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PRIN 2012 – Accademia della crusca
Tragedia lirica [in tre atti] di Francesco Maria Piave di Francesco Maria
Musica del maestro Giuseppe
Ufficiale della Legion d’Onore
PersonaggiCori
Membri del Consiglio dei Dieci e Giunta – Ancelle di Lucrezia – Dame veneziane – Popolo e Maschere d’ambo i sessi.
Comparse
Il Messer Grande – Due figlioletti di Jacopo Foscari – Comandadori – Carcerieri – Gondolieri – Marinai – Popolo – Maschere – Paggi del Doge.
La scena è in Venezia, l’epoca il 1457.
Il 15 aprile del 1423 Francesco Foscari fu elevato al trono ducale di Venezia, in concorrenza di Pietro Loredano. Cotesto Pietro non lasciò di avversarlo nei consigli per modo che una volta, impazientandosi il Foscari, disse apertamente in Senato: non poter credere sé veramente doge finché Pietro Loredano vivesse. Per una fatale coincidenza, alcuni mesi dopo, esso Pietro e Marco di lui fratello improvvisamente morirono, e, come ne corse voce, avvelenati. Jacopo Loredano, figlio di Pietro, lo pensava, lo credeva, lo scolpiva sulle loro tombe, e ne’ registri del suo commercio notava i Foscari a lui debitori di due vite, freddamente aspettando di farsi pagare.
Il Doge aveva quattro figliuoli; tre ne morirono, e Jacopo, il quarto, sposato a Lucrezia Contarini, per accusa di aver ricevuto donativi da principi stranieri, a seconda delle venete leggi, era stato mandato a confine, prima a Napoli di Romania, poscia a Treviso. Accadde frattanto, che Ermolao Donato, capo del consiglio dei Dieci, il quale condannato avea Jacopo, trucidato fosse la notte del 5 novembre 1450, mentre tornava da una seduta del consiglio al suo palazzo. Siccome Oliviero, servo di Jacopo, s’era il dì innanzi veduto a Venezia, e la mattina seguente al delitto ne aveva pubblicamente parlato ne’ battelli di Mestre, così i sospetti caddero sopra il Foscari. Padrone e servo furono tosto tradotti a Venezia, e data loro inutilmente tortura, furono esiliati a vita in Candia. Cinque anni dopo Jacopo, sollecitato avendo inutilmente la sua grazia, né potendo più vivere senza rivedere l’amata patria, scrisse al Duca di Milano, Francesco Sforza, pregandolo a farsegli intercessore presso la Signoria. Il foglio cadde in mano dei Dieci; Jacopo ricondotto a Venezia, e nuovamente torturato, confessò di avere scritta la lettera, ma per solo desiderio di rivedere la patria, a costo ancora di ritornarvi prigione. Si condannò a tornare in vita a Candia, a scontarvi però prima un anno di stretto carcere, e gli si intimò pena di morte se più scritto avesse di simili lettere. Il misero Doge ottuagenario, che con romana fermezza assistito aveva ai giudizii ed alle torture del figlio, poté privatamente vederlo pria che partisse, e consigliarlo alla ubbidienza e rassegnazione ai voleri della Repubblica. Accadde in seguito, che Nicolò Erizzo, nobile veneziano, venuto a morte, si palesò uccisore di Donato, e volle si pubblicasse tal nuova a discolpa dell’innocente Jacopo Foscari. Alcuni autorevoli senatori erano già disposti a chiederne la grazia, ma l’infelice era frattanto di cordoglio spirato nel suo carcere di Candia.
Afflitto il misero padre per tante amarezze, vivea solitario, e poco frequentava i consigli. Jacopo Loredano frattanto, che nel 1457 era stato elevato alla dignità di decemviro, credette allor giunta l’ora di sua vendetta, e tanto occultamente adoprò, che il Doge fu astretto a deporsi. Altre due volte, nel corso del suo dogado, il Foscari desiderato aveva abdicare, ma non si era accondisceso alle sue brame non solo, ché anzi lo si era costretto a giurare che morto sarebbe nel pieno esercizio del suo potere.
Malgrado tal giuramento, fu astretto a lasciare il palazzo dei dogi, e tornarsene semplice privato alle sue case, rifiutato avendo ricca pensione ch’eragli stata offerta dal pubblico tesoro.
Il 31 ottobre 1457, udendo suonar le campane, annuncianti la elezione del suo successore Pasquale Malipiero, provò sì forte emozione che all’indomani morì. Ebbe splendidi funerali, come se morto fosse regnando, a’ quali intervenne il Malipiero in semplice costume di Senatore. Si è detto che Jacopo Loredano scrivesse allor ne’ suoi libri, di contro alla partita che abbiam sopra citato, queste parole: I Foscari mi hanno pagato.
È questo il brano di storia sul quale è basata la mia tragedia. Per l’effetto e pelle esigenze inseparabili a questo genere di componimenti ho dovuto dar passo ad alcune licenze che scorgervi facilmente si possono, e per le quali spero indulgenza dal culto lettore.
F. M. Piave
Fine dell’Atto primo.
Fine dell’Atto secondo.
Fine.