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PRIN 2012 - Accademia della Crusca
Congedi. — Parole del presidente nell'annunziare la morte del deputato Asproni — Considerazioni del ministro guardasigilli, e sua proposta di onoranza — Aggiungono parole di duolo e fanno alcune osservazioni i deputati Umana, Ferrari, Bonfadini, Mariotti, Sella, Minghetti. La Porta ed il ministro per l'interno — Repliche — È approvata la proposta del guardasigilli — Sorteggio di una Giunta per assistere al funebre convoglio. — Risultamento di votazioni per la nomina di componenti di alcune Commissioni e di due segretari della Camera. — Interrogazione del deputato Damiani sulle eccezioni che trova risultare in talune provincie per l'applicazione della legge 28 aprile 1872 e di un recente decreto reale riguardante alcune esecuzioni militari e per l'abolizione dell'azione penale — Spiegazioni del ministro per la guerra. — Seguito della discussione dello schema di legge sui conflitti di attribuzione — Considerazioni del deputato Peruzzi in appoggio dello schema — Il deputato Della Rocca discorre in sostegno del medesimo, e propone un voto motivato — Osservazioni del deputato Auriti — Opposizioni del deputato Tegas alla proposta dei deputati Della Rocca e Pierantoni — Considerazioni del deputato Crispi in appoggio dello schema, e sue osservazioni — Adesione del guardasigilli allo schema, e sua opposizione alla proposta del deputato Della Rocca. — Il deputato Podestà presenta la relazione sul bilancio di definitiva previsione della spesa del Ministero della marineria pel 1876. — Annunzio di una interpellanza del deputato De Zerbi sullo scioglimento del Consiglio comunale di Napoli, e di una interrogazione del deputato Massari sull'innalzamento di alcune legazioni al grado di ambasciata.
La seduta è aperta alle ore 2:20 pomeridiane.
(Il segretario Pissavini dà lettura del processo verbale della
tornata precedente, che è approvato.)
presidente. Si dà comunicazione di un elenco di omaggi
stati inviati alla Camera.
Pissavini segretario.
(Legge)
Dal prefetto della provincia di Cuneo — Atti del Consiglio provinciale riferibili alle sessioni ordinaria e straordinaria del 1875, copie due;
Dal dottore Giuseppe Pierazzini, medico-chirurgo a Pontedera — Delle malattie del cuore, una copia;
Dall'ingegnere Angelo Vescovadi, capo della divisione idraulica al municipio di Roma — Appendice agli studi idrometrici sul fiume Tevere, e considerazioni sulla convenienza della sua rettificazione, copie 50;
Dal prefetto della provincia di Macerata — Atti di quel Consiglio provinciale relativi alle sessioni straordinaria e ordinaria 1875, due copie;
Dall'avvocato Pietro Barbariello, Matera — Libro II, L'uomo ed i suoi attributi in rapporto al diritto naturale e sociale, una copia;
Dal Ministero dell'interno, direzione generale delle carceri — Statistica delle carceri per l'anno 1874, copie 100;
Dallo stesso — Calendario generale del regno pel 1876, copie 5;
Dal Ministero delle finanze, direzione generale delle gabelle — Statistica del commercio speciale d'importazione e di esportazione dal 1° gennaio al 31 marzo anno corrente, copie 100.
presidente. Hanno chiesto un congedo, per motivi di
famiglia: l'onorevole Bruno, di giorni 15; l'onorevole Poschini, di due
mesi.
Per ragione di salute, l'onorevole Pace lo domanda di giorni 20; per affari particolari l'onorevole Mazzagalli, di giorni 20.
(Sono accordati.)
presidente. Coll'animo profondamente amareggiato,
partecipo alla Camera la dolorosa perdita dell'onorevole deputato Asproni,
deceduto ieri in questa città, dopo breve e penosa malattia.
Giorgio Asproni, che contava ben nove Legislature, non fu soltanto deputato di Nuoro, suo collegio natio, ma ebbe anche la fiducia di altri collegi e cospicue città. Egli era uno dei pochi superstiti che nel Parlamento subalpino, con fiero patriottismo, si erano assunta la nobile missione di non parlare che in nome e nell'interesse dell'Italia; il suo culto era l'indipendenza e la libertà della patria, la sua fede, la imparzialità, la legalità, la giustizia per tutti; e non vi è pagina nella storia di quel Parlamento in cui siasi trattato di questi alti principii, che non registri la parola dell'onorevole deputato Asproni, tuonante in loro difesa e sostegno.
Io lo rammento ancora nei tristi giorni che succedettero alle prime nostre speranze, mostrarsi sempre saldissimo e imperturbato nei suoi convincimenti; io lo rammento fra quella schiera di valenti uomini, che furono il Lyons, il Valerio, il Josti, il Mellana, il Robecchi, sempre alzare la voce per rinfrancare gli animi sfiduciati, per ispirare quella fede nella libertà e nell'Italia, che doveva condurci alla sospirata meta della nostra unità nazionale.
Giorgio Asproni, che aveva l'animo gentile ed i costumi purissimi, aveva dato ogni suo affetto alla patria e rivolta ogni sua cura agli studi; versatissimo in più materie, e dotto conoscitore dei classici antichi, con vero portento di memoria recitava tutto il Tacito, e forse la grande famigliarità con quell'illustre istorico aveva contribuito a temprare il suo carattere, pur dolce e buono, a quella severità e riservatezza che non di rado rivelavasi in lui.
Giorgio Asproni non ismentì mai i suoi principii, meritando la stima e l'amicizia dei suoi stessi avversari; egli morì; come aveva vissuto, saldo nella sua fede, benevolo con tutti, tranquillo e sereno di spirito, rassegnato e modesto. Io ebbi ieri il conforto dì vederlo ancora, e con viva commozione egli mi disse: saluta e ricordami a tutti i nostri colleghi; pochi istanti dopo, egli spirava proferendo queste parole: ho sempre amato l'Italia, e la voglio grande e onorata. Queste sue ultime parole compendiano la sua vita, riassumono la sua fede, costituiscono il suo più splendido elogio, e noi raccogliendo con pietosa gratitudine questo suo estremo pensiero dobbiamo sentirci sempre maggiormente animati dal desiderio di fare il bene della patria.
Interprete dei sentimenti della Camera, esprimo il vivo e profondo rammarico che tutti proviamo per questa dolorosa perdita; la memoria di Giorgio Asproni rimarrà fra noi sempre cara e venerata.
(Voci di viva approvazione dai diversi banchi)
L'onorevole ministro di grazia e giustizia ha facoltà di parlare.
Mancini ministro di grazia e giustizia. A nome del
Governo, e col cuore in preda alla più profonda emozione, mi associo insieme
con tutti i miei colleghi alle nobili e pietose parole pronunziate dal
nostro onorandissimo Presidente.
Il venerando collega, di cui piangiamo la improvvisa perdita, era una di quelle rare e straordinarie individualità, personificazione vivente del patriottismo il più disinteressato, e direi quasi ideale, le quali formano l'onore e l'orgoglio dell'assemblea e della nazione intiera, a cui appartengono.
Deputato fin da quando spuntò in Italia nel 1848 l'aurora delle libertà politiche, egli prese parte con esemplare assiduità a tutti i nostri lavori, pronto ad alzare la sua voce sempre che egli credesse esservi un errore da rivelare, un abuso da combattere, un diritto del paese da difendere.
Educato nella classica letteratura, per lui la grande famigliarità cogli scrittori dell'antica Roma non era un vano e sterile ornamento dello spirito, ma egli ne ebbe quasi trasformata l'anima sua elettissima. Parve in lui rivivere uno di quegli antichi e severi modelli di stoica virtù, che Tacito seppe così al vivo dipingere col suo sovrano pennello.
Non conobbe l'ambizione e la vanità, due scogli insidiosi nei quali talvolta infrangono anche i migliori tra quelli che navigano nel mare della politica.
(Bene! a sinistra)
Nulla mai chiese, e nulla ottenne per sè, anche nei brevi momenti in cui gli amici suoi furono al potere. Non brillava sul suo petto immacolato verun'altra onorificenza, fuorchè quella del più puro e perfetto disinteresse, e la fiamma sacra ed inestinguibile dell'amore della patria.
(Bravo! a sinistra)
Per chi così visse dispregiando ogni mondana onoranza, oserei, anche a nome dei miei colleghi, pregare la Camera di volere, seguendo un esempio non insolito nelle Assemblee legislative, decretare, in segno di pubblico dolore, che per tre giorni il seggio della Presidenza rimanga velato a bruno.
Ma il migliore tributo alla memoria di Giorgio Asproni sarà la voce unanime che si alzerà, ne son certo, in tutta Italia, dalla sua isola nativa sino alla cima delle Alpi ed all'estremità del Lilibeo, per benedirla e per onorare con una manifestazione spontanea e sincera la rara virtù di cui egli fu ammirabile esempio al popolo italiano.
(Benissimo! a sinistra)
Umana. Signori! Il cordoglio dei superstiti è il sincero attestato della virtù dei trapassati. La morte di Giorgio Asproni contrista tutti gli animi in questa Camera. Ne piangono i vecchi amici coi quali, con gloria e con fortuna, aveva militato nel Parlamento subalpino; se ne addolorano i meno attempati, che, raggiuntolo più tardi, al pari dei primi poterono ammirarne la fede, la costanza, la esperienza, la dottrina.
Giorgio Asproni possedeva un'intelligenza eletta, dal concepimento tanto rapido quanto profondo, e come è proprio delle menti privilegiate, sorretta da memoria meravigliosa.
Studiò le discipline giuridiche, ma non se ne compiacque a lungo. Tutto si dedicò con trasporto e con ardore ognor crescenti alle lettere latine. In quegli studi classici trovò conforto nelle frequenti avversità, in essi temprò l'animo a forte volere ed alla indipendenza di carattere, per cui cotanto brillò.
Il Dio di Seneca, che si compiace di porre a cimento gli uomini di tempra robusta, non risparmiò dure prove a Giorgio Asproni. Violenze e persecuzioni laiche e clericali patì di molte, combattè a lungo, ne ebbe vita travagliata, ma non cedette, non piegò, nè i suoi nemici si allietarono di facili vittorie.
Il Parlamento subalpino attrasse l'Asproni ad una sfera di attività più degna. Trammezzo alle lotte parlamentari, degli amici e degli avversari si conciliò l'amore e la stima.
In Firenze e in Roma non venne meno alla meritata fama; finchè, colto da cruda malattia, moriva ieri sereno, e forse anche lieto perchè le sue ossa riposeranno in quella Roma che fa sempre in cima dei suoi studi letterari e delle sue aspirazioni politiche.
Tutti sentono vivo il dolore di avere perduto il collega affettuoso, saggio e dotto.
Per i Sardi è ancora più cocente il rammarico, perocchè d'attorno a lui sovente si raccogliessero, ed egli li sovvenisse di opera e di consiglio.
La Sardegna verserà lacrime amare sulla tomba di Giorgio Asproni; lo additerà ai giovani ed ai provetti come esempio raro di virtù cittadine e di amore di patria.
(Bene!)
Ferrari. Aggiungerò una parola anch'io appoggiando la mozione dell'onorevole guardasigilli. Ed aggiungo, a nome di quelli che arrivarono nel Parlamento italiano nel 1860, che noi gli dobbiamo attestare la nostra riconoscenza in quest'ultimo e solenne istante. Nuovi e isolati, noi fummo da lui iniziati d'un tratto a tutti i misteri del Parlamento; fummo da lui rassicurati, a nome della democrazia, contro ogni trepidazione; egli ci ha dato il filo del labirinto, ordinato in modo da deludere i primi moti del cuore; egli ci ha risparmiato la fatica, i disinganni, i dolori del primo esordire.
(Bene! a sinistra)
Nel mentre che nel 1860, affaticato, egli doveva desiderare un riposo; nel mentre che, vedendo sopraggiungere l'Italia tutta intiera come egli l'aveva sognata nella sua giovinezza, egli poteva credersi in porto e raccogliere le vele, noi lo trovammo più giovane dei giovani, pronto a percorrere una indeterminata carriera, come se egli cominciasse in quell'istante la vita, e dico la vita delle mozioni d'ordine, delle questioni pregiudiziali e dei meno poetici combattimenti.
Qual indomabile forza e sempre generata dal sentimento della giustizia e sempre disposta a sfidare ogni inciampo di dettaglio! Anche ieri per rianimarlo sul suo letto di morte io gli diceva: faremo un'interpellanza! e sorrideva e si rianimava e pareva risanarsi.
Un'ultima parola. Era sacerdote, signori, ed io estraneo alla fede aveva secolui lunghissimi colloqui, e gettava lo scandaglio a profondità sterminate, e gli devo qui questa giustizia al cospetto della filosofia, al cospetto della religione, che sempre lo trovai consentaneo al suo passato, sempre rispettoso per l'opinione a lui contraria. E sia questa una lode data all'Italia, dove altri sacerdoti, come
Gregorio Ugdulena, nostro collega carissimo, erano fedeli al culto e sapevano intendere ogni più ardito slancio della ragione e per concordarmi coll'onorevole Mancini e coll'onorevole presidente, tanta dote noi dobbiamo alla patria nostra, alla latinità, alla letteratura classica che serve d'asilo naturale a tutte le convinzioni. Sia altresì un vanto del nostro paese il morir poveri e l'essere onorati e grandi; onore all'uomo che il credente doveva rispettare, il filosofo amare, il ricco venerare, il povero esaltare come tribuno.
(Benissimo! a sinistra)
presidente. L'onorevole guardasigilli intenderebbe
proporre che in segno di lutto per tre giorni la bandiera del palazzo della
Camera sia vestita a bruno?
ministro di grazia e giustizia. Anche una semplice
gramaglia al banco della Presidenza. Basta
qualunque segno di lutto, come meglio la Presidenza stimerà.
Bonfadini. Mi dorrebbe che non sorgesse una voce da questo lato della Camera, una voce di onoranza coll'onorevole Ferrari e l'onorevole guardasigilli, nel deplorare la perdita dell'egregio nostro collega Giorgio Asproni.
Non intimo dell'estinto e non iniziato ai misteri della sua lunga ed avventurosa vita, io non potrei certo estendermi nel campo che fu mietuto così bene dagli amici suoi personali più competenti a parlare su questo argomento. Io ricordo però che il voto dell'onorevole Asproni non è mancato mai a nessuna delle grandi questioni che abbiamo così felicemente sciolte in 16 anni di vita italiana.
Questo fatto solo basterebbe a farmi piangere la sua perdita, se non sapessi per altra parte dalle parole di altri quanto le qualità della sua mente, del suo ingegno e del suo cuore lo rendessero caro agli amici suoi più intimi.
Detto questo, io credo che la dimostrazione più alta che si possa rendere ad un deputato, sia l'unanime compianto che da tutti i lati della Camera sorge sulla sua bara, nè vorrei che la proposta dell'onorevole guardasigilli si credesse di maggiore onore di quello che è l'unanime nostro compianto.
Io ricordo che diversi altri illustri colleghi al pari dell'onorevole Asproni sono stati in questo modo onorati dalla Camera, e non ricordo che due soli illustri sopra tutti, il conte di Cavour e Rattazzi, i quali sono stati onorati dalla Camera nel modo proposto dall'onorevole guardasigilli.
Fedele perciò al culto non solo dell'estinto Asproni, ma ancora degli altri illustri che avemmo per nostri colleghi e che abbiamo perduti per via lungo il nostro cammino di gloria e di dolore, io non voterei la proposta dell'onorevole guardasigilli,
(Bisbiglio a sinistra)
giacchè il compianto che sorge unanime da questa Camera, lo ripeto, credo che basti ad onorare la memoria dell'estinto nostro collega Asproni.
(Bene! a destra)
Mariotti. Perchè la memoria del nostro collega sia da noi tutti concordemente onorata, aderisco all'invito fatto dall'onorevole Bonfadini. Io per fortuna sono stato grande amico di Giorgio Asproni. E piacemi di dire che l'ufficio di rappresentante della nazione mi ha dato occasione nella Camera di conoscere e di amare uomini eminenti per ingegno, per sapere e per virtù. L'indole mia e la maniera di giudicare i fatti umani sono stati cagione per me di creare e conservare l'amicizia di persone che, sebbene sconcordi meco in alcune opinioni e in alcuni giudizi, sono concordi negli affetti più elevati e in quello supremo dell'amore della patria. La mia amicizia con Giorgio Asproni è stata lunga e costante. E ho ammirato le sue virtù e il suo intelletto nutrito di fortissimi studi, dei quali piacemi di addurre un utile esempio.
Egli sapeva a mente tutte quante le opere di Tacito. E ne citava i detti e i giudizi sopra i fatti con tanto valore e con tanta opportunità e disinvoltura da fare intendere a maraviglia l'utilità e la forza che le menti ricevono dalla meditazione degli scrittori antichi. Ieri poi ebbi la sorte, benchè l'animo mio ne fosse sommamente afflitto, di udire le ultime parole che l'Asproni proferì moribondo. Visitandolo per salutarlo, egli volle che io scrivessi l'alto ed estremo suo pensiero, espresso così: «Io ho amato sempre l'Italia, che voglio grande e onorata.» Detto questo, spirò.
Ora io bramo che nessuna proposta venga a turbare la concordia degli animi nostri nell'onorare la memoria dell'amico e del collega estinto.
ministro di grazia e giustizia. Le prime parole
dell'oratore m'inspirano compiacenza per la concordia che da tutte le parti
della Camera in questa, come in altre pietose occasioni si è manifestata,
quando si tratta di onorare il patriottismo e la virtù.
Debbo soltanto uno schiarimento all'onorevole Bonfadini. Egli ha rammentato gli onori decretati dalla Camera in due altre circostanze. Per non parlare del conte di Cavour, il quale morì, per così dire, sulla breccia mentre reggeva i destini d'Italia, allorchè mancò ai viventi l'illustre Rattazzi, senza che avesse altra qualità fuori di quella di semplice deputato, allora, se la memoria non mi tradisce, la Camera decretò ben più solenni segni di pubblico lutto; la sospensione per più giorni delle sue sedute, l'intervento alle officiali esequie in Alessandria, e volle inoltre che la sua bandiera, la quale sventola al di fuori del nostro recinto, attestasse al pubblico, velata a lutto per molti giorni, il dolore dei rappresentanti del paese.
La mia proposta oggi è assai più modesta: non si tratta che di un segno di lutto da porsi alla nostra tribuna, al seggio dei Presidente, unicamente nell'interno di questo recinto, nel quale tuonò tante volte la voce del nostro compianto collega, e sempre per la sacra difesa della patria e della libertà.
Onoriamo, signori, una virtù straordinaria. Riconosciamo che, oltre l'aristocrazia del merito acquistato in altissimi uffici sostenuti per rendere servizio al paese, esiste ancora, senza distinzione, di parti politiche, un'altra aristocrazia, innanzi alla quale dobbiamo pure inchinarci, l'aristocrazia che chiamerò della severità eccezionale dei costumi, l'aristocrazia della povertà,
(Benissimo! a sinistra)
l'aristocrazia del dispregio d'ogni umana grandezza e vanità, che siasi professata per tutta la vita.
(Bene! a sinistra)
Dopo queste spiegazioni, io spero che la nostra concordia non apparisca in menoma guisa turbata,
allorchè ci sta innanzi aperta la tomba di un nostro collega; io ho fede nella cortesia dell'egregio collega Bonfadini, che egli si compiacerà di non insistere nella sua opposizione alla mia proposta.
Voci a sinistra. Ai voti! ai voti!
Bonfadini. Io ho espresso dei sentimenti, sui quali non credo che alcuno della Camera possa avere il minimo dubbio quanto alla loro sincerità e lealtà. Al mio discorso si è unito, con assai più competenza di me, l'onorevole Mariotti, che, oltre ad onorare l'uomo politico, onorava qui l'uomo privato a cui era amico antico ed affezionato.
Io sperava che tanto dalla mia voce sincera, quanto da quella assai più autorevole dell'onorevole Mariotti, l'onorevole ministro guardasigilli avesse accolto nel suo desiderio di concordia una proposta diversa da quella che egli ha mantenuto.
Io sono dolente di dover insistere nella mia proposta; sono dolente, perchè non è del mio carattere, non è del mio cuore fare una questione politica sopra la bara di un morto.
(Rumori a sinistra)
Mi duole che sia l'onorevole ministro guardasigilli che trascina la questione politica anche sopra un campo…
(Rumori a sinistra)
Voci.No! no!
… sul quale non ci poteva essere…
(Benissimo! a destra)
Voci a sinistra. Siete voi!
(Rumori)
Bonfadini
Io quindi lascio all'onorevole ministro guardasigilli la responsabilità di questo voto, io non posso distinguere nei mio cuore l'affetto ad un morto dall'onore che si è reso ad un altro morto.
Ricordo che sono pochi giorni, un altro illustre, l'onorevole Raeli, è sceso nella tomba, e non ricordo quantunque il lutto della Camera sia stato unanime, che sia stata fatta la proposta che l'onorevole ministro guardasigilli fa ora; io ripeto: onoro i morti da qualunque parte siano, e non sarà certo da parte mia che viene la proposta di menomare il lutto che si possa fare sulla tomba di Giorgio
Asproni; qui non è più questione di Giorgio Asproni, è un'altra questione, è una questione di trionfo di opinione politica.
(Bene! a destra)
Io lascio all'onorevole guardasigilli l'onore di farla.
Nicotera ministro per l'interno. Sono dolente che in
occasione di una sventura l'onorevole Bonfadini abbia creduto di sollevare
una questione politica.
L'onorevole mio collega, il ministro di grazia e giustizia, non ha potuto pensare neppure per un solo momento che la sua proposta sollevasse opposizione da una parte, o dall'altra della Camera. L'onorevole ministro di grazia e giustizia confidava nell'altissimo sentimento di patriottismo che ha sempre distinto il Parlamento italiano, ed ha creduto che la sua proposta trovasse eco su tutti i banchi della Camera. Ma non è così.
L'onorevole Bonfadini ha ricordata la perdita, che tutti abbiamo compianto, dell'onorevole nostro collega Raeli, e vorrebbe fare colpa a noi se il Gabinetto che sedeva allora su questi banchi non intese il dovere, che sentiamo noi, di onorare il patriottismo di cui ha tanto bisogno l'Italia, per rinvigorire la fede nella libertà.
(Bene! Bravo! a sinistra)
Ebbene, se i nostri colleghi, se i nostri predecessori non hanno confidato nel patriottismo della Sinistra, noi confidiamo nel patriottismo di quella parte della Camera che oggi è minoranza, noi confidiamo nel patriottismo della Destra, e siamo sicuri che essa saprà elevarsi all'altezza di questa manifestazione patriottica, e non ne farà una questione politica.
Quindi, associandomi alla proposta dell'onorevole mio collega il ministro di grazia e giustizia, ne faccio una nuova, ed è che alle cinque, ora del funerale del compianto Asproni, la Camera sospenda la seduta, affinchè possa ogni deputato intervenire alla mesta funzione.
(Bravo! Bene!)
presidente. L'onorevole ministro per l'interno ha
prevenuto il presidente, che avrebbe fatto uguale proposta.
Ha facoltà di parlare l'onorevole Sella.
Sella. L'onorevole ministro per l'interno ha mosso un rimprovero a coloro che prima degli attuali ministri sedevano a quel banco
(Accennando al banco ministeriale)
pel contegno che tennero in occasione della morte del compianto Raeli.
Non sorgo certamente per rispondere a quell'attacco, imperocchè credo che siano presenti i membri di quel Gabinetto; ma, siccome in quella circostanza ho preso io primo la parola per deplorare la perdita del Raeli, il suo appunto coglie anche me, perchè sembra che coloro i quali in quella dolorosa circostanza venivano ad esprimere il dolore del
quale si sentivano l'animo pieno, non avessero fatto all'illustre estinto l'onoranza che meritava.
Ora debbo dichiarare alla Camera essermi sembrato sempre che in circostanze dolorose come sono queste, non fosse da farsi altro che di seguire le tradizioni.
Vediamo ora quali sono le tradizioni nostre. Mancò ai vivi il conte di Cavour, si spense l'onorevole Rattazzi. Questi all'epoca della sua morte non reggeva i destini d'Italia, ma sappiamo tutti qual parte egli sostenne, quale influenza egli ebbe nei destini nostri. Trattandosi d'uomini, come il conte di Cavour, come il compianto Rattazzi, i quali avevano avuto una influenza che direi suprema sui destini della patria, oltre il rincrescimento che si manifestava a gara dall'una e dall'altra parte della Camera, senza distinzione dipartiti, fu fatta anche una manifestazione esterna di cordoglio.
Io non vedo che per altri colleghi, comunque illustri, comunque benemeriti del paese, comunque avessero eccitato sui diversi banchi della Camera vivissimi sentimenti d'affetto, si sia fatta una proposizione come quella messa innanzi dall'onorevole Mancini.
Per conseguenza non credo che si debba tare rimprovero a quelli che, in occasione della morte del
Raeli, presero la parola, se non hanno fatto altro che esprimere il dolore dal quale erano penetrati.
Quindi, per parte mia, credo che si debbano seguire le nostre tradizioni, e che si debba fare come ha detto il collega Bonfadini, cioè che dobbiamo a gara portare il tributo del nostro compianto, del nostro affetto per il collega Asproni.
Io vi prego a considerare un momento il pericolo che c'è nell'entrare in questa via.
(Bisbiglio a sinistra)
Se ci fossero già stati altri precedenti, io mi sarei associato alla proposta; ma questo non si è mai usato. Vi è un grave pericolo nella mutabilità delle nostre manifestazioni di cordoglio.
(Oh! oh! a sinistra)
Non bisogna portare la politica sopra una tomba non ancora chiusa.
Io prego vivamente il Ministero a considerare se non sia più conveniente di seguire il sistema tenuto per 26 anni dal Parlamento.
(Bene! a destra)
ministro per l'interno. Permetta l'onorevole Sella io
deplori che egli abbia presa la parola in cotesta questione. Perchè si vuol
fare una questione politica di questo fatto?
(Rumori)
Di Rudinì.
(Rivolgendosi al banco dei ministri)
Perchè non vi siete messi d'accordo?
ministro per l'interno. Sa l'onorevole Di Rudinì
perchè non ci siamo messi d'accordo? Perchè noi abbiamo fatto calcolo, più
di quello che altri fa, sul sentimento liberale della Camera.
Noi crediamo che vi sono dei sentimenti che non hanno bisogno di accordo precedente, e mi duole che si faccia questione politica, e di opinioni politiche in siffatte manifestazioni.
Spero che niuno degli uomini egregi che seggono da questo lato della Camera
(Accennando a destra)
abbia a finire come ha finito l'onorevole Asproni; ma se accadesse, proporrei io stesso questa dimostrazione.
(Viva ilarità)
presidente. Non interrompano.
Abignente. Sì ride sulla tomba! Non si ha cuore, non si ha anima!
Di San Donato. Ed aspettavate oggi a saperlo?
presidente. Non interrompano.
ministro per l'interno. Non comprendo questa ilarità;
ho detto che desidero, che spero niuno muoia, lo spero (non so se altri
speri il contrario per altri), ma…
(No! no! a destra)
presidente. Non interrompano. Onorevole ministro
dell'interno, continui.
ministro per l'interno. Ho detto che spero non avremo
a deplorare altre disgrazie come questa; ma se si avverassero, ed è nella
natura umana che si avverino, in questo caso io farei la proposta che ha
fatto il mio collega di grazia e giustizia. Permettete dica che non è air
altezza della proposta suscitare una questione politica. Se ho fatta
l'osservazione pei ministri passati, 1'ho fatta in risposta all'onorevole
Bonfadini, il quale citava il caso del compianto Raeli, ed osservava che il
Gabinetto precedente non aveva creduto di fare una proposta come questa.
Bonfadini. Non ho parlato di Gabinetto.
ministro per l'interno. Noi speriamo ancora che la
Camera voti la proposta senza distinzione di partito.
Io credo che l'Italia ha bisogno di onorare certe memorie, ha d'uopo di rinforzarsi nel sentimento nazionale, nel sentimento liberale e non si eccede mai quando si fanno simili dimostrazioni.
(Bene! a sinistra)
L'Asproni era uno dei veterani, uno dei primi deputati del Parlamento subalpino, e giova a noi, che non abbiamo avuto la fortuna di prendere parte a quei primi fatti che ci hanno condotto qui, l'onorare questi uomini che hanno prima di noi compiuto degli atti di patriottismo, che hanno cooperato alla libertà ed alla unità d'Italia, ed è principalmente per questo che ancora una volta faccio appello al patriottismo di tutti i deputati, al patriottismo dell'onorevole Bonfadini, dell'onorevole Mariotti e dell'onorevole Sella, e li prego di mettere fine a questa discussione dispiacevole, dolorosa, che può produrre un tristissimo effetto nel paese, perchè si potrebbe
credere che noi, in occasione di una sventura, non sappiamo fare tacere le opinioni e i risentimenti politici.
Mi perdoni l'onorevole Bonfadini, egli è stato malamente ispirato, ricordando le opinioni dell'onorevole Asproni; in questo momento io non ricordo che una sola opinione dell'Asproni, ricordo le opinioni che hanno condotto l'Italia a Roma.
(Bravo! a sinistra)
Spero che la Camera sarà concorde nel votare la proposta dell'onorevole ministro di grazia e giustizia.
Minghetti. Io non avrei creduto opportuno di rilevare l'accusa che l'onorevole Nicotera ha fatto al Gabinetto precedente, ma poichè si è fatta testè allusione alla detta accusa, risponderò francamente che non credo che appartenga agli uomini che siedono al Governo il proporre onoranze per quei colleghi di cui si abbia a deplorare la perdita.
(Movimenti a sinistra)
Tanto pel conte di Cavour, quanto per l'onorevole Rattazzi la proposta è partita dal seno della Camera; non è mai stato il Governo che sia venuto a proporrà delle dimostrazioni.
La questione politica, onorevole Nicotera, non siamo noi che l'abbiamo sollevata; è stato ella che l'ha sollevata quando da questa tomba ha voluto trarre un rimprovero agli uomini della precedente amministrazione.
(Oh! oh! a sinistra)
Del resto, o signori, che cosa v'è di più nobile che l'unanime compianto, sopra una tomba?
La modestia degli onori è la principale virtù dei Parlamenti e delle nazioni come l'abuso di essi è il principio della decadenza.
(Bravo! a destra)
Sella. Domando la parola.
presidente. Ma la discussione su questo argomento mi
pare già troppo protratta.
Voci a sinistra. Ha ragione!
Toscanelli. La chiusura!
Sella. Signori, non posso esprimere quanto io senta penosa questa discussione. Vogliamo stabilire questo precedente che, quando muore un deputato nell'esercizio delle sue funzioni, si dia anche un segno esterno di questo lutto nostro per avere perduto un collega, e che si mettano le gramaglie alla tribuna.
(Rumori a sinistra)
Scusate un momento. Voi dovete anche apprezzare il sentimento che mi muove. Ebbene, io, per parte mia, acconsento volentieri a questa proposta, perchè trovo anche abbastanza naturale che, mentre noi abbiamo un collega che si sta portando alla tomba, vi sia pure una manifestazione esteriore che ci è un lutto tra noi.
(Movimenti a sinistra)
Quindi, sotto questo punto di vista (e dovete apprezzare ciò che mi muove, e spero lo apprezzerete),
(sì! sì!)
io non avrei nessuna difficoltà; e credo che anche i miei onorevoli colleghi Bonfadini, Mariotti e Minghetti che hanno parlato sotto questo punto di vista non vorranno dissentire.
Di San Donato. Lo metteremo nel regolamento.
Sella. E credo che anche da questa parte della Camera
(Volgendosi alla sinistra)
sarà abbastanza capita perchè possa essere accettata questa proposta. Imperocchè, o signori, è penosa questa discussione per tutti…
Minervini. È indecente.
Sella. Quindi vi prego di ammettere la proposta fatta dal guardasigilli coma precedente, secondo il quale, quando viene meno un collega nell'esercizio delle sue funzioni qui in Roma, si dia un segno esteriore del lutto nel quale certamente noi siamo per la perdita di tale collega.
(Rumori a sinistra)
ministro per l'interno. Comprendo la proposta
dell'onorevole Sella.
Egli deve credere che, per quanto è perspicace, gli altri, se non lo sono quanto lui, lo sono quanto basta per comprendere il significato che con la sua proposta si darebbe a questa dimostrazione. Vorrebbe che nulla ci fosse di eccezionale.
Ebbene, questo è quello che noi non vogliamo.
(Bene! a sinistra)
Noi vogliamo dare alla dimostrazione un significato speciale.
(Con forza)
L'onorevole Asproni non era un deputato comune.
(Benissimo! a sinistra — Movimenti a destra)
L'onorevole Asproni non era un deputato comune. L'onorevole Asproni, quando altri pensava poco all'Italia, quando altri pensava poco alla libertà, egli vi pensava ed operava.
L'onorevole Asproni faceva parte di quella schiera di uomini che disgraziatamente non era numerosa negli anni passati, e che dal 1860 in poi è divenuta numerosissima.
(Applausi dalle tribune)
presidente. Avverto le tribune che è assolutamente
proibito di far segni d'approvazione o di disapprovazione. Se lo
dimenticheranno un'altra volta, le farò immediatamente sgombrare.
ministro per l'interno. Noi vogliamo che la proposta
non abbia un significato comune, vogliamo invece che abbia un significato
eccezionale; eccezionale era l'uomo che vogliamo onorare. Non tutti i
deputati, per quanto onorevoli, hanno dei titoli speciali di
patriottismo.
Quindi per ora la Camera deliberi per il fatto speciale: se poi si crede di mettere nel regolamento la regola comune, che desidera l'onorevole Sella, si faccia pure, ma per oggi la dimostrazione si abbia quel significato che deve avere, cioè di onorare un
uomo che in tutta la sua vita ha lavorato per il bene della patria.
(Benissimo! Bravo! a sinistra)
presidente. La proposta dell'onorevole guardasigilli è
questa: che in segno di lutto per la morte dell'onorevole Asproni, il seggio
della Presidenza sia coperto per tre giorni di gramaglia.
Sella. Io debbo rispondere, io ho fatto una proposta, della quale molti almeno hanno capito i moventi; mi duole che questi moventi non sieno stati apprezzati; per conseguenza noi ci troviamo proprio in una dolorosissima posizione, di credere che se uguali dimostrazioni non sono state fatte per uomini illustri venuti meno nei giorni precedenti, egli è perchè non lo meritavano.
Voci a sinistra. No! no!
ministro per l'interno. No, questo, no!
Carbonelli. Perchè non si è proposto, non mica che non la meritassero.
presidente. Onorevole Carbonelli, non interrompa.
Carbonelli. Questo poi no!
(Rumori a sinistra)
presidente. Lei non ha diritto di parlare. Lascino che
la discussione proceda.
Carbonelli. Non si può dire che non lo meritavano.
Sella. Dal momento che ci si dice che è una dimostrazione eccezionale, allora per mia parte sono dolentissimo di non potermi associare, per la odiosità della comparazione, alla proposta che viene fatta; e sono dolentissimo che non sia stata approvata una proposta come la mia, la quale mi pareva atta a togliere ogni disparere in ogni circostanza come questa, in cui avrei voluto che tutti potessimo insieme tributare il nostro cordoglio per la perdita di un collega.
ministro per l'interno. Io non posso lasciare passare
l'osservazione dell'onorevole Sella. Non si tratta di fare paragoni.
Se la Camera si fosse opposta per uno degli altri estinti che avevano dei meriti patriottici, dei meriti politici, l'onorevole Sella avrebbe ragione di reclamare; ma io domando all'onorevole Sella: per chi è stato proposto e non si è fatto? Il paragone non esiste e non resta che una cosa sola: chi non vota, non vota perchè l'onorevole Asproni sedeva sui banchi di sinistra.
(Vive esclamazioni a destra)
Voci. Sì! sì! a sinistra
Bonfadini. Domando la parola per un fatto personale.
(Rumori ed esclamazioni a sinistra)
Signori, non mi spaventano nè i gridori della maggioranza…
(Nuovi rumori a sinistra)
presidente. Onorevole Bonfadini, non inasprisca
maggiormente questa discussione.
Bonfadini. L'onorevole presidente ha ragione. Ritiro la mia parola; conserviamo dunque la calma.
Io ho fatto una proposta, o meglio ho espresso un sentimento di dolore per la morte dell'onorevole
Asproni, e non è il caso di dire che l'ho fatto senza convinzione; non c'è nessuno dei miei atti parlamentari, posso dirlo a viso alto, onorevole Nicotera, che possa autorizzare questa supposizione; nè avrei certo voluto cominciare questa abitudine in occasione della morte di un nostro collega.
Non perchè io sento altamente nel mio animo il rispetto alle tombe passate, può dirsi che senta meno il rispetto alla sgraziata tomba presente. Or bene, non c'è nessuna delle mie parole da cui si abbia potuto rilevare che io abbia trattato l'onorevole Asproni come un uomo di Sinistra; l'onorevole
Nicotera si è stranamente mistificato quando ha detto che io allusi all'onorevole Asproni come uomo di Sinistra, ed il rendiconto ne farà fede, perchè ho parlato dell'onorevole Asproni come uomo d'Italia, e in questo senso il mio rispetto per lui è uguale al suo.
Anch'io ho cominciato più tardi del compianto onorevole Asproni ad entrare nella vita politica, ma dal punto che vi sono entrato, ho avuto per l'onorevole Asproni come per l'onorevole Nicotera il rispetto che si deve alle azioni compiute In nome dell'Italia.
Non è con questi sentimenti che il Ministero deve venire a suscitare ora una questione che ci divide. Non è certo guidato dall'opportunità in questo momento il Ministero; se meglio avesse riflettuto, avrebbe compreso che quando da tutte le parti della Camera suonava una voce d'amaro rimpianto per la morte di un nostro collega, non era lui che dovesse venire a mutare in divisione quello che era prima una salda e coscienziosa unione degli animi nostri sopra una recente tomba.
ministro per l'interno. Io non faccio che leggere le
parole pronunciate dall'onorevole Bonfadini, e lascio giudice la Camera.
L'onorevole Bonfadini ha pronunciato queste parole: «si vogliono onorare le
opinioni politiche del defunto Asproni.»
Domando chi ha messo la questione politica.
(Interruzione dell'onorevole Bonfadini)
presidente. Non interrompa.
ministro per l'interno. Domando: chi ha posta la
questione politica dopo questa dichiarazione? Non aveva ragione io di dire
che la dimostrazione non si vuole per le opinioni politiche professate
dall'onorevole Asproni? Lo ripeto, giudichi la Camera.
(Interruzioni a destra)
presidente. Onorevole La Porta, ha facoltà di parlare.
Le faccio però osservare che la discussione è oramai troppo protratta…
(Interruzioni e rumori)
Facciano silenzio, e siano calmi.
La Porta. Io sono calmo. Debbo fare una dichiarazione
brevissima.
Spero che la Camera deplorerà con me la discussione testè avvenuta…
Di San Donato. Deplorabilissima.
La Porta. Giammai in un Parlamento una discussione
politica come questa fu portata davanti ad una tomba. Nessuno può citarmene
un solo esempio. Io sento quindi il dovere di deplorare la questione
sollevata davanti alla tomba di un nostro collega.
Chi l'ha sollevata questa questione? L'onorevole guardasigilli quando propose un'onoranza ad un illustre estinto, o l'onorevole Bonfadini quando sorse per combattere questa proposta?
Poteva l'onorevole guardasigilli prevedere in un momento di commozione, in cui egli si ispirava alla memoria del collega che non è più su questi banchi, poteva egli presumere che doveva da un onorevole deputato della destra sorgere una opposizione di carattere politico ad una onoranza che non aveva carattere politico, che si ispirava al cordoglio, al rimpianto di tutti?
Ma, una volta che quella proposta fu combattuta, come possono gli onorevoli uomini che siedono sul seggio ministeriale ritirare simile proposta senza fare atto di disdoro alla memoria dell'estinto che si voleva onorare, al Ministero che la propose, alla Camera italiana?
Io direi anzi meglio, o signori, che se la Camera si opponesse alla proposta ministeriale, nessun disdoro vi sarebbe per l'illustre patriota Asproni, e pel Ministero, ma per la Camera italiana, che per la prima volta avrebbe fatto un deplorevole armeggìo di partigianismo politico, davanti ad un atto di patriotismo con cui si vuole onorare un estinto.
Io non so come non si abbia l'abnegazione di far tacere le ire di parte tra noi davanti ad una bara!
Questo sentimento di patriottismo che batte nel cuore degli uomini del Ministero, batte e non può non battere nel petto di quanti siete voi, che sedete su quei banchi,
(Della destra)
perchè non sentiate altamente il decoro della Camera italiana nel patriottismo della proposta del Ministero, la quale non è un atto politico, ma di pura onoranza ad un rimpianto collega, senza guardare alla parte politica cui abbia appartenuto. Io fo appello al vostro patriottismo e vi prego di accogliere la proposta dell'onorevole guardasigilli, nell'interesse della dignità della Camera, nell'interesse di quel rispetto che tutti i partiti devono a loro stessi, di fronte ad una sventura, al cospetto di un appello al patriottismo nazionale!
presidente. Metto ai voti la proposta dell'onorevole
guardasigilli:
«Che in segno di lutto per la morte del rimpianto deputato Asproni, il seggio della Presidenza sia per tre giorni coperto di gramaglie.»
(Dopo prova e controprova, la proposta è ammessa.)
(Applausi dalle tribune)
presidente.
(Con forza)
Avverto le tribune che è assolutamente vietato di fare segni tanto di approvazione che di disapprovazione. È già la seconda volta che le avverto. Mi meraviglio poi specialmente che ciò accada nelle tribune che hanno uno speciale permesso. È una mancanza di rispetto alla Camera, che non saprò mai tollerare.
(Bravo!)
Ora si estrarrà a sorte la deputazione che dovrà rappresentare la Camera ai funerali dell'onorevole
Asproni.
(Segue il sorteggio.)
La Commissione rimane composta degli onorevoli Dossena, Guarini, Giudici, Marchetti, Vigo Fuccio, Bosìa, Sella, Bertani Agostino, Ruspoli Augusto, Grossi, Tondi, Perroni-Paladini.
Avverto la Camera che l'accompagnamento funebre avrà luogo alle sei, e perciò alle 5 e mezzo si chiuderà la seduta perchè tutti i deputati che vogliono associarsi alla deputazione, possano prendere parte al corteo funebre, e rendere quest'ultima onoranza al compianto nostro collega. La casa del defunto è in via della Croce, n° 75.
(Il deputato Corvetto presta giuramento.)
presidente. Comunico alla Camera il risultamento della
votazione di ballottaggio per la nomina di due commissari del bilancio.
Votanti 239.
Ebbero voti gli onorevoli:
Gemala 125
Corbetta 123
Lanza 109
Lazzaro 86
Gli onorevoli Genala e Corbetta, avendo raggiunto il maggior numero di voti, sono proclamati membri della Commissione del bilancio.
Risultamento della votazione di ballottaggio per la nomina dei componenti la Commissione che deve esaminare i resoconti amministrativi.
Ebbero maggiori voti i seguenti deputati:
Nervo 119
Puccini 119
Borruso 118
Arnaud 110
Perciò questi quattro deputati sono proclamati membri della detta Commissione.
Risultamento della votazione per la nomina di un membro della Commissione sui decreti registrati con riserva.
Votanti 241 — Maggioranza 122.
Ebbero maggiori voti gli onorevoli:
Panattoni 112
Taverna 89
Perciò si dovrà procedere alla votazione di ballottaggio tra gli onorevoli Panattoni e Taverna.
Risultamento della votazione per la nomina di due segretari della Camera:
Schede 241 — Maggioranza 122.
Ebbero maggiori voti gli onorevoli:
Solidati 115
Colonna di Cesarò 113
Tenca 101
Morpurgo 94
Schede bianche 13
Nessuno avendo raggiunto la maggioranza assoluta, si dovrà procedere alla votazione di ballottaggio tra gli onorevoli Solidati, Colonna, Tenca e Morpurgo.
Queste votazioni avranno luogo nella seduta di domani.
presidente. La Camera rammenterà che l'interrogazione
dell'onorevole Damiani diretta all'onorevole ministro della guerra doveva
avere luogo nella seduta d'oggi.
Essendo presente l'onorevole ministro della guerra, leggo l'interrogazione:
«Il sottoscritto desidera interrogare il signor ministro della guerra sui suoi intendimenti intorno alle eccezioni che risultano in talune provincie del regno nell'applicazione della legge del 28 aprile 1872 e di un decreto reale della stessa data.»
L'onorevole Damiani ha facoltà di parlare.
Damiani. La mia interrogazione versa sopra una cosa semplicissima, che però darà occasione alla
Camera di fare buona opera, allontanando qualche dubbio dalla coscienza delle nostre popolazioni, che vi sia una diversità di trattamento per le varie provincie del regno.
Dirò subito di che si tratta. Colla legge 28 aprile 1872, e con decreto della stessa data, si esentavano dagli obblighi militari tutti i refrattari, renitenti e disertori nati nel 1840, e si aboliva l'azione penale per i disertori che si resero tali prima del gennaio 1862.
È superfluo il dire quali furono in quell'occasione le intenzioni dell'onorevole ministro della guerra: egli voleva cercare di togliere le conseguenze della disparità in cui erano rimasti i coscritti delle varie provincie per le annessioni seguite, e voleva poter regolare le matricole; ma credette d'altra parte che si potesse applicare la legge del 28 aprile 1872 per i soli nati del 1838, inquantochè si preoccupava degli inconvenienti ai quali si sarebbe andati incontro, cercando d'applicare quella legge ai nati nel 1839 e nel 1840, per il sistema invalso di rimettere alle leve posteriori i coscritti delle leve precedenti; ma il Senato potè osservare che le classi posteriori al 1838 fino al 1840 erano già state mandate in congedo assoluto, e non volle turbare interessi maggiori per la posizione eccezionale in cui potevano trovarsi pochi individui; sicchè volle estendere il beneficio della legge presentata dal ministro fino ai nati del 1840. La Camera approvò indi il fatto del Senato.
Quella legge pertanto non previde un fatto di grandissima importanza per alcune provincie del regno, nelle quali, per circostanze indipendenti dalla volontà dei coscritti, non si era in grado fino al 1862 di essere renitenti, tanto meno disertori, perchè non si era stati fino a quell'anno chiamati al servizio militare, quindi non si poteva essere nè renitenti, nè disertori.
Così si andava incontro a questo doloroso inconveniente che, mentre per la più gran parte delle provincie del regno venivano i nati nel 1840 dispensati dal servizio militare, ed era per essi abolita l'azione penale, ciò non aveva luogo per altre non poche.
Infatti nelle provincie siciliane avvenne la chiamata al servizio militare con un anno di ritardo; e ciò con lodevole pensiero del Governo, perocchè era appena terminata la guerra di liberazione, e si sapeva d'altronde la ripugnanza che si aveva in quel paese pel servizio militare, onde con disposizioni ministeriali era raccomandata molta mitezza ai Consigli di leva nel compimento delle operazioni ad essi affidate.
Ora, se qualche eccezione si fosse considerata utile, certo doveva essere applicata piuttosto alle popolazioni della Sicilia che a quelle delle altre parti del regno.
Non saprei quindi rendermi conto del perchè quella disposizione non siasi applicata ai Siciliani nati nel 1840. Tanto più che la renitenza in quel paese prese allora proporzioni grandi, e che approfittarono della ripugnanza che vi era pel servizio militare i nemici del paese: per cui il Governo dovette ricorrere a misure di estremo rigore, le quali produssero, insieme coi buoni risultati, molti dolori e motivi forse non lievi di risentimenti e discordie.
Si noti poi che grande fu l'emigrazione in quell'epoca, e che un gran contingente fu dato al brigantaggio nel quale erano renitenti coloro che divennero tristamente celebri.
Ora noi ci troviamo di fronte a questo grave inconveniente che, mentre quelli di tutte le altre provincie del regno furono messi in condizione di poter vivere tranquillamente nel seno delle loro famiglie, non lo furono altresì quelli delle provincie siciliane, i quali, per circostanze indipendenti dalla loro volontà, non poterono disertare prima del l° gennaio 1862, perchè prima di quell'epoca non erano ancora soldati.
Io sono tanto convinto della necessità di un provvedimento che metta i coscritti dichiarati renitenti, delle provincie siciliane, nella posizione di quelli di tutte le altre provincie del regno, che confido vorrà sapermi grado il ministro della guerra se gli ho fatto questo ricordo, e vorrà provvedere con un nuovo provvedimento legislativo atto ad infondere nella coscienza delle nostre popolazioni quel sentimento di equità che deve essere l'anima delle nostre leggi, onde esse sieno ubbidite e rispettate.
Mi riservo di prendere ancora la parola dopo che avrò sentito il ministro della guerra.
Mezzacapo ministro per la guerra. Prima di tutto
bisogna ben determinare i termini della questione.
L'articolo unico di questa legge è così concepito:
«Gli iscritti renitenti e refrattari e gli ommessi nati anteriormente al 1° gennaio 1841, come pure i militari dell'esercito e della regia marina che disertarono prima del 1° gennaio 1862, ecc.»
Come la Camera vede, per i renitenti si prende per punto di partenza l'anno in cui sono nati; per i disertori, non si parla più dell'anno in cui sono nati, ma invece si fissa un anno, dopo del quale cessa la concessione fatta dalla legge.
Qui si tratta di disertori.
La legge prescrive che i disertori in essa contemplati sono quelli che hanno disertato prima del 1° gennaio 1862, ma non dice che debbano essere coloro che sono nati nel 1841; tanto è ciò vero, che i renitenti appartenenti a qualunque provincia della classe anteriore al 1841, compresi perciò i Siciliani, anche oggi sa si presentano, sono liberati dal servizio militare; i disertori no, se disertati dopo il 1862. La questione mi pare che si restringa alquanto.
Inoltre la questione non riguarda coloro che sono incorsi in contravvenzione alla legge in Sicilia, ma tutti i disertori di quell'epoca; quindi non si tratterebbe di estendere il beneficio della legge del 1872 ai Siciliani, ma di fare una legge nuova che accordi l'amnistia a tutti i disertori, a qualunque classe o provincia appartengano.
Di più oltre gli inconvenienti che lamentano i Siciliani se ne verificano altro in altre provincie. Per esempio, in Toscana ove vigeva un'altra legge di leva, i coscritti erano presi a 18 anni; e quando nel 1860 fu fatta la leva sopra i nati del 1841, i disertori di questa classe godevano dei benefizi della legge del 1872, mentre i renitenti ne erario privi comecchè nati dopo il 1841, e perchè la legge toscana li chiamava al servizio al diciottesimo anno. Quella legge che rimediasse agli inconvenienti presenti e particolari dei Siciliani, dovrebbe adunque trovare un altro rimedio a questi altri inconvenienti.
Nè ciò basta; la leva napoletana, come si ricorderà, fu fatta nel 1861; ed essa fu una specie di liquidazione dove furono comprese sei classi di leva, e quindi non solo quella del 1841, ma tutte le classi anteriori del 1836-37-38-89-40 e 1841.
Con questa legge tutte queste classi si trovavano nella seguente condizione: i renitenti del 1841 erano esclusi, mentre tutti i loro compagni delle altre cinque classi erano ammessi; i disertori poi erano esclusi tutti, perchè chiamati a raggiungere le bandiere dopo il 1862. Quindi un altro inconveniente.
A tutto ciò io devo poi ancora aggiungere che la leva napoletana, nel modo come si faceva e per le facilitazioni che accordava il Governo, non si compieva che dopo tre o quattro anni, dimodochè ci sono soldati di quell'epoca che sono venuti nell'esercito nel 1863, 1864 e 1865.
Ora, se si facesse una legge per quelli del 1841, vi sarebbero tutti questi altri residui (diciamoli residui come nel bilancio), per modo che non si potrebbe fare una legge generale senza trovarsi nella necessità di farne un'altra, e questo porterebbe un tale imbarazzo che non si saprebbe dove si anderebbe a finire; questa infinità di eccezioni
recherebbe maggiori inconvenienti del bene che si è voluto fare con la prima facilitazione della legge del 1872.
Nell'atto pratico avviene questo: tutti i Siciliani renitenti (la legge lo ammette) sono esentati dal servizio. Per i disertori, essendo essi nell'età di 36 anni è naturale che non siano più adatti ad un utile servizio e quindi che non torni conto all'esercito di prenderli nelle sue file.
Resta la condanna. Ma in quanto ad essa, vista l'edilità della cosa, il Governo tiene per abitudine in questi casi di chiedere sempre la grazia al Re.
Quindi mi pare che, senza imbarazzarci in una via nella quale troveremmo molti scogli, la questione all'atto pratico si può risolvere nell'interesse delle persone per cui ha parlato l'onorevole deputato.
Damiani. Le ultime parole del signor ministro mi assicurano che questi individui, i quali oggi si trovano in una posizione eccezionale rispetto alle loro famiglie e rispetto a se stessi, potranno ottenere quello stesso beneficio che io voleva loro procurare col mezzo di una legge, col fatto stesso della loro presentazione; inquantochè andrebbero esenti per il titolo di età dal servizio militare, e sarebbero poi immuni dall'azione penale perchè il Governo usa in simili casi chiedere al Sovrano la grazia.
Però, vorrei solo far considerare al signor ministro che, se dopo il 1862, val quanto a dire dopo la prima legge, fosse continuata la renitenza al servizio militare, allora si sarebbero comprese certe misure di rigore per non incoraggiare la renitenza stessa, per cercare di ovviare a quegli inconvenienti che produssero tanti danni allora.
Ma però, come può pretendersi che questi individui potevano essere disertori prima del 1862, quando in quell'epoca non erano soldati? Essi furono disertori dopo quell'epoca, e non poteva essere diversamente, perchè naturalmente le operazioni di leva seguirono nel corso del 1862; ma si credè di escluderli dal beneficio della legge 28 aprile 1872, per la considerazione già esposta dall'onorevole ministro, intorno alla quale io faccio le mie riserve, che la diserzione pei nati del 1840 poteva avvenire pure posteriormente e che l'indulgenza del Governo voleva fissato il suo termine a tutto l'anno 1861.
Oggi pertanto rimosso, con le dichiarazioni del signor ministro, ogni timore in quei disgraziati e nelle loro famiglie di andare incontro alla severità delle leggi, io confido che vorranno restituirsi in patria riacquistando quella libertà che fu insidiata dalla inesperienza e dai cattivi consigli.
Io credo poi che la condizione dei Toscani, come quella dei Napolitani non è punto paragonabile a quella dei Siciliani.
D'altronde ripeto che mi affido alla dichiarazione del ministro e mi astengo dal fare alcuna proposta.
presidente. L'ordine del giorno reca il seguito della
discussione generale sul disegno di legge concernente i conflitti di
attribuzione.
La parola spetta all'onorevole Peruzzi.
Peruzzi. Io non aveva intenzione di prendere la parola in questa discussione, sebbene avessi avuto l'onore di essere uno dei proponenti del progetto di legge, poichè non lo vedevo contrastato. Mi vi sono però deciso allorquando l'altro giorno l'onorevole Pierantoni proponeva, come conclusione di un suo discorso favorevole, anzi favorevolissimo al principio che informa questo progetto, un ordine del giorno.
Ho chiesto allora la parola per oppormi all'ordine del giorno proposto dall'onorevole Pierantoni, non già perchè io non consenta il principio che informa quell'ordine del giorno, al pari del fine che egli assegna, come ultima meta, ai suoi desiderii. Questi desiderii sono conformi ai miei, quelli cioè di ricondurre la pubblica amministrazione nel diritto comune, ad essere cioè giudicabile, quando si tratta di diritti controversi tra essa e i privati, dai tribunali ordinari. Ma pare a me che l'ordine del giorno Pierantoni avrebbe l'inconveniente massimo di esautorare il progetto che si sta discutendo e che pare sia per uscire vittorioso dalle deliberazioni del Parlamento.
Credo inoltre che nel momento presente, come avvenne allorquando nel 1865 in
seguito ad uno splendido e lungo dibattimento venne
abolito il contenzioso amministrativo, convenga spingersi sin dove è
possibile per dissipare dei timori che pur troppo sorsero nel 1865 e pur
troppo sono messi innanzi adesso. Io credo vani questi timori, credo anzi
che essi non abbiano nessuna ragione, ma credo del pari che non abbia
ragione l'ordine del giorno dell'onorevole Pierantoni, che l'effetto di
quell'ordine del giorno non sarebbe quello di affrettare neppure di un
momento la intiera attuazione della riforma del 1865 che intendiamo dare
all'Italia.
Non vi ha dubbio che quel che sarà argomento di
conflitto potrebb'essere risolto con giudizi di competenza, e che questa via basterebbe, a parer mio, per sciogliere la questione che ci sta dinanzi. Ma d'accordo con l'onorevole ministro, ho creduto, nel proporre questo progetto di legge che convenga avere presente come ora si tratti di mettere un termine ad uno stato di cose, che molti reputano atto a dare una garanzia necessaria alla pubblica amministrazione.
La sola promulgazione della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, bastò perchè per molti mesi, per quasi un anno non fossero sollevati conflitti.
Nell'aprile o nel maggio del 1866 si cominciò a sollevare conflitti, e nel 1866 e nel 1867 credo ce ne fossero quattro o cinque all'anno, e poi questi conflitti nel 1868 e 1869 salirono a 25 o 30, ed andarono crescendo tanto che mentre nel primo quinquennio furono in tutto 61 con una media di 12 all'anno, divennero poi 260 nel secondo quinquennio, cioè in media 52 all'anno. E così io credo che la votazione e la promulgazione della legge che ora sta dinanzi al Parlamento produrrà un effetto diametralmente opposto, e che avverrà in Italia quello che è avvenuto nel Belgio, cioè che dei conflitti non se ne solleveranno più, o non se ne solleveranno che pochi.
E quando questi conflitti si sollevino, io credo che l'amministrazione non avrà nessun motivo di rammaricarsi della legge che ora stiamo per approdare, imperocchè non posso credere che l'amministrazione abbia a temere che delle questioni di diritto siano risolute dai magistrati con un criterio a lei opposto, quando l'amministrazione abbia veramente ragioni da vantare e da sostenere. Non vi hanno mezzi diritti o aliquote di diritto, ed uno è il criterio del giudizio, quando si tratta di diritto, sia che la questione verta fra privati, o fra l'amministrazione ed i privati. Abolito il contenzioso amministrativo, gli atti dell'amministrazione hanno potuto e possono procedere rapidi senza tema di ostacoli per parte dei tribunali chiamati soltanto a giudicare intorno ai diritti controversi sorgenti da questi atti. Credo quindi che l'amministrazione in Italia procederà parimente rapida, sicura e tranquilla quando questa legge sia promulgata.
Nel Belgio infatti noi abbiamo l'esempio, per citarne uno, della causa degli
eredi di monsignor De Pradtinella. Il tribunale
dava ragione agli eredi del detto monsignore contro lo Stato circa la
questione di competenza; dava poi torto a questi eredi quando si trattò del
merito. E credo che lo stesso avverrà dinanzi ai tribunali italiani.
Ora si tratta di porre un termine a questo stato di cose eccezionale, pel quale il Consiglio di Stato
giudica la esistenza o no dell'azione intorno ad un diritto controverso, e dai tribunali ordinari (ammessa dal Consiglio di Stato l'azione) intorno all'ammissibilità o no del diritto del privato contro l'amministrazione. Nel conservare il conflitto sul primo punto, e nel darne, siccome di questione giuridica quale veramente è, il giudizio alla Cassazione, si conserva una garanzia per l'amministrazione, soddisfacendo i timori di quelli che esagerano i sentimenti di rammarico e di paura per l'abolizione del contenzioso amministrativo.
Importa poi soprattutto che questa legge esca dalle deliberazioni del Parlamento coll'impronta della completa nostra fiducia nella sua efficacia per i diritti dei privati, del pari che nella sua innocuità per l'azione delle pubbliche amministrazioni. Intendendo quindi alla stessa meta cui intende l'onorevole Pierantoni, respingo il suo ordine del giorno perchè avrebbe l'inconveniente di esautorare la legge nel momento stesso in cui stiamo per votarla.
Della Rocca. Io rassegnerò brevissime osservazioni alla
Camera perchè mi accorgo che questa discussione si è già abbastanza
prolungata.
Difendere questo progetto di legge significa volere portare dei vasi a Samo, imperocchè, una relazione splendida e inarrivabile giustifica purtroppo questa proposta di legge d'iniziativa parlamentare, per la quale il paese dovrà professare molta gratitudine agli onorevoli proponenti.
Le cose erano arrivate a tal punto in questa materia che si chiama dei conflitti di attribuzione, che
i dritti privati quando avevano la sventura di trovarsi in collisione colle pretese della pubblica amministrazione erano annullati, perchè posti in completa balìa e discrezione di quelli stessi funzionari che rappresentavano gli interessi opposti.
Quindi questo progetto di legge è di una utilità incontestabile e risponde ad un bisogno e sentimento espresso dalle popolazioni, e quindi sono certissimo che niuno vorrà dare il suo voto contrario a siffatta proposta.
Però nel corso della discussione qualche oratore si è mostrato partigiano di qualche innovazione, di qualche riforma anche più ardita, vi è stato qualcuno il quale ha sostenuto che bisognava finirla una volta col contenzioso amministrativo, vuoi che questo sia rappresentato dal consesso amministrativo, sia che venga rappresentato dalle sole autorità amministrative.
E in verità guardando la cosa sotto il rapporto dei principii giuridici, questa proposizione dovrebbe avere l'adesione di coloro che sono partigiani del progressivo miglioramento della legislazione: ma
bisogna essere uomini pratici; bisogna ricordarsi che molte volte l'ottimo è il maggior nemico del buono; bisogna considerare che nel progresso della legislazione, non si può procedere a salti, sibbene occorra procedere gradatamente. Perciò io pure, inerendo a quel desiderato che è stato espresso nel corso di questa discussione, che cioè si abolisca del tutto la valutazione dell'amministrazione negli interessi e nei diritti privati; pur desiderando che tutti gli interessi e tutti i diritti privati sieno mandati pel giudizio loro ai tribunali ordinari, io mi accontento per ora di queste riforme, imperocchè l'andare più oltre sarebbe sperare quello che non può facilmente ottenersi.
Per cui io darò il mio voto favorevole a questo progetto di legge, e non accetto il proposito dell'astensione.
Un altro desiderato si esprimeva nel corso di questa discussione, ed era quello che il conflitto di attribuzione segua lo stesso destino che tutte le altre questioni di competenza che si sollevano davanti all'autorità giudiziaria. Questo concetto era incarnato in una formale proposta sottoscritta da
parecchi nostri colleghi, ed alla quale mi onoro di avere apposto la mia firma: questa proposta era sviluppata dall'onorevole Pierantoni nell'altra tornata, ed io voglio credere che se non potrà essere pel momento accettata dall'onorevole ministro guardasigilli, certamente darà luogo da parte sua a dichiarazioni tali che ci possano fare sperare che quel concetto si attuerà in un tempo non lontano.
Un'altra osservazione si presentava nel corso della discussione, ed era una critica formulata dall'onorevole Chiaves, il quale deplorava che nell'articolo 8 di questo progetto si contenga un sistema di accentramento giudiziario al quale egli repugnava. Ed io, per verità, colla mia debole voce e colla mia povera individualità, appoggio con tutte le mie forze l'osservazione e le idee dell'onorevole Chiaves.
E per fermo, mentre si predica sempre la necessità del decentramento; quando un progetto di legge che stabiliva in Roma delle sezioni di Corte di cassazione ebbe numerosi e potenti avversari, solo perchè con esso si accentravano nella Corte di Roma talune attribuzioni che erano tolte alle Corti delle altre regioni, io non so comprendere, o signori, come si possa continuare a perpetuare questo sistema nell'occasione del progetto di legge che si occupa di dirimere i conflitti di attribuzione. Io non scorgo alcuna necessità per la quale tali controversie debbano essere risolute dalla sola Corte di cassazione che risiede in Roma. Anzi, siccome da parecchi oratori si è espresso l'intendimento che questi conflitti di attribuzione seguano la stessa sorte di tutte le questioni di competenza che si possono presentare all'autorità giudiziaria, io non capisco perchè si voglia stabilire un trattamento eccezionale, un trattamento esclusivo, un trattamento differente, designando la Corte di Roma per decidere dei medesimi.
Quest'accentramento giudiziario, o signori, è d'altronde molto nocivo e molto pregiudizievole agl'interessi bene intesi delle popolazioni, imperocchè non si può giustamente pretendere che un abitante dell'estrema Sicilia, che un alpigiano venga fino a Roma a trovare il suo avvocato per far sostenere dinanzi alla Corte di Roma la questione del conflitto di attribuzione.
Noi, che ad ogni piè sospinto, ad ogni pronunziare di parola, facciamo professione di decentramento, parliamo di interessi bene intesi di popolazioni, parliamo della necessità di dover dare ai popoli le maggiori comodità possibili, perchè curino la trattazione dei loro interessi, non dovremmo essere così proclivi a voler accumulare, a voler accentrare nella sede del regno tante e tante attribuzioni, tante e tante giurisdizioni, le quali potrebbero con eguale, se non con maggior utilità, essere esercitate dalle autorità giudiziarie locali.
L'onorevole Mantellini voleva giustificare questa proposta contenuta nell'articolo 8, ed addusse, con l'ingegno suo peregrino, coll'acume della sua mente, parecchi rilievi per mantenere salvo il principio che informa l'articolo di cui è parola.
Io non sono da tanto da poter venire in lotta con un atleta della forza dell'onorevole Mantellini; né d'altronde il punto a cui è giunta la discussione mi permetterebbe di tenere ancora la Camera impeguata in una questione simile. D'altronde l'onorevole Chiaves nel suo discorso spiegò largamente gli argomenti che avvaloravano la sua opinione, alla quale io pure mi associo. Solo mi piace di far osservare, come umile contraddittore, all'onorevole Mantellini, che l'argomento da lui addotto, cioè che queste questioni finora si sono risolte in Roma dal Consiglio di Stato, non è un argomento efficace; perchè con questa legge si vuole appunto rimediare agii inconvenienti che si sono deplorati nel sistema di demandare l'esame di quelle questioni ai Consiglio di Stato, ed a questa unica autorità amministrativa che siede in Roma.
Se con questa legge si vuole rimediare agl'inconvenienti che finora si sono deplorati sia per l'accentramento, sia per il demandare siffatte questioni al Consiglio di Stato, io non saprei comprendere, sotto questo rapporto, la forza dell'argomento che fu addotto dall'onorevole Mantellini.
Solamente io riconosco che vi debba essere un caso, nel quale, per necessità, la Corte di cassazione di Roma debba essere chiamata a risolvere i conflitti di attribuzione, ed è quello unicamente nel quale il conflitto avviene tra un'autorità giudiziaria, la quale ha sede nel perimetro della giurisdizione di una Corte di cassazione, e l'autorità amministrativa, la quale ha sede nel perimetro della giurisdizione di un'altra Corte di cassazione. Quando questo conflitto avvenga tra due autorità, le quali sono poste in un territorio di diverse Corti di cassazione, allora solamente, per necessità assoluta, la Corte di Roma dovrebbe essere designata a risolvere il conflitto che si verifica, ma per ogni altro caso io credo che dobbiamo seguire il diritto comune, dobbiamo mantenere il corso ordinario dei procedimenti giudiziari, e dichiarare che la singola, la speciale Corte di cassazione è quella che deve essere competente a risolvere il conflitto.
Infine, o signori, io debbo esprimere a mia volta anche un mio desiderio, e spero che così l'onorevole ministro di grazia e giustizia, come l'onorevole ministro dell'interno, faranno buon viso alla mia proposta.
Questa legge che discutiamo dimostra evidentemente che vi è ancora un residuo di contenzioso amministrativo; non ci illudiamo, non ci nascondiamo la verità delle cose; il supporre che vengano in conflitto l'autorità amministrativa e l'autorità giudiziaria in questioni che riguardino il diritto privato, il diritto particolare, il supporre che l'autorità amministrativa creda di essere essa competente di giudicare di un interesse e di un diritto da una parte, e l'autorità giudiziaria creda a sua volta di essere essa competente, la supposizione di questa pretesa delle due autorità significa che vi esiste un contenzioso amministrativo, altrimenti questo progetto di legge sopra i conflitti di attribuzione, sarebbe un progetto senza ragione, senza fondamento; di maniera che se noi diciamo confusamente che il 20 marzo 1865 fu abolito il malaugurato contenzioso amministrativo, diciamo una cosa non esatta, diciamo una cosa che subisce delle eccezioni.
In gran parte il contenzioso amministrativo fu abolito, ma vi è ancora un residuo, vi è ancora una coda, che è più dura a scorticarsi, e questo residuo e questa coda producono il conflitto di attribuzione.
Ora, nello stato attuale delle cose, che avviene? Avviene che quando il Consiglio di Stato, la Corte di cassazione dichiareranno che la tale questione è di competenza dell'autorità amministrativa, allora il privato si trova completamente in balìa ed a discrezione dell'autorità amministrativa, non ci sono termini che valgano pei privati, non vi è per il privato il diritto di essere inteso, non vi è il diritto di presentare delle memorie, tutto al più il privato potrà ottenere come grazia, col cappello fra le mani, di essere ascoltato per un istante da un ragioniere, o da un capo di divisione, o dal prefetto, in qualche caso di eccezione, ma non è un diritto dell'interessato di fare ascoltare le proprie ragioni, le proprie rimostranze, quando il suo interesse cada sotto l'impero dell'autorità amministrativa. Questo, signori, si avvera in parecchi casi in cui diritti rilevanti sono in esame innanzi all'autorità amministrativa. Per esempio, nell'applicazione della legge sulle miniere, l'autorità amministrativa ha il diritto di ordinare la chiusura delle miniere che non si trovano nelle condizioni volute dalla legge, che non sono alla voluta distanza dalla strada. In questo caso l'autorità amministrativa procede di propria competenza, ed il privato non ha diritto chiaro e preciso di presentare osservazioni, non ha diritto di essere ascoltato, sebbene la determinazione dell'autorità amministrativa colpisca il diritto sacrosanto di proprietà. Il contabile del comune che rende il suo conto al Consiglio comunale soggiace all'autorità del prefetto per l'esame dei suoi conti stessi, e può essere dichiarato debitore di parecchie migliaia di lire verso il comune. Or bene, questo contabile comunale, i cui interessi debbono essere valutati ed esaminati da un ragioniere della prefettura, non ha il diritto di farsi ascoltare.
Un commissario. C'è l'appello alla Corte dei conti.
Anche questo è un tribunale.
Della Rocca. Va bene, ma io intendo che sia bene
esaminato il mio diritto, preferisco evitare il male anzichè ricorrere al
rimedio. La facoltà di potere ricorrere ad un magistrato superiore non
toglie che si debba deplorare che in primo grado il diritto individuale non
abbia alcuna garanzia e sia lasciato in balìa d'un impiegato, di
prefettura.
Lo stesso inconveniente, signori, si verifica nei provvedimenti di salute pubblica, nei provvedimenti d'igiene. Per questi provvedimenti si può intimare ad un proprietario di distruggere un opificio, di demolire un edilizio che non si creda essere nelle condizioni indispensabili per la conservazione della salute pubblica. Lo stesso si può dire per molti altri casi, nei quali l'autorità amministrativa decide discrezionalmente d'interessi preziosissimi senza che il privato possa fare valere le sue ragioni.
Ora, signori, volete voi perpetuare questo stato di cose? Se credete addirittura che il contenzioso amministrativo è una storia, è una reminiscenza, che è abolito in tutto e per tutto, e che qualunque diritto, qualunque interesse, a qualsiasi ordine di cose si appartenga, debba essere esaminato e veduto
dall'autorità giudiziaria, allora sarà inutile di venire nell'ordine d'idee che io vi rassegno. Ma quando questo desiderato della scienza non può essere oggigiorno attuato, quando disgraziatamente noi abbiamo in tante nostre leggi disseminato il potere dell'autorità amministrativa come un potere inevitabile, allora fa d'uopo stabilire, ordinare delle norme, delle garanzie in favore dei diritti privati che vanno soggetti all'esame dell'autorità amministrativa.
Ed è per ciò che io richiamo su questo argomento l'attenzione della Camera e degli onorevoli ministri di grazia e giustizia e dell'interno. Si dovrebbe avere la pazienza di percorrere tutte le svariate leggi da cui siamo oggigiorno governati; fa d'uopo esaminare in quanti e quali casi l'autorità amministrativa ha il diritto d'intervenire coi suoi provvedimenti, e colpire un interesse, od una ragione privata, senzachè vi sia possibilità di potere richiamare l'intervento dell'autorità giudiziaria.
Ora, in questi casi, o signori, è mestieri che si prescrivano delle norme, delle regole, delle cautele, delle garanzie per la tutela dei diritti privati. Per cui, se queste mie preghiere non incontrano una decisa contrarietà da parte dei ministri, della Commissione e della Camera, io oserei proporre all'approvazione della Camera uno schema di deliberazione, il quale è ispirato ai concetti che ho avuto l'onore testè di rassegnare alla vostra attenzione.
Lo schema di deliberazione è il seguente: «La Camera invita il Governo del Re a presentare uno schema di legge col quale siano ordinate le norme ed i modi atti a garantire le ragioni individuali nelle contese di competenza dell'autorità amministrativa.»
Osserva il mio onorevole amico Fusco che in tal modo si fa rinascere il contenzioso amministrativo. Ma io lo ripeto anche una volta: codesto contenzioso amministrativo esiste tuttavia, perchè vogliamo dissimularcelo? Se per tante svariate leggi noi abbiamo la competenza esclusiva dell'autorità amministrativa in tante decisioni che riguardano gli interessi individuali, perchè non vogliamo noi regolare questa materia? Se si ha il coraggio di dire: aboliamo tutte queste competenze speciali, e rimandiamo tutto all'autorità giudiziaria, io ci sono ed applaudo al desiderio manifestato l'altro giorno dall'onorevole Minervini; ma se questo noi non possiamo fare; se questo è un desiderio che lontanamente potrà attuarsi, nelle condizioni legislative in cui noi ci troviamo; io allora dico, come temperamento transitorio, regoliamo i casi nei quali l'autorità amministrativa deve intervenire a decidere del diritto degli interessi privati. Per non sentirsi il bisogno di questo provvedimento dovrebbe dirsi: la competenza per la tassazione dell'imposta di ricchezza mobile, la competenza amministrativa cessa, e l'autorità giudiziaria interviene in tutto e per tutto nelle questioni che riguardano tassazioni di ricchezza mobile, ecc. Lo stesso si dica per il macinato. La competenza amministrativa stabilita per la determinazione delle quote del macinato sparisce; come per le miniere e così via discorrendo.
Non la finirei più se volessi ricordare le leggi speciali, per le quali l'autorità amministrativa conosce da sè e decide dell'interesse privato, e l'autorità giudiziaria non ha che vederci, si dichiara incompetente; quindi se noi con un tratto di penna non vogliamo farla finita con tutte queste competenze speciali (e questo l'onorevole interruttore, l'amico Carbonelli sa che non si può ora fare), dobbiamo regolare tale materia.
Siccome io mi contento dell'uno quando non si può avere il dieci, e prendo l'uno piuttosto che zero; così io mi permetto di pregare la Commissione, i ministri e la Camera, a voler accettare un invito a studiare l'argomento, ed a presentare uno schema di legge per il quale sieno garantiti i diritti e gli interessi privati, allorchè abbiano la fortuna o la sventura di essere esaminati dall'autorità amministrativa, per competenza propria determinata da una legge speciale. Così io conchiudo le mie preghiere, e mi auguro che vi si faccia buon viso dalla Camera.
presidente. Rileggo il voto motivato proposto
dall'onorevole Della Rocca:
«La Camera invita il Ministero a presentare uno schema di legge, col quale sieno ordinate le norme ed i modi atti a garantire le ragioni individuali nelle contese di competenza dell'autorità amministrativa.»
Auriti. Mi permetta la Camera poche parole.
Io non mi propongo di entrare nella discussione teorica di questo progetto di legge; voglio fare soltanto alcune osservazioni, muovere alcune domande all'onorevole relatore ed al signor ministro per la applicazione pratica di essa legge.
Nella discussione che fu fatta nella tornata precedente si disse in generale dagli oratori: conflitti d'attribuzione non ci dovrebbero essere, ma per transazione ammettiamo questo primo passo; ci sia il conflitto di attribuzione, ma si cambi il giudice, ed il conflitto invece di essere deciso dal Consiglio di Stato si decida dalla Cassazione.
E perchè non ci dovrebbero essere conflitti di attribuzione? Si fecero due serie di obbiezioni, si dettero di quell'assunto due diverse ragioni. Dissero alcuni: ma che cosa è questa quistione di incompetenza
del potere giudiziario per mancanza di attribuzione in affare che rientra nell'attribuzione del potere amministrativo?
È una questione di competenza come tutte le altre; una questione che dovrebbe avere il corso ordinario, senza privilegio, senza l'effetto di sospendere la procedura, e di mandare immediatamente la risoluzione della competenza alla suprema magistratura del regno.
Presentata la tesi sotto questo aspetto, ed io non voglio discutere il suo valore, si spiega come si sia potuto aggiungere che per non passare di balzo al sistema che pur sarebbe il migliore, si conservi l'antico in certi limiti, con certi temperamenti, data però la decisione del conflitto all'autorità giudiziaria.
Ma c' è un'altra serie di obbiezioni mossa precisamente dall'onorevole Mantellini, il quale vi diceva: non è possibile conflitto d'attribuzione, perchè non è possibile che vi sia un caso in cui l'autorità giudiziaria sia incompetente, senza che vi sia un'altra autorità competente a conoscere di questa stessa quistione; sicchè ci può essere conflitto di giurisdizione, non conflitto di attribuzione. Un'azione qualunque deve avere il suo giudice. Sarà l'autorità giudiziaria, ovvero sarà qualcuno di quei tribunali speciali che sono stati conservati, e tra loro potrà sorgere conflitto di giurisdizione.
Ma se al contrario voi dite che si tratta di mero atto di amministrazione, e che perciò non vi è tribunale, nè amministrativo, nè giudiziario, nè speciale, nè ordinario, che possa conoscere della cosa, allora la vostra è eccezione di non proponibilità dell'azione. Ora, quando si dice che l'autorità giudiziaria sia incompetente, perchè l'azione non si può proporre innanzi a nessun magistrato, si scambiano i termini, poichè allora si tratta d'inammessibilità di azione, e l'autorità giudiziaria spiegherà appunto la sua competenza col dichiarare questa inammessibilità.
Posta questa premessa (ed io non voglio neanche discuterne il valore), come è possibile l'attuale progetto di legge, il quale, non solo suppone che questa specie di incompetenza ci possa essere, ma le accorda un'importanza eccezionale, dando effetto alla elevazione del conflitto di sospendere la procedura e di provocare immediatamente sui limiti delle attribuzioni dell'autorità giudiziaria e dell'amministrativa la pronunzia della Corte di cassazione?
Ciò, o signori, che, sotto forma così recisa, era espresso dall'onorevole Mantellini, e che mi rendeva incerto a spiegare quale fosse il concetto secondo il quale egli avesse accettato l'attuale progetto, si presentava sotto altra forma dall'onorevole Varè. Esso pure è di opinione che non ci debbano essere conflitti di attribuzione; e non sapendo escogitare quale sia il caso in cui la legge attuale riconosca il conflitto di attribuzione, domandava che si aggiungesse qualche dichiarazione, qualche definizione dei conflitti di attribuzione positivi e negativi tra l'autorità giudiziaria e l'amministrativa nell'articolo 8, che ne parla appunto, deferendone la decisione alla Corte di cassazione.
Ora, io potrei consentire che questa questione fosse riservata; io potrei dire: la giurisprudenza colla legge del 1865 deciderà, quando sia il caso che possa sorgere conflitto di attribuzione, che ci sia materia la quale esca assolutamente dalla competenza dell'autorità giudiziaria, senza che vi sia nessun altro tribunale che ne possa conoscere, salvo l'autorità amministrativa in via di azione, non in via di contenzione; in via di reclamo amministrativo, non in via di giudizio.
Ma io rilevo l'incertezza del concetto che diresse la redazione dello schema attuale, quando leggo l'ultimo inciso dell'articolo 8, che pregiudicherebbe la questione attuale, anzi potrebbe distruggere, secondo me, la possibilità stessa dell'applicazione di questa legge. In quell'inciso è detto:
«Il giudicato sul conflitto in nessun caso può assorbire o in qualunque modo pregiudicare le questioni sulla pertinenza del diritto o sulla proponibilità dell'azione.»
Ora, se si tratta di conflitti di giurisdizione, quest'articolo è superfluo; se si tratta di conflitti di attribuzione, quest'articolo è equivoco e parmi che possa riuscire pericoloso. Se si tratta di conflitto di giurisdizione, allora si cerca soltanto di sapere quale sia il tribunale competente, se il tribunale competente sia questo o quello, la quistione di proponibilità dell'azione non può essere mai pregiudicata, e la proposizione del testo è superflua. Ma se si tratta di conflitto di attribuzione, se l'autorità giudiziaria si dichiara incompetente, perchè non c'è nessuna autorità che in via contenziosa possa conoscere della cosa, trattandosi di materia di pura amministrazione, e che solo l'autorità amministrativa possa procedere in via d'azione, o provvedere in via di reclamo, la dichiarazione d'incompetenza dell'autorità giudiziaria che cosa è se non una formula di assoluta non proponibilità d'azione? E se la risoluzione del conflitto non deve mai assorbire o pregiudicare la questione di proponibilità dell'azione, come dice l'articolo 8, in qual modo la Corte di cassazione potrebbe dichiarare l'incompetenza dell'autorità giudiziaria per mancanza di attribuzione, tosto che ciò suonerebbe appunto assoluta non proponibilità dell'azione? La conseguenza giusta
sta sarebbe invece quella che fu premessa dal Mantellini: non sono possibili i conflitti di attribuzione. Io veggo allora questa conseguenza; quando si proporrà in via di conflitto eccezione d'incompetenza dell'autorità giudiziaria per materia di attribuzione amministrativa, si darà la massima importanza a questa eccezione, il giudizio principale si arresterà, si andrà di botto alla Cassazione; ma, secondo me, la Cassazione dovrebbe dire sempre che l'autorità giudiziaria è competente, perchè trattasi d'inammessibilità di azione, non d'incompetenza.
Io non intendo esporre lo stato della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della magistratura pei casi in cui ci sia questa specie di non proponibilità di azione, che si traduce in incompetenza per difetto di attribuzione; ma dirò brevemente quel tanto che giovi a invitare e l'onorevole relatore e il signor ministro a dichiarare le loro idee onde discernere il concetto fondamentale di questa legge, e il criterio per distinguere i casi in che possa davvero applicarsi.
Si è detto ordinariamente così: quando l'autorità amministrativa procede con eccesso di potere, o senza le forme prescritte, fuori dei limiti ad essa assegnati, e col suo atto lede l'interesse di un cittadino, questo interesse evidentemente in tal caso diventa un diritto; la sua qualità di diritto l'attinge da quelle forme, da quei limiti, da quelle garentie tutelari che la legge prescriveva all'autorità amministrativa, e che furono violati. Se il privato reclama per riconoscimento di questo diritto, l'autorità giudiziaria è competente perchè giudica dell'atto del potere amministrativo, non nell'esercizio di facoltà prudenziale attribuita ad esso dalla legge, ma bensì nel rapporto coi precetti imperativi della legge e coi diritti offesi del cittadino, e far rispettare i primi e tutelare i secondi è compito proprio della magistratura. Sa non che, proclamato il diritto, l'autorità giudiziaria non può direttamente da sè modificare, o rivocare l'atto amministrativo, o impedirne l'esecuzione, ma deve non tenerne conto se illegale, o anche aggiudicare il risarcimento dei danni se l'ingiustizia fu consumata con l'esecuzione.
Ma quando l'autorità amministrativa agisce nei limiti dei suoi poteri, quando si tratta di una facoltà prudenziale che può essere esercitata in un modo o nell'altro, bene o male, opportunamente o meno, allora l'interesse del privato cui quell'atto si riferisce, non è un diritto, non lo è per regola generale, salvo le eccezioni che dipendessero da casi espressi di legge. In mancanza di legge espressa la parte potrà chiamare il suo interesse un diritto, ma questa affermazione non basterà a trarre il suo reclamo dal campo amministrativo per portarlo in quello della contenzione giudiziaria.
E se si dice che il discernere se sia il caso di un semplice interesse o di un vero diritto, sia questione di proponibilità di azione e non di competenza, si può rispondere che tra i motivi di non proponibilità dell'azione quelli derivanti dalla materia dell'oggetto dedotto in lite, che sia nel pieno demanio della pura amministrazione, che escluda non la sola esistenza, ma la possibilità di un vero diritto, si traducono appuntò in incompetenza dell'autorità giudiziaria per mancanza di attribuzione.
Se è così, l'indipendenza dell'autorità amministrativa sarebbe tutelata a tempo, con l'elevazione del conflitto, mercè ricorso alla Corte di cassazione. Se al contrario fosse solo questione d'inammessibilità di azione e non d'incompetenza, l'autorità amministrativa, nel libero esercizio delle sue funzioni legittime, non avrebbe modo come garentirsi a tempo dai giudicati erronei pur di un semplice pretore. Del resto io non intendo risolvere la questione in astratto. La proposizione da me enunciata parmi il presupposto necessario del progetto di legge, in quanto che ammette i conflitti di attribuzione, e parmi poi negata o messa in dubbio dall'articolo 8 quando afferma in modo assoluto che non mai la risoluzione del conflitto deve assorbire o pregiudicare la questione di proponibilità dell'azione.
È su questi dubbi che attendo dei chiarimenti, ed è per averli che ho preso la parola.
Tegas. Dal discorso dell'onorevole preopinante la Camera potrà convincersi come si tratti di materia assai delicata, e come codeste questioni non si possano risolvere che con criteri i quali abbraccino tutto il complesso dei vari poteri organici dello Stato.
Le parole dette dall'onorevole Auriti mi dispensano dall'addentrarmi in questa questione. La quale d'altronde fu già trattata profondamente nell'epoca in cui si discusse dell'abolizione del contenzioso amministrativo. Questo è certo che tutti gli scrittori di diritto pubblico interno riconoscono la necessità di garantire l'indipendenza del potere amministrativo nell'esercizio della sua azione legittima.
Se si viene a vulnerare questo principio è evidente che si turba l'indipendenza e la divisione dei poteri, che si crea un potere servo o almeno subordinato ad un altro potere, dando facoltà al privato cittadino di paralizzare qualunque atto amministrativo o governativo non solo nella sua esplicazione, ma persino nel suo nascere. Ora, mentre noi vogliamo l'indipendenza del potere giudiziario, non possiamo degradare il potere amministrativo.
Nol permette l'interesse generale, non l'ordine pubblico, non l'idea stessa della società e dello Stato, la quale esige che qualunque potere possa svilupparsi nella cerchia delle sue attribuzioni. Partendo da questo principio, io dico la verità, sebbene non attacchi tutta quell'importanza che da taluni si vorrebbe attribuire a questa legge, inquantochè io non troverei una grande differenza nel deferire un conflitto piuttosto ad un corpo che ad un altro, tuttavia credo potersi ritenere come indifferente, ed anche consono coi principii, onde reggesi questa materia in altri paesi, che tale competenza venga data ad una Cassazione unica. Quando la prima volta venne per iniziativa dell'onorevole Mancini presentata questa proposta di legge, per vero, la prima obbiezione che mi si affacciò alla mente (e credo averla fatta a lui stesso che aveva l'onore di avere a presidente dell'ufficio) fu questa, che non essendovi un'unica Cassazione era anomala e sino a un certo punto assurda cosa voler dare alle varie Cassazioni la giurisdizione dei conflitti, e mi parve che egli stesso convenisse che la obbiezione era seria.
Essendosi ora con una legge attribuita alla Cassazione di Roma la giurisdizione di queste materie speciali, io credo che questa difficoltà sia eliminata. Così non mai assentirei ad un emendamento, quale proponeva uno degli onorevoli preopinanti, cioè di dare la giurisdizione di dirimere i conflitti a tutte le Cassazioni del regno, perchè si dilungherebbe dallo scopo della uniformità dei giudicati, peggiorandosi la legislazione. Imperocchè questo beneficio per lo meno ora si ha nel Consiglio di Stato.
Del resto io aveva chiesto licenza di parlare unicamente per combattere con brevi parole la proposta testè fatta dall'onorevole Della Rocca, la quale mi sembra non essere altro che la seconda edizione dell'ordine del giorno, ancora più accentuato e scorretto dell'onorevole Pierantoni.
Ora questa proposta, per le ragioni già dette, mi pare per lo meno anormale e contraria al sistema legislativo nostro; quando si vota una legge, si votano i principii e le disposizioni che in essa si contengono, e non già altri principii, altre disposizioni che si potrebbe per avventura desiderare di introdurre.
Io credo che da un tale sistema deriverebbero conseguenze pericolose, e si esautorerebbe la legge
stessa, battezzandola insufficiente ed imperfetta, come non ispirata nella dovuta misura a quei principii che credonsi giusti e che quando l'opportunità si presenta, se non vi sono delle ragioni gravi in contrario, si debbono praticamente concretare. Ora, io avendo la convinzione che con questa legge si applicano nella maggiore estensione possibile i principii che determinano questa materia, come ho la convinzione che se si andasse più oltre si perturberebbe quella reciproca indipendenza di poteri che è il canone delle nostre istituzioni, che è uno dei criteri categorici del sistema costituzionale di ogni paese, così io credo che non si possa dalla Camera accettare qualsiasi ordine dei giorno, il quale venga a spingere il potere esecutivo a volere fare studi e presentare proposte, che potrebbero essere la distruzione dei principii stessi che informano questa legge. Infatti io credo che andare più oltre sarebbe nuocere al buon andamento dell'amministrazione.
Si è portata avanti l'idea che esista ancora un contenzioso amministrativo.
Questa idea non parmi esatta. Il contenzioso amministrativo più non esiste; esso fu interamente abolito; non esiste che la pura amministrazione; il conflitto si esercita quando l'amministratore crede che sia materia amministrativa, non giudiziaria, non ferisca un interesse, nè violi un diritto, ma abbia agito nella pienezza del suo potere e delle sue attribuzioni. Quindi, non essendovi materia contenziosa, evidentemente non vi è contenzioso amministrativo. La Corte di cassazione giudica della proponibilità od ammissibilità dell'azione; non giudica già sul merito dell'atto amministrativo, ma delle conseguenze giuridiche. Se noi facciamo giudicare il potere giudiziario dell'atto discretivo, non c'è più possibilità di amministrazione. Oggi si giudica una nomina fatta dal ministro, domani da un prefetto, noi avremo la confusione dei poteri. Ora, dal momento che noi vogliamo dare a ciascun potere ciò che gli appartiene, dare a Cesare quel che è di Cesare, è evidente che non possiamo andare più oltre di quel che si è andati colla legge di abolizione del contenzioso amministrativo e di quello che si fa colla legge attuale che vuole fare decidere in ultima sede quello che sia di competenza amministrativa.
Io credo che l'adottare la proposta dell'onorevole Della Rocca ci porterebbe a conseguenze erronee, a conseguenze contrarie al nostro diritto pubblico interno, che noi dobbiamo mantenere nella sua purezza.
Del resto poi l'onorevole Della Rocca ha fatto pure la confusione dei tribunali eccezionali colle Commissioni e coi tribunali speciali.
Quando si abolì il contenzioso amministrativo si disse: si è abolita una competenza, una giurisdizione eccezionale, ma con questo non si intese abolire tutte le competenze speciali. Non si può sostenere da nessuno che sia un progresso l'abolire le giurisdizioni speciali, che sia un progresso l'abolire, per esempio, i tribunali di commercio, che sia
un progresso l'abolire le Commissioni speciali, e una quantità di giurì speciali. Non sarebbe un vantaggio questa
semplificazione, sarebbe un danno della giurisprudenza amministrativa e
dell'organizzazione giudiziaria; inquantochè si dipartirebbe da quel
principio che regge tanto l'economia politica, quanto l'economia
giudiziaria, il principio di una certa divisione di lavoro e di una
specialità di competenze in corrispondenza alle specialità di attribuzioni e
alla varietà delle materie di giudizi.
Quando si volesse far giudicare tutto da un solo tribunale, e questioni d'imposte, come di ricchezza mobile o di macinato, ecc., casi in cui è necessaria assolutamente una urgente risoluzione, in cui, ritardando, avrebbe detrimento grandissimo la finanza, in cui l'interesse pubblico sarebbe facilmente sacrificato, si correrebbe non ad un'utile semplificazione, ma alla confusione, con danno gravissimo della cosa pubblica.
Sebbene, come ho detto in principio, non attacchi una grandissima importanza a questa legge e avrei volentieri aspettato la legge della Cassazione unica, che è di là da venire; tuttavia, io accetterò questa legge, solo quando dall'onorevole ministro guardasigilli vengano respinti tutti questi ordini del giorno proposti.
Io ho troppo fiducia nella scienza amministrativa e giuridica dell'onorevole ministro per credere che egli non ne vegga le conseguenze.
Per siffatte ragioni, e perchè assolutamente sarebbe un modo insolito di legiferare cotesto di venire con una proposta ad adottare un principio opposto alla legge che si vota; e nel merito poi, verrebbesi a ledere l'indipendenza del potere amministrativo; nell'interesse stesso della libertà e dei principii giuridici, io m'oppongo alla proposta fatta dagli onorevoli Della Rocca e Pierantoni, ed aspetto anche a determinarmi a votare la legge dopo avere udite le spiegazioni dell'onorevole guardasigilli.
Crispi. L'onorevole Tegas ha fatto una confusione nell'ordine delle pubbliche funzioni. Che il contenzioso amministrativo sia stato abolito dalla legge del 20 marzo 1865 è una illusione. Quella legge non fece altro che rivendicare all'autorità giudiziaria molte attribuzioni, che in quel tempo, in alcune parti d'Italia, esercitavano i tribunali incaricati del contenzioso amministrativo. Quella legge però ebbe il torto di lasciare alla pubblica amministrazione alcune attribuzioni le quali sono meramente contenziose, e contro le quali non è possibile ad un privato cittadino di garantirsi con tutti quei rimedi legali che prima erano in poter suo.
Noi accettiamo la riforma che vien fatta con la legge in discussione, come un miglioramento allo stato attuale della pubblica amministrazione; non crediamo però che questa legge, pel buon andamento della giustizia, sia l'ultima parola.
I limiti stabiliti fra le attribuzioni dell'autorità giudiziaria e quelle dell'autorità amministrativa nelle contese fra i privati cittadini e lo Stato, ricordano la paura sentita sempre dal potere assoluto, di affidarsi ai giudici ordinari.
Nei paesi liberi come l'Inghilterra e l'Olanda, ove queste paure non esistono, l'amministrazione pubblica non ha alcuna delle attribuzioni date alla nostra, e l'autorità giudiziaria, o signori, è padrona di regolare gli interessi ed i diritti dei privati quando vengono in urto cogli interessi e diritti dello Stato.
Due volte alla Camera io proposi un rimedio a questo stato anormale di cose, e due volte la Camera prese in considerazione il mio disegno di legge.
Oggi, il mio onorevole amico il deputato Della Bocca, in un modo più modesto, non ha fatto se non che chiedere che la Camera voglia invitare il Ministero a studiare questa importante questione, onde proporre a noi quei rimedi che dopo maturo studio crederà che possano essere utili, onde evitare tutti i danni, tutti i pregiudizi che attualmente si commettono dalla pura amministrazione, credendo esercitare attribuzioni che realmente non sono di sua competenza e che dovrebbero essere conferite all'autorità giudiziaria.
Certo, lo studio in materia siffatta non è mai troppo, anzi tutti dovrebbero consentire a che venga fatto, e mi fa meraviglia come l'onorevole Tegas vi si sia opposto con tanto ardore, ritenendo che sia una modificazione alla legge l'ordine del giorno proposto dal mio amico Della Rocca. Il mio amico non fa se non che chiedere alla Camera di invitare il Ministero a studiare senza apportare alcuna modificazione per ora alla legge che discutiamo.
In verità avrei parecchi esempi da ricordare per provarvi come il contenzioso amministrativo esiste in tutta la sua forza.
Immaginate un decreto di un prefetto ed anche di un sindaco, se vi piace, nel quale si dichiari vicinale o pubblica una strada che egli supponga che sia esistita, e che realmente non esista. Aggiungete, come qualche volta è avvenuto, che il sindaco o il prefetto con ingegnere e con la pubblica forza vada realmente a tracciare cotesta strada sul fondo privato.
II proprietario del fondo in cui questa violenza legale si commette, propone naturalmente una querela per turbato possesso, ma ecco sorgere il conflitto.
Anzichè lasciare che si eserciti l'azione per la libertà del fondo, anzichè lasciare adito alla prova che a nessuna servitù di passaggio vada soggetta la terra del privato cittadino, l'autorità amministrativa eleva a suo beneficio il conflitto, e così l'autorità giudiziaria non può più occuparsi della vertenza. Or bene ammettiamo che anche la Cassazione alla quale verrà rimesso il giudizio relativo al conflitto, dichiari essere di competenza amministrativa il giudicare sull'insorta questione. Questo può verificarsi. E perchè allora non vorrete che contro il decreto dell'autorità amministrativa si possa ricorrere anche, se così vi piace, ad una superiore autorità amministrativa, la quale udite le parti in pubblica udienza, possa maturamente decidere da qual parte sia il torto, da qual parte sia il diritto?
Ancora un altro esempio.
Dopo la pubblicazione del Codice civile, il quale generalizzò in tutta Italia principii che altra volta non erano dovunque ammessi, le acque dipendono dall'autorità amministrativa. Un prefetto dichiara pubblica un'acqua la quale sorge in un fondo privato. Come è suo diritto, il proprietario attacca l'ordinanza del prefetto, chiamandolo innanzi alla autorità giudiziaria. Allora il prefetto eleva il conflitto, il quale è un sistema molto comodo per togliere il giudice a colui i cui diritti furono pregiudicati. Ammettete che la Cassazione dichiari competente in questo caso l'autorità amministrativa. Or bene, perchè non lascierete adito al proprietario di invocare il giudizio di un supremo congresso amministrativo, di provare che a lui veramente l'acqua appartenga?
Potrei trovare altri esempi nella legge di pubblica sicurezza.
Al capitolo 3 della sezione 12a della legge sulla pubblica sicurezza trovo che dalle deputazioni provinciali si possono fare decreti per pubblica incolumità. La deputazione provinciale può dichiarare che un dato stabilimento sia insalubre; basta questo decreto perchè si chiuda lo stabilimento. Ma non volete voi che contro questo decreto, il quale può essere stato emanato senza quelle indagini, senza quegli esami che il privato cittadino crede fossero necessarie, non volete che egli possa ricorrere ad un'autorità superiore, e che quest'autorità, udite le parti in pubblica udienza, possa dopo regolare discussione emettere il suo giudizio?
Ecco quello che si vuole dai nostri amici quando si invocano delle garanzie contro l'abuso della pubblica amministrazione, allorchè questa esercita attribuzioni che colpiscono i diritti dei cittadini. E con questo, o signori, non è che si vuol fare risorgere il contenzioso amministrativo.
Se noi dicessimo, per esempio, di voler mutare l'ordine delle idee stabilito negli articoli 1 e 2 della legge sul contenzioso amministrativo, avreste ragione. Noi soltanto vogliamo che nelle materie per le quali all'articolo 3 della legge sul contenzioso amministrativo rimasero giudici le autorità amministrative, ci fossero quei rimedi regolari che vi sono anche nei paesi da lungo tempo soggetti a dispotismo, come in Francia. Capisco che voi mi risponderete che in Francia esiste ancora il contenzioso amministrativo; ma in Francia, anche per il minimo pregiudizio che potesse arrecarvi il potere amministrativo, vi è il ricorso al Consiglio di Stato. Ricorderete come un anno fa il principe Napoleone, essendo stato cancellato dai ruoli dell'esercito nella sua qualità di generale, abbia reclamato al Consiglio di Stato, e le sue domande furono realmente discusse ed esaminate, ed il Consiglio di Stato gli diede torto. Di questo egli potè essere scontento, ma almeno ebbe la soddisfazione di fare esaminare le sue ragioni, di discuterle regolarmente e di averne una sentenza.
Ripeto, s'ingannano coloro i quali credono che il contenzioso amministrativo fu ucciso; no, il contenzioso amministrativo vive integro e più potente di quello che era prima della legge del 20 marzo 1865.
Il contenzioso amministrativo perdette moltissime delle attribuzioni che irregolarmente esercitava allora; ma quelle che gli sono rimaste le esercita senza che il privato cittadino possa regolarmente difendersi ed ottenere quella giustizia alla quale ha diritto. Io non chiedo che la Camera oggi si occupi di questa grave materia, io chiedo che i nostri amici, i quali sono al potere, vogliano studiarla, e che a migliore occasione e quando la crederanno matura, ci portino quelle proposte che saranno degne del senno italiano.
presidente. Il ministro guardasigilli ha facoltà di
parlare.
Mancini ministro di grazia e giustizia. È raro il caso
che oggi avviene, dappoichè tocca a me di fare su questo disegno di legge le
dichiarazioni del Governo, anche a nome del mio onorevole collega
dell'interno; a me che ebbi l'onora di esserne proponente insieme con altro
egregio membro di questa Camera, l'onorevole Peruzzi, e poscia ne fui
relatore.
Ma dopo l'ampia e lucida esposizione dei principii direttivi di questa legge, fatta dall'onorevole Mantellini con autorità e felicità di eloquio; dopo altri importanti discorsi di diversi oratori, tutti pronunziati, se io non m'inganno, in senso favorevole alla legge; dopo l'apologia ancor più eloquente che risulta dal non essere surto in questo recinto verun
oppositore alle idee fondamentali ond'essa è informata; io sento il dovere, o signori, d'intrattenervi assai brevemente.
D'altronde questa Camera altra volta ascoltò lunghi discorsi dell'onorevole Peruzzi e miei su questo medesimo argomento, allorchè noi nel 1873 ne fecimo oggetto di una interpellanza al ministro dell'interno di quel tempo, l'onorevole Lanza. Ed il risultato di quella discussione fu l'essersi riconosciuto e fino ad un certo punto anche ammesso da quell'onorevole ministro, che i conflitti d'attribuzione tra l'autorità giudiziaria e l'amministrativa ormai costituivano nel nostro sistema giudiziario ed amministrativo un grave disordine ed una funesta perturbazione, sia per la frequenza soverchia e sempre crescente del loro numero, sia altresì pel modo vizioso della loro risoluzione.
Per ciò che riguarda il numero dei conflitti, si consideri che ognuno di essi rappresenta un caso in cui il corso della giustizia fu arrestato a piacimento dell'amministrazione, ed allorchè il conflitto fu deciso a favore dell'autorità amministrativa i diritti dei cittadini furono strappati alla cognizione dei tribunali, privati della garentia tutelare dell'autorità giudiziaria, custode delle leggi e dei diritti per sua naturale missione, ed abbandonati alla balìa ed alla discrezionale decisione di semplici amministratori.
Or il loro numero eccede ogni discreta proporzione, fatto il confronto con quello che avviene in altri paesi.
Le statistiche aggiunte alla mia relazione ed all'appendice dell'onorevole Mantellini ne fanno fede.
Io non rammenterò che due sole cifre, cioè che mentre in un primo quinquennio 1886-70 i conflitti d'attribuzione furono 61, nel secondo quinquennio 1871-75 essi si elevarono nientemeno che alla cifra di 260, il che vuol dire dal quadruplo al quintuplo del numero dei conflitti del quinquennio precedente.
Ciò dimostra che codesti conflitti erano divenuti l'espediente favorito dell'amministrazione, tutte le volte che si trovava involta in gravi e difficili litigi coi privati cittadini.
E giova altresì rammentare che in Francia, quando il Governo presentò nel 1872 all'Assemblea nazionale il progetto di legge sul Consiglio di Stato, dichiarò che il numero annuo dei conflitti non aveva ecceduto per una lunga serie di anni quello di 20 a 25, ma che negli ultimi anni era disceso costantemente al di sotto di 12 all'anno. Ora fatta la debita proporzione, in Italia non avrebbero dovuto elevarsi in ciascun anno, più di 8 conflitti di attribuzione.
L'abuso adunque era evidente per il numero eccessivo di questi conflitti.
Quanto al modo di risolverli, la legge del 20 marzo 1855, checchè siasi detto da alcuni onorevoli amici, abolì interamente in Italia le giurisdizioni ordinarie del contenzioso amministrativo; ed in uno de' suoi articoli fu dichiarato che conservavasi provvisoriamente al Consiglio di Stato la risoluzione dei conflitti di attribuzione, attesa la varietà di leggi allora esistenti nelle varie provincie italiane circa il modo e la procedura per la risoluzione di questi conflitti, ma si promise su tale argomento una legge speciale, ed anzi fu creata allora una Commissione con l'incarico di preparare questo progetto di legge.
Ora non mi permetterò certamente di adoperare veruna espressione che giudicar si potesse in qualunque modo men riverente verso quell'alto e rispettabile consesso che è il Consiglio di Stato; ma nella relazione chiaramente è dimostrato che non si tratta di muovere alcun rimprovero agli uomini onorandi che lo compongono; non è in questione che il vizio dell'istituzione. Dappoichè quel consesso essendo di sua natura amministrativo, ed il consigliere ordinario degli atti più importanti dell'amministrazione, sovente consultato prima che questi atti si compiano, un consesso che abitualmente adopera nell'esame degli affari criteri meno di legalità e di stretto diritto, che di convenienza ed utilità nell'interesse dell'amministrazione, non è certamente quello a cui più opportunamente si possa affidare la decisione delle questioni di conflitto, dirette a determinare i limiti di separazione tra la competenza dell'autorità giudiziaria e le attribuzioni dell'autorità amministrativa.
Inspirato da questi convincimenti il progetto di legge, che ora vi sta dinanzi, fu presentato nel 1873 dall'onorevole Peruzzi e da me.
Mi piace rammentare alla Camera che non solo oggidì questo progetto di legge incontra favore da tutte le parti della Camera, perchè due volte è stato proposto, nel 1873 e nel 1870, ed entrambe le volte furono unanimi i nove uffici della Camera nell'approvarlo, ed unanime fu pure il voto favorevole delle due Commissioni che vennero nominate per farne l'esame.
Quanto alla sostanza del disegno di legge, si sono manifestate, anche nel corso di questa discussione, benchè vagamente, come si produssero assai più vivacemente nelle discussioni fuori di quest'aula, due tendenze perfettamente opposte.
L'una di esse, esagerando i timori, che noi crediamo non fondati, di danni ed impacci dell'amministrazione, sognando chimerici pericoli che in altri
paesi non si sono menomamente realizzati, manifestando una diffidenza altrettanto irriverente che ingiusta verso l'autorità giudiziaria che, come io dissi, ha appunto la missione di farsi custode dell'osservanza delle leggi e della protezione dei diritti dei cittadini verso tutti e contro tutti, se non osa difendere l'opinione favorevole alla continuazione della giurisdizione per la risoluzione dei conflitti nel Consiglio di Stato, manifesta tuttavia una certa ripugnanza ad affidarla alla Corte di cassazione, tribunale supremo dell'ordine giudiziario; ed alcuni hanno vagheggiata l'imitazione di un'ibrida istituzione due volte tentata in Francia, cioè di una specie di tribunale misto, in cui seggano amministratori e magistrati, per affidare ad un tribunale somigliante la competenza speciale di risolvere i conflitti di attribuzione tra la giustizia e l'amministrazione.
Un'altra opinione, che in verità si appalesa più logica e più coerente ai principii onde noi muoviamo, vorrebbe che, in vece di trasportarsi la giurisdizione per risolvere i conflitti dal Consiglio di Stato alla Corte di Cassazione, si procedesse più recisamente, si proclamasse la distruzione completa del sistema medesimo e dell'istituto dei conflitti di attribuzione, e si considerasse l'amministrazione pubblica pari a qualunque altro litigante, e senza privilegio alcuno la si riconducesse sotto l'impero del diritto comune egualmente che ogni privato cittadino.
Per ciò che riguarda la prima opinione, io non vedo il bisogno di rinnovare una discussione ampiamente esaurita nella relazione rassegnata all'indulgenza della Camera. Crediamo che ne risulti abbastanza chiarito non essere possibile ritogliere all'autorità giudiziaria, e per avventura al suo supremo tribunale, la decisione dei conflitti di attribuzione, cioè la dichiarazione del limite fino a cui si estendano, e dove si arrestino i diritti dei cittadini protetti e garantiti dalla legge, senza violare
ad un tempo i principii organici del sistema costituzionale, e senza metterci in opposizione con la riforma italiana compiuta con grande lode nella legge più volte menzionata del 20 marzo 1865, la quale abolì le giurisdizioni ordinarie del contenzioso amministrativo.
Sotto il primo punto di vista, ognun sa che se al potere legislativo spetta la formazione delle leggi, e al poterà esecutivo la loro esecuzione, l'ufficio proprio del potere giudiziario è precisamente quello di dichiarare e riconoscere i diritti e le obbligazioni dei cittadini anche ne' rapporti con la pubblica amministrazione.
Quante volte vi sono atti del potere esecutivo, o dell'amministrazione
pubblica i quali, anzichè provvedere discrezionalmente, come è suo compito,
regolando gl'interessi dei privati, si estendano fino a mettere le mani
sopra veri loro diritti garantiti e protetti dalla legge; quando l'atto
dell'amministrazione sia illegale nella sua forma o
nella sua sostanza, od ecceda i limiti
di quella potestà che a lei la legge medesima accorda; in
tutti questi casi è principio costituzionale che spetta al potere
giudiziario farsi moderatore e proteggitore dei diritti violati, a lui
spetta reintegrare il rispetto dovuto alla legge, e conseguentemente esso
solo ha l'autorità necessaria per dichiarare l'incostituzionalità o
l'illegalità dell'atto compiuto dal potere esecutivo o dagli agenti della
pubblica amministrazione.
Questa autorità è stata esercitata dalla magistratura Subalpina dal 1848, e poscia dalla italiana dopo il 1860: ed è dovere che io renda in questa occasione un pubblico e meritato omaggio alla medesima, per averla esercitata costantemente con fermezza non disgiunta da matura prudenza. Io non credo che, svolgendo gli annali delle nostre decisioni giudiziarie, vi sia occasione di muovere rimprovero all'autorità giudiziaria perchè abbia giammai abusato di questa gelosa attribuzione, e non l'abbia adoperata con indipendenza quante volte il cittadino abbia reclamato il suo diritto offeso da un provvedimento dell'autorità amministrativa, querelandosi della illegalità ed incostituzionalità dell'atto, ed invocandone la protezione con una fiducia che non mai rimase delusa.
Ora io affermo che qualunque altro sistema, qualunque combinazione il cui risultato sia di trasportare fuori dell'ordine giudiziario la decisione di somiglianti questioni, il che accadrebbe se dipendesse da un tribunale misto impedirà o limitare l'esercizio della competenza giudiziaria, verrebbero a violare nella loro essenza i principii organici del sistema costituzionale.
Noi poi saremmo anche colpevoli di incoerenza logica e di contraddizione con
quella memorabile riforma che abbiamo compiuta nel 1865. Sarà facile alla
Camera rammentare il testo dell'articolo 5, che noi ebbimo cura d'inserire
in quella medesima legge, col quale espressamente fu riconosciuta
all'autorità giudiziaria la potestà di negare applicazione a qualunque atto del potere esecutivo od amministrativo ed a
qualunque regolamento generale o locale, semprechè si
scorgessero contrari alle leggi.
Quell'articolo della nostra legge del 1865 fu la riproduzione letterale di un articolo che negli identici termini si trova consacrato nella Costituzione Belgica.
Dopo ciò è superfluo ragionare degli altri inconvenienti
che l'esperienza ha dimostrati in questi tribunali
misti, da che in Francia ne venne fatto un esperimento che io credo
infelice. Basti avvertire che per tutto il tempo in cui essi esistettero,
dal 1848 al 1852, in cui furono aboliti, non una delle massime del Consiglio
di Stato, notoriamente troppo favorevoli e parziali in pro
dell'amministrazione, ottenne di essere modificata o abbandonata da quel
tribunale misto dei conflitti. È vero che quando nel 1872 con la legge sul
Consiglio di Stato in Francia si è voluto risuscitare la medesima
istituzione, fu proposto che il tribunale si componesse non di soli sei
membri, tra delegati dal Consiglio di Stato, e tre dalla Cassazione, ma di
nove membri, e volevasi dapprima che tre dei membri fossero delegati
dall'Assemblea nazionale. Istituzione pericolosa, imperocchè, signori, i
delegati delle assemblee politiche d'ordinario rappresentano lo spirito
delle loro maggioranze, e queste maggioranze quasi sempre sono inchinevoli a
far buon viso agli atti delle amministrazioni uscite dal loro seno, e
difficilmente si piegherebbero a sottoporli alla censura dell'autorità
giudiziaria.
Supponendo poi un cangiamento di amministrazione, potrebbe manifestarsi in questi tre membri una tendenza perfettamente opposta, con instabilità e variabilità inevitabile delle decisioni e delle massime, che pure dovrebbero costituire una parte essenziale e permanente del diritto pubblico del paese, come quelle che dovrebbero determinare il limite di separazione fra le attribuzioni dell'amministrazione e quelle della giustizia.
Allora vi si supplì con un altro sistema, si volle cioè che i sei membri, insieme col loro presidente Ministro di giustizia, scegliessero essi stessi gli altri tre membri; ma voi comprendete benissimo che fra i sette i tre amministratori ed il ministro presidente costituendo la maggioranza, sono i padroni della scelta e della nomina dei rimanenti tre membri e così rimane pur sempre assicurata la preponderanza sistematica degli interessi dell'amministrazione, malgrado un vano apparato di formalità e di complicati meccanismi per riescire a conseguenze prestabilite.
Sotto tutt'i rapporti adunque, noi siamo fermamente convinti essere conforme ai principii attribuire la decisione dei conflitti di attribuzioni alla Corte di Cassazione.
Nè ci muove l'obbiezione da taluni elevata, che la Corte di Cassazione essendo nell'orbita dell'ordine giudiziario, trattandosi di risolvere conflitti tra il potere giudiziario e l'amministrativo, sia in certa guisa giudice e parte. È un obblio dei sani e veri principii di pubblico diritto il supporre, che l'amministrazione costituisca un potere rivale della giustizia, la quale è una, come è una la giurisdizione, come uno è lo Stato, ed unica la potestà legislativa.
Ma indipendentemente da ciò, coloro che mettono allo stesso livello nella decisione di codesti conflitti l'interesse dell'amministrazione e quello della magistratura, cadono in errore manifesto, imperocchè l'amministrazione, oltre all'interesse che ha di custodire e rivendicare la propria potestà e competenza, cioè quelle attribuzioni di cui la legge le affida l'esercizio, ha benanche altri interessi pecuniari e politici suoi propri, l'interesse di non pagare alcuni debiti, di riscuotere alcuni crediti, di
acquistare o non perdere proprietà, di mantenere o risolvere contratti, di sottrarre i suoi funzionari all'incorsa responsabilità, e simili: e quindi accanto all'interesse morale di garantire la propria competenza, essa ha benanche un altro interesse, che io chiamerei materiale, patrimoniale o pecuniario, che non esiste mai nella magistratura, la quale non può avere che solo l'interesse morale e legittimo di mantenere e rivendicare le proprie attribuzioni, di tutelare la competenza sua nell'orbita che le venne assegnata dalla legge.
D'altronde, signori, noi vediamo che in altri paesi liberali la competenza a risolvere i conflitti di attribuzione è stata affidata alla Corte di Cassazione, e questa autorità la esercita senza che vi si produca il menomo inconveniente. A me basta rammentare il Belgio, l'Olanda, la Grecia e la Danimarca. In Italia avvenne lo stesso, anche sotto il governo di principi assoluti, nella Toscana, e fino nel vecchio Stato pontificio. Coloro adunque, i quali credono vedere in pericolo l'amministrazione se la Corte di Cassazione debba decidere dei conflitti, in verità sono dominati da una strana paura, e si fanno una illusione senza ombra di realtà e sussistenza.
A questo punto mi occorre dire alcune parole in risposta all'onorevole Auriti, il quale, prendendo a favellare su questa legge, senza però combatterla, ha osservato che il suo articolo 3 gli pareva contenere una formola equivoca, anzi tale che toglieva (mi pare che questa fosse la sua espressione) la possibilità di applicare la legge. Come ognun vede, è grave censura codesta; e se mai sussistesse, avremmo il dovere di apportarvi rimedio.
Egli ha detto: L'articolo 3 del progetto di legge nella sua ultima parte è
concepito così: «Il giudicato sul conflitto in nessun caso può assorbire, od
in qualunque modo pregiudicare la questione sulla pertinenza
del diritto, e sulla proponibilità
dell'azione.» Indi adduce, come esempio, una ipotesi che non
valeva
in verità la pena di contemplare: l'ipotesi in cui il conflitto si decida con la dichiarazione della competenza amministrativa, ossia della incompetenza dell'autorità giudiziaria.
Ma, onorevole Auriti, è ben naturale che quando il potere giudiziario è
incompetente, ciò significa che non può farsi luogo a lite contenziosa
avanti i tribunali, e per ciò non può esistere azione
da sperimentare, nè diritto da farsi valere, perchè
veri diritti ed azioni sono
concetti ed istituti che implicano la possibilità di un giudizio, cioè la
competenza giudiziaria. Se vi fosse stata un'azione da esercitare, che è il
diritto da esercitare; avrebbe
dovuto necessariamente risultarne la decisione dell'incompetenza
dell'autorità amministrativa. Anzi doveva bastare che la materia della domanda non fosse assolutamente fuori del campo in
cui sorgono e possono pretendersi veri diritti perchè
non la pura amministrazione, ma i tribunali, dichiarandosi competenti,
dovessero poi decidere in merito nel caso concreto sulla esistenza del diritto e dell'azione
giuridica.
Bensì l'articolo trova la sua applicazione, ed un'applicazione utilissima
nell'ipotesi contraria, quella appunto in cui si è rivelato il pericolo
nascente da non pochi giudicati dell'odierna giurisprudenza del Consiglio di
Stato. È l'ipotesi appunto, in cui si decida il conflitto nel senso della
competenza dell'autorità giudiziaria. Forse la semplice dichiarazione di competenza dell'autorità giudiziaria può mai
implicare essere di già cosa giudicata che il diritto
appartenga veramente alla persona che in giudizio lo
reclama? E che a questa persona competa l'azione
proposta, specialmente in quelle determinate condizioni di tempo e di luogo
nelle quali essa la sperimenta? No. Eppure, come si osservò nella relazione
presentata alla Camera, non sono mancate fino ad oggi decisioni in materia
di conflitto, nelle quali il Consiglio di Stato faceva dipendere la
decisione della competenza dalla soluzione delle quistioni sul merito stesso
degli affari, quasi giudicando con questa formola: Tu hai
torto nel merito; dunque ti nego il giudice.
Si è voluto evitare questa maniera di giudicare. Si è voluto impedire che le
decisioni già pronunziate in materia di conflitto possano mai interpretarsi
ed applicarsi come pregiudizievoli alle quistioni di merito, che il
legislatore oggi viene a dichiarare tuttora invulnerate ed intatte, in
omaggio ai sani principii. Si può decidere un conflitto, dichiarando la
competenza giudiziaria da che siasi proposta un'azione per la rivendicazione
di un diritto, e per sostenere che questo sia stato
leso da atti dell'amministrazione illegali od
incostituzionali. Ciò basta a legittimare la dichiarazione di competenza del
magistrato dell'ordine giudiziario. Perchè? Perchè la legge del 20 marzo
1865 ha chiaramente statuito, che quando si reclama l'esercizio di un
diritto protetto e garantito dalla legge, la competenza appartiene ai
tribunali per conoscerne. Ma anche dopo essersi dichiarato competente il
tribunale, egli può, anzi deve, giudicando sui merito, esaminare se vi è o
non vi è proponibilità dell'istituita azione, e se esiste o non esiste il
diritto che si pretende, specialmente in quella persona che si fa attrice, e
nelle determinate condizioni di fatto in cui essa si trova, le quali
talvolta debbono formare soggetto d'indagini col mezzo di opportuni
provvedimenti istruttorii. Eorse non è frequente ancor oggi il caso, in cui
un tribunale si dichiari competente, e non di meno, nell'esercizio della
dichiarata competenza, pronunzii dichiarando l'attore carente di azione,
o assolva il convenuto
Dunque non vi è contraddizione, e tanto meno impossibilità ad eseguire la legge, quando essa nell'articolo 3 stabilisce che la semplice dichiarazione di competenza non ancora costituisce un giudicato pregiudizievole alle quistioni che possano tuttora promuoversi intorno alla proponibilità dell'azione, ed intorno all'esistenza o inesistenza del diritto.
Ed era tanto più indispensabile questa disposizione, perchè altrimenti noi
avremmo trasportato immediatamente nella Corte di Cassazione, cioè nel
tribunale supremo, il potere di emettere un giudicato che decida almeno
implicitamente sul diritto e sulla proponibilità dell'azione, privando i litiganti della garentia del
doppio grado di giurisdizione, poichè è chiaro che inutilmente si
ritornerebbero a discutere innanzi alle giurisdizioni inferiori quelle
stesse quistioni che sarebbero già pregiudicate o coperte dalla cosa
giudicata della Corte di cassazione in sede di conflitto.
Io penso adunque che i dubbi dell'onorevole Auriti, dopo queste spiegazioni, possano riguardarsi eliminati.
Aggiungerò che io nè anche potrei adagiarmi ad alcune altre opinioni da lui espresse, come quella che l'autorità giudiziaria non possa mai pronunziarsi sugli atti amministrativi ad altro effetto che per accordare risarcimento di danni.
È indubitato che la legge del 1865, per non produrre confusione di poteri,
non permette all'autorità giudiziaria di decidere annullando o rivocando essa stessa l'atto
amministrativo; dappoichè talvolta l'atto amministrativo, anche spogliato di
ciò
che contenga d'illegale, di ciò che costituisca l'indebita lesione dei
diritti di un cittadino, può, sopra altri fondamenti, reggersi, ovvero può
siffattamente modificarsi dall'autorità amministrativa da sfuggire alla
necessità di annullarlo o rivocarlo. Tutto ciò che l'autorità giudiziaria ha
il potere di fare, è unicamente di dichiarare che mediante un dato atto
amministrativo una legge è stata violata, un diritto è stato leso. Ma quando
l'autorità giudiziaria ciò abbia dichiarato, il suo giudicato in tutta
l'estensione e sotto tutti gli aspetti è obbligatorio per l'amministrazione,
esso la vincola, la costringe a rispettarlo e ad eseguirlo. Ciò è scritto
esplicitamente nell'articolo 4 della legge nel 1865, in cui si legge:
«L'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato, se non sopra
ricorsi alle competenti autorità amministrative, le quali si uniformeranno al giudicato dei tribunali, in quanto riguarda il caso
deciso.»
Dunque l'atto dovrà essere tolto di mezzo, rivocato, o modificato, dall'autorità amministrativa; e cesserà di avere il suo giuridico effetto. Non è dunque solo per un risarcimento di danni, che l'autorità giudiziaria avrà pronunziato.
Signori, vi chiedo scusa della digressione a cui venni obbligato dalle opinioni espresse dall'onorevole Auriti.
Non voglio aggiungere altro, per non abusare della vostra indulgenza; bensì dirò qualche parola sopra l'altra tendenza che a proposito di questa legge si è venuta manifestando in un senso affatto contrario, e che ha dato luogo alla proposta di diversi ordini del giorno.
Intendo parlare a coloro che domandano la promessa di una legge più radicale per l'abolizione assoluta dell'istituto dei conflitti, e che il Ministero prenda l'impegno di presentare più tardi altra legge, la quale escluda e sopprima interamente i conflitti di attribuzione, e fino il loro nome, il quale non dovrebbe esistere (essi dicono) nell'economia della nostra legislazione.
Risponderò con aperta schiettezza che il Governo non può assumere un impegno somigliante. Mi piace in questa occasione dichiarare alla Camera, che sarà norma e proposito indeclinabile di coloro che hanno l'onore di reggere in questo momento la cosa pubblica di non essere corrivi a fare facili promesse alla Camera stessa, e ad accettare ordini del giorno i quali contengano impegni; dappoichè, quando noi avremo preso un impegno, ci faremo un dovere di mantenerlo in faccia a voi scrupolosamente come sacro ed inviolabile.
Piuttosto con tutta franchezza esplicitamente vi apriremo l'animo nostro; voi sarete liberi di approvarci, oppur no. Questo sarà il sistema, al quale il Ministero attuale intende attenersi, pel suo grande e sincero rispetto al Parlamento, per l'importanza immensa che giustamente attribuisce a qualsiasi promessa che facciasi ai rappresentanti della nazione.
Ora dirò i motivi della nostra ripugnanza ad impegnarci nell'argomento che ci occupa. Sia pur vero, che senza privilegio alcuno, l'amministrazione possa interamente essere pareggiata a tutti gli altri litiganti e posta sotto l'impero del diritto comune. Pare andrebbesi incontro ad una obbiezione, a mio avviso non manchevole di fondamento.
Non sempre l'amministrazione è parte o ha diritto di esser parte litigante. Vi sono giudizi tra privati, o tra privati e comuni, in cui l'amministrazione (per esempio, il ministro dei lavori pubblici) non ha interesse; cosicchè non è parte, e non ha diritto d'intervento in causa; e nondimeno se il ministro creda che la materia di quel giudizio non sia di competenza dell'autorità giudiziaria, bensì sia una di quelle materie che la legge riserba all'apprezzamento discrezionale del Ministero dei lavori pubblici o di altro organo dell'alta amministrazione; signori, come farà egli per rivendicare l'esercizio della sua vera o creduta attribuzione?
Non potrà intervenire in giudizio, non avendone il diritto per difetto d'interesse. Non è parte litigante perchè non fu citato in causa. È necessario adunque che la legge ammetta un altro mezzo, una forma diversa di procedimento, mediante la quale l'amministrazione pura, che si creda pregiudicata nella competenza sua e nell' esercizio delle proprie attribuzioni, possa muoverne richiamo, e rivendicarla.
Ecco giustificata almeno per certi casi, la istituzione dei conflitti.
D'altronde qual danno potrà derivarne nei risultamenti pratici? Voi avrete tutte le desiderabili garentie. Potrete dubitare che la suprema autorità giudiziaria non giudichi imparzialmente la questione dal punto di vista giuridico, e non decida un po' prima nella maniera medesima in cui deciderebbe probabilmente essa stessa più tardi, se il giudizio dovesse percorrere tutti i suoi stadi, e da ultimo arrivare dopo molto tempo davanti a lei?
L'amministrazione d'altronde può ragionevolmente chiedere che non si voglia obbligarla ad involgersi in centinaia di lunghi litigi, in cui non abbia propri interessi a difendere, ma solamente le proprie attribuzioni a reclamare.
Inoltre è al certo di gran peso sull'animo mio la considerazione che qualunque legge di riforma, se venga accompagnata dalla promessa di surrogarla in seguito con un'altra, nasce anticipatamente esautorata, senza prestigio, impotente ad acquistare autorità sopra coloro che debbono eseguirla.
Finalmente non dobbiamo dimenticare che anche quando noi avremo approvato questo disegno di legge, essa dovrà percorrere altri stadi, e soggiacere ad altre discussioni prima di diventar legge.
Ora io sono convinto che se questo progetto si avesse a considerare soltanto come un provvedimento transitorio, per preparare il passaggio ad un altro sistema più radicale, noi stessi avremmo creato difficoltà ed ostacoli più gravi alla sua approvazione, e si verificherebbe ciò che si è temuto da qualche oratore, che cioè per volere l'ottimo od il meglio, avremmo impedito il bene.
Sono questi i motivi per i quali, mentre il Ministero dichiara di non poter accettare l'Ordine del giorno proposto dagli onorevoli Nelli, Pierantoni, Carnazza ed altri deputati, rivolge preghiera a questi onorevoli amici, acciò, senza abbandonare i loro convincimenti, riconoscano l'inopportunità ed il pericolo d'introdurre una simile proposta nella presente discussione, e ravvisandola priva di risultato pratico, e fecondo di possibili danni, vogliano ritirarla.
Una parola ancora sopra le osservazioni degli onorevoli Crispi e Della Rocca, ed ho finito.
L'onorevole Crispi, e con lui l'onorevole Della Rocca, hanno sollevato una questione che non appartiene propriamente all'argomento della legge attuale.
Essi chiedono che anche in alcune categorie di affari di competenza amministrativa, allorchè vi siano implicati interessi di privati cittadini, questi ultimi non si lascino spogliati di ogni garentia, ma che il legislatore stabilisca forme e mezzi di protezione e di contraddittoria discussione, in certo modo riorganizzando il contenzioso amministrativo, che si crede di avere ucciso (così essi dicono), ma che esiste sempre, ed è indistruttibile.
Rammentava l'onorevole Crispi una proposta di legge che egli presentò due volte alla Camera, dalla quale fu presa in considerazione, affidando a me stesso ambe le volte l'incarico di riferirne.
A tal riguardo giova altresì ricordare, che quella proposta, oltre ad essere separata e distinta dall'attuale disegno di legge, non venne richiamata in vita al riaprirsi della presente Sessione, sì che non esiste avanti la Camera. Discorrerne oggi adunque è un argomento fuori luogo, poichè la materia di quella proposta di legge è affatto estranea al soggetto del quale ora ci occupiamo.
L'articolo 3 della legge del 1865 determinava, che tutte le materie di competenza dell'amministrazione debbano essere decise dall'autorità amministrativa, previo il parere dei competenti Consigli consultivi dell'amministrazione medesima. Così, secondo le materie che sono oggetto di contestazione, si dovrà chiedere, ad esempio, il parere del Consiglio delle miniere, del Consiglio di sanità, di quello dei lavori pubblici.
Gli onorevoli Crispi e Della Rocca si dolgono che le parti debbano quasi implorare come un favore e col cappello in mano di essere ascoltate, da che la legge loro non offra mezzo alcuno per far sentire le loro ragioni. Se hanno diritto di reclamare gerarchicamente ad autorità superiori, si dia loro qualche garentia della serietà di codesto riesame.
Quando ebbe luogo in seno della Commissione la discussione del già enunciato disegno di legge proposto dall'onorevole deputato Crispi, si formò una maggioranza nel senso di stabilire, che quando si portasse per riesame al Consiglio distato un affare di competenza dell'autorità amministrativa in cui fossero interessate le ragioni di privati, fosse lecito a costoro di chiedere una specie di contraddittorio, di poter presentare memorie e documenti; e si consentiva che lo stesso Consiglio di Stato in gravi casi potesse eccezionalmente autorizzare una orale discussione tra le parti interessate, o i loro rappresentanti, per illuminarsi prima di decidere.
Ma, intendiamoci bene, sempre non potrebbe esser luogo che a decisioni ed avvisi consultivi. Infatti, come potreste voi mantenere la responsabilità di un amministratore, senza permettergli di amministrare secondo la sua coscienza e secondo il proprio criterio, se lo forzaste di fare o non fare atti amministrativi secondo la volontà a lui imposta dai Consigli? Allora sì che rinascerebbe quel contenzioso amministrativo che ora, senza che io mi dilunghi a provarlo, sotto forma contenziosa veramente più non esiste.
I due esempi addotti dall'onorevole Crispi, d'una via vicinale, e dell'acqua, voglia consentirmelo, sono materia di contenzioso giudiziario. Se in un fondo si viene a tracciare una strada, occupandosi la privata proprietà, ancorchè con la pretensione che ivi esistesse un'antica strada vicinale da ristabilirsi; io non dubito che il proprietario del fondo abbia il diritto di sperimentare, ed in via possessoria, e nella petitoria, una vera e propria azione giuridica avanti i tribunali ordinari.
Sarà stato un errore se si è potuto talvolta dubitare della competenza dell'autorità giudiziaria. Ma io rammento al mio onorevole amico, che anche nelle leggi amministrative napoletane del 1817, che riconoscevano le giurisdizioni speciali, e con molto favore, del contenzioso amministrativo, era scritto che tutte le questioni di proprietà, o di diritti inerenti alla proprietà, in nessun caso potessero appartenere alla competenza del contenzioso amministrativo, ma fossero sempre ed esclusivamente riserbate alla competenza dell'autorità giudiziaria.
Dicasi lo stesso dell'esempio dell'acqua.
Infine, semprechè vi siano veri diritti da reclamare,
e tanto più diritti di privata proprietà non vi è
dubbio che la materia è contenziosa, ma di competenza dei tribunali. Se in
vece si tratta soltanto d'interessi da comporre o regolare con apprezzamenti
discrezionali, bisogna lasciare all'amministratore la sua libertà di
decisione onde assicurarne la responsabilità.
Signori, non aggiungo altro, e mi riserbo di esaminare le osservazioni degli onorevoli Varè e Chiaves nella discussione degli articoli.
Io credo che, votando questo progetto di legge, voi coronerete l'edifizio costituzionale; apporterete il necessario compimento alla liberale e benefica riforma operata nel 1865 della abolizione delle giurisdizioni del contenzioso amministrativo; impedirete che quella riforma, incompleta come oggi è, addivenga un pericolo alla giustizia ed alla libertà, fonte continua di vizioso accrescimento di potestà più o meno arbitrarie del Governo a danno dei diritti privati; rialzerete la magistratura, mettendola nel pieno possesso della sua indipendenza e dell'esercizio di quelle facoltà preziose ed importantissime che ad essa, ed a nessun altro potere, sono dallo Statuto riservate e concesse.
E l'adesione intera e volonterosa che il Governo, per mia bocca, manifesta a questo progetto di legge, merita di essere considerata come un primo passo nella via di quelle utili e liberali riforme, che esso intende promovere, senza esitazione e senza imprudenza, ovunque gravi e riconosciuti disordini esistano nella pubblica amministrazione.
Io credo anzi che l'accordo manifestato da tutte le parti della Camera su questo disegno di legge valga a dimostrare, che se tra le diverse parti di quest'assemblea disgraziatamente in qualche momento nelle questioni politiche, o che abbiano alcun rapporto con la politica, può rivelarsi una suscettibilità forse eccessiva, almeno nel campo delle riforme amministrative potremo procedere con concordi intendimenti. Quando si vede che questa legge è stata proposta da due membri che seggono nei banchi opposti della Camera; che essa è stata difesa con tanta autorità ed eloquenza dall'onorevole Mantellini il quale non appartiene alla parte ministeriale; che oratori di destra e di sinistra si sono dichiarati favorevoli alla legge; il voto concorde della sua approvazione potrà accettarsi come fausto augurio che in eguale concordia ci troveremo disposti almeno a compiere benanche quelle altre riforme negli ordini amministrativi, che sono nel sentimento della coscienza pubblica, e che vivamente reclama il voto del paese.
(Bravo!)
presidente. Invito l'onorevole Podestà a presentare
una relazione.
Podestàrelatore. Ho l'onore di presentare alla Camera
la relazione sul bilancio di definitiva previsione del 1876 pel Ministero
della marineria. (V.
Stampato, n° 36, allegato
n° 1.)
presidente. Questa relazione sarà stampata e
distribuita.
Furono presentate due domande, una d'interpellanza ed una d'interrogazione.
La domanda d'interpellanza è dell'onorevole De Zerbi, ed è la seguente:
«Il sottoscritto domanda d'interpellare il ministro dell'interno sullo scioglimento del Consiglio comunale di Napoli.»
Prego l'onorevole ministro a dichiarare se e quando intenda rispondere a questa interpellanza.
ministro per l'interno. Accetto l'interpellanza, e se
la Camera non avesse deliberato di sospendere la seduta alle 6 meno un
quarto, risponderei anche subito. Se il presidente e la Camera lo credono,
si potrà mettere all'ordine del giorno di domani, in principio di
seduta.
presidente. Onorevole De Zerbi, aderisce?
De Zerbi. Sì.
presidente. Resta inteso così.
La domanda d'interrogazione è dell'onorevole Massari, concepita in questi termini:
«Il sottoscritto desidera rivolgere una interrogazione all'onorevole ministro degli affari esteri intorno
all'innalzamento di alcune legazioni al grado di ambasciate.»
Prego gli onorevoli ministri a comunicare questa domanda d'interrogazione al ministro per gli affari esteri.
La seduta è levata alle 5:45.
1° Votazione di ballottaggio per la nomina di due segretari della Camera, e di un commissario per l'esame dei decreti registrati con riserva;
2° Votazione per la nomina di un commissario di sorveglianza dell'amministrazione della Cassa dei depositi e prestiti;
3° Votazione a scrutinio segreto sul progetto di legge: Inchiesta agraria;
4° Interpellanza del deputato De Zerbi al ministro dell'interno sopra lo scioglimento del Consiglio comunale di Napoli;
5° Seguito della discussione sul progetto di legge concernente i conflitti di attribuzione.
Discussione dei progetti di legge:
6° Sila delle Calabrie;
7° Modificazione di articoli del Codice penale relativi alla forma del giuramento.