Available for academic research purposes only.
Codifica XML-TEI secondo le norme del progetto PRIN
PRIN 2012 - Accademia della Crusca
Comunicasi la morte del senatore Barbaroux — Comunicazioni del ministro di agricoltura e commercio relative a petizioni. — Votazione a scrutinio segreto dei seguenti di segni di legge: Aggregazione del comune di Campora al mandamento di Laurino; Continuazione dei lavori di costruzione del carcere cellulare di Regina Coeli in Roma; Restituzione della sede della giudicatura mandamentale in Baranello, provincia di Campobasso; Costituzione del Corpo della difesa costiera; Trattato di navigazione e commercio con l'Uruguay. — Osservazioni sull'ordine dei lavori parlamentari del presidente della Camera, dei deputati Arcoleo, Nicotera, Sbarbaro. — Sopra una domanda a procedere contro il deputato Sbarbaro fa un discorso il deputato Sbarbaro stesso — Parlano poscia il deputato Parenzo ed il ministro di grazia e giustizia — Il deputato Cavalli presenta la relazione sul disegno di legge: Conversione in legge del regio decreto 1° settembre 1885, n. 3441 (serie 3°), riguardante l'amministrazione del fondo speciale di religione e di beneficenza della città di Roma. — Il presidente comunica le seguenti domande di interrogazione e di interpellanza: una interrogazione dei deputati Di Sant'Onofrio, e Sciacca della Scala al ministro dei lavori pubblici sul servizio postale nello stretto di Messina e fra Messina e le isole Eolie; una interpellanza del deputato Parenzo all'onorevole presiedente del Consiglio sull'attuale situazione politica e parlamentare; e una interrogazione del deputato Fazio Enrico all' onorevole presidente del Consiglio intorno al sequestro del giornale Il Piccolo di Napoli ed intorno alle cause che l'hanno determinato — Il ministro dei lavori pubblici si riserva di rispondere.
La seduta principia alle ore 2:30 pomeridiane.
Di San Giuseppe, segretario, legge il
processo verbale della tornata precedente che è approvato
presidente. Il presidente del Senato scrive:
«Compio al doloroso ufficio di partecipare all'E. V.
ed alla Camera dei deputati che ieri a sera cessava di vivere in
Torino il conte Carlo Barbaroux, procuratore generale della Corte
d'appello in ritiro, senatore del regno.
Il presidente
Durando»
presidente. L'onorevole ministro di agricoltura,
industria e commercio, scrive:
«Con la nota a margine l'E. V. a termine della
deliberazione della Camera, emessa nella seduta del 26 marzo ultimo, mi ha trasmessa la petizione
numero 8595, presentata al Parlamento il 27 aprile 1885, con la quale il signor Giulio Barabesi, a nome anche di altri proprietari del comune di Massa Marittima, chiede che si provveda per legge all'affrancazione degli usi di legnatico esistenti in quel comune.
Nell'accusare ricezione della petizione suddetta, mi pregio comunicare all'E. V. che, siccome sull'obietto non vi sono precedenti negli atti di questo Ministero, si sono richieste per ora opportune informazioni al prefetto di Grosseto.
Il ministro
Grimaldi»
Lo stesso ministro di agricoltura, industria e commercio scrive:
«Con la nota del 21 marzo prossimo passato ini è pervenuta la
petizione che nel febbraio 1880 la Giunta municipale di Sezzè
presentò alla Camera dei deputati contro le operazioni
dell'amministrazione forestale in ordine al vincolo ed allo svincolo
dei boschi di quel comune, invocando una più retta applicazione
della legge 20giugno 1877.
Nell'accusarne ricevuta mi pregio di far noto all'E.
V. che il Comitato forestale di Alessandria, in seguito
eli proposta dell'ufficio forestale, fin dal 1881 ha deliberato lo
svincolo dei terreni in quistione, per cui nel comune di Sezzè non
esistono da quell'epoca più nè terreni, nè boschi sottoposti al
vincolo forestale.
Non occorre quindi alcun provvedimento sulla petizione trasmessa
a questo Ministero.
Il ministro
B. Grimaldi».
presidente. L'ordine del giorno reca: Rinnovamento
della votazione a scrutinio segreto sui disegni di legge: Aggregazione del
comune di Campora al mandamento di Laurino; Continuazione dei lavori di
costruzione del carcere cellulare di Regina Coeli in Roma; Restituzione
della sede della giudicatura mandamentale in Baranello provincia di
Campobasso; Costituzione del Corpo della difesa costiera; Trattato di
navigazione e commercio fra l'Italia e la Repubblica Orientale dell' Uruguay
conchiuso a Montevideo il 19 settembre 1885.
Si faccia la chiama.
Quartieri segretario, fa la chiama.
presidente. Annunzio alla Camera il risultamento
della votazione testé seguita sui seguenti disegni di legge:
Restituzione della sede della giudicatura mandamentale in Baranello, provincia di Campobasso:
Presenti e votanti 204
Maggioranza 103
Voti favorevoli 162
Voti contrari 42
(La Camera approva).
Costituzione del Corpo per la difesa costiera:
Presenti e votanti 206
Maggioranza 104
Voti favorevoli 158
Voti contrari 48
(La Camera approva).
Trattato di navigazione e commercio fra l'Italia e la repubblica orientale dell'Uruguay:
Presenti e votanti 202
Maggioranza 102
Voti favorevoli 170
Voti contrari 32
(La Camera approva).
Continuazione dei lavori di costruzione del carcere cellulare di Regina Coeli in Roma:
Presenti e votanti 207
Maggioranza 104
Voti favorevoli 159
Voti contrari 48
(La Camera approva).
Intorno al disegno di legge: Aggregazione del comune di Campora al mandamento
di Laurino, la votazione è nulla, per mancanza di numero legale. E io debbo
deplorare che, mentre altre leggi hanno raccolto il numero legale, per
questa sola vi sia stata una deficienza di voti. Il debito del deputato
credo sia quello di votare tutte le volte che gli si presenta innanzi una
questione che egli deve risolvere (Bravo!).
presidente.. Avverto la Camera che, secondo la
consuetudine, tutte le volte che si tratta di discutere d'una autorizzazione
a procedere in giudizio contro a deputati, queste autorizzazioni a
procedere, come le verificazioni di poteri, si discutono in precedenza. Secondo questa norma, le conclusioni della Giunta incaricata di riferire intorno alla domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Sbarbaro, avrebbe dovuto essere iscritta col n. 2 nell'ordine del giorno di questa tornata. Per errore fu invece iscritta col n. 27; quindi dichiaro che l'autorizzazione a procedere contro l'onorevole Sbarbaro, sarà iscritta in principio dell'ordine del giorno di domani.
Arcoleo. Chiedo di parlare.
presidente. Ne ha facoltà.
Arcoleo. A scarico di mia responsabilità, avendo presentata da parecchi giorni la relazione alla Presidenza, dichiaro che sono agli ordini della Camera.
presidente. Ha facoltà di parlare l'onorevole
Nicotera.
Nicotera. L'onorevole nostro presidente giustamente ha osservato che, per semplice errore, la relazione presentata dalla Commissione intorno alla domanda a procedere contro un nostro collega, era stata iscritta, come d'ordinario si usa, al primo numero dell'ordine del giorno; e ha soggiunto che avrebbe corretto questo errore conio scrivere questa relazione in principio dell'ordine dei giorno di domani.
Ora, o signori, quando una questione simile si presenta, io credo che convenga meglio, nell'interesse di tutti, di risolverla presto. Quindi, io faccio formale proposta che la Camera discuta immediatamente la relazione dell'onorevole Arcoleo.
Faccio questa proposta nell'interesse stesso di quel nostro collega intorno a cui la Camera deve decidere.
Io credo che questo privilegio, consentito a noi deputati dallo Statuto, sia, come ho detto tante volte, non un privilegio ma una specie di misura odiosa contro di noi. Imperocché un deputato, contro di cui si presenta domanda a procedere, si trova esposto, dirò così, alle critiche e ai commenti del pubblico per lungo tempo, senza sapere quale sia la sorte che gli spetta. Invece, per un cittadino qualsiasi, il magistrato giudica subito e lo assolve o lo condanna secondo i casi.
Io desidero adunque che questo privilegio (se deve esserci, dappoiché io son contrario a tutti i privilegi) sia modificato, da far sì che il deputato non debba trovarsi in condizione più difficile di quella di tutti gli altri cittadini.
Quindi nell' interesse dello stesso nostro collega…
Sbarbaro. Chiedo di parlare.
Nicotera … e più nell'interesse del decoro della Camera, io chiedo che F autorizzazione a procedere contro l'onorevole Sbarbaro si discuta immediatamente.
presidente. Debbo far notare che non avevo io
proposto che fosse discussa quest'oggi la relazione dell'onorevole Arcoleo,
parendomi opportuno di avvertire innanzitutto la Camera. Però dopo che
l'onorevole Nicotera ha fatto una proposta formale, io mi farò un dovere di
consultare la Camera.
Ha facoltà di parlare l'onorevole Sbarbaro.
Sbarbaro. Sono lietissimo che la parola autorevole dell'onorevole Nicotera, il quale ha invocato quella regolarità di procedura che dovrebbe informare tutto l'indirizzo dello Stato, mi dia l'opportunità, anzi mi imponga il dovere di parlare di una irregolarità che si verifica in questo momento, e che credo di dover rilevare nel mio interesse e per il decoro dell'Assemblea, la quale ha dinanzi a se una questione di garanzia costituzionale e di prerogativa parlamentare.
Da molto tempo stava dinanzi alla Camera altra domanda a procedere contro un nostro onorevole collega. Io ricordo la domanda a procedere contro un deputato che siede su quei banchi della Camera…
(A sinistra).
presidente. Onorevole Sbarbaro, sì discute
sull'ordine del giorno d'oggi, e nell'ordine del giorno non figura altra
domanda di autorizzazione a procedere che quella concernente il deputato
Sbarbaro.
Sbarbaro. Io parlo della irregolarità.
presidente. Noti, onorevole Sbarbaro, che qui si
discute intorno all'ordine dei giorno. Non si può discutere del merito della
questione o di altro argomento. Continui, onorevole Sbarbaro.
Sbarbaro. Avea ragione di ricordare un'altra domanda a procedere, per dolermi che si sia aspettato tanto a presentare la domanda che mi riguarda. Era nel mio diritto, era nel mio dovere di fare questa osservazione. Del resto, lascio che la Camera decida come crederà di decidere la questione che è stata sollevata; anzi il silenzio, che intorno a questa domanda ho serbato finora, è la miglior prova della fiducia che ho sempre avuta nella coscienza e nell'intelligenza di questa Assemblea.
Ma prima di decidere intorno all'invertimento dell'ordine del giorno, mi permetterei di aggiungere un'osservazione, che può illuminare l'Assemblea intorno al voto che sarà per emettere.
(Rumori).
E la osservazione di molta gravità, di molta, importanza
per i arapporti costituzionali, è questa. Mi duole, di non vedere al suo posto l'onorevole presidente del Consiglio
(Interruzioni e commenti)
Se mi useranno la cortesia di lasciarmi esporre il mio pensiero, vedranno che ho da fare una osservazione di molta importanza. Potrebbe darsi che dalla discussione che si farà in quest'Aula, intorno alla domanda di autorizzazione a procedere fatta dal procuratore generate della Corte di cassazione di Roma, emergessero tali fatti, tali documenti, di cui è mallevadore, è sindacabile, è responsabile il potere esecutivo; che si verificasse quella ipotesi che il presidente del Consiglio aveva accennato nella coscienza sicura della sua onestà costituzionale: che, in forza degli articoli 36 e 47 dello Statuto, la Camera dovesse mettere in stato di accusa gli uomini che rappresentano il potere esecutivo…
(Oh! oh!).
presidente. Onorevole Sbarbaro, debbo di nuovo
avvertirla che qui si tratta di discutere la proposta dell'onorevole
Nicotera e non d'altro. La prego perciò di tenersi rigorosamente al tema
della questione.
Più tardi, se la Camera delibererà che debba, oggi, discutersi la proposta della Commissione, Ella potrà tornare sul merito della questione; e creda pure che Le sarà concessa tutta quella larghezza di linguaggio, che è mio dovere di guarentire, e che è diritto di ogni singolo deputato di usare, nei limiti, s'intende, consentiti dal decoro della Camera.
Ma, in questo momento, ripeto, Ella deve limitarsi all'argomento dell'ordine del giorno.
Sbarbaro. Come prova della mia sodisfazione per lo parole del presidente, dichiaro di avere esposto chiaramente il mio pensiero. E non aggiungo altro.
presidente. Consulterò dunque la Camera sulla
proposta dell'onorevole Nicotera.
Come la Camera ha udito, l'onorevole Nicotera propone che la conclusione della Giunta, relativamente alla autorizzazione a procedere contro il deputato Sbarbaro, sia discussa in questa tornata.
Metto a partito questa proposta.
Chi l'approva, si alzi.
(È approvata).
Leggo la conclusione della Giunta.
«Epperò, la Commissione propone: che la Camera dei deputati dia
il consenso per l'ulteriore corso del procedimento penale a carico
del deputato Pietro Sbarbaro»
La discussione generale è aperta.
Non essendovi oratori iscritti, e nessuno domandando di parlare, dichiaro chiusa…
Sbarbaro. Chiedo di parlare.
presidente. L'onorevole Sbarbaro ha facoltà di
parlare.
Sbarbaro. Io non era preparato a questa delicata, e, per me, aggiungo, spiacevole discussione.
Dico spiacevole discussione perchè nella questione che avete dinanzi, o signori, non è soltanto implicato il mio diritto, ma è insieme involto un principio di garanzia, una tutela della Rappresentanza nazionale.
L'onorevole Nicotera parlò di privilegio, quando nel suo discorso propose che si discutesse immediatamente la domanda a procedere. La parola privilegio, tutti lo sappiamo, ha un suono così spiacevole nelle nostre società democratiche, che risveglia subito un'istintiva ripugnanza in coloro che l'ascoltano. Ma veramente il privilegio di cui l'onorevole Nicotera ha fatto sentirà il suono in quest'Aula, più esattamente, e più precisamente, si dovrebbe chiamare garanzia costituzionale che il datore dello Statuto ha consacrata, non come un privilegio di uso, contrario al principio dell'uguaglianza giuridica dei cittadini davanti alla legge, ma come un'arma, che può, in qualche circostanza, essere necessaria alla tutela della indipendenza del potere legislativo, contro i soprusi, contro le indebite intromittenze, e contro gli arbitrii del potere esecutivo.
La domanda, che mi concerne, o signori, e venuta in seguito ad una serie di fatti, sui quali la Camera mi permetterà che brevemente io mi soffermi, affinchè essa possa portare un giudizio pieno e con piena conoscenza di causa ed affinchè possa rendersi conto della gravità della questione, che essa sta per risolvere.
Ho già manifestata la mia meraviglia perchè si sia aspettato, notate bene, a presentare una questione di garanzia costituzionale, una questione, che non riguarda il decoro del mio collegio, degli 8 mila cittadini, che mi hanno mandato in quest'Aula, ma riguarda anche i diritti, le prerogative, e, se volete, anche i privilegi, riconosciuti necessari alla indipendenza della Assemblea legislativa.
Se, per altro, interrogo non il mio interesse particolare, ma l'interesse delle istituzioni, io dichiaro altamente di essere lietissimo che questa questione, non per me, ma per le istituzioni, sia venuta davanti a voi in questo momento, nel
quale è molto probabile che tutti dobbiate presentarvi davanti ai vostri elettori. Credo che l'importanza di questa questione, la quale trascende di gran lunga i termini angusti della mia personalità e si collega alle ragioni fondamentali del sistema rappresentativo, sia una questione che possa essere messa come segnacolo nel vessillo, intorno a cui si adunarono tutte la coscienze oneste
(Mormorio),
che non approvano il presente indirizzo della cosa pubblica.
Del resto, o signori, non intendo fare un rimprovero nè alla onorevole Commissione, nè a coloro che hanno indugiato fino a questo momento a presentarvi le tanto aspettate conclusioni di questa stessa Commissione eletta dal suffragio degli Uffici.
Comprendo benissimo la ripugnanza che doveva esistere nell'animo di taluni ad affrontare la pubblica discussione, la discussione alla luce del giorno sull'origine di questo processo di cui ho il diritto di occuparmi per mettere la coscienza della Camera, che giudica come un giurì, nella condizione di poter portare un giudizio competente.
Ed ecco, o signori, il primo fatto che richiamo alla vostra memoria, per illuminare la vostra coscienza. Il fatto che ha immediatamente preceduto l'istruzione di quel giudizio, notate bene, che con un'interpretazione giusta, corretta, e liberale dell'articolo 45 dello Statuto è stato coperto dall'egida di questa garanzia, contenuta in quel citato articolo; e sul quale oggi la Camera deve deliberare, quel fatto, dico, è stato l'uscita dal Gabinetto di quell'integerrimo uomo, che tutti onoriamo, l'onorevole ministro Ferracciù.
E non basta. Oltre a questo fatto, notate bene, che si collega alle origini di questo processo, ve ne fu un altro di una maggiore gravità, se è possibile, ed è quello che la coscienza pubblica ha chiamato il sacrificio dell'onorevole commendatore Baggiarini, il quale, dimettendosi dall'alta carica ¿i procuratore generale presso la Corte di appello in Roma, ha voluto tutelare (come la storia della magistratura italiana dirà) nella sua persona la indipendenza del funzionario e del magistrato.
Questi, o signori, sono i due fatti, che hanno preceduta la istruzione della procedura contro chi ha l'onore di parlare.
Vi sono per altro in questo momento, in questa odissea dolorosa, che mi riguarda, altri fatti, che sono entrati nel dominio di questa storia, o di questa cronaca, se meglio vi piace chiamarla. E sono le violazioni di tutti i principii della nostra procedura; violazioni che emersero dal procedimento, che emersero dalla pubblica discussione della mia causa. Si è potuta consumare questa enormità, di rilasciare un mandato di cattura contro un cittadino, notate bene, per un titolo di reato, che, nello svolgimento del processo non ebbe più seguito. E questo un fatto che nessun sofisma e nessuna menzogna potranno smentire.
Non basta ancora.
Per l'interesse del mio diritto, per difesa del mio diritto, che è un diritto vostro, perchè si tratta di una prerogativa di cui vi credo tutti gelosi custodi, importa che io chiarisca un altro punto, un' altra circostanza.
I titoli di reato, i documenti su cui si sono fondate le due tanto discordi sentenze della magistratura italiana (l'una che mi condannava a due anni di carcere e l'altra a sette, discrepanza che basterebbe di per sè sola a scuotere sella coscienza, non dico delle moltitudini già così sospettose e così diffidenti verso gli ordini giudiziari, ma nella coscienza di ogni persona discretamente illuminata, la fede nella regolarità dell'andamento dei nostri ordini giudiziarii), erano già stati per quattro volte dinanzi ai magistrati italiani giudicati, e non solo non erano stati trovati incriminabili, non solo in essi non si era trovato elemento di reità per me, ma vi si era trovato, come dicono le sentenze che si riferiscono a quella procedura per altri titoli, vi si era trovato argomento alla mitezza dei magistrati. Questa enormità, questo scandalo giudiziario voi avete avuto, scandalo giudiziario che un collegio elettorale nell'esercizio della sua sovranità ha cancellato nei suoi effetti, morali, quegli effetti morali che credo debbano essere norma e criterio di un'assemblea legislativa, di un'assemblea politica la quale giudica appunta come un corpo di giurati.
Ed ora permettetemi una breve consideratone intorno al valore, al significato, all'importanza del voto che mi ha mandato a sedere in quest'Aula e che mi ha procacciato l'alto onore di indirizzarvi la parola.
Qual e il valore, qual'è la portata dell'articolo 45 dello Statuto?
Se si dovesse interpretarlo con la rabbinica sapienza, con la rabbinica intelligenza di coloro che lo applicano soltanto ai casi in cui l'autorità giudiziaria domanda l'autorizzatone di procedere contro un reato comune, bisognerebbe dire che il potere esecutivo e la Camera che ha sanzionato e riconosciuta valida la mia elezione abbiano violato non solo io Statuto, ma anche la legge comune
della procedura, perchè stando al materiale significato che si vuol dare all'articolo 45 dello Statuto (notate, bene) non si trattava di procedere, di domandare l'autorizzazione contro un deputato, perdio si tratta di un reato già riconosciuto da due sentenze.
Come dunque, o signori, si è potuto interrompere l'azione ordinaria, come si è potuto liberarmi dal carcere in omaggio alla sovranità del popolo? Il dilemma che vi si impone, o signori, è molto rigido.
O voi volete dare all'articolo 45 un'interpretazione rabbinica, che ripugna allo spirito di tutti gli ordini costituzionali; allo spirito di tutte le garanzie che il legislatore ha consacrato in quell'articolo, ed allora voi dovreste mettere in accusa il potere esecutivo, il guardasigilli che ha ordinata la mia scarcerazione; la mia elezione sarebbe stata annullata nell'interpretazione che io chiamo rabbinica, e che ripugna essenzialmente allo spirito ed all'economia della nostra legge fondamentale.
Ma se voi date un'interpretazione all'articolo 45 così angusta e così contraria all'essenza di tutto il sistema rappresentativo, notate, voi verreste a Violare una delle guarantigie più preziose per tutti voi, non per me soltanto.
Bisogna dunque prescindere da quella interpretazione, che non è la vera, e trovarne un'altra. E la interpretazione è questa.
Che cosa ha inteso di stabilire in un tempo di grande uguaglianza e democrazia, il nostro legislatore del 1848 nello Statuto, stabilendo che non possa esser tradotto in giudizio, tranne il caso di flagranza, un componente dell'Assemblea legislativa?
O non ha avuto nessuno scopo l'augusto elargitore del nostro Statuto; o lo scopo non poteva esser che quello di costituire l'Assemblea legislativa, in certi determinati casi, giudice sovrano, perchè emanazione della sovranità nazionale, pel caso in cui sia menomata l'indipendenza della magistratura giudiziaria, o per qualsiasi altra ragione debba esser tutelato un rappresentante del popolo, anche (notate bene) contro l'ipocrisia della formula procedurale, che voi tutti m'insegnate può esser qualche volta convertita in un ferro da assassino!
E che, nel nostro caso, questo dubbio di una ingerenza del potere esecutivo sull'ordine giudiziario sia sorto, che bisogno ho io di dimostrarlo? Ho tanta stima di tutti voi, qualunque sia l'opinione che professiate, qualunque sia il concetto che abbiate della mia onestà, che non farò a nessuno l'ingiuria di credere che, nella vostra coscienza, non si sia formato, non dica il dubbio, ma la profonda convinzione, che come furono violati i principii della procedura nell'inizio del processo, così, si sia esercitato nell'amministrazione della giustizia quell'indebita ingerenza politica su cui ha scritto, con tanto splendore di forma, l'onorevole nostro collega Minghetti.
E basta, o signori, guardare alla qualità degli accusatori che hanno rappresentato la doppia parte di testimoni e di parti lese. Vi erano tre consiglieri della Corona in quel processo: vi era il presidente del Consiglio, vi era il ministro delle finanze, vi era il ministro dell'insegnamento, ed il segretario generale di uno di questi tre alti dignitari delio Stato. E non basta, o signori; ma il modo come si procedette nell' interrogazione di questi testimoni vi rileva appunto ciò che a me sta a cuore di mettere in evidenza. E sono ben lieto che, dall'alto di questa tribuna, la mia parola si ripercuota in tutti gli angoli della nazione, in tutti gli angoli della coscienza nazionale.
Mentre per raccogliere la testimonianza di S. E. il presidente della Corte di cassazione di Napoli, l'illustre Mirabelli, si è tenuto un metodo e si sono ammessi i miei avvocati a ricevere questa testimonianza, in Roma, si è vietato alla difesa di assistere alla deposizione del presidente del Consiglio, di assistere alla deposizione del ministro dell'erario, di assistere alla deposizione del ministro dell'insegnamento.
E poiché ho parlato del ministro dell'insegnamento, è mestieri che io ricordi un altro fatto, o signori, che emerge dagli atti del processo che avete dinnanzi, atti del processo che dovete pure esaminare, se dovete dare un giudizio non per impeto, non per rappresaglia, cose remotissime credo dalla coscienza è dall'animo di qualunque di voi; ma se dovete dare un giudizio coscenzioso, fondato sui fatti, faccio istanza fin da questo momento perchè si portino davanti alla Camera le prove dì quanto affermo, le prove cioè della indebita pressione esercitata dagli uomini che compongono il presente Gabinetto sulla magistratura di Soma. I fatti sono questi, o signori, e non si distruggono.
Quali sono i reati che mi furono imputati e pei quali fui condannato a sette anni di carcere?
Essi si fondano su documenti che si trovavano da 20 anni negli archivi del Ministero della pubblica istruzione, conosciuti non solo dai magistrati, ma da tutti i ministri che sì erano da 20 anni succeduti al potere; documenti che avevano
formato oggetto di deliberazione nel Consiglio superiore della pubblica istruzione, davanti al quale io, come insegnante in una Università regia, sono comparso due volte; documenti che erano stati giudicati contenere atti di indisciplina e sui quali aveva sostenuto l'accusa un magistrato, il compianto Massa dei Piccioli. Ebbene, o signori, quei documenti, i quali avrebbero dovuto imporre ai ministri della pubblica istruzione o di grazia e giustizia di procedere contro di me, hanno servito nel 1883 e nel 1884 una volta per sospendermi e poi per destituirmi, ma in nessuno di quei due casi vi si è trovato l'elemento della colpabilità, del crimine contemplato dall'articolo 257 del Codice penale, a' termini del quale avrei dovuto comparire dinanzi ai giurati, miei giudici naturali, da cui sono stato distratto, ed ora vedremo come ed in qual modo.
Ho detto che vi è un documento negli atti del processo che potrebbe dar materia alla messa in accusa del presidente del Consiglio, ministro dell'interno, perchè quel documento porta la firma di un funzionario che dipende dal ministro dell'interno, dirò adesso di chi; un documento che è negli atti e che ha servito, nelle mani dei rappresentanti del potere esecutivo per farmi distrarre dai miei giudici naturali.
Se mi permettono, prendo un poco di riposo.
presidente. Si riposi pure, onorevole Sbarbaro.
(La seduta è sospesa per cinque minuti).
presidente. Si riprende la seduta. L'onorevole
Sbarbaro ha facoltà di continuare il suo discorso.
Sbarbaro. Non sono davvero meravigliato (perché la parola meraviglia credo che bisogna sbandirla dal dizionario politico del nostro paese, come la parola morale, secondo il desiderio espresso dall'onorevole Bonghi) di veder deserto il posto del presidente del Consiglio dei ministri, poiché ciò che sto per dire, se egli fosse presente, non sarebbe certamente accolto da lui con quella olimpica serenità, con cui egli, nell'ultima solenne discussione, sostenne gli attacchi più violenti dei suoi avversari. L'onorevole presidente del Consiglio dovrebbe infatti rendere conto di questo fatto enorme, di un fatto unico negli annali dei Governi liberi, e sul quale la Camera deve pronunziarsi, nell'atto che deciderà se io debba, o no, rientrare in carcere. E qui la questione.
Tra i documenti che la Commissione ha avuto dinnanzi (documenti che devono essere anche davanti alla Camera), ve n'è uno che si potrebbe dichiarare un monumento di menzogne ufficiali, con falso in iscrittura pubblica, voglio dire la relazione di un funzionario dell'ordine amministrativo, che prendeva la inspirazione, e gli ordini dal ministro dell'interno, fin dal primo giorno che ho perduto la mia libertà.
E questo documento che porta la firma di quest'agente del potere esecutivo, ossia del direttore delle Carceri Nuove di Roma, sapete, o signori, voi che siete chiamati a giudicare delle mie sorti, che cosa contiene? Contiene una bugiarda relazione per provare che io era alienato di mente.
(Mormorio).
In base a questa menzogna ufficiale io sono stato distratto dai miei giudici naturali.
(Rumori).
Ho tanta stima per i miei colleghi per credere che essi abbiano avuto un senso di sdegno nel vedere come si mentisca in un atto pubblico, e come con questa menzogna si possa distrarre un cittadino dai suoi giudici naturali.
Difatti, secondo il titolo del reato pel quale sono stato condannato a sette anni di carcere, che sarebbe un crimine, io avrei dovuto essere portato dinanzi ai giurati, ed invece sono stato deferito al tribunale correzionale.
Ecco la prima violazione dello Statuto che risulta dagli atti del mio processo quando gli atti del mio processo si vogliano giudicare con la coscienza del giureconsulto, e dell'uomo onesto, e non si vogliano giudicare attraverso il prisma della passione di parte.
Si è nel mio caso verificato ciò che l'onorevole Aventi diceva l'altro giorno dal banco opposto a questo da cui vi parlo.
Ma non basta, o signori, vi e un altro fatto acquisito alla storia giudiziaria del mio paese che deve essere, non dico portato a cognizione, ma risvegliato nella memoria di voi tutti, e dico che deve essere risvegliato perchè credo fermamente che la speranza di coloro i quali hanno cercato, notate bene, di sopprimermi per farmi tacere e per infamarmi, si fonda appunto sopra quelle distrazioni, a cui va soggetta l'opinione di un paese libero, ed a cui può andare soggetta anche una assemblea, la più illuminata e la più sapiente.
Ma questi loro calcoli, o signori, saranno sconcertati dalla mia istanza, perchè sia data lettura di quei documenti dove è ravvisata, di accordo col miglior senno della nazione, con più di 203 tra giureconsulti e professori delle Università italiane, una manifesta violazione delio Statuto, il quale divieta ai potere esecutivo di distrarre un cittadino dai suoi giudici naturali.
Il giorno, signori, che una città (che l'onorevole
Parenza chiamò usa delle più sane, moralmente parlando, ed io aggiungo una delle più patriottiche), il giorno che ottomila cittadini mi hanno eredato degno di sedere in quest'Aula e mi hanno giudicato quindi sano di mente, in quel giorno che voi avete approvato la mia elezione e nei giorni successivi, in cui ebbi l'onore di parlarvi, come ora io vi parlo, in mezzo alla vostra attenzione, in quel giorno risultò che il potere esecutivo, che mi aveva definito come un forsennato, aveva mentito ufficialmente, aveva mentito davanti alla coscienza di magistrati ed aveva esercitato sulla coscienza elei magistrati la più terribile delle pressioni i la pressione della menzogna, mascherata con le forme della legalità,
Ma non basta.
Vi è un altro fatto che riguarda un'altra indebita pressione esercitata da un consigliere della Corona, da colui che sta sopra le scuole, dal ministro della pubblica educazione,
È risultato nella pubblica discussione del primo giudizio, che l'uomo che sopraintende agli studi nel regno d'Italia nella prima deposizione disse bianco, nella seconda disse nero, sul medesimo oggetto. E potè compiersi questo scandalo nella metropoli del regno, che, senza esser contraddetto nè dal presidente del tribunale, nè dal pubblico accusatore, un antico nostro collega, un egregio giureconsulto, che mi onorava del suo patrocinio in quell'istante, l'onorevole Muratori, ha potuto gettare in faccia all'uomo che siede sopra gli studi e sopra l'educazione del nostro regno, questa grave
accusa, risultante dal fatto della deposizione contradittoria, che egli aveva mentito o la prima, o la seconda volta, imperocché nella prima…
presidente. Onorevole Sbarbaro, l'articolo 31 del
regolamento dice: ogni imputazione di mala intenzione, ogni personalità e
violazione dell'ordine; la prego quindi di voler temperare il suo linguaggio
in guisa che, pur rispondendo allo scopo della difesa della sua persona e
della sua condotta, Ella non offenda però i termini precisi del
regolamento.
Continui, onorevole Sbarbaro,
Sbarbaro. Ringrazio l'onorevole presidente della sua cortese osservazione, perchè mi dà agio di far riflettere che io, citando fatti che risultano da tutto il contesto, dalla raccolta di quegli scritti che furono comunicati all'Assemblea, in questo non faceva che la parte dello storico; e l'aver chiamato scandalo che si potesse accusare, senza esser smentito dal tribunale, un ministro della pubblica istruzione, di così grave colpa, è la miglior prova che io non mi appropriava in quel momento quel linguaggio, ma lo riprovava. Ma dovendo mettere la Camera nella condizione di portare un giudizio sereno, io debbo adunare dinnanzi a voi, dinnanzi alla vostra memoria, tutti quei fatti, che possono essere stati dimenticati; perchè è, non nell'interesse della mia difesa soltanto, come diceva l'onorevole presidente ma nell'interesse del Collegio che mi nominò, e della Rappresentanza, che partecipa alla prerogativa, che io sto discutendo ora questa questione.
Si è detto che, qualora la Camera, o con un ordine del giorno motivato, od in altro modo, facesse ciò che è stato già giudicato il partito migliore della mia causa, esercitasse cioè quell'atto di giurisdizione, che per l'articolo 45 dello Statuto le viene affidato, si invaderebbero le attribuzioni dei potere giudiziario.
Non so veramente se, in questi tempi di trasformazione, si sia trasformato
anche il valore delle parole, ed anche il nostro diritto pubblico interno,
ed anche non so se si siano trasformati gli elementi del diritto
costituzionale, che un tempo s'insegnavano in tutte le Università del regno.
Perchè, se io guardo a questo benedetto articolo 45 dei nostro Statuto,
trovo in esso chiaramente indicato un ufficio di giudizio, di giurisdizione
La Camera, giudicando del mio processo, deve avere udito (notate bene) gli echi della pubblica coscienza, quel solenne verdetto, che non è rappresentato soltanto da quegli ottomila voti di Pavia, ma da più di quindicimila voti, calcolando quelli che ebbi nelle elezioni amministrative e nelle elezioni politiche di altri collegi; e deve avere udito (notate bene) la confessione stessa di tutti coloro, i quali mi furono benevoli, e che all'indomani della sentenza di sette anni, l'hanno giudicata in un modo, che non voglio ripetere per non attirarmi nessuna osservazione da parte dell'onorevole presidente, e per mostrare, anche in questo momento solenne della mia vita, tutto quel rispetto che si deve alla magistratura italiana.
Io non ripeterò il giudizio che hanno dato unanimemente gl'italiani di questa sentenza, e sapete perchè non lo ripeto? Perchè a me per giudicare quel frutto di stagione, quei portato dell'ambiente in cui ci moviamo e respiriamo, a me basta il voto della sovranità nazionale che mi ha mandato a sedere in quest'Aula; voto davanti a cui, in tutti i momenti della vostra vita voi dovete essere rispettosi, voto davanti a cui soprattutto mi pare dobbiate esserlo ora, giacché voi state per comparire davanti alla sovranità nazionale, che, crediatelo pure, non dimenticherà questo dibattimento,
questo episodio della nostra vita politica nel momento in cui dovrà giudicare di tutti noi.
Io non comprendo, ne ancora ho udito un solo argomento od anche un solo sofisma il quale possa abbagliare per un istante la intelligenza di un solo di voi per far credere alla Camera che, quando conformasse il suo responso a quello delle urne pavesi, essa cadrebbe dalla sfera della sua azione. E da che cosa si desumo questa usurpazione della sfera del potere giudiziario per parte del potere legislativo?
Ecco quanto io ho dovuto costruire con la mia mente, per rendere anche l'assurdo intelligibile. Si dice: la Camera, qualora confermasse la sentenza ¡profferita dalia sovranità nazionale, e dichiarasse cessato, notate bene, ogni giudizio contro chi ha l'onore di parlarvi, si convertirebbe in un tribunale, darebbe una sentenza contraria alle sentenze che furono profferite.
Or vediamo, o signori, se questa diversità di responso, se la divergenza di un oracolo parlamentare, sarebbe la violazione ai quella pietra angolare di tutto l'edifizio della nostra costituzione, e di tutte le libertà che è la divisione dei poteri, la divisione degli uffici. Evidentemente questa diversità, e questa divergenza, e questa contrarietà di responso si verificano in tutte le magistrature che esercitano, con la massima regolarità, le loro funzioni. Nei diversi gradi di giurisdizione della magistratura ordinaria si verifica, o signori, il caso che un tribunale dica bianco, ed un tribunale dica nero, che, in una Corte di cassazione, una data questione di fatto, o di diritto sia risoluta in un modo, od in un altro; se la divergenza, se la discordia, se l'opposizione del voto della Camera alla sentenza che ini ha condannato a sette anni di carcere per fatti che, per venti anni, erano riconosciuti dalla magistratura, e dalle autorità del paese innocenti, incolpevoli, fosse un'usurpazione del potere esecutivo, bisognerebbe, o signori, far voti di venire a quella perfezione di ordini giudiziari di cui si tiene superbo l'impero Turco, in cui la volontà di un solo uomo, di un giudice, senza grado d'appello o di cassazione, giudica della morte, giudica dell'onore, e delle proprietà, e della vita dei cittadini.
Noi non siamo ancora giunti a questa perfezione di ordinamento politico civile in cui la voce di un'Assemblea legislativa che eserciti le proprie funzioni in materia criminale, come dice l ‘articolo 45 dello Statuto, possa essere considerata come il finimondo. E sono tanto convinto di questo, che io proseguo a dimostrarvi come veramente ricorrano nel caso mio, tutti i termini contemplati nell'articolo 45, che l'Assemblea legislativa possa cioè tutelare, sia pur nell'ultimo dei suoi componenti, l'indipendenza del Corpo legislativo, gli abusi, le prepotenze e gli arbitri del potere esecutivo.
Ha la Commissione ravvolto per lunghi mesi i suoi lavori in quel silenzio, che forse sarà ravvisato dai suoi componenti, come una guarentigia d'indipendenza; ma io avrei desiderato che, a rendere più autorevoli e più accettabili le conclusioni sue, si fosse data la massima pubblicità a tutto ciò che contiene quel processo; e si fosse veduto in che modo si è potuti pervenire a questa mostruosità, che la Rappresentanza nazionale ha cominciato a cancellare.
E poiché ho parlato di mostruosità, o signori, permettetemi di citare un altro documento che pur si deve trovare in quegli atti che la Commissione ha avuto. Il documento è questo. V'è uno scritto che porta la firma del questore di Roma, personaggio divenuto ormai importantissimo nell'andamento della cosa pubblica, perchè è divenuto il pernio, non solo della sicurezza sociale contro i ladri e loro manutengoli, ma pare che abbia assunto una importanza politica, specialmente nella metropoli del regno. Ora in questo documento, che la Commissione non può aver letto senza ribrezzo, vi è una frase che contiene una menzogna che in un paese bene ordinato, perfettamente ordinato (la perfezione non è privilegio delle nostre istituzioni, né del modo come funzionano) avrebbe dovuto far destituire chi la pronunziava. Si vide il questore di Roma sceso all'ultimo scalino, e qui non posso non usare parole gravi…
presidente. Purché siano ammesse dal Regolamento,
onorevole Sbarbaro, cioè senza imputazione alle intenzioni.
Sbarbaro. Lasciamo stare le intenzioni e parliamo dei fatti, in ossequio alla autorità del presidente.
Il fatto su cui richiamo l'attenzione della Camera, perchè sarà un elemento troppo importante per decidere di questa questione, si riferisce una seconda violazione dello Statuto.
E se voi farete una discussione ampia come l'esige non il mio diritto, nè la volontà dei miei elettori, ma il vostro decoro, voi potrete trovare in esso, questo è il mio convincimento concorde con quello di più di cento maestri di diritto costituzionale che lo hanno già manifestato, gli elementi per mettere in accusa il ministro dell'interno colpevole di aver violata la più preziosa, libertà, la libertà della stampa.
Ed eccomi al punto più delicato, riguardante l'origine, il contenuto e l ‘esito del processo su cui
voi dovete giudicare come giurati, esercitando quella giurisdizione che vi concede l'articolo 45.
Il questore di Roma, in un rapporto che sta, o deve essere negli atti del processo, (se non è scomparso, ciò che non credo, e se anche fosse scomparso si troverebbe già stampato in un libro che va per le mani di tutti gl'italiani) dice che un giornale che si pubblicava allora in Roma nel 1884 sotto la mia direzione, col mio nome, di cui tutti gli articoli erano sottoscritti da me, esempio non comune nel nostro paese, quel giornale doveva essere soppresso.
Il questore di Roma suggerisce ai consiglieri della Corona la soppressione di un giornale, notata bene.
E poiché sarebbe parso enorme anche, ad uomini molto navigati, come dice il popolo toscano, che dalla questura venisse fino ai consiglieri della Corona, che devono essere i naturali custodi della stampa, come di tutte le libertà, il suggerimento di sopprimere un giornale; sapete voi che cosa osò di scrivere questo fantastico e generoso uomo, questo questore modello, che meriterebbe di esser fatto grande ufficiale della Corona d'Italia…
(Ilarità).
Una voce. Lo faranno!
Sbarbaro. … in un documento che è una delle origini del processo? Osò scrivere che io, che mi onoro di parlarvi, che 8000 suffragi…
(Oh! oh!)
anzi 8100…
(Ilarità)
Io attribuisco ai miei colleghi tanto spirito…
presidente. Continui il suo discorso, onorevole
Sbarbaro.
Sbarbaro. … per comprendere che quando ricordo gli 8000 suffragi non è per vanità personale, ma perchè devo dimostrare…
presidente. Continui il suo discorso, onorevole
Sbarbaro.
Sbarbaro. Forse l'inesperienza della tribuna mi avrà fatto adoprare una frase, un argomento non atto a convincere, ma il mio concetto è questo: quando in un paese bene ordinato un collegio elettorale trova un uomo tanto onesto da mandarlo al Parlamento, è un fatto che ha un gran valore e che vi dimostra che le bassezze attribuite a quest'uomo sono una menzogna, come è risultato da tutto il processo. Io credo che, in un paese che si fonda sopra la sovranità nazionale, la opinione degli elettori abbia qualche valore. Ma se l'opinione degli elettori, la loro onestà ha tanto valore, perchè non volete credere rispettabili gli 8000 elettori dei collegio di Pavia, nella provincia che ha mandato al Parlamento l'onorevole presidente del Consiglio?
(Si ride).
La base del nostro paese, il diritto pel quale voi siete qui, non è altro che l'autorità degli elettori. Dunque quando cito la cifra degli elettori in un secolo che si pregia, delle cifre della statistica, che ritiene la statistica come criterio per distinguere il vero dal falso, in tutte le scienze sociali, mi pare di non aver commesso nessuna sconvenienza.
Del resto io, avvertito a tempo di quelle voci che mi hanno richiamato alla fonte della sovranità del nostro potere, non raccoglierò quelle sozzure che si trovano in quel documento. Mi basti il dire che in quel documento vi è una cosa che dalla risultanza del procedimento è stata dimostrata una menzogna, ed è tanto menzogna, che si è steso il mandato di cattura per tentata estorsione, che poi non ha avuto alcun seguito.
Or bene, in base a quella calunnia di un pubblico funzionario, che abusava del suo potere per compiacere i potenti e sopprimere un giornale, io sono stato arrestato. Questo è il principio e la fonte del giudizio su cui voi dovete portare la vostra imparziale e serena deliberazione.
Ora io domando: è manifesta, o signori, la violazione dello Statuto? È manifesto l'abuso che hanno commesso gli uomini del potere, architettando questo processo? Ma non basta ancora. Mi dispiace di dovere rammentare cose che devono umiliare ogni italiano, e di cui i testimoni che sono qui nella Camera non mi smentiranno, cose che provano come è stato condotto quel processo, seppure ce ne fosse ancora bisogno. Quando io feci la prima domanda di esser messo in libertà provvisoria, un onorevole nostro collega, che onora questo Parlamento, e che è un alto magistrato, si recò in persona dal Pubblico Ministero, per vedere se io aveva o no questo diritto.
Ed io che fui sempre in relazioni durante la mia prigionia, coi rappresentanti del presidente del Consiglio (che non mi meraviglio, ma mi dolgo che non sia qui, poiché verrei che fosse presente; perchè vorrei sfidarlo a darmi una mentita, per questo fatto unico negli annali di un paese civile), quando chiesi regolarmente la domanda di libertà provvisoria all'autorità giudiziaria, ricevetti nel carcere la visita di un rappresentante del potere, esecutivo, di un procuratore dei re, il quale mi venne a dire che egli si recava da me sotto la immediata inspirazione del Ministero dell'interno, e per assicurarsi che io non avrei scritto contro persone o cose.
Io, per verità, mi meravigliai che un procuratore del re ed un sostituto procuratore del re venissero in prigione a farmi delle suggestioni;
suggestioni che mi furono fatte anche da chi fa parte di questa Camera, nelle Carceri Nuove. La domanda era già pronta; tutto si era già combinato per cangiare il titolo del reato (perchè, difatti, si vedeva che non c'erano elementi), a patto che io non avessi toccato le famiglie dei grandi dignitari dello Stato.
Risposi come ognuno di voi avrebbe risposto,
(Mormorio)
e come risposi, quando ero a piede libero, prima di perdere la mia libertà, e
come risponderò, oggi, e come risponderò, all'indomani di questa, per me,
solenne adunanza della Camera: che non prendevo altra inspirazione, che
dalla coscienza, pei dire la verità; che le verità che io avevo scritto e
stampato, col mio nome, sopra uomini e sopra cose, non erano mai state
smentite; che non era mai stata impugnata la verità, come s'impugna in un
paese libero: poiché la verità, in un paese libero, s'impugna non con
l'impugnare un
ripeterò,
Alla vigilia del primo giudizio, nelle Carceri Nuove, per mandato (ho diritto di crederlo) di chi sta a capo del Ministero dell'interno, perchè queste comunicazioni officiose mi erano fatte dal direttore delle carceri a nome della questura, mi si disse che, se nel pubblico dibattimento io avessi taciuto sopra certe cose, che pur fanno parte del giudizio, e di cui bisogna pur occuparsi in quest'Aula, la sentenza sarebbe stata mite. Mi si fecero queste raccomandazioni, e queste suggestioni mi furono rinnovate per bocca di un deputato che siede in queste Camera.
Voci. Il nome! il nome!
(Rumori).
Sbarbaro. Il nome lo dirò. Sono ben lieto di avere destata questa curiosità alla Vigilia del secondo giudizio.
È venuto da me nelle Carceri Nuove un uomo che ora nominerò, che aveva visitato prima il guardasigilli (notate bene), l'onorevole Tajani, e il procuratore generale, il signor Colapietro, e quest'uomo è l'onorevole Filopanti.
(Rumori — Ilarità).
presidente. Prego di far silenzio.
Sbarbaro. L'onorevole Filopanti, amico personale dell'onorevole presidente del Consiglio, venne da me l'indomani di quel giudizio in cui era comparso come testimonio, ed in cui aveva accennato a ciò che avrei detto in appello, e che mi fu impedito di dire dal presidente, il quale mi interruppe quando cominciai a parlare dell'onorevole Magliani.
L'onorevole Filopanti mi disse che, prima di venire da me nelle Carceri Nuove, aveva parlato col guardasigilli e col procuratore generale, e mi esortò, mi consigliò, mi suggerì il modo con cui doveva regolarmi, poiché era probabile mi fosse diminuita la pena, purché non fossi entrato nel santuario della vita privata dei ministri.
Questo è il fatto.
Voci. Aveva ragione.
Sbarbaro. Va bene; ma non è giusto che si subordini l'amministrazione della giustizia alle convenienze per le famiglie dei ministri.
(Rumori)
La questione era questa; se io avevo il diritto o no di svelare cose che, appartenendo a pubblici funzionari, sono nel dominio pubblico.
Ma sono tanto più lieto, tanto più contento che questa piccola interruzione mi metta nella necessità di chiarire bene il mio pensiero, in quanto che, o signori, notate bene, mi richiama ad un fatto anteriore al processo, ma che ha col processo una attinenza molto diretta.
Questo fatto è un giudizio criminale, che doveva aver luogo davanti ai giurati e che, invece, terminò alla pretura per una semplice contradizione.
Ho detto che il questore di Roma aveva dato al ministro dell'interno il suggerimento, il mezzo per sopprimere il giornale che io dirigevo.
Non avendo potuto conseguire questo scopo, si è cercato di sopprimere e di infamare chi lo dirigeva; e, come io non affermo cose, che non possa provare, dico che questo disegno di sopprimerà l'uomo, non potendosi sopprimere, non potendosi violare la libertà delia stampa sfacciatamente, apertamente, risulta dal fatto, che è già entrato nel dominio della pubblicità.
Quando dalla casa di un ministro delle finanze è sbucato un sicario per assassinare…
(Vivissimi rumori),
presidente.
(Con forza)
Onorevole Sbarbaro, rammenti l'articolo 31 del regolamento, che io le ho letto.
Io le ho lasciato la massima libertà; una libertà forse eccessiva, perché è mio dovere di rispettare la libertà della parola, ma non posso tollerare in alcun modo che si lancino accuse di questa natura.
Onorevole Sbarbaro, si contenga nei limiti del regolamento, altrimenti le
tolgo la facoltà di parlare (Bravo! Bene!).
Sbarbaro. Manifestamente le mie parole non tradussero chiaramente il mio pensiero
(Oh! oh!).
Io parlava di un giudizio intentato dall'autorità giudiziaria che ha preceduto il processo, e su
cui c'è stata una sentenza della Camera di consiglio.
Io non ho pensato, (e sarei dolente che si potesse credere), di oltrepassare i limiti assegnati dal regolamento delia Camera, abusando della facoltà di parlare, ma io ho accennato ad un fatto che, notate bene, è avvenuto prima del mio arresto, prima che si architettasse il processo che voi potete giudicare; fatto di cui è piena la stampa e che costituisce una pagina non bella per la civiltà del nostro paese.
Ed ho citato questo fatto per provare la possibilità che l'autorità giudiziaria diventi, per effetto delle nostre istituzioni, un istrumento d'ordine, non nel modo come si deve intendere, perchè la magistratura è certamente la custode, la tutrice dell'ordine, ma diventi un istrumento d'ordine in un'altra maniera della quale parlerò più innanzi, quando verrò ad un'altra parte della mia causa.
(Oh! oh!).
Il fatto è questo: che l'autorità giudiziaria di Roma, quando si trattava di deferire ai giurati chi era stato colto con le armi in mano in casa mia, lo mandò innanzi al pretore, avanti a cui io non ho voluto seguirlo. E questo stabilisca il vero senso della questione che vi sta dinanzi, o signori. E quando si trattò di sopprimere me con mezzi indiretti, la stessa magistratura, che aveva fatto rilasciare immediatamente chi era stato colto con le armi in mano in casa mia, non mi mandò dinanzi ai giurati, ma mi mandò dinanzi a quella stessa autorità che aveva dato il primo responso. Qui siamo in termini di fatti acquisiti, fatti di cui io debbo svolgere il significato, perchè si illumini la vostra coscienza di giudici.
Nello svolgimento del giudizio dinanzi ai tribunali, ci fu, o signori, un episodio abbastanza caratteristico, che prova in modo chiaro la illecita ingerenza dell'amministrazione nella giustizia, e che quindi la sentenza, la quale mi ha condannato a sette anni di carcere, non sia altro che l'espressione di quel disordine che voi siete chiamati, non a sanzionare col vostro voto, ma a correggere.
E sapete qual'è l'episodio di cui Roma ebbe lo spettacolo nell'aula del tribunale della metropoli del regno? Fu questo: che, non potendosi abolire la pubblicità dei giudizi, il pubblico dibattimento, si è cercato, e si ò ottenuto, di restringerlo.
Nè basta ancora: mentre in quell'aula si è potuto permettere ad un rappresentante della legge di trascinare nel fango qualche cosa che sta al disopra di tutti noi e che è al di fuori delle nostre discussioni e che, se trascinata nel fango non resterebbe contaminata, il presidente del tribunale non permetteva mai all'imputato di nominare invece il nome del presidente del Consiglio e quello di un giornalista che ne rappresenta l'opinione.
Questa fa la libertà di cui si dètte lo spettacolo in un pubblico dibattimento, e che dimostrò agli occhi di tutto il paese, per cui la verità non si adultera mai impunemente, la influenza indebita del potere esecutivo.
Nè basta ancora. L'ordine del mio discorso e la necessità della difesa delle prerogative di ognuno di voi e la garanzia costituzionale che tutti ci protegge mi costringono ad evocare davanti alla Camera ed al paese un altro fatto che l'onorevole Luzzatti chiamerebbe un altro scandalo santo.
Lo scandalo santo fu questo, e basta a persuadere, se ce ne fosse bisogno, che in esso ricorrono i termini contemplati dall'articolo 45.
Il rappresentante della legge, dimentico di quel rispetto che dobbiamo ai
martiri della indipendenza italiana, alla magistratura ed all'insegnamento,
insultava la memoria di un uomo morto, notate bene, per ferite contratte
nelle guerre dell'indipendenza, (e se ci fosse qui l'onorevole Cavallotti
confermerebbe il mie giudizio, essendo stato quell'uomo suo amico) dicendo
che quel capitano Sgarbi, che era alla dipendenza del
Ministero delle finanze, archivista in una intendenza e che io aveva
sostenuto nei suoi bisogni avendo una numerosa famiglia, aveva commesso un
ricatto per mia istigazione.
E se questo, o signori, non è pressione indebita esercitata dal potere esecutivo sul magistrato, io non so come ed in qual altra maniera si possa esercitare.
Non basta: quello stesso rappresentante della legge accusò due professori dell'Università di Roma che erano venuti a deporre in mio favore e contro l'assurdità delle colpe imputatemi, accusò di falsa testimonianza, dicendo che erano venuti non per dire la verità, ma per sfogare i loro rancori.
Non basta ancora; dalla bocca di quel rappresentante del potere esecutivo che voi potete giudicare, giudicando la questione che vi sta dinanzi, si è sentita quest'altra enormezza. Egli ha detto che i magistrati, fra i quali un presidente di Cassazione, che mi onoravano della loro amicizia, erano miei complici.
Questi tre oltraggi ad un capitano dell'esercito morto di fame nell'ufficio delle finanze, ai due professori dell'Università, ad un presidente della Corte di cassazione, sono rimasti impuniti,
mentre io credo che in qualunque altro paese non sarebbero passati in silenzio.
Io non farò un addebito al guardasigilli di aver mantenuto questo funzionario del Pubblico Ministero in ufficio, anzi mi maraviglio che non gli abbia data una promozione, perchè esso la merita, secondo i criteri che si applicano ai difensori dell'ordine, e secondo i criteri che vi fate dell'ordine; salta però agli occhi di voi tutti, che non siete guardasigilli, la rivelazione e la prova della pressione indebita esercitata sulla magistratura.
Ci fu nel secondo giudizio un altro fatto gravissimo che già è venuto davanti alla Camera. L'onorevole Panattoni, in una sua interpellanza, ha parlato di tre consiglieri d'Appello, che sono stati sostituiti da altri alla vigilia del mio giudizio. Il fatto non lo voglio giudicare perchè questo non è il mio compito, nè il mio diritto, ma il fatto è vero. E ne aggiungerò un altro che non è conosciuto dal paese, ma che bisogna che conosciate voi, par giudicare del regime italiano.
Avendo chiesto una proroga del secondo giudizio, per consiglio della mia difesa, venne il direttore delle carceri in nome del Ministero dell'interno, da cui dipendeva, a dirmi che aveva fatto sorpresa che io avessi chiesto questa proroga; e mi venne a domandare perchè l'aveva chiesta.
Io povero prigioniero, doveva naturalmente dire la verità! E risposi: è venuto il collegio della mia difesa e mi ha detto: essendo molte lo persone offese bisogna domandare una proroga affinchè vi siano giudici che abbiano fama di onestà.
Io non credo che un accusato che cerca di rimandare il giudizio a quando ci siano magistrati che abbiano dato prova, nella loro vita, d'indipendenza, sia un reato. Io comunicai questa mia ingenua confessione al direttore delle carceri, dipendente dal ministro dell'interno, e tanto bastò perchè immediatamente quei tre giudici che io avevo nominati a titolo d'onore e di cui parlò l'onorevole Panattoni, fossero subito sostituiti da altri. E qui ci sono degli avvocati che potranno sapere come la cosa avvenne.
Se le cose che sto per aggiungere non avessero altro risultato che di formare quella scuola della libertà che si forma coi contrasti e con la lotta per il diritto, io ne sarei lieto, qualunque sia il giudizio che sarete per dare sopra la domanda a procedere contro di me. Ma i fatti sono questi, o signori, e non li potete cancellare dalla memoria degli offesi. Non parliamo degli scandali che avvennero nell'aula dei tribunali, ma ce ne fu uno che si può dire lo scandalo degli scandali, e fu questo. Si presentò come denunziante (io non credo di tediare la Camera poiché si tratta di una questione di libertà, di diritto e di prerogative parlamentari).
presidente. Ma farebbe bene a concludere, onorevole
Sbarbaro.
Sbarbaro. In ogni modo, siccome l'importanza della cosa lo richiede, bisogna che dica tutto.
La Camera deve giudicare se, nel caso mio, c'è stata una ingerenza degli uomini investiti delle alte cariche dello Stato, allo scopo di disfarsi di un avversario, e se quindi essa debba esercitare, o no, questa sua facoltà riguardo alla domanda che le sta dinanzi.
Io devo dunque richiamare all'attenzione dei miei colleghi tutte le risultanze del processo, perchè si illumini la loro coscienza.
Abbiamo veduto una cosa incredibile che credo in nessun paese del mondo si sia mai verificata, ed è questa: un giornalista che rappresenta le opinioni che oggi prevalgono nell'indirizzo dello Stato, un nome che, per rispetto a quest'Assemblea, non posso ripetere, denunzia dei reati, ed invita nel suo giornale l'autorità giudiziaria a procedere: due giorni dopo si muove la Procura Generale, notate bene, sulla denunzia di questo galantuomo al servizio del presidente del Consiglio.
(Oh! oh! — Rumori e segni di disapprovazione)
presidente. Onorevole Sbarbaro, non posso permetterle
di continuare così. Ella non potrà dire che non le è stata concessa una
libertà grande di parola. Quindi è ora il momento che io le rammenti come
Ella ha il dovere di rispettare le esigenze dei lavori parlamentari. La
prego quindi di restringere e di venire ad una conclusione e di non toccare
argomenti che hanno poco a che fare con la questione che si discute
(Benissimo!).
Sbarbaro. Se mi permette, prenderò un pochino di riposo.
presidente. Ma prosegua, onorevole Sbarbaro.
Sbarbaro. Onorevole presidente, io non mi sento in condizioni di poter continuare. La pregherei
di rimandare a domani.
(Oh! oh! — Rumori).
presidente. Onorevole Sbarbaro, Ella ben sa che il
regolamento non permette di rimandare i discorsi ad altra seduta. Nessuna
eccezione da gran tempo è stata fatta a questa prescrizione; nè sarò io che
l'infrangerò oggi a favore di Lei. Resta dunque avvertito che Ella deve
finire oggi il suo discorso.
Si riposi però per qualche minuto.
presidente. Invito intanto l'onorevole Cavalli a
recarsi alla tribuna per presentare una relazione.
Cavalli. Mi onoro di presentare alla Camera la relazione sul disegno di legge: Conversione in legge del regio decreto 1° settembre 1885, n. 3441 (serie 3 a ), riguardante l'amministrazione del Fondo speciale di religione e di beneficenza della città di Roma.
presidente. Questa relazione sarà stampata e
distribuita agli onorevoli deputati.
presidente. Onorevole Sbarbaro, di due cose debbo
avvertirla. Primo: che è desiderio, credo unanime della Camera, che Ella
concluda, al più presto, il suo discorso, già troppo lungo; secondo: che,
più di due volte, ho dovuto richiamarla all'ordine. Ora, se Ella nuovamente
dirà parole che siano in opposizione al prescritto dell'articolo 31 del
regolamento, io sarò, senz'altro, costretto a
toglierle la facoltà di parlare. Fatte queste avvertenze, La prego di continuare il suo discorso.
Sbarbaro. Sta all'onorevole presidente, di richiamarmi alla osservanza del regolamento. Se, per avventura, sia nella prima parte dei mio discorso, coinè nelle cose che starò per dire, avessi commesso, o potessi commettere qualche infrazione al regolamento, prego la Camera di considerare che io ho d'uopo di tutta la forza della mia volontà par dominare i sentimenti che ognuno di voi proverebbe nel mio caso.
Il processo che vi sta dinanzi mi costa la perdita di tutto quello che avevo su questa terra, può costarmi anche la libertà, e l'onore di sedere in questa Camera. Quindi se nelle mie parole ci fosse stato qualche cosa di concitato, credo di meritare le circostanze attenuanti, circostanze attenuanti che io ricordo alla benevolenza di voi tutti, che siete uomini, prima d'essere cittadini e rappresentanti del paese.
Nella commozione dell'animo, io dimenticai un altro episodio che si collega strettamente a questo giudizio, perchè fu oggetto di un'interpellanza in questa Camera, quando alla custodia dei sigilli dello Stato vi era quell'insigne giureconsulto, il cui programma, come egli scrisse in una circolare, era l'indipendenza della magistratura, l'onorevole senatore Pessina.
Comprenderà la Camera che essendo stato spiccato il mandato di cattura per tentata estorsione contro di me, per quel titolo, cioè, di reato per cui Dante Alighieri nel secolo dei roghi era stato condannato, come sapete dalla biografìa del grande poeta, nella Camera si fece una interpellanza dall'onorevole Di Breganze circa la violazione di quella libertà di stampa che si è cercato di calpestare nella mia persona prima in un modo e poi in un altro con questo processo, che è un attentato appunto alla applicazione delle franchigie statutarie, a quello che, indarno fu chiamato il tribunato della moderna democrazia.
Da quella interpellanza risultarono tali arbitri che non poterono essere smentiti dal guardasigilli, anzi furono da quell'integerrimo magistrato repressi con una lettera di biasimo al procuratore del re che li aveva ordinati, lettera che esiste e che non si può cancellare dalla vita di quell'uomo egregio, nè dalla storia del nostro paese.
Fu invasa una stamperia dagli agenti del potere esecutivo, furono scomposti i torchi.
Non so che cosa sia avvenuto dopo quella violazione del santuario della libertà moderna che è lo stabilimento tipografico, non so che cosa sia avvenuto perchè quando fu fatta l'interpellanza mi trovavo in carcere; ma voglio ricordare questo fatto perchè ognuno di voi si persuada che quando gli uomini dipendenti dal potere esecutivo, perchè gli uomini sono discutibili (e di indiscutibile non c'è che la augusta persona del Re, secondo il nostro Statuto), quando gli uomini che sono investiti della pubblica potestà possono, notate bene, impunemente, e dico impunemente perchè non risulta che alcuno degli agenti dei potere esecutivo sia stato tradotto avanti ai tribunali, sia stato destituito, possono questi uomini commettere la enormità, di scomporre perfino i caratteri di una stamperia, è ben possibile che di quei mezzi di intimidazione di cui è armato lo Stato nella società a base di accentramento, delle società nostre democratiche il potere esecutivo usi ed abusi per imprimere sulla coscienza dei magistrati un'immagine alterata della maestà della legge.
Questo è l'assunto su cui si fonda tutto il mio discorso: persuadere voi, se pure ve n'è bisogno, di ciò di cui è persuasa tutta la nazione, cioè che il mio processo, che la mia condanna a sette anni di carcere, per dei pezzi di carta che otto ministri avevano dichiarati e riconosciuti come innocenti, è stato il più grande esempio d'illecita ingerenza a danno prima di un libero pubblicista ed
oggi si può dire di un rappresentante della nazione.
E dico di un rappresentante della nazione, benché allora quando si sono potute commettere queste enormità contro di me, io non fossi ancora investito di questo sacro carattere, che voi avete interesse a far rispettare; ma se non l'avevo questo sacro carattere di rappresentante della nazione, voi me l'avete conferito col riconoscere la validità della mia elezione e col riconoscerla, notate bene, in quel momento in cui, secondo i principii del diritto comune, secondo i principii e la legge della procedura avevate obbligo o avreste avuto diritto, se non obbligo, di sollevare la questione della mia indegnità a sedere in quest'Aula.
Era quello il momento in cui, non trattandosi più dell'applicazione letterale dell'articolo 45 dello Statuto e di autorizzare la procedura contro un membro della Camera, ma di vedere se io era validamente eletto dal collegio di Pavia, voi dovevate sollevare la questione che per tre mesi avete lasciata nell'ombra del mistero e che oggi, alla vigilia di uno scioglimento della Camera, viene portata innanzi.
Io ho detto, secondo i principii del diritto comune e secondo gli ordinamenti della nostra procedura; infatti quando una sentenza è stata suggellata da una sentenza di Corte d'appello, il giudizio è esaurito e potrei dimostrarlo con argomenti che risultano da articoli del Codice di procedura, ma lascio questo compito agli egregi giureconsulti che parleranno su questa questione.
(Mormorio).
Si tratta, signori, di una questione di diritto costituzionale della più alta importanza, e quindi non è probabile che non sorga qualcuno a chiarire questo punto.
Dunque voi, quando avete ammesso me a sedere in quest'Aula, quando avete riconosciuta la validità della mia elezione, avete implicitamente annullato, per quanto dipendeva da voi, come magistratura straordinaria, magistratura riconosciuta dallo Statuto, tutto il procedimento. Avete dato un giudizio allora, ed il giudizio che darete oggi non potrà essere in contradizione del primo. La logica del diritto deve avere ancora autorità sulle coscienze umane, e sulle coscienze dei rappresentanti di un popolo, che è stato maestro di diritto a tutta le genti.
La tesi, la dottrina, il principio, che io sostengo, ho detto che ha riscosso il suffragio della quasi unanimità dei giureconsulti, e dei giuspubblicisti d'Italia, dei quali io mi perfetto in quest'Aula di ricordare, con animo commosso di gratitudine, quella gloria della patria italiana, il più rispettabile giureconsulto della provincia di Pavia, l'illustre ex deputato al Parlamento, l'avv. Giovanni Mai, che sostenne questa dottrina a viso aperto, e la avvalorò con la sua firma, che vale molto se i voti si pesano e non si contano.
Del resto, io non so se questa dottrina, se questo principio, che cioè la questione è stata risoluta dagli elettori, e da voi che ne avete approvato il suffragio, sia stata ancora contradetta da giureconsulti che contino nella storia delia scienza e della giurisprudenza italiana. E certo che questa è la dottrina conforme a tutti gl'insegnamenti ed a tutte le tradizioni del nostro diritto pubblico, e che ha per se precedenti troppo cospicui, perchè mi dispensi dal ricordarceli.
Ho colmata così questa piccola lacuna lasciata nella prima parte del mio discorso, dico quella relativamente all'invasione del santuario della stampa, disordine che non è stato mai represso, e che non ha avuta nessuna conseguenza giuridica per gli autori di questi atti. Io non so perchè non ci sia una legge sulla responsabilità dei pubblici funzionari, ma io stimo che, anche senza una legge speciale sopra la responsabilità dei pubblici funzionari, le nostre leggi dieno ai cittadini e ai custodi dell'ordine i mezzi sufficienti per tradurre dinanzi ai tribunali i rappresentanti della legge che calpestano la legge stessa; ad ogni modo non è stato punito e tratto davanti ai tribunali nessuno degli agenti del potere esecutivo che hanno invasa la stamperia dove si stampava quella effemeride che, non potendola convincere di menzogna, si è cercato di confutarla con un altro modo, con sette anni di carcere per altri titoli non compresi in quella effemeride, e con altri scritti che stavano negli archivi del Ministero della pubblica istruzione.
E vengo, colmata questa piccola lacuna, a ciò che secondo me, costituiva il punto culminante e l'aspetto più grave di questa vertenza.
Non crediate, o signori, che io, nelle cose che sto per dire, voglia far pompa di quella benevolenza di cui mi hanno onorato tutti gli uomini che sono comparsi al tribunale per deporre, notate bene, contro la intrinseca assurdità dell'accusa, e molti dei quali fanno parte di quest'Assemblea, come gli onorevoli Berti Domenico, Silvio Spaventa, Panizza, lo stesso onorevole Bonghi, l'onorevole Pietro Mazza, il vice-presidente del Senato onorevole Alfieri, ed anche l'onorevole Ricci mio concittadino; insomma tutto il fiore della colta società italiana.
L'Italia ha avuto questo spettacolo (ed è questo
un punto su cui io mi debbo fermare alcuni istanti) che da una parte il magistrato ebbe la denunzia di un nome che non pronuncio e dall'altra la testimonianza di tutta la società italiana, del fiore anzi di tutte le gerarchie sociali, dall'onesto operaio coperto di medaglie al valor militare sino al maestro di S. M. il Re, il generale Ricci, dal senatore Alfieri, sino a quel colosso di carattere che tutti onoriamo, del deputato Spaventa.
Ebbene, o signori, è qui il punto, il centro dove intendo raccogliere i raggi della vostra attenzione, e dell'attenzione del paese. Le due sentenze sopra le quali dovete portare, o signori, il vostro giudizio inappellabile si fondano sopra questo che io non esito a chiamare demagogia di criteri nel giudizio di un uomo, di un cittadino in un paese civile. E mi spiego.
Esiste, o signori, una gerarchia naturale nella società umana fondamento dell'ordine pubblico, perchè la gerarchia dei pubblici funzionari, le potestà ufficiali che emergono non sono che le risultanze, non sono che l'espressione della gerarchia che già esiste nei consorzio umano, in virtù della quale il padre per età è superiore al bambino, il dotto è superiore all'ignorante, il capitalista è superiore all'operaio secondo il concetto che della società ci facciamo noi tutti uomini di ordine; ebbene, a mio giudizio Roma e l'Italia hanno avuto questo spettacolo che due sentenze di tribunali, governando gli uomini che vi stanno dinanzi, e che compariranno dinanzi al paese domani, hanno tenuto conto della denuncia, notate bene, di un uomo che non posso nominare, e non hanno fatto alcun caso del grido di cento testimoni rappresentanti il fiore della nazione, da Domenico Berti a Silvio Spaventa che credevano le accuse assurde, assurdità che si fondava sul fatto che quei documenti erano rimasti per molti anni nell'archivio del Governo.
Ora che tanto si parla di demolizione, si teme tanto la distruzione dello Stato, in un paese dove tanto si temo la distruzione del rispetto alla legittima autorità voi avete questo esempio di demagogia, che sì è dato più peso, più importanza ai criteri di un uomo che non si può nominare in un Parlamento, e si sono messi nel dimenticatoio quelli di un plebiscito di onore che venne a deporre in mio favore.
Questa è la fisonomia e la ragione del fatto, che voi potrete giudicare diversamente, ma non senza rilevare l'esempio strano del contrasto tra l'onnipotenza, che può acquistare un denunziante, che abbia dietro di sè gli uomini che hanno in mano il potere, ed il sentimento delle coscienze ed intelligenze nazionali le più oneste!
presidente. Concluda, onorevole Sbarbaro.
Sbarbaro. Anzitutto v'è qualcosa che non può esser dimenticata e non può passarsi sotto silenzio.
Non è ufficio del sistema, dell'organismo del nostro diritto nazionale, non è ufficio supremo della Rappresentanza nazionale di impedire l'usurpazione delle potestà inferiori? E non spetta alla Rappresentanza nazionale, in ultima analisi, nei casi dubbi, di vedere quando è il caso che vi sia stata usurpazione di poteri? Ho cercato quindi di esporvi una quantità di argomenti tecnici, che potranno essere svolti più ampiamente, per provarvi che nel mio caso vi è stato abuso del potere esecutivo sul giudiziario.
Ora voi siete chiamati a ristabilire l'equilibrio che vi si accusa di voler turbare. Siete voi che dovete ristabilire il sentimento di quest'armonia fra i poteri che fu alterata. E l'alterazione di quest'armonia, l'invasione noi sacro recinto della giustizia per parte del potere esecutivo, non è una mia opinione. Mi sarei ben guardato di parlare, se non avessi la coscienza di dir la verità quando affermo, e voi non mi potrete contradire, che come me la pensano tutti, che come me lo avevano pensato 8000 cittadini che per caso si trovavano ad aver vacante il loro collegio elettorale; e se ce ne fossero stati 10 di collegi, come disse l'onorevole Parenzo, avreste veduto ripetersi lo stesso fatto.
E potete voi, espressione della coscienza nazionale, potete voi, emanazione del suffragio popolare, adoperare un criterio diverso per giudicare della stessa materia? Lo potete voi? Dico che la Camera è chiamata a fare atto di ristauro dell'ordine e non a usurpare prerogative di altri poteri!
Ed ora aggiungo una piccola osservazione contro l'eterno sofisma di tutte le tirannidi mascherate. Queste dopo aver inquinata la giustizia, adoperano il solito sofisma, il vieto argomento del rispetto alla giustizia stessa che hanno inquinata. Si dice che se la Camera pronunziasse un voto in armonia con quello che ha già pronunziato implicitamente ed esplicitamente, di fronte alle popolazioni verrebbe a ferirsi gravemente il prestigio della magistratura.
L'argomento, o signori, è tanto grave che impone a me, cittadino italiano, il dovere di preoccuparmene, e se io avessi creduto, o signori, che un voto favorevole non a me soltanto, ma alla garanzia che è in questione con me, potesse avere
per effetto di scemare nelle popolazioni il rispetto dovuto alia magistratura, credo che nessuno mi interromperà se dico che non avrei domandato di parlare, o avrei parlato in senso contrario.
Posso non esser giudicato da voi ad un modo, possono esservi qui dei benevoli e non benevoli per me, mi si possono rinfacciare mille difetti, ma c'è una cosa che nessuno di voi, neppure il mio più fiero nemico, il più offeso da me, avrà il coraggio di dire, ed è che io sia curante del mio interesse, che cerchi la tutela del mio utile, anzi si sono valsi, per dipingermi come un mentecatto, di questo fatto, che nell'organismo mio il sentimento dell'utile non si trova.
Se io dunque avessi la convinzione che un voto favorevole a me vulnerasse quel prestigio della magistratura che non si tiene alto con parole vuote, ma si consolida con riforme sapienti e con tutto un complesso di atti e di costumi politici, per parte del potere esecutivo, non avrei parlato in questo senso.
Vengo dunque a rispondere a questo vieto sofisma. E qui la prima osservazione che si presenta è questa: che il prestigio della magistratura se mai è stato vulnerato, non lo sarebbe da voi, non sareste voi che arbitrariamente gettereste una parola di biasimo sull'oracolo del magistrato, non sareste voi che creereste questa situazione di cose, poiché voi l'avete trovata e l'avete già rettamente apprezzata col vostro voto, voi non fareste che conformarvi al sentimento universale; e poi, mettiamoci una mano sulla coscienza, m viola forse il prestigio della magistratura quando si giudica in un modo diverso ? Ma allora la Cassazione che cancella tante sentenze di tribunali inferiori e qualche volta scopre errori molto massicci negli oracoli della magistratura e dice no dove il tribunale inferiore ha detto di sì, vulnera forse il prestigio della magistratura? E voi, Rappresentanza nazionale, che cosa siete, se non la più alta delle magistrature, inquanto che avete il diritto di giudicare se si possa o no concedere l'autorizzazione a procedere?
E qui devo respingere come incostituzionale una teoria con la quale si dice, invocando male a proposito i precedenti, che l'articolo 45 dello Statuto, non contiene che una semplice formalità, e che la Camera, senza entrare nel merito, ha sempre usato molta deferenza all'autorità inquirente che domanda di procedere. No, o signori.
Prima di tutto bisogna osservare una cosa. Fosse anche vero (ciò che non è) che la Camera abbia semplicemente verificato i caratteri estremi delle imputazioni e dei reati, e che abbia lasciato molto liberalmente il suo corso alla giustizia ordinaria, sapete, o signori, perchè l'avrà fatto? Perchè non si sarà mai presentato un caso tanto grave come il presente. E che modo di ragionare è mai questo, che desume da una tradizione insignificante gli argomenti per risolvere una questione nuova negli annali parlamentari, nuova, dico, per la sua gravità, nuova per le origini del processo, nuova per gli scandali che hanno accompagnato lo svolgimento del giudizio, nuova per le circostanze in cui l'eletto si è trovato di balzo strappato da un carcere di mezzo ai malfattori, e portato in mezzo al fiore della nazione? Dico questo perchè voi sentiate tutta la gravità della questione.
Non è vero che la Camera abbia interpretato l'articolo 45 dello Statuto, come una semplice formalità. Qualche volta ha fatto atto di vera giurisdizione, e ha negato l'autorizzazione. E quando l'ha negata? Basterebbe citare un sola esempio. Altra volta il Parlamento subalpino ha fatto uscire di carcere un uomo il cui figlio siede su quei banchi.
(Accenna a sinistra).
Altra volta (e questo è un fatto anche più, memorabile) il Parlamento subalpino ha fatto mettere in libertà Didaro Pellegrini, accusato di avere suscitato e incitato alla ribellione la città di Genova contro la monarchia di Savoja. Il Parlamento subalpino, di cui le memorie si possono sempre invocare con orgoglio, ha avuto questo sentimento delle sue prerogative, mentre la reazione infieriva in Europa.
Io aspetterò che, in tanta calma, e sotto il migliore dei Ministeri possibili come diceva il migliore dei deputati possibili, l'onorevole Lugli, voi rinneghiate queste gloriose tradizioni.
presidente. Ha facoltà dì parlare l'onorevole
Parenzo.
Parenzo. Onorevoli colleghi, non so se voi ricordiate che io ho impreso, più volte, a parlare in discussioni analoghe, interpretando sempre restrittivamente l'articolo 45 dello Statuto; e che, qualche volta, mi sono anche trovato a votar contro colleghi della stessa parte della Camera, perchè appunto ho sempre esaminato la questione obiettivamente, come interpretazione di legge, e, come interpretazione di legge in armonia con gli spiriti che mi paiono più moderni e dei tempi nostri.
Da ciò voi intenderete facilmente come, se io imprendo, oggi, a parlare, non sia per trarre la questione nel campo politico o in quell'ordine di considerazioni che hanno formato tema del discorso dell'oratore precedente. Anzi, troverete
logico e naturale che io, memore di questi precedenti miei, mi associ alla conclusione dell'onorevole relatore, in quanto essa tende a fare autorizzare dalia Camera la continuazione del procedimento contro il deputato Pietro Sbarbaro.
Tanto più, naturalmente, che lo stadio dei giudizio, oggi, è questo: che si deve discutere intorno ad un ricorso presentato al supremo magistrato del regno dall'imputato, il quale ha, con la presentazione di questo ricorso, esercitato il più sacro dei diritti: quello di denunciare alla magistratura veramente competente, quelle che a lui paiono violazioni di legge, violazioni dei suoi diritti.
In questo stato di cose, la Camera, se pure, con una larga interpretazione dell'articolo 45 dello Statuto, potesse entrare in molte di quelle considerazioni a cui chi ha parlato prima di me accennava, è evidente, dico, che, in questo stato di cose, non lo può: poiché si tratta di discutere un atto che parte dall'imputato; si tratta di discutere un atto che non è se non la espressione dell'esercizio di un suo diritto: quello di denunciare al supremo magistrato del regno una sentenza che lo offende o nell'onore, o nella persona.
Ciò posto, e sebbene mi sembri correttissima la conclusione di autorizzare la procedura, nasce però un'altra questione la quale è pur essa stata magistralmente trattata dall'onorevole relatore Arcoleo, ma sulla quale io credo sia opportuno che ritorniamo perchè si stabilisca in qualche modo qualche cosa che sia l'espressione ¿'un'opinione delia Camera, se non l'opinione del guardasigilli.
È una questione la quale tocca direttamente una delle principali prerogative del Parlamento; imperciocché, se si può intendere che il Parlamento possa anche, in date occasioni, rinunziare perfino alla prerogativa che riguarda il corso d'un procedimento, vi è però l'altra parte dell'articolo 45, quella che tocca la libertà personale, che tocca l'arresto dei deputati, che voi comprendete essere cosa assai più delicata, ed assai più importante.
Ora a me pare che sebbene le teorie svolte dall'onorevole relatore siano certamente commendevoli, e ad esse mi associ assai volentieri, pur tuttavia esse rimangono sempre allo stato d'opinione individuale, possono dar luogo ad equivoci, e possono far ritenere anche all'opinione pubblica fuori di qui (poiché essendo in un'assemblea politica ci dobbiamo preoccupare delle impressioni dell'opinione pubblica) che la Camera, nell'autorizzare il procedimento contro Pietro Sbarbaro, abbia altresì autorizzato l'arresto del medesimo.
Ed io sono sicuro che molti di noi, che sono dispostissimi a votare l'autorizzazione a procedere, si sentirebbero per lo meno più restii (adesso non voglio entrare nella coscienza dei miei colleghi) ad autorizzare l'arresto.
Perciò mi son permesso di domandare la facoltà di parlare perchè credo che sia su questo terreno che noi dobbiamo discutere, affinchè dalla nostra discussione emerga più chiaro il concetto che noi non intendiamo, coll'autorizzare il procedimento contro Pietro Sbarbaro, autorizzarne pure l'arresto.
Io non voglio naturalmente prevenire quella che possa essere l'opinione del supremo magistrato; io apprezzo le riserve fatte dall'onorevole relatore intorno a quest'argomento; ma ci sono due questioni assai distinte; vi è una prima questione, nella quale forse la Camera può non entrare, ed è questa: siccome il nostro Codice di procedura penale prescrive che i condannati ad una pena superiore a 3 mesi di carcere non possono ricorrere in Cassazione, se non si costituiscono in carcere nei 10 giorni dalla presentazione del ricorso, ovvero se non ottengono la libertà provvisoria, lo Sbarbaro, il quale si trovava nelle condizioni volute dalla legge perchè esso era già in carcere quando ha presentato ricorso, e che quindi aveva acquistato il diritto a che questo ricorso fosse discusso, ora che per il fatto della nomina a deputato, il quale lo mette nella condizione di sicurezza, stabilita dall'articolo 45, viene liberato, ha egli l'obbligo, quando dalla Camera sia accordata l'autorizzazione a procedere, di costituirsi in carcere perché il suo ricorso possa essere discusso?
Ecco una questione la quale non è nella competenza della Camera; è nella competenza della Corte di cassazione, la quale, secondo il mio modo di vedere, dovrebbe intimare al ricorrente, o di mettersi nelle condizioni della legge, ed ove non sì metta nella condizioni della legge, discutere se il suo ricorso sia ricevibile, o no.
Dunque fino qui, autorizzando a procedere, la Camera non autorizza l'arresto del deputato Pietro Sbarbaro.
Ma, dato che la Corte di cassazione decida la irrecivibilità del ricorso, perchè il deputato Sbarbaro non si è costituito in carcere, diventa eseguibile la sentenza della Corte di appello e si autorizza fin d'ora dalla Camera l'arrestò? Io credo di no.
È su questo punto che io desidero sentire il parere dell'onorevole guardasigilli, certo che nessun ufficiale del Pubblico Ministero si permetterebbe, contro il suo avviso, di dare esecuzione ad una sentenza, in seguito al rigetto del ricorso, che fosse fatto dalla suprema Corte di cassazione.
Io credo che l'avere sollevato la questione ed avere su di essa richiamata l'attenzione della Camera sia stato utile ed importante; affinchè nel paese sia bene inteso, bene stabilito, e non nascano equivoci, che la Camera, nel voler dar corso al diritto esercitato dallo stesso imputato, presentando il ricorso in Cassazione contro una sentenza che lo colpiva, nello autorizzare che si continui la procedura da lai stesso invocata, non ha menomamente inteso di pregiudicare la questione della sua libertà personale e dell'esercizio, finché la Camera è aperta, dei suoi diritti di deputato.
presidente. Ha facoltà di parlare l'onorevole
ministro di grazia e giustizia.
Tafani ministro di grazia e giustizia. Avendo
l'onorevole Parenzo sollevata una questione che si connette necessariamente
al valore di talune disposizioni del Codice di procedura penale ed alla
giurisdizione della suprema magistratura, è debito mio di dire alla Camera
la mia opinione.
L'onorevole Parenzo ricorderà che dal 1854 fino ad ora, la Camera dei deputati e la suprema magistratura del regno, hanno vissuto in una specie di conflitto permanente, intorno all'argomento che oggi si agita nella Camera. Fa precisamente in quell'anno che l'avvocato Buttini condannato, credo, per reato di stampa, trovavasi ricorrente alla Cassazione, ma prima che il ricorso fosse discusso, venne eletto deputato.
La Corte di cassazione di Torino fissò, dopo l'elezione, la discussione del ricorso, ma avendo il difensore del neo-deputato Buttici elevata innanzi alla stessa la eccezione di difetto di giurisdizione per pronunziare sul ricorso, atteso che l'elezione a deputato aveva rivestito il giudicabile della guarentigia proveniente dall'articolo 45 dello Statuto, la Cassazione di Torino con un'elaborata sentenza respinse l'eccezione del difensore e affermò che in quello stadio non v'era affatto bisogno dell'autorizzazione a procedere; che trattandosi di una sentenza già definitiva nel fatto, che si trovava dinanzi alla Cassazione, per le sole possibili nullità che nella medesima sentenza o nel procedimento potessero trovarsi, non si trattava più, in quello stadio, della persona del deputato, ma di un giudizio intorno ai giudici che avevano pronunziato la sentenza; e fu respinta l'eccezione e confermata la sentenza col rigetto del ricorso.
Fu allora che l'onorevole Buttini diresse una lettera al presidente della
Camera a Torino, e disse: «Signor presidente, non per la mia persona (poiché si trattava di
pena brevissima, di sei giorni di carcere), ma solamente perchè io
credo che la Cassazione di Torino, abbia commesso attentato contro
la guarentigia parlamentare sancita dall'articolo 45, domando che la
Camera provveda»
Alquanto più tardi la stessa teorica fu rifermata da altra Commissione e mercè elaborata relazione dell'onorevole Mancini.
Pero dopo parecchi anni, nel 1870, in un fatto quasi simile, la Cassazione di Firenze, lungi dal piegare il capo dinnanzi alle conclusioni delle Commissioni parlamentari, emise una seconda sentenza confermando quella della Cassazione di Torino; e così, non solo risvegliando, ma mantenendo in permanenza il conflitto tra le due supreme autorità, la politica, e la giudiziaria.
Era in questo stato la vertenza, quando è avvenuto il fatto, del quale noi ci occupiamo. Abbiamo avuta la elezione a deputato dì un condannato ricorrente, il quale trovavasi già in carcere per effetto di regolare mandato di cattura e con una sentenza, per di più, passata in cosa giudicata, che respingeva la sua domanda di libertà provvisoria.
Allora sorse la questione, e si impose, prima che si imponesse all'autorità giudiziaria, al potere esecutivo. Lo stato delle cose era questo: il conflitto era ancora vivo; la suprema magistratura non aveva ceduto alla teoria della rappresentanza nazionale, nè la rappresentanza nazionale aveva ceduto alla teoria delia suprema magistratura.
Noi, potere politico, credemmo (salvo ciò che potesse fare l'autorità giudiziaria, la quale rimaneva pienamente libera ed indipendente) di piegare il capo alla teoria parlamentare, non mai smentita, anzi autenticata con la relazione Cadorna, e riaffermata con la relazione Mancini.
Piegando il capo alla giurisprudenza parlamentare, ne era conseguenza necessaria ritenere il condannato, ricorrente di oggi, coperto della guarentigia dell'articolo 45, onde la necessità di chiedere il consenso della Camera per il proseguimento del giudizio e quindi l'altra necessità di porlo in libertà, imperocché se la guarentigia veniva a circondare costui, l'azione penale veniva ad essere sospesa per conseguenza. Ma parte dell'azione penale
era appunto la cattura, quindi anch'essa doveva restare sospesa; da qui la liberazione.
E la liberazione fu ordinata. Dopo ciò io attendeva non senza trepidazione quale contegno avrebbe tenuto la Cassazione di Roma, che è oggi il vero supremo magistrato dei conflitti, imperocché lo stato di conflitto tra due supreme autorità al di sopra delle quali non ve ne è un'altra, è sempre cosa che se non può dirsi che scuota, è certo cosa che non contribuisce alla maggiore solidità delle istituzioni dello Stato. Con sommo mio soddisfacimento però ebbi ad apprendere, dopo poco tempo, (ed anzi fu l'ultima nota che mi scrisse il compianto procuratore generale De-Falco) che ormai era tempo di far cessare questo conflitto e che la autorità suprema di Roma credeva che fosse il caso di piegare il capo innanzi alla rappresentanza nazionale e di richiedere la autorizzazione a procedere ed allo scopo mi si prometteva nella stessa nota la domanda e l'invio degli atti. Io non potei che applaudire a questo atto della suprema autorità giudiziaria di Roma, la quale dissipava così tutto ciò che poteva costituire un pericolo permanente, il conflitto di due autorità supreme al di sopra delle quali non ve n'è altra che possa dirimerlo; onde il vederlo cessato non può che dipendere dalla prudenza e dal senno di esse medesime. Così fu fatta la domanda di autorizzazione a procedere, la quale di per se stessa veniva veramente a chiudere un periodo che non poteva rassicurare alcuno.
E come era concepita questa domanda? Bisogna ricordare che il Capo del Pubblico Ministero presso la Cassazione chiedeva alla Camera il permesso di proseguire il giudizio con tutte le garantie, noti l'onorevole Parendo, tutte le garantie volute dalla legge.
Quali orano le garantie a cui alludeva il procuratore generale della Cassazione di Roma? Era evidente: lo stato di cattura di quegli che era ricorrente.
E perchè il procuratore generale con una sola frase chiedeva contemporaneamente l'autorizzazione a procedere, e l'autorizzazione ove ne fosse il caso alla cattura del ricorrente medesimo?
Era evidente anche questo, perchè lo stato di cattura nel caso in esame si connetteva implicitamente, necessariamente all'atto della discussione del ricorso.
Noi possiamo avere tre specie di cattura secondo il Codice di procedura penale; vi è la cattura che precede qualsiasi procedimento, e questa dipende solamente da un giudizio più o meno di opportunità dell'autorità che la richiede e di quella che la decreta; in questo caso io potrei comprendere sino ad un certo punto la deliberazione di un'assemblea politica la quale dicesse: io vi consento di procedere, ma mi riservo di darvi un secondo consenso per l'esecuzione della cattura.
Vi ha un altro genere di cattura allo estremo contrapposto, ossia la cattura che ha luogo per la esecuzione di una sentenza passata in giudicato, quando il procedimento per giungere a questa sentenza fu fatto senza la cattura dell'imputato. Allora dovendosi mettere in arresto per esecuzione della sentenza un imputato coperto di garantia, verso il quale sarebbe occorso il permesso a procedere, senza dubbio bisogna venire innanzi dell'Assemblea nazionale per domandare la venia della cattura per esecuzione della sentenza.
Noi non avemmo che un caso solo di questo genere, se non vado errato, nelle ultime elezioni di questa Legislatura.
L'onorevole Falleroni era condannato a sei mesi di carcere, ma si trovava all'estero; dopo eletto deputato rientrò nel nostro territorio. Il Pubblico Ministero chiese se egli poteva arrestare questo condannato con sentenza passata in giudicato; ma il guardasigilli d'allora disse: no, costui è un deputato, e bisogna che ci sia il permesso della Camera per la sua cattura. E la domanda relativa si trovava già davanti alla Camera, ma la discussione non ebbe luogo, perchè l'onorevole Falleroni, decaduto dalla qualità di deputato, si affrettò di andare fuori dei confini del regno.
Ma oltre queste due specie di cattura, per le quali può esser lecito
l'opinare che vi sia bisogno di un permesso speciale, v' è una terza
cattura, la quale non è determinata da motivi di sicurezza pubblica o di
prevenzione o di necessità istruttorie; una cattura
Questo è il caso attuale.
Ci troviamo dinanzi ad un condannato in prima e seconda istanza, il quale, avendo portato ricorso in Cassazione, trovavasi nello stato normale di un ricorrente: si trovava in carcere. Avvenuta la elezione, è stato messo fuori per effetto della guarentigia; si può dalla Camera dei deputati fare
una distinzione ed emettere un doppio voto; l'uno che riguardi il proseguimento del dibattimento, l'altro la cattura?
Io credo che no; imperocché il negare la cattura lignifica rendere effimera l'autorizzazione a procedere. Se la Camera che ha data l'autorizzazione, nega la cattura, implicitamente nega l'autorizzazione a procedere. In altri termini, lo ripeto, il negar l'una significa negar l'altra, ed accordar l'una negando l'altra significa accordare effimera cosa.
Però, a dare una specie di tranquillità all'onorevole Parenzo, appunto perchè si tratta di una cattura che non interessa il Pubblico Ministero, ma interessa unicamente il ricorrente, io credo, e per quanto dipende ed è diritto del potere esecutivo, posso affermare che sarà così fatto, che ove la Camera accordi l'autorizzazione a proseguire il procedimento del quale ora trattiamo, il Pubblico Ministero non ha alcun interesse a disporre o a richiedere la cattura del ricorrente. Io credo che le conseguenze dell'autorizzazione a procedere saranno queste: la Corte di cassazione appunterà la causa per il ricorso, e forse potrà anche dire al ricorrente: badate, che secondo la legge questo ricorso non può esser discusso, questo gravame non può essere da noi conosciuto, se voi non vi trovate nella condizione voluta dall'articolo 657 del Codice di procedura penale, fate quello che credete.
(Ilarità).
Io non posso dire altro.
(Commenti).
Perchè la Camera abbia un'idea chiarissima del mio argomento è bene leggere queste quattro righe che costituiscono l'articolo 657 del Codice di procedura penale:
«I condannati alla pena del carcere eccedente tre mesi, con
sentenza in contraddittoria od in contumacia, non saranno ammessi a
domandare la cassazione, allorché non siano costituiti in
carcere»
Qui si tratta, o signori, dell'interpretazione di un articolo del Codice di procedura penale ed è per questa ragione che mi sono intromesso nella discussione, perchè quanto all'interpretazione della guarentigia della Camera, la Camera è sovrana e può fare quello che vuole; ma è debito mio di mettere innanzi ai suoi occhi le conseguenze di una qualsiasi deliberazione.
Facciamo dunque l'ipotesi che sia votato dalla Camera un ordine del giorno con cui si dica esplicitamente: concediamo l'autorizzazione a procedere, ma neghiamo che colui che ha chiesto il ricorso si metta in istato di cattura. Ebbene che cosa significherebbe quest'ordine del giorno? Significherebbe questo, che nell'interesse del ricorrente d'oggi l'articolo 657 non abbia valore. E l'autorità giudiziaria può essa necessariamente ritenere abolito un articolo del Codice di procedura penale per effetto di un voto della Camera dei deputati?
(Commenti).
Io ne dubito grandemente.
Può la Corte di cassazione evitare qualsiasi conflitto e trovare una forma di conciliazione dei due estremi, ma potrebbe anche dire: poiché ho un voto della Camera da un lato, ma ho anche dall'altro lato un articolo del Codice di procedura penale che m'impone di fare altrimenti, io obbedisco al Codice di procedura penale.
Parenzo. Chiedo di parlare.
Una voce. C'è anche l'articolo 45 dello Statuto.
Tajani ministro di grazia e giustizia. Perdono
l'articolo 45 dello Statuto impone la necessità dell'autorizzazione della
Camera per procedere.
Ma nel caso attuale, in cui lo stato di cattura, è parte essenziale del procedimento, nel caso attuale in cui la legge vuole che il procedimento non possa seguire senza lo stato di cattura, non si può dividere l'una dall'altra cosa. Questo, ripeto, è il mio parere e credo di essere nel vero.
Ho udito con piacere che l'onorevole Parenzo abbia detto, che in una questione di questo genere, il modo come va interpretato l'articolo 657 del Codice di procedura penale, debba essere riservato alla Corte di cassazione. Imperocché il modo come va spiegato un articolo di procedura penale, non entra nelle competenze della Camera. La Camera può votare come crede. Ma la discussione sul significato vero di un articolo del Codice di procedura penale, è devoluta assolutamente alla Corte di cassazione.
Io quindi pregherei la Camera di non votare nessun ordine del giorno e di lasciare ogni questione impregiudicata. E sarebbe proprio nel momento in cui la suprema autorità giudiziaria di Roma ha piegato il capo, e ha chiuso un conflitto che noi dovremmo venire a crearne un altro! Le opinioni dell'onorevole Parenzo sono state alla Camera manifestate, e le mie, che non sono lontanissime dalle sue, ma che le hanno temperate, sono state pure manifestate. Credo quindi che la Camera, senza introdursi in questo ginepraio, e senza venire a compenetrarsi nelle facoltà dell'autorità suprema giudiziaria, la quale in questo caso è stata la prima a mostrare tanto buon animo verso la Assemblea nazionale, chiudendo il conflitto annoso che esisteva tra le cine supreme Assemblee, farebbe bene a lasciar correre le conclusioni della Commissione, e che la Cassazione medesima poi decidesse nella sua equanimità il modo come possa
il caso attuale essere risoluto, nel conflitto tra le opinioni adombrate nella relazione della Commissione, e l'articolo 657 del Codice di procedura penale.
Ripeto, io conosco la sovranità dell'Assemblea in questa materia ma trattandosi che la sua decisione si connette alquanto da vicino all' interpretazione di un articolo del Codice di procedura penale, e alla giurisdizione della magistratura suprema di Roma, ho creduto mio debito di sottoporre alla Camera queste mie semplici osservazioni, questi miei semplici chiarimenti.
Arcoleo relatore. Chiedo di parlare.
presidente. Ne ha facoltà.
Arcoleo relatore. Se la Camera crede, io potrei
giustificare ora le conclusioni della Commissione.
Voci. A domani!, A domani!
presidente. Rimanderemo a domani il seguito di questa
discussione,
presidente. L'onorevole Fazio Enrico ha presentato la
seguente domanda d'interrogazione:
«Il sottoscritto domanda d'interrogare l'onorevole presidente del
Consiglio, intorno al sequestro del giornale
Il
Piccolo di Napoli
(Oh!oh!)
ed intorno alle cause che lo hanno determinato»
(Si ride).
Non essendo presente l'onorevole presidente del Consiglio, prego l'onorevole guardasigilli di volergli comunicare questa domanda d'interrogazione.
La seguente domanda d'interpellanza è stata presentata dall'onorevole Parenzo:
«Il sottoscritto chiede di interpellare l'onorevole presidente
del Consiglio sull'attuale situazione politica e
parlamentare»
Prego l'onorevole guardasigilli di voler comunicare anche questa domanda d'interpellanza, all'onorevole presidente del Consiglio.
Comunico finalmente una domanda d'interrogazione degli onorevoli Di Sant'Onofrio e Sciacca
della Scala:
«I sottoscritti desiderano interrogare il ministro dei lavori
pubblici sul servizio postale nello stretto di Messina e fra Messina
e le isole Eolie»
Prego l'onorevole ministro dei lavori pubblici di dichiarare se e quando intenda di rispondere a questa domanda d'interrogazione.
Genala ministro dei lavori pubblici. Dirò, domani, se e
quando risponderò a questa domanda d'interrogazione.
, presidente. Sta bene.
La seduta termina alle 7.
Ordine del giorno per la tornata di domani.
1. Rinnovamento della votazione a scrutinio segreto sul disegno di legge: Aggregazione del comune di Campora al mandamento di Laurino.
2. Seguito della discussione del disegno di legge: Autorizzazione a procedere contro il deputato Sbarbaro. (394)
3. Svolgimento di usa interrogazione del deputato Musini al ministro dell'interno; e di una interpellanza dei deputati Rosano e De Renzis al ministro dei lavori pubblici.
4. Costruzione del sub-diramatore a Vigevano, per distribuire le acque del Po
dal diramatore «Quintino Sella»
5. Cessione allo Stato della ferrovia da Ponte Galera a Fiumicino. (320)
6. Autorizzazione della maggiore spesa di lire 850,000 e relativi interessi dovuti alla Società Veneta d'imprese e costruzioni pubbliche per residuo prezzo di lavori di costruzione del palazzo delle finanze. (392)
7. Consorzi d'acque a scopi industriali. (267)
8. Riforma delia legge postale 5 maggio 1862 e delle leggi successive. (385)
9. Somministrazioni dei comuni alle truppe (107)
10. Disposizioni relative alla costruzione del palazzo del Parlamento. (169)
11. Suddivisione della circoscrizione giudiziaria ed amministrativa mandamentale di Pistoia. (118)
12. Estensione alle provincie Venete, di Mantova e di Roma della legge sulla coltivazione delle risaie. (194)
13. Ampliamento del servizio ippico. (208)
14. Ordinamento dei Ministeri e istituzione del Consiglio del Tesoro. (187)
15. Abolizione delle decime e di altre prestazioni fondiarie. (88)
16. Modificazioni ed aggiunte al Titolo VI della legge sulle opere pubbliche (31)
17. Stato degli impiegati civili. (68)
18. Pensioni dogli impiegati civili e militari, e costituzione della Cassa pensioni. (22)
19. Provvedimenti relativi alla Cassa militare. (23)
20. Impianto di un osservatorio magnetico in Borna. (207)
21. Riforma della legge provinciale e comunale. (1)
22. Riforma della legge sulla pubblica sicurezza. (2)
23. Disposizioni sai divorzio. (87)
24. Provvedimenti per Assab. (242)
25. Modificazioni al repertorio della tariffa doganale. (191)
26. Disposizioni per l'esercizio della caccia. (179)
27. Istituzione di una scuola normale di ginnastica in Roma. (321)
28. Progetto di nuovo Codice penale. (150)
29. Seguito della discussione del disegno di legge: Provvedimenti intesi a prevenire e combattere le adulterazioni e sofisticazioni dei vini. (311)