton trattasse cosí tirannicamente i figliuoli grandi e li percuotesse col suo frustino quando l'occasione lo richiedeva. Beatrice Tarleton era una donna attiva, che dirigeva non solo la sua grande piantagione di cotone, con un centinaio di negri, e otto figliuoli, ma anche il piú grande allevamento di cavalli della contrada. Era di umor vivo e facilmente irritata dalle frequenti scappate dei suoi quattro figli; e, mentre a nessuno era permesso di frustare un cavallo o uno schiavo, ella riteneva che una bastonata ogni tanto non facesse alcun male ai ragazzi. - Oh, non lo batterà di certo. Non lo ha mai picchiato molto perché è il piú vecchio ed è anche il nano della famiglia - riprese Stuart fiero del suo metro e novanta. - Perciò lo abbiamo lasciato a casa a darle le spiegazioni. Dio benedetto, Mammà dovrebbe smetterla di frustarci! Abbiamo diciannove anni e Tom ne ha ventuno e lei ci tratta come se fossimo bambini di sei anni! - E cavalcherà il suo nuovo cavallo domani; alla riunione dei Wilkes? - Ne avrebbe il desiderio, ma il Babbo dice che è troppo pericoloso. E poi, le ragazze non glielo permetteranno. Vogliono vederla intervenire almeno una volta a una riunione in carrozza, come una signora. - Speriamo che non piova, domani - prosegui Rossella; - da una settimana piove tutti i giorni. Non c'è niente di piú noioso di una merenda fatta in casa. - Oh, sarà bel tempo e caldo come in giugno - affermò Stuart. - Guarda il tramonto: non ne ho mai visto di piú rossi. Sai che dal tramonto si può sempre prevedere che tempo farà il giorno seguente. Guardarono verso l'orizzonte vermiglio, oltre gli sterminati campi di cotone di Geraldo O'Hara. Ora che il sole stava declinando avvolto di porpora dietro le colline al di là del fiume Flint, il calore della giornata d'aprile dava luogo a una piacevole frescura. La primavera era giunta in anticipo quell'anno, con piogge tepide e un improvviso spumeggiare di rosei fiori di pesco; i còrnioli macchiavano di grosse chiazze candide la palude scura e le colline lontane. L'aratura era quasi terminata e la gloria sanguigna del tramonto dava ai solchi di rossa terra della Georgia una tinta anche piú ardente, il terriccio umido che attendeva avidamente i semi del cotone appariva roseo nel fondo sabbioso dei solchi, vermiglio, scarlatto e focato dove si stendevano le ombre sui lati dei fossati. La casa di pietra intonacata di bianco sembrava un'isola in un selvaggio mare purpureo, un mare le cui onde si fossero improvvisamente pietrificate nel momento in cui si frangevano. Perché quivi non erano solchi lunghi e dritti come si vedevano nei campi di argilla giallastra della piatta Georgia centrale o nella terra nera delle piantagioni che sorgevano sulla costa. L'ondulosa e collinosa campagna della Georgia settentrionale era lavorata in un'infinità di curve per impedire che la terra generosa franasse e andasse a finire in fondo al fiume. Era un terriccio di un violento colore sanguigno dopo le piogge, simile a polvere di mattone durante i periodi di siccità; la migliore del mondo per la coltivazione del cotone. Un piacevole paesaggio di case bianche, di campi tranquilli e ben lavorati, di pigri fiumi dall'acqua giallastra; ma pieno di contrasti, di sole abbagliante e di ombre dense. Le zone dissodate e le vaste estensioni di campi di cotone sorridevano a un sole caldo, placido e compiacente. Ai loro margini sorgevano le foreste vergini, fresche ed oscure anche nei meriggi piú ardenti, misteriose, un po' sinistre, ove i pini sembravano attendere con secolare pazienza e mormorare minacciosi: «Badate! State attenti! Vi abbiamo avuti una volta. Possiamo riprendervi nuovamente». All'orecchio dei tre sotto al porticato giunse uno strepito di zoccoli, un tintinnar di catene di bardature e il riso stridente dei negri, poiché lavoratori e mule tornavano dai campi. Dall'interno della casa si udí la voce dolce della madre di Rossella, Elena O'Hara, chiamare la bimba negra che portava il suo cestello di chiavi. La voce acuta infantile rispose: - Eccomi, signora - e vi fu uno scalpiccío nel retro della casa, verso il luogo dove si conservavano i viveri affumicati e dove Elena doveva misurare il cibo per i coltivatori che tornavano a casa. Vi fu un acciottolio di porcellane e un tramestio di argenti quando Pork, il domestico-maggiordomo di Tara, apparecchiò la tavola per la cena. Udendo questi ultimi rumori, i gemelli si accorsero che era ora di muoversi per tornare a casa. Ma non avevano nessuna voglia di trovarsi di fronte alla madre e rimasero ancora a gingillarsi sotto al porticato aspettando da un momento all'altro che Rossella li invitasse a rimanere a cena. - A proposito, Rossella. E per domani? - cominciò Brent. - Non sarebbe giusto che essendo stati via e ignorando dell'invito e del ballo, dovessimo essere privati di ballare con te domani sera. Non avrai promesso tutti i balli, spero? - Sicuro che li ho promessi! Come potevo sapere che sareste tornati? Non potevo correre il rischio di rimanere a far tappezzeria per aspettarvi! - Tu, far tappezzeria! - i ragazzi risero saporitamente. - Senti, cara - riprese Brent. - Mi darai il primo valzer e darai l'ultimo a Stu; e cenerai con noi. Staremo seduti sulla scaletta dell'approdo come abbiamo fatto all'ultimo ballo e ci faremo dire nuovamente la buona ventura da Mammy Jincy. - Non mi piacciono le predizioni di Mammy Jincy. Sapete benissimo che ha detto che dovevo sposare un signore coi capelli nerissimi e lunghi baffi neri; e sapete che non mi piacciono gli uomini bruni. - Ti piacciono i fulvi, non è vero, gioia? - rise Brent. - Via, promettici tutti i valzer e la cena. - Se ce li prometti, ti riveliamo un segreto - soggiunse Stuart. - Quale? - esclamò Rossella, ansiosa come una bambina. - Quello che abbiamo saputo ieri ad Atlanta, Stu? Se è quello, sai che abbiamo promesso di non parlare. - Sicuro; ce l'ha detto la signorina Pitty. - La signorina chi? - Sai, quella cugina di Ashley Wilkes che sta ad Atlanta: la signorina Pittypat Hamilton; la zia di Carlo e di Melania Hamilton. - La conosco; non ho mai conosciuto una vecchia piú stupida. - Ebbene: ieri mentre eravamo ad Atlanta aspettando il treno per venire qui, la incontrammo in carrozza; si fermò a parlarci e ci disse che domani sera al ballo di Wilkes verrà annunziato un fidanzamento. - Oh, lo so! - esclamò Rossella delusa. - Quell'idiota di suo nipote, Carletto Hamilton, con Gioia Wilkes. Lo sappiamo da anni che un giorno o l'altro dovevano sposarsi, benché lui sia abbastanza tiepido. - Credi che sia un idiota? - chiese Brent. - A Natale hai lasciato che ti ronzasse intorno parecchio. - Non potevo impedirgli di ronzare - e Rossella alzò le spalle negligentemente. - Ma credo che sia proprio uno scemo. - Del resto, non è il suo fidanzamento quello che sarà annunciato - dichiarò Stuart trionfante - ma quello di Ashley con la sorella di Carletto, Melania. Il volto di Rossella non mutò, ma le sue labbra si sbiancarono, come capita a chi riceve un colpo violento senza preavviso e che, nel primo momento, non si rende ben conto di quanto accade. La sua espressione era cosí calma che Stuart, poco osservatore, ritenne per certo che ella fosse soltanto sorpresa e molto incuriosita. - La signorina Pitty ci ha detto che non volevano annunciarlo ufficialmente fino all'anno venturo, perché Melania è stata poco bene; ma con le voci di guerra che ci sono in giro, le famiglie hanno pensato che era meglio sollecitare il matrimonio. Cosí il fidanzamento sarà annunciato domani sera, durante la cena. Ora che ti abbiamo detto il segreto, devi prometterci di cenare con noi. - Senza dubbio - rispose Rossella automaticamente. - E tutti i valzer? - Tutti. - Sei un tesoro! Scommetto che gli altri saranno furenti. - Che ce ne importa? - disse Brent. - In caso l'avranno da fare con noi. Un'altra cosa, Rossella: domattina, a mangiare la porchetta, siedi accanto a noi. - Che cosa? Stuart ripeté la domanda. - Va bene. I gemelli si guardarono giubilanti ma con una certa sorpresa. Benché si ritenessero i corteggiatori favoriti di Rossella, non avevano mai fino ad ora ottenuto cosí facilmente dei segni del suo favore. Di solito ella lasciava che pregassero e supplicassero, prendendoli in giro, rifiutando di dire un sí o un no, ridendo quando si imbronciavano, diventando glaciale quando si adiravano. Ed ora aveva promesso praticamente di trascorrer con loro tutta la giornata seguente: stare con loro durante quella colazione all'aperto in cui si mangiava la porchetta arrostita intera, e poi tutti i valzer (avrebbero pensato loro a far suonare soltanto dei valzer!) e la cena. Valeva la pena di farsi espellere dall'Università. Pieni di nuovo entusiasmo per il loro successo, si gingillarono parlando del pic-nic, del ballo e di Ashley Wilkes e di Melania Hamilton, interrompendosi l'un l'altro, scherzando e ridendo e cercando di farsi invitare a cena. Passò un po' di tempo prima che si accorgessero che Rossella non parlava. L'atmosfera era mutata. I gemelli non capirono perché, ma lo splendore del pomeriggio era scomparso. Sembrava che Rossella prestasse poca attenzione a ciò che essi dicevano, benché rispondesse correttamente. Intuendo qualche cosa che non riuscivano a comprendere, annoiati e contrariati, i gemelli esitarono alquanto; quindi si alzarono con riluttanza, guardando i loro orologi. Il sole era basso al di là dei campi arati, e i grandi boschi oltre il fiume apparivano piú grandi nei loro neri profili. Le ombre dei comignoli spiccavano sul cortile; e galline, anatre, tacchini attraversavano i campi barcollando sulle gambe corte. Stuart urlò: - Jeems! - Dopo un istante un giovinotto negro della loro età, alto e robusto, corse ansante, girando attorno alla casa verso i cavalli legati. Era il loro servitore e, come i cani, li accompagnava dovunque. Era stato il compagno di giochi della loro infanzia, regalato poi ai gemelli, in loro proprietà, per il loro decimo compleanno. Vedendolo, i cani dei Tarleton si alzarono dalla rossa polvere e rimasero ad attendere i loro padroni. I ragazzi si inchinarono e strinsero la mano a Rossella dicendole che l'indomani mattina si sarebbero trovati di buon'ora ad attenderla dinanzi alla casa dei Wilkes. Quindi si affrettarono a raggiungere i loro cavalli, balzarono in sella e, seguiti da Jeems, si avviarono al galoppo lungo il viale di cedri, agitando i cappelli ed emettendo grida di saluto. Oltrepassata la curva della strada polverosa che li nascondeva alla vista di Tara, Brent fermò il suo cavallo sotto a una macchia di còrnioli. Anche Stuart si fermò e il ragazzo negro rimase a qualche passo di distanza. I cavalli, sentendo che le redini erano lente, allungarono il collo a brucare le tenere erbette primaverili, e i cani pazienti si sdraiarono nuovamente nella soffice polvere rossa e guardarono con bramosa nostalgia il fumo dei comignoli che svaniva nel cielo crepuscolare. La larga faccia ingenua di Brent aveva un'espressione di stupore e di lieve indignazione. - Senti: non ti pare che avrebbe dovuto invitarci a cena? - disse a suo fratello. - Infatti - rispose Stuart. - Credevo che lo avrebbe fatto. Lo aspettavo. E invece non ci ha detto nulla. Che ne dici? - Niente. Ma mi pare che avrebbe dovuto invitarci. Dopo tutto, è il primo giorno che siamo a casa, e avevamo tante altre cose da dirle. - Quando siamo arrivati, mi è sembrato che fosse molto contenta di vederci. - È sembrato anche a me. - E poi, circa mezz'ora fa, è diventata silenziosa come se avesse mal di capo. - Infatti; ma lí per lí non ci ho badato. Che cosa credi che avesse? - Non saprei. Abbiamo forse detto qualche cosa che l'ha irritata? Rimasero per un minuto a riflettere. - Non ne ho nessun'idea. Del resto, quando Rossella si irrita, se ne accorgono tutti. Non si comporta come le altre ragazze. - Sí, e questo è quello che mi piace in lei. Non diventa fredda e astiosa, ma dice le sue ragioni. Sarà qualche cosa che abbiamo fatto o detto che l'ha fatta diventare silenziosa e quasi annoiata. Giurerei che quando siamo arrivati è stata contenta e aveva l'idea d'invitarci a cena. - Non sarà perché siamo stati espulsi? - Ma no! Non dire sciocchezze. Ha riso tanto quando glielo abbiamo raccontato... - E poi Rossella non ha maggior passione pei libri di quanta ne abbiamo noi. Si volse sulla sella e chiamò il negro. - Jeems! - Badrone? - Hai sentito di che cosa parlavamo con la signorina Rossella? - Mai piú, Mr. Brent! Come bensare che io stare a spiare signori bianchi? - Spiare! Voialtri negri sapete sempre tutto quello che succede. Del resto, bugiardo che sei, ti ho visto coi miei occhi gironzolare attorno al porticato e accoccolarti nel cespuglio dei gelsomini accanto al muro. Dunque: ci hai sentito dire qualche cosa che può avere irritato la signorina Rossella o aver ferito i suoi sentimenti? Interrogato in questo modo, Jeems smise di fingere di non aver udito la conversazione e aggrottò la sua nera fronte. - Veramende io non essere accorto che aver detto niente che botere irritarla. Mi è sembrato che essere molto condenda di vedere miei badroni, ed essere felice come un uccellino fino a quando avere barlato del fidanzamento di Mr. Ashley con miss Melly Hamilton. Allora essere diventata silenziosa come uccello quando vede volare falco. I gemelli si guardarono e annuirono, ma senza capire. - Jeems ha ragione. Ma non vedo perché - disse Stuart. - Dio mio! Ashley è soltanto un amico per lei. Non è innamorata di lui. È innamorata di noi. Brent annuí. - Forse si sarà adirata perché Ashley non le ha dato la notizia prima che agli altri. Sono amici da tanti anni; e poi le ragazze tengono molto ad essere informate per prime di queste cose. - Può darsi. Ma che ci sarebbe di male? Doveva essere un segreto, una sorpresa... e uno ha bene il diritto di serbare il silenzio sul proprio fidanzamento, no? Noi non lo avremmo saputo se non ce lo avesse detto la zia di miss Melania. Ma Rossella doveva sapere che un giorno o l'altro ci sarebbe stato questo matrimonio. Noialtri, infatti, lo sapevamo da anni. I Wilkes e gli Hamilton si sposano sempre tra cugini. Tutti sapevano che l'avrebbe probabilmente sposata, come Gioia Wilkes sposerà il fratello di Melania, Carletto. - E va bene, sarà cosí. Ma mi secca che non ci abbia trattenuti a cena. Ti giuro che non ho nessuna voglia di andare a casa e sentire quello che dirà la Mamma per la nostra espulsione. Non è la prima volta! - Forse a quest'ora Boyd l'avrà calmata. Ci riesce sempre, con le sue chiacchiere, quel vermiciattolo! - Sí, ci riesce, ma gli ci vuole del tempo. Parla, parla finché la confonde e allora la Mamma gli dice che la smetta e si risparmi la voce per quando farà l'avvocato. Ma in queste poche ore non è stato certo possibile. Scommetto che la Mamma è cosí eccitata per il suo nuovo cavallo che non si ricorderà neppure che siamo tornati, finché non siederà a cena e vedrà Boyd. E prima che la cena sia finita farà fuoco e fiamme. Arriveranno le dieci prima che Boyd trovi il momento opportuno per dirle che non sarebbe stato onorevole che uno della famiglia fosse rimasto in collegio dopo che il rettore ha trattato te e me in quel modo. E ci vorranno due ore perché Boyd le faccia cambiare umore; a mezzanotte sarà diventata furibonda contro il rettore e chiederà a Boyd perché non lo ha ammazzato. No, non possiamo andare a casa prima di mezzanotte. I gemelli si guardarono cupamente. Non avevano paura dei cavalli selvaggi, delle risse e delle questioni che finivano a rivoltellate, ma avevano un sacro terrore delle sgridate della loro fulva genitrice e dello scudiscio che ella maneggiava senza ritegno. - Facciamo una cosa - riprese Brent. - Andiamo dai Wilkes. Ashley e le ragazze saranno contenti di averci a cena. Stuart crollò il capo, sconfortato. - No, non ci possiamo andare. Saranno sottosopra a preparar tutto per domani; e poi... - Oh, non ci pensavo piú - interruppe Brent. - Hai ragione; non ci andiamo. Diedero la voce ai cavalli e per un po' di tempo cavalcarono in silenzio; sulle abbronzate guance di Stuart era apparso un rossore di imbarazzo. Fino all'estate precedente Stuart aveva fatto la corte a Lydia Wilkes con l'approvazione di entrambe le famiglie e dell'intera contea. Tutti pensavano che la fredda e contegnosa Lydia avrebbe prodotto su lui l'effetto di un calmante. O almeno, lo speravano vivamente. E Stuart l'avrebbe sposata volentieri; ma Brent non approvò. Lydia gli piaceva, ma la trovava troppo semplice e innocua; impossibile innamorarsene anche lui, per far compagnia a Stuart. Era la prima volta che i gemelli non la pensavano allo stesso modo; e Brent era seccatissimo che suo fratello avesse delle attenzioni verso la fanciulla che a lui sembrava insignificante. E poi, l'estate precedente era accaduto che a una riunione politica che aveva luogo in un boschetto di querce, tutti e due avevano improvvisamente notato Rossella O'Hara. La conoscevano da molti anni e fin dalla loro infanzia era stata una delle compagne di giochi preferite, perché era capace di andare a cavallo e di arrampicarsi sugli alberi quasi tanto bene quanto loro. Ma adesso, con loro sorpresa, era diventata una giovine donna; ed era la piú graziosa e la piú simpatica del mondo. Per la prima volta si erano accorti che i suoi occhi verdi erano vivi e mobilissimi, che quando rideva faceva le fossette, che aveva mani e piedi piccini e una vita sottile. Queste loro osservazioni l'avevano fatta ridere clamorosamente e, solleticati dall'idea che essa li riteneva una coppia notevole, i due avevano sorpassato se stessi. Era stata una giornata memorabile nella vita dei gemelli. In seguito, ogni qualvolta ne parlavano, essi si chiedevano sempre come mai non avevano prima d'allora notato le qualità di Rossella. E non riuscivano a trovare la soluzione dell'enigma; cioè che Rossella aveva deciso, quel giorno, di farsi notare da loro. Ella era costituzionalmente incapace di sopportare che un uomo - chiunque fosse - si innamorasse di una donna che non era lei; e la vista di Lydia Wilkes che discorreva con Stuart era stata intollerabile per il suo carattere predace. Non contenta del solo Stuart, aveva gettato l'amo anche a Brent, ed era riuscita nel suo intento con una perfezione che sbalordiva entrambi i giovani. Ora erano tutti e due innamorati di lei, e tanto Lydia Wilkes quanto Enrichetta Munroe, di Lovejoy, a cui Brent aveva fatto una corte discreta, eran ben lontane dalla loro mente. Essi non si chiedevano quale sarebbe stato il perdente, qualora Rossella avesse scelto uno dei due. Avrebbero superato questa difficoltà quando fosse giunto il momento. Per ora erano contenti di essere nuovamente d'accordo sul conto della fanciulla, poiché fra loro non esisteva gelosia. Era una situazione che divertiva il vicinato e infastidiva la loro madre, la quale non aveva alcuna simpatia per Rossella. - Vi starà bene, se quella furbacchiona accetta uno di voi - soleva dire. - Oppure, può darsi che vi accetti entrambi, e allora dovrete andare a stare a Utah, se i Mormoni vorranno accogliervi... cosa di cui dubito... Quello che mi preoccupa è che un bel giorno vi picchierete perché sarete gelosi uno dell'altro a causa di quella piccola e falsa creatura dagli occhi verdi, e vi ammazzerete. D'altronde, anche questa non sarebbe una cattiva idea. Dal giorno della riunione politica, Stuart si era sempre trovato a disagio dinanzi a Lydia. Non che essa gli avesse mai mosso alcun rimprovero o avesse dato a divedere menomamente di essersi accorta del suo mutamento. Era troppo signora per farlo. Ma Stuart si sentiva colpevole verso di lei. Sapeva di essere riuscito a farsi amare e che Lydia lo amava ancora; e, nel profondo del cuore, sentiva di non essersi comportato da gentiluomo. Continuava a trovarla molto simpatica e la rispettava per il suo contegno freddo ed educato, per la sua istruzione e per tutte le sue qualità. Ma, accidenti!, era sempre cosí pallida e poco interessante e monotona, paragonata al fascino brillante e mutevole di Rossella. Con Lydia si sapeva sempre a che punto si era, mentre con Rossella non lo si sapeva mai. Questo poteva portare un uomo alla demenza, ma aveva il suo fascino. - Allora, andiamo da Cade Calvert e ceniamo da lui. Rossella ha detto che Caterina è tornata da Charleston. Forse avrà qualche notizia di Forte Sumter che ancora ignoriamo. - Caterina? Sono pronto a scommettere due contro uno che non sa neppure che il Forte era sopra al porto, e tanto meno che era pieno di yankees prima che noi li scacciassimo. Lei sa soltanto parlare dei balli a cui è stata e dei corteggiatori di cui ha fatto collezione. - Ad ogni modo, quando chiacchiera è divertente. Ed è un modo di passare il tempo finché Mammà sarà andata a letto. - E va bene, perbacco! Caterina è simpatica e piacevole, e sarò contento di aver notizie di Càrolo Rhett e dell'altra gente di Charleston; ma che il diavolo mi porti se tollero di mangiare ancora una volta avendo a tavola quella yankee della sua matrigna. - Non essere cosí aspro verso di lei, Stuart. È piena di buone intenzioni. - Non sono aspro. È una donna che mi fa pena, ma non mi piace la gente che mi fa pena. E poi continua a girare intorno, cercando di fare del suo meglio perché uno si senta come a casa sua; ma riesce sempre a fare e dire tutto il contrario di quello che dovrebbe. Mi dà ai nervi! E crede che i meridionali siano selvaggi. Lo ha detto alla Mamma. Ha paura della gente del Sud. Quando siamo da lei, è terrorizzata. Mi dà l'idea di una gallina pelle e ossa, arrampicata su una sedia, con gli occhi brillanti e spauriti, pronta a starnazzare e schiamazzare al piú piccolo movimento dei presenti. - Dopo tutto, non puoi biasimarla. Ricordati che hai ferito Cade in una gamba. - Ero esasperato perché ero stato picchiato, altrimenti non lo avrei fatto. E Cade non me ne ha serbato alcun rancore. E neanche Catina, né Raiford, né il signor Calvert. Solo quella matrigna yankee ha strepitato dicendo che ero un selvaggio e che le persone perbene non potevano stare in mezzo a questi meridionali incivili. - Non si può darle torto. È yankee ed ha avuto un'ottima educazione; e poi, hai ferito il suo figliastro. - Vai all'inferno! Non è una buona ragione per insultarmi! Tu sei figlio, vero figlio, di Mammà; ma si è forse risentita quella volta che Tony Fontaine ti ha ferito alla gamba? Niente affatto; si limitò a mandare a chiamare il vecchio dottor Fontaine per medicarti e gli chiese come mai Tony mirasse cosí male. E disse che secondo lei le frustate danneggiavano l'abilità di un tiratore. Ti ricordi come si infuriò Tony per questo? I due ragazzi risero saporitamene. - La Mamma è un tipo! - approvò affettuosamente Brent. - Si può sempre esser sicuri che sa come regolarsi e che non vi fa mai fare brutta figura di fronte agli estranei. - Sí; ma è capacissima di farci fare una figura pessima dinanzi al Babbo e alle ragazze stasera quando arriviamo a casa - replicò Stuart abbattuto. - Sono sicuro, Brent, che in questo modo non riusciremo ad andare in Europa. Sai che la Mamma ha detto che se ci facevamo espellere da un altro collegio non avremmo fatto il nostro viaggio. - Beh! E che ce n'importa? Che c'è da vedere in Europa? Scommetto che quegli stranieri non hanno da mostrarci nulla che noi non abbiamo già in Georgia. I loro cavalli non sono piú veloci dei nostri né le loro ragazze piú graziose; e sono sicuro che il loro wisky di segala non può stare a paragone di quello del Babbo. - Ashley Wilkes ha detto che hanno un'infinità di teatri e di musica. Ad Ashley l'Europa piace molto. Non fa che parlarne. - Oh, sai bene come sono i Wilkes. Smaniosi di libri, di teatri, di musica. Mammà dice che è perché il loro nonno veniva dalla Virginia, e i Virginiani attribuiscono un grande valore a queste cose. - Beh, facciano pure. Quanto a me, con un buon cavallo e un buon liquore e una brava ragazza da corteggiare e un'altra... non brava con la quale divertirmi, sto benone qui come in Europa! Che ce n'importa di non fare il viaggio? Figúrati, se fossimo in Europa adesso e scoppiasse la guerra? Non avremmo altro pensiero che di tornare a casa al piú presto. Preferisco infinitamente andare alla guerra che in Europa. - Anch'io, il giorno in cui... Oh, senti! Ho pensato dove possiamo andare a cena. Attraversiamo la palude e andiamo a dire ad Abele Winder che siamo tornati tutti e quattro e siamo pronti per le esercitazioni militari. - Ottima idea! - esclamò Brent con entusiasmo. - Sapremo cosí tutte le notizie dello squadrone, e che colore hanno scelto finalmente per le uniformi. - Se sono uniformi da zuavo, mi faccio impiccare piuttosto che andare a fare il soldato! Con quei calzoni larghi, rossi, mi sembrerebbe di essere una donnetta. Somigliano alle mutande da donna di flanella rossa. - Badroni avere intenzione di andare da Mist' Wynder? - chiese Jeems. - Perché se avere quest'idea, gredo che non trovare molto da mangiare. Loro guoco morto e non avere angora gombrato altro. Fare gucinare da una donna, e un negro avere detto che essere peggiore guoca di tutta regione. - Dio benedetto! E perché non lo hanno comprato? - Gosa volere che può gombrare bovero bianco straccione? Non avere mai avuto molti negri e non di buona razza. Nella voce di Jeemes era uno schietto disprezzo. Egli era sicuro della propria condizione sociale, perché i Tarleton possedevano cento negri, e - come tutti gli schiavi delle grandi piantagioni - guardava dall'alto in basso i piccoli coltivatori che possedevano pochi schiavi. - Bada che ti levo la pelle! - gridò Stuart irritato. - Non ti permetto di chiamare Abele Wynder un «bianco straccione». Sarà povero, ma non straccione. E nessuno dei miei uomini, nero o bianco che sia, deve arrischiarsi a parlar male. Non vi è uomo migliore nella Contea; altrimenti perché lo squadrone lo avrebbe eletto luogotenente? - Non avere mai dubitato, badrone - riprese Jeems senza scomporsi per la sfuriata del suo padrone. - Ma io bensare che loro fare meglio scegliere ufficiali fra giovani ricchi invece che fra miserabili della palude. - Non è un miserabile! Vorresti forse paragonarlo ai bianchi veramente poveri, come gli Slattery? Soltanto, non è ricco. È un piccolo coltivatore, non un piantatore in grande; e se i ragazzi hanno avuto tanta stima di lui da eleggerlo luogotenente, nessun negro può arrischiarsi a parlarne impudentemente. Lo squadrone sa quello che fa. Lo squadrone di cavalleria era stato organizzato tre mesi prima, lo stesso giorno in cui la Georgia si era separata dall'Unione; da allora, però, le reclute non avevano piú molta speranza che si facesse la guerra. Il reparto non aveva ancora un nome, benché non mancassero i suggerimenti: ciascuno aveva un'idea in proposito e non aveva voglia di rinunciarvi; come ciascuno aveva anche un'idea intorno al colore e alla foggia delle uniformi. «I gatti selvaggi di Clayton» - «I mangiatori di fuoco» - «Zuavi» - «Fucilieri dell'Interno» (benché lo squadrone dovesse essere armato di pistole, sciabole, pugnali e non di fucili) «Gli sterminatori» - «Rapidi e violenti» - tutti avevano i loro aderenti. Ma finché non si prendeva una decisione, tutti parlavano dell'organizzazione come dello squadrone e malgrado il nome sonoro finalmente adottato, esso fu conosciuto sino alla fine come «Lo Squadrone». Gli ufficiali erano eletti dai membri, perché nessuno nella Contea aveva esperienza militare, ad eccezione di pochi veterani delle guerre col Messico e coi Seminoli; d'altronde, lo Squadrone avrebbe disprezzato un veterano come capo, se non lo avesse personalmente amato e stimato. Tutti quanti avevano simpatia per i quattro ragazzi Tarleton e per i tre Fontaine, ma purtroppo non li avevano potuti eleggere, perché i Tarleton erano troppo vivaci e amavano far delle mattane e i Fontaine avevano un carattere troppo impetuoso e attaccabrighe. Ashley Wilkes era stato eletto capitano perché era il miglior cavallerizzo della Contea e perché si faceva assegnamento sulla sua calma per mantenere un poco d'ordine; Raiford Calvert era stato fatto primo luogotenente perché tutti gli volevano bene, e Abele Wynder, figlio di un cacciatore delle paludi e piccolo coltivatore per conto suo, era stato nominato secondo luogotenente. Abele era un gigante, grave, furbo, illetterato, pieno di cuore, maggiore di età degli altri ragazzi, ma altrettanto educato, e anche di piú, in presenza delle signore. Vi era poco snobismo nello Squadrone. Troppi, fra i padri e i nonni dei componenti, erano arrivati alla loro attuale situazione cominciando con l'essere dei piccoli coltivatori. Inoltre, Abele era il piú bravo tiratore dello Squadrone, un vero puntatore che colpiva la testa di uno scoiattolo a settanta metri; ed era pratico di vita all'aperto, capace di accendere il fuoco sotto la pioggia, di scoprire sorgenti, di catturare animali. Lo Squadrone si inchinava dinanzi al merito; e siccome avevano anche simpatia per lui, lo nominarono ufficiale. Egli accettò l'onore gravemente senza eccessiva ritrosia, come se gli fosse dovuto. Ma le mogli e gli schiavi dei piantatori non potevano lasciar passare il fatto che egli non era nato gentiluomo, benché i loro signori e padroni lo trascurassero. Da principio, lo Squadrone era stato reclutato soltanto tra i figli dei piantatori: una truppa di signori, ciascuno dei quali provvedeva il proprio cavallo, l'equipaggiamento, l'uniforme e l'attendente. Ma i ricchi piantatori non erano numerosi nel giovine paese di Clayton; e per mettere assieme uno squadrone degno di tal nome si era dovuto estendere il reclutamento anche ai figli dei piccoli coltivatori, ai cacciatori della foresta, a quelli che tendevano i lacciuoli nelle paludi, e, in pochissimi casi, anche ai bianchi poveri, se erano al disopra della media della loro classe. Questi ultimi giovinotti erano ansiosi di combattere contro gli inglesi - il giorno in cui scoppiasse la guerra - non meno dei loro ricchi vicini; ma vi era la delicata questione del denaro. Ben pochi fra i piccoli coltivatori possedevano cavalli. Per i lavori della loro proprietà si servivano di muli; e anche di questi, non ne avevano d'avanzo: raramente piú di quattro. Non si poteva privarsene per mandarli in guerra, anche se lo Squadrone li avesse accettati, ciò che non avvenne. Quanto ai rifiuti bianchi della palude, questi stimavano di essere già in condizione abbastanza buona quando possedevano una mula. I cacciatori della foresta e quelli della palude non avevano né cavalli né muli. Essi vivevano esclusivamente dei prodotti della loro terra e di caccia, commerciavano generalmente col sistema degli scambi e vedevano raramente cinque dollari in un anno; quindi cavalli e uniformi erano per loro irraggiungibili. Ma erano tanto orgogliosi nella loro povertà quanto i piantatori nella loro ricchezza; e non avrebbero accettato nulla, da quelli, che potesse apparire un'elemosina. Cosí, per salvaguardare i sentimenti di tutti e per dare allo Squadrone tutta la necessaria efficienza, il padre di Rossella, John Wilkes, Buck Monroe, Giacomo Tarleton, Ugo Calvert, tutti, insomma, i grandi piantatori della Contea con l'unica eccezione di Angus MacIntosh, si erano quotati per equipaggiare completamente lo Squadrone: uomini e cavalli. L'essenza dell'affare fu che ogni piantatore convenne di pagare l'equipaggiamento dei propri figli e di un certo numero di altri; ma la cosa fu trattata in modo che i membri meno ricchi potettero accettare cavalli ed uniformi senza offesa per il loro onore. Lo Squadrone si riuniva due volte la settimana a Jonesboro per fare le esercitazioni e pregare che la guerra cominciasse. Non erano ancora state completate le disposizioni per procurare tutti i cavalli occorrenti, ma quelli che avevano già i cavalli compivano ciò che immaginavano fossero manovre di cavalleria, dietro al Tribunale, sollevando un'enorme quantità di polvere, emettendo grida rauche e agitando le sciabole della Guerra Rivoluzionaria che erano state staccate dalle pareti del salone. Quelli che non avevano ancora il cavallo sedevano sull'orlo del marciapiedi dinanzi alla bottega di Bullard, e osservavano i loro camerati, masticando tabacco e raccontando delle storie. Oppure facevano delle gare di tiro. Non occorreva insegnare a nessuno a tirare a segno. La maggior parte dei meridionali era nata col fucile in mano; e la vita del cacciatore aveva fatto di tutti loro dei tiratori scelti. Dalle case dei piantatori e dalle capanne fra le paludi venne fuori una quantità di armi da fuoco svariate. Lunghi fucili da caccia che datavano dall'epoca della prima traversata degli Alleghany, vecchi tromboni ad avancarica, pistole da cavallo che erano servite nel 1812, pistole da duello con l'impugnatura ageminata d'argento, pistole a canna corta, moschetti a doppia canna e carabine inglesi di nuovo modello, col calcio di legno prezioso. Le esercitazioni terminavano sempre nei saloni di Jonesboro e al cader della notte erano già scoppiate tante risse, che gli ufficiali avevano il loro da fare per evitare ferimenti prima che questi fossero inflitti dagli inglesi. Era stato durante uno di questi tafferugli che Stuart Tarleton aveva ferito Cade Calvert e Tony Fontaine aveva ferito Brent. I gemelli erano appena tornati a casa, espulsi dall'Università di Virginia; lo Squadrone era stato organizzato in quei giorni ed essi avevano aderito con entusiasmo; ma dopo la rissa, avvenuta due mesi prima, la madre li aveva impacchettati e spediti all'Università statale, con l'ordine di non muoversi. Durante la loro assenza, essi avevano penosamente sentito la mancanza dell'eccitazione data dagli esercizi militari; ritenevano che la loro educazione fosse incompleta se non potevano cavalcare, gridare e sparar fucilate in compagnia dei loro amici. - Bene, allora andiamo da Abele - concluse Brent. - Attraversando il fiume degli O'Hara e il prato dei Fontaine, arriviamo in un momento. - Non drovare nulla di mangiare; solo garne di sariga e un po' di legumi - obbiettò, Jeems. - Tu non avrai un bel niente - sghignazzò Stuart. - Andrai a casa ad avvertire la Mamma che non torniamo a cena. - Oh no, no! - esclamò Jeems spaventato. - No, no! non piacere assaggiare scudiscio di miss Beatrice piú forte che con badroni! Brima di tutto lei arrabiarsi con me perché badroni nuovamente espulsi. E poi, perché io non avervi fatti tornare a casa stasera e lei potervi dare grossa lezione. E poi diventare furia come se tutto questo essere colpa mia e frustarmi forte. Se non volete portarmi da mist' Wynder, io restare nei boschi tutta la notte e forse guardie pattuglie prendere povero Jeems, ma io preferire guardie piuttosto che miss Beatrice quando essere infuriata. I gemelli guardarono con perplessità e indignazione il risoluto ragazzo negro. - Sarebbe capace davvero di farsi prendere dalle guardie, e questo darebbe argomento ai discorsi di Mammà per qualche settimana. Giuro che i negri sono un bel fastidio. A volte penso che gli abolizionisti abbiano ragione. - In fondo, non è giusto fare affrontare a Jeems quello che non vogliamo affrontare noi. Lo porteremo con noi. Ma guarda, negraccio impudente, che se ti sogni di darti delle arie coi negri di Wynder e di raccontar loro che da noi si mangia pollo e prosciutto mentre loro non hanno che coniglio e sariga, ti... lo dirò alla Mamma. E non ti faremo neanche venire alla guerra con noi. - Arie? Io darmi arie con quei miserabili? No, badrone; io avere educazione! E miss Beatrice avermi insegnato modo di gomportarmi come avere insegnato a tutti voi. - Non ha avuto un gran risultato con nessuno dei tre - rise Stuart. - Via, andiamo. Diede la voce al suo cavallo rossiccio e spronandolo leggermente gli fece saltare con facilità lo steccato divisorio della proprietà di Geraldo O'Hara, e si trovò nel soffice campo. Il cavallo di Brent lo seguí e dopo di lui quello di Jeems, col negro afferrato alla criniera e al pomo della sella. A Jeems non piaceva saltare gli ostacoli; ma ne aveva saltato anche dei piú alti per seguire i suoi padroni. Mentre si avviavano attraverso i solchi purpurei e scendevano la collina verso il fiume nel crepuscolo che diventava sempre piú cupo, Brent gridò a suo fratello: - Senti un po', Stu! Non ti pare che Rossella avrebbe dovuto invitarci a cena? - Infatti credevo che lo facesse - gridò a sua volta Stuart. - Ma perché...

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Aveva l'impetuosità di Geraldo a cui dava sfogo strepitando finché i suoi capricci non venivano soddisfatti. E finché suo padre le era accanto, i capricci venivano soddisfatti senza indugio, malgrado gli sforzi di Rossella e di Mammy. La bambina gli piaceva in tutto, meno in una cosa: nel terrore che aveva dell'oscurità. Fino all'età di due anni, Diletta andava a dormire di buon'ora nella camera che divideva con Wade e Ella. Poi, senza ragione apparente, cominciò a singhiozzare quando Mammy usciva dalla stanza portando via la lampada. Da questo, passò ad avere dei subitanei risvegli a tarda notte, urlando di terrore, spaventando gli altri due bambini e allarmando tutta la casa. Una volta fu chiamato il dottor Meade, il quale diagnosticò «cattivi sogni». Dalla bimba non si otteneva che una parola: - Buio. Rossella, irritata, sarebbe stata incline a una buona sculacciata. Non voleva accontentare Diletta lasciando un lume acceso nella stanza, perché Wade ed Ella non avrebbero potuto dormire. Rhett, turbato ma con dolcezza, perché stava tentando di trarre da sua figlia altre informazioni, replicò freddamente che se bisognava applicare una sculacciata lo avrebbe fatto egli stesso, ma sulla persona di Rossella. La conclusione fu che Diletta fu tolta dalla camera dei bambini e messa in quella che Rhett occupava da solo. Il lettino di lei fu collocato accanto a quello di suo padre e sulla tavola rimase accesa tutta la notte una lampada col paralume. Quando la cosa si riseppe, i pettegolezzi furono molti. Sembrò una cosa poco corretta che una bambina dormisse nella camera di suo padre, anche se aveva solo due anni. Rossella sofferse di queste chiacchiere, prima di tutto perché quella storia provava che lei e suo marito dormivano in camere separate; e poi perché tutti pensarono che se la bimba aveva paura a dormir sola, il suo posto era nella camera di sua madre. E Rossella non volle né poté spiegare che lei non poteva dormire con la luce né che Rhett si era opposto a far dormire la bambina con lei. - Tu non ti sveglieresti che nel caso che gridasse; e probabilmente la picchieresti - le aveva detto brevemente. Rossella fu seccata dell'importanza che egli dava ai terrori notturni di Diletta; ma pensò che forse tutto si sarebbe accomodato riportando la piccola a dormire con gli altri bambini. Dopo tutto, Rhett faceva questo per farle dispetto. Da quando Rossella aveva dichiarato che non voleva piú bambini, egli non aveva mai piú messo piede nella camera di lei; inoltre aveva preso l'abitudine di cenare assai raramente a casa. A volte rimaneva assente tutta la notte e Rossella, contando le ore che battevano all'orologio, si chiedeva dove poteva essere. Ricordava: «Vi sono tanti altri letti, mia cara!» Era un pensiero che la esasperava; ma non poteva far nulla. Questa follia di dormire nella stessa camera con la bambina era probabilmente una sua nuova malvagità, per vendicarsi di lei. Ella non comprese l'importanza che egli dava alla fissazione paurosa della bambina né la grandezza della sua devozione alla figlioletta, fino a una terribile notte che la famiglia non poté mai dimenticare. Quel giorno Rhett aveva incontrato un ex-contrabbandiere, e i due avevano avuto molte cose da raccontarsi. Rossella non sapeva dov'erano stati a bere e a chiacchierare; ma sospettava che si fossero trattenuti nel locale di Bella Watling. Rhett non tornò a casa nel pomeriggio per condurre Diletta a spasso, né tornò a cena. La bimba, che lo aveva aspettato con impazienza alla finestra per mostrargli una collezione di maggiolini e scarabei, era stata finalmente messa a letto da Lou, tra lamenti e proteste. O Lou aveva dimenticato di accendere la lampada o questa si spense. Nessuno seppe esattamente che cos'era successo; ma quando finalmente Rhett tornò a casa un po' brillo, la casa era sottosopra e gli urli di Diletta si sentivano fino nella stalla. Si era destata nell'oscurità; lo aveva chiamato ed egli non c'era. Tutti gli orrori senza nome che popolavano la sua immaginazione l'avevano afferrata. I lumi portati da Rossella e dalle serve, le loro parole affettuose non avevano potuto calmarla; Rhett, facendo le scale in un balzo, apparve come un uomo che ha visto la morte. Quando finalmente l'ebbe fra le braccia e fra i singhiozzi e i sussulti riuscí a discernere la parola «buio», si volse furente verso Rossella e le negre. - Chi ha portato via il lume? Chi l'ha lasciata al buio? Ti scorticherò viva, Prissy, se... - No, mist' Rhett! Non essere stata io! Essere stata Lou! - Pietà, mist' Rhett! Io... - Taci. Sai quali sono i miei ordini. Perdio, sarei capace... Via! Vattene. Rossella, dalle del denaro e falla andar via prima che io sia ridisceso. Ora uscite tutti, tutti! Le negre fuggirono; l'infelice Lou piangente e singhiozzante nel suo grembiule. Ma Rossella rimase. Era doloroso vedere la bambina tranquilla nelle braccia di Rhett mentre nelle sue aveva continuato a gridare. Era penoso vedere le braccine della piccola circondare il collo di lui e udire la vocina convulsa raccontare che cosa l'aveva spaventata mentre lei, Rossella, non era riuscita ad ottenere una parola coerente. - Dunque, era seduto sul tuo petto - diceva Rhett dolcemente. - Era molto grande? - Oh sí! Grandissimo. E con le unghie. - Anche le unghie? Beh, stai tranquilla. Io rimango alzato e se torna lo ammazzo. - La voce di Rhett era piena di affettuosità e di interessamento e i singhiozzi della bimba a poco a poco si calmarono. La sua voce divenne meno convulsa mentre continuava a descrivere il mostro in un linguaggio che solo Rhett comprendeva. Rossella sentí la collera impadronirsi di lei vedendo che suo marito discuteva con la bimba come se si fosse trattato di cosa reale. - Per l'amor di Dio, Rhett.... Ma egli le fece cenno di tacere. Quando Diletta fu addormentata, la depose nel lettino e le tirò su il lenzuolo. - Scorticherò viva quella negra - disse poi tranquillamente. - Ma è anche colpa tua. Perché non sei venuta a vedere se il lume era acceso? - Non essere stupido, Rhett - sussurrò Rossella. - Sai benissimo che la bimba fa i capricci perché tu la vizii. Tanti bambini hanno paura del buio, ma la vincono. Anche Wade aveva paura; ma io non gli ho mai dato retta. Se la lasciassi gridare per una o due notti... - Lasciarla gridare! - Per un attimo Rossella credette che egli stesse per batterla. - O sei pazza o sei la donna piú disumana che io abbia mai visto. - Non voglio che diventi nervosa e paurosa. - Paurosa? Non ha un briciolo di paura! Ma tu manchi di fantasia e perciò non puoi comprendere i tormenti di chi ne è fornito... specialmente quando si tratta di una bambina. Se un essere con corna e artigli venisse a sedersi sul tuo petto, grideresti per liberartene, non è vero? Ricordati che ti ho vista svegliarti strillando come un'aquila, semplicemente perché avevi sognato che correvi nella nebbia. E non è stato neanche molto tempo fa! Rossella rimase colpita, perché non le piaceva mai ricordare quel sogno. Inoltre, la imbarazzava il pensare che Rhett l'aveva confortata nella stessa maniera nella quale confortava Diletta. Quindi cercò di riprendere rapidamente l'attacco. - Tu la vizii e... - E intendo continuare a viziarla. In questo modo si toglierà le cattive abitudini e se ne dimenticherà. - Allora - riprese Rossella acidula - se hai l'intenzione di fare la bambinaia, dovresti cominciare col tornare a casa un po' piú presto la sera e anche col fare a meno di ubriacarti. - Tornerò di buon'ora; ma ubriaco fradicio, se mi fa piacere. Infatti, da quella sera tornò sempre a casa prima dell'ora in cui Diletta veniva coricata. Le sedeva accanto tenendole la manina finché il sonno le faceva allentare la stretta. Allora scendeva a pianterreno in punta di piedi, lasciando la lampada accesa e la porta spalancata in modo da poterla udire se si svegliava. Tutta la casa pensava a quella lampada che ardeva; Rossella, Mammy, Prissy e Pork andavano spesso cautamente ad assicurarsi che fosse sempre accesa. Rhett smise anche di tornare ubriaco; ma non perché glielo aveva detto la moglie. Da parecchi mesi egli beveva abbondantemente, e - benché non fosse proprio ubriaco - accadde una sera che l'odore del whisky si sentisse fortemente nel suo alito. Prese in braccio la bimba e le disse: - Un bacino al babbo, tesoro? - No - disse. - Brutto. - Che cosa? - Brutto odore. Zio Ashley non ha un odore cosí. - Accidenti! - mormorò mettendola a terra. - Non mi aspettavo di trovare un avvocato della temperanza proprio in casa mia! Ma da allora si limitò a bere un bicchiere di vino dopo cena. Diletta, a cui veniva sempre permesso di bere le ultime gocce del bicchiere, non trovò spiacevole l'odore del vino. Come risultato, la gonfiezza che aveva cominciato a impastare la linea delle guance di Rhett scomparve e le occhiaie scure che cerchiavano i suoi occhi neri diventarono meno profonde. Siccome Diletta amava andare sul cavallo, egli rimase a lungo all'aperto e il sole cominciò ad abbronzare il suo volto bruno. Acquistò cosí un colorito piú sano; ridiventò allegro e le sue risate ricordarono a tutti lo spavaldo contrabbandiere che aveva eccitato l'interessamento di Atlanta nei primi tempi della guerra. Coloro che non avevano mai avuto simpatia per lui presero a sorridere quando lo vedevano con la bimbetta arrampicata sulla sella. Le donne che avevano sempre ritenuto che nessuna potesse considerarsi salva accanto a lui, si fermavano a discorrergli insieme per istrada, per ammirare Diletta. Anche le vecchie dame piú severe convennero che un uomo capace di discutere dell'alimentazione e dei problemi dell'infanzia come faceva Rhett, non poteva essere tanto malvagio.

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La vergogna e il terrore la spingevano a tornare a casa in gran fretta; nel suo spirito Baldo, con la sua barba da patriarca, assumeva le proporzioni di un angelo vendicatore uscito dalle pagine dell'Antico Testamento. La casa era vuota e silenziosa nel crepuscolo d'aprile. Tutta la servitú si era recata a un funerale e i bambini erano andati a giocare a casa di Melania. Melania... Melania! Rossella rabbrividí al pensiero di lei, mentre saliva le scale per recarsi in camera sua. Melania saprebbe l'accaduto. Lydia aveva detto che glielo racconterebbe. Oh, sarebbe troppo lieta di parlare, Lydia, anche se facendolo macchiava il nome di Ashley, anche se dava un dolore a Melania; troppo felice se poteva far del male a Rossella! E la signora Elsing parlerebbe essa pure, anche se in realtà non aveva visto nulla, perché era dietro a Lydia e a Baldo. Ma parlerebbe ugualmente. All'ora di cena, tutta la città sarebbe al corrente. Tutti, anche i negri, lo saprebbero domattina. Al ricevimento di stasera, le donne si riunirebbero negli angoli a sussurrare con malizioso piacere. Rossella Butler rovesciata dalla sua alta posizione! E la storia si diffonderebbe, ampliandosi; né v'era modo di fermare i pettegolezzi. Non ci si limiterebbe al semplice fatto che Ashley la teneva fra le braccia mentre ella piangeva: prima di notte, la gente direbbe che Rossella era stata colta in flagrante adulterio. Ed era stata una cosa cosí dolce, cosí innocente! Rossella pensò con ira: «Se fossimo stati sorpresi quando venne in licenza a Natale e io lo baciai per salutarlo... o nel frutteto di Tara quando lo pregai di fuggire con me... oh, se fossimo stati sorpresi in uno dei momenti in cui eravamo realmente colpevoli...! Ma ora! Ora che ero tra le sue braccia come un'amica...» Nessuno lo crederebbe. Ella non avrebbe una sola amica per prendere le sue difese; non una voce si leverebbe a dire: «Non credo che abbia fatto qualche cosa di male». Aveva offeso per troppo tempo i vecchi amici per trovare fra loro un difensore. E i nuovi amici, che sopportavano in silenzio le sue insolenze, sarebbero ben felici di potersi vendicare. Tutti sarebbero disposti a credere il peggio sul conto suo; avrebbero solo il rincrescimento che una persona perbene come Ashley Wilkes fosse immischiato in una faccenda cosí sudicia. Come sempre, avrebbero dato tutta la colpa alla donna. E in questo caso avrebbero ragione. Era stata lei che era andata a gettarsi fra le sue braccia. Oh, poteva sopportare gli sguardi ironici, i sorrisetti nascosti, i mormorii, tutto ciò che la città avrebbe detto... ma non Melania! No, non Melania! Non sapeva perché questo pensiero la torturasse tanto; era troppo spaurita e abbattuta per cercare di comprendere. Ma scoppiò in lagrime pensando agli occhi di Melania nel momento in cui Lydia le direbbe che aveva sorpreso Ashley che abbracciava Rossella. E che farebbe Melania? Lascerebbe Ashley? Che altro potrebbe fare, per salvare la propria dignità? E che farebbero allora Ashley e lei? Le lagrime le inondavano il volto mentre questi pensieri si agitavano freneticamente nel suo cervello. «Ashley morrà di vergogna e mi odierà perché l'ho trascinato in questo impiccio.» A un tratto le sue lagrime cessarono perché un terrore mortale le aveva invaso il cuore al ricordo di Rhett. Che farebbe suo marito? Forse non saprebbe nulla. Com'era quel vecchio cinico proverbio? «Il marito è sempre l'ultimo a sapere.» Forse nessuno andrebbe a dirglielo. Bisognava avere un bel coraggio per andare a narrare una cosa simile a Rhett, dato che Rhett aveva la reputazione di ammazzare prima, e poi interrogare. Dio, Dio, fate che nessuno abbia il coraggio di dirglielo! Ma rivide il volto di Baldo sulla soglia dell'ufficio; il suo occhio freddo, chiaro, senza rimorso, pieno di odio per lei e per tutte le altre donne. Baldo non temeva né Dio né gli uomini e detestava le donne abbiette. Le aveva odiate tanto da ucciderne una. E certo parlerebbe con Rhett, malgrado tutto ciò che potrebbe fare Ashley per dissuaderlo. A meno che Ashley non lo uccidesse, Baldo parlerebbe con Rhett, ritenendo che questo fosse il suo dovere di cristiano. Si spogliò e si gettò sul letto; nel suo cervello era un turbine che mulinava vorticosamente. Se almeno potesse chiudersi a chiave e rimanere per sempre in quella stanza tranquilla senza vedere mai piú nessuno, forse Rhett non verrebbe a saper nulla stasera. Lei direbbe di avere mal di capo e di non potere perciò andare al ricevimento. E l'indomani mattina avrebbe certamente trovato il modo di difendersi. - Non voglio pensarci adesso - disse disperatamente nascondendosi il volto fra i guanciali. - Ci penserò piú tardi, quando potrò sopportare quest'idea. Udí rientrare la servitú al cader della notte e le sembrò che i preparativi della cena fossero molto silenziosi. O forse era la sua coscienza colpevole? Mammy venne a bussare all'uscio, ma Rossella la mandò via dicendole che non voleva cenare. Passò ancora del tempo e finalmente udí Rhett che saliva le scale. Lo udí passare dinanzi alla sua stanza senza fermarsi. Emise un profondo respiro. Evidentemente non sapeva nulla e, grazie a Dio, continuava a rispettare la sua gelida preghiera di non mettere piede nella sua camera; altrimenti, se egli l'avesse veduta in questo momento, avrebbe letto nel suo volto che qualche cosa di grave era accaduto. Bisognava soltanto che ella raccogliesse le sue forze per potergli dire che si sentiva troppo male per andare al ricevimento. Ma vi era tempo per calmarsi. Da quel terribile momento le era sembrato che il tempo non esistesse piú. Udí Rhett che si muoveva nella sua camera e rivolgeva ogni tanto la parola a Pork. Non ebbe il coraggio di chiamare. Rimase sul letto, tremante nell'oscurità. Dopo parecchio tempo egli bussò alla porta. - Avanti - disse Rossella cercando di dominare il tremito della sua voce. - Sono invitato ad entrare nel santuario? - chiese Rhett aprendo l'uscio. Entrò e richiuse. - Sei pronta? - Era buio e non lo vedeva; la voce le sembrò incolore. - Mi dispiace, ma ho l'emicrania. - Strano che la sua voce fosse cosí naturale! - Credo che non potrò venire. Vai tu, Rhett, e scusami con Melania. Vi fu una lunga pausa; quindi egli parlò con voce mordente. - Sei una piccola strega, vigliacca e pusillanime. Egli dunque sapeva! Rossella riprese a tremare, incapace di aprir bocca. Lo udí frugare nel buio, accendere un fiammifero, e la camera fu illuminata. Egli si avvicinò al letto e la guardò. Era in abito da sera. - Alzati. - La sua voce era sempre senza colore. - Andiamo al ricevimento. Sbrígati. - Non posso, Rhett. Devi capire... - Capisco. Alzati. - Rhett! Baldo ha osato...? - Baldo ha osato. È un uomo coraggioso, Baldo. - Avresti dovuto ucciderlo, perché ha mentito. - Non uccido le persone che dicono la verità. Ora non c'è tempo di discutere. Alzati. Ella si sollevò a sedere, stringendosi attorno le coperte, scrutandolo in viso. Era cupo e impassibile. - Non voglio venire, Rhett. Non posso finché... non si chiarisca questo malinteso. - Se non ti fai veder stasera, non potrai piú mostrarti in giro in questa città finché vivi. E se io posso sopportare di avere per moglie una sgualdrina, non sopporto di avere una codarda. Verrai stasera, anche se tutti da Alex Stephen in giú, ti negheranno il saluto, e la signora Wilkes ti metterà alla porta. - Rhett, lascia che ti spieghi. - Non ti voglio ascoltare. Non c'è tempo. Vèstiti. - È un malinteso... Lydia, Baldo e la signora Elsing. Mi odiano. Lydia mi odia talmente, che è capace anche di dir male di suo fratello pur di farmi apparire in cattiva luce. Se mi lasci spiegare... («Madre di Dio» pensò angosciata. «Se egli mi dice: "Spiègati!" che posso dirgli? Come spiegare...?») - Avranno raccontato le loro invenzioni a tutti quanti. Non posso venire. - Verrai; dovessi trascinarti per il collo e spingerti a calci per tutta la strada. Vi era una luce fredda nei suoi occhi, quando egli l'afferrò costringendola ad alzarsi. Raccolse il busto e glie lo gettò. - Mettilo. Te lo allaccerò io. Sono praticissimo. No, non chiamerò Mammy ad aiutarti; saresti capace di richiudere la porta, rintanandoti qui dentro da quella vigliacca che sei. - Non sono vile! - esclamò Rossella, punta sul vivo. - Io... - Oh, risparmiami la solita fiaba sull'uccisione del soldato yankee e sull'arrivo dell'esercito di Sherman. Oltre a tutto, sei anche vile. Se non per te, devi venire stasera per amore di Diletta. Vuoi rendere la sua posizione anche peggiore? Svelta, méttiti il busto. Ella si tolse in fretta lo scialle e rimase rigida dinanzi a lui. Forse, se egli la guardasse e la vedesse cosí bella, quell'espressione spaventosa scomparirebbe dal suo volto. Era tanto tempo che non la vedeva in camicia! Ma non la guardò. Era dinanzi all'armadio, esaminando rapidamente le vesti. Ne trasse fuori una nuova, di seta verde giada. Era molto scollata davanti e la gonna era drappeggiata dietro su un enorme sellino; su questo posava un gran ciuffo di vivide rose di velluto. - Metti questo - disse gettando l'abito sul letto e avvicinandosi a lei. - Stasera niente colori smorti: grigio tortora o viola pallido. La tua bandiera deve sventolare all'albero maestro. E metti molto belletto. Sono sicuro che la moglie del fariseo accusata di adulterio non era cosí pallida. Vòltati. Afferrò le stringhe del busto e le tirò talmente da strapparle un gemito. Era spaventata, umiliata e confusa. - Ti fa male, eh? Rise brevemente ed ella non lo vide in volto. - Peccato che questo cordone non sia attorno al tuo collo. La casa di Melania brillava di luce in tutte le stanze; ed essi udirono la musica fin dalla strada. Man mano che si avvicinavano all'ingresso, giungeva il suono eccitante e piacevole delle voci degli invitati. La casa rigurgitava. Gli ospiti sciamavano sulla veranda e molti erano seduti sui banchi alla luce fioca delle lampade sospese agli alberi dello spiazzo. «Non posso entrare, non posso» pensò Rossella seduta in carrozza, stringendo convulsamente il fazzoletto appallottolato. «Non posso. Non voglio. Salterò a terra e fuggirò, ritornerò a Tara. Perché Rhett mi ha costretta a venir qui? Che farà la gente? Che farà Melania? Non posso apparire dinanzi a lei. Voglio fuggire!» Come se le avesse letto nel pensiero, Rhett le strinse il braccio come in una morsa. - Non ho mai saputo che un'irlandese fosse vile. Dov'è il tuo coraggio tanto vantato? - Ti prego, Rhett, torniamo a casa e ti spiegherò. - Hai un'eternità per spiegarti e soltanto una sera per mostrarti come una martire nell'anfiteatro. Scendi, cara, e fammi vedere come i leoni ti divoreranno. Scendi. Percorse il viale d'accesso: il braccio a cui si appoggiava, rigido come il granito, le comunicava un certo coraggio. Sí, perdio, li affronterebbe. Che cos'erano se non un'orda di gatti malvagi urlanti e striscianti, gelosi di lei? Glie la farebbe vedere. Non le importava ciò che pensavano. Solo Melania... solo di Melania le importava. Erano giunti sotto al porticato e Rhett si inchinava a destra e a sinistra col cappello in mano. La sua voce era fredda e gentile. La musica s'interruppe quando essi entrarono. Le sembrò che dalla moltitudine sorgesse un rumore come il muggito del mare che andò diminuendo fino a spegnersi completamente. Qualcuno eviterebbe di salutarla? Ebbene, per la camicia di Giove, facessero pure! Alzò il mento e sorrise. Prima che si fosse voltata a parlare con coloro che erano piú vicini, qualcuno si fece largo fra gli invitati. Uno strano mormorio fece arrestare i battiti del suo cuore. Quindi ella vide che era Melania la quale accorreva frettolosamente per andarle incontro e salutarla prima di tutti. Le sue piccole spalle erano spinte indietro; a fronte alta ella si avvicinò a Rossella, come se questa fosse stata l'invitata piú importante, e le passò un braccio attorno alla vita dicendole con la sua voce chiara: - Che bel vestito, tesoro! Vuoi farmi un favore? Lydia non è potuta venire stasera ad aiutarmi. Vuoi avere la bontà di ricevere gli invitati insieme con me?

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Ma ora eccolo ai suoi piedi a darle tutta la soddisfazione. Per una notte l'aveva avuta completamente alla sua mercé; ma adesso ella conosceva il difetto della corazza. Da ora in poi lo avrebbe prono ai suoi desideri. Per molto tempo aveva stretto i denti sotto le sue sferzate; ma ora lo farebbe saltare attraverso al cerchio sempre che avesse voluto! Al pensiero di ritrovarsi dinanzi a lui alla luce del giorno, provò un imbarazzo non privo di un piacere eccitante. «Sono nervosa come una sposina» pensò ridendo. «E a causa di Rhett! Ma Rhett non apparve a desinare né a cena. La notte passò; una lunga notte durante la quale ella rimase desta sino all'alba, con le orecchie tese per udire il rumore della sua chiave nella serratura. Ma egli non venne. Dopo il secondo giorno di assenza, Rossella credette di impazzire di delusione e di spavento. Andò in banca, ma Rhett non c'era. Andò al negozio e fu scortese con tutti, perché ogni volta che la porta si apriva per lasciare entrare un cliente, ella alzava il capo agitata, sperando che fosse lui. Andò al deposito di legname e maltrattò Ugo finché questi si nascose dietro una catasta di legna. Ma non trovò Rhett in nessun luogo. Non poteva umiliarsi a chiedere ai suoi amici se lo avevano visto. Né poteva chiedere ai servi se sapevano nulla di lui. Ma sentiva che essi sapevano ciò che ella ignorava. I negri sanno sempre tutto. Mammy fu insolitamente taciturna durante quei due giorni. Osservava Rossella con la coda dell'occhio senza parlare. Dopo la seconda notte, Rossella pensò di rivolgersi alla polizia. Forse era accaduto un accidente: forse il suo cavallo lo aveva gettato a terra ed egli giaceva in qualche fossato senza che nessuno potesse aiutarlo; forse - orribile pensiero! - era morto. L'indomani mattina, mentre, dopo aver fatto colazione, si stava mettendo il cappello, udí per le scale il suo passo veloce. Piombò sul letto, scossa dalla gioia; in quell'istante Rhett entrò in camera. Era raso di fresco, lavato, in ordine, e non ubriaco; ma aveva gli occhi rossi e il viso gonfio come chi ha molto bevuto. La salutò con la mano dicendo: «Hello!» Come si poteva salutare in quel modo dopo essere stato assente due giorni senza spiegazioni? Come poteva essere cosí indifferente, se ricordava la notte che avevano passata insieme? Non era possibile, a meno che... a meno che... Un pensiero terribile le attraversò lo spirito. A meno che simili notti non fossero insolite per lui! Per un momento rimase ammutolita, dimenticando tutti i graziosi gesti e i sorrisi che aveva pensato di sfoggiare per adescarlo. Egli non si avvicinò nemmeno a darle il solito bacio superficiale, ma rimase a guardarla sogghignando, con un sigaro in mano. - Dove... dove sei stato? - Non dirmi che non lo sai! Credevo che tutta la città ne fosse informata. E forse tutti lo sanno, meno te. Conosci il vecchio adagio: «la moglie è sempre l'ultima a sapere»... - Che vuoi dire? - Credevo che poiché la polizia era stata da Bella l'altro ieri sera... - Da Bella... da quella donna! Sei stato con... - E dove volevi che fossi? Spero che non sarai stata preoccupata sul conto mio. - Lasciando me, sei andato... Oh! - Via, Rossella! Non fare la moglie tradita. Devi conoscere da un pezzo la mia relazione con Bella. - Sei andato da lei dopo... dopo... - Ah, quello? - Fece un gesto incurante. - Sto davvero dimenticando la mia buona educazione. Ti debbo mille scuse per la mia condotta. Ero molto ubriaco, come certamente avrai visto, e avevo perso la bussola dinanzi alle tue bellezze... Debbo farne l'enumerazione? Improvvisamente ella provò il desiderio di piangere, di gettarsi sul letto a singhiozzare senza fine. Egli non era mutato; nulla era mutato, e lei era stata una pazza, una stupida pazza illudendosi che egli l'amasse. Era stato soltanto uno dei suoi ripugnanti gesti da ubriaco. L'aveva presa e ne aveva goduto come avrebbe fatto con una qualunque fra le donne di Bella. Ed ora eccolo tornato, insultante, sardonico, irraggiungibile. Ella ringhiottí le lagrime e raccolse le proprie forze. No: non dovrebbe mai, mai venire a sapere ciò che Rossella aveva pensato! Come riderebbe, se lo sapesse! Lo guardò di sfuggita e sorprese l'antico sguardo scrutatore che l'aveva sempre lasciata perplessa; ansioso, come se anelasse alle parole che ella stava per dire, sperando che fossero... Ma che cosa sperava? Che lei gli desse campo di schernirla? Ah no! Aggrottò la fronte guardandolo freddamente. - Naturalmente, sospettavo quali erano i tuoi rapporti con quella femmina. - Lo sospettavi soltanto? Perché non mi hai chiesto nulla? Te lo avrei detto. Ho vissuto con lei dal giorno in cui tu e Ashley Wilkes avete deciso che noi dovevamo dormire in camere separate. - Hai la sfacciataggine di dire a tua moglie che... - Oh, risparmiami la tua indignazione! Non ti è mai importato di ciò che facevo, finché ho pagato i tuoi conti. Quanto all'esser mia moglie... non lo sei stata molto, da quando è nata Diletta, non è vero? Ho fatto un cattivo affare, Rossella. Quello con Bella è stato assai migliore. - Un affare? Vuoi dire che le hai dato...? - Ho impiantato il suo stabilimento facendo ogni cosa in regola. Bella è una donna abile. Volevo che avesse una posizione; e per raggiungerla, non aveva bisogno che di un po' di denaro onde mettere su una casa per proprio conto. Sai benissimo che una donna può fare dei miracoli, con un po' di denaro liquido. Guarda quello che hai fatto tu stessa... - Mi paragoni a... - Siete tutt'e due donne d'affari e siete riuscite entrambe. Soltanto, Bella ha lo svantaggio di essere un'anima buona, piena di cuore... - Vuoi uscire da questa stanza? Egli si avviò lentamente alla porta, sollevando un sopracciglio in maniera buffa. Irata e addolorata, Rossella si chiese come mai suo marito poteva offenderla cosí. Umiliarla e sferzarla mentre lei aveva tanto desiderato il suo ritorno! Ed era stato tutto quel tempo a ubriacarsi e disputare con la polizia in un postribolo! - Esci da questa camera e non rientrarvi mai piú. Te l'ho già detto una volta, ma non sei stato abbastanza gentiluomo da comprenderlo. Da ora in poi chiuderò a chiave la mia porta. - Non prenderti questa pena. - La chiuderò. Dopo il modo in cui ti sei comportato l'altra notte, cosí disgustoso... - Via, cara! Non mi pare di averti disgustato tanto! - Vattene! - Non ti arrabbiare. Me ne vado. E ti prometto di non disturbarti mai piú. Questa è la fine. E volevo appunto dirti che se la mia infame condotta è insopportabile per te, non mi opporrò al divorzio. Basta che tu mi dia Diletta. - Non voglio gettare l'onta sulla mia famiglia con un divorzio. - Non avresti tanti scrupoli se miss Melly fosse morta, vero? Penso che non esiteresti un minuto a divorziare... - Te ne vai? - Sí, me ne vado. Sono venuto a casa per dirtelo. Vado a Charleston e a Nuova Orléans... Oh, un viaggetto abbastanza lungo. Parto oggi. - Oh! - E porto Diletta con me. Di' a quella stupida di Prissy di preparare la sua roba. Porterò anche Prissy. - Non permetterò che la mia bimba esca da questa casa. - È anche mia, signora Butler. Certo non mi impedirai di portarla a Charleston a vedere sua nonna? - Me ne infischio di sua nonna! Non permetterò che tu la porti via, sapendo che sarai ubriaco tutte le sere e che probabilmente la porterai in case come quella di Bella... Egli gettò a terra il sigaro violentemente; questo continuò ad ardere sul tappeto e il puzzo di lana bruciata salí alle loro narici. In un attimo Rhett era accanto a lei, pallido d'ira. - Se tu fossi un uomo, ti spaccherei la testa per quello che hai detto. Ma poiché non lo sei, ti risponderò, per chiuderti quella maledetta bocca! Credi che abbia cosí poco affetto per mia figlia da portarla...! Dio mio, sei proprio pazza! Quanto a te, che ti dai quelle arie materne, una gatta è miglior madre di te! Che hai mai fatto per i tuoi bambini? Wade e Ella hanno paura di te; e se non ci fosse Melania Wilkes, essi non saprebbero che cos'è affetto e dolcezza. Ma Diletta, la mia Diletta! Credi che io non sappia occuparmene piú e meglio di te? Credi che ti permetterò di tiranneggiarla e intimidirla come hai fatto con gli altri due? Per l'inferno, no! Fai preparare la sua roba e che sia pronta fra un'ora; altrimenti ti avverto che ciò che è accaduto l'altra notte ti sembrerà dolce e soave a paragone di ciò che avverrà. Sono sempre stato convinto che una buona lezione a base di scudiscio ti gioverebbe immensamente. Prima che Rossella potesse parlare, era uscito dalla stanza. Lo udí attraversare il vestibolo ed entrare nella camera da gioco dei bambini. Vi fu un gaio cinguettio infantile; poi la vocetta di Diletta si levò sopra a quella di Ella. - Dove sei stato, babbo? - A caccia di conigli per averne la pelle e fare una pelliccetta alla mia piccina. Dai un bel bacio al tuo tesoro, Diletta... e anche tu, Ella.

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La condusse con sé a far delle visite, costringendola dolcemente a recarsi in salotti nei quali Rossella non andava da un paio d'anni. E Melania, con l'aspetto fiero di chi dice «chi vuol bene a me deve voler bene al mio cane» faceva conversazione con l'ospite stupita. Si recavano di buon'ora in quei salotti e vi rimanevano finché l'ultima visitatrice se n'era andata, privando cosí le signore della gioia di spettegolare sul loro conto. Quelle visite erano un vero tormento per Rossella, che peraltro non osava rifiutare a Melania di accompagnarla. Detestava trovarsi in mezzo a gruppi di donne che nel loro intimo si chiedevano se ella era stata veramente sorpresa in flagrante adulterio. E sapeva che nessuna di quelle donne le avrebbe rivolto la parola, se non avessero voluto bene a Melania e non avessero tenuto alla sua amicizia. E dopo averla ricevuta una volta, non potevano certo toglierle il saluto in seguito. Era caratteristico il fatto che ben poche persone difendevano Rossella basandosi sulla sua onestà personale. Ella si era fatti troppi nemici per potere avere adesso dei difensori. A nessuno importava che lo scandalo la colpisse; ma nessuno voleva offendere Melania o Lydia; e la tempesta infuriava attorno a loro piuttosto che intorno a Rossella, accentrandosi su una domanda: «Aveva mentito Lydia?» Quelli che sposavano il punto di vista di Melania accennavano trionfanti al fatto che la signora Wilkes era sempre con Rossella in quei giorni. Una donna che aveva i suoi saggi principi si sarebbe forse messa in vista in quel modo con una donna colpevole, specialmente colpevole col proprio marito? No davvero! Lydia era un'acida zitellona che odiava Rossella e aveva mentito, inducendo Baldo e la signora Elsing a credere alle sue menzogne. «Ma» dicevano i partigiani di Lydia «se Rossella non è colpevole, dov'è il capitano Butler? Perché non è accanto a sua moglie a difenderla con la sua presenza?» Domanda che rimaneva senza risposta; e quando, col passar delle settimane, si sparse la voce che Rossella era incinta, i partigiani di Lydia si stropicciarono le mani soddisfatti. Non poteva essere per opera del capitano Butler - dicevano. Da troppo tempo la loro separazione di letto era cosa di pubblico dominio, e la città ne era stata scandalizzata. E i pettegolezzi corsero, dividendo la città in due campi, e dividendo anche i circoli famigliari a prendere un partito: non esisteva terreno neutro. Melania con la sua fredda dignità e Lydia con la sua acida amarezza provvedevano a questo. Ma qualunque fosse il partito, tutti erano d'accordo nel riconoscere che Rossella era causa di questi dissensi. E nessuno di loro ritenevano che ella meritasse tanto. Però tutti quanti deploravano ugualmente che Lydia avesse lavato i panni sudici della famiglia in pubblico, coinvolgendo Ashley in uno scandalo cosí deplorevole. La metà di Atlanta era parente o mezza parente di Melania e di Lydia. Le ramificazioni di cugini in terzo e quarto grado, di parenti d'acquisto erano cosí complicate che nessuno che non fosse nato in Georgia avrebbe potuto mai districarle. Era stata sempre una specie di tribú, che aveva presentato al mondo un fronte compatto nei momenti gravi, qualunque fosse stata l'opinione privata di ognuno sulla condotta dei parenti presi uno per uno. Ad eccezione della guerriglia condotta da zia Pitty contro suo fratello Enrico e che era stata soggetto di gaie risate per tutta la famiglia durante molti anni, non si aveva memoria di un'aperta rottura tra parenti. Era gente tranquilla e riservata, che non era neanche dedita alle piccole dispute amichevoli che caratterizzavano la maggior parte delle famiglie di Atlanta. Ma ora la scissura era profonda; e la città assisteva al fatto che cugini in quinto e sesto grado si schieravano da una parte o dall'altra nello scandalo piú grave che Atlanta avesse mai visto. Il tatto e la tolleranza di quelli che non erano parenti furono posti a dura prova, perché la scissura Lydia-Melania portò il disordine in quasi tutte le organizzazioni sociali. I «Figli di Talia», il «Circolo di lavoro per le Vedove e gli Orfani della Confederazione», L' «Associazione per l'Abbellimento delle Tombe dei Gloriosi Caduti», il «Circolo musicale del Sabato» la «Biblioteca dei Giovani», tutti furono coinvolti. Cosí pure quattro chiese delle società del Soccorso e dei Missionari. Bisognò porre la piú grande attenzione per evitare di mettere negli stessi comitati membri di fazioni nemiche. Nei giorni di ricevimento le signore erano in grave angustia dalle quattro alle sei, per il timore che Melania e Rossella giungessero mentre Lydia e i suoi fautori erano nel salotto. La povera zia Pitty fu quella che sofferse piú di tutti. Pitty, la quale non desiderava se non di vivere comodamente circondata dall'affetto dei suoi parenti, sarebbe stata ben felice, in questa circostanza, di correre con le lepri e cacciare coi cani. Ma né lepri né cani lo permisero. Lydia abitava con zia Pitty: e se Pitty avesse parteggiato per Melania, come era suo desiderio, Lydia se ne sarebbe andata. E se Lydia se ne fosse andata, che avrebbe fatto la povera Pitty? Sola non poteva certo vivere. Avrebbe dovuto prendere in casa un'estranea, oppure chiudere casa e andarsene ad abitare con Rossella. Ma zia Pitty aveva la vaga sensazione che il capitano Butler non ne sarebbe stato entusiasta. Oppure andare da Melania e dormire nella cameretta di Beau. Pitty non aveva un particolare affetto per Lydia, perché questa la intimidiva con la sua rigidezza e con le sue convinzioni appassionate. Ma la presenza di lei le permetteva di conservare le sue comodità; e Pitty aveva sempre tenuto piú ai propri comodi che alle questioni morali. Quindi Lydia rimase. Ma la sua presenza in casa rese zia Pitty centro di un temporale, perché Melania e Rossella interpretarono questo come una adesione al partito di Lydia. Rossella rifiutò seccamente di continuare a contribuire al mantenimento di Pitty finché Lydia viveva sotto lo stesso tetto. Ashley mandò ogni settimana del denaro a Lydia, la quale fieramente e silenziosamente lo restituí, con grande spavento e rammarico della vecchia signorina. Le finanze della casa di mattoni rossi sarebbero state disastrose se non fosse intervenuto zio Enrico; ma Pitty fu molto umiliata di dovere accettare il suo aiuto. Pitty amava Melania piú di chiunque altro al mondo - eccetto sé stessa ed ecco che Melania si comportava come un'estranea, fredda e cortese. Benché abitasse quasi nel cortile dietro la casa di Pitty, non attraversò mai piú la siepe divisoria, come soleva fare una diecina di volte al giorno. Pitty si recò da lei e pianse protestando il suo affetto e la sua devozione, ma Melania rifiutò di discutere la cosa e non le restituí le sue visite. Pitty sapeva benissimo ciò che doveva a Rossella; quasi la vita. Nei tristi giorni dell'immediato dopoguerra, quando ella si era trovata di fronte all'alternativa di morir di fame o di unirsi a suo fratello Enrico, Rossella le aveva conservato la casa, l'aveva nutrita e vestiva e le aveva permesso di rimanere a testa alta nella società di Atlanta. E da quando si era sposata ed era andata nella sua nuova casa, era stata di una generosità senza pari. E quello spaventoso e affascinante capitano Butler... ogni volta che andava a trovarla con Rossella, Pitty trovava - dopo la loro partenza - una borsetta nuova stipata di banconote sulla mensola del camino, o un fazzoletto di pizzo annodato a fardelletto pieno di monete d'oro che era stato timidamente ficcato nella sua scatola da lavoro. Rhett aveva sempre sostenuto di non saperne nulla e la accusava di avere un segreto ammiratore: forse il baffuto nonno Merriwether. Sí; Pitty doveva affetto a Melania, sicurezza a Rossella... E a Lydia che cosa doveva? Nulla; se non che la presenza di Lydia le impediva di interrompere il suo piacevole modo di vivere. Era doloroso e volgare; e Pitty che in vita sua non aveva mai preso una decisione, lasciò che le cose seguissero il loro corso. Il risultato fu che la vecchia signorina sparse molte lagrime desolate. Vi era infine qualche persona di buon cuore che credeva nell'innocenza di Rossella, non per le sue virtú personali, ma perché Melania vi credeva. Taluni facevano delle riserve mentali, ma erano gentili con lei e andavano a farle visita perché volevano bene a Melania e desideravano conservare la sua amicizia. Gli aderenti di Lydia la salutavano freddamente; qualcuno le tolse anche il saluto. Questo era imbarazzante e antipatico; ma Rossella si rese conto che se non fosse stato per la difesa di Melania e il suo immediato atteggiamento, tutta la città sarebbe stata contro di lei ed ella sarebbe stata messa al bando.

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Continuò peraltro ad occuparsi del suo lavoro a fronte alta e col cuore che le doleva. Non si sentiva bene fisicamente; ma, costretta da Melania, andò ogni giorno al negozio e cercò di interessarsi agli stabilimenti. Ma per la prima volta il negozio le sembrò insulso; e, benché gli affari fossero il triplo dell'anno prima e il denaro fosse abbondante, non riuscí ad interessarsene e fu aspra e sgarbata coi commessi. Lo stabilimento diretto da Johnnie Gallegher prosperava e il legname si vendeva con facilità; ma nulla di ciò che Johnnie le diceva le fece piacere. Johnnie, irlandese come lei, finí con l'irritarsi della sua indifferenza ed ebbe un'esplosione di rabbia; minacciò di licenziarsi e terminò col dirle: «La maledizione di Cromwell sarà sopra di voi!» Per calmarlo, Rossella fu costretta a fargli delle scuse. Non andò mai allo stabilimento di Ashley. Né all'ufficio quando sapeva che egli vi si trovava. Sapeva che egli l'evitava e sapeva che la costante presenza di lei in casa sua - dovuta alle insistenze di Melania - era per lui un tormento. Non si parlavano mai da soli, ed ella era disperata perché avrebbe almeno voluto sapere se egli l'odiava adesso; e conoscere esattamente che cosa aveva detto a Melania. Ma Ashley la teneva a distanza e col suo silenzio la pregava di non parlare. La vista della sua faccia invecchiata, sparuta, piena di rimorsi, le pesava sulla coscienza; e il fatto che il suo stabilimento perdesse denaro continuamente, le cagionava un soprappiú di irritazione che non riusciva a vincere. L'incapacità di Ashley di fronte alla situazione l'addolorava. Ignorava che cosa egli avrebbe dovuto fare per migliorare le cose; ma sentiva che doveva fare qualche cosa. Rhett avrebbe agito. Rhett agiva sempre, anche a torto, ed ella lo rispettava involontariamente per questo. Ora che l'impeto di collera per gli insulti di Rhett s'era placato, Rossella cominciò a sentire la mancanza di suo marito; e ne sofferse sempre piú a misura che i giorni passavano senza alcuna notizia di lui. Dall'ondata di collera, di delirio, di crepacuore, di orgoglio offeso in cui egli l'aveva lasciata, emergeva ora una depressione che gravava sulle sue spalle come una carogna putrefatta. Le mancava la sua presenza, le mancava la vivezza con la quale egli narrava aneddoti che la facevano ridere di cuore, il suo sogghigno sardonico che riduceva ogni guaio alle sue giuste proporzioni; le mancavano perfino gli scherni che suscitavano le sue risposte irate. Piú di tutto le mancava di averlo come ascoltatore. In questo, Rhett le dava veramente ogni soddisfazione. Ella poteva narrargli senza vergogna e con orgoglio come era riuscita a strappare dei quattrini alla gente, sicura di essere approvata. Mentre se parlava di queste cose ad altri, li scandalizzava. Si sentiva sola senza lui e senza Diletta. La bimba le mancava piú di quanto avrebbe creduto possibile. Ricordando le ultime dure parole che Rhett le aveva gridato a proposito di Wade e di Ella, cercò di riempire le sue ore con essi. Ma fu inutile. Le parole di Rhett e le reazioni dei bambini le rivelarono un'amara e stupefacente verità. Durante la prima infanzia di quei suoi figliuoli ella era stata troppo occupata a guadagnar denaro, troppo facile ad essere aspra e irritata per poter conquistare la loro confidenza e la loro affezione. Ed ora era troppo tardi; o forse, Rossella non aveva la pazienza e la saggezza occorrenti per penetrare nei loro cuoricini. Ella! Constatare che Ella era una bimba stupida irritava Rossella; ma la verità era indiscutibile. Non era possibile trattenere la sua attenzione su un oggetto di quanto si possa trattenere un uccellino su una frasca; e anche quando Rossella tentava di narrarle delle storie, Ella interrompeva con delle domande che non c'entravano per nulla e dimenticava ciò che aveva chiesto, molto prima che Rossella le avesse risposto esaurientemente. Quanto a Wade... forse Rhett aveva ragione. Forse aveva paura di lei. Era una cosa strana e che la offendeva. Perché il suo bimbo avrebbe dovuto temerla? Quando cercava di farlo discorrere, egli la fissava coi dolci occhi bruni di Carlo, e si contorceva strisciando i piedi imbarazzato. Con Melania, invece, chiacchierava senza fatica e tirava di tasca ogni sorta di cose per mostrargliele: vermiciattoli per pescare o pezzetti di spago. Melania sapeva trattare i bambini; inutile negarlo. Il suo piccolo Beau era il bimbo meglio educato e piú simpatico di Atlanta. Rossella andava d'accordo con lui piú che col proprio figlio, perché Beau non considerava ancora la differenza fra se stesso e i grandi, e si arrampicava sulle sue ginocchia, senza essere invitato, dovunque la vedesse. Era un bel bimbo biondo; proprio come Ashley! Se Wade gli avesse assomigliato... D'altronde, se Melania poteva perdere tanto tempo con lui, era perché aveva un bimbo solo e non doveva lavorare e affannarsi come Rossella. Rossella, almeno, cercava di scusarsi in questo modo; ma onestamente era costretta ad ammettere che Melania amava i bambini e sarebbe stata ben lieta di averne una dozzina. E la sovrabbondanza di tenerezza del suo cuore veniva riversata su Wade e sui figliuoletti dei vicini. Rossella non poté mai dimenticare l'impressione che provò il giorno in cui, recatasi a casa di Melania per riprendere il bambino, udí nel giungere la voce di suo figlio - che a casa era sempre silenzioso come un topolino - squillare in un'ottima imitazione del grido dei Ribelli. E a far coro con lui era la vocetta acuta di Beau. Entrando in salotto, aveva trovato i due bimbi che assaltavano il divano con le loro sciabole di legno. Nel vederla entrare si erano ritratti sgomenti, e Melania si era alzata, ridendo e ravviandosi i capelli, da dietro al divano dov'era nascosta. - Questo è Gettysburg - aveva spiegato. - Io rappresento gli yankees e naturalmente ho avuto la peggio. Questo è il generale Lee - e indicò Beau - e quest'altro è il generale Pickett - e pose un braccio attorno alle spalle di Wade. Sí; Melania aveva un modo di fare coi bambini che Rossella non riusciva a comprendere. «Meno male» pensò «che Diletta mi vuol bene ei giuoca volentieri con me.» Ma anche qui, doveva riconoscere che la bimba preferiva Rhett a lei. E, chi sa? forse non la vedrebbe mai piú. Rhett era Dio sa dove e poteva restare lontano per sempre. Quando il dottor Meade le disse che era incinta, ella rimase stupita, perché si era aspettata una diagnosi di malattia di fegato o di esaurimento nervoso. Quindi la sua mente tornò a quella tale notte; e a quel ricordo si sentí arrossire. Dunque da quei momenti di estasi veniva un bambino... anche se il ricordo dell'estasi era oscurato da ciò che era seguito. E per la prima volta fu contenta di essere incinta. Se fosse un maschio! Un bel maschietto, non una creatura senza spirito come Wade. Come gli vorrebbe bene! Ora che aveva il tempo di dedicarsi a un piccino; e del denaro per fargli bella la vita, come sarebbe felice! Ebbe l'impulso di scrivere a Rhett per dirglielo, dirigendo la lettera presso sua madre a Charleston. Bisognava che tornasse a casa! Dio mio, se fosse rimasto lontano fin dopo la nascita del bambino! Non potrebbe mai spiegargliele! Ma se gli scriveva, egli supporrebbe che lei desiderava averlo a casa e si divertirebbe di questo. No, non doveva pensare che lei avesse desiderio o bisogno di lui. Fu lieta di aver dominato il suo impulso quando una lettera di zia Paolina da Charleston portò la notizia che Rhett si trovava colà. Che sollievo saperlo ancora negli Stati Uniti, benché la lettera di zia Paolina fosse di quelle che dànno ai nervi! Rhett aveva condotto Diletta a far visita a lei e a zia Eulalia e la lettera era piena di elogi. «Che graziosa creatura! Crescendo, diventerà certamente una bellezza. Ma senza dubbio, chiunque vorrà corteggiarla avrà da fare i conti col capitano Butler, perché non ho mai visto un padre piú affezionato. Ora ti farò una confessione, cara nipote. Prima di conoscere il capitano Butler ero convinta che questo tuo matrimonio fosse una vera "mésalliance", perché a Charleston nessuno ha mai parlato bene di lui e si è sempre avuto compassione per la sua famiglia. Eulalia ed io eravamo incerte se si dovesse riceverlo o no; ma dopo tutto, la cara piccina è nostra pronipote. Quando è venuto, siamo state piacevolmente sorprese, e abbiamo pensato che non bisogna mai dar retta alle chiacchiere, dando prova di poco spirito cristiano. È un uomo simpaticissimo. Ed è anche bello; e molto serio e cortese. E vuol tanto bene a te e alla piccina. «Debbo ora dirti, mia cara, una cosa che è giunta al nostro orecchio; una cosa che Eulalia ed io ci rifiutavamo a credere. Avevamo sentito dire che tu qualche volta ti occupavi della bottega che ti ha lasciata il signor Kennedy. Nei primi terribili tempi del dopoguerra, forse ciò era necessario, date le condizioni in cui tutti ci trovavamo. Ma ora non vi è piú alcun bisogno che tu faccia nulla di simile, visto che il capitano Butler è in ottime condizioni finanziarie e per di piú è capacissimo di dirigere ottimamente anche i tuoi affari. Per sapere la verità abbiamo dovuto interrogare tuo marito. Egli ci ha risposto con riluttanza che tu passi le tue mattinate al negozio e non permetti a nessuno di tenere la contabilità. Ha anche ammesso che tu hai non so che interesse in uno stabilimento - o piú d'uno - che richiedeva la tua presenza; e che tu ti rechi in quel luogo sola o accompagnata da un individuo che il capitano assicura essere un assassino. Abbiamo capito che questo lo addolorava; e abbiamo pensato che è un marito indulgente; troppo indulgente. È una cosa che deve finire, Rossella. Tua madre non è qui per ordinartelo, e debbo farlo io in sua vece. Pensa ai tuoi bambini quando saranno grandi e sapranno che tu hai fatto la commerciante! Che mortificazione per loro sapere che sei stata esposta agli insulti di uomini rozzi e ai pericoli di pettegolezzi da parte del personale degli stabilimenti! Un'occupazione cosí poco femminile...» Rossella gettò la lettera senza finire di leggerla, con un'imprecazione. Le pareva di vedere le sue zie erette a giudici del suo operato nella loro casetta alla Batteria, dove sarebbero morte di fame se ella non avesse mandato loro mensilmente qualche cosa. Poco femminile? Perdio, se lei non fosse stata cosí, probabilmente le care zie non avrebbero un tetto per ricoverarsi, in quel momento! E quel mascalzone di Rhett che era andato a raccontare del negozio e degli stabilimenti! Con riluttanza? Certo era stato ben felice di rappresentare dinanzi alle vecchie signore la parte del bravo marito e padre, serio e cortese. Come doveva essersi divertito! Era un vero demonio. Perché quelle cattiverie gli davano tanto piacere? Ma poco dopo la sua ira era passata dando luogo all'apatia. La vita aveva perduto molto del suo sapore in quegli ultimi tempi... Se almeno potesse ritrovare l'ardore e l'emozione che le dava Ashley... se Rhett tornasse a casa e la facesse nuovamente ridere!

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Si stringevano a Prissy, perché anche per le loro menti infantili vi era qualche cosa di spaventoso nell'atmosfera fredda e indifferente che era fra la loro mamma e il loro padrigno. Debole com'era, Rossella tornava a casa sua, a Tara. Sentiva che se fosse rimasta ancora un giorno ad Atlanta sarebbe soffocata, continuando a far girare il suo cervello stanco nel cerchio di pensieri inutili che la torturava. Ammalata nel corpo e stanca nello spirito, sembrava un bimbo sperduto in una contrada d'incubo, senza una traccia per guidarla. Com'era fuggita da Atlanta dinanzi all'esercito invasore, cosí fuggiva oggi, cercando di ricacciare i suoi pensieri nel fondo della mente, con la sua vecchia formula: «Non voglio pensarci adesso. Non resisterei. Ci penserò domani, a Tara. Domani è un altro giorno». Le sembrava che una volta giunta in mezzo alla calma e al verde dei campi di cotone, tutti i suoi dolori svanirebbero ed ella potrebbe raccogliere i suoi pensieri frantumati rinsaldandoli in una forma che le consentisse di sopportarli. Rhett rimase a guardare il treno finché fu fuori di vista; sul suo volto era un'espressione di amarezza poco piacevole. Sospirò, licenziò la carrozza e salendo a cavallo si diresse verso Via dell'Edera, a casa di Melania. Era una mattinata calda e Melania sedeva sotto al porticato ombreggiato di vite, col suo cestello da lavoro pieno di calze da rammendare. Si sentí confusa e sgomenta quando vide Rhett scendere da cavallo e gettare le redini a un ragazzotto negro che era dinanzi al cancello. Non lo aveva piú visto solo da quel terribile giorno, quando Rossella stava tanto male ed egli era tanto... sicuro, tanto ubriaco. Aveva scambiato qualche parola con lui durante la convalescenza di Rossella; e in quelle occasioni, le era stato difficile incontrarne lo sguardo. Però egli aveva il suo contegno abituale; né con una parola né con un gesto aveva mai fatto allusione alla scena che aveva avuto luogo fra loro. Ashley le aveva detto una volta che spesso gli uomini non ricordano ciò che dicono e fanno in istato di ubriachezza, e Melania pregava fervidamente il Signore che la memoria del capitano Butler gli facesse difetto in questa circostanza. Meglio morire piuttosto che sapere che egli ricordava i suoi sfoghi! Vedendolo avviarsi verso di lei si sentí piena di timidezza e di imbarazzo; un vivo rossore le salí alle guance. Ma forse egli veniva soltanto per chiederle di mandare Beau a passare la giornata con Diletta. Certo non avrebbe avuto il cattivo gusto di ringraziarla di ciò che ella aveva fatto quel giorno! Si alzò per salutarlo, notando con sorpresa, come sempre, l'elasticità del suo passo benché egli fosse grande e grosso. - Rossella è partita? - Sí. Il soggiorno di Tara le farà bene - rispose sorridendo. - A volte penso che sia come il gigante Anteo che diventava piú forte ogni volta che toccava la Madre Terra. A Rossella non giova rimanere troppo tempo lontana da quelle zolle rosse a cui è affezionata. La vista del cotone che cresce le farà piú bene dei medicinali del dottor Meade. - Non volete sedere? - chiese Melania, palpitante. Egli era un tipo nettamente mascolino, e gli individui molto virili le facevano sempre una certa impressione. Le sembrava che irradiassero una forza e una vitalità che la facevano sentire piú piccola e piú debole del vero. I muscoli forti di lui si disegnavano sotto l'abito di tela bianca in un modo che la sgomentava. Le sembrava impossibile di aver veduto quella forza e quell'insolenza piegate a terra. E aveva tenuto quel capo bruno sulle sue ginocchia! «Dio mio!» pensò atterrita; e arrossí di nuovo. - Miss Melly - disse Rhett dolcemente - vi disturbo? Preferite che me ne vada? Siate sincera, vi prego. «Oh!» pensò Melania. «Si ricorda! E sa che sono sconvolta!» Lo guardò implorante e a un tratto il suo imbarazzo svaní. Gli occhi di lui erano cosí buoni e tranquilli, cosí pieni di comprensione che ella si stupí del suo passato sgomento. Sembrava stanco e abbastanza triste. Come aveva potuto credere che egli fosse cosí maleducato da parlare di cose che entrambi preferivano dimenticare? «Poverino» pensò ancora «è stato cosí preoccupato per Rossella!» Quindi gli disse sorridendo: - Sedete, capitano Butler. Egli sedette pesantemente e la guardò mentre riprendeva in mano il lavoro. - Miss Melly, sono venuto a domandarvi un grande favore e - sorrise - a chiedere la vostra complicità per un piccolo inganno che certo vi farà inorridire. - Un... inganno? - Sí. Sono venuto per parlarvi d'affari. - Dio mio! Sarà meglio che vediate mio marito. Io non ne capisco nulla! Non sono davvero intelligente come Rossella! - Temo che Rossella lo sia anche troppo; ed è precisamente per questo che voglio parlare con voi. Voi sapete come... è stata male. Al suo ritorno da Tara vorrà nuovamente cominciare ad occuparsi del negozio e di quegli stabilimenti che sarei ben lieto crollassero una notte o l'altra. Ho paura per la sua salute, miss Melly. - Sí; si affanna troppo. Dovreste farla smettere; e farla pensare a curarsi. Egli rise. - Sapete com'è ostinata. Non tento mai di discutere con lei. È come una bimba caparbia; non vuole essere aiutata. Né da me né da nessuno. Ho tentato di persuaderla a cedere la sua parte dell'azienda, ma non vuole. Ed ora, miss Melly, eccomi al fatto. So che Rossella venderebbe la sua parte al signor Wilkes e a nessun altro; e io desidero che il signor Wilkes la compri. - Dio mio! Sarebbe molto bello ma... - Si interruppe e si morse le labbra. Non poteva parlare di questioni finanziarie con un estraneo. Malgrado il lavoro di Ashley, il denaro non era mai abbastanza; da parte non si poteva mettere quasi nulla e questo la preoccupava. Melania non sapeva dove andavano i quattrini. Ashley gliene dava abbastanza per il governo della casa; ma quando capitavano delle spese straordinarie, erano guai. Senza dubbio, vi erano i conti del dottore che la curava; e poi, i libri e i mobili che Ashley faceva venire da New York costavano parecchio. E vi era il vitto e il vestiario di un certo numero di orfanelli che venivano ospitati nelle cantine. Inoltre, Ashley non rifiutava mai un prestito a chiunque fosse stato nell'esercito confederato. Poi... - Desidero prestarvi io il denaro, miss Melly - riprese Rhett. - Siete molto buono; ma non saremo mai in grado di restituirvelo. - Non me n'importa. Non vi adirate con me, miss Melly! Vi prego di ascoltarmi. Sarò piú che compensato dal fatto che Rossella non si affaticherà a correre ogni giorno agli stabilimenti. Basterà il negozio a tenerla occupata e a farla contenta... Capite? - Veramente... sí... - fece Melania incerta. - Voi desiderate un pony per il vostro bambino, non è vero? E volete che possa andare all'Università e a fare il viaggio d'Europa? - Senza dubbio! - E il volto di Melania si illuminò, come sempre quando si parlava di Beau. - Vorrei che avesse tutto, ma... siamo tutti quanti cosí poveri al giorno d'oggi... - Il signor Wilkes guadagnerà molto denaro, un giorno, con l'azienda. Ed io farò in modo che Beau abbia tutto ciò che merita. - Che furbacchione siete, capitano Butler! - E Melania sorrise. - Accarezzate l'orgoglio materno! Leggo in voi come in un libro! - Spero bene di no! - E per la prima volta gli occhi di Rhett brillarono. - Dunque: volete permettermi di prestarvi il denaro occorrente? - Ma dov'è l'inganno? - Dobbiamo cospirare per imbrogliare vostro marito e Rossella. - Dio mio, no! Non potrei! - Se Rossella sapesse che ho complottato alle sue spalle, sia pure per il suo bene... conoscete il suo carattere! E temo che il signor Wilkes rifiuterebbe di accettare un prestito da me. Quindi nessuno dei due deve sapere da dove proviene il denaro. - Ma sono sicura che mio marito non rifiuterebbe se sapesse il motivo. Vuol tanto bene a Rossella... - Non ne dubito. Ma rifiuterebbe lo stesso. So come sono orgogliosi tutti i Wilkes. - Povera me! - esclamò Melania desolata. - Vorrei... Ma davvero, capitano Butler, non posso ingannare mio marito. - Neanche per aiutare Rossella? - Rhett sembrò molto offeso. - E dire che lei vi vuol tanto bene! Sulle ciglia di Melania tremarono le lagrime. - Sapete che sono pronta a qualunque cosa per lei. Non potrò mai, mai sdebitarmi di ciò che lei ha fatto per me. Lo sapete! - Sí - replicò Rhett brevemente. - So quello che ha fatto per voi... Non potreste dire al signor Wilkes che il denaro vi è stato lasciato per testamento da qualche parente? - Ma i miei parenti, Dio li benedica, sono tutti senza un quattrino! - E allora, se io mando il denaro a vostro marito per posta, senza il nome del mittente, farete in modo che sia impiegato per acquistare gli stabilimenti e non... insomma, non serva per mantenere degli ex-confederati? In un primo momento Melania sembrò offesa da queste parole che implicavano una critica per Ashley; ma Rhett sorrise con tanta comprensione che ella gli ricambiò il sorriso. - Senza dubbio. - Allora siamo d'accordo? Sarà un segreto fra noi? - Pensare che non ho mai avuto segreti per mio marito! - Ne sono sicuro, miss Melly. Melania lo guardò pensando che aveva sempre avuto ragione lei nel giudicarlo, mentre tutti gli altri avevano torto. Dicevano che era brutale, beffardo, maleducato e perfino disonesto. Ebbene! Lei aveva compreso fino dal principio che era un brav'uomo. Da lui non aveva avuto che attenzioni e cortesie, rispetto e comprensione! E come amava Rossella! Com'era buono nel pensare a questo trucco per risparmiare a Rossella una parte del lavoro a cui ella si costringeva! Impulsivamente esclamò: - È ben fortunata Rossella di avere un marito che è cosí buono con lei! - Credete? Temo che essa non sia della stessa opinione. Del resto, io desidero essere buono anche con voi, miss Melly. Vi do piú di quello che do a Rossella. - A me? - chiese perplessa. - Ah, volete dire per Beau. Egli si alzò e prese il cappello. Rimase per un attimo a guardare il visino triangolare col suo lungo mazzocchio di capelli e i dolci occhi neri. Un viso cosí poco terrestre, cosí privo di difese contro la vita! - No, non per Beau. Sto cercando di darvi qualche cosa di piú grande di Beau; non indovinate? - Non posso - replicò nuovamente stupita. - Per me non vi è nulla al mondo di piú prezioso di Beau, eccetto Ash... il signor Wilkes. Rhett la fissò, calmo, senza parlare. - Siete molto buono, capitano Butler; ma vi assicuro che sono completamente felice. Ho tutto ciò che una donna può desiderare al mondo. - Benissimo - ribatté Rhett improvvisamente cupo. - Ed io intendo darvi il modo di conservarlo.

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Evidentemente stavano giocando agli Indiani quando era giunto il momento di andare alla stazione; e Diletta doveva aver rifiutato di rimediare al disordine del suo abbigliamento, sia pure per andare incontro a sua madre. Rossella esclamò: - Che straccioncella! - baciandola; e porse la guancia al bacio di Rhett. Se non vi fosse stata tanta gente alla stazione, ne avrebbe fatto a meno. Malgrado la sua confusione nel trovare Diletta acconciata in quel modo, non poté fare a meno di notare che tutti sorridevano nel vedere il padre e la figlia cosí conciati; e non era un sorriso di derisione ma di bontà e di simpatia. Tutti sapevano che la piccina dominava completamente suo padre e approvavano ridendo. Il grande amore di Rhett per la sua piccina lo aveva fatto risalire di parecchi gradini nella pubblica opinione. Nel ritorno a casa, Rossella vuotò il sacco delle novità della Contea. Il tempo caldo e asciutto faceva crescere il cotone a vista d'occhio; ma Will diceva che i prezzi sarebbero stati bassi, appunto per la grande abbondanza. Súsele aspettava un altro bambino (lo disse sottovoce perché i bimbi non capissero) e Ella aveva mostrato di avere uno spirito bellicoso mordendo la bimba piú grande di Súsele. Cosa che del resto - osservò Rossella - la bimba meritava, perché somigliava tutta a sua madre. Ma la madre si era arrabbiata, e fra le due sorelle era stata una lite che ricordava quelle degli antichi tempi. Wade aveva ucciso una biscia d'acqua: da solo! Randa e Camilla Tarleton facevano le insegnanti a scuola; uno scherzo, se si pensava che nessuno dei Tarleton aveva mai saputo leggere correntemente! Bettina Tarleton aveva sposato un grasso mutilato di Lovejoy; insieme con Hetty e con Jim Tarleton coltivavano con discreto successo una piantagione di cotone a Fairhill. La signora Tarleton aveva un allevamento di giumente e puledri ed era felice come se avesse avuto un milione di dollari. Nella vecchia casa dei Calvert abitavano dei negri che ne erano anche proprietari! L'avevano comprata all'asta pubblica. Il luogo era devastato; roba da piangere! Non si sapeva dov'erano andati a finire Catina e quel fannullone di suo marito. Alex stava per sposare Sally, la vedova di suo fratello! Figurarsi, dopo aver vissuto per tanti anni nella stessa casa! Tutti dicevano che era un matrimonio di convenienza perché la gente mormorava da quando vivevano soli, dopo la morte della nonna Fontaine e della nuora. E Dimity Munroe ne aveva quasi avuto il cuore spezzato. Ma le stava bene. Se fosse stata furba, si sarebbe trovato un altro marito da un pezzo, invece di aspettare che Alex avesse messo assieme abbastanza denaro da poterla sposare. Rossella chiacchierava allegramente; ma vi erano molte cose che non raccontava; cose che preferiva dimenticare. Aveva percorso la Contea in carrozza con Will, cercando di non ricordare quando quelle migliaia di jugeri erano verdi di cotone. Ora le piantagioni erano a poco a poco riconquistate dalla foresta e folti cespugli di ginestra, arbusti di querce basse e abeti nani erano cresciuti attorno alle rovine silenziose e sugli antichi campi di cotone. Solo qualche jugero era coltivato, dove prima centinaia e centinaia venivano frugati dall'aratro. Sembrava di camminare attraverso un paese morto. - Questa regione ha bisogno di cinquant'anni per riaversi... se mai si riavrà - aveva detto Will. - Tara è la miglior fattoria della contea, grazie a voi, Rossella, e a me; ma è una fattoria, non una piantagione. E dopo Tara viene la fattoria dei Fontaine e poi quella dei Tarleton. Non fanno molti quattrini, ma vivono. Ma il resto delle fattorie e delle persone... No, Rossella non ricordava volentieri l'aspetto della contea abbandonata. Sembrava ancor piú triste di quanto non fosse in realtà, a paragone del movimento di Atlanta. - E qui, c'è niente di nuovo? - chiese quando furono finalmente a casa, seduti sotto al porticato. Per tutta la strada aveva continuato a discorrere, per paura del silenzio. Non aveva scambiato una parola da sola con Rhett dal giorno della sua caduta, e non era troppo ansiosa di restare a quattr'occhi con lui. Ignorava quali fossero i suoi sentimenti verso di lei. Era stato di una grande bontà durante la sua convalescenza; ma era la bontà di un estraneo indifferente. Aveva prevenuto i suoi desideri, impedito ai bambini di infastidirla, sorvegliato il negozio e l'azienda. Ma non aveva mai detto «Perdonami». Forse non era neanche addolorato. Forse continuava a credere che il bambino che non era nato non era suo figlio. Come poteva, Rossella, sapere ciò che si nascondeva dietro a quel viso bruno e simpatico? Però, in quel periodo aveva mostrato una certa disposizione alla cortesia, per la prima volta da quando erano sposati; e il desiderio di lasciare che la vita proseguisse come se fra loro non vi fosse mai stato nulla di spiacevole. «Come se...» pensa tristemente Rossella «fra loro non vi fosse mai stato nulla addirittura.» Ebbene, se era questo che desiderava, lei si comporterebbe nello stesso modo. - Tutto va bene - ripeté. - Hai avuto i nuovi embrici per la bottega? Hai cambiato le mule? Per carità, Rhett, togliti quelle penne dal cappello. Sembri uno scervellato, e sei capace di andare in città senza ricordarti di levarle! - No - fece Diletta prendendo il cappello di suo padre. - Tutto va bene qui - rispose Rhett. - Diletta ed io ci siamo divertiti; credo che non sia mai stata pettinata dopo la tua partenza. Non rosicchiare le penne, tesoro; sono cattive. Sí, gli embrici sono a posto; per le mule ho fatto un buon affare. Veramente non c'è niente di nuovo: tutto procede regolarmente. Poi, dopo un attimo riprese: - L'egregio Ashley è stato qui ieri sera. Voleva sapere se tu saresti disposta a cedergli il tuo stabilimento e la parte che hai nel suo. Rossella che si stava cullando in una sedia a dondolo e sventolando con un ventaglio di penne di tacchino, si fermò bruscamente. - Cedere? E dove diamine ha preso il denaro? Sai che non hanno mai un centesimo. Melania spende subito tutto quello che suo marito porta in casa. Rhett si strinse nelle spalle. - Ho sempre pensato ch'ella fosse una personcina molto economa. Ma non sono informato sui particolari delle finanze dei Wilkes come sembri esserlo tu. Era una frase nel vecchio stile di Rhett e Rossella ne fu seccata. - Vai, cara - ella disse a Diletta. - La mamma ha bisogno di discorrere col babbo. - No - rispose risolutamente Diletta arrampicandosi sulle ginocchia paterne. Rossella aggrottò le sopracciglia e Diletta la guardò a sua volta con un cipiglio tanto rassomigliante a quello di Geraldo O'Hara che sua madre quasi rise. - Lasciala stare - intervenne Rhett. - Quanto al denaro, pare che gli sia stato mandato da un tale a cui egli prestò assistenza a Rock Island, quando costui aveva il vaiolo. Il fatto che la riconoscenza esista ancora rinnova la mia fede nella natura umana. - Chi è? Una persona che conosciamo? - La lettera non era firmata e veniva da Washington. Ashley ha stentato a capire chi poteva averla mandata. Ma è naturale che un individuo come Ashley vada compiendo tante buone azioni nel mondo che gli è impossibile ricordarle tutte. Se non fosse stata enormemente stupita per la fortuna inattesa di Ashley, Rossella avrebbe raccolto il guanto, quantunque durante il suo soggiorno a Tara si fosse proposta di non lasciarsi mai piú trascinare a litigare con Rhett a proposito di Ashley. I suoi rapporti coi due uomini erano troppo incerti: ed ella non aveva intenzione di eccitarsi in proposito finché non fosse sicura del fatto suo. - E vuol comprare? - Sí. Ma gli ho detto che certamente tu non pensi di vendere. - Ti prego di lasciare che mi occupi io dei miei affari. - Mah, so che non hai nessuna voglia di rinunziare all'azienda. Gli ho detto che tu non sopporteresti di non ficcare il naso negli affari altrui... - Hai osato dirgli questo? - Perché no? Non è la verità? Credo che in cuor suo fosse d'accordo con me; ma è troppo gentiluomo per convenirne. - Non è vero! Gli venderò l'azienda! - esclamò Rossella. Fino a quel momento non aveva pensato affatto ad abbandonare la sua industria. Per molte ragioni desiderava conservarla; e il suo valore finanziario era il motivo meno importante. Negli ultimi anni aveva avuto piú volte occasione di venderla ad ottime condizioni, ma aveva sempre rifiutato. Gli stabilimenti erano la prova evidente di ciò che aveva fatto con le sole sue forze, ed ella ne era orgogliosa. Inoltre rappresentavano il solo contatto possibile con Ashley. Se li avesse venduti, avrebbe avuto assai raramente occasione di vederlo, e probabilmente non lo avrebbe mai visto solo. E voleva vederlo; voleva sapere quali erano adesso i suoi sentimenti verso di lei, se il suo amore era morto, seppellito dalla vergogna, in quella terribile sera del ricevimento. Rimanendo in rapporti di affari, avrebbe avuto l'opportunità di parlargli, senza che nessuno potesse fare osservazioni. E col tempo, ella avrebbe certo riconquistato il terreno che forse aveva perduto nel suo cuore. Ma se vendeva gli stabilimenti... No; non aveva voglia di venderli; ma stimolata dall'idea che Rhett l'aveva fatta apparire ad Ashley in cosí cattiva luce, aveva immediatamente mutato pensiero. Ashley avrebbe l'azienda, e a prezzo cosí favorevole che sarebbe costretto a riconoscere la sua generosità. - Voglio vendere!... - esclamò adirata. - Che ne pensi, adesso? Negli occhi di Rhett passò una lievissima luce di trionfo mentre egli si curvava ad allacciare una scarpina di Diletta. - Credo che te ne pentirai - rispose. Ella era già pentita delle sue parole impulsive. Se le avesse dette dinanzi a chiunque altri che Rhett, le avrebbe ritrattate senza vergogna. Perché precipitare in quel modo? Guardò suo marito con la fronte aggrondata e vide che la stava osservando col suo antico sguardo ansioso di gatto dinanzi alla tana di un topo. Quando le vide aggrottare le ciglia, rise improvvisamente, con un balenío dei suoi denti bianchi. Rossella intuí vagamente che egli l'aveva costretta in quella posizione. - C'entri per qualche cosa in questo? - gli chiese furibonda. - Io? - Inarcò le sopracciglia con sorpresa beffarda. - Dovresti conoscermi meglio. Non compio mai delle buone azioni io... se posso farne a meno.

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NEL periodo che seguí la sua malattia, Rossella notò in suo marito un mutamento; ma non riuscí a comprendere se questo le piaceva o no. Rhett non beveva piú; era tranquillo e pensieroso. Rimaneva spesso a casa dopo cena, ed era piú gentile coi servi e piú affettuoso con Wade e Ella. Non accennava mai a nulla del loro passato e sembrava silenziosamente impedire che lei vi alludesse. La vita continuava dunque a scorrere quietamente, almeno alla superficie. La cortesia impersonale che egli aveva cominciato a dimostrarle durante la sua convalescenza continuò; e Rhett si astenne oramai dal lanciarle frecciate velenose e dal pungerla coi suoi sarcasmi. Rossella comprendeva ora che quantunque i suoi maliziosi commenti fossero oltremodo irritanti, pure erano dettati da un interessamento per ciò che ella faceva e diceva. Ora forse non gliene importava piú nulla. Era e disinteressato; ed ella sentiva la mancanza di quel suo interessamento, anche perverso, degli antichi tempi pieni di liti e di rispostacce. Era gentile con lei, quasi come se si trovasse con un'estranea; ma i suoi occhi che una volta la seguivano, ora seguivano Diletta. Era come se la corrente violenta della sua vita si fosse ridotta in uno stretto canale. A volte Rossella pensava che se Rhett le avesse accordato una metà della premura e della tenerezza che prodigava alla bambina, la vita sarebbe stata ben diversa. La gente diceva: «Come adora la sua bimba il capitano Butler!» ed ella era costretta a sorridere perché non voleva riconoscere, neanche dinanzi a se stessa, di esser gelosa di una bambina; specialmente quando questa era la sua figliuoletta favorita. Rossella aveva sempre provato il bisogno di essere la prima nel cuore di chi le stava attorno; ed ora era evidente che Rhett e Diletta sarebbero sempre i primi, uno nel cuore dell'altra e viceversa. Rhett tornava tardi le sere in cui usciva; ma era perfettamente sobrio. Spesso lo udiva fischiettare pianamente mentre attraversava il vestibolo. A volte rientrava in compagnia di uomini e con questi rimaneva a discorrere in sala da pranzo, dinanzi alla bottiglia di acquavite. Non erano gli stessi individui coi quali beveva nel primo anno del loro matrimonio. In casa non venivano, invitati da lui, né «Carpetbaggers» né rinnegati né repubblicani. Rossella, avvicinandosi in punta di piedi alla balaustra tendeva l'orecchio e spesso riconosceva stupita le voci di Renato Picard, di Ugo Elsing, dei ragazzi Simmon, di Andy Bonnell. E lo zio Enrico e il nonno Merriwether non mancavano mai. Una volta, con sua grande meraviglia, udí la voce del dottor Meade. E dire che quella gente una volta avrebbe voluto vedere Rhett impiccato! Il gruppo era sempre associato, nella sua mente, con la morte di Franco; e tutto l'insieme le ricordava i tempi precedenti la scorreria del Klan in cui Franco aveva perso la vita. Ricordava con spavento la frase di Rhett che «si sarebbe perfino associato al loro maledetto Klan, per diventare rispettabile» benché «sperasse che Dio gli risparmierebbe una simile penitenza.» E se Rhett, come Franco... Una notte in cui egli tornò piú tardi del solito, Rossella non riuscí a dominarsi. Sentendo infilare la chiave nella serratura, si gettò uno scialle sulle spalle e, nella luce del gas acceso nel vestibolo, lo attese in cima alla scala. L'espressione pensierosa di Rhett si mutò in sorpresa vedendola. - Rhett, ho bisogno di sapere! Debbo sapere se tu... se è il Klan... è per questo che rientri a queste ore? Appartieni forse... Nella luce del gas egli la fissò senza curiosità e sorrise. - Sei in ritardo. Non vi è piú Klan ad Atlanta. E forse in tutta la Georgia. Sono i tuoi amici rinnegati che ti raccontano delle storie a proposito di immaginari oltraggi compiuti dal Klan. - Non esiste il Klan? Lo dici per tranquillizzarmi? - Quando mai ho tentato di tranquillizzarti, mia cara? No, il Klan non esiste piú. Abbiamo deciso che faceva piú male che bene, perché teneva gli yankees in stato di continua eccitazione e forniva troppo grano al mulino di sua eccellenza il governatore Bullock. Egli sa che rimarrà al potere soltanto finché il Governo federale e i giornali yankee saranno persuasi che la Georgia è in continua rivolta e che dietro a ogni cespuglio si nasconde un membro del Klan. Per conservare il potere, egli fabbrica una quantità di storie: yankees sospesi per i piedi, negri linciati e simili. Tutta roba inesistente. Ti ringrazio per la tua apprensione; ma non esiste piú un Klan attivo, press'a poco da quando io ho cessato di essere un rinnegato per diventare un umile democratico. Quasi tutte le parole concernenti il governatore Bullock le entrarono in un orecchio e uscirono dall'altro; la sua mente concepiva in quel momento soltanto la gioia di apprendere che il Klan non esisteva piú. Rhett non sarebbe ucciso com'era stato ucciso Franco; ella non perderebbe il negozio né il denaro. Ma una parola della sua conversazione le rimase fissa nel cervello. Egli aveva detto "noi", associandosi naturalmente a coloro che una volta chiamava "La Vecchia Guardia". - Rhett - gli chiese a un tratto - hai avuto parte, tu, nello scioglimento del Klan? Le lanciò una lunga occhiata e nei suoi occhi apparve la piccola luce maliziosa. - Sí, amor mio. Ashley Wilkes ed io ne siamo i principali responsabili. - Ashley... e te? - Sicuro. La politica crea delle strane amicizie. Né Ashley né io abbiamo una grande simpatia reciproca; ma... Ashley non ha mai avuto fiducia negli effetti del Klan, perché è contrario ad ogni specie di violenza. Ed io ho sempre ritenuto che fosse una grossa sciocchezza e che in quel modo non si sarebbe mai ottenuto ciò che desideriamo. Abbiamo quindi convinto le teste calde che il lavoro e l'attesa ci avrebbero condotti piú avanti che le camicie da notte e le spedizioni. - E quei giovanotti accettano i consigli di uno che... - ... che era uno speculatore e un rinnegato? Un amico degli yankees? Dimentichi, signora Butler, che ora sono un ottimo democratico, devoto fino all'ultima goccia del mio sangue al riscatto del nostro paese dagli usurpatori! Il mio consiglio era buono ed è stato accettato. Ed anche in altri argomenti politici il mio consiglio è gradito. Non abbiamo oggi una maggioranza democratica al Parlamento? E presto, amor mio, vedremo qualcuno dei nostri cari amici repubblicani dietro le sbarre. Sono diventati oltremodo rapaci, e lo fanno troppo apertamente. - E tu aiuterai a farli mettere in prigione? Ed erano tuoi amici! Ti hanno fatto entrare nell'amministrazione delle ferrovie dove hai guadagnato migliaia di dollari! Rhett sogghignò improvvisamente; era il suo vecchio sogghigno beffardo. - Oh, non voglio loro alcun male. Ma ora sono dall'altra parte, e se posso aiutare a metterli dove meritano di stare, lo farò. E come ridonderà a mio credito una cosa simile! Conosco abbastanza i particolari di alcuni dei loro affari; e quando il Parlamento comincerà a scavare... Cosa che farà ben presto; e metterà sotto inchiesta anche il governatore, cercando di cacciare in prigione anche lui, se sarà possibile. Farai bene a dire ai tuoi cari amici Gelert e Hundon di prepararsi a lasciare la città da un momento all'altro; perché se agguantano il governatore, agguanteranno anche loro. Per troppi anni Rossella aveva visto i repubblicani - sostenuti dall'esercito yankee - dominare la Georgia per poter credere alle parole di Rhett dette con tanta leggerezza. Il governatore era troppo ben trincerato perché qualunque Parlamento potesse fargli del male; meno che mai imprigionarlo. - Come corri! - osservò. - Se non lo mettono dentro, per lo meno non lo rieleggeranno. La prossima volta avremo un governatore democratico, per cambiare. - E magari sarà un po' merito tuo? - chiese Rossella sarcastica. - Senza dubbio, tesoro. Me ne sto già occupando. Perciò rincaso cosí tardi la sera. Sto lavorando come non ho lavorato mai, per organizzare le elezioni. E... so che questo ti dispiacerà, signora Butler, ma sto contribuendo anche con molti quattrini. Ti ricordi che alcuni anni fa, nella bottega di Franco, mi dicesti che era una disonestà conservare l'oro della Confederazione? Ho finito col darti ragione; e quel denaro sarà speso per far tornare i confederati al potere. - Denaro buttato! - Denaro buttato quello speso per la democrazia? - Il suo sguardo la scherní; poi tornò tranquillo e senza espressione. - Non m'importa nulla di chi riuscirà nelle elezioni. Ciò che mi importa è che tutti sappiano che me ne sono occupato e ho contribuito col mio denaro. In futuro se ne ricorderanno; e questo sarà tutto a favore di Diletta. - I tuoi discorsi mi avevano quasi fatto temere che tu fossi cambiato; ma vedo che non sei piú sincero verso i democratici di quanto tu non sia stato verso chiunque altro. - Non sono mutato affatto. Ho solo cambiato la pelle. È possibile togliere le macchie a un leopardo, ma rimane leopardo ugualmente. Diletta, svegliata dal rumore di voci nel vestibolo, chiamò con voce sonnacchiosa ma imperiosa: - Babbo! - e Rhett si avviò passando davanti a Rossella. - Aspetta un momento, Rhett. Voglio dirti un'altra cosa. Devi smettere di portare in giro Diletta, nel pomeriggio, alle tue riunioni politiche. Non fa un bell'effetto. Una bambina in quei luoghi! E fai la figura di uno sciocco. Non avrei supposto che ve la conducevi, se non me ne avesse parlato zio Enrico, credendo che io lo sapessi e... Egli si volse; il suo viso era indurito. - Che cosa vedi di male nel fatto di una bambina che siede sulle ginocchia di suo padre mentre egli parla coi suoi amici? Ti sembra una sciocchezza ma non lo è. Fra qualche anno la gente ricorderà che Diletta era con me mentre io cercavo di scacciare i repubblicani dallo Stato. Lo ricorderanno e... - La durezza scomparve dal suo volto; negli occhi neri tornò a brillare la malizia. - Sai che quando le chiedono a chi vuol piú bene, risponde: «A babbo e ai democati»? E chi odia di piú: «I innegati». Grazie a Dio, il pubblico ricorda queste cose. La voce di Rossella si levò furibonda. - E magari le avrai detto che io sono una rinnegata! - Babbo! - chiamò la vocina che adesso era indignata; e Rhett, ancora ridendo, attraversò il vestibolo per andare da sua figlia.

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SENZA dubbio, Diletta Butler era piena di capricci e avrebbe avuto bisogno di una mano ferma per educarla; ma era cosí simpatica a tutti che nessuno aveva il coraggio di ricorrere alla necessaria severità. Era rimasta priva di controllo durante i mesi che aveva passato viaggiando con suo padre. Quando era stata con Rhett a Charleston e a Nuova Orléans, le era stato permesso di rimanere alzata la sera finché le faceva piacere; addormentata fra le braccia di suo padre aveva girato teatri, trattorie, circoli di gioco. Dopo di allora, nessuno riuscí a farla andare a letto quando vi andava la obbediente Ella. Rhett le aveva poi consentito di mettere i vestitini che preferiva e, da allora, la bimba faceva un putiferio quando Mammy cercava di metterle vestitini e grembiuli di cotone invece che di seta e col colletto di trina. Sembrava ormai impossibile riacquistare il terreno perduto durante quel viaggio e durante la malattia di Rossella e il suo soggiorno a Tara. Col passare del tempo, Rossella cercò di disciplinarla, di impedirle di diventare troppo caparbia e capricciosa, ma con scarso successo. Rhett prendeva sempre le parti della bambina, per quanto i suoi desideri fossero stravaganti e il suo contegno maleducato. La incoraggiava a discorrere e la trattava come se fosse un'adulta, ascoltando con apparente serietà le sue opinioni e fingendo di seguirle. Come risultato, Diletta interrompeva i suoi genitori quando le pareva, contraddiceva suo padre e gli rispondeva a modo suo. Il padre si limitava a ridere e non permetteva a Rossella neanche un piccolo scappellotto sulla mano come reprimenda. «Se non fosse una creatura cosí carina, sarebbe insopportabile» pensava Rossella inquieta, accorgendosi che la bimba aveva una volontà uguale alla propria. «Adora Rhett, ed egli, se volesse, potrebbe ottenere che si conducesse meglio.» Ma Rhett non mostrava alcuna inclinazione a far diventare Diletta piú educata. Qualunque cosa ella facesse era ben fatto; e se avesse voluto la Luna, suo padre avrebbe cercato di andargliela a prendere. Era orgoglioso della sua bellezza, dei suoi riccioli, delle sue fossette, dei suoi gesti graziosi. Gli piacevano la sua vivacità, il suo spirito e le smorfiette che faceva per mostrargli il suo affetto. Benché fosse viziata, era una bimba cosí deliziosa che a lui mancava il cuore di tentar di correggerla. Egli era il suo dio, il centro del suo piccolo mondo; e questo era troppo prezioso per lui perché arrischiasse di perderlo con le sue reprimende. Lo seguiva come la sua ombra. La mattina si destava prima di quel che egli avrebbe voluto; sedeva a tavola accanto a lui mangiando alternamente dal suo piatto e dal proprio, e non permetteva che a Rhett di svestirla e di metterla nel suo lettino che era accanto a quello di lui. Rossella era divertita e turbata nel vedere la mano di ferro con cui la piccina governava suo padre. Chi avrebbe supposto che Rhett avrebbe preso la paternità cosí seriamente? Ma a volte una fiamma di gelosia si accendeva nel cuore di Rossella, perché Diletta, all'età di quattro anni, comprendeva Rhett meglio di quanto lei lo avesse compreso e andava perfettamente d'accordo con lui. Dopo che la bimba ebbe compiuto i quattro anni, Mammy cominciò a brontolare sulla sconvenienza di far «cavalcare una bimba sulla sella dinanzi a suo padre, con vestitino sollevato.» Rhett tenne conto dell'osservazione, come di tutte quelle che faceva Mammy a proposito dell'educazione dei bambini, e il risultato fu un piccolo pony dello Shetland col manto bianco e bruno, una lunga coda, una folta criniera scura e una piccola sella femminile a borchie d'argento. Ostensibilmente il pony era per tutti e tre i bambini, e Rhett comprò una sella anche per Wade. Ma il bambino preferiva di molto il suo cane sanbernardo, ed Ella aveva paura di tutti gli animali. Quindi il pony rimase esclusiva proprietà di Diletta e si chiamò "Mr. Butler". La sola ombra nella gioia di Diletta era il non poter andare a cavalcioni come suo padre; ma quando egli le spiegò che cavalcare da amazzone era molto piú difficile, fu contenta e imparò rapidamente. L'orgoglio di Rhett per le sue abilità di cavalcatrice non conobbe limiti. - Aspettate che abbia l'età di andare a caccia! - proclamava. - Non vi sarà un'altra cacciatrice come lei. La porterò nella Virginia. Quello è il paese dove si fa la caccia sul serio. E nel Kentucky, dove si apprezzano i buoni cavalcatori. Quando si trattò di farle fare il vestitino da amazzone, Diletta ebbe, come sempre, facoltà di scegliere il colore; e, come sempre, scelse l'azzurro. - Non quel velluto azzurro, tesoro! - rise Rossella. - Quello serve per farmi un abito da sera... Un bel panno nero è quel che ci vuole per una bambina. - E vedendo che le piccole sopracciglia si aggrottavano: - Per carità, Rhett; dille che non è adatto e che si insudicia subito! - Lasciala fare! - rispose Rhett. - Se si sporcherà, gliene faremo un altro. Cosí Diletta ebbe il vestito da amazzone di velluto azzurro, con la sottana che pendeva sul fianco del pony e un cappello nero con la piuma rossa, perché i racconti di zia Melly sulla piuma di Jeb Stuart avevano colpito la sua immaginazione. Nelle belle giornate si vedevano padre e figlia lungo la Via dell'Albero di Pesco; Rhett tratteneva il suo gran cavallo nero perché regolasse il suo passo su quello del pony. A volte galoppavano per le strade tranquille attorno alla città, spaventando galline cani e fanciulli; Diletta picchiava Mr. Butler col suo scudiscio e Rhett frenava il suo cavallo con mano ferma, in modo da lasciar credere alla bimba che Mr. Butler vincesse la corsa. Quando fu ben sicuro della sua saldezza in sella e della fermezza delle sue manine nel tenere le redini, Rhett pensò di insegnarle a fare i piccoli salti consentiti dalle gambe corte di Mr. Butler. A questo scopo costruí una barriera nel cortile posteriore della casa e pagò a un nipotino di zio Pietro venticinque centesimi al giorno perché insegnasse al pony a saltare. Cominciò con una barriera alta cinque centimetri dal suolo e la alzò gradatamente fino a trenta centimetri. Questa combinazione incontrò la disapprovazione dei tre interessati: Wash (il piccolo negro), Diletta e Mr. Butler. Wash aveva paura dei cavalli, e solo la somma principesca offertagli poteva indurlo a far passare il caparbio cavallino una dozzina di volte al giorno al disopra della sbarra; Mr. Butler, il quale sopportava pazientemente che la sua padroncina gli tirasse la coda e che i suoi zoccoli fossero esaminati tutti i momenti, sentiva che il Creatore dei ponies non aveva avuto affatto l'intenzione che il suo grasso corpo passasse al disopra di quel pezzo di legno; e Diletta, che non poteva tollerare di vedere un altro sul suo pony, batteva i piedini impaziente mentre Mr. Butler imparava la sua lezione. Finalmente Rhett decise che il pony era abbastanza sicuro perché si potesse affidargli la bimba; e l'eccitazione di questa non ebbe confini. Fece il primo salto con entusiasmo; e dopo d'allora le cavalcate tranquille con suo padre non ebbero piú fascino per lei. Rossella non poteva fare a meno di ridere per la fierezza e l'entusiasmo del padre e della figlia. Peraltro pensò che una volta passata la novità, Diletta avrebbe pensato ad altro e il vicinato avrebbe avuto un po' di pace. Ma il gioco continuava a divertire Diletta; e tutta la mattina il cortile risuonava di grida eccitate. Il nonno Merriwether, che aveva fatto la campagna del 1849, disse che gli sembravano le grida degli Apachi quando avevano tolto con successo la capigliatura a qualche nemico. Dopo la prima settimana, Diletta chiese una barriera piú alta: mezzo metro da terra. - Quando avrai sei anni - rispose Rhett - allora sarai abbastanza grande da poter fare dei salti piú alti, e io ti comprerò un cavallo piú grande. Le gambe di Mr. Butler non sono abbastanza lunghe. - Sí che lo sono! Ho saltato il cespuglio di rose di zia Melly; è altissimo! - No, devi aspettare. - E questa volta Rhett fu reciso. Ma la sua fermezza cominciò a poco a poco a indebolirsi davanti alle insistenze e ai capricci della bambina. - Beh, va bene! - esclamò finalmente una mattina, con una risata, collocando la sbarra bianca un po' piú in alto. - Ma se cadi, non piangere e non prendertela con me! - Mamma! - gridò Diletta volgendosi verso la camera da letto di Rossella - guardami! Il babbo ha detto che posso! Rossella che si stava pettinando, venne alla finestra e sorrise alla figuretta eccitata, cosí assurda nel suo abito azzurro tutto maculato. «Bisogna proprio farle un altro vestito» pensò. «Ma Dio sa come farò per farle lasciare quello sudicio!» - Guarda, mamma! - Sto guardando, tesoro. Quando Rhett sollevò la bimba e la mise sul pony, Rossella osservò con orgoglio il portamento dritto e la testolina eretta. - Sei veramente carina, gioia! - Anche tu! - rispose Diletta generosamente, e martellando col tacco le costole di Mr. Butler, galoppò verso la barriera. - Mamma, guarda come faccio questo salto! - gridò adoperando lo scudiscio. Guarda come faccio questo salto! La memoria andò a ricercare nel fondo della mente di Rossella. Vi era qualcosa di minaccioso in quelle parole. Che cosa? Perché non si ricordava? Guardò la sua figliuoletta cosí leggera sul cavallino che galoppava e la sua fronte si increspò mentre un brivido la percorreva tutta. Diletta procedeva con impeto, i riccioli neri al vento, gli occhi azzurri splendenti. «Somigliano agli occhi del babbo» pensò Rossella; «occhi irlandesi. E gli somiglia veramente in tutto!» Al pensiero di Geraldo, il ricordo le tornò chiaro con la rapidità del lampo, illuminando per un istante un'intera zona di campagna di una luce innaturale. Udí una voce che cantava in irlandese, udí il veloce scalpitar di zoccoli che salivano l'altura di Tara, udí una voce simile a quella della sua bambina: - Elena! Guarda come faccio questo salto! - No! - urlò. - No, Diletta! Fermati! Mentre si curvava fuori della finestra, vi fu un pauroso scricchiolío, un grido rauco di Rhett, una confusione di velluto azzurro e di zoccoli agitati sul suolo. Quindi Mr. Butler balzò in piedi e si allontanò al trotto con la sella vuota.

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Disse poche parole sottovoce a Dilcey, che annuí silenziosamente, come se nei loro antichi dissensi fosse avvenuto un armistizio inespresso. Dilcey posò i piatti della cena che aveva in mano e, attraversando la dispensa, entrò in sala da pranzo. Dopo un attimo Melania era in cucina, col tovagliolo in mano l'ansietà dipinta sul viso. - Miss Rossella non è... - Miss Rossella sopportare coraggiosamente, come tutti noi - rispose Mammy penosamente. - Io non voler disturbare tua cena, miss Melly. Aspettare che tu avere finito per dirti qualche cosa. - La cena può aspettare. Dilcey, servi il resto. Mammy, vieni con me. Mammy barcollò seguendola attraverso il vestibolo, passando dinanzi alla sala da pranzo dove Ashley sedeva a capotavola, col piccolo Beau accanto e i due bimbi di Rossella di faccia, che facevano un grande strepito coi cucchiai. Le voci allegre di Wade ed Ella riempivano la stanza. Per loro era una specie di villeggiatura, lo stare tanto tempo in casa di zia Melly. Zia Melly era sempre tanto buona; ed ora lo era anche piú del solito. La morte della sorellina li aveva afflitti assai poco. Diletta era caduta dal pony e Mamma aveva pianto molto; poi zia Melly li aveva condotti a casa sua a giuocare con Beau e a mangiare quanti biscotti volevano. Melania precedette Mammy nel piccolo studio pieno di libri e dopo aver chiuso la porta le accennò di sedere sul divano. - Sarei venuta dopo cena - disse. - Ora che è arrivata la mamma del capitano Butler, immagino che il funerale si farà domani. - Funerale. Essere proprio questo - cominciò Mammy. - Miss Melly, noi essere molto preoccupati ed io essere venuta a chiedere tuo aiuto. Tutto andare molto male, tesoro, molto male. - Miss Rossella si sente poco bene? - interrogò Melania turbata. - L'ho appena vista dopo che Diletta... Era in camera sua e il capitano Butler era uscito. A un tratto le lagrime inondarono il viso nero di Mammy. Melania le sedette accanto, le accarezzò il braccio e dopo un momento Mammy prese un lembo della sua gonna nera e si asciugò gli occhi. - Tu doverci aiutare, miss Melly. Io avere fatto del mio meglio, ma non servire a nulla. - Miss Rossella... Mammy si irrigidí. - Miss Melly, tu conoscere badroncina come io conoscere. Quando quella bambina dovere affrontare gualche cosa, il buon Dio dare a lei la forza occorrente. Questo dolore avere spezzato suo cuore, ma lei sopportarlo. Io essere venuta per mist' Rhett. - Avevo tanto desiderio di vederlo; ma ogni volta che sono venuta o era uscito oppure era chiuso in camera con... E Rossella sembrava uno spettro e non apriva bocca... Dimmi presto, Mammy. Se posso essere utile, sai che farò tutto il possibile. Mammy si pulí il naso col dorso della mano. - Io dire che miss Rossella riuscire a sopportare perché Signore averle sempre dato forza; ma mist' Rhett... Miss Melly, lui non aver mai dovuto affrontare quello che non volere; e non potere. Perciò io essere venuta da te. - Miss Melly, tu dover venire a casa con me stasera. - La voce di Mammy era ansiosa. - Forse mist' Rhett ti ascoltare. Lui avere tanta stima di te e di quello che tu dire. - Ma che c'è, Mammy? Che vuoi dire? - Miss Melly, mist' Rhett... essere impazzito. Non volerci lasciar portare via biccola badroncina. - Impazzito?! Oh no, Mammy! - Io dire verità. Non voler lasciare seppellire bambina. Avere detto questo a me un'ora fa. - Ma non può... Non è... - Perciò io dire che essere impazzito. - Ma come... - Miss Melly, io dire a te tutto. Non poter dire a nessuno, ma tu essere di nostra famiglia ed essere sola persona che io poter parlare. Tu sapere come lui essere attaccato a quella bambina. Io avere mai visto un uomo, bianco o negro, cosí affezionato a una bambina. Sembrare pazzo quando dottor Meade avere detto che essersi rotta spina dorsale. Afferrare sua rivoltella e andare dritto ad uccidere pony e, Dio ci salvi, io temere che uccidersi anche lui. Io dover badare a miss Rossella svenuta e tutti vicini nel cortile e mist' Rhett portare su bambina e non permettermi nemmeno di lavare visino insanguinato. E quando miss Rossella entrare io pensare: «Dio benedetto! Ora loro confortare uno con l'altro». Le lagrime ricominciarono a cadere, ma questa volta Mammy non le asciugò. - Ma quando lei entrare nella camera dove lui stare tenendo miss Diletta, lei dire: «Dare a me mia bambina che tu avere uccisa». - Oh no! Come ha potuto, Mammy...! - Sí; questo avere detto. Avere detto: «Tu avere uccisa». E io avere avuto tanta pena di mist' Rhett, e io cominciare a piangere, perché lui sembrare cane battuto. E io dire: «Dare bambina a sua Mammy. Io non volere che fare queste discussioni su mia piccola badroncina». E prendere bambina da braccia di lui e portare in camera e lavare visino. E sentire loro parlare e quello che dire fare venire brividi. Miss Rossella averlo chiamato assassino per avere permesso che lei fare salto cosí alto e lui dire che a miss Rossella non essere mai importato niente di miss Diletta né di altri bambini... - Basta, Mammy! Non dirmi altro. Non è giusto che tu mi dica questo! - gridò Melania inorridendo al quadro evocato dalle parole della negra. - Io sapere che non essere giusto che dire a te; ma mio cuore essere troppo pieno per poter tacere. Allora lui essere venuto e avere ripreso bambina e messa nel suo letto. E quando miss Rossella aver detto che bisogna mettere in salotto nella bara, io credere che mist' Rhett volerla battere. E dire freddo: «Dovere stare in camera mia». E poi voltarsi a me e dire: «Tu, Mammy, badare che rimanere qui finché io tornare». E uscire di casa a cavallo e tornare al tramonto. Quando rientrare, io vedere che aver bevuto, bevuto molto, ma reggere bene come sempre. Entrare in casa e non parlare con miss Rossella né con miss Pitty e nessuna delle signore che essere venute a far visita; ma salire scale in furia, spalancare porta di camera sua e gridare chiamandomi. Io arrivare piú presto che potere e lui essere vicino al letto e camera buia con imposte chiuse, e io stentare a vedere. E dire a me, con impeto: «Aprire quelle imposte». Io spalancare e lui guardarmi; e io sentirmi tremare ginocchia perché lui sembrare cosí strano. E dire: «Porta lumi. Molti lumi. E accendili. Io non volere imposte chiuse e oscurità. Non sai che miss Diletta avere paura del buio?» Gli occhi inorriditi di Melania incontrarono quelli di Mammy, la quale annuí tristemente. - Questo avere detto. «Miss Diletta avere paura del buio.» Mammy rabbrividí. - Io portare una dozzina di candele e lui dire: «Bene!» E poi chiudere porta e stare con piccola miss, e non aprire a miss Rossella neanche quando lei picchiare e picchiare disperatamente. E cosí essere stato per due giorni. Non voler dire niente del funerale; e la mattina uscire, chiudere porta a chiave e andar via a cavallo. Tornare al tramonto, ubriaco, e chiudere un'altra volta dentro e non avere mangiato né dormito. Ora essere arrivata sua madre, vecchia miss Butler, da Charleston, per funerale, ed essere arrivati mist' Will e miss Súsele, ma mist' Rhett non voler parlare con nessuno. Oh miss Melly, essere terribile! E andare sempre peggio e tutti fare chiacchiere e dire cose scandalose. E stasera - Mammy fece un'altra pausa e si pulí il naso con la mano - ... miss Rossella averlo incontrato sul pianerottolo quando lui essere tornato a casa ed essere andata in camera con lui e avergli detto: «Funerale essere per domani mattina». E lui dire: «Se tu fare questo io domani mattina ti ammazzo». - Oh, ma deve essere davvero impazzito! - Sí. E poi avere ancora parlato piano e io non avere capito cosa dire, soltanto che lui ripetere che miss Diletta avere paura del buio e che nella tomba essere terribilmente buio. E dopo poco miss Rossella dire: «Tu parlare bene in questo modo, dopo che averla uccisa per compiacere tuo orgoglio». E lui rispondere: «Tu non avere pietà?» E lei: «No, e non poter sopportare tuo modo di fare dopo che Diletta essere morta. Tu dare scandalo a tutta la città. Essere sempre ubriaco e se credere che io non sapere dove passi tuo tempo, tu essere imbecille. Io sapere che tu essere sempre in casa di quella donnaccia di Bella Watling». - Oh, Mammy, no! - Sí, aver detto cosí. Ed essere proprio vero. Negri sapere tante cose piú presto di bianchi, e io sapere che essere vero, ma non aver detto nulla. Lui non negare e dire: «Sí, essere andato proprio, lí, e tu non potere dir nulla. Un bordello essere un rifugio dopo questa casa infernale. E Bella avere uno dei cuori piú buoni del mondo. Non rinfacciarmi che io avere ucciso mia bambina». - Oh! - gridò Melania colpita. La sua vita era cosí tranquilla e cosí piena di bontà e di affetto che la narrazione di Mammy andava quasi al di là della sua comprensione. Pure le si presentò alla memoria un ricordo che cercò subito di allontanare come si cerca di non pensare a cose sconvenienti. Il giorno in cui Rhett aveva pianto col capo sulle sue ginocchia, aveva nominato Bella Watling. Ma egli amava Rossella; ne era sicura, e Rossella amava lui. Che c'era fra loro? Come potevano marito e moglie tormentarsi in quel modo? Mammy riprese la sua storia: - Dopo un poco miss Rossella essere uscita dalla stanza pallidissima, ma con aria risoluta, e avermi detto: «Funerale essere domani, Mammy». Ed essere passata davanti a me come un fantasma. E mio cuore avere cominciato a battere perché quando miss Rossella dire una cosa, essere sicura. E anche quando mist' Rhett dire una cosa, essere sicura. E lui dire che ucciderla se lei fare questo. Allora io farmi coraggio e dire: «Meglio che lui uccidere me». Andare da lui e dire: «Mist' Rhett, che cosa decidere per funerale?» Allora lui diventare furibondo e dire: «Dio benedetto, io credere che almeno tu capire! Credere che io lasciar mettere mia bambina nel buio, quando sapere che lei avere tanta paura? Mi pare ancora sentirla urlare quando svegliarsi e trovarsi nell'oscurità. Io non volere che lei avere paura». E allora miss Melly, io capire che lui non avere piú testa a posto. Lui non fare altro che bere, mentre avere bisogno di dormire e di mangiare. E io aver paura che lui impazzire completamente. Avermi cacciata via ed io essere scesa e avere pensato quello che lui e miss Rossella aver detto di funerale. E tutti parenti e vicini chiacchierare come tante galline: e io pensare a te, miss Melly. Tu venire ad aiutarci. - Ma che potrei fare, Mammy? - Io non sapere, ma tu potere fare qualche cosa. Tu parlare con mist' Rhett e forse lui ascoltare. Lui avere tanto rispetto per te, miss Melly. Forse tu non sapere; ma io aver sentito lui dire che tu essere sola gran signora che lui conoscere. - Ma... Melania balzò in piedi confusa, tormentata dal pensiero di dover affrontare Rhett. L'idea di dover ragionare con un uomo impazzito dal dolore come quello che le aveva descritto Mammy, la faceva rabbrividire; e si sentiva spezzare il cuore pensando di dover entrare nella camera splendente di luce ove giaceva la bimba a cui aveva voluto tanto bene. Che potrebbe fare? Che direbbe a Rhett per ricondurlo alla ragione? Per un attimo rimase irresoluta; attraverso la porta chiusa le giunse la risata del suo bimbo. Provò come una pugnalata al cuore pensando di vederlo morto. Il suo piccolo Beau coricato sul suo lettino, freddo e immobile, col suo riso giocondo spento per sempre! - Oh! - gridò spaventata: e dentro di sé se lo strinse al cuore. Comprese il sentimento di Rhett. Se Beau fosse morto, come potrebbe lasciarlo portar via, lasciarlo solo nel vento, nella pioggia, nell'oscurità? - Oh, povero capitano Butler! Vado subito da lui. Tornò un attimo in sala da pranzo. Disse qualche parola ad Ashley e stupí il suo bimbo abbracciandolo stretto e baciandolo con passione sui riccioli biondi. Uscí senza cappello, tenendo ancora stretto il tovagliolo, e camminando cosí in fretta che Mammy stentò a seguirla. Giunta nel vestibolo di Rossella, fece un breve cenno di saluto alle persone raccolte nello studio, alla spaventata Pittypat, alla rigida signora Butler, a Will e a Súsele. Salí rapidamente le scale seguita da Mammy ansimante. Per un attimo si fermò dinanzi alla porta chiusa di Rossella, ma Mammy sussurrò: - No, non fare questo. Di faccia alla porta di Rhett rimase un momento indecisa. Poi, irrigidendosi come un soldatino che affronta la battaglia, bussò piano e disse con la sua dolce voce: - Fatemi entrare, per favore, capitano Butler. Sono la signora Wilkes. Desidero vedere Diletta. La porta si aperse subito e Mammy, indietreggiando nell'ombra del pianerottolo, vide la grande e scura figura di Rhett contro la luce gialla delle candele. Vacillava ed emanava un forte odore di whisky. Guardò per un attimo Melly, poi, prendendola per un braccio, la trasse in camera e chiuse l'uscio. Mammy si lasciò piombare su una sedia accanto alla porta. E rimase lí pregando e piangendo silenziosamente. Ogni tanto sollevava un lembo della gonna per asciugarsi gli occhi. Per quanto tendesse l'orecchio, dalla camera non le giungeva alcuna parola distinta, ma solo un mormorio interrotto. Dopo un'attesa interminabile la porta si riaperse; apparve il volto di Melly pallido e sconvolto. - Portami del caffè, presto, e dei sandwiches. In caso di bisogno Mammy sapeva ancora essere svelta, e la sua curiosità di poter dare un'occhiata alla stanza di Rhett la rese anche piú sollecita. Ma la sua speranza fu delusa, perché Melly aperse soltanto uno spiraglio per prendere il vassoio. Per un pezzo Mammy tese ancora l'orecchio, ma udí soltanto l'acciottolio delle stoviglie e dell'argenteria e la voce sommessa di Melania. Poi udí scricchiolare il letto come se un corpo pesante vi fosse caduto sopra, e subito dopo il rumore di scarpe che cadevano a terra. Dopo un intervallo Melania riapparve sulla soglia, ma Mammy non riuscí a gettare un'occhiata nella stanza. Melly sembrava stanca e le sue ciglia erano bagnate di lagrime, ma il suo volto era sereno. - Vai a dire a miss Rossella che il capitano Butler è d'accordo che il funerale abbia luogo domattina - sussurrò. - Dio benedetto! - esclamò Mammy. - Come diamine... - Non parlare tanto forte. Si sta addormentando. Dirai anche a miss Rossella che io rimango qui stanotte; e portami del caffè. Portamelo qui. - In questa camera? - Sí; ho promesso al capitano Butler che se va a dormire io rimarrò qui tutta la notte a vegliare. Vai ad avvertire miss Rossella perché non sia piú preoccupata. Mammy si avviò facendo tremare il pavimento sotto il suo peso; nell'interno del suo cuore, cantava: «Alleluja, Alleluja!» Si fermò a riflettere dinanzi all'uscio di Rossella, con lo spirito pieno di gratitudine e di curiosità. «Chi sa come avere fatto miss Melly. Certo Angeli avere combattuto con lei. Io dire a miss Rossella che funerale essere domani, ma credo meglio non dire che miss Melly vegliare piccola badroncina. Forse a miss Rossella non fare piacere.»

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