Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: a

Numero di risultati: 23 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Contessa Lara (Evelina Cattermole)

220039
Storie d'amore e di dolore 23 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ampia, bruna, severa, quella badia medioevale sorgeva a mezzo il colle fiesolano, tutto ammantato di campi e fiorito di ville, con la solennità malinconica degli antichi monumenti. Ma la fosca badia conveniva a quel pittoresco paesaggio, poi che aveva in cima al suo stesso colle, tra folti gruppi di cipressi puntuti, il monastero di San Francesco; su'l pendío dirimpetto, ricco d'ulivi, il castello merlato dei Salviati; e a sinistra, in fondo, di là dal Mugnone incassato tra i macigni, che un ponte snello e arcuato attraversa, il Cupolino, brulla montagna tutta pietra, co' larghi fianchi profondamente spaccati dalle cave. All'esterno, la badia conservava il suo primitivo aspetto — quasi ospitasse ancora monaci eruditi e principi magnifici — massime guardata di lontano, dalla strada maestra che corre verso Borgo San Lorenzo di Mugello, o giù da piè dell'erta ripida, angusta e diritta che porta a San Domenico, il villaggio aristocratico limitato in un'unica piazza; e bisognava proprio venir fin sotto le sue mura colossali per avvedersi di certe chiazze d' intonaco nuovo su 'l tufo della facciata; di qualche terrazzino dall'aerea ringhiera coperta di fiori, appiccicato da poco sotto una finestra a bassorilievi, come un primaverile nido di rondine; e magari anche d'una sottana o d'una vita di mussolo in colore, appesa qua e là ad una massiccia inferriata, ad asciugarsi dondolandosi nell'aria e nel sole. I grandi cambiamenti si riscontravano all'interno. L'abbazia, morti o cacciati tutti i suoi monaci, divenuta un bene demaniale, era stata divisa e suddivisa in tanti quartieri, appigionati a parecchie famiglie della borghesia, che andavano là su a villeggiare; e in questo modo avea perduto quasi a fatto il proprio carattere. Certi lunghi corridoi, è vero, nonostante che al candor di calce delle loro pareti si fosse sovrapposto un disegno a stampino a uso carta di Francia, serbavano sempre l'impronta claustrale; abbattuti i tramezzi delle antiche celle, s'eran fatte stanze più vaste: che avevano, però, finestrelle e usciolini troppo fitti e regolari per non ricordarne l'origine; le porte esterne, fortemente corazzate di grossi chiodi disposti a rombo, ben che verniciate d'una tinta vistosa, s'aprivano ancora con pesante lentezza, accompagnata da una specie di mugghio sordo somigliante alla nota d'un organo; e il gran cortile con in giro la doppia fila di logge a colonne agili ornate di foglie d'acanto, con al centro il pozzo di pietra alto su' circolari gradini rabescati di musco color ruggine, in qualche queta ora del giorno, mentre il sole batte in pieno su 'l quadrato silenzioso della meridiana, forse consentivano ancora che la fantasia tornasse a dietro di parecchi secoli. Ma l'illusione durava poco. A un tratto una nidiata di bimbi irrompeva clamorosa dall'antico quartiere del Padre Abate, e mettendosi a correre sotto i portici bociava a squarciagola per chiamare altri compagni di ricreazione. Quelli s'affacciavano alle finestre, rispondendo, poi ne venivano di su, di giù, da ogni parte; e fra risa, litigi e grida si stabilivano i giuochi: un gruppo di maschietti con fucili e tamburi si schierava a far gli esercizi militari; parecchie bambine, prendendosi per mano tutte in fila, intonavano il monotono ritornello:

La fabbrica in costruzione ergevasi, immane scheletro dall'esterna ossatura di legname, su fino a un'altezza che pareva smisurata. La luna, nelle ultime notti autunnali vi batteva sopra con quel chiaror ghiaccio che par d'argento, dando alle impalcature biancastre, e segnatamente ai buchi neri delle finestre senza telai, un aspetto fantastico e sinistro. Tutto, in torno, taceva. Si sarebbe detto che, immerso così nel silenzio, anche esso, l'enorme scheletro, dormisse, se un lumicino rosso al primo piano, non avesse brillato, vigile occhio sanguigno, nella vaporosità notturna. Contessa Lara. 11 Ma a pena l'alba s'affacciava, delineando, prima vagamente, poi con ispiccata nitidezza i contorni di Castel Sant'Angelo là giù a manca, ecco, con branchi d'operai, un confuso brusío di voci a poco a poco crescente; chi chiama, chi intona la prima frase d'una canzone popolare, per troncarla e far qualche domanda a un compagno; chi fischietta; ciascuno mugola qualcosa, come per rifarsi d'aver taciuto la notte; e battono i martelli, stridono le seghe, le cazzuole raschiano, spalmando la calce; tutto il rumoroso lavoro edilizio va innanzi in un'onda sempre più vasta di suoni. Sur un ponte di legno posto al quarto piano, Nanni, il maestro muratore, ricurvo presso una pila di mattoni, sceglieva quelli sani e, portati che li aveva sotto qualche pezzo di muraglia in costruzione, li posava regolarmente uno su l'altro o uno accanto all'altro, fermandoli a mano a mano con una mestolata di calcina. Questo rozzo mosaico era molto tempo ch'egli lo andava facendo. A forza di maneggiar mattoni e calce, le mani gli eran diventate più dure e più ruvide d'un muraccio sgretolato; a forza di veder levarsi e tramontare il sole su fabbricati nuovi gli si eran fatti bigi i capelli, bigia la barba, bige le sopracciglia folte. Il suo mestiere, Nanni lo considerava uno dei migliori che si possan fare. Non capiva, trattandosi del proprio sentimento, quanto ci fosse di nobile; perchè, secondo lui, codesta parola corrispondeva solamente all'idea di signorile; ma, certo, era nobile quanto mai l'affetto col quale, finito il suo còmpito cotidiano, raddrizzando a fatica, con una strizzatina delle labbra, le reni indolite, l'operaio sorrideva, sereno e soddisfatto, quando la sera, su 'l vespero, osservava il lavoro a grado a grado fornito. Par nulla, eh? E pure, mattone su mattone, mestolata su mestolata, pietra su pietra, si arriva a fare tutto quel che si fa. Quelle, prima — se ne ricordava bene — erano estensioni di terreno incolto; ci cresceva l'erba, che a pena era buona per il pascolo delle bestie; e scava, scava, s'eran gettate le fondamenta di una casa, poi di due, di tre, di venti, poi di cento; e i palazzi venivan su come i funghi; così era sorta un'altra grande città attaccata alla città vecchia. Nelle strade create di fresco, ancora sterrate e senza numeri alla porta, c'eran venuti i bambini a far il chiasso fra' monticelli di terra e di sassi che stavano in mezzo; le donne, da una finestra all'altra avevan sciorinati i panni del bucato su le funi tese; s'erano aperte botteghe di vino, di pane, di carne, di legumi, che sporgevano fuori le ceste multicolori: la vita con tutto il brulichío e il frastuono de' popolosi quartieri romani, con lembi di conversazioni e canti, con ogni tanto una rissa d'ubbriachi, l'accompagnamento d'un morto, le carrozze d'uno sposalizio o d'un battesimo, con tutti i suoi drammi intimi e continui, era nata colà, naturalmente, quasi d'improvviso. E quella città nuova, quel mondo nuovo, lo avevan fatto loro, i muratori, lo aveva fatto lui, Nanni; e sorrideva nel girar lo sguardo, accennando di sì con la testa bigia, come a risponder a sè stesso ch'era contento e che tutto andava bene. Oltre al suo lavoro, da quando gli era morta la moglie, nel fior degli anni, questo galantuomo non aveva che una passione: la sua figliuola. Ormai era un pezzo che, fuggendo il villaggio nativo su la riva dell'Arno, perchè lassù i ricordi lo facevan troppo tribolare, tanto che ogni mattina s'alzava con la bocca più amara del veleno, egli era venuto a Roma insieme alla Rachele. A Roma, la Rachele, d'una bambinuccia tutta ossi e tutt'occhi, s'era fatta un tocco di ragazzona. Non era, a vero, una bellezza, ma pareva creata apposta per piacere a certi maschi: era la donna nelle sue forme più spiccatamente carnali. Aveva larghi i fianchi e il petto, stremenziti in grossissime trecce i lunghi capelli d'un castagno caldo a ciocche chiare, quasi bionde, come se il sole, cui esponeva la testolina, glie l'avesse segnata di raggi; il viso rotondo le fioriva di roseo; e gli occhi, alquanto sporgenti, d'un turchino verdognolo, le ridevan più della bocca sanguigna guarnita di forti denti bianchi come i fagiuoli. La toscanina, così la chiamavano, era la simpatia del vicinato, e non poteva andar a comprare un gingillo per il desinare, senza che garzoni e padroni, tutti i bottegai, non le dicessero qualche paroletta salata che veniva loro con l'acquolina in bocca. Ella faceva una spallata e un sorriso, e minacciava: — Su, via, servitemi presto o non ci torno più! — Guai! Dio liberi se non ci fosse più venuta la toscanina! E s'arrabattavano per ispicciarla in fretta, come chiedeva lei, lasciando sbraitar le serve e l'altre donnicciuole appiccicate al banco. Tutti le facevan festa, tutti la conoscevano per una ragazza ammodo. Ogni giorno, dopo aver rifatto qualche pezzo di calzetta o mésse delle toppe a dei panni, la Rachele si partiva dalla stanzuccia che abitava col padre ai Prati di Castello: una povera camera di subaffitto divisa in due da un paravento mezzo sfondato, e andava alla fabbrica dove lavorava Nanni. Era là dentro un rintronamento di voci, di colpi, d'arnesi in opera che stordiva fin di giù dalla strada. Per una scala esteriore di tavole appoggiate in lungo, la ragazza saliva al quarto piano col paniere delle provviste infilato al braccio passava, salutando d'una parola o d'un cenno ora questo ora quello dei lavoranti, ch'ella conosceva per la maggior parte, e si fermava qualche momento con le femmine venute, come lei, a portar da mangiare ai loro uomini. A pena inteso lo sparo del cannone di Sant'Angelo, annunziante il mezzogiorno, levava dal canestro la roba; il pentolo della minestra, per lo più di cavolo, la grossa pagnotta scura, a volte un pezzetto di cacio pecorino, a volte qualche fetta di salame; posava per terra il mezzo litro di vinetto bianco dei Castelli (chi lo poteva più assaggiare il vino toscano?) e sedutasi accanto al padre su l'assito o sur un pezzo di muro, rideva e mangiava. — Volete favorire? — era uso a domandar Nanni a chi gli capitava vicino. I compagni lo ringraziavano, correndo ciascun per conto proprio a buttar giù in fretta un boccone lì su 'l luogo, se c'era chi glie lo portasse; o pure scendevano, sparpagliandosi per l'osterie vicine, d'onde, passate le dodici, a ritornelli sempre più clamorosi, esce, quando qualcuno n'apre la porta bassa e vetrata, un frastuono infernale di bicchieri cozzanti, di rauche bestemmie, di numeri vociati all'unisono nel gioco della mora. Finito sino all'ultimo briciolo tutto quanto la Rachele aveva preparato per il desinare, il vecchio sdraiavasi dove si trovava, tirandosi la falda del cappello a cencio su gli occhi, e faceva quella siesta de' muratori, cui non disturba nè il sole, nè il vento, nè gl'insetti vagabondi per l'aria aperta; mentre la sua figliuola, rimesso il mezzo litro, il pentolo e i due cucchiai nel paniere (il coltello a serramanico se l'era già riposto Nanni nella tasca de' calzoni), traversava di nuovo parte dello scheletro della fabbrica, scendeva svelta la scala di tavole, e se ne tornava a casa. Accoccolato in disparte, in tanto che a gruppi gli altri giovanotti divoravano, bevevano, canticchiavano in cori sconnessi e avvinazzati, interrotti e ripresi con note tremule fuor di tono, Peppe, detto da' muratori romani Scucchia, reggeva scimmiescamente con tutte e due le mani un tozzo di pane e lo sbocconcellava lento, in silenzio, a grossi pezzi, girando di sotto in su gli occhi lustri e selvatici. Aveva, come indicava in vernacolo il suo soprannome, la mascella inferiore prominente, quasi quadra, coperta d'una barbetta di brevi ricci nerissimi che gl'incorniciava la bocca larga e spessa. Brutto non era. Quel naso aquilino, quella capigliatura bruna, in armonia con la tinta olivastra dell'epidermide, gli stavan bene e davano alla sua fisonomia un carattere tutto meridionale, che più d'un pittore di tipi popolani avrebbe scelto a modello. Parole ne faceva poche; e quando apriva bocca, affinchè passassero meno lunghe l'ore del lavoro, masticava fra denti una cantilena cadenzata e monotona d'una tristezza penetrante, sempre la medesima e che nessuno capiva. La capiva però lui, e la ricominciava ogni tanto con l'insistenza di chi parla a sè stesso senza giungere a persuadersi; e i cupi suoni che gli uscivan dal petto, anzi dal cuore, il giovanotto li accompagnava con certe scrollate di testa eloquenti che negavano, negavano ostinatamente. Diceva la cantilena dei suoi monti calabresi lontani:

L'asta pubblica seguiva in una di quelle sale senza un padrone fisso che si sogliono adoperare a un tal uso: luoghi, il cui addobbo muta d'aspetto ogni giorno, parati ora di stoffe antiche mezzo sbiadite, ora d'arazzi moderni troppo colorati, di specchi di vecchio Murano dalle rugiadose cornici, tutte foglie e fiori cristallini, di rigide mensole ad angoli acuti del primo Impero, e d'altri oggetti uno più disparato dell'altro, per valore, epoca e genere, raccolti costà sa Dio per quali capricci della sorte, se dopo un dramma o dopo una farsa. Non meno della roba in vendita, anche il pubblico, che frequenta codesta specie di teatro della vita reale, è misto e mutabile. Nelle prime file di sedie a impagliatino, presso il banco, stanno intente parecchie facce esotiche, con occhiali d'oro su 'l naso e veli turchini su' cappelli di paglia, a caccia di qualcosa di genuino e d'artistico; assistono camorristi incaricati di rialzare le cifre; poi antiquari che con un sorriso o con un cenno, invisibile a chi non è del mestiere, combinano e scombinano un affare; e pittori e scultori, i quali carezzano con gli occhi qualcosa di bello, che attirerebbero col desiderio ne' loro studi. Emergono anche delle signore entrate lì per curiosità, che poi prendono gusto a quella lotta tra la cupidigia e la borsa; girano lo sguardo intorno, sorridenti, senza osare d'acquistar nulla: perchè bisognerebbe alzar la voce, e seggono dove trovan posto. In fine c'è la gente che va e viene, sfaccendata, senza interesse, incolore: un ondeggiamento di figure sempre nuove e sempre varie, in fondo alla sala, verso la porta d'ingresso. Dietro il banco di legno lucido, su cui a mano a mano si mostrano gli oggetti e si distendono le stoffe, sta un perito, direttore della vendita, vestito con una certa eleganza, tarchiato, grassoccio, dalla fisonomia tra cortese e canzonatoria, con la rada barbetta, che tende al bigio, tagliata a spazzola: un tipo affabile e insinuante di candidato dinanzi a un gruppo d'elettori, al quale si direbbe che stia a cuore più l'interesse altrui che il suo proprio. Qualunque oggetto è portato davanti a questo signore da una specie di usciere in soprabito liso, un vecchiotto curvo e muto; e' lo prende; ne dichiara meccanicamente l'epoca, quasi sempre sbagliata; lo gira e lo rigira da tutte le parti con compiacenza paterna; ne tesse l'elogio più esagerato, e finalmente annuncia che c'è compratore a una data somma. Allora l'oggetto circola per la sala, perchè lo si esamini, e il lotto comincia. A canto al perito sta ritto il banditore: un omino secco e vibrante, come il martello ch'ei tiene in mano; non ostante l'apparenza immobile, è d'un'attività febbrile. Con un solo sguardo di que' vispi occhietti senza colore determinato, passa in rivista quanta gente è raccolta nella sala. Non gli sfugge il più piccolo segno. Un'inclinazione del collo, un battito di palpebra, basta a rivelargli anche l'ombra di un pensiero e designargli un compratore. Dietro al banco, appoggiato a un alto leggìo, un giovinotto biondiccio, slavato, con due baffetti a pena fioriti e i capelli femminilmente spartiti sulla fronte bassa, ogni volta che un otto è venduto, si toglie la penna di su l'orecchio e scrive: scrive in un lungo e voluminoso registro. Il giorno volgeva al tramonto. S'era dato via quasi ogni cosa. Il sole, stupendo sole di mezzo maggio, proiettava i suoi bagliori estremi verso il soffitto della sala, di sbieco; e que' bagliori spandevan giù una luce gialla, che colorava tutto d'una tinta calda e diffusa. Gli ultimi lotti, per la fretta dello sbrigarsi, si andavan liberando rapidamente: il più grosso, quello a cui s'eran vólte le brame più intense della giornata, era toccato a una specie di Ercole bianco e rosso, il cui nome parve un trofeo di consonanti allo scritturale con la penna su l'orecchio. Era una scrivania Luigi XVI a intarsi artistici, con borchiette d'argento cesellato a ogni cassettino, e un frontone d'argento massiccio, assai originale, che rappresentava un Amor trionfante, ad ali spiegate, con l'arco teso in una mano e una corona di rose nell'altra. L'Ercole s'era prefisso di farlo suo; e fin dal mattino, stabilitosi in una sedia delle prime file, con flemma tutta settentrionale, senza più muoversi, ne aveva tranquillamente aspettato il turno; poi a ventine e a cinquantine di franchi l'aveva contrastato a ogni altro competitore, con l'ostinazione fredda di chi, col denaro, può sbizzarrirsi a suo bell'agio. Lui contro tutti. Da principio i camorristi si divertirono a far salire le offerte; qualche altro forestiero, caldato, s'era messo a lottare su 'l serio; venne un momento che quella scherma di cifre tenne gli animi in sospeso; fin che, da tre mila lire, l'Ercole saltò di botto a quattro mila. Di subito il silenzio si fece nella sala. Il perito atteggiò, fra la barbetta brizzolata, la bocca a una smorfia intraducibile, ammiccando con la coda dell'occhio al banditore. Questi, impassibile, dopo aver rapidamente frugato con lo sguardo in tutta la sala, vociò col solito tono stentoreo: — Quattromila la scrivania Luigi XVI! E si libera per quattro mila!... Dico si libera! Nessuno fiatò. E' diede forte del martello i sacramentali tre colpi. Allora l'Ercole, consegnato al banco un biglietto da visita col proprio indirizzo, traversò la folla, che, quasi sollevata d'un peso, attaccava un vivo cicaleccio di commenti, e imperterrito infilò la porta. Una certa gara erasi pure impegnata tra due signore: l'una tedesca, l'altra romana, quest'ultima una collezionista famosa, intorno a un immenso piatto moresco, a disegni turchini e a riflessi metallici color viola, ben conservato, assai raro. Mentre nella sala lo si stava osservando, Il perito, direttore della vendita, narrò che il piatto era stato rinvenuto nientemeno che dentro l'Alhambra e vi tessè una specie di leggenda orientale poco verisimile, ma molto atta a invogliar più che mai di quella ceramica iridata le due graziose rivali. Il perito lo alzava, lo metteva in buona luce, facendone sprizzar i colori, e lo contemplava con tenerezza, quasi rimpiangesse di vederselo portar via. — Questo numero 312 è un pezzo unico, se ne chiedono... mille lire. Il banditore: Mille lire, se ne chiedono. (a mezza voce) C'è compratore a quattrocento. Il perito: Che quattrocento? A quattrocentocinquanta lo prendo anch'io (all'usciere). Fatelo esaminare meglio (al pubblico). Osservino, osservino pure, signori. Una voce d'uomo nella sala: Quattrocentosessanta! Qualcun altro fa un cenno. Il banditore: Novanta! Quattrocentonovanta!... cinquecento! Il piatto passa da una persona all'altra; chi annuisce lodando, chi scrolla il capo con gesti negativi. Una giovane signora bruna, la cui casa a Roma è nota come un museo, s'agita su la sedia, vuol rivedere il piatto per la decima volta e ne mostra gran desiderio. Una signora tedesca che le siede a canto: Cinquecento cinquanta! Il banditore (a un batter di palpebre de' begli occhi romani): Seicento! Seicento! E si libera! Uno!... Il perito: Adagio! Quella signora forestiera laggiù vorrebbe rivedere... (dodo un cenno della signora) Seicentocinquanta! Il banditore: Seicentocinquanta! Seicentocinquanta si libe... Il perito (interrompendolo): Ma è regalato, un oggetto come questo!... (alza ancora la ceramica che riflette vivissime tinte). La signora romana accenna. Il perito(allegro): Settecento! Il banditore(scandendo le sillabe): Settecento! Settecen... La signora tedesca (imbizzita): Ottocento! La romana(sottovoce): Cinquanta! Il perito: Questo è il più bel piatto del genere ch'io abbia visto. Uno simile è nella collezione di quel Rothschild morto da poco. Che arcobaleno!... La tedesca (seccamente): Mille! Il banditore(con un crescendo): Mille lire! Mille lire! E si libera! Uno! due!... La signora romana: Milletrecento! Il banditore (rallentando): Milletrecento! Milletrecento... Il perito (rapidissimamente): Su, via, facciamo presto! Non si può star qui fino a mezzanotte! Ci sono molti altri lotti... tutti i quadri; e si fa sera!... Il banditore: Mille trecento! (accelerando) Milletrecento! E si delibera! La tedesca (decisa): Quattrocento! Il banditore: Mille... La romana (ridendo): Cinquecento! Il banditore (più forte che mai): Millecinquecento! Il perito (con un sorriso mondano rivolto alla bella bruna): La signora quando vuole... vuole! Il banditore: Millecinquecento! E si libera! La signora tedesca, rigida, indispettita, s'alza come una molla e se ne va. Il banditore batte i tre colpi: Uno! due! e tre! Intanto la vincitrice vagheggia con visibile soddisfazione i bagliori violacei del suo bel piatto moresco, e cinguetta vicino alla lunga barba bianchiccia di uno scultore celebre. Finalmente era venuto il turno dei dipinti. Andaron via subito parecchi paesaggi: gole alpestri, strade del Cairo, canali di Venezia e marine. Piacque un soggetto militare, La staffetta, per l'originalità dell'intonazione; una spera di sole rossastra sur un terreno bigio, paludoso, sparso di giunchi, dove un soldato galoppa a briglia sciolta, curvo su 'l collo dell'animale fremente. Da un bosco vicino devono partire de' colpi di fucile, perchè se ne scorge il fumo tra gli alberi. C'era una piccola tela di soggetto mitologico, Il matrimonio di Bacco: grasso e ridente, il lieto dio tien alta in mano una fiaccola accesa, mentre fauni, satiri e ninfe gli danzano intorno una ridda degna d'una illustrazione rabelaisiana. Se la prese scherzando e motteggiando, un pittore più assai rinomato per l'originalità del suo carattere che per quella del suo ingegno. Ed ecco, entro una cornice d'oro offuscato, un ritratto muliebre del cinquecento; mezza figura di grandezza naturale: un ritratto, che dopo aver fatto parte d'una galleria privata, cioè d'una schiera d'avi illustri appesi alle pareti di qualche nobile dimora, alla fine, nella suprema dispersione d'ogni reliquia famigliare, fu separato da' compagni ingialliti; e sbalzato poi dalla sala d' armi a una soffitta dove s'accatastano gli attrezzi e scorazzano i topi; e dalla soffitta a una vendita pubblica, va, muto spostato, a tarlarsi Dio sa mai dove. L'effigie, di poco valore come opera d'arte, rappresentava una giovane assai bella, forse una colta, ma capricciosa cortigiana; da che anche allora, anzi specialmente allora, l'abito non faceva il monaco. I biondi capelli, che dietro le pendevano sciolti, quali raggi aurei, lungo il collo, eran coperti su l'alto del capo da un velo verde leggiadramente ravvolto a mo' di diadema e tempestato di gemme. Il viso, minuto e d'un ovale perfetto, doveva aver perso alquanto del suo diafano color di rosa primitivo; ma la lieve tonalità dell'avorio dàtagli dal tempo, non gli toglieva affatto l'illusione della vita, spiccante soprattutto nella luce de' larghi occhi bruni e in un sorriso civettuolo e sdegnoso d'un fascino strano. Tutta l'acconciatura rivelava il gusto più fino. La gamurra a maniche aperte era di velluto rosso contrattagliato a fondo di broccato d'oro; e ne usciva fuor dello scollo il petto alto e colmo, scoperto a metà, provocante e superbo; un filo di perle e di smeraldi circondava la gola pura ed ignuda. Al sorriso di quella tela rispose, con inconsapevole simpatia, il sorriso di parecchi tra gli astanti. La figura, come figura, era adorabile; ma il dipinto non piacque. — Una dama del cinquecento! — prese a dire il perito. — Le tinte sono ben conservate. Non è d' autore illustre, capisco... ma c'è chi ne offre un centinaio di lire. Si comincerà, mettiamo, da... cinquanta. Facciamo presto, mi raccomando, signori. Il banditore: Cinquanta lire! Cinquanta lire! E si libera. Il perito: Si dice che questa dama fosse la duchessa di Gragnano. Per conto mio, non posso garantirlo... Ma il fatto sta che il costume è molto ricco. Un antiquario: Dàgliene sessanta! Il banditore: Sessanta lire! Sessanta.... Un pittore a un altro (sottovoce): A me fa comodo per il mio quadro della Cena dei Borgia... (forte) Settanta! Contessa Lara. 15 L'altro pittore (a mezza voce): Ma fammi il piacere! Non vale un soldo! Il banditore: Settanta lire! Un compare camorrista (osservando che i pittori contrastano): Ottanta! Il banditore: Ottanta lire!... Il perito (facendo lo spiritoso): La duchessa di Gragnano per ottanta lire! A' suoi tempi, credo ch'ella valesse un po' di più! Il banditore (continuando): Ottanta lire! (lentamente) E si libera! Uno!... (breve pausa). Il pittore (che pensa all'acconciatura di Lucrezia Borgia): Novanta! Il banditore (affrettando): Novanta lire! Novanta lire! E si libera! Uno! due!... Il ritratto, tenuto ritto dal perito, e presentato ora a destra, ora a sinistra , pareva volger lo sguardo per la sala.... — Cento - proferì una voce di fondo: una voce così commossa e malcerta che tutti quanti si voltarono a guardare. In quel frattempo il martello era caduto tre volte. La voce era d'un giovanetto su' diciotto anni, vestito modestamente d'una giacchetta color nocciòla scuro. La faccia lunga e scarna d' un pallor olivastro appariva quasi infantile all'ombra del cappello di feltro molle che gli si posava su' capelli neri e abbondanti. E poichè il perito sembrava cercarlo, allungando il collo, il giovane, impacciato sotto tanti sguardi, rasentò la parete, s'accostò al banco, e cavandosi di tasca un portafogli slabbrato, ne tirò fuori una carta rosea da cento franchi. Mentre la tendeva, le dita lunghe dalle nocche sporgenti gli tremavano. - Non importa che paghi adesso. Basta il suo nome. Le manderemo, se crede, il quadro a casa — disse il perito con cortesia, ma evidentemente seccato di questa interruzione. — No, no, ora, ora.... La porto io stesso - insistè l'acquirente, il cui nome ignoto fu prontamente allineato nel registro dallo scritturale. Il giovine, rosso fino alla punta de' capelli, preso con uno sguardo tra diffidente e incerto il ritratto muliebre per la cornice, se lo portò via con passo rapido e con addosso il fremito convulso d'uno che l'avesse rubato. Subito un altro lotto circolava....

II giardino, un piccolo quadrato di pochi metri, era ingombro di piante cresciute a modo loro; tanto che ormai non si distingueva nè pur più l'antico disegno delle aiuole. I cespugli de' rosai, sviluppati come alberelle, confondevano i loro rami, vestiti di verzura ma senza fiori, ai rami di qualche pesco, di qualche fico, di qualche pero, tutti rachitici e nani: le cicorie spigate ombravano i cespugli, formati rasente il suolo dalle fogliuzze a cuore delle viole, qualche stelo di vainiglia s'allungava pallido fra i gerani delle ciocche contadinesche: Contessa Lara. II i folti gelsomini della notte, pianta comune e resistente, e le canne d'Asia ibride, cariche di foglione smisurate, sembravano messi lì per ironia di confronto tra la lussureggiante vegetazione orientale e la meschina vegetazione dei nostri paesi. Sul muro dirimpetto abbarbicavasi un gran velo d'edera, pittoresca tappezzeria dal fondo oscuro, in mezzo a cui dei tralci nuovi, chiari fino alla sfumatura più tenera del verde, spiccavano come fregi. Dietro quel muro a pena alto due metri, era una fila d'altri piccoli orti, da' quali facevan capolino i mazzetti rosei di qualche oleandro, e la chioma a fini frastagli d'una acacia: breve sfondo circoscritto da un gran casamento, butterato di finestre e di terrazzini, fra' quali eran tése lunghe e multicolori ghirlande di panni lavati. Tale l'interna melanconica visione. La stanza mobiliata a pianterreno, che guardava su questo giardinetto, somigliava a una delle tante che le affittacamere sogliono offrire ai loro inquilini; col letto di ferro a un posto senza baldacchino, un vecchio canapè dalla tinta incerta, l'armadio di noce a specchio eguale al cassettone, un tavolino, delle sedie e un'unica poltrona: tutta roba senza carattere, senza valore, senza ricordi, dove la polvere e l'attrizione non fanno che aggiungere un'ombra alla naturale volgarità de' colori e delle forme. Quest'ambiente non sembrò fare alcuna impressione su suor Istituta, la prima volta ch'ella vi penetrò: forse perchè la suora di San Vincenzo di Paola era avvezza a luoghi ancora più ripugnanti, forse perchè v'era capitata di sera. La sua superiora, come al solito, rapidamente e sotto voce, ma in tono risoluto, le aveva dato l'indirizzo d'una strada e d'una casa, A pena mise piede nell'ingresso della casa mobiliata, una zaffata d'acido fenico le riempì le nari e la gola; ma era un odore che non le faceva nausea: lo respirava quasi sempre. senza nominar nessuno. C'era da far delle nottate a un infermo: ecco tutto quel che sapeva suor Istituta; nè la malattia, nè il sesso di quest'infermo; non toccava a lei l'ingerirsene. A lei doveva bastare il pensiero che una creatura di Dio pativa, bisognosa di cure non venali, come son quelle delle solite infermiere laiche: non pericolosamente zelanti, come son quelle di certe persone di famiglia; ma devote e calme, quali sanno prodigarle l'umili sorelle della carità. E, ascoltata con gravità dolce ogni indicazione della superiora, suor Istituta aveva assentito con un semplice cenno, che fece inchinare l'ali bianche della sua cornetta, ed erasi recata al posto dove la chiamava il dovere. Un soldato di marina, alto e muscoloso, con le spalle quadrate d'un atleta, scalzo come a bordo, per non far rumore, aprì la porta alla monaca e la fece entrare, senza profferir parola. La stanza era immersa in una mezz'ombra fantastica: da che la lampada da notte, posata a terra in un angolo, concentrava tutta la sua luce in quell'unico punto, dove un fascio d'armi selvagge, lance, aste, zagaglie, era appoggiato e proiettava su le pareti i profili della mobilia, neri, bizzarri, enormi. La suora girò intorno lo sguardo esperto, fissandolo un momento su 'l corpo lungo disteso che sollevava ritmicamente le coltri col respiro affannoso: il malato era assopito, col viso rivolto verso il muro. Poi ella si diresse al cassettone, dove stavan aggruppate alla rinfusa bottigliette d'ogni grandezza, con medicine e cordiali, e si sparpagliavano cartine di polveri biancastre mezzo aperte. Osservò tutto attentamente, e più a lungo d'ogni cosa un piccolo termometro clinico, che segnava quaranta gradi e nove. Strinse le labbra ed inarcò le ciglia. Il marinaio le stava rispettosamente accanto con l'espressione della più accorata tristezza nella faccia ossuta, coperta d'uno strato d'abbronzatura; portava alquanto inclinato avanti il collo taurino, che usciva nudo dal risvolto del bavero di tela turchiniccia, e teneva le braccia accosto ai fianchi, come in attesa di qualche comando. Aveva una fisionomia grave ed ingenua. - Da quanti giorni sta così? — chiese piano la monaca. - Sette — rispose laconico l'ordinanza, raffrenando la propria voce, come chi osi toccare a pena uno strumento troppo sonoro. In quel punto l'infermo si mosse con un mugolío doloroso, quasi infantile; tentò invano di rivoltarsi, e con uno scoppio di voce soffocata, gridò: — Pronti a virare! — poi di lì a un poco — Contro braccia a prora! — e ancora: — Ammaina le gabbie! — Delirava sognando certo una burrasca; e cominciò a smaniare. A questo rumore accorse la padrona di casa; una donna tozza, dalle anche e dal petto colossali, dal viso tondo e schiacciato di cui, per allora, mezz'ombra velava la tinta giallastra e i segni del vaiolo. Di bello e di ancor giovanile non aveva altro che gli occhi grandi, lucenti, mobilissimi: due occhi proprio meridionali, che girava, socchiudeva, alzava, abbassava senza tregua, accompagnando, con questo gioco espressivo e con la fitta mimica delle mani, la sua loquacità d'una straordinaria espansione. In pochi minuti la grossa femmina rovesciò a mo' di confidenze, più sottovoce che poteva, un diluvio di notizie confuse e non richieste addosso all'infermiera, che ascoltava, in piedi, contentando l'altra, ogni tanto, d'un cenno o d'un monosillabo. — Io, vede, — dichiarò, — ho preso in casa questo signore perchè me l'ha mandato un signore ch'è stato due anni mio inquilino. Mi disse che si trattava di tenerlo pochi giorni, perchè il tenente doveva tornare ad imbarcarsi per la Spagna, per il Giappone, che so io? insomma per là giù lontano; e io non ebbi difficoltà ad accettarlo. Non l'avessi mai fatto! Non perchè mi rincresca d'usar dei riguardi agl'inquilini; ma perchè le case ristrette non sono adatte a certe malattie. Questo povero figliuolo si capiva subito che covava qualcosa di brutto.... Arrivò bianco come un cencio di bucato, con gli occhi stralunati. Che cosa avesse, Dio lo sa. Basta; la disgrazia è toccata a me, e da una settimana in casa mia non c'è piu pace, nè giorno, nè notte. Io mi sono prestata quanto ho potuto; ma anch'io ho i miei interessi, e il sonno mi preme più del mangiare. — Senza lasciare che suor Istituta mettesse una parola nel discorso, la padrona seguitò a chiacchierar fitto fitto. Disse che lei aveva fatto scrivere alla famiglia del tenente per mezzo del ministero: aveva parlato proprio da sè col segretario, che l'aveva mandata dal ministro, cioè dal capo sezione; e difatti era venuto un fratello del malato, un pezzo d'uomo biondo; ma anche lui pare che avesse molti affari, poveretto, perchè subito era ritornato via, promettendo di venire a pena poteva, e raccomandava che avesse avuto cura del malato lei, la signora Carmela. Ma, intanto, come far così. sola? Come poteva rimediare a ogni cosa? — E concluse: — Non ostante quest'apparenza grassa, in realtà sono assai delicata; guai, se mi strapazzo un po' più del solito! Mi pigliano certi dolori nervosi da non resistere; e nella mattinata, se lo crede, m'è venuto perfino uno svenimento.... Con questo caldo, poi! Ecco perchè d'accordo col medico, un bravo professore se ce n'è — viene due volte al giorno — mi son determinata a far chiamare lei che mi levi da questo gran pensiero; tanto più che questo povero signore mi passa proprio il cuore. Così buono! Ma con certi malacci c'è poco da scherzare!... — E dopo un'infinità d'altre ciarle del genere, la signora Carmela invite la suora a passar di là, se aveva bisogno di cenare, e a non far complimenti, se non voleva proprio che se ne avesse a male, come d'una offesa. Suor Istituta scosse negativamente l'ali della cornetta inamidata. - Grazie, grazie — mormorò. — Noi non accettiamo nè pure un bicchier d'acqua. - O perchè? — mormorò la schiattona. - La regola — disse, con un breve sorriso e senza altra spiegazione, la monaca. Poi con una certa insistenza nella voce umile, soggiunse: - Lei, signora, vada, vada pure a letto, e non abbia alcuna pena: col malato ci sto io, ora. — Pronunziò quest'ultima frase scandendo leggermente ogni sillaba, come per significare: — egli ormai sotto la mia protezione, sotto la mia responsabilità; e fino a tanto che non guarisca... o non muoia, mi appartiene. — Dopo un'ultima scarica di frasi, d'occhiate, di gesti, la padrona di casa si ritirò finalmente. L' infermo, che in quel frattempo erasi assopito, tornò di nuovo a lamentarsi. Allora suor Istituta, guardato un oriolino la cui catena d'oro, larga e corta, serpeggiava su 'l cassettone, s'accostò alla lampada, preparò con la punta delle dita affusolate una presa d'antipirina dentro l'ostia nel cavo del cucchiaio, poi venne verso il capezzale, e passando il braccio sinistro sotto il primo cuscino del sofferente, sollevata che gli ebbe la testa senza scomporlo, gli fece trangugiare la medicina. L'ufficiale, aperte le palpebre, volse la pupilla vaga e dilatata su quella ignota figura di donna, così prona sopra di lui da sfiorargli quasi il viso col petto. Tutti e due si fissarono per un momento: lei vide ch'egli era giovane e bello: lui, forse, non capì nulla, e subito rinserrò gli occhi. Piano piano, suor Istituta aveva ritirato il braccio; acccomodò le coltri, le rincalzò ai lati; quindi parve dileguarsi tra l'ombre alte e nere che il lume proiettava dirimpetto. Cominciava la veglia. Seduta sur una poltroncina bassa, in disparte, d'onde alzavasi a quando a quando per apprestar qualche farmaco o dare un cucchiaio di brodo al paziente, quando ella tornava al suo posto, riprendeva il rosario, facendo scorrere senza rumore su la cima delle sue piccole dita, gli acini della corona di fruttiglia che le pendeva a fianco. Pregava per una pia abitudine, come chi ha sempre le stesse parole in bocca. Anche l'ordinanza, il cui profilo ampio e svelto si disegnava diritto poco discosto dal letticciuolo, se ne stava affatto immobile: tranne con la mano destra che agitava blandemente, in misura, una fogliona ovale di palmizio, a mo' di ventaglio, su 'l viso cocente del malato; e dalla finestra socchiusa s'udiva soltanto venire a tratti un lievissimo fruscío d'aria mossa o d'insetti tra le fronde inselvatichite del piccolo giardino; ma subito tornava a regnare più che mai grave il silenzio. — Il mare è d'argento! — balbettò l'infermo — Incantevole!... Un quarto simpatico. Letterina sua.... Manda.... odor di fiori — e gridò — Mi fa male.... male! Mi si spezza la testa.... Oh, felicità! Mia creatura! Amor mio! Qui, qui — e stendeva le braccia tremanti come a chiamar qualcuno su 'l suo petto. Suor Istituta rimase a mezzo d'un'avemaria, che quasi subito riprese a recitare. — Oh, guarda.... gli albatri.... su l'acqua.... Par che dormano.... E sospirò: — Dormire!... - quasi che l'idea del sonno gli apparisse come un bene supremo, forse l'unico rimedio per non più pensare, per non più patire. La suora seguitava a sgranar lento il rosario; Così per queste tre persone tanto diverse di paese, d'indole e di destino, riunite lì quasi al buio, nella medesima stanzuccia di dolore, passò molta parte della notte. il marinaro seguitava a sventolare: tutti e due dolcemente, tacitamente, errando chi sa dove col pensiero. Il malato a momenti s'assopiva, a momenti vaneggiava, ricordando con frasi incoerenti e tronche qualcuno de' paesi da lui visitati ne' lontani viaggi, e un suo amore, che, forse, più della febbre gli bruciava il cuore e le carni, fatto com'era di delicata tenerezza e di desiderii brutali: un vero amore da uomo di mare, dalla duplice natura piena di sogni fantastici propri del suo pellegrinaggio tra cielo e acqua, e di sensualità selvagge aguzzate dalle astinenze di bordo. A un tratto, l'infermo, allontanando con violenza le coltri di su 'l petto, prese a dire affannosamente: — Orribile!... orribile.... il riverbero su la sabbia!... Scotta gli occhi... il cervello, la gola! Ondeggia tutto.... Oh, un pozzo, Dio mio!... Una goccia sola... Brucio!.. L'acqua limpida... fresca... Oh, Dio!... La monaca introdusse fra le labbra aride del malato l'orlo d'un bicchiere colmo di limonata dove tintinnava un pezzetto di ghiaccio. Egli bevve avidamente, lungamente, tenendo fissa la pupilla sbarrata, piena di meraviglia, su la mano alabastrina e sottile che gli porgeva quel refrigerio; e quando ebbe finito di bere, alzò gli occhi su la donna. Di nuovo i loro sguardi s'incontrarono e rimasero immobili qualche momento. Albeggiava. Una luce d'un chiaro bigiognolo penetrava ormai nella camera, dove le ombre erano scomparse, e la lampada s'affievoliva, gettando a pena a canto a se un riflesso giallastro su le lame delle lance e delle zagaglie aggruppate nell'angolo. Suor Istituta appariva più bianca della sua cornetta; e nel volto emaciato spiccavan vie piu bruni i profondi cerchi delle occhiaie e la frangia delle lunghe ciglia color nocciòla. Un'ondata di sangue arrossò invece leggermente le guance color di cera del malato: il quale tornò anche questa volta a richiuder subito gli occhi, come sotto un'impressione di pena. Forse quella pietosa mano femminile gli aveva procurato un rapidissimo sogno: un sogno seguíto tosto da una disillusione. La febbre non cedeva: centigrado più, centigrado meno, era quasi sempre oltre i quaranta gradi, non ostante i rimedi del medico curante e d'altri dottori chiamati ogni giorno a consulto: così che le forze e la vitalità dell'infermo Contessa Lara. si consumavano, scemavano ogni ora, come divorate da un inesorabile fuoco interno. Durante lunghe prostrazioni, egli restava con mezzo aperte le palpebre violacee, dal cui spiraglio si vedeva l'occhio vitreo e torbo, con dischiuse le labbra gonfie e scure, dentro cui appariva tutta nera la sega dei denti: un sudor gommoso gli attaccava a ciocche compatte i capelli scomposti su la fronte e su le tempie; le braccia ingiallite ed inerti gli pendevan fuori del lenzuolo; e in quelle ore l'ordinanza, dopo averlo inutilmente chiamato pian piano, dopo avergli posata una sua mano callosa su 'l cuore, spinto da un subitaneo terrore, avvicinava la sua larga bocca fresca e rossa a quella povera bocca arsa di moribondo, per assicurarsi ch'ei respirava ancora... Con un muto segno di gioia, subito dopo, volgendosi verso la suora, accennava di sì; ed ella rispondeva a quel cenno con un pallido sorriso, come per dire: — Non morrà, non dubitare; lo salvo io.

Benchè il palazzo — uno dei soliti casamenti nuovi, senz'ombra di gusto architettonico — fosse molto grande e soleggiato, la portineria, situata su 'l cortile, era angusta e quasi buia: un'unica stanza, il cui uscio a vetri rimaneva sempre aperto, lasciando intravedere un tavolinuccio dov'era posata una macchinetta da cucire di quelle a mano, le meno costose, e accanto al tavolino una seggiola di paglia. In un angolo, dove neppur giungeva quel po' di luce incerta e quel tanto d'aria proveniente dalla porta, era un camino dalla cappa nera, di rado acceso, con in giro su la cornice qualche stoviglia sbocconcellata ma lustra per la nettezza. Dietro un paravento vecchio, ormai incolore, stava il letto matrimoniale a panchette, che aveva a capo un'immagine della Madonna Addolorata, raffigurata con sette spade confitte nel cuore. Ogni tanto, da qualche finestra del casamento, una femmina vociava forte: - Lucia! Lucia! — e appariva subito su l'uscio a vetri la portinaia, levando la testa a domandare che cosa volesse da lei chi l'aveva chiamata. Tutti gl'inquilini la comandavano volentieri, perch'era di buone maniere, amante della fatica e sollecita nello sbrigar le faccende; poi sapevano che aveva gran bisogno di buscarsi qualche soldo, bastandole a pena le quindici lire mensili che le passava il padrone dello stabile, a comprare il pane per sè e per i suoi bimbi, tutti e tre piccini come le dita. A rivestire quegli innocenti ci pensavano le famiglie del secondo e del terzo piano, che di creature proprie ne avevano una nidiata; e grembiuletti e scarpine non mancavan quasi mai ai bimbi di Lucia per andar puliti alle scuole comunali e crescere un po' meno rustici delle pecore. Il guaio più grosso della povera donna era stato, si capisce, la morte del marito, avvenuta l' anno prima. Tanto quanto, mentre viveva lui, la famigliuola tirava innanzi alla meglio, perchè di giorno il brav'uomo lavorava da facchino in una gran drogheria, i cui numerosi clienti all'ingrosso non lesinavan la mancia a chi portava loro il genere; e di sera ei s'industriava anche a sonar il clarino in un teatro di quart'ordine, dove gli spettacoli si succedevano senza interruzione. Ma fu, a punto, nell'uscire accaldato dal teatro, che una bella notte il poveraccio prese il malanno destinato a portarlo sotto terra. Gli venne la tosse, avvertimento a cui non diede retta: quella certa tosse secca, ostinata, la quale fa poco rumore, ma rintrona, a ogni colpo, nel petto, come una martellata sorda, sgretolante l'interno. La moglie aveva un bel dirgli: — Abbiti riguardo; pensa che hai tre creature. L'uomo scrollava la testa, muto, sentendo che quell'inutile consiglio era dato senza convinzione; e a punto perchè c' eran di mezzo tre creature, si strapazzava seguitando il doppio mestiere, con maggior cocciutaggine che forza fisica, la quale gli veniva meno ogni giorno, ogni ora. Ma giunse il momento in cui dovette rinunziare al teatro: non aveva più fiato per il clarino; il suo cuore, allora, ebbe uno schianto; e si può dire ch'ei si sentisse più afflitto, più finito di quando gli portarono i sacramenti. Perchè bisogna sapere, che la sera, nel togliersi il camiciotto di tela turchiniccia, per indossare un vestito di panno scuro, liso, è vero, al colletto e a' gomiti, a forza d'aver servito, ma ancora decente, e se non altro da galantuomo libero, diceva il facchino, a lui sembrava di doventare a dirittura un altro. A pena entrato nell'atmosfera tepida del teatro, nella luce viva delle lampade a gaz scintillanti in circolo come globi d'oro, dal suo modesto posto d'orchestra, prima di sedersi, egli volgeva intorno uno sguardo soddisfatto, a osservare i filari della platea, che si popolavano a mano a mano di visi aspettanti, tutti rivolti verso la parte dov'era lui, e i palchi che s'aprivano per lasciar apparire su 'l dinanzi tante figure sorridenti di donne da' cappellini guarniti di fiori e di penne, tutta gente Contessa Lara. 4 venuta lì per assistere a uno spettacolo dove egli avea parte; poi sfogliava, su 'l leggío che gli stava davanti, le pagine manoscritte della musica, in attesa che il maestro concertatore desse il segnale d'attaccare le prime battute, e provava qualche nota, qualche breve volata su 'l clarino, con una sensazione geniale d'intimo benessere. Non esistevan più lo zucchero e il caffè, nè le latte del petrolio, nè i pacchi delle stearine; in quelle ore egli era un artista. La prima sera che rimase a casa, in portineria, passeggiò su e giù, giù e su, un pezzo, dal paravento al camino, dal camino al paravento, seguendo di lontano, col pensiero, tutto quel che avveniva in quell'ora nel suo teatro. Il clarino che lo aveva sostituito era, secondo lui, un buono a nulla, senza sentimento, senza passione... Bella figura ci avrebbe fatta! Maledetta la tosse! E la tosse intanto lo straziava, inacerbita da un nodo alla gola, che il malato manco a sè stesso confessava ch'era di lacrime. Così il disgraziato disse addio all'arte; e trascinò per dell'altro tempo la fatica della drogheria. Ma le gambe gli tremavano sotto; ansimava a far le scale; soffriva dei dolori acuti alla spina dorsale, incurvata sotto gli involti che gli parevan di piombo; un sudor ghiaccio gl'inumidiva la fronte e la nuca, mentre su gli occhi della cornea ingiallita stendevasi un velo che lo faceva traballare. Già più d'una volta il principale glielo avea detto: — Non te lo aver a male, Peppe, ma tu hai bisogno di riguardi, e il servizio del mio negozio non fa piu per te. - Il facchino si levava il berretto e si grattava la testa, non osando rispondere, a fin di trattenere un colpo di tosse che avrebbe annientata ogni sua denegazione: e faceva uno sforzo supremo per sollevare, con simulata sveltezza, qualche sacco o qualche carratello da portar via. Una mattina che, non reggendosi in piedi, s'era buttato a sedere su la bilancia, sfinito, il principale, nel passargli accanto, si fermò a parlar con lui della sua salute. Si vedeva ch'era determinato di non più tenerlo. Quel tisico, oltre a non servirlo ora come prima, gli faceva pena e disgusto insieme; gli metteva il malumore a dosso con quella faccia pallida dal naso affilato, gli orecchi cerei, come allungati, e le occhiaie livide; con quell'avanzo di voce rauca e cavernosa, a scatti. — Mi rincresce, Peppe — disse il droghiere — ma così la non più durare. Più qua, col tempo, non dico di no, se tu starai meglio, ti potrò ripigliare; ma, ora com'ora, tu lo vedi da te, mio caro. O perchè non te ne stai un po' nella tua portineria, tranquillo, a riposarti vicino alla famiglia? Non ti mancheranno certo le cure... — Un sorriso d'indicibile tristezza del povero malato mozzò la frase su le labbra al principale. Il facchino fissava, con occhi spersi, quella figura volgare e bonaria traboccante di salute, piantata lì, con le mani poderose nelle tasche, dinanzi a lui, scheletro affannato; e una semplice domanda d'una logica crudele e stringente fu la risposta: — Bastano, sor Luigi, quindici franchi al mese per campare in cinque? — Chi sa quante mai volte quell'infelice, sicuro da un momento all'altro d'esser licenziato, aveva rivolta l'identica interrogazione a sè medesimo. Il principale si strinse nelle spalle, dondolandosi come uno cui non riesca di tirar fuori una ragione; poi cercò di far coraggio al suo uomo, premendogli assolutamente di levarselo di torno. — Intendo, intendo — riprese — c'è poco da star a tavola; ma con qualche mezzo servizio che faccia tua moglie nel casamento, con qualche commissione fuori che potrai far tu... E poi non ti metto mica in istrada, io, che diamine! T'aiuterò, non dubitare... L'essenziale è che tu non ti strapazzi più come ora. — Peppe capì che l'insistere era inutile. Anche lì era finito; pazienza. Ebbe la visione netta, inesorabile della morte che gli si avvicinava a passi lunghi, sempre più rapidi, e s'alzò di botto dalla bilancia, per seguire il principale, che gli doveva dare la mesata intera, e anche una piccola regalía, tanto per farlo andare a casa contento; questo voleva darsi a credere il droghiere, per isgombrar dalla propria coscienza qualche leggera nuvola di rimorso. Ma quando il facchino, con un foglio rosso da cento lire stretto nella mano madida e tremante, passò oltre la soglia del negozio, dopo essersi ancora voltato a salutare e a guardar tutti e tutto, impiegati, banco e merci accatastate, presago che quelle persone e quelle cose ei non le avrebbe rivedute più, il mercante tirò un fiato lungo, come chi si leva di dosso un gran peso. Peppe, strascicato che si fu in casa, alla moglie paurosamente meravigliata di vederlo tornare a quell'ora insolita, consegnò il biglietto da cento lire. - Che vuol dire? — chiese Lucia, che non capiva perchè tenesse in mano quella somma maggiore della consueta. Ma il sorriso, ch'ella aveva abbozzato, le sfiorì subito nell'udire il suo uomo sentenziar fioco, gravemente: - Son gli ultimi, sai! — Da quel momento, gli stenti della povera famigliuola di portineria, crebbero ogni giorno. Peppe passava ore e ore immobile e muto sur una seggiola, con le spalle avvolte in un vecchio scialle della moglie, col cappello calato su 'l viso esangue, con lo scaldino in mezzo alle gambe; teneva i gomiti puntellati alle ginocchia e i pugni serrati su gli occhi. Che cosa gli frullasse per il capo in quelle giornate eterne, nelle quali soltanto la tosse, a colpi più duri e sconquassanti, gli faceva compagnia, nessuno de' suoi pensava certo a domandarglielo. La Lucia, che non poteva ormai nè pure metter due punti a macchina, perchè quel rumore, come di telegrafo, urtava i nervi all'ammalato, stava fuori quasi tutta la giornata, o a sfaccendare presso gl'inquilini o a comprar loro della roba qua e là nelle botteghe vicine, o anche in cortile a lavar bucati. Non cantava più la Lucia, s'intende. Non si udiva altro che la tosse del tisico, il rumore I dell'acqua cadente rumorosamente dalla cannella aperta e l'urto de' panni fradici, sciacquati e battuti su la pietra del lavatoio; ma i tre bambini, ai quali la madre ordinava di star fuori della portineria per non dar noia al padre, susurravano, ridevano, si bisticciavano fra loro. Alla Marietta, che aveva sei anni, petulante e pronta a piagnucolare, come tutte le femmine, per un nonnulla, bastava che Checco, l'ultimo di que' bambini, il quale contava poco più di quattro anni, s'ostinasse a ottener da lei un sasso, una scatola da cerini vuota o qualcosa di simile, con cui ella faceva i balocchi, per cominciare litigi e querimonie, interrotte soltanto dall'autorità del fratello maggiore, Santino, che con la sua vocina d'angelo serio, faceva intender ragione a tutti e due, e spiegava loro come dovessero star zitti e cheti perchè il babbo stava male, e la mamma aveva da fare, e c'era bisogno di pace in casa: poi avrebbero mangiato tutti, più tardi, un po' più tardi. Fra l'altre disgrazie, Peppe era diventato d'una irascibilità singolare. Una scodella fuori di posto, un bambino che facesse una domanda inutile, come son soliti fare i piccini, la moglie che battesse un po' più forte i panni su 'l lavatoio, bastavano a mettergli un diavolo per capello; e con quel po' di fiato che gli restava ancora, vociava raucamente, strozzato, con gli occhi fuori del capo, maledicendo la vita e la famiglia, bestemmiando Dio e la Madonna, come un dannato. Un sospiro lungo, represso, usciva dal petto affaticato della Lucia, povero petto su 'l quale, non ostante i suoi robusti trentacinque anni, non c'era quasi più avanzo delle solide curve femminili d'un tempo; e la donna, pia, non per pratiche di chiesa — chè non aveva agio di consacrarvisi — ma per quel bisogno innato ne' deboli e negli afflitti, segnatamente fra le donne popolane dabbene, sollevava il pensiero a quell'Addolorata, la cui immagine stava presente nel suo tugurio, e la pregava in cuor suo di farle la grazia. Quale grazia? Nè anche lei avrebbe potuto precisarla. Che il marito, ridotto ormai in quello stato, potesse, per miracolo, guarirle da un giorno all'altro, non c'era da pensarci. Il povero Peppe era nè più nè meno d'una lucerna cui manchi l'olio. E pure, chi sa? Dio può tutto. Soltanto quando uno è proprio morto e seppellito, non c'è più rimedio. Badava, dunque, a chiedere la grazia, una grazia vaga e indefinita come le sue speranze di bene... E il marito la rimbrottava di continuo: la materassa non era stata abbastanza battuta; il brodo era troppo salato, scorticava la bocca; la lucerna non faceva più lume; non si respirava più in quella stanzaccia! La povera donna taceva, inghiottendo lacrime e rimproveri con uno sforzo fisico della gola, violento, penoso, come se trangugiasse una pallottola che la soffocasse; o rispondeva con mitezza, a mezza voce, non già per iscusarsi col malato, ma per dargli ragione, per dirgli che ci voleva pazienza, e altre buone parole consimili, considerando, nel suo strazio, che a lui la materassa pareva più dura di prima, perchè il corpo gli si era scarnito; ch' ei sentiva troppo sale nel brodo, perchè ormai il palato non gli diceva più il vero; e se gli mancava l'aria, voleva dir che i polmoni gli funzionavano male; e se il lume della lucerna non gli bastava più, gli era che i suoi poveri occhi si velavano per l'eternità... Dunque? Dunque l'Addolorata Santissima non gliela voleva fare la grazia! Non che non glie la volesse fare: troppo è misericordiosa la Vergine! Ma lei, si vede, non la meritava! E Lucia concludeva, con un altro sospirone, rassegnata, ma straziata, in fine di ogni soliloquio muto ed ingenuo: — Sia fatta la vostra volontà, Madonna Santa! Il peggio fu quando il tisico, giunto proprio agli estremi, si mise a letto per non più rialzarsi. Essendo insofferente d'ogni fastidio, i bimbi dovettero essere coricati, la notte, chi su la cassapanca, chi sur una sedia, pure di non farli stare vicini a lui. — Lèvameli di lì — diceva egli alla moglie — tanto, devo avvezzarmi a non li veder più! Quanto a denari, il foglio delle cento lire era finito da un pezzo. Allora la Lucia, facendo, come si suol dire, un passo avanti e due a dietro, fu costretta a ricorrere parecchie volte al droghiere, per ottenerne qualche sussidio che le permettesse di spedir le poche ricette rilasciatele dal medico condotto. Ella trovava, per solito, l'antico principale di suo marito insediato dietro il casotto a cristalli spuliti dove teneva la cassa. Il grosso industriale, intento com'era ad allinear cifre sotto cifre, ne' registri che gli stavano aperti dinanzi, poco poteva badarle. Due o tre domande indifferenti su lo stato del facchino morente, a monosillabi più che altro, a grugniti, i quali avrebbero dovuto significare il rincrescimento del padrone, che riconosceva d'aver perduto un subalterno galantuomo: nulla più. Queste erano state, con qualche lira, le manifestazioni di simpatia e di compatimento ottenute dalla sventurata in quelle sue visite; poi dei segni di noia, dei gesti bruschi, quasi nessuna parola, e de' soldi di rame: un'elemosina; tanto che l'ultima volta, dopo aver aspettato un pezzo di parlare al principale, che il ministro del negozio, i commessi e i facchini, con tono fra sguaiato e sprezzante, le dicevano fosse sempre occupato, quando ella vide il sor Luigi passarle innanzi figurando di nè pur guardarla, la poveretta corse via a scoppiare in singhiozzi su la strada; si mise a camminare rasente i muri per non cadere e si coprì il viso con la pezzuola colorata, già fradicia di lacrime ghiacce. In questo tempo Peppe si voltava e rivoltava tra i ruvidi lenzuoli, smaniando. Ogni momento batteva un cucchiaino contro un bicchiere, per chiamar Santino, che si gingillava davanti all'uscio, non andando più a scuola, a fine di assistere il padre quando la mamma era assente. — Che vuoi, babbo? — chiedeva il bimbo accorrendo. Più col girare degli occhi spauriti che con la voce quasi spenta, l'etico domandava ora una cosa, ora un'altra: un cucchiaio di calmante, un sorso di brodo o di limonata, o che gli venissero tirate su le coperte verso la rimboccatura, o messi degli altri stracci su' piedi. E Santino, con buon garbo, giudiziosamente come uno grande, rendeva al povero padre suo que' piccoli, continui servigi, compensati, per la maggior parte, con un brontolío sordo, catarroso, iroso. Una volta accadde una scena inaspettata. L'infermo aveva, secondo il consueto, chiamato il fanciullo presso di sè: - Dammi... Dammi... — E accennava vagamente qualcosa, sollevando a pena una mano. Santino gli porse il bicchiere; il padre voltò il viso dalla parte opposta, dispettosamente. - No.. no.... dammi.... — ripeteva inquietandosi. Santino corse al camino, a prendervi la tazza del brodo, che stava lì in caldo. Chi sa, forse il babbo si sentiva bisogno di sostenersi un po' lo stomaco. Ma quando ei gli portò al letto la chicchera, il malato ebbe uno scoppio di collera, che si tradusse in una specie di rantoloso ruggito, e diede, più forte che potè, un pugno su le coltri. Il ragazzetto guardavasi qua e là da torno incerto, spaventato; non capiva che cosa si volesse da lui. Finalmente il tisico raccolse un po' di fiato e urlò selvaggiamente: — Il clarino!... — guardando fisso la parete dov'era appeso, ben ravvolto nel suo morbido astuccio di panno verde, l'antico strumento. Il figliuolo s'arrampicò sopra una seggiola, e dopo non pochi sforzi, afferrato il clarino, lo portò all'infermo. Questi lo prese fra le mani scarne che gli Contessa Lara. 5 tremavano per la debolezza e per la commozione, lo contemplò un pezzo, rifacendo in cuor suo tutta la storia del suo umile ideale; con grande fatica, piano piano, lo sollevò e, appressandoselo alle labbra, parve tentare di svegliarne qualche flebile nota... Ma la lena gli mancava; lo strumento rimase muto; e l'artista moribondo, raccolta quanta energia gli restava, con uno sforzo supremo diede una spinta al clarino: e mentre quello ruzzolava giù dal letto, fracassandosi in terra, egli nascose il viso spettrale nel cuscino e pianse, l'ultima volta. La sera gli somministrarono l'estrema unzione; e verso l'alba spirò, senza aver pronunciato altre parole. Dopo che Peppe fu andato a riposar sotto terra, nel campo comune, la sua famigliuola ebbe come un inconscio sollievo. Il padrone dello stabile aveva fatto ripulire la portineria, e dare a dirittura tre mani di bianco alla cappa del camino, che non voleva venir netta nè pure quando l'ebbero scrostata: di modo che la stanzetta pareva anche più ariosa e più chiara. La materassa del letto era stata ribattuta; rifoderato il coltrone, ch'era tutto macchiato di unto e di medicinali; e la Lucia aveva ripreso a cucir di bianco. Al mattino, quando ella avea rassettata la sua casetta e fatto anche qualche servizio nel casamento, si sedeva al tavolino, e il tic-tac fitto fitto della macchina risonava per ore, senza interruzione. Alle tre tornavano i bambini dalla scuola; e nel cortile principiava il baccano: massime quando scendevan pure i ragazzi del secondo e del terzo piano, che a tempo del malato avevano avuto la proibizione di metterci piede. Due o tre di loro facevano da cavalli, con una fune passata alla vita; mentre un altro, tenendo nella mano sinistra l'estremità della corda stessa e nella destra una canna a cui era annodato un nastro simulante la frusta, guidava; e lì, trottate, scalmanate a più non posso, fra grida e incitamenti del cocchiere e urlacci de' cavalli scappanti. In tanto un gruppo di maschietti più piccoli giocava a palla, con la smania di raggiungere i vetri del primo piano: per quel desiderio innato nei fanciulli d'esser nocivi a qualcuno, di distruggere qualcosa. In un angolo, quattro o cinque femminucce giravano in torno, tenendosi per mano, e cantando certi ritornelli puerili dalle rime senza significato, che quasi tutti noi ricordiamo con maggior compiacimento via via che gli anni trascorrono. Ci voleva, dopo, del buono e del bello a far rincasare tutti que' diavoletti scatenati; e molte volte non bastavano i berci e le minacce delle serve e delle mamme. L'Adele poi, quella servona tarchiata e bruna dei Lantoni, nativa del circondario di Firenze; la quale (lo diceva anche la sua signora) aveva d'oro il cuore e di bronzo la voce, ci metteva poco a strillar più forte di tutte: - Vienite o non vienite su, figli di cani? — Di dentro casa, i padroni ridevano, senza aversi a male del curioso appellativo che l'ottima ragazza affibbiava a tutti indistintamente. Santino, se bene vispo anche lui a suo tempo, era l'unico che, fra quel branco di ragazzi, non avesse bisogno di sgridate per istar cheto e fare quel tanto di lezioncine richieste dalla scuola. Appoggiato alla tavola dove sua madre cuciva a macchina, egli, con davanti il quaderno a righe azzurrognole, faceva da bravo il suo còmpito, ripetendo sottovoce, prima di vergarle, le cifre delle facili moltiplicazioni e sottrazioni, o la sentenza da copiarsi con la più accurata calligrafia. Sembrava che in quei momenti il fanciullo non udisse lo schiamazzo de' compagni in torno a lui; e quando quella pettegola della Marietta entrava come un fulmine in portineria a cercarvi qualcosa, o pure Checco, andato a gambe all'aria a un urto de' più grandicelli, ricorreva alla mamma con le lagrime che gli lavavano il viso, Santino alzava appena il capo di su lo scritto. — Ha troppo giudizio per la sua età: ho paura che non mi campi! - soleva dir la Lucia se parlava della saviezza del suo bimbo maggiore, seguendo quella curiosa credenza popolare, la quale tenderebbe a persuaderci, che le creature buone e intelligenti non sono destinate al nostro mondo tristo. Oltre a essere ubbidiente, Santino era anche di una certa utilità a sua madre. Parecchie spesucce correva già a farle lui; e bisognava vedere come gli tornavano sempre i conti. Poi sapeva spazzar bene la stanza, cansando pianino il paravento; sapeva accendere il fuoco e mettere a scaldar l'acqua in pentola. Ma quel che più consolava la vedova, quel che faceva, quasi direi, che senza saperlo ella nutrisse un'intima predilezione per il suo figliuolo maggiore, era la tenerezza di lui per lei: una tenerezza dimostrata dal fanciullo più che altro ne' momenti in cui restavano soli, loro due. Quante sere, quando la Marietta e Checco erano profondamente addormentati, una da capo e l'altro da piedi del letto, e nella camera s'udiva soltanto il loro respiro regolare, soffio ritmico e leggero, Santino metteva le braccia al collo della madre, le appoggiava la testolina su la spalla, e zitto, senza darle baci, stava in quella posizione un pezzo. Lucia gli passava lentamente le dita fra i ricci castagni, gli faceva, con un sorriso beato, il solletico su 'l labbruccio inferiore, poi chiedeva sottovoce: — Le vorrai sempre bene a mamma, così?... — Il bimbo non fiatava: una piccola capata in su, verso il viso materno era la tacita risposta. A volte si mettevano a ricordare insieme il povero babbo morto, tanto affezionato, tanto faticatore, mentr'era sano; e Santino, serio, prometteva a sua madre di lavorare anche più del babbo, quando sarebbe stato grande; voleva scegliere un mestiere che gli facesse portare a casa tanti soldi, tanti da comprar sempre il pane, il carbone, l'olio... Dopo ciò, madre e figlio andavano anch'essi a letto: lei dalla parte della Marietta, lui da quella del fratellino, quieti. Un giorno il bimbo tornò a casa sbiancato; intanto che faceva il còmpito, s'interruppe più d'una volta per chinare il capo su la carta, e quando sua madre gli scodellò la minestra di fagioli, non potè inghiottirne che due cucchiaiate, a forza. - Che hai? Che ti senti? — chiese Lucia. - Nulla, non ho fame. — Così dicendo il bimbo s'appoggiava su la spalliera della seggiola e mentre gli altri mangiavano, serrò gli occhi come per dormire. - Va' su' l letto, va'! — gli fece la madre. Ma Santino non mostrò d'udire, e muto, svogliato, stette lì, fin che la famiglia non ebbe terminato il povero pasto. La Marietta e Checco, allora, corsero in cortile a ruzzare, e il fratello maggiore andò a sedersi su le ginocchia della mamma. - Tu ti senti male, bambino! — esclamò la vedova, agitata. - Mi duole il capo — rispose lui, strascicando le parole, come se gli costasse fatica di pronunciarle; e conchiuse: - Mamma, voglio andare a letto. — Quando si fu tutto raggomitolato sotto le coperte, chiese che gli si mettesse a dosso dell'altra roba: lo scialle vecchio della madre — che dopo la morte di Peppe ella aveva lavato nel ranno e tenuto alla guazza notturna — i panni che portava giornalmente, e perfino il tappeto che stava su la tavola da lavoro. Batteva i denti come uno nudo di gennaio, e tremava a vetta. Poi, di lì a un'ora, cominciò a buttar via ogni cosa; sbuffava, ansimava: un febbrone asciutto e smanioso lo bruciava. — Madonna benedetta! eccoci daccapo! — sospirò la povera madre, alzando gli occhi e chiamando in soccorso il Cielo nella sua nuova disgrazia. Quella notte, Lucia non si coricò. Il bambino era rimasto lì immobile, come un masso, senza lamentarsi. Spesso però, chiedeva dell'acqua e, con le pupille chiuse, s'attaccava al bicchiere, avidamente. La madre, a ogni istante, gli posava la palma della mano su la fronte, tirandogli su i ricci, che dovevan dargli troppo caldo; poi stendeva il braccio sotto le coltri e gli tastava il ventre e i piedi: scottavano... — Madonna! Madonna cara, che nottata! - badava a ripetere la vedova. l giorno dipoi, quando fu chiamata da una finestra o dall'altra del cortile, salì ad avvertire che non poteva muoversi dal capezzale del figliuolo, colpito da un malaccio improvviso, violento; e piangeva a cald'occhi, pronta, magari, a sorridere fra le lacrime, se qualcuno, per farle coraggio, le dava di paurosa, perchè s' avviliva così subito per una febbre di crescenza; i ragazzi, si sa, ci vanno soggetti. - Che vuole? - diceva la poveretta, scusandosi - lo so da me; ma bisogna considerare che io a' figliuoli darei l'anima; Santino poi, da che è morto suo padre, è stato tutta la mia consolazione... - e si rasciugava gli occhi, singhiozzando convulsamente. — Se vo' fate a cotesto mo', ve lo dico io, vo' campate poco o vo' morite presto — sentenziava con uno scoppio di voce l'Adele, scrollando il capo; e seguitava, sempre brusca, ma in fondo piena di bontà: — Cose che passano. Domani 'un sarà artro, ve lo dico io, vedrete! — Ma la febbre del ragazzo, anzichè cessargli, come si voleva fare sperare alla Lucia, aumentò ancora. Il poverino era giunto a non pronunziar più parola; inconscio, mandava dei lievi gemiti inarticolati, quando la madre, per levarlo dal sudore che gl'inzuppava la camicia e i lenzuoli, lo sollevava a pena a pena, con ogni precauzione, passandogli sotto il corpo qualche telo asciutto; e non c'era stato verso di fargli inghiottire nè anche una goccia dell'olio di ricino, che la signora Lantoni gli aveva mandato, perfin preparato con lo sciroppo di menta, perchè, secondo lei, l'olio di ricino è il rimedio che guarisce tutti i mali dei bimbi. Quanto alla Lucia, ella non sapeva più che si fare. Ora girava per la stanza, toccando senza ragione un oggetto o un altro, come inebetita; ora sedeva al tavolino, dove la sua macchina da cucire posava silenziosa, e incrociatevi sopra le braccia, si nascondeva il viso: quasi che, non vedendo più nulla, avesse potuto anche non più pensare. — Per quanto vo' vi stilliate i 'ccervello, e' vi ci vor pazienza — le tornava a dir l'Adele cercando di persuaderla. — Cor i' ddestino glien' è un cattio combattere! — E anche le altre donne del vicinato badavano a ripeterglielo: ci voleva pazienza, non c'era che fare. Pazienza! Bastasse almeno, Signore, la pazienza! Chi n'aveva avuta quanto lei da un pezzo in qua, messa in croce dalle disgrazie più tremende? Se le fosse mancato anche l'ultimo boccon di pane, non le sarebbe importato: si va a parar mano per la strada; ma lottare un'altra volta con la morte, no, no, no, Madonna santa, non poteva più! E si torceva le mani; se le passava su la fronte per cacciarne il pensiero tormentoso, insistente, che la perseguitava come una fissazione; poi scoppiava in pianti dirotti, spasmodici, che, dicevan le vicine, le facevano bene; ma che invece la sconquassavano tutta. Il terzo giorno, il medico condotto, ch'era stato chiamato con premura dall'Adele, dopo aver lungamente osservato con un cerino acceso l'epidermide del fanciullo, lo dichiarò attaccato dal vaiuolo, e consigliò di trasportarlo, senza perder tempo allo spedale di San Francesco de' Poverelli: lo spedale de' vaiolosi. — Mai, mai, allo spedale! - dichiarò Lucia, co' denti stretti; e riprese subito: — Si figuri! non ho voluto che ci andasse suo padre, morto consunto, lei lo sa, dottore; si figuri, dico, se ci porto il ragazzo! Dovessi vendermi le panchette del letto, dovessi far... che ho da dire? Santino non lo levo di casa. — II medico, con gli occhi bassi, dondolò un po' la persona elegante dinanzi a quella disperata; poi rispose in tono cortese: — Fate come vi pare; per me, però, avete torto: specialmente trattandosi d'una malattia contagiosa. — In tanto, promise di tornare il domani, al più presto possibile. Ma su la sua esattezza non c'era da far troppo conto. Era un giovanotto laureato da poco, e più invaghito delle sue fortunate avventure nel mondo della galanteria, che della sua professione, piena di sacrifici d'ogni genere. Codesta professione egli l'aveva scelta senza entusiasmo e senza ragione di preferenza, come ne avrebbe abbracciata qualunque altra, soltanto per non darla vinta al proprio padre, un rigido colonnello de' granatieri, il quale avrebbe voluto a ogni costo veder il figliuolo consacrarsi alla carriera militare; unica, gridava il vecchio caparbio, fatta per l'uomo che si sente uomo. E il dottorino, non tanto nauseato da quel contatto obbligatorio con ogni sorta di male, quanto seccato dal far visite giù in pianterreni bui come sotterranei o su in vetta a squallide soffitte riarse dal sole, anzi che trattenersi in salotti fioriti, pieni di signore ridenti, evitava quanto più poteva il suo malinconico dovere. Ciò non ostante, nella condotta affidata a lui, pochi ammalati se ne lagnavano. Era buono con tutti; educato a segno di levarsi il cappello su la soglia di qualunque tugurio, e dimostrava una certa simpatia per i ragazzi e per i vecchi. Un giorno, si raccontava, prima d'avvicinarsi al letto d'una moribonda, aveva gettato fuor dell' uscio la gardenia che portava all'occhiello: a' suoi occhi i clienti non potevano esiger di più da lui. Lucia passò la notte più angosciata che mai; le pareva d'aver conficcate nel cuore le sette spade della Madonna che stava a capo al suo letto. Cominciata a pena un'avemaria, la lasciava a mezzo, per tornar a piegare il viso su 'l suo bambino e sentirne l'alito cocente, o per mettergli fra l'aride labbra un pezzettino di ghiaccio; quindi ripigliava l'avemaria; ma un lamento del malato la faceva di nuovo correre a lui, pur troppo, a non far nulla per sollevarlo; e l'avemaria, sempre ricominciata, non aveva mai fine. Così i minuti passavano lunghi come ore, e le ore come giornate; tanto che a' rintocchi Contessa Lara. 6 dell'orologio di Santa Caterina, che sonava i quarti, ella quasi non voleva credere. Madonna cara! com'era possibile che in tutto quel tempo, in quel tempo eterno, non fosse passato che un quarto d'ora? Quando vide il primo biancheggiar dell'alba, le parve di riaversi, come se anche nell'intimo suo si diradassero un po' le tenebre. Dopo le otto, principiò ad affacciarsi qualcuno a chieder notizie di Santino. Le notizie erano le solite: un febbrone da cavalli, e tutto il corpo punteggiato di pustole rosse. — L' è una zizzola! — masticava l'Adele, scrollando il capo, impensierita su 'l serio. Tornò verso sera il medico, e s'accigliò nel vedere il malatino. La madre lo guardava fisso, spiando su 'l viso di lui che cosa ella dovesse sperare o temere; ma l'altro rimase alquanto muto; fece poi tre o quattro domande laconiche, necessarie, e volle carta e calamaio per iscrivere una ricetta. Scritta che l'ebbe, si voltò alla donna: — Mi rincresce d'avvertirvi — diss'egli — che per comprare questa roba vi ci abbisogneranno quasi tre lire; oltre di ciò per tenere il bambino coperto di ghiaccio da capo a' piedi, affinchè l'eruzione sfoghi ben tutta, quando anche avrete comprato la borsa di gomma elastica, che ci vuole, non vi basteranno sette o otto lire al giorno. Rifletteteci, mia cara. Qui, il malato, per quanti sacrifici facciate, mancherà, per forza, di molte cose; mentre all'ospedale, dov'hanno tutto il necessario, lo curerebbero ammodo. Io, per conto mio, col daffare che ho, non posso venir che una sola volta al giorno, se pure... All'ospedale, in vece, si fanno due visite quotidiane, e magari più, se c'è il bisogno; poi ci sono gl'infermieri, che han pratica delle malattie quasi quanto noi dottori. Rifletteteci, mia cara. — Lucia, gli occhi sbarrati nel vuoto, accennava lentamente di no, di no, col capo; poi rispose con un fil di voce: - Si vedrà — e accompagnò, fino in mezzo al cortile, il dottore che usciva. Subito dopo chiamò forte: - Adele ! Adele! — Aveva in testa un progetto. Dal giorno che l'antico padrone di suo marito, fingendo di non ravvisarla, le aveva mostrato chiaramente di non gradirla intorno a sè, Lucia non gli s'era più rivolta. Meglio patir la fame, pensava, che andare a umiliarsi a certa gente; e giurava che sarebbe morta anzi che rimetter piede nella drogheria. Codesto giuramento, ella lo aveva mantenuto per tutto quel tempo che ancora visse Peppe, e anche dopo, da ch'era vedova. Si era rifinito tutto, è vero; di biancheria le restavano appena due paia di lenzuoli per cambiare il letto: un paio a dosso, uno al fosso, come si suol dire; l'anello matrimoniale impegnato ad un montino, Dio sa dov'era ito; ma almeno non aveva fatto delle faccette con nessuno. Quando, però, udì il dottore parlar di tutte quelle lire che ci volevano ogni giorno per i medicamenti di Santino, il pensiero le ricorse tosto al sor Luigi. Chi avrebbe potuto soccorrerla in quei frangenti? Gl'inquilini facevano troppo a mandarle mattina e sera del brodo, carichi di figliuoli e non ricchi, com'erano. E rifletteva, per iscusar con sè medesima l'idea di tornare sopra l'antico proposito: — Quella volta, si sa, la colpa è stata di tutti e due; lui avrà avuto i nervi, e io me la presi troppo calda. Da chi è da più di noi bisogna patirne. Del resto, prima qualcosuccia me l'ha data; non posso dirne male... E ora gli è certo che m'aiuterà; bisognerebbe avere un cuor di macigno per abbandonare una creaturina malata come questa... — Pensava anche che, alla peggio, avrebbe proposto al sor Luigi di farle un prestito, un semplice prestito di cui lo avrebbe rimborsato un poco per volta: così, lui, del suo, non ci rimetteva niente, e tutti eran contenti. Su lo spedale la madre non fermava affatto il pensiero; le sarebbe parso un cattivo augurio. - Adele! — chiamò ancora più forte. — Uh! Che c'egli? — gridò la serva, accorrendo alla finestra. - Nulla, nulla. Mi fate il piacere di starmi un momento dal bambino? Vado e torno. - Accidèmpoli! Vo' m'avete messa in corpo una paura birbona! Tremo tutta! — fece l'Adele, che aveva temuto qualcosa di peggio. E scese. Allora Lucia, buttandosi a dosso lo scialle nero, prese la strada quasi di corsa, senza nè anche veder la gente alla quale passava in mezzo. Quando fu a pochi passi dalla drogheria, le entrò la tremarella nelle gambe. Era più d' un anno, ormai, ch'ella evitava anche di traversar quella via: e la grande insegna color di rame, a lettere cubitali gialle su l'alto della vetrina, e le lunghe targhe ai due lati con la specifica dei generi allineata, quell'insieme di cose materiali non cambiato, mentre per lei e per i suoi era mutato tutto, parve mozzarle un istante il respiro. Ma Santino aspettava: ella si face coraggio: entrò. Il principale scriveva al suo solito posto. Al veder Lucia fermarsi, ritta, dinanzi al suo casotto, alzò il capo e la guardò; poi chiese: — Che cosa volete da me? — Ella cominciò timidamente: - Non sono più venuta, sor Luigi, se lo ricorda? per non incomodarla... Peppe mi morì... già lo saprà... e oggi ho il bimbo maggiore, Santino, col vaiolo. Sta male... creda, male!...- - Mi dispiace — brontolò il droghiere, rimettendosi a vergar numeri. - Scusi; se la disturbo, ma il dottore mi ha detto... che per le medicine e il ghiaccio... ci vorranno... anzi non basteranno... sette o otto lire... al giorno. — L'uomo parve ancora più attento a' suoi registri; Lucia riprese: - Allora sono scappata da lei a pregarla per amor di Dio... — - A pregarmi di che? — domandò con freddezza il grosso negoziante, come se non gli passasse per la mente ch'ella fosse lì aspettando un soccorso, una carità, da lui. - Di darmi qualcosa per... — Il droghiere posò la penna, e fissò in viso la vedova. - Ma voi — disse — credete, me ne avvedo da un pezzo, che il denaro io lo zappi. Venite sempre con queste storie di disgrazie, di malattie, di morti, che so io, come s'io fossi il Padre Eterno...- - Nossignore.... mi perdoni... creda.... ho creduto... — Lucia si sentiva smarrire il cervello. Ma dunque, se quell'uomo non l'aiutava?... In quel punto le si ripresentò alla mente l'idea del prestito, ch'ella afferrò come una tavola di salvezza. - Non intendo già — disse — che lei si sacrifichi, sor Luigi, glie l'assicuro... Ma se mi facesse la carità di prestarmi qualcosa... glie la renderei...- - Già, a porta Inferi! — interruppe, incredulo e brusco, costui. - Non tutt'insieme... non lo prometto, perchè so di non poter mantenere... ma quanto prima... - - Non presto nulla — dichiarò uomo; e, dopo un istante, poi che Lucia s'era coperto il viso col fazzoletto, per nasconder le lacrime e la vergogna, soggiunse: - Eccovi due lire. Questo è quanto vi posso dare; ma ricordatevi di non venir più da me, perchè non intendo mantenere le famiglie degli altri. Ho le mie faccende, io, e a quelle devo pensare. — Così dicendo, fece con la destra un gesto risoluto di congedo; e tornò a piegar la fronte rannuvolata su' suoi libri. La vedova lo guardava trasognata: un torpore del sangue, come un formicolío, le invase il corpo; pure volle tentare uno sforzo terribile, ultimo, e pronunziò: - Ma si tratta di vita o di morte, sa! Ah, glie lo giuro, glie lo giuro proprio che se non fosse stato per questo, non sarei venuta più, no, no, non sarei venuta più!.. - - Basta, ho altro da fare! — vociò il principale, stizzito da quella noiosa insistenza; e soggiunse, come parlando tra sè: — Maledetto il buon cuore! Se a questa gentaglia si fa tanto di dare un dito, vi piglia il braccio, vi piglia! — Lucia uscì. Come le gambe la ressero, camminò fino a casa, e si buttò su la sedia accosto al capezzale del figliuolo, più bianca di un panno lavato, senza dir parola. - Icchè v'avete fatto? — cominciò l'Adele piantandosele davanti con le mani sui fianchi. — E' v'hanno dato poche consolazioni addò vo' siete stata, eh? — Lucia crollò la testa bassa. - Tirate via — rispose filosoficamente la serva — tanto, la morte la ci ha a trovar vivi! — Ma la vedova aveva un'espressione così angosciata e stralunata, che alla buona fiorentina venne meno il coraggio di farle altre chiacchiere, fossero pure a fin di bene e per distrarla. L'aiutò, invece, a ripulire qualcosa — dove c'è un malato, c'è sempre da fare — quindi salì dai propri padroni, e ridiscese quasi subito, seria, composta. Non pareva più lei, tanto la gravità della situazione le pesava su 'l cuore. Più presto di quel che credevano si fece rivedere il giovane medico condotto. - Brutto segno! — pensò l'Adele. Allora Lucia con una voce che non aveva più suono umano, ma risoluta, disse: - Signor dottore, prima di notte porto il bambino all'ospedale. - - Brava, brava, mia cara; fate un'ottima cosa — rispose quello — Vedrete, vedrete. — E visitato l'infermo, che presentava dei sintomi ancora più minacciosi, scrisse la domanda d'ammissione a San Francesco de' Poverelli. - Debbo avvisarvi — fece egli alla donna la quale seguiva, cadaverica, il rapido moto della sua penna — debbo avvisarvi che il regolamento proibisce ai parenti di visitare i malati. Gli è per evitare i contatti con gli esterni, capite, che potrebbero propagare il vaiolo. Una volta entrati lì, si rivedono soltanto guariti, o... - - Nè meno io che sono sua madre, posso andare a trovarlo?... - - Nessuno: è la regola. — Ella piegò più giù la testa su 'l petto, ammutolita, vinta. Più tardi, raccolta ch'ebbe la sua creatura entro il lenzuolo e le coperte, fra le quali giaceva, Lucia sollevò di peso quel corpicino quasi inerte, e se lo portò in braccio nella carrozzella che l'Adele era corsa a prendere. Giunta alla porta dello spedale, mise in mano al vetturino le due lire ricevute dal droghiere. Al portinaio del triste luogo, un pancione in livrea, dal naso violaceo, ella domandò, tenendo sempre Santino in collo: - C'è quello che comanda? - - Il direttore? — rispose l'interpellato con tono di superiorità — Il direttore adesso non si può vedere. — - Ma ho qui la domanda... Il bambino mi sta male... - - Si chiama il medico di guardia, in questo caso. - - Chiamate chi volete, ma chiamatelo presto — supplicò la donna. — Io non mi reggo più. — Il pancione in livrea le indicò una panca di legno, dicendo con lo stesso tono di voce: - Sedete lì. — Lucia sedette. Il fanciullo, che pareva un fagotto di panni, restava immobile, pesante, tutto abbandonato. Ella non osava tirargli su neanche un lembo dello scialle per vederlo in faccia, temendo di fargli pigliar fresco; e ogni momento avvicinava la bocca verso il capo di lui, e susurrava: - Santino! Cuore di mamma! — Ma la creatura non le rispondeva. Scese, dopo un po' di tempo il medico di guardia, e constatato lo stato del vaioloso, ordinò che lo si mettesse per quella notte nella stanza d' osservazione. Mentre il bimbo stava per essere trasportato via da un infermiere, sua madre gli scoccò due, tre, dieci baci su 'l viso rosso, tumefatto, su gli occhi chiusi, vischiosi. - Madonna santa, beneditelo! — pregò, tendendo in alto le braccia, mezzo strozzata dalla violenza dell'emozione; poi raccomandò all'infermiere, che già saliva la scala: - Abbiate compassione! Guardatemelo voi, per l'anima dei vostri morti! — e fuggì barcollando, senza voltarsi. Lo spedale di San Francesco de' Poverelli sorgeva in un punto lontanissimo da quel palazzo de' quartieri nuovi, dove Lucia era portinaia. Ci volevan tre buoni quarti d'ora per farsi trascinare fin là in carrozza, e poco men che due ore per andarci a piedi, anche camminando di buon passo. Ora, il maggior dolore che lacerava il cuore di Lucia, da che non aveva più davanti a sè lo spettacolo del suo fanciullo in lotta con la morte, era di non potersi recar tutti i giorni, a tutte l'ore, là dove egli stava rinserrato fra gente estranea, alla quale il poverino doveva pur essere indifferente come chi sa quante altre creature che soffrivano al par di lui, intorno a lui. — Come starà, in questo momento, Santino mio? — era la domanda unica, insistente, fissa simile a un chiodo piantatosegli nel cervello, che la madre si rivolgeva, certe volte persino a voce alta, mentre, pallida come un cadavere, con un tremor nello stomaco, invecchiata, consumata, tornava a lavorar come prima per gl'inquilini del casamento, correva a comprar loro della roba, faceva de' bucati, in fine disbrigava tutte le solite faccende, tranne quella di cucire a macchina, che avrebbe tenuta ferma, mettendole nei nervi un convulso insoffribile. E, con la visione netta delle corsie dai muri bianchi d'intonaco, lungo i quali si schieran le file dei letti uniformi: le corsie di quello spedale ch'ella non avea mai veduto, la desolata si figurava tutti i pensieri che dovevano Contessa Lara. 7 affollarsi nel cervellino febbrile del suo bimbo, quando, se schiudeva gli occhi, non trovava più lei al capezzale. — Chi sa se gli fanno male, quando gli mutan la camicia! Chi sa se badano che il lenzuolo non gli s'aggrinzi sotto ! Ci vuol così poco a impiagarsi ! Brodo, ghiaccio, ne avrà quanto n' ha di bisogno ? Oh, Dio! oh, Dio mio ! — Ma l' idea più orrenda di tutte, una vera follìa che s' impossessava di lei a poco a poco a crisi acute, era quella che al fanciullo non si desse abbastanza spesso da bere. E le sembrava vederlo smaniare in quel letto non suo, senza potersi esprimere, stordito dall' intensità della febbre, e allungare il labbruccio inferiore nel desiderio d'un sorso fresco; ella sentiva come scottar su la propria bocca quel labbruccio arido, enfiato ; un suono indefinito le portava un lamento ch' ella avea sempre nell' orecchio... — Soffre la sete quella creatural — E Lucia allora, presa da una disperazione tanto crudele quanto impotente, si morsicchiava le mani, si stringeva la testa, torcendosi, come si torcono i tronchi delle serpi mutilate. Quanto più spesso le riusciva di scappare, si recava all'ospedale: due e anche tre volte alla settimana; ma quel giorno poteva contar di perdere quattro o cinque ore di lavoro: di più, la portineria restava abbandonata. Veniva il portalettere, veniva gente a chieder di questo o di quell'altro inquilino, e non c'era alcuno per rispondere. Lei si figurava il brontolío dei casigliani, il malumore del padrone, se fosse giunto a saper la faccenda, e correva verso San Francesco de' Poverelli, correva col viso in fiamma, con le gambe che tanto più le pesavano, come fatte di piombo, quanto più le premeva di far presto. E quando, trafelata, trovavasi finalmente allo spedale, davanti al pancione in livrea, che, non avendo nulla da fare, non aveva premura nè per sè, nè per gli altri, ella si struggeva lì una mezz'ora, avvolgendosi e svolgendosi macchinalmente una punta del fazzoletto intorno a due o tre dita della mano. Il tempo non le passava mai; scendevano e salivano inservienti, medici, impiegati, su e giù per l'ampia scala che mena alle corsíe; la donna sospirava, si raccomandava a Gesù, alla Vergine, a tutti i santi e martini benedetti... Stava su' carboni ardenti... Finalmente, qualcuno le si avvicinava a farle l'elemosina delle desiderate notizie; ed ella riprendeva la sua corsa verso casa, con le gambe che pareva non si volessero staccare dal suolo, col capo che le andava per aria, ma più serena d' animo, un po' rassicurata. Di fatti, le notizie di Santino eran sempre migliori. Una volta, dissero a sua madre che il medico lo aveva messo a un quarto di vitto, poi a metà. Un'altra volta seppe che gli era stato permesso d'alzarsi, e allora ebbe due terzi di vitto, non ostante che, a dar retta a lui, avrebbe mangiato anche il desinare del personale di servizio; tanto era l'appetito che gli tornava con le forze. Lucia sorrideva, con gli occhi inondati di lagrime, a sentir tante cose consolanti, e se le sarebbe fatte ripetere sa Dio quante volte. — Madonna cara! Che grazia mi avete fatta! — esclamava col cuore traboccante di gratitudine verso la Provvidenza. Un giorno, la superiora delle monache addette all'ospedale, le disse che il bambino, ormai perfettamente ristabilito, non avrebbe certo tardato a uscire. Quel giorno, prima di tornare a casa, la Lucia non seppe resistere al desiderio di fermarsi da un merciaio che conosceva, a pigliarsi quattro metri di frustagno marrone, per farne un vestitino nuovo a Santino. Fissò di pagarlo un tanto il mese. Ora che non aveva più da perder tempo in queste gite, poteva guadagnare qualche altra cosa; poi le si presentava un nuovo provento: era venuta ad abitare un quartierino del palazzo una giovane sposa incinta, moglie d'un tenente, la quale voleva la Lucia a mezzo servizio, non facendo ella quasi niente da sè in casa, un po' perchè non c'era avvezza, e un po' perchè soffriva di quella prima gravidanza. In questo modo le cose sarebbero andate meglio, si capisce: una spinta di qua, una di là, e la barca va avanti. Tutto questo, la Lucia ripeteva nell'intimo suo, mentre, con un sorriso felice, si stringeva al petto l'involto del frustagno. E come unse e riordinò con compiacimento la sua macchina per cucire il vestitino, non appena l'ebbe tagliato! Lavorava di sera: mentre quel tic-tac fitto fitto ch'ora le faceva l'effetto d'una musica allegra, s'accompagnava al ritmo eguale del respiro dei due bimbi dormenti uno da capo, l'altro da piedi del letto, certe lagrime grosse e calde rigavan la faccia della madre, perchè andava ripensando che in quei giorni di strazio, quando Santino era lontano, tanto malato, ella se la pigliava persino con la Marietta e con Checco, poverini! vedendoli così allegri, sani, chiassoni... Il vestitino era già pronto; la Lucia se l'era già rigirato fra le mani chi sa quante volte, immaginandosi la figura che avrebbe fatto indossato, quando finalmente giunse la famosa lettera diretta ai genitori o parenti di Santino Naldi, invitandoli a ritirare il fanciullo dallo spedale di San Francesco de' Poverelli. Era guarito. La vigilia del ritorno di lui, la madre non trovava il verso d'andare a letto: un'altra ferrata alla camicina con l'amido dal goletto lustro e interito; un'altra stiratina alle calze a costole d'un color marrone scuro, compagne al vestito. A un tratto, fu bussato all'uscio: potevano esser le dodici. — Chi è? — fece la Lucia, che non aspettava gente a quell'ora. - Son io, Trevisani: apri. — Era il tenente: l'inquilino nuovo. La portinaia gli aperse. Un bel giovane, alto e bruno, co' pantaloni alla militare e una giacchetta da borghese, si presentò su la soglia, occupando l'intero vano con la sua poderosa corporatura. Aveva il viso sconvolto, gli occhi cerchiati di rosso. - Mia moglie sta poco bene — disse - ha abortito. - - Oh Dio, come mai? — chiese la Lucia, incrociando le braccia in atto di rincrescimento. — Non so... proprio non so... senza motivo. Son solo... vieni su, fammi il favore... Tu, di queste faccende non te ne devi intendere... — Ella assentiva col capo. Pur troppo, pur troppo! Così non avesse mai saputo quel che costano i figliuoli! E, spenta la sua candela di sego, chiuse la portineria per seguir l'ufficiale. Se la brutta faccenda de' Trevisani fosse accaduta qualche giorno avanti, Lucia non avrebbe saputo come fare a aiutarli, a incoraggiarli, perchè aveva ella medesima troppe pene sue. Ma adesso, era tutt'altra cosa. L'idea d'abbracciare fra poche ore il suo Santino, il suo tesoro, le metteva a dosso un'energia singolare: vedeva ogni cosa sotto un aspetto di pace. — Coraggio, signora, coraggio! — ripetè più volte alla moglie del tenente, un'esile donnina di circa vent'anni, meravigliata e sfinita di quel che aveva patito, con la testa d'un biondo cenere affondata fra' guanciali. La sofferente non rispondeva; ma dalla mezz'ombra in cui trovavasi l'ampio letto matrimoniale, e che pareva dare a quel viso pallido qualcosa di fantastico, sbarrava, spauriti, gli occhi turchini, sforzandosi a sorridere, forse inconsciamente. — Ora rivedo Santino mio! Fra poco Santino mio è qui! — pensava la Lucia, affaccendata in torno a quella povera giovane; e mentre le porgeva una tazza di brodo, fatto lì per lì con dell'estratto di came d'un vasetto dal coperchio polveroso, trovato per caso in una credenza fra altra roba alimentare che il tenente avea riportata dal campo, la madre già vedeva il suo bimbo col vestitino nuovo. Che cosa le avrebbe detto, lui, per solito tanto amoroso? Che faccia avrebbe fatta? Povera, povera faccina, tutta rovinata dal vaiolo! Che importa? Per la mamma era sempre bello, bello come un sole! E mentre andava qua e là, dalla cucina alla camera, bisognava che la Lucia ripensasse al dispiacere di que' poveri signori Trevisani, perchè lei, la madre felice, non si mettesse a canterellare come a' suoi bei tempi, quando ancora non conosceva tribolazioni. Se Santino fosse rimasto in portineria, certo sarebbe morto come il padre. Povero, povero Peppe! Poveri tutti, i morti, anime sante del Purgatorio! E la Lucia si commoveva d'una commozione indefinita, piena di dolcezza. A giorno, appena vide aperta la finestra di cucina dei Lantoni, corse dall'Adele. — Abbiate pazienza — le disse: — il tenente m'è stato a tormentar tutta la notte, perchè non gli abbandoni la moglie, ora che sta meglio. È matto: dice che gliel'ho salvata io. Io non ho fatto nulla, figuratevi! ma, poveretta, è novellina, e sa ch'io me ne intendo. M'avreste dunque a fare un piacere, Adele. Andatemi a San Francesco de' Poverelli a riprender Santino. Tanto, lui sta bene, grazie a Dio, e non ha bisogno di me. Anzi, me lo rivedo a casa tutt'a un tratto...- - Volentieri — fece semplicemente l'Adele: — basta che loro sien contenti. — Loro — erano i suoi padroni; e gente di cuore, non soltanto permisero alla serva d'assentarsi, ma aggiunsero al vestiario di frustagno, che l'Adele portava allo spedale in una pezzuola, un berretto alla marinara, nuovo fiammante, con l'àncora d' oro sui nastri che pendevano dietro. Svelta, la fiorentina camminò fino a piazza San Carlo, dove prese l' omnibus per via dell'Archibugio; e di lì si recò allo spedale. Quella mezz'ora, o poco meno, ch'ella dovette far d'anticamera, le parve assai lunga; e alla madre quel tempo parve infinito. Sempre più nervosamente ella girava per casa Trevisani. Che ora poteva essere? O perchè non tornava l'Adele? Che cosa ci voleva a pigliarsi quella creatura e a portarsela via? Se avevano scritto che Santino era ormai in piena salute, che allo spedale non poteva rimanerci più... O dunque? Ma quando, dopo parecchie ore, che le parvero un secolo, ella vide tornare l'Adele sola, sottosopra, tutta scombussolata e con gli occhi pieni di bile, Lucia non capì più nulla. - O che c' è? Che vuol dire?.. — interrogò interdetta. - Non me l'hanno dato — rispose l'altra lasciandosi cader le braccia, come dopo aver fatta una grande fatica. Lucia non capiva; chiese: - Perchè? - - Non era lui! - - Come? - - Non era lui, no, no, non era lui - asserì l'Adele entrando e buttandosi sur una sedia. Poi raccontò per filo e per segno il fatto. Aveva dovuto pazientare un secolo: non fa niente; il portiere, un buzzone schifoso che si dava Dio sa che importanza, le aveva significato che lì era inutile aver fretta, angustiarsi, spazientirsi; facevano come gli pareva; ci voleva pazienza: c'era un buscherio di gente; chi andava, chi veniva... non si capiva un' acca... Lucia accennava di sì, di sì, sempre più frequentemente, per mostrare che capiva, capiva... Ma poi, poi che cosa era accaduto? Questo le stava a cuore. Poi, poi era accaduto che all'Adele avevan presentato un bambino di circa cinque anni, che lei non aveva riconosciuto. Quello lì, Santino? Ma nè pure per sogno! Era venuto un inserviente, e dopo, una monaca, e dopo anche la superiora, poi il medico di guardia: tutta una processione. Avevan detto: - Che mai dite che non è lui? — E l'Adele: - Nossignori che 'unn' è lui! - - Il vaiolo, lo sapete, muta la fisonomia. - - E' muterà quanto gli pare, ma questo 'unn'è Santino! Già Santino, gli ha sett'anni: e questo? - - La malattia l'avrà fatto dimagrare. - In vece, questo bimbo qui gli è grasso e robusto, e il nostro gli era mingherlino, piuttosto civile. - - È stato ben nutrito — osservò il dottore. - Poi, Santino gli aveva gli occhi celesti, e questo qui gli ha neri! — - Ve lo volete portar via, sì o no? — chiese il direttore, ch'era sopraggiunto in mezzo a questa discussione. - Io no, ecco! — dichiarò l'Adele o come ho a fare a portar via uno che 'unn' è Santino? - - Fate venir la madre, in questo caso — finirono col dire tutti. Di modo che l'Adele se n'era tornata sola, senza sapere che cosa la si facesse, accorata, con un diavolo per pelo. La madre ascoltò tutto il racconto per filo e per segno, senza batter palpebra; un ghiaccio, come di svenimento, le era corso per le vene. Madonna santa! Che voleva dire ciò?.. E due sole parole le uscirono di bocca: - Vado io. — Ma la mattina di poi, a punto mentre ella si preparava a recarsi allo spedale, s'affacciò alla portineria una femmina che teneva per mano un ragazzino; e chiese di Lucia Naldi, quella che aveva un malato a San Francesco de' Poverelli. Il bimbo indossava il vestito color marrone cucito a macchina, di sera, quando le fatiche diurne erano finite; portava le calzette a costola, il berretto con l'àncora. Ma il vestitino gli era largo e lungo: ci stava come in un sacco, goffo, impacciato, malinconico. - Vi riporto il vostro figliuolo, per ordine del direttore — disse la femmina. — Ormai sta benone e allo spedale non possiamo più tenerlo. — Lucia s'era fermata di botto, come se in un attimo le avessero inchiodato le piante al suolo. Fissò il ragazzo con le pupille dilatate, con le labbra strette, con tutta la faccia che si protendeva in atto di eccezionale stupore. Contessa Lara. 8 - Ma non è il mio, questo! — gridò ella. - Chi, questo? — chiese l'infermiera con tono d'incredulità. - Questo, questo qui! - - Eh diamine! Siete matta! Nome, cognome, età, sta scritto tutto su la tabella. Come volete che non sia il vostro? Guardatelo bene. - - Non è il mio, vi dico! — badava ad affermare la portinaia — Santo Dio, volete che una madre non riconosca il suo figliuolo? - - Si sa, ha avuta una malattia che cambia tutti. Gli è come se uno si mettesse una maschera, credete a me. - - Non può cambiare il sangue, la malattia! Questo bambino nè anche mi conosce. Vieni qua, dimmi come ti chiami — fece la Lucia, attirando verso di sè il fanciullo, intento a fissar la stanza dove si trovava con occhi attoniti, lustri fra la came lustra, tuttora chiazzati di rosso, e occupato, quando non fissava la stanza, a osservare l'abito marrone da lui indossato, del quale particolarmente sembravano interessarlo i bottoni e le tasche. - Come ti chiami? — ripetè la Lucia. Il bambino alzò lo sguardo un po' selvaggio; poi lo tornò subito a chinare, e rimase muto. Allora la Lucia lo respinse dolcemente: - Non è il mio!- Non è il mio! — esclamò sicura — Riportatevelo pur via, chè oggi stesso vengo a pigliar Santino. - E siccome, a punto la Marietta e Checco entravano in casa di corsa, come una folata di vento, la madre li interrogò, spingendoli davanti al piccolo sconosciuto: - È Santino nostro, questo? Ditelo voi! — I ragazzi smisero di ridere; squadrarono il nuovo arrivato con atto di diffidenza, poi se ne allontanarono un po' ammusoniti, facendo segno di no, col capo. - Vedete? Vedete bene che non è il mio! tornò a protestare la Lucia. L'infermiera insistè un altro poco, tanto per fare: raccontò qualche aneddoto straordinario su 'l vaiolo, che rende irriconoscibili anche alle persone di famiglia; ma, vedendo che la portinaia, anzi che persuadersi, sempre più si irritava, si strinse nelle spalle, come chi, in fin de' conti, si sente affatto estraneo ad una faccenda nella quale è immischiato senza sua volontà; e, ripreso per mano il fanciullo da lei condotto, se ne andò con un indifferente: — Arrivederci. — Lucia aveva la febbre a dosso. Saper guarito il suo Santino, saper di poterlo riabbracciare, e in tanto non averlo in casa! Lasciò andar tutto, servizio, bucato: salì soltanto a scusarsi con la Trevisani: e partì. All'ospedale, le dissero che il direttore non c'era. Bisognava aspettarlo. Aspettò. Quanto le parve lungo e angoscioso quel tempo, Dio solo lo sa: Lui che tien conto degl'istanti dei nostri dolori. Era sola, in una vasta camera dalle pareti nude, dipinte a stampino e scolorate. Di mobili, non altro che una vecchia scrivania di noce, ormai senza lustro, con sopra mucchi d'incartamenti giallognoli e un calamaio di porcellana bianca dal piattello attaccato, tutto sbocconcellature e macchie d'inchiostro. Davanti alla scrivania, dalla parte del muro, una poltrona, egualmente di noce, a guanciale di cuoio nero, fiancheggiata d'una fila di sedie impagliate. A sinistra, uno scaffale ingombro di registri luridi, per gli anni e per la polvere. Non osando passeggiare, per il timore di fare strepito e parer troppo ardita, la Lucia stava lì immobile. Non si metteva neanche a sedere per l'agitazione, per l'impazienza che aveva a dosso; quasi che lo star lì in piedi avesse sollecitato l'arrivo del direttore. Ogni rumore più lieve, venuto di fuori, la faceva riscuotere, le rimescolava il sangue, le dava come un colpo nel petto e una stretta alla gola. Teneva fissi gli occhi su la porta: una porta mezzo sgretolata, da cui sperava, a ogni istante, di veder comparire il suo bambino. Ma il tempo passava: nulla, nulla! Dopo un gran pezzo, che a lei parve incalcolabile, l'uscio s'aperse a un signore di una cinquantina d'anni, alto, con in testa un cappello a cilindro, e tutt'insieme un aspetto burbero e confuso. Lucia lo guardava tra ossequiosa e incerta. Egli sedette nella poltrona di cuoio nero, davanti alla scrivania, e rimescolò un gran numero degli scartafacci accatastati iì sopra. Un plico, un incartamento, chi sa che cosa fosse? lo tenne particolarmente attento; sfogliava avanti e indietro le pagine, come se non trovasse quel che cercava. Finalmente alzò la faccia, ombreggiata dal cappello, e, piantando i gomiti su la tavola, mentre badava a stropicciarsi le mani all' altezza del viso, cominciò: - Mi rincresce di dovervi dare una cattiva notizia. — - Lucia lo fissava. D'un tratto, ebbe l'impressione d'una corrente fredda che avvolgesse tutta, e inghiottì a forza la saliva, che non le voleva passar dalla gola. - Proprio mi rincresce — continuò l'uomo — ma che volete? c'è stato un errore... Si son messe le corsíe sossopra, per ripulirle, e questo ha cagionato l'equivoco. Han posta la tabella d'un ammalato a capo al letto d'un altro... e... — Ella lo fissava sempre, smarrita, senza comprendere ancora, ma col presentimento di qualcosa d'orribile, di nuovo, d'ignoto, d'inaspettato. Battendo le palpebre, faceva con le labbra il movimento di chi parla, quasi avesse ripetuto a sè, in silenzio, ogni parola di lui, per meglio intenderla, per crederla. Egli riprese ancora: - E, dunque... in questa confusione, è capitata al bambino che vi avevo rimandato la tabella del bambino vostro, morto il sei di marzo, cioè pochi giorni dopo che ce lo avete portato. - Morto? — chiese lei, calma, con lo stordimento incosciente d'un bue che riceve il primo colpo mortale. - Eh sì, cara mia! Ci vuol pazienza; è stato uno sbaglio, che m'ha proprio fatto dispiacere. Adesso ci vorranno almeno quarantott'ore per rimetter le cose a posto, e farvi avere un certificato di morte in regola. — La donna pareva fulminata. Rimasta ritta davanti alla scrivania, abbandonava le braccia, che le pendevano sotto lo scialle di lana nera, e sporgeva innanzi la testa bassa, con l'occhio vitreo, con la bocca mezzo aperta, cadente. — Del resto, — soggiunse il direttore — le cose sono state fatte ammodo; i genitori di quell'altro ragazzo hanno ordinato un mortorio decente al bambino vostro, credendolo il loro; questo deve consolarvi. E in ultima analisi, — concluse — con la morte c'è poco da fare: pur troppo, lo sapete come me. Quanto ai panni, ve li restituiranno, non c'è dubbio: m' impegno io. — Lucia udiva un rumore di parole vaghe, assordante come uno scrosciar d'acque invisibili. Non rispose mai. Soltanto, quando il direttore s'alzò, ella capì che doveva andarsene. Che cosa ci stava ormai a fare? Chi aspettava? E s'avviò verso l'uscio, col desiderio intenso di ritrovarsi in casa sua, nel suo covo, che le pareva lontano, lontano, come se, per arrivarci, avesse dovuto far un viaggio interminabile, eterno.

— diss'ella, piegando sempre la testolina a mo' d'invito, con un bel sorriso che le scopriva una fila unita di denti a smalto bianco. - E allora, addio! - — Ma, benedetta figliuola, — ribatteva Giulio Sermanni — non capisci che abbiamo finito proprio in questo momento e che un boccone di più ci rovinerebbe? - - Malanno in forma di demonio tentatore! — le schiccherò Montazzi, lanciandole, con un bacio, una pallottolina di pane tra' merletti del seno. — Non dubitate, vi raggiungiamo più tardi; in tanto, divertitevi, e lasciateci prendere in pace, senza strilli, senza urtoni, questa povera tazza di caffè...- - C'è anche Mimì d'Oro? — chiese Bertino Fragni accendendo un avana. - E allora, addio — ripetè in fretta, come per concludere, la giovane donna. Così dicendo, infilò di nuovo la mano inguantata nel braccio del suo accompagnatore, un ufficiale, ed aprì, per andarsene, la porta del gabinetto riservato, in cui cenavano bonariamente que' tre amici maschi, desiderosi di star tranquilli. Nel gabinetto a canto era già cominciato un baccano di voci e di risa da frastornare una caserma: baccano caratteristico che rivelava subito di quali mondani e semimondane si componesse la comitiva colà raccolta. Giulio Sermanni seguì con gli occhi l'onda di damasco e di trine che spariva dietro l'uscio; ne ascoltò un istante il fruscìo su 'l tappeto del corridoio; poi, appoggiati i gomiti su la tavola, in atto confidenziale, scrollò leggermente il capo. - Povera Matilde! — susurrò quasi a sè stesso. E voltandosi a' suoi commensali: - Chi direbbe, vedendola adesso — soggiunse — che quella stessa Matilde io l'ho conosciuta tale da far invidia alle mie sorelle e alle vostre, tanto era una cara e santa ragazza? — Bertino inarcò le ciglia ed allungò le labbra con una smorfia buffa imitata da un attore di operette, e Montazzi si lasciò sfuggire un: — Ah, da vero? — pieno d'educata incredulità. Ma Giulio Sermanni, con la sua tradizionale poesia, quando aveva fatto tanto d'entrar nel campo del sentimento, non lo abbandonava a quel modo senza un po' di sfogo, e specialmente dopo aver sorbito qualche bicchierino di più. — Sì, da vero. Matilde dieci anni fa era magra, bruna, palliduccia. Abitava in una stamberga attigua alla mia, nelle soffitte d'un vecchio palazzo a Porta Genova, e a traverso l'assito che ci separava ella poteva, osservando dalla mia parte, godersi lo spettacolo d'una confusione di tele, di cartoni, di gessi, in mezzo ai quali io badavo a tirar giù alla brava pennellate e freghi di matita. Ma aveva altro da pensare, poverina! In vece, per conto mio, quando udivo il suo passo svelto su' mattoni o la sua fresca vocetta che rispondeva al brontolìo della madre, non mi facevo per nulla scrupolo di curiosare dalle commettiture del legno nella camera della mia vicina. Questo accadeva sempre di mattina presto, o di sera. Nelle altre ore del giorno, silenzio perfetto: meno lo strascicar lento delle ciabatte della vecchia e la sua tosse ostinata. La ragazza, ch'era giornante da una sarta, s'alzava nel cuor dell'inverno verso le sei. Acceso un lumicino che spandeva su l'oscure pareti un barlume fioco fioco da stanza mortuaria, indossava un vestito a quadrelli che nella notte le aveva servito da coperta, e, ancor tutt' assonnata, si scioglieva le trecce guardandosi in un pezzo di specchio rotto che s' appoggiava su le ginocchia. Aveva de' capelloni lunghi, folti, bellissimi, ma che una volta acconciati non facevano più nessuna figura, perchè se li spartiva lisci lisci a sommo del capo, e se li fermava di dietro, come stretti da una morsa, con un brutto pettinaccio sdentato. Terminata quest'acconciatura, ella si metteva a spazzar la camera, a spolverare i tre o quattro mobili tarlati che c'eran dentro, ma pian pianino perchè non si destasse la madre, che russava ancora, raggomitolata in una specie di canile; poi, aperta la cassetta Contessa Lara. 9 del tavolino, prendeva da un foglio mezzo lacero un cucchiaio di caffè di ghiande, e lo metteva a bollire sopra un veggio. Questo modo di riscaldarsi lo stomaco era l'unico lusso di Matilde, allora! — Montazzi inghiottì quattro o cinque sorsi di chartreuse tutti di seguito, astrattamente, e Bertino Fragni s'accostò più che mai alla tavola. II pittore riprese: — Dopo queste faccende, la ragazza trottava lesta lesta verso il suo magazzino e fino a un'ora di notte era tutta una tirata di lavoro. Spesso, al suo ritorno, c'incontravamo per le scale. Io scendeva per recarmi in Galleria, al Gnocchi, dove s'era formata una combriccola di glorie in erba cui davamo il nome pomposo di cenacolo. C'era un po' di tutto: pittori, scultori, musicisti, uomini politici, e non mancava nè anche qualche poeta di genere pornografico; però una razzamaglia di buon umore e con un certo bagaglio di talentaccio, più che altro poi di sfacciataggine. On ne doutait de rien! Bisognava sentir che teorie strampalate, che sublimi paradossi difesi a forza di pugni su' tavolini!... Basta, so che adesso darei molte opere mie che il pubblico loda e paga, per l'entusiasmo pazzo d'una di quelle ore giovenili. Matilde, lei, povera piccina, saliva al nostro quinto piano intirizzita dal freddo, e ravvolta in uno scialletto a maglia che a pena le copriva le braccia; ma era un amore con quel visino livido sotto la paglia d'un cappello scolorito e sbertucciato da chi sa quanti acquazzoni, con quelle dita che facevan capolino in cima ai guanti, tutte rosse per le punture dell'ago e pe' geloni; era un amore tutta impacciata a dissimular sotto le gonnelle troppo corte i tronchi di certi stivaletti larghi e sformati dove il pieduccio le ballava; sicchè ci avevo preso gusto a fermarla. - Buona sera, come sta? Ha fatto tardi, eh? O non ha paura a girar sola a quest'ora? — Quasi sempre le stesse domande e sempre le stesse risposte: - Grazie, sì, stava bene. No, paura no, perchè sceglieva le strade con molti lampioni. Nel carnevale, si sa, c'era il lavoro a monti in magazzino, e non si poteva finir prima. Ma non era mica stanca! Quando si fatica si dorme meglio, nevvero? Buona notte, grazie. - - Buona notte! — E, sorridendo, correva su tutta contenta di appendere a un arpione lo scialletto a maglia e il cappello di paglia, e di mangiar finalmente quel po' di minestra su l'acqua che la mamma avea preparata. Qualche sera, quando la porta di Matilde s'era gia richiusa, io rientravo dietro a lei zitto e cheto nella mia stanza, e mi godevo un quadretto da innamorare un pennello fiammingo. Al lume d'un mozzicone di candela di sego infilato nel collo d'una bottiglia posta in mezzo alla tavola, cenavano le due donne: la vecchia, faccia caratteristica della popolana dalle fattezze ruvide, accentuate, con una pezzuola di cotone a fiorami gialli in testa, legata sotto il mento, e una a fiorami rossi incrociata su 'l seno, piegava il naso fin quasi al piatto, biasciando lentamente i bocconi; la giovanetta, con una cornice di capelli bruni su la fronte, due begli occhi d'un grigio d'acciaio brunito, allargati dalle ciglia lunghe, col profilo regolare, si coloriva e pareva rianimarsi al caldo della zuppa fumante. In un angolo della stanza brillava la nota rossa di qualche tizzo acceso dentro un fornello di terra; a una parete era un'asse con sopra un boccale e de' piatti sbocconcellati ma lucidi, puliti; più là il letto, con a capo un gran ramo d'ulivo ombreggiante una Madonna di carta colorata e un quadretto nero con una medaglia al valor militare: memoria del padre morto in guerra: una reliquia. Matilde, mangiando, raccontava il gran da fare che c'era in magazzino. Madama era diventata più stucca, più rigorosa che mai. E certe volte si metteva a descriver minutamente un abito che avea finito in giornata; era d'una signora forestiera, chi diceva una marchesa, chi una mantenuta, non si sapeva. — Eh!... Bisogna esser di quelle per aver fortuna! — filosofava tra un sospiro e l'altro la madre, scrollando la faccia ossuta. La ragazza terminava a dire: — Bisogna veder che vestito!... — E l'idea di quei monti di stoffe dalle morbidezze di velluto, da' riflessi di raso, di quell'onde di tralci e di merletti in cascate d'argento, era il contrasto più forte, l'antitesi più potente che si potesse opporre a quell'interno miserabile. Un giorno, il proprietario del nostro palazzo fece sloggiar le mie vicine co' loro quattro stracci, per un'unica, ma valida ragione: non avevano pagato l'affitto. Questo io lo seppi qualche giorno dopo dalla portinaia, che mi raccontò per filo e per segno tutti i fastidi sofferti da quel galantuomo del padrone per dare lo sfratto alle due donne. La ragazza, quando caricavan la roba sur un carretto a mano, stava lì ferma al portone con gli occhi rossi, più muta e più sbiancata d'una statua.... Ma, Dio mio, certe cose si sanno senza imparar l'abbaco! O che forse credevan di stare in casa gratis? Quanto a mance, non c'era pericolo che cascasse mai un soldo; po' poi la Matilde doveva guadagnar bene in quel gran magazzino... E la degna portinaia concludeva con una strizzatina d'occhi: — Quando si è giovani si trova sempre da far bene. - - Dove mai sarà andata a finire la povera Matilde? — mi domandavo io con un certo senso di tristezza. Passò più d'un anno senza che rivedessi la sartina. Non la cercai, è vero, perchè non c'era nulla di comune tra di noi; ma di tanto in tanto quella sua figura patita ed ingenua mi tornava nella memoria; massime poi da quando nella sua camera era venuta a star una famiglia d'operai carica di bambini che vociavano e piagnucolavano in tutte l'ore del giorno e della notte; a segno che una bella volta dovetti prender io pure le mie carabattole e andare ad alloggiare altrove. Ora, sentite. Una sera, al Gnocchi, mentre me ne stavo secondo il solito in mezzo al così detto cenacolo, viene una coppia, maschio e femmina, a sedersi al tavolino dirimpetto. Il maschio mostrava una cinquantina d'anni. Alto, con la barbetta ancora biondiccia tagliata corta e un po' calvo, con modi riservati, magari freddi, aveva in tutta la persona un'eleganza esotica, da gentiluomo russo o svedese. M'era ignoto. La femmina, in vece, mi ricordava un viso da me conosciuto, ma non mi sovvenivo nè dove nè quando. Bruna, snella, con due lunghe trecce penzoloni su le spalle, indossava un vestito d'ultima moda fatto di seta e di velluto color lontra: un vestito da signora autentica. Ma in pari tempo erano in lei delle stonature da non isfuggir a un occhio pratico di donne: per esempio, un cappello con delle penne rosee troppo vistose, e brillanti agli orecchi, al collo, ai polsi; sopra tutto poi una larga striscia nera giro giro agli occhi. Che volete? Sarò retrogrado, ma per me, lasciando da parte le voluttuose usanze orientali, ho un'idea fissa: le donne oneste non si tingono. Poi questa donna rideva, rideva da bimba sguaiata, e mangiava per due. Guardandola bene ravvisai la Matilde. Passarono circa altri quattro anni e la rividi quando proprio non mi ricordavo più che fosse al mondo, un inverno, di carnovale, ai veglioni della Scala. Ella tornava allora da Vienna o da Parigi dov'era andata a scuola; portava una parrucchina fulva come il granturco e s'era ingrassata a furia di mangiar dolci e di girare in carrozza. Aveva una stupenda pariglia di sauri e degli abiti di trine vere. — Bisogna esser di quelle per aver fortuna! — aveva filosofato sua madre. Un amico comune mi presentò alla nuova stella, una sera, al Manzoni. Per me pure, in tanto, era girata la ruota. Le mie tele cominciavano a vendersi bene; nel mio studio era già una profusione alla Makart di ninnoli eleganti e d'oggetti d'arte, e più d'una volta Matilde mi ha fatto volentieri da modella per raffigurare qualche baccante. Entrava da me con un incantevole sorriso com'è entrata or ora qui; toccava tutto, curiosava dovunque, poi sedendosi a canto a me mentre lavoravo, si metteva a narrarmi — chi sa perchè - le sue tante avventure amorose, con la franchezza, con l'abbandono d'una folle compagna d'infanzia. - Ma un amore non l'ho mai avuto, sai! — mi disse una volta facendosi triste d'un tratto; poi scrollò le spalle e soggiunse: - Chi sa se l'amore esiste! — Cosa strana! Matilde non ha mai voluto convenire d'esser lei la mia piccola vicina della soffitta a Porta Genova. Quando io, talvolta, gliene ho parlato, massime ne' tempi a dietro, insistendo su' particolari delle nostre prime relazioni e facendogliene vedere il lato gentile, ella protestava energicamente ch'io non l'avevo mai conosciuta, e al fine indispettita, nervosa, mi piantava lì senza salutarmi. Sostiene d'esser nata a Torino e di non saper nulla de' propri genitori. Un giorno, mi ricordo che a questo proposito fui crudele con lei; guardandola fisso fisso le chiesi a bruciapelo: — O della medaglia al valore ch'era a capo del tuo letto, che cosa n'hai fatto? — Ella impallidì, e mi rispose soltanto con una occhiata: un'occhiata che non dimenticherò più. Fu la sua sola vendetta, povera Matilde! - Il fragore delle voci e delle risa misto a un tintinnio di posate e di cristalli cresceva nel gabinetto a costo, simile alla marea. Sermanni ascoltava astrattamente; non parlava più. - Andiamo! — disse Bertino Fragni,voltandosi agli amici. Montazzi si versò dell'altro liquore. - Eh, che volete farci? Questa è la vita — dichiarò come per rispondere al baccano della vicina comitiva e al silenzio improvviso del narratore; quindi soggiunse a mo' di morale: - Matilde, però, nel suo genere, è una buona diavola. - - Dieci anni fa era un angiolo — pensava Giulio Sermanni. - Andiamo, andiamo! — ripetè Bertino — lo sapete che di là ci aspettano. Accesero degli altri sigari; s'infilarono i soprabiti e uscirono. Ma il pittore si fermò di botto. - Scusatemi se non vengo con voi — disse a' due giovanotti maravigliati. — Ho da fare. Proprio vi giuro che non mi sarebbe possibile.... — I compagni protestarono forte. No, perdio! che non doveva lasciarli. Che c'era di nuovo? Qualche convegno amoroso, si capisce. Ma per quella volta la sua bella poteva aspettare!... E a troncare il battibecco, Bertino spalancò l'uscio della stanza dove avea luogo la cena ed annunziò il tradimento meditato dal Sermanni. Allora sì che fu un vocio da stordire; e Sermanni era già in fondo al corridoio quando una donna mezz'ubriaca, con gli occhi lustri, con le labbra ardenti, gli corse dietro incespicando nello strascico di damasco del proprio vestito, e tra risa sgangherate gridò: — Disertore! disertore! — buttandogli il suo bicchiere colmo di sciampagna.

Spesso, quasi ogni giorno, la moglie del generale comandante il Corpo d'esercito, una delicata signora del settentrione d'Italia, soleva, dopo fatto il bagno, salir nella barca del forte a farvi una passeggiata in mare prima dell'ora di pranzo. In contro al sole, i muraglioni giganteschi di quella gran mole oscura ch'è il Castel dell'Ovo, proiettavano una larga ombra nera su l'acque, meno cupe e tragiche a mano a mano che uno vogava allontanandosi; presso a uscire dalla macchia nera dell'ombra, l'increspatura dell'acque prendeva dei toni metallici come rapidi lumeggiamenti, e giunta al sole, che tramontava là giù in fondo al golfo in un'apoteosi di fuoco, tutta l'ampia estensione marina sembrava schiararsi nell'oro. Allora un senso di sollievo e di serenità allietava l'anima. Girando gli occhi a volte su Capri, che, di lontano, somiglia il letto di qualche oceanina cullato dal mare, a volte su la curva della riva, ornata di palazzi e di ville multicolori, come d'un'immensa ghirlanda di fiori, la signora s'abbandonava, le membra ancor sopite dalla dolce spossatezza che dà il bagno, alla calma voluttà di quell'ora; e un sogno d'oblio, fors'anche d'amore, be vagava nella mente quieta. L'uomo tarchiato che sedeva verso prua, remando con braccia poderose o lasciando tuffar giù i remi, a seconda d'un cenno della signora, si sarebbe detto una macchina di bronzo, non altro. Dimostrava dai trenta ai trentacinque anni. Bruno per propria natura, e annerito anche dal sole, era presso a poco della tinta d'un beduino. Taceva, non osando cantare per riguardo alla moglie del generale. E pure le canzoni del suo paese sonavan d'una dolcezza penetrante in bocca di quel popolano, con le lor frasi larghe, appassionate e le cadenze delle note tenute, lunghissime. La signora, dalla cabina dove spogliavasi, le aveva ascoltate, e l'incolto sentimento ch'esse racchiudevano le piaceva più di molte romanze artisticamente studiate che udiva nei teatri e nei concerti. Doveva aver del cuore, quel poveraccio, se cantava a quel modo. Sì che quando, nel chiacchierar del bagno, il generale le disse che «il suo barcaiolo» — com'ella lo chiamava — era un ex-bersagliere mandato alle compagnie di disciplina per omicidio, la maraviglia della signora fu grande e si tradusse in parecchie esclamazioni di raccapriccio, mentre un piccolo brivido le correva giù dalla nuca. Dio buono! Trovarsi ogni giorno su l'imbrunire così sola fra cielo e mare con un assassino! C'è da impaurir una leonessa! Non ci sarebbe più andata, non c'era verso! Chi glie ne dava il coraggio? Ma il generale le spiegò, sorridendo, ch'egli medesimo aveva permesso, dietro proposta del comandante il forte, che Merulla venisse addetto al servizio della barca: tanto era stata esemplare la sua condotta da ch'egli era dentro. Non c'era nulla da temere, che diamine! Anzi, era un ottimo diavolaccio, Merulla, e d'una intelligenza! Adesso la signora sorprendevasi a fissar il suo barcaiolo come se per quegli occhi fieri e malinconici avesse potuto guardargli nell'interno; le pareva impossibile ch'ei maneggiasse così tranquillo il remo innocente con la stessa mano che aveva mandata un'anima all'altro mondo.... - Di che paese siete? — gli chiese ella un vespero in cui erasi fatta portare verso Posillipo. Il giorno era stupendo: il mare liscio come un favoloso zaffiro. L'uomo, in segno di rispetto, quasi per ringraziar dell'onore che la signora gli faceva col rivolgergli la parola, si toccò l'antico berretto rosso da cui penzolava ancora la nappa d'un turchino scolorito, e rispose con apparente indifferenza: - Di Monreale: quattro miglia sopra Palermo. - È un pezzo che non siete stato a casa, eh? Egli sollevò la mano con quel gesto che significa: — Lo sa Dio! — poi disse: - Da quando venni via per far il soldato. Son tredici anni. - E... per quale reato vi condannarono? Ormai il dado era tratto. Una curiosità d'osservatrice più che di femmina le aveva spinta quella domanda su le labbra. Voleva conoscer l'animo dell'individuo che le teneva cotidianamente compagnia nella superba solitudine del mare, in quell'ora che per lei era la più simpatica della giornata. Nell'occhio dell'uomo passò come un baglior giallo; la sua bocca ebbe un moto nervoso che si cambiò in un sorriso: ma fu un attimo; e disse con la solita indifferenza: - Ho uccisa una donna: mia moglie. - O perchè? Raccontatemi come andò — fece la signora. - Glie lo racconto: ora glie lo racconto. Allora Merulla raccolse i remi, e vogando a lente bracciate, sempre più verso il largo, mentre il ritmo leggero dell'acqua rotta accompagnava la sua voce ora vibrante ora mezzo soffocata, narrò: — Bisogna sapere che quando eravamo ragazzetti, Agata Lo Santo — Tinuzza la chiamavano - abitava accosto a casa mia. Non aveva altro di bello che i capelli, biondi come il sole. Da noi le bionde son rare; quasi non se ne vedono. E io me ne innamorai, così, senza rifletterci. Facevo il carrettiere, come mio padre. Che notti tranquille ho passate in que' tempi sdraiato su 'I barroccio, che andava avanti piano, intanto che cantavo e guardavo la luna far tutte d'argento le nostre campagne! Pensavo alla mia innamorata che mi veniva incontro su l'uscio, al ritorno, appena sentiva di lontano i campanelli delle bestie: mi veniva incontro e rideva; rideva sempre, lei. Ogni tanto, quand'ero nella stalla a governare i muli, mi sentivo far il solletico dietro un orecchio, su 'l collo; era lei, entrata senza far rumore, che mi stuzzicava con un suo ferro da calza. Un giorno, non ostante il rispetto che Contessa Lara. 17 m'ero giurato di non le togliere, com'è, come non è, pur troppo, facemmo lo sbaglio.... Lei resisteva, mi diede un morso al labbro, che credevo me lo avesse staccato, ma rideva.... Mi sembra ancora di vederla sciogliersi que' lunghi capelli biondi tutti ondati, e scoterli e sbatterli con quanta forza aveva per farne uscir di frammezzo gli acini dell'avena su cui era caduta supina.... I suoi di casa non s'avvidero di nulla, quel giorno; ma dopo un po' di tempo, quando Tinuzza cominciò a mostrarsi svogliata a lavorare, perchè si sentiva male, entrò in testa alla madre di lei un tristo sospetto. - Che cosa hai fatto che sei così pallida, dimmi? - le domandava cento volte all'ora. — O negli occhi che ci hai di torbido? - Tinuzza si stringeva nelle spalle, diventava rossa come il fuoco, poi più sbiancata di prima. — Maledetto quel momento traditore! — esclamava battendosi tutte e due le mani aperte su 'l ventre, che le cresceva. Una sera, ero tomato a punto allora da Mezzoiuso, e stavo nella stalla a riempir la mangiatoia, quando mi colpirono de' gridi di femmina che venivan dalla casa vicina. Era Lo Santo che bastonava peggio d'una mula sua figlia. - Voglio saperlo! — vociava il vecchio. - Voglio saperlo subito, o faccio una pazzia! Lei doveva dibattersi: si capiva dalle voci soffocate, rotte, fra cui soltanto articolava chiaro qualche: no! no! reciso. II sangue mi diede un tuffo. Lasciar maltrattare così quella creatura, che ormai era mia, e che portava in sè un'altra creatura più ancora mia? Mai, per Dio! D'un balzo fui fuor della stalla e corsi a bussare alla porta dei Lo Santo. Fu la madre che m' aperse; tremava come una foglia, ma aveva in faccia un'espressione d'odio che mi colpì più dell'aspetto di suo marito, il quale teneva ancora Tinuzza per un braccio tutto contorto e arrossato a chiazze. - Che c'è? — tonai, di su la porta. - Lasciatela stare! Un grande stupore apparve su 'l viso del vecchio, che si sollevò per guardarmi. Poi, tenendo sempre stretto come in una morsa il polso di Tinuzza, che lei tentava inutilmente di svincolare, mi disse in tono tra superbo e sprezzante: - Giovanotto, in casa mia comando io. - Lasciatela stare, vi dico! — ripetei, vedendo che la ragazza piangeva, forse per il dolore del polso. Allora Lo Santo dovette aver la visione netta della verità, come in un lampo; e abbandonata la figliuola con una stratta che la fece traballare e cadere a terra, venne difilato a me e mi si piantò dinanzi con le braccia incrociate, fissandomi negli occhi, quasi avesse voluto mangiarmi. - Dunque, sei stato tu? — domandò ansando. - No! no! non è vero! non è vero! — strillava Tinuzza che s'era rialzata e veniva a mettersi tra suo padre e me, intanto che mi faceva de' segni perchè tacessi. - Sì, sono stato io — confessai — ma la sposo. - Ah, infame! Ah, schifoso! — sbraitava la madre con quella vociaccia da strega. - Ah, infame! Ah, schifoso! Ma il padre le impose silenzio: - Taci, ora. Infame e schifosa sei tu che non hai saputo insegnar l'onore a tua figlia. — E vòlto verso me disse gravemente: - La sposi, va bene; ma quando? - Anche subito: appena son pronti i fogli. - Bada, — soggiunse il vecchio, — o in chiesa o... dove sai. — Così dicendo accennava al suo fucile appeso al muro. Io feci un gesto che significava: Non dubitate! e tutti mi credettero. Sapevan che avevo una parola sola, come mio padre, come i miei fratelli, come tutti di famiglia. Tinuzza si stropicciava il braccio illividito e aveva ricominciato a ridere. - Ricòrdati però una cosa, — soggiunse Lo Santo parlando alla figlia; tu esci di qui, ma non c'entri più. Male femmine in casa mia non ci stanno! Di lì a meno d'un mese ci eravamo già sposati. Il male era ch'io non avevo ancora vent'anni: e mi restava a passar la coscrizione. - Se tiri un numero basso, vengo con te, — mi dichiarava Tinuzza, che non voleva saperne di malinconie. — Dai miei, lo sai, non posso più voltarmici; mio padre è una bestia; e co' tuoi genitori, che mi guardano male, non rimango certo. Tanto, che noia ti do? E rideva all'idea di seguirmi, di mutar paese, di veder gente e cose nuove, senza preoccuparsi affatto de' fastidi e della miseria che ci avrebbe creati quell'esistenza in città sconosciute, senza speranza di guadagno nè dell'uno nè dell' altro, e per di più con un bimbo su le spalle. — Quando ci si vuol bene non ci son guai, — concludeva, scrollando le spalle; perchè in que' tempi Tinuzza credeva d'amarmi con tutta l'anima, come io veramente amavo lei; e, più d'una volta quella sua fiducia nell'avvenire, che non l'impauriva purchè me la fossi tenuta a fianco, metteva coraggio anche a me. Qualche soldo, a forza di faticare col carro, me l'ero posto da parte; mio padre m'aveva promesso un'altra sommetta per quando fossi partito; sì che mi lasciavo andar anch'io a non disperarmi per quel mutamento. Chi sa mai? da cosa nasce cosa; si fanno fuori conoscenze nuove che posson essere vantaggiose; e sorridevo a quel destino presso a buttar me con la mia famigliuola, quasi tre bimbi, spersi nel mondo. Mi toccò proprio un numero basso, come m'aspettavo; sì che non c'era rimedio: marcia! Intanto che mia madre pigiava dentro un sacco quel po' di biancheria che a mano a mano, di nascosto a tutti, m'era andata preparando: calzette a maglia, camicie e camiciole, roba ordinaria, sì sa, badava a dire brusca brusca, con una voglia di piangere che l'affogava: — Io, vedi? se tu non avessi preso moglie, sarei morta di dolore quando tu mi fossi andato via soldato; ma ora com'ora, poco me ne importa; anzi, non me ne importa affatto; direi perfino che ci ho gusto di non averti davanti agli occhi. Voglio mangiare un boccone di più; voglio ingrassarmi; non muoio, sai; no, che non muoio! — Merulla sorrise al ricordo di quelle parole materne, come avrà sorriso a chi sa quanti rimbrottoli della brava donna quando era fanciullo; e soggiunse: - Diceva di non morire; e pure è morta, proprio di dolore, quando.... Basta... è morta anche lei. - E con l'avambraccio velato di lanuggine bruna, s'asciugò una grossa lacrima che stava per iscorrergli giù su 'l mento. Subito riprese: - Tinuzza m'ammiccava dietro le spalle di mia madre, come per dire: — La senti? Ma la senti? Difatti, quella povera vecchia, ch'era un angiolo con tutti, non poteva soffrir mia moglie. Andava ripetendo che m'aveva stregato quella buon'a nulla; che m'aveva fatto bollir nel caffè un ciuffo de' suoi capellacci gialli come le pannocchie del granturco per attaccarmi a lei in quel modo. Quando Tinuzza rideva col solito fare spensierato, mia madre si mordeva le labbra per non le vociare qualche imprecazione. — Dio voglia che quella donna non ti porti disgrazia! — esclamava a mezza voce, voltandosi a me. - Non mi rispetta, vedi; e non rispetterà neanche te. Fra loro due la guerra era implacabile, continua; a segno che, da questo lato, la partenza mi fu di sollievo. Su 'l medesimo piroscafo che mi trasportava da Palermo a Napoli insieme agli altri giovani del mio paese, destinati a un reggimento di bersaglieri, che pigliava le reclute là giù, s'era imbarcata anche mia moglie col piccino, ch'essa allattava. A Napoli, ci ammucchiarono, noi soldati, in un convoglio diretto a Roma: era quella la nostra destinazione. Tinuzza viaggiò in un'altra terza classe, ma sempre nel treno che mi portava. Oh, Dio! che spasimo quella prima notte e quel primo giorno di quartiere, senza saper dove era andata a sbattere la mia donna con la creatura, in mezzo a una città così grande, senza conoscervi un'anima! A poco a poco ci si acclimatò tutti e due in quella Roma che mette paura. Lei era andata a alloggiare in una cameretta a pianterreno su la svolta d'una via che s'allungava a destra dietro la caserma. Glie l'affittava una portinaia vedova, la quale, presso il padrone dello stabile figurava d'aver presa seco, per favore, una sua cugina. Lì capitavo sempre a trovar Tinuzza, all'ora dell'uscita. — Ma è proprio vostro marito questo ragazzo? — domandava la sora Rosa a Tinuzza mia con un certo sorriso e un dondolar del capo che dimostravano quanto poco ci credesse. - Sicuro ch'è mio marito; ci abbiamo anche un figlio: volete più bella prova? — rispondeva l'altra con quel riso che si poteva interpretare in qualunque modo. - Sora Rosa, le giuro che siamo sposati in chiesa e al Comune, quanto è vero che questo è un innocente — asserivo io prendendo in collo il mio bambino, che già aveva imparato a conoscermi e mi tendeva le braccia. Allora la vedova pronunziava un: — Sarà vero, sarà... — così pieno di dubbi e così canzonatorio che mi veniva voglia di darle una manata in faccia. Tinuzza, lei, quasi ci si divertiva, perchè il suo carattere non somigliava al mio. - Hai fatto presto da vero a farti l'amorosa! - mi dicevano i miei compagni, quando invece d'andar con essi a passeggio e poi finire in qualche osteria fino all'ora della ritirata, li lasciavo appena vedevo spuntar mia moglie che mi veniva incontro su 'l marciapiede dirimpetto. - Accidenti, che bella biondina! — esclamò una volta un sergente furiere di cavalleria col quale m'ero accompagnato per istrada. Era anche lui del mio paese; ma faceva già il militare da qualche anno. Ci eravamo rintoppati per caso, e non ci pareva vero di chiacchierar un po' dei parenti e degli amici lasciati là giù. - È Tinuzza, — risposi, — o che non la riconosci? - Chi, Tinuzza? - Tinuzza, Agata Lo Santo, quella ragazzetta che stava vicino a casa mia. - Corpo! — bestemmiò maravigliato. - Com'è cresciuta in un momento e come s'è fatta bella! - In un momento, no, — osservai io - ne son passati degli anni! Tinuzza s'era unita a noi, dietro un mio cenno, e rideva di Puddu Cassione, che la guardava mordendosi i baffi e mormorando: - Passa, passa il tempo! - Son vecchia, lo so — disse lei, forse per il gusto che provava a farsi ripetere che, crescendo, s'era fatta bella. Lui rise rumorosamente, col petto da colosso che gli sussultava. - Corpo! ci voleva un bel coraggio a chiamarsi vecchia a quindici o sedici anni: quanti ne poteva avere? - Ne ho diciotto, — fece gravemente Tinuzza, come se ne avesse confessati cinquanta. Ridemmo tutti. Cassione le domandò poco dopo: - Non per offendervi; ma come mai vi trovate?... Io l'interruppi: — A Roma, eh? Ci si trova perchè è mia moglie: ci siamo sposati or son sedici mesi. Allora, dopo le solite esclamazioni e i rallegramenti d'uso, Cassione sentenziò che tutti e due, tanto io quanto lei, avevamo fatta una corbelleria delle più grosse. S'intende non aver giudizio, ma a quel punto, corpo! E rideva, corrucciandosi di quell'inesperienza da ragazzacci che ci doveva trascinare a tanti guai. Passeggiammo per circa un paio d'ore tutti e tre in fila, un po' fuori d'una porta, un po' in città; e s'entrò in un'osteria, dove mangiammo un piatto di fettuccine al sugo. Avvicinatasi l'ora della ritirata, si accompagnò Tinuzza a casa. Io stavo in pena per il bambino, che quel giorno era stato affidato alla sora Rosa. Tinuzza invece, non ostante che lo allattasse, non sembrava ricordarsene; a segno che le feci un rimprovero, e ci lasciammo piuttosto freddi su la soglia della portineria. — Vedi quanto sei stupido! — mi disse mia moglie il giorno dipoi. — Ciccu sta più volentieri con la sora Rosa che con me. Iersera l'ho trovato che dormiva. Essa gli aveva dato da succhiar un torrone. Così la vita andò avanti per noi un certo tempo. Tinuzza guadagnava qualcosa presso due o tre famiglie dove la portinaia le aveva trovato da cucir da uomo; io, che non ispendevo un soldo quando non ero con lei, le mettevo in mano la mia misera paga della cinquina; e co' denari portati da casa si campava da gente onesta. Il mio maggior piacere era di fuggir l'oppressione, la monotonia del quartiere, e andarmene in campagna insieme alla mia sposa e a mio figlio, ch'ella portava in braccio. Là ci mettevamo in libertà, su qualche prato. Lei posava a terra il bambino, che scherzava co' più alti fili d'erbe smossi dal vento, con qualche insetto che passava, co' fiori, che più gli piacevano quanto più eran coloriti; teneva la boccuccia aperta, serio, e metteva un suono inarticolato di maraviglia e di desiderio tendendo la mano grassa, tutta pozzette, per afferrar quel che vedeva anche lontano. Sdraiato accanto a lui, io gli facevo il solletico su le gambe sotto i calzerotti a rigoline, e, mentr'egli si rovesciava su la sottana di sua madre, ridendo, da pazzarello, e mostrava quattro dentini bianchi come il latte appena spuntati, la mia mano saliva, saliva su fino alle coscette, e allora ci ravvoltolavamo insieme, come due cani. La sua passione erano i bottoni della mia giubba; li toccava; ci si specchiava il visetto roseo che appariva lì su l'ottone allargato e gonfio come una palla. - Una seconda volta Merulla sostò per asciugarsi Contessa Lara. 18 gli occhi. Bella Madre! che c'era da fare? Ormai era andata com'era andata. — Dopo una di queste gite all'aria aperta, sembra che il mio piccino prendesse dell'umidità. Tanto è vero, che il giorno dopo piagnucolò di continuo; nè latte nè minestra gli volevano passare dalla gola; la madre gli canterellava per acquetarlo — così mi raccontò — ma lui non potè prender sonno. E scottava, tutto rosso. La sora Rosa, donna d'esperienza, dichiarò che aveva un febbrone. Dire come rimanessi io a queste notizie, non avrei saputo nè anche allora; figuriamoci adesso, che son passati tanti anni... e tante cose! Mi prese un tremito come a un ragazzino che ruba la prima volta, e dopo aver baciato e ribaciato quel povero angiolo, che mi lasciava su le mani e su la bocca un'impressione come di metallo scaldato, tornai al quartiere, più stordito d'un ubbriaco. Anche il giorno dopo, in piazza d'armi, barcollavo; toccai appena qualche boccone del rancio e, quando fui libero, corsi a casa. Il bambino stava peggio. Mi parve che Tinuzza me l'annunziasse con tanta indifferenza, che mi misi a insultarla. — O che forse non è sangue tuo, che stai lì così come se morisse la gatta? Lei alzava le spalle, mostrando di compatir me come un esaltato e di non saper che fare alla creatura: gli dava la zinna, e lui non la voleva; gli dava la farinata, lo stesso; aveva anche chiamato il medico; o che cosa doveva far di più? Io stavo intontito a guardare il mio bimbo. Mi ero seduto su la sponda del letto e gli appressavo la bocca su le labbra enfiate da cui usciva un alito infocato. Lo chiamavo: Ciccu, Ciccu! Non apriva nè pure gli occhi! Il catarro gli serrava la gola per modo che, respirando penosamente pareva rantolasse. — Senti, io stasera non vado alla ritirata. M'infischio di tutto, io! Tinuzza si stizzì. Che diamine! O non c'era lei? Per un po' di mal di gola, una semplice frescata, far tutto quel diavoleto! E s'io insistetti dal canto mio, lei insistè più ancora. Diceva fra i denti: — Maledetto il momento che fu generato! — Ma non si spiegava chiaro per paura di me, sapendo che adoravo il bambino. Quando furono le sette, mi si piantò davanti; disse ruvidamente: - Senti che sona! Insomma, vai o non vai? Per me, se ti ficcano in prigione poco m'importa; ma deve importare a te, che non potrai più mettere il naso fuori. E di Ciccu, di', chi ti dà notizie, allora? Io, lo sai che in quartiere non ci vengo; già, neppure mi farebbero passare. In quel momento un urto convulso sollevò il pettuccio del piccolo malato; la tosse che doveva uscire a colpi non trovava in quell'esserino la forza per isfogarsi; lui si dibatteva, si lamentava, soffocato.... Io me lo presi in braccio, e sollevandolo cercavo di farlo star un po' meglio; ma inutilmente spalancava gli occhi, apriva la boccuccia: il catarro gli metteva in gola come un involto di bambagia. A momenti la faccia gli diventava livida. Come un pazzo, per lo spavento che mi morisse lì per lì fra le mani, lo posai di nuovo su 'l letto e corsi in cerca d'un medico. In due farmacie mi fu impossibile trovarlo. Nella terza, un grosso dottore stava seduto sur una poltrona e parlava di politica col ministro del negozio, quietamente. Quando mi videro arrivare così trafelato e che gli raccontai il fatto, il medico s'alzò, rivolse ancora quattro parole al farmacista a proposito del discorso da me interrotto, e mi seguì fino a casa. Visitato il piccino, disse che si trattava di crup; scrisse in fretta una ricetta e promise di tornar al mattino presto. — Vai o non vai? — mi chiese Tinuzza forse preoccupata della punizione che doveva aspettarmi. Diedi un altro bacio, un altro sguardo in cui lasciavo l'anima mia a quel povero corpicino scarlatto per la febbre, e a capo basso, di corsa, tornai al quartiere. Prima che ne varcassi la cancellata, sonava il silenzio. Andai in prigione, si capisce. La vita militare non conosce riguardi. Il regolamento... non esiste altro al mondo. Allora scrissi due righe a Tinuzza. Ero disperato, mi sarei dato la testa contro i muri: le dicevo che per cinque giorni avrei dovuto star chiuso senza veder nè lei nè il bambino; il bambino sopra tutto mi premeva; badasse a curarlo, a non fargli mancar nulla, a chiamare il medico quante volte al giorno c'era bisogno; magari ci fosse voluto tutto quel poco che avevamo in casa; vendesse pure anche la biancheria, non m'importava, per amor del bambino. II domani, questa lettera fu rimessa a mia moglie da un mio compagno informato della faccenda. II caso volle — dico il caso, vede, signora, non dico la fortuna — ch'essendo quella la mia prima punizione, mi venisse diminuita da cinque a tre giorni. Avevo un capitano ch'era un cuor d'oro, ecco come fu. Appena fuori di prigione, all'ora dell'uscita, mi precipitai a casa. Il cuore mi batteva; mi sembrava che i miei piedi si mangiassero la strada. Bella Madre! Come l'avrei trovato, il bambino? Penetrai come un fulmine in portineria, e mentre cercavo d'aprir uscio di camera di mia moglie, la sora Rosa, tutta turbata, me ne tratteneva. - Non entrate, per carità, che fate ? La sor'Agata non c'è, — diceva essa balbettando - aspettate, aspettate ! - Perchè non c'è Dov'è andata ? O non è malato il bambino ? La vedova mi guardava, smarrita. - Ma che cosa è accaduto, per la Madonna? — urlai io inferocito — voglio saperlo ! La sora Rosa mi s' era avvicinata, più pallida d'un cadavere; mi prendeva per le braccia ; mi faceva de' cenni senza significato, e tremava, tremava sempre più. Io la respinsi, buttandola da parte, e dati alla porta un paio di colpi di spalla con tutta la mia forza , apersi. Volevo veder il mio Ciccu ; non intendevo ragione. Ma il bambino non c'era; il letto era vuoto : soltanto un po' acciaccato sur una sponda. Vidi Tinuzza mezzo svestita, con una treccia de' suoi capelloni biondi disfatta su 'l petto; e vidi Puddu Cassione, che cercava nascondere la sua alta statura dietro certe gonnelle di lei attaccate a un chiodo su 'l muro. C'erano su la tavola due bicchieri di vino quasi vuoti. Mi bastò un'occhiata per capir tutto. - È morto, è vero, è morto?... — mugghiai peggio d'un bufalo. Lei si coprì la faccia con tutte e due le mani. Non rideva più. - È morto, e to fai la.... — Prima di finir la frase le avevo piantata la mia daga nella gola. Nella confusione che seguì, il furiere se l'era svignata. - Il barcaiolo tacque. Il crepuscolo s'oscurava diffondendo una tinta di mistero su la distesa enorme dell'acque. La signora sollevò la testa; quel dramma semplice e plebeo l'aveva scossa. - Perchè, — diss'ella — condannarvi a una così lunga reclusione quando c'erano tante attenuanti in vostro favore? - Ero soldato — spiegò lui; — e poi dicono che non li avevo sorpresi proprio su 'l fatto. Insomma ci sono, e pazienza — concluse filosoficamente. - E dovrete restarci ancora un pezzo? — chiese la signora. - Altri dieci mesi soltanto. - Poveretto! Non vi parrà vero d'uscire! — fece ella, tutta intenerita. L' ex bersagliere gettò indietro la testa e respirò fortemente, come se i polmoni gli si aprissero a un'aria balsamica, nuova. - Sfido io! — diss'egli. — Vado subito a far la pelle a Puddu Cassione.

Il barone si mise il cappello in testa, come se fosse stato solo; accese un sigaro d'avana, poi si voltò verso Leda Degli-Angeli, seduta sur una poltroncina larga e bassa dinanzi al caminetto acceso, e tutta intenta a rimetter con le molle su gli alari d'acciaio traforato certi tizzi ribelli che, smossi, sprizzavan barbagli rossi e gialli. — Domani, ch'è la vigilia, non so se potrò capitar da te — diss'egli. Leda non rispose. Lui continuò: — La vigilia, ci sono le visite ai parenti, si sa. Chi se ne libera? Ma... non dubitare, ti mando un regalo. Ella annuì con un mezzo sorriso, indifferente. E poi che vide il barone togliersi di bocca il sigaro, rovesciò la bella testa su la spalliera della poltrona, e gli porse la fronte al saluto abituale. L'uomo la baciò a fior di labbra, e uscì. Allora, Leda, posate le molle, abbandonò il fuoco, i cui bagliori interrotti, ineguali, a quando a quando la illuminavano tutta improvvisamente, per lasciarla poi quasi subito in una mezz'ombra senza tinte spiccate, nella quale la bianca veste da camera che l'avvolgeva con le sue molli pieghe di lana orientale e la pelliccia nivea della guarnizione, lasciavan come una vaporosità da fantasmagoria. S'era méssa a passeggiare su e giù per il salotto, con le braccia incrociate. — Finalmente! — esclamò sottovoce, parlando a sè stessa, quando ebbe inteso il tonfo cupo del portone del villino che si richiudeva dietro il barone. E dato intorno uno sguardo, naturale a chi vuol assicurarsi che nessuno lo spia, si sbottonò un po' la veste sul seno e si tolse di fra' merletti odorosi del busto una lettera tutta spiegazzata, ma ancora chiusa. Su la soprascritta, una calligrafia grossolana e incerta aveva tracciato alla meglio questo indirizzo: «Alla signora Giovannina Bitossi, ferma in posta.» La giovane donna ruppe il sigillo, e si pose avidamente a leggere. Quel foglio, listato di rigoline rosse per guidare la mano non a bastanza esperta a scrivere in linea retta, portava poche frasi, tutte semplici: «Mia cara Nina, «Lunedì mattina il babbo scese al Borgo, e Menico, il procaccia, gli consegnò la tua lettera col vaglia delle trenta lire. Io con tuo padre ti mandiamo tanto a ringraziare. Ma ci rincresce se tu avessi a restare senza soldi per farti il necessario in queste feste, per mandare a noi tutto quel che guadagni con fatiche e sudori, che si sa che costa assai servire in casa d'altri. Ma noi ti ringraziamo, che tuo padre si è fatto un paio di scarpe e una camiciola nova per me e per lui; anche c'è avanzato qualcosa, e ora tieni pure i soldi, che ti possono far comodo. «Figlia cara, ti mandiamo la benedizione per queste sante feste del Santo Natale, e sabato notte, se il Signore mi fa la grazia che ascolti la messa pregherò tanto Gesù Bambino e la Vergine Beata che ti tenga sempre le sue sante mani in testa. «Non dubito che anche te farai le tue devozioni come è dovere del cristiano. Dirai per me ai tuoi buoni padroni che indegnamente raccomando anche loro al Signore e gli dirai che così lontano non ho altra consolazione che pensare che non ti manca niente. Addio, figlia mia cara, ti salutano i fratelli e Giulietta. E io e tuo padre ti mandiamo un bacio. «Tua madre. «Buone feste. Addio, addio.» Dopo che Leda ebbe percorso con un'unica occhiata l'intera lettera, mentre nervosamente continuava a inghiottire, a inghiottire, come chi ha qualcosa che gli serra la gola, accostò vieppiù la poltroncina al camino, vi si sedette di nuovo, e prona innanzi, per aver più luce dalla fiamma, tornò da capo a leggere: adagio questa volta, quasi avesse voluto a quel modo allungare il rozzo scritto. Erano parecchie ore che se lo teneva nascosto in petto, pensando ogni poco, con gran desiderio, al momento in cui avrebbe potuto leggerselo in pace. Perchè que' fogli, che le giungevano tutt'al più una volta al mese, non li dovea veder alcuno all'infuori di lei. Se li andava a ritirare ella sola alla posta, guardandosi dietro, sospettosa, più che se si fosse trattato delle notizie d'un amante segreto; e per aprirli, aspettava d'essere libera della presenza di chiunque. Per la terza volta si rifece a scorrere la lettera del Natale: e ancora gli occhi le s' inumidirono nel punto in cui la madre mandava la benedizione; e ancora un sorriso amaro le increspò le labbra nel punto dove si alludeva a' suoi «buoni padroni»... Ah, povera vecchia, se avesse saputo !... Se avesse saputo che quella figliuola sua, la più cara, partitasi dalla casa paterna nell'inverno di una mala annata, in cui il fratello maggiore faceva il soldato in Africa e il padre urlava peggio d'un cane a catena, inchiodato sul letto dai dolori nelle ossa, partitasi per cercar a Roma un servizio che procurasse il pane a lei e qualche picciolo d'aiuto alla famiglia, aveva finito invece... Com'era successo il fatto? Dio mio, come succedono quasi tutti questi fatti volgari e malinconici. Venuta in città con la buona intenzione di lavorare, Leda, che aveva nome Giovanna, senza curarsi allora se quel nome fosse troppo comune, entrò in una casa trovatale da un' agenzia di collocamento per le persone di servizio; poi, col tempo, con le seduzioni dei regali, forse anche, chi sa! con un po' d'amore, era diventata l'amante del proprio padrone, un giovane vedovo con due bambine. Dell'abituccio di lana marrone, dello scialletto nero per le spalle, della pezzuola fiorata per la testa, portati dal villaggio nativo, aveva fatto un involto; e si era vestita da cittadina, col cappello. Così passarono un paio d'anni di benessere relativo; fino al giorno in cui il vedovo significò alla governante delle sue creature ch'egli era determinato a sposare una sorella della moglie defunta: donna non più giovane e nèanche bella, ma a cui le bambine volevano un bene dell'anima, perchè passando esse la maggior parte del giorno coi nonni, avean trovato in lei una seconda madre. Fu poco dopo aver detto addio, non senza lacrime, a codesta sua famiglia d'accatto, d'onde era licenziata, che la ragazza si gettò a capo fitto nella vita di avventure. E un altro paio d'anni erano scorsi tra una alternativa di bene e di male: materiali, s'intende; due anni in cui Leda Degli-Angioli (era il nome affibbiatole da un poeta tutto preziosità, che l'avea amata una settimana) avea vissuto, ora mostrandosi sfolgorante di lusso e di gioielli, ora nascondendosi alle sue conoscenze perché teneva impegnata al Monte di Pietà tutta la sua roba... eccettuato l'involto dei panni campagnuoli. Mette conto di narrar e con minuzia di particolari le vicende di questa «una fra tante»? Non mi sembra; e, del resto un simile studio di miserie di ogni genere non entra in questo breve e buon racconto di Natale. Dopo molti cambiamenti di amici e di cose, da circa un anno un signore assai ricco e serio si era messo a proteggere Leda. Le aveva preso in affitto un villino al Macao; e lì, quanto spesso glielo consentivano i suoi affari di banca e la sua parentela aristocratica e numerosa, il barone veniva a visitarla, a tenerle compagnia nelle ore della colazione e del pranzo. Fuori, seco, egli non l'aveva mai condotta; tranne all'estero dove ella era ignota. Ma di che cosa avrebbe potuto rammaricarsi la bella ragazza? Aveva la casa piena di mobili di costo e di gingilli capricciosi, su cui si spampanava ogni giorno una profusione di fiori freschi, esalante un odor molle ed acuto, misto al profumo artificiale di certe essenze esotiche onde ella amava cospargersi i vestiti e i capelli; aveva una pariglia di roani desiderati da più di una dama autentica, e due cavalli da sella, uno inglese e l' altro arabo, sui quali gli occhi di tutti, intenditori o no, si posavano ammirando; andava a qualunque teatro in seconda fila; le sue acconciature si citavano come campioni di eleganza. Era felice, dunque. Tanto felice da invidiare le poverette che, la domenica, a passeggio fuori d'una porta, accompagnano il marito mezzo ubbriaco, ma si trascinano per la manina qualche bambinello sorridente. «... Ci rincresce se tu avessi a restare senza soldi per farti il necessario in queste feste...» Leda lesse ancora; e un sospiro le salì dal petto: un sospiro in cui qualcosa d' interno, di profondo, sembrò venir fuori con uno strappo... Povera vecchia! Fortuna che ignorava tutto! Per lei, la sua figliuola era quella del giorno in cui si eran separate: faticava, soffriva per mandare a' suoi genitori qualche soccorso mensile di denaro: un soccorso venuto egualmente anche quando il fratello maggiore, terminato il servizio militare, era tornato a casa, a lavorare nel campo con più robustezza di braccia, con più voglia di prima; anche quando il padre avea riacquistata interamente la salute. «A me non ci dovete pensare» — scriveva la giovane ai suoi, con la calligrafia chiara e regolare di una buona scolara — «cioè, pensateci soltanto per mandarmi la vostra benedizione. Di quella ho gran bisogno.» La madre, dal canto suo, all'arrivo delle lettere da Roma, piangeva di desiderio della figliuola che temeva di non riveder prima di morire; di commozione per quella costante tenerezza dell'esiliata verso la famiglia lontana; e su gli occhiali dal metallo annerito cadevan calde e grosse le lagrime, per modo da offuscare il vetro, annebbiandole la stanca vista. Lentamente, con le pupille dilatate, fisse sui tizzi che s'erano a grado a grado tutti infocati ma non lingueggiavan più in fiamme, non crepitavan più, sembrando, nella loro immobilità, come dipinti, Leda aveva ripiegata la lettera materna; e si era raggomitolata nella poltrona. Pensava: forse a casa sua, forse a tutt'altro. D'improvviso, nella via, sotto il terrazzo, echeggiò il ritornello nasale, pastorale, monotono di una zampogna: una delle solite zampogne che certi montanari, per antico uso, scendono a sonar in città durante la novena del Natale, lusingati dal guadagno di pochi soldi gettati loro dalle finestre o dati dai passanti pietosi. Allora, la giovine donna ebbe un sussulto. Tese l'orecchio, e ricordò. Ricordò un camino che non era quello davanti a cui ora trovavasi; un camino grande, di vecchia pietra, con la cappa ospitale piena di fuliggine e di novelle paurose e gentili, che avean dati tanti strani sogni alla sua infanzia. Seduta in giro, scaldandosi alla fiammata di tronchi enormi, stava la sua gente, silenziosa, con la corona in mano, attenta però al paiuolo dove avea messo a bollire le castagne, in aspettativa che la campana chiamasse la prima volta alla messa di mezzanotte. Di lontano, di tanto lontano ch'ella nè pure sapeva dove potessero trovarsi, le zampogne facevano udir le loro note esili e penetranti, portate dal vento, ora distinte, ora confuse, come un mormorio di voci infantili che pregassero. Da nove giorni, tutto il tempo della novena Natalizia, le zampogne sonavano quasi senza interruzione in onor del Fanciullo Divino, il Redentore dei peccati del mondo. Poco dopo, qualche nota più sonora, più larga, vibrava nella pace alta della solitudine: la campana della chiesa. Era tempo d'avviarsi. E allora, ben imbacuccati, gli uomini ne' ruvidi ferraioli, le donne negli scialletti di lana, si chiudevan, dietro, la porta di casa: quella porta che in campagna non si chiude quasi mai — e uscivano tutti l'uno dopo l'altro, come in processione, incamminandosi verso la parrocchia che sta su su in vetta, dove la tramontana soffia tanto forte che a momenti, in quelle notti, mozza il respiro. Intorno, un biancicore uniforme copriva ogni cosa: campi, alberi, forre, elevazioni di terreno, a perdita d' occhio, per modo che chi non era pratico dei luoghi, non sapeva dove posare i piedi, impacciati, affondati nella neve. E le zampogne, ora di lontano, ora come avvicinate, a seconda del vento, accompagnavano fide, co' loro ritornelli eguali, con le loro note nasali ingenuamente aggruppate, ogni passo di quel pellegrinaggio notturno. In alto, scintillavano le stelle, tremuli brillanti oscillanti sul cielo quasi tutto sgombro di nuvole, tranne in un lembo remoto, dove ancora vagava qualche fiocco sfilacciato di vapor candido. Il padre, cautamente, andava innanzi con in mano una lanterna, esplorando la strada col proiettare ora qua ora là il chiarore della fiammella, che sembrava piccola come quella di una lucciola in quella gran solitudine nevosa. Dietro, gli venivano i figli maschi, ogni tanto Contessa Lara 23 sghignazzando, se mettevano un piede in fallo; ogni tanto rompendo il silenzio con un motto burlesco. Poi seguivan le donne: prima la madre, che pregava devotamente il Bambino Gesù ad alta voce; quindi Giovannina con la sorella Giulietta, quasi una bambina, attaccata alla sottana, perchè avea paura delle tenebre, del freddo, di tutto. Il cammino era lungo; ma a loro non sembrava tale: conoscevano tutti gli alberi, tutte le svolte dell'erta, quasi direi ogni ramo degli alberi, ogni cespuglio delle siepi, allora spogliate di foglie, ischeletrite, ma coperte di ghiacciòli come d'uno strato diamantino Un formicolio d'ombre nere, tutte sfigurate da' cappotti, brulicava già davanti alla spianata della chiesa: il popolo della parrocchia, ch'era sparso in casolari nascosti ne' campi, a mezza costa dei monti, tra i boschi, dovunque giungeva il rintocco pio della campana squillante a festa. Appena sonava il cenno, la chiesa riempivasi; e subito s'aprivano i baveri de' ferraioli, si calavano di capo gli scialletti, scoprendo il viso giocondo di tutti que' montanari, che prima parevano mascherati. Un tepor dolce si spandeva di lì a poco tra le pareti bianche di calce della chiesetta: certe pareti che si sarebbero dette anch'esse composte di neve, tanto eran candide ai lumi delle candele accese a gruppi. Accanto all'altar maggiore stava la nicchia del Presepe, con una fioritura di pastori, d'alberelli di legno tinto e di lumi, sopra tutto di lumi. Quel punto, dicevan le donne, era un paradiso. Costì, più che altrove, la gente si pigiava, tra spinte, gomitate, e invocazioni sacre. Il priore, bravo vecchio che Giovannina avea sempre veduto a quel posto, recitava di sèguito le sue tre messe di rito, e infine benediceva il suo popolo con gli occhi lustri di pianto, con la voce che gli tremava in gola. In tanto, dentro, sonava l'organo, allegramente, un'antica aria da teatro chi sa come giunta là su; e, fuori, le zampogne, discordanti, ma dolci nella loro selvatichezza, sonavano, sonavano monotonamente, pastoralmente. La ragazza, la madre, la sorellina, il padre, i fratelli, e con essi tutti coloro ch'erano in chiesa, ricevevan quella benedizione in ginocchio, a capo chino; e una grande serenità entrava in quei cuori semplici, una grande allegrezza li facea battere, sapendosi che in quell'ora, in quell'istante medesimo Gesù tornava bambino per salvar le loro anime, piene di fede in lui, d'amore in lui... E dopo, che bella corsa giù, per la scesa, sfangando nella neve, per rientrar presto a casa! Uno si sentiva più leggiero, quasi rinato anche lui. I cani abbaiavano di gioia, saltellando in torno ai padroni davanti alla porta dove avean fatto la guardia; il fuoco s'era mantenuto vivo; scintillava, anzi, più che mai nell' ampio camino che allargava il suo manto di pietra; la legna scoppiettava, susurrando una cantilena piana piana, in armonia col gorgoglìo del paiuolo. E la povera famiglia, prima d'andare a letto, mangiava le castagne bollenti, beveva qualche buon bicchiere di vino invecchiato da molti anni in cantina, facea festa in modo casalingo e patriarcale, al Salvatore del mondo. Ah, Signore, come erano mai lontani quei tempi! Cinque anni passati in vicende tanto varie, tra gente così diversa; cinque anni che, per esempio, alla Giulietta saranno volati come giorni, a lei, invece, sembravano secoli!... In tanto, era proprio sul punto di tornare un'altra volta il Natale. Là su, ne' suoi posti, l'avrebbero festeggiato secondo il solito, religiosamente, semplicemente. Ma essa, Leda, come lo avrebbe fatto? Sola? O pure in compagnia di persone indifferenti, che non soltanto ella non amava, ma a cui nè anche voleva un po' bene?... Con dolcezza insistente, la zampogna che avea cessato di sonare mentre la giovane s'abbandonava alle sue memorie e tornava addietro con esse, riprese il suo monotono ritornello; ma in lontananza, come se andasse affievolendosi, e finisse a dileguare fondendosi in nulla entro i rumori innumerevoli della città enorme. Leda corse alla finestra e la spalancò, per udire ancora quel suono fuggevole. La zampogna era ormai troppo lontana o taceva; solo un brusio di voci, un frastuono di ruote in movimento salì al salotto e parve riempirlo. Allora, ella richiuse i vetri e si asciugò gli occhi, sorridendo. Aveva un progetto. Voleva rivedere il suo villaggio, il Natale di là su, e innanzi tutto, oh! innanzi tutto, la sua vecchia mamma, dalla faccia chi sa come rugata, ma forse sempre rosea, certo sempre tanto buona! Voleva starsene a casa, magari per poche ore, per un'ora sola! Poi... sarebbe tornata... si sa. Senza perdere un minuto, premette un campanello elettrico. Comparve un servo. - Chiamatemi l'Adele! — ordinò la giovane donna. Di lì a poco si presentò la cameriera. In tanto, Leda aveva scritto su due fogli diversi una lunga lista di commissioni. - In questi luoghi andrai tu... subito - disse ella all'Adele, porgendole uno dei due fogli. Dalla modista aspetterai la consegna della roba. Queste altre facende le sbrigherà Ranieri... subito. E diede l'altra carta. - Ma così, la signora resta sola in casa? - si permise di osservare la donna. - Non importa... Ad ogni modo c'è sempre il cuoco — fu la risposta. Mentre l'Adele se ne andava, la padrona la richiamò: - Ascolta qui... Se... per caso, tornando, tu non mi trovassi, non stare in pena. Forse parto per qualche giorno... - La signora non fa il Natale a Roma? — chiese ancora la cameriera. Leda, senza badare, riprese: - Se in questo tempo venisse il signor barone, gli dirai che sto bene, ma che mi annoiavo... Gli spiegherò al mio ritorno... Hai capito? - Sissignora — mormorò l'Adele con un impercettibile sorriso. Quando Leda si fu assicurata d'esser ormai libera nell'appartamento, corse nella sua camera da letto, e aperto un baule chiuso a chiave, che figurava un cofano da corredo del quattrocento, ne tolse un involto ripostovi in fondo, che ogni tanto tirava fuori quando era triste. Da un pezzo, però, non lo aveva guardato. Erano i panni co' quali ella era venuta a Roma: poveri panni rimasti quasi nuovi, ma sgualciti per il molto tempo ch'eran rimasti piegati. L'oggetto che primo le venne in mano fu il fazzoletto a rosoni sur un fondo giallo che, da fanciulla, ella soleva portare in testa; corse allo specchio, e lì se lo annodò sui capelli; poi scoppiò in una risata. Ora che non era più avezza a vedersi a quel modo, le sembrava. d'esser buffa. Aveva spiegata la sottana; la scosse, e se l'infilò presto; era larga e sgraziata. E indossò il corpetto; troppo corto di vita, troppo corto di maniche. Ah; c'era anche il grembiule! Quello poi era quasi intatto: rossigno e bianco, di cotonina a quadrelli. Dio, come aveva freddo! Così leggiera codesta lanetta, massime per lei abituata adesso alle pellicce! Fortuna che c'era lo scialle! E se lo avvolse al busto. Non rideva più; s'era fatto d'un pallor di cera, come sul punto di venir meno. E quando quel costume contadinesco, ormai completo, le fu addosso, ella si fermò in piedi, con le braccia penzoloni e la faccia avanti a osservarsi dinanzi allo specchio, che la rifletteva tutta; sembrava cercar di riconoscere sè stessa. A un tratto mise un grido soffocato, rauco, quasi bestiale, si coperse il viso con tutte e due le mani e scoppiò in un pianto dirotto... Nessuno la vide attraversare la casa; e, certo, chi l'avesse scorta per istrada non poteva ravvisarla. Presto, quanto le forze glielo concedevano, camminò fino alla stazione: dove per più di un'ora aspettò la partenza del treno. Come Dio volle potè finalmente entrare in un carrozzone di terza classe, tra villani, balie, soldati in congedo, ed altri ordinari compagni di via. Aveva il biglietto fino a Castelnuovo. Di lì al Borgo la portava la diligenza del procaccia; da Borgo in su avrebbe chiesto qualche calesse, o una bestia da cavalcare: un mezzo qualunque per andare a casa. Tutte quelle ore di viaggio l'avevano affranta. Era stata muta tra le vicine loquaci; seria tra le risate e i motti scurili degli uomini. Ma venne il momento di scendere, di sgranchirsi le gambe, di respirare un' aria non infetta dalle spuntature dei sigari. — Menico! — diss'ella accostandosi al procaccia del suo paese, il quale stava fermo col legno sgangherato innanzi alla porta d'uscita della piccola stazione. L'uomo, cui quella voce non giungeva nuova, guardò la femmina. - Dove andate? — le domandò. - Al Borgo, anzi, a Montaguzzo. O non mi riconoscete?... Giovannina... Il procaccia si lasciò sfuggire una bestemmia a mo' d'interiezione. Poi continuò: - Ah, perdio, perdio! Ma sapete che vi siete fatta bella? E civile, non canzono! Leda si fece di bragia in viso. - Salite — la invitò l'uomo — piglierete meno freddo. Oggi c'è un ventaccio! Fatta accomodar la ragazza accanto sè, Menico, lungo il cammino, le andava rivolgendo diverse domande: - Si sta bene, eh, a Roma? Ella fece con la testa un cenno che il bravo uomo credette affermativo. - Ah, lo credo! — riprese, convinto — e mi figuro che non siete tornata per restare a Montaguzzo. - Non, so... — rispose lei. L' uomo badava a guardarla. - Ma, proprio, a Roma vi siete fatta un'altra! Più bianca, che so? meglio di prima, insomma. Ella ebbe un leggiero sospiro, inarcò le ciglia e tacque; rispondendo poi soltanto a monosillabi a tutte le chiacchiere di costui. Scesa dalla diligenza, si mise a cercare per tutto il Borgo un veicolo qualsiasi che la portasse su dai suoi. Nulla. La vigilia del Natale ciascuno se ne stava a casa propria e non se ne volea muovere per nessuna ragione. — Prestatemi un asino, un cavallo; vado io sola — pregava la ragazza. Ma non potè ottenerlo. Chi riconduceva poi la bestia al Borgo? Allora, ella si determinò a far la strada a piedi, senz'altra compagnia che il desiderio di arrivar presto. E si mise coraggiosamente a salire verso Montaguzzo. La campagna, anche con l'andar degli anni, conserva quasi intatto quell'aspetto che le si è conosciuto da molto tempo; costì le viuzze rimangono le medesime; le stesse siepi, gli stessi pezzi di muricciuolo, i medesimi avvallamenti di terreno; di rado c'è qualche casa colonica fabbricata di fresco: una casa che nulla cambia, però, all'insieme del paesaggio. A Leda pareva d'essere scesa al Borgo, come era solita fare da fanciulla, a comprarvi qualcosa che non si trovava nel suo casolare. Lo stesso orizzonte di cime nevose, le stesse casupole, gli stessi alberi, sto per dire gli stessi sassi del cammino, le venivano innanzi agli occhi. Ogni poco si fermava per guardare: là era Casalfranco, là Roccapicco, là Torrarsa; e si fermò tante volte, che fece notte. Quando si vide intorno il buio, cominciò a correre; tale quale nella sua infanzia, quando avea fatto tardi e temeva d' essere sgridata dal babbo. A momenti le mancava il fiato: le gambe non la reggevano più: un sudore freddo le inumidiva le tempie, ghiacciato vieppiù dalla tramontana. Quando aperse il vecchio cancello di legno, tutto tarlato e vacillante sui cardini, che metteva nella viottola, in linea retta, a pochi passi della sua casa, la ragazza era sfinita di forze. Un cane, fiutando qualche estraneo, le si precipitò incontro, abbaiando a squarciagola. Ella non poteva vederlo. — Fido! Fido! cominciò a chiamare con accento amico. Non era Fido; ma un compagno di lui, che appena ebbe riconosciuta l'antica padrona, mutò tono e prese a fare un baccano infernale per manifestare la sua contentezza. Venne gente su l'uscio. - Chi è? — chiesero diverse voci esili e robuste in coro. - Sono io! — rispose la nuova arrivata. - Chi? Ma la madre che non l'aspettava, la madre che non ci vedeva, le corse addosso e se la prese tra le braccia, stringendola quanto quelle povere braccia vecchie potevano stringere. - Tu, Nina mia, tu? — badava a ripeterle. Leda le aveva chinato il viso su la spalla, e non le diceva nulla: piangeva. Fu una sera felice. Sotto la cappa ospitale del camino di antica pietra, dove eran volate via insieme alle faville tante belle favole, la famiglia si raccolse anco una volta in giro, aspettando che sonasse la campana della chiesa. Le zampogne faceano echeggiare le loro note ingenue, le loro cantilene selvatiche in lontananza, come prima, come sempre; e nel paiuolo bollivan le castagne. Soltanto, invece delle novelle di fate, Leda udì dal suo fratello maggiore il racconto della vita dei soldati d'Africa: vita penosa ed eroica; poi dalla Giulietta l'idillio di un suo amore virginale per un garzone di fattoria al quale ella era fidanzata. Così si fece l'ora di recarsi alla messa; e come prima, come sempre, uscirono tutti in processione; il padre, innanzi agli altri, ormai lento nel camminare, con la lanterna in mano. L'aria era fredda; ma sul terreno, sonoro perchè ghiacciato, dove battevano le grosse scarpe ferrate, non si vedeva traccia di neve; qua e là, anzi, restavan su' rami de' frutti Contessa Lara 24 e degli arbuscelli parecchie foglie ancor verdi o appena ingiallite: la stagione era stata mite. Come al solito, Leda aveva accosto la sua sorellina, non più attaccata alla sottana, ma al braccio; la madre, più curva, seguitava a pregare ad alta voce Gesù Bambino; gli uomini parlavano famigliarmente. Quando la famiglia si fu aggruppata in chiesa, Leda s'inginocchiò presso un confessionale, nell'ombra, vergognosa di farsi fissare in viso dagli estranei curiosi di rivederla; e lì, mezzo seduta per terra, mezzo in ginocchio, stette per quanto durarono le tre messe di rito. A momenti pregava; la più parte del tempo fantasticò. E le parve così naturale di trovarsi lì tra i suoi, nella chiesetta del suo villaggio nativo appollaiato su' monti, mentre alla voce del parroco si univano le note dell'organo che ripeteva la vecchia aria di teatro, chi sa come giunta là su, e le note delle zampogne festive, selvatiche, insistenti; le parve così benefico quel tepore, accresciuto sul proprio corpo dalla lana del suo umile scialletto, di popolana; così sereno il sorriso che le volgeva ogni poco sua madre, ch'ella si domandò con pietosa incredulità se era lei, lei veramente, la quale per anni e anni avea vissuto lontano da quel centro di purità e di pace, tra gente ignota, senza affetto, senza fede, senza stima. Era stato un sogno brutto e cattivo?... Forse. Ah, Vergine Santa, Gesù Bambino, misericordia!.. Quando tornarono giù, verso casa, la Giulietta, tutta serrata al suo braccio, le domandò piano: - Di', rimarrai sempre con noi? La sorella maggiore chinò la testa, e rispose più piano ancora: - Credo di sì. FINE.

II sole estivo della prima ora pomeridiana saettava il fitto selciato della piazza e le case dalle finestre ermeticamente chiuse al caldo, mentre il vento stracco e afoso incanalavasi a sbuffi cocenti nel vasto androne del Monte di Pietà, in cui passava di continuo, entrando e uscendo, una processione di gente la più diversa. In quell'androne e nei suoi pressi stanziavan, come al solito, gruppi di femmine ciarliere per cui l'aria rintronava d'un cicaleccio di note alte e stonate. Erano per la maggior parte sensale o procaccine, così dette, che Contessa Lara.10 s'intrattenevan fra loro di cose famigliari, interrompendo ogni momento il racconto delle proprie e delle altrui faccende, per rivolgere ai passanti un'offerta di servizio: - Ci avete da fare un pegno? - - Vi servo io? - - Che cosa mi comanda? Venga, venga qua! — Molte donnicciuole con fagotti sotto il braccio, avvolti dentro un panno in cui dovrà esser segnato il numero corrispondente alla polizza, traversavan quei gruppi: facce gialle e ossute di femmine macilenti, logorate dalle privazioni e dal vizio; larghe facce chiazzate di rosso come un vecchio fazzoletto che il bucato abbia stinto a chiose, col naso violaceo per le frequenti libazioni, rotondo e lucido per il lieve gonfiore ch'esse producono. Questi visi gialli come malati per febbre palustre o lividi d'un color di feccia di vino, s'agitavan su certi corpi scheletriti, coperti a pena d'uno strato di pelle che ha perso ogni morbidezza, o posavano su masse di carne disfatta, cascante massime al petto e ai fianchi sotto i cenci delle sottane di cotone increspate e delle vite luride e scolorite. Le sensale, o non badavano affatto a quelle plebee, sapendo che le più volte, per risparmiar soldi, costoro non si valgono dei loro servizi, o le guardavan di sfuggita, interrogandole a fior di labbra; ma non appena spuntava oltre il cancello nello stanzone d'ingresso una figura un po' meno miserabile, ecco subito le profferte di far esse il pegno echeggiare in coro. La figura meno miserabile, uomo o donna che fosse, fermavasi allora con una di quelle megere, scambiando qualche parola quasi sempre sottovoce: e in fretta sparivan poi insieme per le scale. Passava ora un cameriere di buona famiglia dal caratteristico viso sbarbato, portando un lungo involto nelle mani, che si riconosceva a prima vista per un astuccio d'argenteria; forse depositato al Monte per sicurezza in caso di partenza del proprietario, forse per urgenza improvvisa di danaro a causa d'un banco di zecchinetto fatalmente avverso. Sgattaiolava fra questa gente qualche moglie d'impiegato, modesta nel vestituccio nero o bigio, con le spalle leggermente curve, chiuse nella mantellina per lo più d'una forma uscita di moda: certe spalle rivelanti le lunghe ore scorse su la macchina da cucire o su la tavola da stiro. La donna aveva in mano una scatoletta ovale di truciolo, rilasciatale altra volta dal Presto con l'oggetto d'oro ritirato: povero oggetto che ora tornava di nuovo in prigione. E passavan vecchi dal soprabito che non avea più colore, dal cappello con l'orlo lustro d'unto, girando gli occhi di sotto in su, in cerca di qualche custode da loro conosciuto che accettasse, quasi per carità, un ultimo paio di lenzuoli grossolani e lisi mezzo nascosti in un giornale; passavan operai con la giacca buttata a traverso su la camicia a quadrelli, un tempo turchiniccia; e giovani popolane sorridenti all'idea che gli orecchini di perle si mutassero in una «scampagnata» domenicale col «ragazzo.» A quando a quando, di rado, si vedeva una signora col viso coperto di una veletta di tulle, alla quale ella aveva fatta qualche piega sotto gli occhi e su la bocca, non si sa mai, perchè nessuno la ravvisasse in quel luogo; e camminava con andatura spedita, volgendo, però, il capo di qua e di là, come qualcuno a fatto nuovo del sito. Da una carrozzella, fermatasi di fronte al portone, scese, agile, una donna, con un'acconciatura estiva chiara, vistosa, con un cappello dalla tesa ampia, guarnito di una ghirlanda di fiori. A un suo cenno, una sensala le corse incontro e n'ebbe in consegna un grosso involto dal quale usciva fuori un lembo di sottana a falpalà di seta color di rosa, ornato con trine d'un bianco d'avorio così delicato da rivelarne subito il molto valore. La sensala trottò verso le scale; l'altra rimontò di slancio nella carrozzella dove si stese a mezzo, per attendere. E salvo poche eccezioni d'individui noti agli impiegati del Monte o tanto ben vestiti da raccomandarsi col proprio aspetto, quasi tutti coloro che s'ingolfavano dall'androne nella stanza d'ingresso e su per le scale, andavano a sedersi in fila su le lunghe panche di legno scuro destinate a chi aspetta il suo turno per accostarsi allo sportello donde scaturiscono i soldi presi a usura. Quasi in fondo a una di queste dure panche dalla spalliera diritta, stava una donna nè sudicia nè sciatta, ma vestita di cenci rattoppati di cotonetta nera a pallini bianchi: il lutto delle vedove povere. Mostrava più di trent'anni; ma considerando quanto invecchino la miseria e la fatica, si capiva ch'ella doveva averne ventiquattro o venticinque. Un bambinello gracile dalle labbra smorte e dai larghi occhi tondi e spauriti d'un celeste dei più pallidi, le piagnucolava in braccio, chetandosi ogni tanto per succhiarsi penosamente un ditino. La madre, lei, spaziava lo sguardo stanco per l'ampia camera, dove era un odor vago di panni muffiti e di polvere, ascoltando macchinalmente gridare dei nomi ignoti in mezzo a quella folla tumultuosa e umile. Non era bella, se bene non avesse difetti salienti nelle fattezze; ma davano alla sua figura una certa simpatica armonia quei profondi occhi d'un azzurro più cupo di quelli del bimbo e i folti capelli castagni, divisi su l'alto del capo e recati dietro le orecchie in due bande, con la classica semplicità delle Madonne. Quando il piccino, su'l punto di piangere, cominciava a stropicciarsi le palpebre inarcando la boccuccia biancastra, ella se lo cullava su le ginocchia, non ostante i tre anni di lui, come se avesse avuti a pena pochi mesi, e mettendo qualche sospiro represso, che usciva dalla metà in là come l'eco d'un singhiozzo, seguitava a stringere il bimbo al proprio seno, la cui curva nè pure appariva sotto le pieghe della cotonetta nera. Su 'l sedile, accosto a sè, teneva un fagottino che ogni poco tornava a palpare con le dita scarne, quasi avesse temuto che mentre ella badava al fanciullo qualcosa, di assai prezioso ne fosse sfuggito. — Se mi fate passar prima di voi, vi do da prender un caffè — le offrì una femmina spazientita dalla troppo lunga aspettativa, che girava e rigirava su 'l sedile la larga circonferenza della sua persona accanto al gruppo malinconico di quella madre col bambino. — È troppo tempo che questa creatura mi patisce — si contentò di rispondere la donna in lutto. E l'altra, seccata, riprincipiò a sbuffare. Qualche uomo, che passeggiava su e giù, con le mani nelle tasche o giunte dietro le reni, bestemmiava fra' denti la lentezza delle ore; sensale e femmine estranee andavano e venivano; da un'estremità all'altra, lungo le panche, correvan come fili elettrici domande e confidenze; il bambino si lamentava a intervalli, fioco. Quando venne il suo turno, la vedova si alzò di scatto, e afferrato l'involto fu a deporlo a un finestrino dove facevan ressa drappelli luridi e petulanti d'altre infelici. Col braccio che non sorreggeva il fanciullo la donna avanzò il piccolo fagotto, che l'impiegato, uno sbiadito giovanottello in berrettino, svolse con piglio d'indifferente superiorità. - Son due camiciucce.... — fece ella a mezza voce, quasi volendo scusar la pochezza del pegno — ma sono ancora buone....- - Buone a che? — chiese in tono fra rude e canzonatorio l'uomo; ed esaminava quei pochi cenci, enumerandone le magagne: - Qui c'è una rappezzatura; qua un'altra; qui consumatum est, e qui ride....» - Rise anche lui, da spiritoso, e acciancicando su 'l banco le povere camicie, le restituì alla donna. - Non può darmi nè anche qualcosetta? — domandò ella con un lieve tremor nella voce, sollevando su l'impiegato gli occhi turchini pieni di stupor doloroso. — Roba in codesto stato non ne prendiamo — sentenziò lui. Ella teneva su 'l braccio il pegno rifiutato fissandovi sopra lo sguardo, forse non persuasa ancora di dover perdere quell'ultima speranza di pane. Che doveva fare, che doveva fare, Dio mio? Per lei poco importava; quando è finita, è finita. Ma quella creatura innocente, digiuna dal giorno avanti!... Un pallore cinereo le si stese su 'l viso; sentì come se il terreno le traballasse sotto i piedi, poco mancò che il bambino non le cascasse di braccio.... Ma nell'atto che fece per serrarselo più forte al petto, gli occhi le si posarono sopra la propria mano che reggeva il figlio, e le rimasero due o tre secondi come affascinati dal cerchietto d'oro, la fede nunziale che le brillava all'anulare. L'impiegato ordinò: — Lasciate il posto agli altri! — e già stendeva la mano per prendere il pacco che un braccio di vecchia gli allungava, quando la vedova, rialzata la testa, con un gesto di improvvisa risoluzione, si levò l'anello, il quale stentava assai a uscire dal suo solco, e glielo porse dicendo: — Prenda questo! — L'uomo sparì, portandosi l'oggetto in una stanza interna. Il bambino, stanco di star chiuso in quell'afa puzzolente, si lagnava ormai senza tregua, appoggiata la testolina biondiccia su l'omero della madre: e tra quei piccoli singhiozzi gli tornava in bocca, interrotta dalle scosse del pettuccio convulso, l'orribile parola: Fame! fa-a-me! Finalmente, dopo qualche minuto, che alla poveretta parve un secolo, l'impiegato s'affacciò di nuovo al finestrino e le consegnò una polizza insieme a quattro lire.... — Fa-a-mee! — ripeteva la creatura. Ma già la madre correva giù per le scale col viso tutto sorridente rigato da due grosse lagrime. E per non pensare che aveva giurato al marito di portar seco sotterra anello benedetto senza mai esserselo sciolto, baciava e ribaciava la testolina languente del suo bimbo, susurrandogli con pazza allegria: — Ora mangi, bello di mamma, ora mangi! —

— gridò all'amico conte Sampieri l'avvocato Augusto Bencini col suo schietto accento toscano, entrando nel salone dell'«American Boarding-House», la grande pensione che tiene la signora Alford a Chiaia, proprio dove termina la villa. — Sempre qui piantato! Pare impossibile! Oggi che si sta fuori d'incanto, oggi ch'è una giornata di paradiso, proprio di quelle che si sognavano quando si venne a Napoli! Tutti escono a godersela, meno tu; tu che alle cinque stai qui solo, sprofondato nella medesima poltrona, a canto alla medesima terrazza, con gli occhi fissi su 'l medesimo cristallo della finestra, in somma tale e quale come t'ho lasciato stamattina alle undici! Ma sai che tu faresti scappare la pazienza a un santo? O che diamine hai, si può sapere? L' interrogato non rispose. Era un omino piccolotto, con una pancia rotonda, i baffetti d'un colore indeciso, (che dovevano essere stati fulvi, ma che adesso erano come gl'incerava il parrucchiere), col naso lungo sormontato da un paio di lenti d'oro e la testa perfettamente calva, come d'avorio tornito. Non rispose, ma fiatò forte su 'l cristallo della finestra e, appannato che l'ebbe, vi tracciò su lentamente con l'indice una E maiuscola; si scostò, piegando il capo a mo' de' pittori che vogliono giudicar l'effetto d'una brava pennellata, e mise un profondo sospiro. - Dio benedetto! Ma sai che sei più buffo d'una messa cantata? — ribattè il Bencini. — Siamo giunti a Napoli circa una ventina di giorni or sono; tu hai, grazie a Dio, salute da vendere, e pure dal terzo giorno del nostro arrivo non ti sei quasi più mosso di casa. - Mi piace questa casa — disse semplicemente il conte, stropicciando col fazzoletto le lenti che si era tolte di su 'l naso: e mise un altro sospiro ancor più profondo. - Che la ti piaccia, son contento ripigliava l'amico — tanto più che ti ci ho condotto io; ma che poi tu ti ci muri dentro è un altro par di maniche! Me lo dici, dunque, sì o no, che t'ha preso? Forse... ti dà fastidio la mia compagnia, e resti in casa per evitarla?... Se così fosse.... - Bencini! — lo interruppe l'amico. - E bene ?... - Bencini! — egli ripetè con un sospirone più profondo di tutti i precedenti. - Su via, spiegati, o mi farai andare in bestia! - Bencini! — disse ancora Sampieri col tono di chi prende una risoluzione finale — fosti tu mai innamorato? Il Bencini ebbe un gesto intraducibile che significava: E questo, come c'entra? — poi rispose sorridendo: - Bella domanda! Questa anzi è una posizione che non ho mai abbandonata per cinquant'anni di seguito, e mi par d'aver avuto un coraggio non comune! Ma ora che da un lustro quella posizione felice è soltanto un ricordo, mi stimerei un vecchio matto da legare, se certe corbellerie mi saltassero in testa: certe corbellerie che del resto — soggiunse in tono più grave — a te meno che mai possono venire, perchè, se non mi sbaglio, tu mi sei d'un bel po' più maturo, mio povero Sampieri. Questi tacque, e tirato fuori un fazzolettone di seta rossa a quadrelli, cancellò, a malincuore, si vedeva, la grossa E poc'anzi tracciata. Ma dopo un silenzio di qualche minuto riprese: - Bencini, posso confidarti un segreto? - Di', di' pure, mio caro, foss'anche un segreto di Stato; pur che amore non ci abbia.... - In questo caso posso risparmiarti la noia — interruppe il conte un po' stizzito. L'avvocato che in tanto s'era messo a passeggiar su e giù per la sala, gingillandosi con la catenella dell'orologio, si fermò di botto davanti al suo compagno, e tra commosso e incredulo gli domandò lentamente: - Ma Tonino, che dici su 'l serio o mi canzoni? Innamorato? Innamorato, tu? Contessa Lara. 19 L'uomo da' sospiri sospirò di bel nuovo, rivolto ancora al cristallo confidente, su cui si ripreparava a tracciar l'iniziale misteriosa. - Oh, Bencini mio! — scoppiò finalmente a dire — se tu avessi un briciolo di cuore, me lo dimostreresti in quest'occasione! - Sì, carissimo, to lo dimostrerei se; Dio liberi, ti vedessi affogare, bruciare, restar sotto un tranvai, e che so io? Vale a dire se ti vedessi correre un pericolo vero e proprio, ma ti confesso sinceramente che non mi sento capace a stemperarmi in lacrime perchè un vecchio collezionista di flauti s'innamora alla fresca età di sessant'anni, e di più, per la prima volta in vita sua! Questa è carina da vero, e non me l'aspettavo. Ma sentiamo, dunque, il tuo romanzo, perchè capisco che tu spiri dalla voglia di raccontarmelo. Butta fuori! - E a chi dovrei parlarne se non a chi n'è la causa? — sospirò il conte. - Io ne sono la causa? Io? — gridava l'avvocato cascando dalle nuvole, preso, questa volta, da un impeto d'ilarità romorosa. - Sì, tu, tu solo — insistè il poveraccio — perchè se non eri tu, non avrei mai messo piede nè a Napoli, nè in questa fatale pensione! - Sì che è proprio una urì di questo paradiso che t'ha rubato il cuore, eh? — continuava, ridendo, l'amico. — E mi permetti di nominarla? Sampieri anch'egli sorrideva con una strana smorfia a fior di labbra, e consentendo col capo mostrava grande soddisfazione d'esser finalmente giunto a intrattenersi col compagno dell'oggetto de' suoi sospiri. — L'indovino subito. La bella è certo Miss Gingerly, quell' inglese sui cinquanta, lunga, magra, angolosa come un angiolo del Cimabue, con due riccioli che sembrano due trucioli calanti sopra gli orecchi; Miss Gingerly, inseparabile da tre cose: le scarpe di gomma elastica, l'ombrello da acqua e il velo verde pisello; Miss Gingerly, che c'empie le tasche di libriccini evangelici... e.... - Stupido! - l'interruppe il conte in tono di supremo disgusto. - Dunque, non è lei? E allora sarà la contessa Bobriskoff, quella russa divisa dal marito che pare una tavolozza ambulante, tanti sono i colori coi quali s'illude di appianarsi e rifarsi il viso; ti avrà preso al laccio con le sue trecce sciolte a uso bambina, e incantato con le romanze slave che la ci bela tutte le sere in un trillo continuato quanto stonato. È lei, eh? Sampieri scrollava la testa, negando. - Come? — ripigliava l'altro — e tu macchineresti di portar la discordia e il disonore in quella coppia di pacifici olandesi de' quali ora non ricordo più il nome — un nome in ick o in ock — che mangiano silenziosamente e formidabilmente accosto accosto come due colombi? Oh, uomo immorale! Ma che seduzioni hanno mai per te gli occhi tondi, chiari e a fior di testa della signora e il suo naso largo all'insù ampiamente sottolineato dalla bocca?... - Grullo, grullissimo! — opponeva l'amoroso con aria fatua. — Smetti, per carità! Quella non è roba alla quale io tiri. - In questo caso non si sbaglia: sfido io, non c'è ora altre donne nella casa! Tu vagheggi le cupolesche rotondità e la facciona di luna rossa della vedova Alford, la proprietaria della pensione; ma perdincibacco, perdi il tempo, sai, caro! oh, se lo perdi! perchè il posto è bell'e accaparrato dal capitano Borise, quel Lupo di mare napoletano, brav'uomo, sì, ma tagliato con l'accetta. Lui, nella grassa vedova ha subodorati parecchi soldi, e non se la lascia sfuggire. - Cretino! Vero cretino! — masticava, come bestemmiando, il buon Sampieri, questa volta in collera per da vero. — Non c'è altre donne nella casa? E Emma, Miss Alford? - Che? Tu pretenderesti — chiese l'avvocato — di far la corte a quella bambina? - No, caro; intendo semplicemente d'offrirle il titolo di contessa Sampieri. - A quella bimba? - Bimba! Bimba, poi, non tanto. A sentir te parrebbe che quella figliuola fosse ancora nelle fasce! Miss Emma ha diciassette anni. Io... io ne ho certo parecchi di più, ma ho anche in compenso un bravo milioncino e mezzo che mi ringiovanisce non poco. Che te ne pare, eh, de' miei progettini? L'amico si fece quasi serio. - Sampieri mio, sono i progetti d'un matto, null'altro; tanto più che ci deve esser di mezzo anche un amoretto, perchè parecchie volte ho intesa Miss Alford parlare con la madre di un certo Toto.... E lo nominava in un tono.... — Nominava me, povero angelo! — esclamò il conte tutto lieto. — Che forse io non mi chiamo Antonio... Tonino? Lo diceva in napoletano, ecco. Ora — seguitava ragionando - se pretendessi combinar le cose da un giorno all'altro, sarebbe troppo pretendere; nè io sono uso a schiccherar dichiarazioni a bruciapelo, come uno studentino senza cervello; ma a forza di manovre abili e coperte, che so io? d'attenzioni mute e delicate, come dice appunto Emma che le piacciono, a forza di piccole finezze, di galanterie, e sopra tutto lasciando tempo al tempo, finirò per impadronirmi di quel coricino; perchè le donne, vedi, vogliono esser vinte così. L'avvocato ascoltava guardandolo fisso; poi domandò: - E quando intendi di cominciar l'assedio... spirituale? Il conte volse gli occhi in torno per assicurarsi ch'erano proprio soli, poi confessò sottovoce, visibilmente contento di sè: - Il primo passo è fatto, e secondo me proprio da grande stratega. Senti: sai di quel romanzo di Paoli, uscito ora, che si titola Lei sola? A te Paoli non piace, capisco, perchè scrive in barbarico, ma non si tratta di ciò; l'autore è il preferito di Miss Alford, e il titolo del suo nuovo libro mi conviene perfettamente. Io dunque non a pena questo volume è uscito l'ho comprato; ho posto un nodo di nastro celeste tessuto d'oro fra le pagine, alla scena — un po' ardita, se vogliamo — in cui l'eroina si leva in presenza dell'amante, lì seduto su 'l tappeto, certe calzette a trafori... - stile moderno, ma che fa? — e l'ho mandato alla mia Emma. Non ti pare un pensiero delicato farle pervenire in questo modo quel romanzo che certo ella desiderava? Con quel titolo eloquente, per di più? Con quel nastro simbolico, sopra tutto? - Amico, le mie congratulazioni sincere; quest'idea è il più bel giorno della tua vita! – declamò con enfasi canzonatoria il Bencini. — Soltanto io direi.... La conversazione sarebbe durata dell'altro se il leggiadro lupus in fabula non avesse spalancata proprio in quel momento la porta del salone. Emma Alford era una figura tutta settentrionale, alta e sottile, con un visetto ovale dalla pelle diafana come una bimba. I suoi larghi occhi d'una tinta luminosa, tra l'azzurro cupo e il grigio, si velavan sotto le ciglia nere che ne raddolcivano l'espressione un po' birichina. Ma la maggior bellezza di Emma erano i capelli, rossicci, ondulati, e lucidi come finissima seta; li portava rialzati su la nuca da un pettine di tartaruga bionda, senz'alcun artifizio, ma in una foggia grecamente elegante, e dietro il collo gliene cadeva qualche ciocca giù per le spalle. La bocca era rosea, un po' larga, fatta per ridere e per cantare, guarnita di dentini bianchi e uniti; e Miss Alford passava, a Napoli, per una gran bella ragazza. La fanciulla salutò con disinvoltura i due ospiti della pensione materna; poi si diresse verso la tavola di mezzo dove posò un libro, subito riconosciuto dal donatore. Impacciato e tremante, questi dichiarò ch'e' stava su 'l punto d'uscire, e balbettando qualche scusa lanciò una grottesca occhiata di desiderio alla donna, un'occhiata supplichevole all'amico, come per raccomandarsi all'alleanza di lui, e sparve. - Quant'è curioso! — saltò su a dire Emma, non a pena il conte ebbe richiuso l'uscio, eseguendo l'ultimo inchino. - Ahi, si comincia male! — pensava l'avvocato, mentre la signorina continuava ridendo: - È tutto cambiato dai primi giorni che venne. Prima era espansivo, loquace; ora dice sì e no quattro parole.... Ma in vece dà certi sguardi paurosi! lersera mamma e il capitano risero Dio sa quanto di lui. Io presi le sue difese, perchè, poveretto, tutt'assieme non è poi un vecchio antipatico, soltanto... bisognerebbe consigliarlo a mettersi una parrucchina; con quella zucca pelata fa un certo senso — (qui ebbe un gesto di ribrezzo, passandosi rapidamente il fazzolettino su la bocca). - De malo in peius... — badava a pensare il Bencini; pure non volendo darsi subito per vinto, s'arrischiò a dire: - Cara signora Emma, lei è troppo severa. Il mio amico Sampieri non è un Adone, glielo concedo, ma non è nè pure vecchio... cioè non è tanto vecchio quanto lei si figura. È d'una delle piu antiche famiglie d'Italia, e poi... è tanto ricco! — concluse enfaticamente l'avvocato. Queste parole erano destinate a produrre un grande effetto: e lo produssero. - Ah, è molto ricco ? — chiese con vivo interessamento Miss Alford. — Peccato che non sia mio nonno! Dev'essere un gran brav'uomo co' nipoti. Allora l'amico, che in qualche modo voleva entrare in argomento, dichiarò alla signorina, che il conte Sampieri, essendo scapolo e perfettamente libero, non aveva figli e... per conseguenza nè pure nipoti; poi abbordò il soggetto del libro: - Vedo che lei legge il nuovo romanzo del Paoli. - Sissignore. S'è pubblicato proprio ora. - Lo so. Volevo leggerlo anch'io, ma va a ruba; è difficile averlo. Anzi, lei è stata fortunata.... - Che dice? Per conto mio temo che lo avrei desiderato un anno, se non fosse per... una persona anonima... che conosce bene i miei gusti, che indovina i miei pensieri.... L'avvocato la guardava e mormorò: - Ah, da vero?... - Si figuri, — riprese la fanciulla — ho trovato fra queste pagine perfino un nodo di nastro celeste — il mio colore — alla scena... a una scena che fa venire i brividi... Il visino roseo le si era fatto rosso come una fragola matura. Ella si vergognava non poco di quella confidenza d'amore, ma la faceva, non ostante, vinta dalla manìa che hanno quasi tutte le donne di raccontar le loro faccende intime. Il Bencini, stuzzicato da una certa curiosità, le si fece piu vicino: - E... mi dica, signora Emma, — domandò — lei dunque sa presso a poco chi le ha mandato questo romanzo? - Se lo so! È il più bel giovane del mondo, e pieno di delicatezza, di delicatezza muta.... Oh, se sapesse.... In quel punto il conte Sampieri rientrò nel salone, impaziente, agitato, nervoso, e di lì a pochi minuti una cameriera venne ad avvertire Emma che sua madre la chiamava. - E bene? — chiese il timido amatore, quando si ritrovò solo con l'amico. — T'ha ella parlato di me? - Me ne ha parlato. - Le ha fatto buon effetto l'invio anonimo del libro? - Ottimo. - T'ha detto qualcosa della scena della dichiarazione e del nodo celeste proprio in quel punto.... - Molte cose. - Dunque vedi, Bencini mio, che avevo ragione dicendoti che le donne vanno prese con garbo, vanno conquistate a furia di delicatezze? E il bravo conte fissava l'amico , piantato dinanzi a lui co' pollici infilati al panciotto sotto le ascelle, agitando su 'l petto le altre dita tese e dimenando il capo con piglio di profonda soddisfazione. - Mio povero Sampieri, che posso dirti per farti persuaso che... che quel nodo celeste è proprio un nodo gordiano.... Ma nè anche a farlo a posta, ecco che la campana annunziante il pranzo a tavola rotonda principiò il suo gaio squillo per l'appunto in quell'istante; e mentre il Bencini, determinato a salvar a ogni costo dal ridicolo il suo compagno, si preparava a combatterne la follia amorosa, magari ripetendogli parola per parola tutta la conversazione testè avuta con la ragazza, il conte, infatuato e felice, se lo prese a braccetto e se lo trascinò fuori della stanza senza nulla ascoltare.

Da un anno, cioè da quando s'eran gettate le fondamenta di quel palazzone a cui lavoravano, egli era stato sotto gli ordini di Nanni, e aveva preso giorno per giorno, senz'avvedersene, a voler bene alla Rachele. Da prima, le lasciava gli occhi a dosso, senza osar nè meno di darle il buon giorno; ma pensava a lei da quando si svegliava fino a quando addormentavasi nel rozzo letto non suo d'un dormitorio pubblico, al Campo dei Fiori, dove sogliono capitar parecchi operai scapoli; e nella notte, quando certi suoi compagni di alloggio dormivano accompagnati da una donna, egli subiva l'incubo di sogni brutali e, a momenti, buttava via le coperte e si trovava con la fronte abbronzata madida d'un sudor freddo più simile a quello della morte che a quello dell'amore. Per parte sua, la ragazza trattava Peppe tale quale trattava gli altri, rivolgendogli il discorso, quando capitava l'occasione, con quel garbo gentile e inconsciamente canzonatorio, tutto proprio della maggior parte dei toscani. Una volta che, appoggiata a una trave, la Rachele aspettava di sentir sonare il mezzogiorno, il giovanotto le venne accosto, e senza cominciare come fan gl'innamorati a chiacchiere su 'l più e su 'l meno, con le labbra che gli tremavano, le domandò se lo avesse voluto sposare. - Io no! — rispose lei, risoluta. - E perchè? Perchè sono povero? - - Povera, sono anch'io, che c'entra? — Egli insistè: - Non ho nè il vizio del gioco, nè il vizio del vino, ve lo giuro; tutto quello che guadagno alla settimana ve lo porterei a casa...- Chini gli occhi ridenti, ella badava a strusciar con l'unghia del pollice l'orlo del suo grembiule di bordatino a quadrelli. - E chi dice niente? — fece, un po' superba. — Ma se con voi non mi ci voglio mettere? Gli è meglio che a me non ci pensiate. - - Volesse la Madonna che non ci pensassi! — mormorò il respinto; e senza aggiunger sillaba prese la corsa giù per la scala di tavole, che rintronò cupamente sotto il suo passo precipitoso. La Rachele si volse dalla parte donde l'uomo era scomparso; non rideva e, con le mani sui fianchi, stette lì un po' pensierosa: poi andò a mangiare. Da quel giorno Peppe non aveva più detta una parola alla figlia di Nanni; ma i due ultimi versi dello stornello calabrese gli venivan su le labbra anche più spesso.

Pagina 172

Li ripeteva con profonda disperazione, per isfogo dell'animo esasperato, come una bestemmia; e i compagni che s'erano avveduti della faccenda dagli sguardi feroci di lui e dal contegno sostenuto della ragazza, gli davan la baia consigliandolo a non dimagrar dell'altro, se non voleva che la «scucchia» gli si allungasse come una mestola. Allora sì, che, secco, allampanato, e con quel po' po' di viso nero, sarebbe stato più che mai un calabrone! Peppe non rispondeva; ma, a volte, sotto la guancia arsa gli si stendeva un pallor livido. In quegli istanti digrignava i denti quasi da spezzarseli, e sembrava che negli occhi, larghi e mobili, gli passassero rapide fosforescenze gialle. — Gli è un fetaccio! - aveva detto Nanni, posando, con una scrollata di testa, il bicchiere su la tavola d'un'osteria fuori porta, dove, la domenica, andavano a far uno spuntino lui e la Rachele. E ripeteva: — Gli è un fetaccio! — tanto più che quel vederselo sempre dietro, benchè a distanza, dovunque andavano, glie l'avea fatto pigliar in uggia Dio sa quanto. E una mattina che proprio non ne poteva più di quell'assiduità silenziosa e minacciosa, il maestro muratore si risolvette di dir al giovanotto, con buona maniera, che gli si levasse di torno; tanto, non c'era verso che la Rachele volesse saperne, e si faceva ciarlar la gente senza sugo di nulla. Di fatti, chiamatolo in disparte, gli dichiarò l'animo suo, e più che il suo quello della figliuola. Peppe, piantato ritto su le gambe larghe, con le mani infilate nella cinghia dei calzoni, dondolava le ànche guardando obliquamente il vecchio; e quando questi ebbe finito di parlare, gli rispose con lentezza, scandendo ogni parola con l'accento umile e risoluto del meridionale provocatore, mentre accentuava ogni sillaba col solito dondolío delle ànche: — Io ho messo il pensiero alla figlia vostra, e il pensiero mio non lo rimovo, magari tornasse Cristo al mondo. Del resto, — soggiunse, come chi vuol confortarsi con un barlume di Contessa Lara. 12 speranza — io non credo al primo rifiuto d'una femmina. Voglio che lei, proprio lei mi dica un'altra volta, ultima volta, che non mi vuole assolutamente; e allora... penserò io... — Nanni si strinse nelle spalle; era sicuro dei sentimenti della Rachele; e prese la cazzuola per rimettersi al lavoro, mentre il giovanotto, sollevando il mento prominente e saettandogli un'occhiata di sfida, diceva, con dubbio buon garbo: — A più tardi. — Il vecchio aveva quietamente terminato il suo pasto con la figliuola; Peppe non s'era visto; e piu d'un sorriso bonario e canzonatorio era venuto su la bocca rossa della ragazza. — Lasciatelo fare — consigliava ella al padre. — Quando due si vogliono, nessuno li può tenere; ma quand'uno de' due dice di no, c'è poco da ragionare... — Sonate da qualche minuto le due, Nanni riprese gli arnesi; si faceva tardi. Allora, di vicino a un ponte su cui la Rachele stava per passare tornandosene via col paniere vuoto, sorse d'improvviso il calabrese, parandosele dinanzi. - Ho da parlarvi — cominciò egli con voce triste e sicura. - Parlate — fece lei senz'altro. - Ho da dirvi che quando un uomo pari mio, voglio dire un uomo di cuore, ha messo gli occhi sopra una donna, quella donna è come se fosse sua. — Ella fece una risatina quasi fanciullesca, senza baldanza e senza civetteria. - Oh, bella, bella! Ma quando la donna non vi vuole? - Vi voglio io! — affermò l'innamorato, accostandosi a lei per modo che il suo fiato ardente le sfiorò il viso. - Tiratevi addietro! o che siete matto? — gridò ella impaurita. - Sì, vi voglio! — continuava lui senza capir più nulla. — Vi voglio perchè... vi voglio! È tanto tempo che vi guardo, che sospiro dietro a voi, che mi strazio a ogni vostro sorriso, che mi faccio animo a ogni vostro gesto di sdegno... Perchè tutto, buono o cattivo, date agli altri; mai nulla a me!... Io non esisto per voi! E pure, vedete, io mi stimo più di qualunque uomo c'è al mondo... So che passione ci ho qui dentro... — e si dava pugni su 'l petto. - Basta! — ordinò la donna, stanca, seccata. - Come, sarebbe a dire, basta ? — interrogò Peppe. - Sarebbe a dire che di chiacchiere inutili ne avete fatte anche troppe. Io, non è la prima volta che parlo chiaro, di voi non so che farmene. Sarete, non dico di no, un galantuomo, ma... che v'ho da dire? Per me non fate. Gli è meglio che ognun di noi e' tiri per la su' strada... Se no... — Ho capito - brontolò il calabrese con voce strozzata. La Rachele, riannodatesi più strettamente le cocche del fazzoletto a fiorami gialli, prese la via per andarsene; ma quando, impettita, col seno erto che il busto contadinesco le spingeva alto sotto la gola, traversò il ponte per raggiungere la scala esterna, Peppe, a pena ella si fu incamminata su l'assito, le corse dietro, e con una spinta poderosa rimosse dal suo punto d'appoggio la tavola su cui passava la fanciulla. L'infelice mise uno strillo acuto, terribile, nell'attimo che, al sentirsi sfuggir il suolo di sotto a' piedi, vide la tavola drizzarsele violentemente in contro nel rovesciarsi con lei; e mise subito un altro grido più tenue, più soffocato, a mezz'aria, precipitando giù con un tonfo sopra un mucchio di calce, di fondo a cui non estrassero che un cadavere sfracellato, bruciato, irriconoscibile.

Pagina 175

i più tumultuosi scavallavano correndo dietro il cerchio, che bacchettavano; facevano a chiapparsi girando intorno alle colonne scolpite; si rimandavano, scalmanati, palle di gomma elastica e volanti; e cantilene, comandi, colpi, urli, tutto echeggiava confusamente e formava una sinfonia nuova, allegra, innocente sotto a' solenni archi fatti per vedere sfilare i monaci come una processione di fantasmi salmeggianti. A canto al pozzo, in altri momenti, era un fitto cicaleccio di serve; e la carrucola affidata agli alti ferri ricurvi congiungentisi sotto un gran giglio a trafori, strideva aspra al saliscendi delle mezzine, immerse nell' acqua con un tonfo cupo e profondo, in quell'acqua usa un tempo a riflettere là giù nel suo specchio verdognolo la figura ascetica di qualche antico servo di Cristo. Ma dove la badia appariva più profanata che altrove era nel refettorio. Poi che l'immensa stanza non si prestava a pigione per un solo inquilino e d'altra parte non si poteva dividere in più camere senza sciuparne gli affreschi d' un gran valore artistico, costì la piccola colonia di que' villeggianti aveva stabilito una specie di Circolo, un luogo di ritrovo per il quale ogni capo di famiglia versava una tenue somma mensile, consacrata al mantenimento de' lumi a petrolio e al nolo di qualche divano coperto di tela d'America, non che d' un pianoforte verticale. Questa contribuzione dava anche diritto alla lettura di due giornali: uno politico quotidiano, conservatore, l'altro domenicale e illustrato. Sì che gli uomini passavano volentieri nel refettorio qualche oretta del dopopranzo, chiacchierando bonariamente degli affari trattati a Firenze in giornata, e animandosi poi in discussioni municipali e governative. A volte le loro signore ve li raggiungevano, provvedute d'un lavoro all'uncinetto o d'un ricamo in lana, il quale però andava poco innanzi, lasciando libera l'attenzione a qualche pettegolezzo tutto locale e femminile. Dopo di che ogni famiglia se ne tornava in pace nel rispettivo quartiere, e andava a cena. Le riunioni grandi, quelle cioè in cui la colonia era quasi al completo, avevan luogo di festa. Finita la messa delle undici, tutti gli ospiti più ragguardevoli della badia si recavano al Circolo, dove le donne, massime le ragazze, sfoggiavano vestiti chiari, inamidati a nuovo con molta arte, e larghe fusciacche di seta in colore, a cui certo avevano pensato gran parte della settimana. Allora s'apriva il pianoforte per attaccare furiosamente qualche ballabile, o per accompagnare, zoppicando, una romanza lunare; giovinotti e signorine ridacchiavano insieme: i maschi con la solita famigliarità nata dall'abitudine di vedersi continuamente; le femmine, in vece, con più riserbo, quasi che si fossero sentite tutt'altre in que' vestiti festivi, un po' per la vanità, un po' per l'impaccio. Allora gli uomini maturi sfoderavano vasti disegni politici; allora le signore passavano minutamente in rivista le villeggianti del circondario vedute alla messa; allora qualche fanciullo solitario che giocava fuori, sgattaiolato dentro il refettorio, saliva quatto quatto la scaletta interna del grazioso pulpito, e s'affacciava a un tratto di là su con una sonora risata da monello: allora la Madonna di Luca della Robbia, sporgente su 'l magnifico lavacro, pareva figger con attonita maraviglia i lucenti occhi di creta su questa goffa scena borghese; e i pallidi volti degli angeli di Giovanni da San Giovanni, in atto di preparar la refezione di Gesù, sembravano velarsi di malinconia come per un senso interno di rimpianto irrimediabile.

Pagina 189

Erano ormai parecchi giorni da che suor Istituta vegliava a quel capezzale, udendo a tratto a tratto la bella voce vibrata e profonda dell'ufficiale favellar di cose a lei affatto sconosciute: certe cose che le mettevano strani fremiti nelle membra verginali e abbarbaglianti miraggi negli occhi bassi. Remoti orizzonti le si schiudevan dinanzi nelle frasi sconnesse, ma singolarmente colorite di lui, dalle cui labbra ella pendeva a un tempo estatica e sgomenta. Egli ricordava dèi d'oro e d'argento con lunghe corna e innumerevoli braccia; giardini dove le piante avean forme di belve dagli occhi di porcellana enormi e rotondi: gli occhi di queste bestie vegetali buttavan fuoco; le braccia di questi spaventevoli idoli s'agitavano minacciose nel vuoto; e femmine vestite di bianco e di scarlatto, e sacerdoti gialli, con abiti disegnati a draghi, con lunghi i capelli come code di cavalli, danzavan lenti, al ritmo di musiche vaghe, tristi, insistenti, un ballo grave e monotono.... Chi potevano essere quegli dèi? Spiriti infernali, di sicuro; e suor Istituta, vie più stringeva fra le dita convulse gli acini della sua corona, con un senso di superstiziosa paura, affrettandosi a balbettar avemarie, quasi scongiuri contro il demonio, che parea la tentasse; e si raccomandava, si raccomandava a tutti i santi piu potenti del paradiso cristiano, a fine d'esser liberata dalle immagini mostruose e curiose che ormai le s'affacciavano notte e giorno al pensiero. Viveva così tranquilla prima, nella cerchia semplice e ristretta delle idee e de' sentimenti che l'avevan consacrata a Dio! Rivolta in disparte, per non farsi vedere, si faceva ogni momento de' piccoli e rapidi segni di croce, per cacciare via le visioni malsane. Invano! E più d'ogni immagine favolosa e ignota, s'affacciava al pensiero della suora la fìgura d'una donna, giovane al pari di lei, ma da lei quanto dissimile! Quella era elegante e bionda, ora tutta sorriso, ora tutta fierezza; il suo corpo carnoso, ma snello, modellavasi come in un guanto nel bruno abito d'amazzone, o s'avvolgeva tra stoffe vaporose, scintillanti di gioielli, in una regale acconciatura da festa. È vero che in realtà la seducente forma muliebre, ritratta con le piu poetiche tinte dall'appassionato delirante, non aveva mai posato il piccolo piede entro quella misera camera ingombra di medicinali e di perfidi miasmi; ma in tanto la monaca sentiva quegli occhi d'una tinta ignota frugar lì dentro in ogni angolo, veder tutto, vegliar lui, accarezzarlo... Accanto alla finestra che metteva su 'l giardino, dinanzi allo specchio dell'armadio, su la stessa poltrona bassa e nascosta dov'ella pregava e sognava, dovunque; ma, più che in ogni altro luogo, a quel capezzale, la bella figura delineavasi svelta, nitida, corporea, sa Dio solo se diabolica o celestiale; s'affacciava, si sedeva, ammicava, imponevasi, impossibile a eliminarsi, a scacciarsi: come la fatalità. Una notte la febbre ascese a quarantun grado. Il medico se n'era andato scrollando il capo, come chi ormai si rassegna a non più lottare con una forza invincibile; e uscendo aveva pronunziata la solita frase sacramentale, il più oscuro de' responsi sfingeschi della scienza: — Fin che c'è fiato, c'è speranza — la qual cosa vale a significare, per le persone assistenti un malato grave, che in vece non c'è proprio più nè speranza, nè fiato. Il paziente giaceva supino, immobile, come nello stupore della morte. La cornice nerastra degli occhi e della bocca gli s'era ancora allargata, prendendo una tinta intensa di fumo; non si lagnava più, tanta era la forza depressiva del male, nè più inghiottiva: e ogni cucchiaio di liquido ghiaccio o di vin generoso, messogli fra le labbra dall'ordinanza, gli colava da un angolo della bocca su la guancia, e andava giù a bagnar il cuscino. Ritta in mezzo alla camera, con le mani giunte e le dita intrecciate, suor Istituta era rimasta come pietrificata. Dal piccolo giardino veniva per la finestra socchiusa un'aria afosa e snervante; s'udiva a tratti un lieve rumore indistinto fra i rami: una voce incolta, ma penetrante, di donna canticchiava in un casamento vicino una nannananna con note lente e tenute. Suor Istituta si scosse, come còlta da una ispirazione. - Facciamogli fare un bagno! - diss'ella al soldato. Il marinaro la fissò con l'incertezza d'un fanciullo che non sa s'ei faccia bene o male a dir di sì. Ella riprese: - Forse si potrà salvarlo. Allora tutti e due corsero di là dalla signora Carmela, a prendere una grande tinozza di zinco, in disuso da un pezzo, e la trascinarono nella stanza del malato, senza che questi mostrasse d'avvedersi di nulla; poi, mentre un immenso paiuolo d'acqua si scaldava al camino, que' due cominciarono un rapido andirivieni in punta de' piedi, per trasportare dalla cucina alla camera l'acqua fresca che bisognava aggiungere all'acqua bollente, in secchie, in brocche, in pentole, in quanti recipienti, anche più piccoli, venivan loro sotto le mani. Per quanto suor Istituta abbadasse a versarsi a dosso meno acqua che poteva, a poco a poco la sua gonnelluccia azzurro cupa fu intrisa, e le s'appiccicava dinanzi modellandole le curve delle gambe sotto le fitte pieghe della cotonina, come si modellano perfettamente, anche sotto il soverchio drappeggio, le forme di certe statue della decadenza romana. Ma ella non sentiva nè impaccio delle sottane fradice, nè il brivido che mette nelle ossa l'umidità dei panni. Quando il bagno fu pronto, la suora e l'ordinanza sollevarono adagio adagio dal letto, dove giaceva sprofondato, il povero ufficiale che, quasi fuori de' sensi, abbandonavasi, dinoccolato e plumbeo come un cadavere. Era interamente nudo. Le linee di quel corpo, mirabili quando era sano e nella sua piena vigoria giovenile, s'erano a punti smarrite, per lo smagrimento cagionato dalle sofferenze; le clavicole, le costole, i fianchi, le tibie emergevano disegnando l'ossatura sotto l'epidermide d'un candor giallognolo di cera, picchiolata qua e là di chiazzette rosse; ma l'emaciata bellezza di quelle forme ricordava qualche stupendo crocifisso d'avorio del cinquecento. Suor Istituta, come inconscia delle nudità virili che stringeva fra le braccia, sforzando i propri muscoli quasi che fossero d'acciaio, giunse, col valido aiuto del soldato, cui dava ogni tanto un ordine breve, un consiglio sottovoce, a deporre l'infermo nell'acqua; e soltanto quando gli ebbe adagiata la testa cadente sur un cuscino appeso da capo alla tinozza, pensò a tirare a sè un asciugamano buttato lì accosto sopra una sedia e, pudicamente, come una delle tre donne del Calvario, l'appuntò sui fianchi del giovane; poi s'inginocchiò vicino a lui, e tenendo la propria mano nel bagno, ne regolava i gradi del calore. Egli, appena immerso lì dentro, si sentì correre un fremito dai capelli ai piedi; aprì gli occhi semispenti, già vischiosi, e guardò attorno come trasognato. — Si sente meglio? — chiese la monaca, piegandosi verso di lui con pietosa sollecitudine. L'ombra d'un sorriso parve sfiorar le labbra nere dell'infelice; un «sì» più debole d'un respiro gli alitò su la bocca.... In tanto, la febbre era scemata come per incantesimo, e anche un po' di forza sembrava tornar nelle membra all'infermo, avvivato da sempre piu frequenti sorsi di marsala. Quando di lì a due ore il medico, tolto di sotto l'ascella il termometro, constatò ch'esso segnava appena 38 gradi, stropicciò con un lembo del fazzoletto il vetro dello strumento, poi il vetro degli occhiali, perchè il brav'uomo non credeva a sè stesso. Allora suor Istituta, con la sua vocina da preghiera, tranquilla e cadenzata, raccontò per filo e per segno l'operazione del bagno al professore, concludendo col dire: — È stato un miracolo. — L'uomo della scienza tornò a esaminare l'epidermide dell'ufficiale; ascoltò la respirazione di lui, un po' grossa, ma regolare; e dopo ch'ebbe scritta qualche altra ricetta, che l'ordinanza corse subito a spedire in farmacia, sentenziò: — L'avevo detto... Fin che c'è fIato c'è speranza. Non sarà male ripetere qualche bagno... Sì, sì, lo ripetano pure... —

Pagina 19

Fuor che nell'ora vespertina del rosario, quando un nasale, confuso mormorio di preghiere si diffondeva in torno dalla cappella della Madonna, regnava sempre in quella chiesa la solitudine più completa; e il sole a traverso Contessa Lara. 13 gli alti finestroni, vi faceva, non visto da anima viva, il suo eterno giro obliquo, sagomando con leggiere penombre i nudi altari di pietra scolpita, e i sepolcri d'abati e di cavalieri effigiati a bassorilievo, lunghi distesi su 'l suolo; proiettando diffusi chiarori su qualche quadro dello Spagnoletto, e su qualche santo d'antica terracotta tutto smagliante di turchino e di giallo. E un altro sito pure, non mai stato invaso da' villeggianti, era, dietro la chiesa, un recinto interno con un portico rozzo e basso da un unico lato: antico camposanto dei frati. Qui, a punto come esige la regola austera per ognuno di questi umili sagrati monastici, non solo non rinvenivi il minimo segno che distinguesse le tombe dal resto del terreno, ma nè pur ti capacitavi che un tempo codesto luogo avesse potuto avere il suo tradizionale quadrato di bossolo, così ravviato, nitido e regolare da sembrar un verde rilievo architettonico. Ora mucchi di piante parassite lo ingombravano; la gramigna serpeggiante vi stendeva a fior di terra le sue infinite ramificazioni; l'ortica vi raffittiva le sue scure foglie scabre; lunghi, sottilissimi fili di erba s'ergevano e si ricurvavano mollemente fra la dritta avena dalle spighe vane e pelose; la malva e la cicoria selvatica vi crescevan sempre più rigogliose, morbida l'una, stecchita l'altra, costellati gli steli di fiori dalle miti sfumature, quelli d'un pallido violaceo, questi d'un pallido azzurro, e tutte e due le tinte contrastanti pittorescamente co' rosolacci che onduleggiavano qua e là su tutto come frotte di farfalle porporine. Fra codesto serpaio, dove la natura sfogava con selvaggia fantasia l'esuberanza della propria fecondità, un punto un po' coltivato appariva in un angolo; chiuso da un piccolo, informe stecconato fatto di cannucce e di pruni, qualche cesto di cavolo arrotondava costì le sue palle sbiancate, un increspamento di prezzemolo copriva due o tre zolle, e dentro una pentola rotta, i cui cocci eran tenuti insieme da un fil di ferro, venivan su belle quanto mai le ciocche del basilico, seminato il sabato santo quando si sciolgono le campane. Questo era tutto l'orto della Rosona, la quale abitava lì dirimpetto sotto l'ultimo arco di quel porticato, in una stanza che guardata di fuori si sarebbe detta un covo anzi che un asilo umano. Quella stamberga, nessuno s'è mai raccapezzato a qual uso potesse servire a tempo dei frati. Chi la riteneva una stanza mortuaria, chi una stalla, chi un forno. In tanto, le sue pareti, a forza di sovrapporvisi strati di sudicio, s'eran ridotte d'un nero giallognolo uniforme, levigandosi in certi punti fino a lustrare, direi quasi fino a sembrar pulite, tanta era l'intensità della loro nerezza. E poi che con la Rosona non c'era via d'attaccar discorso, ne pure si sapeva da quanti anni ella avesse portato là dentro quella materassa spiaccicata e bisunta dove dormiva, una tavola lunga e stretta, zoppa da un piede, due seggiole dall'impagliatino sfondato, i cui fili spuntavano sotto, e quelle quattro o cinque stoviglie sbocconcellate, schieranti i grossolani fiorami sur un'asse poco lontana da un fornello di mattoni imbrattato di cenere e di fuscelli. Questa Rosona doveva essere un'antica contadina, che rimasta senza congiunti e per conseguenza rimandata dal podere, la cui coltivazione richiede braccia giovani e virili, era venuta col suo piccolo gruzzolo a ritirarsi in quel singolare alloggio, il quale, perchè accosto al camposanto e così squallido e sporco, non poteva certo invogliar nessun altro. Per lei, in vece, era quel che ci voleva. Pochi piccioli di pigione all' anno, la libertà d' un deserto e quel pezzetto di terra: non tanto per il bocconcino d'orto che ci avea rilevato, quanto per il comodo che faceva alle sue galline: da che bisogna sapere che questa vecchia ruvida e solitaria viveva esclusivamente in compagnia d'un branco di galline. Oramai queste bestiole eran tutta la sua famiglia, tanto più che de' suoi morti non si ricordava nè manco con un Deprofundis; le galline eran l'ultima cura della sua vita, forse l'unico piacere di cui mai avesse goduto. E quando per chiamarle sbucava di sotto al portico, soleva amorevolmente dissimular con due note in falsetto quella brusca vociona, che fin dalla sua prima giovinezza le aveva procurato dalla gente il soprannome accrescitivo di Rosona. Tranne in quelle ore che girellavano qua e là per il camposanto razzolando la terra in cerca d' insetti e di semi, le galline della Rosona non la lasciavano nè giorno nè notte. Dopo il mezzodì, finito ch'ella aveva da desinare e di risciacquar alla peggio i due cocci adoperati, la vecchia prendeva un bel pennecchio di canapa e s'inconocchiava la rocca; poi, staccato da un chiodo confitto nel muro un cappellone di paglia dal cocuzzolo basso e rotondo, dall'immensa tesa piatta, tutto lercio e slabbrato, se lo posava su la berretta nera che in casa le copriva la testa pelata. Allora il chiavistello dell'usciolino sciancato, che dal camposanto metteva su l'erta a fianco della badia, strideva; la Rosona veniva fuori, e con dietro tutto il branco delle sue galline, s'avviava verso Fontelucente, a farvi legna. Il bosco era piuttosto lontano. Su i sassi di quel sentiero che, girando a mezzo il colle fiesolano, serpeggia a traverso i campi, i vecchi piedi della Rosona, enfiati e senza calze dentro un antico paio di scarpe da uomo, andavano innanzi difficilmente e con lentezza. Ma a lei poco importava il passar del tempo; filava, inumidendo con un gesto d' automa la punta dell'indice e del medio nella bocca paonazza e cadente; e in tanto le galline, che movevano in un gruppo compatto col gallo alla testa, beccavano quel che trovavano per terra, scansandosi del pari, tutte assieme, su o giù per un argine, se s'imbatteva in esse un carro tirato da buoi. Non di meno, rasentando l'aia di qualche contadino, la Rosona si sforzava ad affrettare il passo, animata da un odio feroce contro le belle sposotte fresche e rubiconde che venivano a strillar su l'uscio per richiamare a casa i bimbi, còlte da paurosa superstizione alla vista di quel sudicio fagotto di cenci scolorati e rattoppati d'onde usciva un viso scimmiesco, nero e grinzo, i cui occhietti cisposi saettavan di sbieco cattivi sguardi, le cui labbra paonazze borbottavano misteriosamente non si sa se giaculatorie o maledizioni. Certo gli è che parecchia gente sfuggiva la Rosona perchè la sospettava una strega. Ma dietro Fontelucente (così a punto vien detta la poetica cascatella della Madonna, che zampilla tra'l capilvenere del cristallo di ròcca), il bosco, a dolce declivio su 'l Mugnone, si stendeva ampio e tranquillo, tappezzato di muschi a terra, e nell'alto silenzio della sua solitudine echeggiavano, invisibile compagnia, le canzoni a note tenute degli scarpellini là dirimpetto su'l Cupolino; e i colpi de' loro martelli sotto le cave e lungo le rupi avevano anch'essi ripercussioni larghe e sonore. Fra gli alberi, qualche uccello cinguettava; saliva dalla terra e dalle piante un odor molle e indistinto; e la solenne dolcezza di quell'ora, tutta pace di natura e pace di lavoro, avvolgeva e penetrava fin l'animo della strega, abbrutito e inaridito com'era dall'ignoranza e dagli anni. Posata sur un cespuglio la rocca, ella si metteva curva curva a far legna, mentre le galline, un po' più sparpagliate, frugavano sparnazzando tra la borraccina, golose d'un bruco o d'un granello. Così correvano le ore, che la vecchia numerava a puntino osservando l'altezza del sole; e quando le ventitrè non eran lontane, ammucchiati tutti i rami raccolti, intorno a cui la Rosona passava una fune, ella trascinava il fastello fin su qualche masso sporgente: e piegata la schiena, con un altro sforzo finiva d'assicurarsi su le spallucce il carico delle legna. Al solito, dietro di lei, ogni tanto chiamate con le due note in falsetto, quando la vecchia si fermava a ripigliar fiato, le fide galline riprendevano la strada della badia. Bisognava esserci verso le ventiquattro, l'ora di dormire, perchè in casa della Rosona non usava d'accendere il lume; ma oramai padrona e polli conoscevano il luogo, e mentre nell'antico camposanto non era anche scesa l'ombra del crepuscolo, nella stanza di sotto il portico, già invasa dal buio fitto, tanto la donna quanto le sue bestie s'erano già disposte al riposo: la Rosona su quel canile di materassa, e le galline appollaiate un po' da per tutto, su le spalliere delle seggiole, su 'l fornello spento, su l'asse delle stoviglie e fino su l'orlo delle pentole. Sembrerebbe che, per la continua dimestichezza con la solitaria padrona, coteste galline avessero dovuto morir decrepite nella pace in cui vivevano. Ma no. Con la più giusta filosofia, che non le costava nè pur l'ombra d'un ragionamento, la Rosona intuiva come nella vita ogni affetto, di qualunque genere, è sempre una concessione fatta al dolore. Così ch'ella non si creava nè affetti nè dolori; ma a mano a mano che le sue galline, secondo lei, le avevan dato a bastanza uova fresche e a bastanza pulcini, prima che diventassero dure, la vecchia se le metteva bravamente in pentola. Queste esecuzioni avevan luogo prima della gita nel bosco; a punto perchè la bestia avesse tempo a frollarsi per il domani. Con una manciata di becchime, la Rosona si faceva sotto il portico, e chiamava: — Bìri, bìri, bìri, bìri! — Subito la frotta accorreva intorno saltellante e svolazzante di mezzo all'incolto campicello, e in quel mentre che nella frettolosa avidità le galline raccoglievano e inghiottivano il granturco, la donna, occhiata quella da sacrificare, a un tratto l'acchiappava d'un gesto ratto e sicuro. Spaurite, emettendo un chioccío rauco e digradante, le altre in pari tempo si scostavano, guardando con diffidenza la scena dello strangolamento. E la loro povera compagna, con in gola un lungo e acuto singhiozzo, insistente, a tratti, sotto la mano feroce, un singhiozzo che si sarebbe detto d'un lattante, si dibatteva, starnazzava fra le unghie della vecchia: la quale, senza punto crucciarsi di quell'agonia, tirava a suo comodo il collo sottile, tra le cui penne tiepide e morbide le si affondavano con voluttà crudele le dita scarne e rugose. Poi quel singhiozzo si faceva più flebile, più raro, e finalmente cessava a fatto con un'ultima scossa del corpicciuolo convulso, con un ultimo palpito dell' ali aperte; i vivi occhietti color topazio si serravano; la cresta corallina ciondolava; si stendevano le zampine cocenti, e dal becco socchiuso stillava qualche goccia di sangue. Ma la Rosona, presa la gallina su la palma della mano, la soppesava calcolandone a un bel circa le libbre, e l'interno compiacimento le si traduceva in un'orribile smorfia ch'era il sorriso rimasto a quelle labbra paonazze.

Pagina 193

Una volta, da che erano parecchi giorni che nessun più vedeva la strega con dietro le sue galline, a un abitante della badia venne in mente, passando, di bussare all'usciolino del camposanto, più che altro per curiosità. Picchia, picchia, non rispose anima viva. Si che, chiamato qualche altro vicino, diedero uno spintone alla porta, che subito cedè sgangherandosi affatto. Ecco, a precipizio, le galline venir incontro a' nuovi visitatori con grida affamate. Gli uomini, con un certo senso d'esitanza, chiamavano forte: — Rosona, Rosona! — Ma, come prima, non rispondeva nessuno. Allora s'inoltrarono per il portico e penetrarono nella stamberga, dove li attendeva uno spettacolo da mettere ribrezzo. La vecchia, còlta probabilmente da un malor subitaneo, giaceva a terra supina, con le braccia aperte, come un gufo inchiodato. Nel cadere, la berretta erale scivolata dal cranio calvo, ch'ora appariva tutto giallo, nudo, orribile; sotto di esso apparivano due fondi buchi rossi nel viso tumefatto e già chiazzato di verdognolo. Le galline s'erano vendicate della morta col mangiarle gli occhi.

Pagina 206

Quella carta da cento, nuova e rosea, che n'era stata il prezzo, era ella proprietà assoluta del giovanetto, così ch'e' potesse disporne liberamente e a suo capriccio? In una piccola città di provincia, assai lontana, una vecchia vedova menava un'esistenza solitaria e stentata, contenta dello stretto necessario, pur lesinato fin dove lo studio assiduo del decoro esteriore glielo permettesse. Questa donna, nata di modesti commercianti, s'era sposata per passione a un nobiluccio spiantato che, sbolliti i primi ardori della luna di miele, non aveva fatto altro che dare ogni momento in ismanie, imprecando alla odierna società affarista e plebea, dove non è più rispetto, nè limite di casta; dove un gentiluomo che non intenda derogar dal cammino degli avi suoi è inesorabilmente sepolto vivo nel proprio paesucolo. Per anni ed anni ella aveva ascoltato paziente, quasi muta, con l'animo sereno e col più tranquillo sorriso le coniugali querimonie contro il destino; senonchè, morto il marito di una tisi senile, da lui battezzata per impoverimento di sangue troppo azzurro, ma invece complicata con un'ipertrofia di fegato, che gli derivava dalle amarezze del suo stato sociale, ella, senza sapersene spiegare il perchè, avea mutato a dirittura carattere. Si sarebbe detto che quelle parole, sempre le medesime, intese per sì lungo tempo, avessero filtrato nell'animo suo come uno di que' lenti stillicidi che per l'interno, inconscio, continuo lavorio, si risolvono un giorno in un fenomeno inatteso e cambiano gli aspetti dei luoghi. Ricordava con tardo rammarico che, durante la loro vita comune, ella non s'era mai raccolta a riflettere su l'enorme sacrificio fatto da lui, quando l'aveva scelta a compagna; mentr'egli, d'una famiglia tra le più nobili, benchè decaduta, avrebbe potuto recarsi in una grande città, far valere i suoi titoli e procurarsi un posto ragguardevole, magari a Corte. In vece, il pover uomo, perseguitato dall'ingiustizia della fortuna, che, secondo lui, avrebbe dovuto colmarlo d'ogni bene, senza che nè pure ei si affaticasse a muovere un dito, s'era logorato corpo e anima tra recriminazioni impotenti e vaniloqui rabbiosi. Di tutto questo la vedova riteneva sè stessa esclusivamente colpevole. In lei egli non trovava contraddizioni di sorta, è vero; ma, in tanto, quale conforto gli aveva ella offerto, se la rivelazione delle sofferenze di lui non le era penetrata nell'animo fuorchè quando lo aveva visto lungo disteso su 'l loro letto nuziale, magro come uno scheletro, con le gote cave e gli occhi infossati in un cerchio livido?... Allora, baciando con disperata devozione, con umile senso di gratitudine quella mano aristocratica, oziosamente bianca, quella mano che non avrebbe mai dovuto congiungersi alla sua, ella si era sentita sorgere vaga e timida l'idea che il figlio, un bambinello nato tardi, potesse un giorno ottenere dal mondo quel che spettava a suo padre: la considerazione, la ricchezza, gli onori; e fin d'allora quest'idea, a poco a poco cresciuta, come una speranza, poi consolidata come una fede nel suo cervello di donna incolta e solitaria, aveva finito a mutarsi in fissazione. Sì, certo, a quell'adolescente dal visetto bruno e superbo, che tanto somigliava al viso del padre, quando la corteggiava da ragazza, ella avrebbe aperta e allargata la strada nella società, con le mani sue, col suo petto stesso, a costo di qualunque strazio, a costo di qualunque sacrifizio. E questo dovere ch'ella imponevasi, e che così altamente intuiva, senza nè pure ben capirne tutta la delicatezza e tutte le difficoltà, era come una muta riabilitazione dinanzi alla memoria di quel vinto, era come la sacra eredità paterna gelosamente custodita al figliuolo. Il ragazzo, non affatto privo d'intelligenza, teneva, non di meno, della doppia natura dei genitori; cioè della primitiva indifferenza della madre e dell'altera pigrizia del padre. In vece d'inchiodarsi a tavolino, come bramava la vedova (da che tutti, dal sindaco al curato le avevan ripetuto che oggi giorno non basta essere nobili per ottenere un posto a Corte, e che senza certi titoli intellettuali cammino non se ne fa) egli preferiva andarsene vagolando per la campagna. A' libri seri ma aridi, preferiva i versi dolci e sonori; e quando era rimasto disteso per ore ed ore alla larga ombra d'un olivo, con le palpebre semiaperte, nel cui spiraglio, tra la frangia delle ciglia, si confondevan luminosamente il biancicor delle rame pallide e il barbaglio del cielo, risollevava la testa, e tolto di tasca un quaderno sgualcito, scriveva, scriveva, scriveva con moto lento ed eguale, come sotto una pressione invisibile e irresistibile; quasi che la linfa scorrente fra la terra e dentro le piante, il fruscio dell' erba, il susurro dell'acque, lo stormir delle foglie, il canto degli uccelli, il soffio del vento, tutti i rumori fievoli e vasti della natura, si fondessero in sillabe, s'armonizzassero in versi e componessero a una a una le sue strofe. In primavera, sopratutto, riusciva impossibile di trattenerlo in casa. L'odor tiepido dei prati e de' boschi lo attirava, penetrandolo di una languida ebbrezza che gli fluttuava nelle vene e gli annebbiava il cervello. E allora avean luogo, tra madre e figlio, scene rapide e brusche, ma ostinate, ma continue; scene che rafforzavan sempre più quella volontà femminile, fatta di rimorso e d'ambizione, e sempre più allontanavano dalla vita reale lo spirito del giovane sognatore, fatto d'armonia e di fantasia. Finiti ch'egli ebbe, alla meglio, que' brevi, incompleti studi che si possono fare in fondo a una città di provincia, madre e figlio si separarono. Oltre la solitudine volontaria alla quale si era condannata, la madre s'impose, come s'è detto, le più austere privazioni, a patto che nulla di quanto le concedevano le sue povere sostanze mancasse alla sua creatura, per cui sentiva raddoppiarsi ogni giorno l'amore: a punto come le era accaduto col padre, da quando non ne aveva più avuto a sopportare l'umor fastidioso. A conseguire lo scopo, la coraggiosa donna si era messa a lavorar per fuori, ma ricevendo le ordinazioni indirettamente, col mezzo d'una buona signora meritevole di fiducia e capace di morire anzichè tradir un segreto. Dio liberi, pensava la poveretta, se in paese si fosse risaputo che la vedova d'un nobile si umiliava a servire il pubblico! Il sepolto discendente de' crociati sarebbe uscito dalla sua tomba, più iroso e più sprezzante che in vita, a maledire la donna che disonorava a quel modo il suo casato! Così che, rinchiusa tra le pareti claustrali d' un ampio salotto gelido e nudo, con a' piedi un vecchio bracco bianco e color marrone, dal muso sonnolento allungato su le zampe davanti, ella, da mattina a sera tarda, piegava su 'l lavoro il viso, non più fresco nè roseo, costretto in un paio d'occhiali; e sotto l'incrociarsi meccanicamente veloce de' ferri sottili, la calzetta s'allungava; sotto il taglio sicuro delle forbici si modellavan camicie, mutande e corpetti, con maggiore sveltezza, precisione e abilità di quando, da fidanzata, ella preparava per sè stessa il corredo. A volte, le dolevano le spalle, a volte gli occhi: ma che importava, se a furia di lavoro ella riusciva a raggranellare per ogni fine di mese ottanta o novanta lire da mandare al bambino? Cento, anche, gliene avea mandate!... E per fortuna egli ignorava quanto mai costassero alla madre sua quelle piccole somme! La loro lontananza durava da sei mesi. Da sei mesi il giovane si era iscritto all'Università, e ne seguiva le lezioni a bastanza regolarmente. Ne' primi tempi egli s'era trovato assai triste e come perduto nel tumultuoso deserto di una grande città, dove non conosceva anima viva, tranne qualche compagno, non mai frequentato da lui fuor della scuola. E gli prendevano delle voglie pazze di riabbracciar sua madre. La distanza, che suscita alla mente un mondo di bizzarre illusioni, lo faceva, in certi momenti, come tornar piccino; e rivedere lei bella e giovane, curva su la sua culla con quel blando sorriso che non le aveva più illuminata la faccia da quando erale morto il marito; e allora le scriveva lettere piene di passione ardente, che la vedova, tralasciando il lavoro, leggeva e rileggeva dietro gli occhiali appannati dalle lacrime; e le dedicava strofe da amante, che per non si partivano mai, quelle, di su 'l tavolino dall'impiallacciatura scortecciata, nella cameretta del quarto piano. Ma a mano a mano, la stessa indole sua gli aveva risollevato un po' l'animo. A pena il tempo era sereno, egli se ne andava fuor d'una porta, seguendo, a capriccio, la strada che gli appariva più pittoresca; e camminava innanzi, innanzi, assorto ne' suoi bei sogni, bagliori gloriosi molto diversi da quelli che rischiaravano, là giù, lo stanco capo grigio di sua madre. Così egli aveva vissuto, non troppo malamente, fino alla primavera, il tempo de' più caldi languori dell' organismo, il tempo dei più immaginosi desideri del pensiero; così aveva vissuto fino a quell'aureo, stupendo vespro di maggio, quando accadde la vendita.

Pagina 228

Entrato, così, per caso, a quell'asta, egli aveva assistito alla gara di due o tre oggetti, curioso d'osservar un ambiente tutto nuovo per lui; e stava, a punto, per uscirne, quando la dama del cinquecento si mostrò d'improvviso, e vólta dalla parte di lui lo fissò e gli sorrise con tale amore, ch'egli, affascinato da quegli occhi bruni e da que' labbri rosati che gli si offrivano tacitamente, ma insistentemente, come avessero avuto a sdegno qualunque altra persona, còlto da un irrefrenabile desiderio che sapeva di fatalità, erasi lasciato sfuggir di bocca quella cifra: cento!... e la donna bella era divenuta sua. Quella mattina stessa, il roseo foglio del riscatto era giunto dal paese, — in mezzo a una lettera piena di raccomandazioni, di sgorbi e di baci, — destinato al mantenimento di tutto un mese. Di tutto un mese!... E che importava? Che importava?.... Ell'era così bionda, così divina!... Un po' di pazienza per quel mese; la vendita di parecchi libri e de' vestiti d'inverno; qualche digiuno.... e si rimediava a tutto. In tanto, e' non sarebbe più solo tra la nostalgia di quella camera squallida, dove aveva tante volte invocato un dolce viso di donna.... Arrivato che fu al suo quarto piano, il giovane girò la chiave nell'uscio, badando a non far rumore, ed entrato nella stanza, di nuovo richiuse a chiave. Poi, collocata dirimpetto al balcone aperto una poltroncina, unico lusso di quella dimora da studente povero, vi posò ritto il quadro. Di desinare, per quella sera, non se ne parlava; nè si parlava d'accendere il lume, perchè l'ultimo mozzicone di candela erasi spento da sè, la notte innanzi, consumandosi fino all'estremo e agonizzando vicino al guanciale dove il fanciullo dormiva con le novelle del Hoffmann su le coltri. Ma egli non sentiva nessuno stimolo d'appetito, e, per fortuna, la serata era stupenda: una di quelle sere quasi estive in cui il cielo è così terso che il crepuscolo sembra fatto d'un velo trasparente e fosforescente. Appoggiato con la schiena al tavolino, il giovane si mise a contemplar fisso il ritratto. Contessa Lara. 16 Chi era ella mai? Quali pensieri potevano aver traversato quel capo adorabile, perchè ella sapesse guardare e sorridere con tanta grazia? Era ella, da vero, come il perito aveva accennato, quell'audace duchessa di Gragnano, su la quale corre qualche storiella delle più scollacciate? O era una dama non meno saggia che bella? O una spensierata fanciulla di piacere che procacciavasi con lo stesso sorriso magnifici doni di cardinali e umili strofe di poeti?... Tutte queste domande ch'ei rivolgeva a sè stesso e alla donna, ora con un senso di compiacimento dolce e superbo, ora con un impeto di geloso rancore, si tramutavano a mano a mano in un'intima, calda improvvisazione, in un'efflorescenza di rime appassionate dov'era l'oblio d'ogni cosa umana. Limpida e colma, già la luna allagava il piccolo balcone dal parapetto basso coperto di ellera, che di giù dalla via faceva l'effetto d'un gran vaso di verzura sporgente sotto la tettoia; e una bianca striscia di luce si allungò nitida e tranquilla dentro la stanza, sfumandone armoniosamente la penombra. Ma perchè il quadro, non anche sfiorato dal raggio silenzioso, restava confuso in quella penombra, la cornice d'oro opaco non dava riflessi, come a fatto sparita: e la bella figura emergeva sola nel vapore azzurrino della camera fonda; a segno che il volto, il petto e le mani del ritratto si disegnavano fantasticamente tra il nero, come in certe sembianze d'un'apparizione di sogno. Il giovane continuava a fissarla. La bianca striscia lunare, facendo insensibilmente il suo giro, venne a poco a poco a colpire in pieno la forma femminile, che di vaga e spettrale s'animò, come se riacquistasse i sentimenti. Nel chiarore vivente, le pietre preziose, tra 'l velo verde, su 'l capo, sprizzavan bagliori; il broccato della gamurra ammorbidiva le sue curve; le roride carni del seno alto e colmo, per metà scoperto, si sollevavano in molli ondeggiamenti; gli occhi guardavano innamorati; la bocca fremeva baci, in atto di schiudersi alla parola.... ... Ma chi mai; chi mai era ella? Che voleva da lui? Perch'era venuta, lei, gran signora, nella casa di lui, così povera se non vi batteva quell'argenteo raggio di luna che or l'avvolgeva tutta d' un nimbo vaporoso?... Egli non sapeva l'amore fuor che nel canto dell'usignuolo, negli allacciamenti de' rami, nel sospiro voluttuoso del vento primaverile; non sapeva l'amore, benchè i suoi versi fossero un continuo inno d'amore!... Dov'era una donna che somigliasse a colei? Egli voleva saperlo e cercarla; cercarla e farsene amare; cercarla e sentir contro il proprio cuore palpitante il sussulto di quel candido petto che, come una coppia di gigli, sbocciava fuor dallo scollo; aver quelle dita sottili fra' capelli.... Cercarla e beverne il respiro; lasciar que' larghi occhi bruni affondarglisi fin dentro l'anima, e farsi portar via l'anima dai baci di quelle labbra odorose che sorridevano, sorridevano sempre.... Estatico, egli non batteva più palpebra. La notte era al colmo. La bianca striscia di luce insensibilmente si andava ritirando. Allora, muto, stupefatto, con le pupille sbarrate, il fanciullo poeta scorse la bionda ridente figurina scintillante di gemme, dagli sguardi, da' labbri, dai seni provocatori, lei, lei, il suo unico amore, staccarsi dalla cornice, ormai tornata nell'ombra; e come attirata nel raggio stesso della luna, lei sempre volta verso di lui, quasi invitandolo con quel sorriso a ebbrezze ignote, rasentar lenta, lenta, la parete, e lenta, lenta, allontanarsi, e lenta, lenta, scomparir dietro il terrazzo, fra l'edera.... La stanza rimase al buio. Abbarbagliato dalla fantastica iridescenza lunare, inebbriato dalla feminea visione, il giovane aprì le braccia, supplicando sommesso con voci tronche, rapide, singhiozzanti, quella misteriosa aerea creatura che non l'abbandonasse; inconscio pari a un sonnambulo, si protese tutto su 'l balcone, dietro la fuggente larva allettatrice, e dimentico d'ogni cosa, si abbandonò fuori del parapetto, ravvolto e travolto nell'onda argentea dei raggi che la luna spandeva umidi e ammalianti da mezzo il cielo alto. Forse in quell'ora, lontano lontano, nel notturno silenzio d'una piccola città dormente, nell'austera solitudine della sua casa deserta, una vecchia madre, si preparava a coricarsi; e avviando le litanie della Vergine, pensava che, mercè tanti sacrifizi, almeno lui, poverino, il suo bimbo, sarebbe, un giorno o l'altro, felice.

Pagina 239

Quando il malato fu fuori di pericolo, egli rimase in uno stato singolare d'atonía per ore e ore, con le pupille vitree fisse dinanzi a sè nel vuoto, con le braccia abbandonate lungo il corpo su le coltri, mentre le mani magre e ceree a tratto a tratto gli si contraevano con brevi moti convulsi. In queste ore egli prendeva macchinalmente qualunque cosa gli si mettesse in bocca; in altre, invece, era lui che, con un fil di voce rauca e malinconica, chiedeva da mangiare, sempre da mangiare. — È allupato! — esclamava la grossa padrona di casa strabuzzando gli occhi. E allora suor Istituta, sorridendo, doveva frenare con parole ragionevoli l'appetito del suo convalescente, il quale stizzivasi come un bimbo delle privazioni che gli venivan consigliate; ma finiva quasi sempre col sorridere, anche lui, d'un sorriso smorto. - Sono molto cattivo, eh, lo dica lei! — chiedeva egli alla monaca, qualche rara volta che aveva forza e volontà di far quattro chiacchiere. La cornetta candida s'agitava negando indulgentemente: ci vuol pazienza, si sa; bisogna offrire a nostro Signore ogni patimento, farlo per mortificazione... e allora si sopporta tutto volentieri... In piedi, accanto al capezzale, ella pronunziava queste frasi d'umiltà e di rassegnazione un po' rapidamente, a mezza voce, come ripetendo a se stessa una giaculatoria, che fosse il ritornello obbligato della sua esistenza. Soltanto una volta scoppiò in una risatina infantile, quando il tenente, in tono corrucciato e confidenziale, le disse: — Ma che lei pretenda di schiaffarmi in paradiso per forza, è troppo! — A mano a mano che la convalescenza progrediva, il giovane mostravasi più nervoso e irascibile; a segno che in certi, momenti trattava quasi con egual severità il suo soldato e l'infermiera. In vece, certe sere, quando aveva molto dormito in giornata, di quel sonno riparatore delle forze ch'è tanto necessario a chi esce da una grave e penosa malattia, egli si sedeva su 'l letto, con una pila di cuscini dietro le spalle, e raccontava lentamente qualche episodio marinaresco occorsi a lui o a qualche suo compagno, evocando genti e paesi lontani dall'aspetto singolare e dagli usi mal noti. E allora quelle immagini che prima, durante il suo delirio, egli, inconscio, aveva come fatte balenare vertiginosamente dinanzi alla impressionabile, inesperta, spaventata fantasia della suora, a poco a poco si delineavano nitide e si fissavano nella mente di lei, ormai avida di novità, formate, colorite e chi sa quanto abbellite dalla poesia del descrittore. Giammai, un accenno, nè meno il più vago, usciva dalle labbra di lui intorno alla donna così appassionatamente chiamata e bramata nella crisi del male. A suor Istituta, che sedeva, immota, accanto al suo letto, egli non parlava d'idoli orrendi; ma ora soleva descrivere un lume di luna sotto l'equatore, somigliante a un meriggio mitemente roseo, nella cui luce diafana disegnavasi qualche pagoda dalle molteplici cupole che proiettavan lievi ombre azzurrognole, e da quella pagoda, vaporosa come un sogno, emanava un profumo soprannaturale; una quiete solenne e dolcissima era intorno. Dalle porte aperte del chimerico tempio si scorgevano ardere, sospese alla volta, tutta trafori, lampade d'oro massiccio in forma d'uccelli e di pesci; in fondo s'ergevano schiere d'idoli circondati di simboli ignoti, a' cui piedi era sparsa una folta fiorita di gelsomini e di tuberose senza stelo... O ricordava un'isoletta sotto un'ampia cupola di palmizi dal tronco sottile, come scolpito a bassorilievo. Là giù, le fronde a mazzi cresputi s'alzano come pennacchi o si piegano ondulando con languido ritmo alla brezza marina. E', sotto quelle piante, come un crepuscolo verde: singolare contrasto, per chi guarda l'isola dal mare, con la luce d'oro che colora in alto l'esterno del padiglione vegetale, e con la zona sterminata delle acque che la fasciano tutta d'un azzurro di turchese. Una sera, minacciava un temporale. L'aria, di calda ma elastica, s'era fatta pesante e afosa; Contessa Lara. 3 sbuffi di libeccio, come uscenti da una fornace, frusciavano con violenza tra le fronde agitate del giardino, sconquassavano e ingolfavansi dalla finestra nella stanza, gonfiando le cortine come vele, sparpagliando su'l pavimento i fogli che s'ammucchiavan su la tavola, sbattendo gli usci tra sibili e mugolii lugubri e frementi. Il tenente era stato molta parte del giorno taciturno, cupo, accigliato, quasi che l'avesse perseguitato un'idea fissa. Aveva mangiato meno del solito, dichiarando mal fatta ogni cosa preparata per lui; e finì col bestemmiare come un ossesso, perchè nel versarsi ei medesimo da bere, s'era rovesciato un po' di vino su 'l lenzuolo. Suor Istituta andava e veniva per la camera, servendolo senza far motto, con gli occhi più persistentemente chini al suolo, con le labbra serrate, come una bimba che si fa forza per trattenere il pianto. Il soldato, svelto e ubbidiente, correva, sempre scalzo, dove uno sguardo o un cenno della monaca gl'indicavano. Gli animi, come l'aria, eran gonfi di qualcosa, che aveva bisogno di sfogo. Finalmente, quando la sera fu scesa, il temporale estivo scoppiò in tutta la sua rumorosa violenza. Lampi e tuoni si succedevano senza interruzione, illuminando le cose d'una luce fulva e sinistra, e facendo oscillar cupamente la stanza del malato, come egli aveva tante volte sentita oscillare la sua cabina di bordo. Si sarebbe detto che tutta la pioggia, la quale da tre mesi non cadeva, si fosse rovesciata a torrenti straripanti su'l piccolo giardino, i cui rami si torcevano, gemevano, schiantavano. Il vento ululava peggio d'una belva. La suora, tremante, con la sua corona stretta in una mano, cercava, con l'altra, di riparar la fiammella del lume, che ondeggiava, lingueggiando, nella continua minaccia d'estinguersi; da che il malato, per un suo capriccio fisico, aveva assolutamente voluto che la finestra restasse spalancata. - Respiro! Respiro! Adesso respiro! - esclamava mettendo un lungo respiro di suprema soddisfazione — Bisognava dunque che l'inferno si scatenasse così, perch'io stessi meglio! — In quel medesimo momento, una raffica più forte dell'altre portò dentro un'ondata di pioggia che s'abbattè su 'l pavimento: il lume si spense, e mugghiò un tuono che parve una cannonata sparata lì accosto... Con un piccolo grido e un involontario balzo a dietro, suor Istituta, colta di terrore, erasi buttata presso il letto dell'infermo. Questi diede in una di quelle risate spontanee, giovanili e sane, che certo non lo rallegravano da un pezzo, e la sua mano cercò la manina gelata e tremula della monaca. - Che c'è? Ha paura? — esclamò egli in tono canzonatorio; e soggiunse continuando a ridere: — Ha paura che il diavolo si presenti da vero? - Ella ebbe un brivido per tutto il corpo; un brivido che le corse giù fino alla punta delle dita affusolate, che l'ufficiale teneva strette. - Paura... no; ma è un tempo... un tempo orribile! - - Un tempo che mi fa tanto bene! - disse lui - Non è contenta lei ch'io mi senta meglio? - Al bagliore d'un lampo, egli vide un sorriso beato su le labbra pallide della sua infermiera. Allora insistè: - Dica, non è contenta? - - Non desidero altro... altro al mondo! — confessò ella con un fil di voce dolcissima. Il malato la guardava fisso, come attratto verso di lei da un fascino nuovo e singolare. Perchè mai era così bianca, quasi spettrale? Perchè tremava ella tanto, per modo che, appoggiata al letto, gl'imprimeva un lieve, rapidissimo moto? — Mi vuol dunque bene, lei?... — La suora mise un altro piccolo grido, come quando lo scoppio della tempesta l'aveva spaurita, ma più soffocato e come interno; si fece al tempo stesso un segno di croce, svincolando la sua mano dalla mano virile che la premeva, e corse a riaccender la candela e a chiudere le invetriate. Quando il lume, ch'ora sembrava giallo, rischiarò la camera, il volto di suor Istituta parve roseo: ella sorrideva; era tornata serena; non tremava più; s'era vinta. — Non doveva esser pallida; era l'effetto dei baleni; e tremava soltanto perchè aveva paura dei tuoni — fece tra se il tenente, con un senso d'ironia dispettosa. Chiese da bere; poi serrò gli occhi, forse per dormire, forse per pensare.

Pagina 28

A un capo stava l'opulenta signora Alford, dirigendo il servizio del pranzo con maestosa correttezza; al capo opposto, il tarchiato Borise, capitano di lungo corso, da' forti lineamenti del viso barbuto, arso dal sole, parlava a voce alta e comandava a' camerieri come a tanti marinai di bordo. In giro, erano i forestieri della pensione, poco numerosi per il momento. Lo sguardo del conte si fermò subito sur un tenentino de' bersaglieri, attillato nella caratteristica divisa. Era la prima volta che lo incontrava, e bisogna convenire che gli dispiacque non poco con quella capigliatura bruna e folta dalla scriminatura quasi impercettibile al centro, con quel viso orientale d'un pallor dorato dove spiccavano i larghi occhi neri da' riflessi ora di velluto, ora d'acciaio e la bocca rossa e voluttuosa dal sorriso ora appassionato ora sprezzante. Poteva aver circa ventuno o ventidue anni. Sedeva accanto a Emma, con cui discorreva fitto fitto e piano. — Presento a questi onorevoli signori il tenente Antonio di San Teodoro — disse la padrona di casa accennando il nuovo ospite con un gesto largo e dignitoso. Il tenente s'alzò e s'inchinò con perfetta eleganza; parecchi commensali risposero cortesemente al saluto, e qualche signora che Contessa Lara. 20 abitando da un pezzetto la pensione, già conosceva l'ufficiale, gli sorrise; ma Sampieri, sempre in piedi, pareva cercare qualcosa, incerto, distratto, confuso. - Là, là, signor conte, fra quelle due belle signore — disse ancora la padrona indicando fra Miss Gingerly e la contessa Bobriskoff un posto vuoto, a cui il povero uomo dovette rassegnarsi, pur prevedendo tutte le delizie che avrebbe godute in mezzo a quelle due sninfie esotiche, determinate l'una a salvarlo a forza di prediche glaciali, l'altra a perderlo a forza di poesie ardenti. — Ecco un piatto di maccheroni che si pagherebbe sa Dio quanto a Londra o a Parigi, dove roba così non si sogna! — esclamò il capitano Borise, asciugandosi la folta barba col tovagliolo, dopo aver dato fondo in un batter d'occhio alla seconda scodella de' vermicelli al sugo. — Fra tutti i miei viaggi, e ne ho fatti molti, signori miei, quando non mi riesciva d'aver a bordo un cuoco napoletano, sentivo che mi mancava l'anima.... Allora la signora Alford spiegò che appunto la sua pensione era la migliore di Napoli per la cucina, perchè aveva un cuoco inglese e uno napoletano. Lei non amava far le cose a mezzo; se si hanno in casa tutte persone di riguardo, bisogna trattarle bene. Questa era la ragione per cui quando uno era stato in casa sua, sempre ci tornava. I forestieri annuivano con cenni di soddisfazione, e da un capo all'altro della tavola si trattò ne' piu minuti e delicati particolari la questione gastronomica, discutendo i pregi e i difetti delle cucine de' vari paesi. A mezzo il pranzo la signora Alford si volse con premura al conte: — Ma lei non ha mangiato nulla, e sono parecchi giorni che fa così. Prenda almeno una quaglia, la prego! Mi permetto d'insistere perchè qui siamo come in famiglia... — (il conte rifiutava) — L'aria di mare suol mettere appetito.... E se lei non mangia bisognerà dire ch'è innamorato! Sampieri già consacrava un'occhiata eloquente ad Emma, quando il capitano lasciò cader su la tavola un pugno che fece voltare tutti quanti. - Mannaggia all'anema é màmmete! — gridò tossendo nel tovagliolo, perchè il vino gli era andato a traverso in uno scoppio di riso. — Innamorato lui! Ah! Ah! Ah! Innamorato lui! A quell'età lì!.... Un'onda d'ilarità generale, ma frenata dall'educazione, si propagò ne' commensali. Rosso fino al cranio nudo e lucido, il conte Sampieri assunse un tono di rabbia e insieme di confusione singolarmente sollazzevole, mentre abbozzava qualche frase che doveva essere di sfida: - Signor capitano.... Io... vede.... Io... Non l'ho mai autorizzato... vede... queste libertà.... Signor capitano.... Il Borise ch'era un uomo di buon cuore e non aveva altra menda tranne una volgarità troppo schietta, s'accorse d'aver offeso il gentiluomo, e subito si scusò; ma a modo suo e certo con più sentimento che tatto. — Signor conte — disse — mi dispiacerebbe assai che voi prendeste su 'l serio quel che aggio ditto pe' pazzia' — (il conte s'inchinò ringraziando, e il marinaro ricominciò). — Ho avuto torto, lo confesso, di permettermi uno scherzo con un signore rispettabile come voi — (il conte, assentendo, s'inchinò di nuovo fìno a toccar la tavola) — e che per eta potrebbe essermi padre. Qui il conte non assentì e non ringraziò per nulla, ma lanciò al capitano un'occhiata di traverso da incenerirlo. Senza a fatto curarsi de' vari discorsi degli altri, la signorina Alford e il bruno bersagliere continuavano la loro conversazione intima, nella quale, riscaldandosi, alzavano un po' più la voce, a segno che qualche frase ne giungeva anche lontano al vecchio innamorato. - Perchè negarlo? — chiedeva la fanciulla con un sorriso adorabile. - Su 'l mio onore non sono stato io! — rispondeva posandosi una mano su 'l petto San Teodoro. Lei badava a insistere: - .... nessun altro al mondo... e poi quel nastro... scena inebriante... mi sentivo venir male... nessuno fuori di voi... tanto nel vostro carattere... attenzioni gentili, mute. - Come persuadervi?... inutile giurare.... credete quel che vi pare e piace... non saprei.... — Davvero inutile... vi conosco, Toto ! basta... così commossa... un ricordo incancellabile. Ora, qualunque altro galantuomo in condizioni d'animo diverse da quelle del conte Sampieri avrebbe, a occhio e croce, mangiata la foglia. Il dono anonimo del romanzo desiderato attribuivasi da Emma Alford al tenentino dei bersaglieri, il quale pareva essere con la ragazza in rapporti di cuore molto fortunati; ed ella gli sorrideva, parlandogli accosto al viso di quel dono gradito, quasi gli avesse voluto alitar la propria anima fra quelle belle labbra rosse che negavano. Ma il dabben uomo era innamorato; e l'amore, si sa, più si va innanzi nella vita e più ci stringe e ci raffittisce la benda su gli occhi. — Questo non prova nulla — si ripeteva il pertinace buon uomo, lieto di trovar buoni argomenti alla sua fissazione. — Anzi prova che Emma è sensibile alle attenzioni d'un uomo delicato; poi, ragione di più perchè si commuova quando saprà chi fu il vero donatore del libro, e si disgusti di quel vanesio, di quel farfanicchio sguaiato. Già, quello lì che noia m'ha da dare se dice ch'è distaccato a Salerno e viene a Napoli a ogni morte di papa? — (E guardava il giovane San Teodoro con un risolino di sprezzo) — Cattivo sistema il farsi bello col sol d'agosto, caro il mio minchione! — concluse finalmente con una scrollata di capo che significava la sua trionfante pietà. E così pensando badava a sbirciare di sotto le lenti d'oro il suo rivale e a sorbirsi un dopo l'altro parecchi bicchieri di bordeaux: fin che l'avvocato Bencini, che l'osservava di lontano, gli venne a canto a proporgli una passeggiata verso Posillipo. Emma, che udì, colse subito la palla al balzo, e con una smorfietta graziosa rivolta alla mamma dichiarò che si struggeva di far quattro passi, perchè non usciva da una settimana. - Sì, sì, my darling, esci pure con questi signori, se sono tanto gentili da volerti accompagnare! — acconsentì bonariamente la signora Alford, la quale seguiva a Napoli il patrio sistema educativo per le giovanette, tale e quale come se si fosse trovata a Nuova- York. La fanciulla guardò con un sorriso il conte Sampieri che si sbracciava a ringraziar lei e la madre di tanto onore e di tanto piacere; poi guardò il tenente. - Perdono, signora — disse questi alla proprietaria della pensione — ma io avevo pregata Miss Emma di favorire le mie sorelle, che stasera hanno una piccola riunione d'amiche, e Miss Emma.... - Oh, va benissimo, caro Totò, io ignorava.... Sì, sì, Emma verrà, pur che voi stesso me la riaccompagnate a casa prima di mezzanotte. — II diavolo ti porti a Salerno e anche più in là! — imprecò tra' denti il povero deluso, mentre la ragazza si consigliava con la madre su 'l vestito da indossare; quindi ella gettò rapidamente questa frase all'ufficiale: — Quello bianco velato co' nodi di raso celeste; quello che vi piace tanto! — e corse via. — Ora ritengo che dopo quanto t'è accaduto sotto il naso, tu sarai bell'e guarito! — diceva l'avvocato Bencini all' amico, in tanto che s'avviavano a braccetto verso Posillipo. Ma su le labbra del conte s'affacciava il solito risolino di superiorità. L'altro continuava: — È chiaro che la ragazza è cotta di quel bersagliere, che del resto è un bel giovanotto, bisogna convenirne; sì che, credi a me, il meglio che tu possa fare gli è di non pensarci più, proprio più a fatto, come se codesta gente non l'avessimo mai veduta. - Io? — rispose il conte, fermandosi a guardare il compagno negli occhi. — Io non pensar più a lei? Io rinunziare alla mia felicità? E in onor di che santo, dimmi un po'? - In onore del buon senso, perdio! — proclamò il Bencini. - No, carissimo, no; meno che mai ci rinunzio. Anzi, se lo vuoi sapere, la faccenda prende proprio la piega che volevo io. Se Emma si fosse subito abbandonata alla mia prima manifestazione d'amore non l'avrei stimata come ora la stimo. Ma la sua riservatezza, la sua modestia... quel desiderio di farsi accompagnare da me, ch'ella non ha osato esprimere.... - Che desiderio e non desiderio, se avevan già tutto combinato col suo tenente? Già, a me, ecco, questi usi americani e inglesi di mandar fuori le ragazze sole con gli amici, mi garbano poco. Le donne.... - Le donne, mio caro, non son mica delle schiave! — sentenziò Sampieri, il quale nella pensione Alford si era sciolto da parecchi pregiudizi tutti nostrani. — Anzi, nella libertà che si accorda loro da fanciulle, vale a dire quando non hanno nè obblighi nè legami, si rivelano le loro vere inclinazioni senza convenzionalismo e senza ipocrisia, e un uomo che le frequenti giudica dalla fanciulla quel che sarà la donna. L'altro scrollava il capo con ciera incredula; il conte ripigliava: - E vedi, se stasera quell'imbecille non fosse saltato su a strapparmela con quell'invito a bruciapelo: un invito che lei non ha potuto ricusare, si capisce, perchè ci sarebbe stata poca modestia a far vedere che preferiva la mia compagnia a quella d'altre ragazze, lei, credi.... - Sampieri, fammi il piacere di smettere, perchè mi fai uscire da' gangheri, con questi ragionamenti da grullo! — disse l'avvocato, visibilmente stizzito. Ma il vecchio ostinato non cedeva. — Va bene, va bene, acqua in bocca! Ma vedrai se a forza d'attenzioni discrete e gentili io non arrivo a far di Emma la mia signora!

Pagina 304

In un angolo del salone, la padrona e il capitano Borise giocavano a scopa; in torno alla tavola del centro, ingombra di giornali esteri, per la maggior parte illustrati, su i quali piovevano i raggi d'una enorme lampada sospesa e le foglie di rose d'una canestra di fiori, mezzo avvizzata, stavano de' signori discutendo sottovoce di politica o di musei; seduta sur un canapè a canto al marito, che taceva, la pacifica olandese infilava delle schegge di corallo, roba comprata da' venditori ambulanti; in un altro angolo, Miss Gingerly inchinava con profonda devozione i riccioli trucioleschi sur un opuscolo evangelico; e la contessa Bobrinskoff modulava al piano una delle sue arie slave dal sentimento strano e selvaggio, allungando nel vuoto, con desiderio smanioso, la faccia inverniciata. Sampieri volse malinconicamente gli occhi in giro e mise un sospirone, senza osare di chieder notizie della bella assente; e, preso in mano un giornale, s'adagio in una poltrona. Bencini fumava una sigaretta su 'l terrazzo che guardava il mare. Un grande orologio di bronzo, su 'I caminetto, sonò lentamente i tre quarti e poi le undici. Il capitano, alzato il capo dal giuoco fissò l'orologio e poi la signora Alford. - Mi sembra che a quest'ora Emma avrebbe dovuto esser tornata - osservò egli. - Sembrerebbe anche a me, corpo d'un cane! — pensò con dispetto il conte. Ma la madre si mostrava perfettamente tranquilla. - Non è ancora mezzanotte, e staranno sempre ballando — rispose lei; quindi soggiunse: - Del resto, quando Emma è con Totò di San Teodoro, non ho timore che le accada nessun guaio. Il conte sospirò più forte, e forse questa volta il suo sospiro era una protesta contro gli usi americani, testè da lui tanto lodati. Ma scoccavano le dodici in punto quando la porta del salone si spalancò; e seguìta dal tenente, apparve Miss Alford, raggiante d'eleganza, di giovinezza e di felicità, con un incarnato più diffuso su le guance e leggermente scomposti i capelli rossicci che le mettevano, vista contro luce, un'aureola d'oro su la testolina. — Meno male che siete stati esatti! — borbottò Borise, salutando la bella coppia d' un gesto della mano. — Ora militare, capitano; la consegna avanti tutto! — gli rispose ridendo San Teodoro, mentre si faceva aria su 'l viso col berretto piccolo e piatto. Allora, si formò un crocchio in torno a Miss Alford. Tutti volevano sapere s'ella si era divertita, quanti waltzer aveva ballati, s'era stanca e accaldata. La madre la carezava su la fronte e le lisciava i capelli, quando Emma, interrompendosi, esclamò: — O mammà, se aveste veduto che mazzo di fiori maraviglioso c'era in mezzo alla sala del the! Figuratevi una fontana, alta due metri, con piedestallo, vasca e trofeo interamente fatti di gardenie, per simulare il marmo; e in vece del getto d'acqua una cascata di rose trattenute da fili d'argento. Un profumo! Una delizia! Un tesoro! Io ne avevo le vertigini! M'ha detto Carmenella di San Teodoro che quel mazzo valeva quattrocento franchi, perchè lo scheletro è di vimini dorati, e resta in salotto come giardiniera. E subito Totò, che me ne ha vista innamorata, voleva ordinarmene uno domani.... Ma io ho energicamente rifiutato! - Lo credo bene! — affermò la madre - non ci mancherebbe altro che Totò facesse con te de' complimenti di questo genere! - Di questo valore! — corresse il capitano. - Tanto più — continuò — che i napoleoni non gli sfondano le saccocce! Si rise, in torno, del tatto supremo con cui Borise evitava una spesa un po' ingente al giovinotto, e qualcuno dichiarò che un ufficiale da poco promosso, per essere bene in carattere, non deve aver un soldo in tasca, ma viceversa spendere come se ci avesse un milione. Contessa Lara. 21 Il conte Sampieri gongolava in silenzio; e dopo aver con voce alta e tremula, sudando freddo, schiccherato ad Emma ch'era ella stessa una viva fonte bianca che gettava rose, si ritirò nelle sue stanze, molto soddisfatto di sè e delle proprie avventure galanti. Il mattino seguente, il brav'uomo s'alzò e uscì innanzi giorno, nè si fece più vivo alla pensione fino all'ora di pranzo: a cui tornò ben rasato, sorridente, e vistoso nell'ampio panciotto più candido della neve. C' erano ai medesimi posti le medesime persone. - Oggi lei mangerà, speriamo! — si volse a dire la signora Alford con affettuosa cortesia al nuovo arrivato: da che l'ottima donna, da vera settentrionale ch' ella era, intendeva tutto, fuor che il digiuno. - Oggi... io... oggi... vede... ho anche meno appetito del solito. - Ah, ma, Dio mio, caro conte, bisogna assolutamente che lei consulti un medico. Così non può andar avanti. Emma, my darling, alzati e senti se il signor conte ha la febbre — ordinò alla figliuola; poi si mise a spiegare a' suoi ospiti come Emma fosse abilissima a conoscere la febbre, da quando lei, sua madre, aveva avuta la perniciosa a Roma; in tanto che la giovanetta, con un sorriso birichino, tastava il polso del vecchio, che le abbandonava la mano, guardandola beatamente fisso, di sopra le lenti. — No, no, miss Emma, il conte non ha febbre — insinuò con rispettosa confidenza San Teodoro. — Il conte è innamorato, come diceva benissimo ieri la signora Alford. Emma scoppiò in una sonora risata di bimba; gli altri risero meno rumorosamente; ma in quella che il capitano apriva bocca per lasciarne andare qualcuna delle sue, e Sampieri pensava: — Dio ti mandi un acci... — ecco un cameriere avvertir sottovoce la padrona che c'erano due uomini con un mobile fatto di fiori. — Io non ho ordinato fiori — rispose la signora; poi si volse alla sua ragazza: — va a vedere di che si tratta, my darling, perchè dev'esservi uno sbaglio d'indirizzo. Emma era a pena uscita che di nuovo si precipitava nella sala da pranzo, con gli occhi lucenti di gioia, esclamando: — La fontana! Una fontana più alta, più bella di quell'altra! — poi subito, volta al tenente: — Ma che pazzia, Totò! che gran pazzia! Dopo che ve l'avevo proibito, dopo che v'avevo fatto promettere, giurare che non l'avreste ordinata! Un oooh! d'ammirazione generale salutò quel trionfo di fiori che lentamente i camerieri trasportavano nella stanza, in tanto che Emma, a cui s'univano la madre e il capitano, badava a colmar di dolci rimproveri e di effusioni di gratitudine l'ufficialino: il quale si difendeva, in vano, giurando su tutti i toni e in tutti i modi ch'egli non ne intendeva una buccicata. Quando il cicaleccio si fu alquanto acquetato, Emma andò a posar la testa bionda su l'orlo odoroso della vasca di gardenie, come una colomba assetata. — Avrei dovuto figurarmelo — diss'ella dolcemente commossa. — son proprio del carattere di Totò queste premure senza parole... — e seguitando ad aspirare il profumo acuto, mormorò: — I bellissimi fiori dovranno appassire, ma il ricordo resta.... L'avvocato guardava fisso fisso il suo amico. — Che diamine faccio io? — gridò il tenente guardando l'orologio - M'ero assolutamente dimenticato che debbo tornare a Salerno. E a quest'ora mi pare impossibile di fare in tempo al treno, con tanta distanza dalla stazione! Rapido come un lampo, balzò a riprendere la sciabola che aveva deposta in un canto, e affibbiandosi il cinturino, salutava in fretta e furia la società; poi volò giù a precipizio per le scale; ma Emma, afferrando una manata dei tralci di rose che figuravano il getto della fontana, senza udir un grido soffocato d'ira e di dolore del povero conte Sampieri — a cui nessuno, tranne il Bencini, badava — corse al balcone e buttò i fiori nella carrozzella che si portava via San Teodoro. Quando la fanciulla rientrò nella sala, il vecchio n'era scomparso. L'amico si mise in cerca di lui per tutta la pensione; ma senza frutto. Allora, inquieto, insospettito, fantasticando che un originale di quella fatta era capace di commettere qualunque sciocchezza, uscì subito in traccia di lui, percorrendo tutti i luoghi ch'erano usi a frequentare insieme; e finalmente, dopo più d'un'ora di palpiti, trovò il conte dentro la Villa, solitariamente accasciato sur una panchina, come un povero diavolo che non ha nè pane nè tetto. L'infelice non gli lasciò tempo di parlare. - Ma è orribile! è atroce, sai! — esclamò battendosi tutt'e due le mani su le ginocchia. — Chi poteva immaginare che quell'animale si sarebbe appropriato così tutto il merito?... mentre son io che ho regalato il mazzo ad Emma; io, io, non già lui! - Me lo figuravo, non dubitare. - asserì l'altro - Ma, che tu sia benedetto! o perchè non glielo accompagnavi con una tua carta? O almeno perchè non hai parlato quando la cosa è andata come è andata? Ci voleva tanto! - Mio caro, non è da oggi che tu mi conosci! Io, lo sai come son fatto. Con le donne ho avuto un sistema tutto di discrezione; e figúrati se questo sistema mi si è fatto più sacro da quando ho capito che è proprio quello che piace a Emma. Le dichiarazioni brusche non valgon a nulla, di certo: in vece la delicatezza.... Ora, però, so io quel che ho da fare. — Come? — domandò con sorpresa l'avvocato. — E intenderesti di corteggiar ancora quella ragazza... a ogni costo?... - Intendo di farla mia moglie, capisci? — dichiarò il conte risoluto. - La passione, eh? dà ogni scaltrezza, e io ho trovato un mezzo ingegnosissimo per impossessarmi di quel coricino cosi sensibile. — Sì molto sensibile, ma non per te! — ribatteva l'avvocato. — Per adesso, mi sembra che tutti i tuoi espedienti ingegnosi, tutte le tue delicatezze mute sieno state soltanto buone ad avvantaggiare il tuo rivale, il bel Totò.... - Bencini, non mi nominar mai più quello sfacciato straccione, o ci guastiamo! — Caro Sampieri, ci guastiamo senza dubbio e su 'l serio, se tu non mi giuri su 'l tuo onore che domattina stessa andiamo via di qui. Ma il conte era nello stato acuto della passione. Partire! Partire ora proprio ch'egli aveva trovato il modo di conquistare il paradiso? No, no, e poi mille volte no, che non partiva! E fece e disse tutto quel che potè per persuader l'avvocato che questo era l'esperimento decisivo, l'estremo. — Ti chiedo per grazia, per misericordia, di tentar quest'ultima prova; dopo di che partirò per sempre, sì, per sempre; ma mi devi promettere che questa volta mi aiuterai molto anche tu. Fuori di sè per la stizza che gli faceva l'ostinazione del conte, il Bencini protestò energicamente su 'l proprio intervento in una ridicolaggine come quella; e sa Dio se risparmiò, mescolati insieme, consigli e rimproveri. Ma quando vide quella povera figura grottesca, compassionevole pregarlo con gli occhi pieni di lagrime, quando s'accorse che il cervello del suo vecchio amico ci andava di mezzo, si calmò e cercò di calmare l'altro; ascoltò con pazienza i progetti di lui, e gli promise il suo appoggio a conseguirne l'adempimento. Poco dopo l'avvocato tornava solo alla pensione.

Pagina 317

. - È un uomo, vede, che s'interessa a lei più che alla propria vita, un uomo che l'ama, che l'adora.... Emma cadde come un cencio, svenuta. L'avvocato si precipitò a raccoglierla, commosso, impaurito; l'adagiò sopra un divano e corse ad attaccarsi al campanello. In un minuto tutta la gente della pensione era riunita nel salone. La signora Alford sganciava la cintura alla figliuola; la contessa le faceva odorare dei sali; Miss Gingerly, con le mani giunte e con gli occhi al soffitto, probabilmente pregava per la salvezza della fanciulla; il capitano sbraitava in dialetto; e quatto quatto il conte Sampieri, con un braccio al collo, umile in tanta gloria, si godeva in disparte l'effetto della sua alzata d'ingegno. D'improvviso entrò il tenente di San Teodoro. - Ch'è stato? — gridò egli, facendosi strada nel gruppo delle persone che assistevano la fanciulla, e inginocchiandosi accosto a lei domandò: — Emma! Emma, che avete? La voce amata scosse Emma, che aprì gli occhi, li fissò su 'l giovane, e buttandogli le braccia al collo, immemore perfino di dove ella si trovava, scoppiò in un pianto convulso. — Ma che c'è? Ch'è successo? — chiesero in coro gli astanti, tranne i due signori toscani. A pena Emma potè parlare, interrotta dai singhiozzi, si volse di nuovo al suo amore. — O Totò adorato, com'hai avuto cuore d'esporre la tua vita, la tua vita preziosa a quel modo.... per me?.... Ma non sai che se qualche disgrazia... più grande... ti fosse accaduta, io sarei impazzita, sarei morta! Dove, dove sei ferito, povero Totò? — Ferito? ferito io? - protestava San Teodoro, toccandosi il petto quasi per persuadere sè stesso che non sognava. — Io sono andato alla stazione; il treno partiva in quel momento, e sono rimasto in terra, ecco la cosa. Emma ripigliava con un fil di voce: — Taci, taci, so tutto. Oh, non ingannarmi più con le tue solite delicatezze, che ora sono troppe... perchè ormai dopo tutto quello che hai fatto per me, noi siamo fidanzati, siamo marito e moglie! Non è vero, mammà, non è vero che acconsentite? Se sapeste come siamo innamorati! E scoppiò di nuovo a piangere, mentre passava leggermente le dita della manina pallida tra i folti capelli del giovane, che non comprendeva nulla fuor che d'essere felice, e baciava furiosamente quell'altra manina. Lì in torno erano tutti commossi, perfino il capitano. L'avvocato Bencini approfittò di quel momento per avvicinarsi al conte Sampieri; sciolse la sciarpa che gli avvolgeva il braccio, poi gli disse, sicuro, questa volta, del fatto suo: — Ora, mio caro, possiamo preparare il bagaglio per partire domattina. - No, anzi, partiamo stasera — pregò il conte. E la sera, quando furono seduti uno di fronte all'altro in una carrozza di prima classe, l'avvocato Bencini disse all'amico: — Se mai, per tua disgrazia, ti tornasse il ghiribizzo di prender moglie, quando tu incontri una donna che fa per te, spiattellale chiaro e tondo le tue intenzioni; perchè, di' quel che vuoi, ma credi a me: nell'anima d' una donna, con tante delicatezze è difficile entrare... massime alla nostra età.

Pagina 330

- gridò il tenente, rizzandosi in piedi e correndo a buttarsi al collo della signora. - Come stai? Come ti senti? — chiese ella con un sorriso più leggiadro che commosso. Ei la divorava con gli occhi umidi. — Bene, ora... Mi sento rinato, perchè ti vedo. Tu m'hai salvata la vita, venendo da me! Capisci? M'hai salvata la vita, angelo! Se to sapessi come t'amo!.. — Ma avvedendosi d'improvviso che la suora di carità e il soldato di marina stavan lì attoniti guardando la scena, il convalescente ordinò brusco, col suo piglio da superiore: - Lasciateci! Chiamerò se ho bisogno. — I due uscirono tosto, sfilando a capo basso, in silenzio; e, quando furono fuori della stanza, i loro sguardi pieni d'una tristezza indicibile, s'incontrarono, come forse s'incontrarono i desiderii delle loro anime semplici: l'una evocante l'immenso oceano e le sue tempeste; l'altra il piccolo chiostro tutto silenzio: i soli luoghi capaci di far dimenticare.

Pagina 39

Cerca

Modifica ricerca