Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Plutarco femminile

217334
Pietro Fanfano 3 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Il padre però non vi fu presente, perchè richiamato dal suo signore, stato eletto capo della fanteria imperiale, dovè seguitarlo in Alemagna, e abbandonare le pure gioje di famiglia. Che cuore fosse quel della Porzia, non può significarsi a parole: tuttavia la sventura sopportò da sua pari; e solo dopo un anno potè rivedere il suo caro marito, e mostrargli tutta lieta il piccolo Torquato. Breve per altro fu la dimora di Bernardo; il quale per debito di suo ufficio, dovette poi sempre star lontano dalla famiglia; e la cara sua moglie si consolava solo con le affettuose e gravi lettere del suo sposo; e attendendo con ogni sollecitudine alla educazione del suo Torquato, il quale, se diventò quel che diventò, si deve in gran parte al senno e alla maravigliosa prudenza di sua madre. Ma essa doveva sopportare altri dolori! Essendo Bernardo a Parigi, seppe clic la sua Porzia e la Cornelia sua figliuola erano state colte da grave malattia, il perchè, presa assoluta licenza dal Sanseverino fece proposito di fermarsi a Roma, non tenendosi sicuro in Napoli: intanto procurò che la moglie con la figliuola riparassero in un monastero di Napoli, e Torquato col suo ajo venisse a Roma. La Porzia rimase dolentissima di doversi separare da Torquato, che per dieci anni era stato l' objetto di ogni sua cura, di ogni suo studio: si consumava dal desiderio di ricongiungersi a lui ed al marito; ma sempre più afflitta dal desiderio che si prolungava, fu presa da morbo repentino, che la rapì all' amore del suo Bernardo il dì 9 febbrajo 1556. I molti valentuomini che in Napoli, a Salerno, a Sorrento avevano ammirato le doti del suo animo e del suo ingegno, pietosamente la piansero; e il desolato suo marito non poteva trovar conforto a tanta perdita; e per lettere e in versi sfogava il suo dolore, che però non si disarcerbava. Torquato, benchè fanciullo, conobbe la sventura di tanta perdita, cui pianse amaramente, e amorosamente ricord� la madre nella più bella fra le sue canzoni." Finita la lettura e gli applausi, il cavalier Rossi e la sua signora ringraziarono la direttrice dell'avergli invitati, e la Rachelina di aver parlato con tanto garbo della loro illustre antenata. Sapendo poi che la domenica seguente era quella ordinata per la ricreazione delle alunne, vollero che la direttrice promettesse di andare a passar giornata alla loro magnifica villa di Felceti; e dopo che, non senza qualche cerimonia, la direttrice lo ebbe loro promesso, qua' signori salutarono garbatamente e partirono. Essendo per altro tuttora presto, il maestro propose che prima di andar via, una delle signorine leggesse parte di una bellissima e gravissima lettera di Bernardo alla sua Porzia, dove appunto parla della educazione de' figliuoli: e trovato libro e pagina, lo diè alla signora Zaira, accennandole il luogo, la quale lesse quanto segue: "Dico adunque che, eziandio che il Datore d' ogni grazia ce li abbia dati (se la paterna affezione non m' inganna per quanto in questa tenera età si può conoscere) belli di corpo e d' animo, nulladimeno per ridurgli a quella perfezione che si desidera, hanno bisogno di coltura Parla de' suoi figliuoli.; perchè, siccome non è terra sì aspra, sì dura e sì infeconda, la quale, còlta, non divenga subito molle, fertile e buona; nè alcun buono albero, che, non essendo, col trasportarlo o con l' innestarlo, coltivato, non ritorni sterile e selvaggio; così non è ingegno di natura rustico e rozzo, che con una lunga e buona instituzione e disciplina non si faccia gentile e docile; nè sì buono e felice, che senza buona e diligente creanza non si corrompa e a degeneri dal primo suo buono instituto. E perchè l' uso agevolmente si conserve in natura, a dobbiamo con ogni studio affaticarci, mentre che l' albero è tenero e pieghevole, di volgere e piegare il tronco de' loro pensieri, e i rami delle loro operazioni, alla parte più virtuosa e più bella: chè, siccome nella tenera scorza d' un giovine arboscello le piccole lettere stampate ed iscolpite crescono col tronco già fatto grande, e con lui vivono eternamente, così questi documenti ed esempi di virtù s'imprimono, e pigliano tanto vigore e spirito nell'animo del fanciullo, che non n'escono giammai: altrimenti, lasciandolo indurare e crescere in mal uso, non a si potr�, per alcuna diligenza nè studio che vi si ponga, volgere a miglior parte, non più che si possa la ruota del carro, già torta, raddrizzare. Però, poichè Cornelia nostra è ormai uscita a dall'infanzia, e si fa di giorno in giorno di corpo più grande, e di spirito più acuto e più vivace, nel quale, come in terreno fertile e atto, si può già incominciare a spargere alcun seme degno di noi: e perchè non è semenza più nobile, a nè donde nascano in abbondanza più preziosi frutti, nè più utili, o necessarj per iscacciare la fame e la sete delle mondane delizie, che quella del nome e dell'amore di Dio; è di mestieri che procuriate con tutte le forze vostre, e con ogni diligenza d'imprimere nella pargoletta anima il nome, l'amore e i pensieri di lui affine che impari ad amare e ad onorare colui, dal quale riceve, non solo la vita, ma tutti i beni e le grazie che possono fare l'uomo felice in questo mondo e beato nell'altro. Studiate medesimamente d'innestare nella tenera mente sua il timore di esso Dio: il timor, dico, non vile, non servile, il quale a non piace alla maestà sua; ma quel nobile e gentile, il quale stia ad ogni ora sì unito e sì a congiunto con l'amore, che non si possano in alcun modo dividere nè separare: perciò da questi due fratelli, così congiunti e così uniti, ne nasce la religione; la quale, a guisa d'ombra, che, ancorchè lasci l'erbe inutili e selvaggie germogliare, non le lascia però maturare nè far frutto, così non lascia alcun vizio vergognoso nè capitale fermar le radici negli animi loro, ne venir a tempo che possa produrre alcun frutto di scellerità Or perchè sappiate ciò che importi questa parola costumi, vi dico che, costume non è altro che, in tutte le cose che si dicono, servire una certa modestia e onestà; e in quelle che si fanno un certo ordine e un certo modo atto e conveniente, a ne' quali riluca e risplende quella dignità e quel decoro, che, non solamente gli occhi e gli animi de'prudenti, ma degli imprudenti ancora diletti e muova a maraviglia. "I costumi si dividono poi dalla ragione e dal tempo: perciocchè alcuni s'insegnano e s'imprimono ne' puerili animi dalla ragione e dalla diligenza d'altri: alcuni dalle loro considerazioni e dal proprio loro giudicio col tempo s' imparano. Piglierete adunque pensiero d' insegnar loro quella parte che a voi più si richiede. Due sono i modi dell' insegnare: l' uno con le ragioni e con gli ammaestramenti; l'altro con gli esempj: e perciò il senso dell'occhio è più veloce che quello dell' orecchio, e ha maggior forza della natura, "bisogna, signora Porzia mia, volendo creare Creare vale educale, come creanza, educazione: onde buona o mala creanza, bene o mal creato. i vostri figliuoli e rendergli tali, che coi loro costumi e virtù meritino d'esser andati, che vi mostriate tale a loro, quali desiderate che essi si mostrino ad altri. La tacita disciplina, e quella che più ragiona co' fatti che con le parole, è quella che più giova; chè, se vorrete a' vostri figliuoli que' documenti dare, de' quali voi non vi serviate, sarà il medesimo che se uno volesse insegnare ad un amico un cammino, ed egli s'inviasse per un' altra strada. "è di mestieri, dovendo instituir bene i suoi figliuoli, che il padre e la madre siano di natura moderati e gentili; e con tanta diligenza e studii affettino Affettino, cioè facciano mostra, diano a conoscere. la loro virtù, che a guisa d'un prezioso liquore s' affatichino d' infondersi per gli occhi, e per gli orecchi nell'animo e nell'ingegno del fanciullo, e di trasformarsi tutti in lui," perchè, subito che comincia con puerili pensieri a discorrere e a spaziarsi, se non nelle interne, almeno nell'esteriori e superficiali parti della ragione, rivolge e affissa gli occhi e gli orecchi nel padre e nella madre; e mira e osserva con grandissima attenzione tutto ciò che essi fanno o dicono. "E l' ammirazione della paterna virtù è pungentissimo sprone per far correre lo spirito del figliuolo per quel medesimo cammino che corre il padre." E sovra tutto abbiate pensiero alla disciplina domestica, della vostra famiglia e procurate che niuna brutta, empia nè lasciva parola pervenga agli orecchi dei figliuoli; nè alcuno atto disonesto, nè vergognoso, agli occhi loro si rappresenti; e questa dee essere propria cura e studio vostro: poichè il più del tempo gli tenete nel seno Nel seno, in collo, come dicesi oggi; e stando con voi affissano gli occhi nel vostro volto, e da voi imparano e a parlare e a camminare. Non gli menate in alcuna casa ove non sia una gentile e casta creanza; perchè, siccome dai luoghi che sono d'ogni intorno salutiferi non pu� venir aura che non sia benigna e vitale, così dalla consuetudine de' buoni e de' virtuosi costumi non può venire se non fiato di buona disciplina. Ed eziando che questi costumi, da alieno studio impressi nella mente dei fanciulli, non siano vera virtù ma similitudine, immagine e ombra sua; nulladimeno avviene in corso di tempo (tanta è la forza della consuetudine) come della femminile statua di Pigmalione, che, per grazia di Dio, in ispiraci e vita di vera virtù si trasformono. E avvertite di non cadere in quell'errore, nel quale caggiono la più parte delle altre madri, le quali con la troppa indulgenza, col compiacere di soverchio alla volontà e al desiderio de' figliuoli, non pur non facendo o dicendo, ma non consentendo che altri faccia o dica cosa contra la loro volontà corrompono i costumi loro; e a questo modo gli danno in preda alle delizie, facendo il piacere e 'l senso signore, anzi tiranno, dei loro giovani pensieri. Non dico per questo che dobbiate correre per quello estremo del timore nè delle battiture; anzi biasimo quelli che battono i figliuoli, non meno che se nella immagine di Dio avessero ardire di porre le mani. La virtù non si ha da conservare ne' pargoletti animi nè delle battutine; anzi biasimo quelli che battono i figliouli, non meno che se nella immagine di Dio avessero ardire di porre le mani. La virtù non si ha da conservare ne' pargoletti animi nè con sferza, nè con timore, perchè "il timore è "debile e infermo custode della virtù; ma è di mestieri di servare quella mediocrità tanto lodata in tutte le nostre operazioni. E siccome si dee guardare che la troppo durezza e severità non divella Divella, Divenga, strappi, diradichi. l'amore del padre talmente dall'animo del figliuolo, che tutto ciò che conosca essergli grato sia in odio a lui, così medesimamente si dee procurare che, per la troppa piacevolezza e indulgenza, non si spogli di quel timore e di quel rispetto, nè di quella reverenza, che egli è solito e debitore di portarli. E se pur alle volte (chè per la imperfezione della nostra natura è impossibile altrimenti) cadono i figliuoli in qualche errore, se è picciolo, mostrate di non vederlo, s'è mediocre, riprendeteli con amorevoli più che non severe riprensioni, a guisa di buon medico, il quale vuol piuttosto sanar l'infermo con la dieta e con la vigilia che con la scamonèa: se pur è grande, non usate più con loro della solita piacevolezza e liberalità; montatevi loro collerica, severa e difficile. Infiniti altri sono gli ammaestramenti che alla buona educazione s'appartengono; ma, perchè dubito col troppo cumulo di non confondervi l'animo; e perchè mi pare d'aver anco toccati tutti i capi principali e generali, sotto le cui leggi si restringono gli altri particolari, mi contenterò d'aver parlato sin qui; lasciando così come a me riservo la cura delli studj di Torquato, allor che l'età convenevole lo ricercherà a voi, che donna siete, il pensiero d'insegnare a Cornelia tutti quelli esercizj che a virtuosa vergine, quasi ornamento della sua bellezza e virtù, sono dicevoli e necessarj; il che so che saprete fare perfettamente. Vivete lieta; e col piacere che pigliate de' cari figliuoli, che ognor presenti vi rappresentano l'immagine mia, passate il fastidio della lontananza del marito. - La direttrice, fatta notare la bellezza di saggi ammaestramenti di questa gravissima lettera, e confortate le signorine a meditarle studiosamente, le licenziò, invitandole per la domenica appresso alla ricreazione.

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Morì nel 1778, compianta da tutti, e celebrata in morte da varj nobili ingegni; come una raccolta di poesie era stata fatta in suo onore, e stampata in due volumi, quando le fu data la laurea dottorale, e accettata nella Facoltà di Filosofia." " Lo studio, disse il maestro come prima si tacque la Clelia, si vede che le ha profittato, perchè nel suo discorso, non solo ci sono i pregi medesimi che erano nell' altro, ma c' è migliore ordine, e più franchezza di periodare: il perchè le faccio le medesime lodi, ed anche maggiori, confortandola di non abbandonare lo studio. Sulla fine per altro, se non m' ha ingannato l' orecchio, mi è parso di sentirle pronunziar nuocerebbe per nocerebbe. Ho frainteso, o sta veramente così? "Sta così, perchè, venendo dall'infinito nuocere mi pare che si dovesse dir nuocerebbe. "Se le pare, le par male. Qui milita la regola del dittongo mobile, della quale pur mi ricordo aver loro detto qualcosa in iscuola; ma, a quel che sembra, con poco frutto; e però, se piace a loro e alla signora direttrice, io ne tratterò adesso un po' distesamente, perchè una bella vergogna il vedere, non dico da loro, ma quasi universalmente trascurata questa regola, che è quella forse la quale patisce meno eccezioni." La direttrice e le alunne, non solo acconsentirono ma mostrarono vivo desiderio, che il maestro spiegasse loro la regola ed il maestro disse così: "Regola, costante adunque, e che ha meno eccezioni di qual altra si voglia, è questa che in una voce, la quale abbia il dittongo uo o ie, se, ne' derivati da essa, l' accento trasportasi in altra sillaba, il dittongo si scempia; per esempio cuore ha l' accento sulla prima che è dittongo; facendone coraggio, l' accento si trasporta sulla seconda, e il dittongo sparisce, nè si può dir cuoraggio. Siedo ha la posa sulla prima ed è dittongo; in sedeva l' accento va nella seconda, e il dittongo sparisce, nè si può dir siedeva. Nel modo medesimo si dice abbuono, abbuonano, abbuona; e non abbuonare, abbuonava, abbuonerò, ma abbonare, abbonava, abbonerò, ecc.: si dice cielo e non cieleste, ma celeste; si dice accieco, acciecano, ecc., e non acciecare, acciecavano, ecc,, ma accecare, accecavano e così di mille altri simili casi. Nè il dittongo si scempia solo per trasporto d' accento, ma anche perchè seguono u i. esso due consonanti uguali; per esempio, CUOCERE non solo scempia l'accento in coceva, cocerà, ecc., ma anche in cossi e cotto. Il trasporto di accento poi ha virtù di far cambiare una vocale nello diverso voci di uno stesso verbo; per esempio, in UDIRE quelle che han l'accento sulla prima cominciano per o, come odo, odono: quelle dove l' accento passa alla seconda, cominciano per u, come udire, udirò, udrà e nel verbo USCIRE cominciano per e quelle che hanno l' accento sulla prima come esco, escono, esci; o per u quelle dove l'accento passa oltre, come uscire, uscirò, usciva. Non ci ha grammatico antico o moderno (dico di quegli noti da quattro al centesimo) che questa regola non insegni, e non assegni buona ragione; Bombe, il Castelvetro, Il salviati, il Salvini, il Buommattei, il Rogacci, il Bartoli, Celso Cittadini, Loreto Mattei, il Manni, il Parenti, il Gherardini; tutti insomma i migliori antichi e moderni, tra' quali i più largamente e dottamente che ne parlino sono il Cittadini, il Mattei, il Salvini ed il Bartoli fra gli antichi; e fra' moderni il Parenti in più luoghi delle sue Strenne filologiche, e il Gherardini nella Appendice alle Grammatiche teoricamente, e praticamente ne' suoi lavori lessicografi. E quel che prova la incontrastabilità della regola è questo, che e guelfi e ghibellini della filologia italiana si accordano nell'insegnarla e nel difenderla: segno proprio che non c' è via da dirle contro. Eppure tuttor c'è chi non la capisce! ed ancora di quelli che vanno per la maggior parte scappucciano in questa materia! Ecco perchè qui ho battuto un po' più che altrove. "Anche la Crusca, che ne' primi sette fascicoli della quinta impressione avea trascurato tal regola, fattane accorta, non pure la osserva scrupolosamente nella ricominciata edizione; ma ne assegna ottime ragioni nella prefazione. - Ma che Crusca? che grammatica? che Bembi, che Bartoli, che Parenti, che Gherardini o altri medaglioni il popolo non usa tali dittonghi, e per conseguenza non si debbono, nè parlando nè scrivendo, adoperare. - Ma è vero proprio che il popolo non gli usa? - No che non è vero una persona civile, qui in Firenze, gli usa, anche parlando, quasi sempre, pronunziandoli molto raccolti, è vero, ma facendo pur sentire tanto o quanto della u, se il dittongo èuo, e della i se il dittongo è ie; nè certo una persona, civile dir� sole per suole, poi per puoi, voi per vuoi, celo per cielo, sedo per siedo, ecc., ecc., e molto meno lo scriverò. Se poi si esce di Firenze e si va ne' luoghi dove l' italiano è senza dubbio meglio pronunziato, come a Siena, a Pistoja, e sulla montagna pistojese, questi dittonghi si odono spiccatissimi sulle bocche di tutti. E poi quando fosse altrimenti, il popolo è autorità assoluta in opera di pronunzia? No, risponde Cicerone, Aulo Gellio, Dante, il Bembo, il Salviati, e tutti i primi maestri: no, perchè allora bisognerebbe dire e scrivere sua e tua per tuoi e suoi; issole per il sole; e molte altre simili: no, perchè è una mattia l' accettare, a chius' occhi questa autorità sconfinata del popolo, la quale ci porterebbe a dover dire e scrivere molti errori che al popolo son comuni, come radino, dicono, e simili per vadano e dicano: andiedi per andai: vai e fai e stai, per va, fa, sta, imperativi; si fece, si disse, ecc., per facemmo e dicemmo: lui e lei, per egli ed ella in ogni caso: cosa per che cosa; ed altre simili gioie, che pur brillano negli scritti di questi ciechi seguaci dell' uso e no, finalmente, perchè non è vero niente che l' uso di questi e simili errori sia generale tra 'l popolo, essendoci pure una gran parte, anzi la maggior parte delle persone civili, che mai non li dicono. "Non altro ho da dire circa a questa regola. Mi sono fatto intendere? Sì, signore, rispose la Zaira a nome di tutte; e spero che niuna, di noi caderò più in tal errore. Intanto, essendo passata l' ora, la direttrice si alzò, e tutte facevano altrettanto, quando la Eglina: "Scusino, ma ci siamo scordate d' una cosa. "Che cosa? domandò la direttrice. "La Clelia ha detto delle parole latine; ma noi non sappiamo quel che voglion dire. "O povera signora Eglina, continuò il maestro, ha ragione, ed eccomi qui a spiegargliele. La signora Clelia ci ha raccontato che sulla medaglia coniata per la Bassi ci era il motto: Soli cui fas vidisse Minerva, le quali vengono a dire che quella medaglia fu coniata per onorare colei a cui solo fu conceduto di vedere Minerva, volendo significare che la Bassi fu la più sapiente fra le donne, tanto sapiente che vide a faccia a faccia Minerva, la quale è simboleggiata per la sapienza stessa.

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Avvenne una volta che Brunoro, volendo abbandonare il re Alfonso di Napoli, a' cui servigj militava, mentre si preparava a fuggire, fu preso e messo in prigione. Pensate come se ne addolorò la povera Bona! la quale per altro non si sgomentò, pronta ad ogni disagio e pericolo per il suo signore. Che ti fa? se ne va da tutti i principi e potentati d'Italia, non che dal re di Francia, a impetrar lettere di favore per Brunoro, tanto che il re Alfonso lo liberò; nè contenta a questo, operò tanto che fu preso al soldo da'Veneziani con provvisione di più di 20,000 ducati. Allora Brunoro, in merito di tanto affetto e di tanta fede, benchè sino allora l'avesse tenuta al suo servigio, e benchè fosse così brutta di aspetto, se la prese per moglie; ed attenendosi a' consigli di lei venne sempre in fama maggiore, per essergli tutte le imprese riuscite prospere; ed in tutte le imprese si vedeva questa valente donna condur genti a piede, ed esser sempre la prima ad ogni zuffa ed assalto. Diventò insomma peritissima dell'arte della guerra; e per la sua accortezza e valore si espugnarono forti castella. Si mantenne poi sempre casta, e pudica, e fedele al suo Brunoro. Ultimamente, avendo il Senato veneziano gran fede in Brunoro e nel valore di questa donna, gli mandò alla difesa di Negroponte contro a' Turchi, i quali mai non ardirono di dar loro noia; ma essendole morto in questo mezzo il suo caro Pietro nella città di Calcide, la Bona, tornando a Venezia per vedere di far confermare la provvisione del padre a' due suoi figliuoli, presa dal mal di flusso in Modone, città di Morea, e conosciuto che quella malattia era mortale, si fece fare una ricca sepoltura, la quale coi propri occhi volle vedere prima che morisse; ed ivi fu veramente sepolta nel 1468. Degna d'essere annoverata tra le donne più illustri, perchè nata di bassi e vili parenti, si acquistò con opere virtuose chiarissima ed eterna fama con vera nobiltà, dove molte, nate di sangue gentile, ed anche reale, spesso oscurano i loro natali con opere indegne." Se la Giannina fu applaudita non se ne domanda; e non erano ancora finiti gli applausi, che si alzò una di quelle ragazze dicendo: "Vorrei, se la signora direttrice si contenta, fare una osservazione. "Dica, rispose la direttrice.. In queste cinque domeniche abbiamo udito raccontar molti atti di valorose donne, che fanno vergogna a molti signori uomini: o perchè dunque ci ha essere chi s'ostina a dire che noi altre donne non siamo buone a nulla, e che si dee pensar solamente a far la calza, a cucire e a badar a casa? questa è una bella soverchieria... "Signorina, interruppe la direttrice, coloro che dicono, le donne non esser capaci di ogni atto virtuoso come gli uomini, sono stolti; ma anche più stolti sono coloro che vorrebbero le donne capaci di ogni pubblico ufficio, pareggiandole in tutto e per tutto agli uomini. Ci pensi un pochino e mentre quieta, e vedrà che, se la natura ha fatto la donna diversa dall' uomo, destinandola a far figliuoli e ad allattargli, è segno che anche l' ufficio loro debb' essere diverso nella umana compagnia; e come la cura del governo familiare, e tutte le arti donnesche sono essenziali al buon vivere civile, così, facendo uomini anche le donne, una delle due, o gli uomini dovrebbero essi attendere a quelle arti, operando contro l' ordine della natura; o il viver civile diventerebbe una confusione orribilissima. Non si nega che sieno degne di eterne lodi le donne, che si rendono eccellenti o nelle arti, o nelle scienze, o nelle lettere; ma guai se tutte le donne volessero essere o scienziate, o letterate, o politichesse! Il mandato della donna è sublime, chi sappia valutarlo: siamo noi donne quelle, che, attendendo alla prima educazione de' fanciulli, mettiamo loro in cuore i semi delle cittadine virtù, i quali poi fruttano a tempo e luogo gloria ed onori: siamo noi altre donne che temperiamo le troppo accese passioni, che facciamo parer più leggere le gravi cure de' nostri uomini... Io non posso stendermi ora di più su questa materia. Creda a me, signorina: pensi ad animo quieto, e ci pensino tutte le sue compagne, a queste mie parole; e se loderanno ed ammireranno sempre quelle donne delle quali ogni domenica qui si celebrano le virtù, potranno menar vanto che anche le donne sono capaci de' più nobili atti virili, e con l' esempio di esse tureranno la bocca agli stolti, che dicono il contrario; ma ne conchiuderanno per altro, che al bene ordinato viver civile, giovano molto più quelle che intendono il mandato loro proprio, e cercano di essere buone spose e buone madri.

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