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PRIN 2012 - Accademia della Crusca
Atti diversi — Votazione per la nomina di un commissario di vigilanza per il fondo del culto. —Nomina della Commissione generale del bilancio. — Seguito dell'esposizione finanziaria fatta dal ministro per le finanze, e relativa presentazione di cinque progetti di legge: libertà della Chiesa, e liquidazione dell'asse ecclesiastico; tassa sui pagamenti agl'impiegati ed a vari corpi morali; unificazione delle tasse sulle concessioni, sugli atti e provvedimenti governativi; tariffa unica ipotecaria tassa sulla circolazione e negoziazione dei titoli di credito — Istanza d'ordine del deputato Crispi per la discussione dei disegni suddetti — Proposizione del deputato Mancini circa quello sulla libertà della Chiesa — Spiegazioni del ministro, e domanda del deputato Crispi — Osservazione del deputato Minghetti — Il disegno di legge sulla libertà della Chiesa è dichiarato d'urgenza. La seduta è aperta al tocco e mezzo.
Macchi segretario, legge il processo
verbale della tornata precedente che viene approvato.
presidente. L'onorevole deputato Asselta domanda per
motivi di salute un congedo di giorni quindici.
Parimente l'onorevole Poerio domanda un congedo di giorni dieci per lutto domestico.
(Sono accordati.)
L'ordine del giorno reca la votazione per la nomina di un commissario di vigilanza dell'amministrazione del fondo del culto.
(Il deputato Massari procede all'appello nominale.)
Si lasciano le urne aperte, per i signori deputati che non avessero ancora votato.
Annunzio alla Camera il risultato dell'ultima votazione di ballottaggio pei membri componenti la Commissione generale del bilancio.
Schede 265
Castagnola ebbe voti 175
Correnti 158
Barracco 158
Brignone 156
Calvino 145
Bargoni 141
Bixio 129
Mellana 120
Ricci Vincenzo 119
Ebbero voti:
Seismit-Doda Federico 116, Alvisi 112, Mazzarella 106, Cadolini 105, De Filippo 89, Maiorana-Calatabiano 83, Brunetti 82, Finzi 80, De Vincenzi 80.
La Commissione generale del bilancio pertanto è così composta dei deputati:
De Luca — Ricci Giovanni — Fambri — Gibellini — Corte — Martinelli — Crispi — Rattazzi — Ferraccio — Casaretto — Mordini — Maurogònato — Nervo — Farmi — Minghetti — Torrigiani — Sella — Biancheri — Broglio — Lanza Giovanni — Pisanelli — Castagnola — Correnti — Barracco — Brignone — Calvino — Bargoni — Bixio — Mellana — Ricci Vincenzo.
Questa Commissione è convocata per domani, alle 10 1/2 antimeridiane, onde possa immediatamente costituirsi.
presidente. Il signor ministro per le finanze ha
facoltà di parlare per continuare la sua esposizione finanziaria.
Scialoja ministro per le finanze.
(Movimento generale di attenzione)
Signori deputati!
Nell'ultima parte del mio discorso, ebbi ieri l'onore di attirare l'attenzione della Camera sopra una parte del bilancio che costituisce la prima sezione dell'uscita nel prospetto delle spese per la finanza dello Stato.
Da un'analisi che io feci di quella parte del bilancio trassi questa conseguenza, che, cioè, dall'anno venturo in poi, e sino a quell'anno in cui si compiranno le estinzioni di due grosse partite di debito, cioè dei 400 milioni del prestito nazionale e dei 212 milioni delle obbligazioni demaniali, sino a quell'anno, dico, in cui si compie l'estinzione di queste due grosse partite di debito, ha luogo necessariamente, per effetto del tempo e della natura medesima di alcune spese, una graduale
diminuzione delle medesime. Cosicchè noi possiamo sperare che, coll'aggiunta di pochi sacrifizi per alcuni anni, si riesca all'ammortamento di questa parte del nostro debito, contemporaneamente alla totale estinzione delle obbligazioni demaniali ed alla cancellazione di 60 milioni dalle attuali spese del bilancio.
Feci questa dimostrazione unicamente per inferirne come, ragionando sopra i 185 milioni del disavanzo del bilancio dell'anno 1867, io ragionassi sopra una cifra, la quale probabilmente negli anni avvenire sarà alterata sì, ma poco, ora in più ora in meno, poichè le grosse cause delle future spese trovano nell'ammortamento un necessario compenso.
Ciò premesso, io ripeto quest'oggi la domanda fatta a me medesimo nella
chiusura della parte d'esposizione che sottoposi ieri alla Camera: cioè «quali sono le vie che a me sembra doversi tenere per giungere
gradatamente all'assetto delle finanze d'Italia?»
Signori, se l'Italia non avesse attraversato tempi tanto burrascosi; se le sue condizioni economiche fossero in migliore stato; se per la mancanza dell'educazione e dell'istruzione, la qual mancanza è colpa precipua dei cessati Governi, l'Italia non avesse veduto scemare quella prodigiosa attività dei nostri maggiori; e se, debbo dirlo francamente, in tutti noi quella fermezza di propositi, quell'audacia di risoluzioni, che al certo non ci manca, fosse pure spinta finanziariamente fino a quella che chiamerei sublimità di ferocia, come in quel giovane popolo che dà esempi meravigliosi di sè al mondo al di là dell'Atlantico, io non esiterei punto a dirvi: si hanno 185 milioni di disavanzo, dunque esigiamo 185 milioni d'imposta.
(Bisbiglio a sinistra)
Diffatti dopo cinque anni di lotte intestine quando l'angelo esterminatore
aveva più volte passeggiato sulle contrade americane, appena sopraggiunta
una pace che era quiete e posa di armi, più che pace vera e concordia, il
popolo americano fece la liquidazione dei suoi debiti, e ne trovò più che 15
miliardi; guardò impavido l'immenso disavanzo, e disse: «Il disavanzo e i debiti saranno colmati e pagati con nuove
imposte.»
Ma, signori, io ho già poste le condizioni che sole potrebbero consentirci un aumento di imposte pari alla grandezza del disavanzo: queste in grandissima parte mancando, comprenderete come io non intenda giovarmi di quell'esempio per chiedere a voi che facciate altrettanto, ma semplicemente per essere confortati, e voi ed io, a più temperato proponimento.
Oggi, signori, non avrei neppure bisogno di attingere questo conforto da esempi stranieri; perciocchè la liberazione dell'Italia e l'acquisto della sua indipendenza devono non solamente cambiare l'obbietto dell'indirizzo politico finora avuto dal paese, ma altresì infonder nuovo coraggio ai contribuenti, poichè debbono essi ormai acquistare la certezza d'essere giunti all'ultimo stadio dei sacrifizi. Ed è per questa principale considerazione che io penso che dei 185,000,000 di disavanzo si abbia a provvederne 85, parte con qualche espediente e parte con imposte complementari di quelle presentemente in vigore, e con altre che devono concorrere allo assetto generale del nostro sistema de' pubblici tributi.
Comincio da questo primo argomento, e quando avrò indicato i mezzi per comporre gli 85 milioni, intratterrò la Camera intorno ai modi come io penso che gli altri 100,000,000 possano essere procacciati senza aggiungere nuovi pesi al bilancio.
Fra le partite che sono comprese nella prima parte del bilancio delle
finanze, ve ne ha una intitolata pensioni, ed è
distinta in due parti: cioè in pensioni ordinarie conferite a norma di
legge, e pensioni straordinarie che sono residui e liquidazioni dei cessati
Governi. Questa somma si eleva pel 1867 alla misura di 45 milioni. Da
parecchi anni la somma delle pensioni si viene accrescendo con grande
rapidità. E pure non è conforme all'indole di quella spesa il suo aumento
normale, perciocchè l'ammortamento dovrebbe compensare le nuove pensioni, e
con poca diversità la cifra scritta in bilancio rimanere la stessa. Ma tutti
noi sappiamo come l'Italia si è venuta formando; mentre con quelle che
chiamerei rivoluzioni pacifiche si sono disciolte le amministrazioni locali
e se n'è composta una centrale, si è attraversato anche un periodo durante
il quale il numero degli impiegati è andato crescendo; sicchè, quando,
rispettando e le posizioni antiche e le nuove, si è voluto a poco a poco
restringer il numero, era naturale che per non privare dei mezzi di
sussistenza gl'individui, che pure avevano in alcun modo servito il paese,
si sia data loro una pensione o uno stipendio di disponibilità.
Ma concedendo lo stipendio di disponibilità, la legge ha pur conferito a questi impiegati il diritto di avere dopo alcuni anni del loro servizio una pensione di riposo. Naturalmente questa condizione che dirò passeggiera, perchè non normale, ma che dura da parecchi anni, doveva ingrossare e straordinariamente ingrossare la cifra delle pensioni: in guisa che anche sotto l'aspetto amministrativo conviene oramai distinguere la partita delle pensioni, sulle quali hanno avuta tanta
influenza le condizioni passeggiere dell'Italia, da quella che si verrà normalmente formando per effetto delle pensioni anch'esse normalmente concedute.
Perchè questa liquidazione avvenga, conciliando ad un tempo la sicurezza di coloro che sono pensionati dallo Stato con i possibili risparmi che si possono fare su queste partite o almeno con la possibilità temporanea di diminuirle, io ho preparato un disegno di legge che vi verrà fra pochi giorni sottoposto, col quale, affidando alla Cassa dei depositi e prestiti il servizio delle pensioni, assegnando alla medesima una
rendita corrispondente a quella somma a cui monteranno le singole pensioni alla fine del 1870, e poi, combinando un sistema di conversione in parte volontaria, in parte necessaria, si verrà ad una conversione e ad un servizio di pensioni che ci darà la diminuzione di circa 17 milioni di uscita pei primi anni; sicchè, togliendo dagli 85 milioni questi 17, si avrà da provvedere ad altri 68 milioni. A questa differenza occorrerà supplire con un accrescimento normale delle pubbliche entrate. Come si potrà ottenere quest'intento?
La stessa cifra considerevolissima del nostro bilancio mi ha suggerito uno de' mezzi per ottenerlo in parte.
Abbiamo già più d'un miliardo di spese; dunque dovremo avere, od in un modo od in un altro, più d'un miliardo d'introiti.
V'ha dunque un doppio movimento nell'entrata e nell'uscita d'un valore che è di due miliardi e più. Le altre amministrazioni, che dirò pubbliche, ma che non sono dello Stato, hanno insieme il maneggio di mezzo miliardo, che rappresenta il valore d'un miliardo tra l'entrata e l'uscita. Quest'immenso movimento di valori è composto da una serie di pagamenti all'entrata e di pagamenti all'uscita, e può benissimo essere rappresentato da una serie fuggevolissima d'atti i quali sottoposti al bollo in una ragione leggerissima, e col metodo inglese dell'apposizione di marche, può dare una somma di qualche considerazione.
Calcolata la tassa alla ragione dell'uno e mezzo per mille, dà una somma che congiunta all'altra la quale per egual ragione può trarsi da tutti i valori negoziabili non compresi finora nella tassa di registro e bollo, ascenderà assai probabilmente a più di 12 milioni.
Altri tre a quattro milioni possono ottenersi dalla unificazione delle tasse sulle concessioni governative e sui provvedimenti e gli atti amministrativi che sono in vigore in alcune provincie e che possono estendersi ad altri atti e provvedimenti introdotti dalle nuove leggi,
Queste varie e piccole tasse possono dunque dare con certezza da 15 a 16 milioni senza quasi molestia per i contribuenti, e dirò pure senza spese di riscossione; perciocchè tutti gli atti pubblici passando per le mani di ufficiali governativi, costoro diventano verificatori dell'apposizione del bollo e quindi indirettamente riscuotitori delle imposte.
Sottratti adunque, o signori, dai 68 milioni questi 16 milioni, restano 52 milioni a cui bisogna provvedere con imposte che dirò nuove quanto alla loro istituzione, ma che io immagino dovranno essere il complemento di una sistemazione più generale dei tributi.
L'anno scorso io ebbi l'onore di proporre al Parlamento un certo sistema di
assetto delle imposte dirette. Malauguratamente una forma speciale data ad
una parte di quel sistema, colpì l'immaginazione di molti; la parola che
rappresentava quella parte secondaria, il consolidamento, ebbe come molte altre parole la sua mala
fortuna.
Dichiaro che non farò uso più ne della parola, nè del concetto ch'essa rappresentava. Ma non posso non insistere sopra una parte che era veramente essenziale di quel progetto; io non potrei non insistere contro quella parte del sistema contrario, che credo erronea: perchè io penso che l'errore non frutti a nessuno, e che quando l'errore diventi pratico abbia nel campo economico perniciosi effetti.
Qual è questa parte, o signori?
Secondo il mio avviso, l'imposta fondiaria e quella
sull'entrata sono due balzelli di natura
distinta; sicchè nel principio astratto e generale, al quale debbono poi
necessariamente essere fatti tutti i pratici temperamenti nello applicarlo,
il pagamento della imposta fondiaria non vale come argomento per sottrarre
assolutamente 1'entrata fondiaria dall'imposta sull'entrata. Questo in
principio a me pare innegabile; e mi sono confortato in questa mia opinione
quando, l'opinione contraria di alcuni onorevoli membri di questa Camera
avendo in me medesimo eccitato un dubbio, ho voluto anche chiarirmene per
autorità di quegli uomini eminenti che hanno principalmente contribuito a
porre in atto la tassa sull'entrata in altri paesi, ed a farne una potente
macchina tributaria. Essi si sono maravigliati che vi potesse essere un
dubbio su questa materia. La tassa sull'entrata è
destinata a colpire tutto ciò che entra nello scrigno e nelle tasche del
contribuente, qualunque sia la sua origine; perchè colpisce la pubblica
ricchezza in quel momento appunto che si stacca dalla sua origine, in quel
momento in cui si dispone a prendere un'altra forma, che è quella di nuovo
capitale o di spesa di consumazione.
(Ilarità e movimento)
Signori deputati, non precorra soverchiamente il pensiero dall'enunciazione di un principio alle sue pratiche ed immediate applicazioni. È questo un vezzo, lo confesso (sono italiano anch'io) del popolo italiano. Per poco che si discorra nel campo dei principii, si precorre rapidamente con quella vivacità, che è propria dell'ingegno nostro, ai casi pratici. Le vostre idee, mi diceva un giorno un uomo d'ingegno, non sono idee, sono fantasmi che si movono, voi concependole con la mente, le vedete cogli occhi e le individuate; è questo un gran pregio di un popolo eminentemente artista e poeta come è il nostro.
(Ilarità e movimenti)
Ma qui, o signori, dove si tratta di finanza, l'arte e la poesia è pur
mestieri che tacciano un istante. (Nuove
interruzioni)
Ebbene, la tassa fondiaria in Italia è troppo grave, e malamente ripartita, perchè quel principio che ho enunciato possa, così crudamente come è nella sua astrattezza, avere una pratica, immediata applicazione.
Ma tra l'applicazione assoluta, illimitata di un principio, e la ricerca di quei temperamenti che possano, per quanto il permettano le circostanze, avvicinare la pratica al principio, ci corre una distanza immensa.
Io aveva accennato il principio, per fare poi seguire immediatamente questa dichiarazione che mi rendo sollecito di esporre colla stessa franchezza, colla stessa risolutezza con cui ho annunziato il principio stesso. Ma io non poteva nascondere alla Camera il mio pensiero.
Prima, perchè intendo che gli equivoci tra il Governo e la Camera, cessino interamente.
(Bene!)
Secondo, perchè una legge del 1864 impone al Governo l'obbligo di presentare
nel prossimo mese un progetto di legge relativo a questo grave argomento,
relativo appunto alla materia dell'assetto dell'imposta
fondiaria: ed io non avrei voluto attendere quel giorno per
sottoporre alla Camera un progetto che fosse informato a quel principio ed a
questi temperamenti, senza averlo detto prima; acciocchè voi siate in tempo
per sostituire al presente ministro, se il credete, un altro che possa far
meglio
Signori, solo quando si proceda contemporaneamente ad un ragionevole assetto delle due imposte principali, può conseguirsi uno scopo che, non bisogna dissimularlo, è nel desiderio della maggioranza degli Italiani. Solo allora una di quelle due e forse entrambe le imposte, riducendosi ad una ragione più discreta, senza far fruttare meno all'erario, e lasciando immuni le più basse fortune, senza restringere la somma imponibile, potrà conciliare i due interessi che in astratto sembrano opposti, cioè la maggiore entrata per lo Stato e la minore imposta pel contribuente.
Ma non è questa la sola parte del sistema che io qui accenno come semplice tendenza, come semplice punto obbiettivo dei nostri sforzi; ve ne ha un'altra.
È mio convincimento che la tassa della consumazione, come oggi è praticata da noi, sia per le finanze dello Stato una magra tassa benchè grave per i consumatori. Magra tassa, perchè i modi della sua riscossione, i modi contrattuali soprattutto, sono tali che la rendono stabile per alcun tempo, e per conseguenza poco atta a seguire quel movimento che io spero sarà per essere assai notevole in un paese che è destinato a progredire.
La tassa di consumazione sotto tutti gli aspetti, per poter diventare
utilmente tassa dello Stato, ha bisogno di essere gradatamente trasformata
in tassa di produzione.
(Movimenti)
Anche qui prego la Camera di non annettere idee troppo spiccatamente precise alle parole, che l'imperfezione del linguaggio scientifico e pratico delle finanze mi costringe ad adoperare.
La produzione in Italia si riduce principalmente a due capi che sono di
consumazione generale. I produttori sono molti e spesso non fanno di
proposito mestiere di fabbricanti; e questa è la principalissima delle
difficoltà che s'incontrano nello stabilire in Italia vere
tasse di produzione.
Quando io vi parlava di trasformazione graduale della tassa di consumazione in tassa di produzione, non ricorreva colla mente all'esempio delle tasse di produzione quali esistono presentemente, a cagione d'esempio, in Inghilterra, dove la produzione, essendo concentrata in grossi stabilimenti, possono quelle tasse pigliar la forma di imposta sulla fabbricazione.
Io intendeva tutt'altro; nè poteva insistere veramente, parlando alla
presente Camera, sulla forma della tassa di produzione, che dicesi
propriamente di fabbricazione, perciocchè due di queste tasse vennero
formulate l'anno scorso, l'una dal mio predecessore, l'altra da me medesimo,
la tassa della macinazione, e la tassa della
fabbricazione del vino.
(Movimento)
Ma queste tasse, sebbene su di esse non siasi mai pronunziato il Parlamento, pure può dirsi che non furono con gran favore accolte. Però il Parlamento avendo commesso ad una Commissione, che dal suo numero prese il nome di Commissione dei 15, l'esame non solo di quei progetti, ma di tutto il sistema finanziario, questa Commissione intorno alla tassa di produzione manifestò un pensiero, di cui io ho tenuto gran conto.
Essa credette di non respingere in principio la tassa di produzione, nè di
rigettare in massima quelle che erano state sottoposte al suo esame: non
condannò la tendenza verso la tassa di produzione, anzi andò più in là, e
dopo di aver criticata la tassa della macinazione e quella
della fabbricazione del vino, e dopo di aver ricercato se poteva
sostituirvi una tassa sulla circolazione, cioè su quel primo momento di
circolazione, in cui la bevanda esce dal produttore per andare in cerca del
consumatore, non essendovi per la brevità del tempo riuscita, commetteva al
Governo di ricercare questa, che veramente io credo che sia la fenice delle
tasse, cioè a dire una tassa che, colpendo la circolazione, sia meno molesta di una tassa che colpisca la fabbricazione.
Queste tasse ora non si inventano; vennero di già praticate; sono vecchie, ed io prego ciascuno, che voglia informarsene, di considerare se realmente la tassa della circolazione del vino in Francia ed in Russia sia meno molesta di quello che sarebbe stata la tassa sulla fabbricazione.
Per tal guisa, o signori, quando la tassa della fabbricazione del vino parve che non si dovesse accogliere, io non oserei proporre alla Camera una tassa sulla circolazione.
Quando si trattò della tassa della macinazione e di
questa medesima della fabbricazione del vino, la
Commissione che ho con onore rammentata, neppure esaminò direttamente il
merito di quelle proposizioni, ma fece un'osservazione molto sensata e
giusta: disse che mancava la macchina amministrativa per applicare
quell'imposta; perciò, o signori, le parve che non francasse la spesa di
creare questa macchina complicata e costosa, senza acquistare grande
certezza della riuscita dell'impresa.
Quantunque io non avessi l'onore di essere d'accordo in alcune idee sostanziali colla maggioranza di quella Commissione, pure in ciò dovetti convenire che il suo avviso era giusto e prudente.
E pensando sempre meglio sulle osservazioni esposte splendidamente nella
relazione sui provvedimenti finanziari dal dotto relatore di quella
Commissione, mi sono persuaso che in Italia le imposte sulla produzione, così come erano a prima giunta concepite
ad imitazione straniera, incontrano questo grande inconveniente, cioè d'aver
bisogno d'una macchina amministrativa troppo complicata: e che quindi lo
Stato non può arrischiarsi a farne la prova se non quando dopo alcuni anni,
avendo prima esperimentato indirettamente se vi può riuscire, acquisti il
convincimento che quelle tasse possono render tanto da francarne largamente
la spesa.
Io quindi, ritenendo sempre del mio sistema la tendenza della trasformazione di cui vi ho parlato, non intendo di proporre a questa Camera vere tasse, sulla fabbricazione al modo inglese, come vi furono proposte l'anno scorso, le due di cui vi ho parlato: ma ho preso a studiare questo punto sotto un altro aspetto, e fra un paio di settimane al più tardi, sarò in grado di sottoporre alla Camera, formolate in alcuni progetti di legge, due specie di tasse, che senza avere tutta la forma vessatoria di tasse dirette sulla fabbricazione, siano, piuttostochè dazi che direi tra la consumazione e la produzione, tasse che colpiscano il prodotto appunto in quel primo momento in cui esce dal produttore per andar ad incontrare il consumatore, o che possano anche essere sussidiariamente dal consumatore medesimo pagate. Queste tasse rivestendo una forma speciale, e provata da segni visibili, se cadono su prodotti la cui lenta consumazione si faccia in pubblico, sotto l'ispezione di tutti, potranno nello stesso tempo avere due grandi risultati, il risparmio del riscontro, e delle spese di riscossione, la facilità, e, quasi direi, la volontarietà della contribuzione.
Di questa specie d'imposte ci sono già altrove alcuni precedenti; ci sono in casa nostra e da molto tempo i germi. Così per esempio negli Stati Uniti d'America, avendo il Governo considerato come tutti i fabbricanti delle scarpe di guttaperca mettano un'impronta della fabbrica per accertare il consumatore dell'origine loro, concepì il disegno di fare apporre un'impronta per parte del Governo ad ogni specie di calzature mediante il pagamento di una tassa.
E se voi, o signori, guardate sulla nostra persona troverete certamente un oggetto qualunque d'oro, fosse non altro che la cassa del nostro oriuolo; ebbene questi oggetti d'oro che ciascuno di noi ha, e quelli che hanno le nostre signore per ornamento, sono tutti improntati d'un marchio. Gli è vero che la consuetudine non ci ha fatto più porre mente a quest'impronta, perchè è di data più antica della età di ciascuno di noi; ma noi sulle nostre mense abbiamo argenti improntati, ne abbiamo da per tutto altrove nelle nostre case, ed abbiamo come oggetti di lusso lavori preziosi e gingilli marchiati; e quell'impronta se avesse seguito i progressi dell'arte avrebbe potuto perfino oggi diventare anch'essa un complemento di ornato e di bellezza.
(Ilarità)
Quando in Inghilterra Rowland Hill concepì per primo il disegno di convertire il pagamento del prezzo del servizio che rende la Posta in un bollo che volontariamente si possa apporre alle lettere, incontrò la resistenza di tutti. Tredici anni insistè, e voi sapete, o signori, quali siano stati i maravigliosi effetti e pel commercio e per la finanza di quella semplice, ma pur maravigliosa invenzione. Sicchè la proposta a cui accenno, quando sarà formulata, troverete che sarà degna di tutta quanta la vostra attenzione, e meritevole di un serio e grave esame. Io sono certo che questa tassa pagata come parte di prezzo, e sotto due forme varie ed entrambe leggiere, ci potrà rendere, con piccolissimo sacrificio de' contribuenti, non meno di quindici o venti milioni.
L'altra tassa di fabbricazione che io procurerò di venir trasformando in una
lieve imposta, sarà quella medesima che, quando si volle spingere ad una
misura troppo elevata, dovette assumere forme necessariamente moleste o
d'incerta applicazione. Questa tassa che prima si chiamava di macinazione, e
che sotto altra forma prenderà nome di tassa sui
molini, sarà tanto lieve da poter essere pagata senza mezzi molesti
e senza grande sacrifizio dei contribuenti. Per questa specie di tasse, o
signori, la parte principale è la forma cioè il modo di applicarle e di
percepirle: questi modi variano secondo la gravità delle tasse, poichè è
impossibile in certi casi usar modi semplici, e per dir così di transazione,
quando si richiede una tassa troppo grave; domandando centinaia di milioni
alla produzione delle farine, è difficile che la tassa non riesca molesta;
chiedendole non più che 30 a 35 milioni su 25 milioni di abitanti, la tassa
può esigersi in modo da riuscire facile, semplice e poco grave ai
contribuenti.
Sono questi 30 a 35 milioni s o signori, che uniti agli altri che vi venni accennando, compiono i 52 milioni che io divisava, con proposte di leggi da sottoporre al Parlamento, di richiedere alla pubblica contribuzione.
In ogni modo, siano queste le tasse, siano altre, sia il ministro che ha l'onore di parlare oggi in Parlamento, sia un altro che ve ne proponga nuove e diverse, quello di cui sono certo è che sia debito di tutti, di voi, del Governo di chiedere, dal prossimo anno in poi, nuovi sacrifizi…
Voci a sinistra. No!
Scialoja ministro per le finanze. … ai contribuenti
per salvare il paese! L'avere, o signori, soverchiamente esitato, ci ha
fatto giungere al punto in cui siamo; se il coraggio che (spinti da
necessità troppo urgenti) avemmo più tardi, lo avessimo avuto non più che
tre anni prima
per previdenza, oggi, o signori, avremmo saldato il disavanzo, fatta la guerra all'Austria, speso 400 milioni e ci resterebbe ancora un risparmio non minore di 30 milioni sulle spese.
Diffatti, nel 1863 la nostra entrata era di 519,284,000 lire; nel 1864 di 522 milioni; oggi nel 1867, le nostre entrate saranno di 756 milioni; sono dunque in tre anni cresciute di 237 milioni.
Una voce. Colla Venezia.
Scialoja ministro perle finanze. Senza la Venezia.
Parlo del bilancio del regno d'Italia come era prima dell'aggiunta delle
nuove provincie. Ebbene, durante questo stesso periodo, quanti debiti siamo
noi stati costretti a contrarre? Nel 1863, lire 36,438,230; nel
1864,28,250,232; nel 1865, 35,092,145; in tutto, 99,780,607, cioè circa 100
milioni, che congiunti ai 237 di maggiori entrate formano l'enorme somma di
337 milioni! Ben dunque io diceva che se avessimo accresciute nel 1863 le
imposte, o se le nostre condizioni ce lo avessero permesso (perciocchè non
intendo ritornare sul passato nè giudicarlo punto troppo leggiermente), oggi
il nostro bilancio sarebbe assestato.
Se il Parlamento, se il Governo oggi indietreggiano in faccia alla necessità d'aumentare, non in quest'anno, ma dall'anno avvenire in poi, le tasse d'altri 52 milioni; da qui a tre anni si ripeterà il medesimo inconveniente che ho già indicato con uno sguardo retrospettivo. Se oggi si avesse a continuare la via battuta, voi sareste da qui a tre anni necessitati a fare senza profitto quel medesimo e più ancora di quello che oggi vi chiede il Governo: ma il fareste quando un vuoto maggiore aggiungendosi a quello che oggi abbiamo da colmare, renderebbe inutile, perchè tardivo, il rimedio. Sperda Iddio il tristo vaticinio!
(Bravo! Bene! Movimenti generali)
(L'oratore si riposa per un quarto d'ora.)
Signori deputati, abbiamo parlato di 85 milioni, ma resta ancora a provvedere
agli altri 100. (Movimenti)
Se l'Italia da oggi innanzi avrà un Governo fortemente appoggiato dal Parlamento, se acquisterà maggiore sicurezza all'interno, se farà certo il mondo che essa non fu per lo passato avida di avventure, ma solamente ansiosa di indipendenza, non può, o signori, farsi attendere lungamente quel movimento di prosperità che deve condurre il paese in tale condizione finanziaria, da potere, non solamente tollerare più facilmente le imposte, ma anche accrescere il frutto di quelle che presentemente sono in vigore. Nello stesso tempo, voi sapete, molte opere pubbliche si sono compiute, altre vanno compiendosi, e questo grande strumento di produzione concorrerà all'aumento ancora della pubblica ricchezza; sicchè, senza tema di errare nelle previsioni, possiamo ritenere che a contare dal prossimo anno in poi vi sarà un aumento sopra le imposte che seguono appunto il progresso della pubblica ricchezza, cioè sulle imposte degli affari e di consumazione. Queste imposte, compresa quella sulla ricchezza mobile, che segue anch'essa lo svolgimento della pubblica ricchezza, sommano oramai nel nostro bilancio a 480 milioni; sicchè, o signori, anche il lievissimo aumento medio, per più anni, di non più che il due e mezzo per cento, cioè 10 milioni all'anno, non è una previsione che non possa essere con sicurezza accolta.
Non istarò a ricordare a voi come in Francia, a cagione d'esempio, l'accrescimento annuale di questa specie di imposte sia tale, che alcune volte ha superato il 10 e anche il 20 per cento, e vi ha degli anni in cui alcuna di esse è giunta perfino al 30 al 40 per cento d'aumento.
Noi certamente, mi si dirà, non siamo nelle condizioni della Francia. Egli è vero, ma le mie aspettazioni sono ben più modeste di quest'aumento così rapido.
D'altra parte non è a meravigliare che quando una nazione come l'Italia da circostanze eccezionali è stata tenuta indietro nel suo progresso industriale e commerciale, e quando le condizioni estrinseche le permetteranno di riprendere il suo movimento, non può questo movimento in sul principio essere assai grande. Ond'è, o signori, questi calcoli di previsione che l'esperienza del passato mostra assai vicini al vero, spero che siano effettivamente superati; perciocchè tra le imposte che io ho comprese nella somma di 480 milioni, ve ne ha di quelle che per la loro novità e forma, non avendo ancora ben ordinati i servizi loro, rendono assai meno di quello che, anche tenuto conto della presente condizione economica del paese, potrebbero rendere. In quella somma sono pure comprese, a cagion d'esempio, le tasse di registro e di bollo, il monopolio dei tabacchi e le dogane.
Ponendo studio, come io mi propongo di fare, a migliorare ad uno ad uno questi rami di amministrazione, io spero che da essi soli possa ricavarsi quel maggiore frutto che io per ipotesi ammetteva come probabile sull'intiera somma delle imposte di 480 milioni.
Nè contribuiranno poco a questo miglioramento le riforme amministrative testè introdotte e quelle che devono compierle colla legge della contabilità dello Stato, siccome ieri ebbi l'onore di notare; sicchè, ammettendo che non più di 10 milioni all'anno in media, per una serie di anni, possano attendersi dal maggiore frutto delle imposte, facendo un calcolo scalare, voi troverete che in dieci anni, con la consumazione di 450 milioni circa, si sarà giunti a riempire il vuoto dei 100 milioni.
Ma supponete anche quest'accrescimento naturale più lento, supponete che, invece di dieci anni, se ne richieggano tredici: ebbene, invece di 450 milioni, ne abbisognerebbero 490. Ma quando avete fatta questa ipotesi, non potete più disconoscere la previsione del probabilissimo pareggio; perchè al tredicesimo anno per l'appunto incontrate l'estinzione di quei 60 milioni
di cui vi ho più volte parlato e ieri ed oggi. Sicchè con 490 milioni da spendere per far fronte ai successivi digradantisi disavanzi del bilancio, partendo dalla cifra dei 100 milioni di vuoto da riempiere, noi potremo incontrare il pareggio anche per la diminuzione necessaria, cioè per l'estinzione dei 60 milioni, al 1880.
Dunque si dirà: abbiamo bisogno di ricorrere a mezzi straordinari per trovare questi 500 milioni incirca? Ma se ricorriamo al prestito, ad una ragione alta, avremo formato un vuoto il quale poi avremo a riempiere dopo i dieci anni, e così interminabilmente la questione dell'assetto delle finanze ci si para dinanzi come un lido che si scosta dal navigante quanto più egli si crede presso ad afferrarlo.
Ebbene, o signori, i cento milioni fa d'uopo ricercarli bensì con mezzi straordinari, ma non chiederli al credito dello Stato. Noi abbiamo ancora una ricchezza, la quale può nella sua più ampia significazione chiamarsi nazionale.
(Movimenti di viva attenzione)
Ognuno di voi già colla mente precorre ai beni detti comunemente ecclesiastici, perchè realmente e legalmente o hanno formato o formano il patrimonio della Chiesa.
Ebbene, o signori, io credo che sia giunto il momento di fare due atti, l'uno di alta politica e di rigorosa giustizia, l'altro di equa e preveggente economia.
La Camera sa meglio di me come vecchia e finora non terminata è la lite fra
Cesare e il Papa, fra lo
Stato e la Chiesa.
Questa lite, che impedì molte volte il progresso della civiltà, metteva origine, o signori, nella ragione dei tempi in cui sorsero e in cui si svolsero le cause sue, i quali erano tempi di monopolio, tempi in cui la libertà stessa si veniva conquistando a brani e sotto forma di privilegio.
La lotta tra potenze tendenti ciascuna al predominio doveva necessariamente
generare da una parte e dall'altra reciproche usurpazioni, sospendersi di
tempo in tempo con reciproche concessioni, e dar luogo infine a convenzioni,
a concordati, che non tardavano ad essere violati,
quando si credeva potere ricominciare la lotta.
Ma nel tempo in cui viviamo, quando al privilegio è succeduta come diritto comune la libertà; la libertà applicata alla Chiesa deve ormai porre termine alle lotte, alle concessioni, ai concordati. La libertà della coscienza, questa grande conquista fatta dai popoli attraverso alle lotte delle due potestà rivali, la libertà della coscienza ha preparato oramai il terreno alla libertà della Chiesa,
La Chiesa cattolica, come tutte le altre Chiese, come tutte le società, come tutte le associazioni religiose, è chiamata ormai ad entrare nel diritto comune della libertà.
Non mi meraviglio che prègiudizi assai diffusi e molto radicati nella mente di molti debbano resistere a questo concetto che per sè medesimo è semplice e chiaro: perchè noi siamo abituati a considerare la Chiesa come un potere lottante contro lo Stato, come un potere che ha fatte usurpazioni, e ne ha sofferte; come un potere che si è posto a fronte della potestà civile per trattare con lei per mezzo di concordati.
Ebbene, questo concetto che noi ci formiamo della Chiesa fa scambiare la libertà sua con una astrattezza vuota di senso o con una pericolosa concessione di sregolata larghezza. E per vero la libertà della Chiesa sarebbe realmente impossibile in pratica, se avesse a consistere nello spingere due poteri avversari in due vie l'una parallela all'altra, per correrle indefinitamente l'uno accanto all'altro senza che una terza forza sia per dirigere e contenere questo e quello nella propria via. Questa astrattezza, dico, sarebbe impossibile e pericolosa, perchè due poteri sospinti per correre due vie parallele senza che altro potere ve le contenga, non sono in pratica possibili; o l'uno o l'altro non tarderebbe a deviare: la lotta dopo alcun poco risorgerebbe, le usurpazioni ricomparirebbero, e
quindi il giro delle antiche vicende ritornerebbe ancor esso.
La libertà della Chiesa cattolica, come la libertà di qualunque altra Chiesa, noi la concepiamo altrimenti.
Quest'antica e venerata società, quest'associazione religiosa è venuta poco a
poco formando le sue costituzioni, i suoi regolamenti, diciamolo colla
parola più usuale, i suoi statuti: questi regolamenti, queste norme, queste
costituzioni, questi statuti, ne'tempi a cui io faceva allusione, furono
qualche volta imposti in parte dalla Chiesa usurpatrice, qualche volta
tollerati dagli Stati, o riconosciuti, o lasciati praticare nell'interno
delle società civili, come leggi dello Stato medesimo in iscambio di
concessioni, o in premio di usurpazioni sul potere della Chiesa. A questo
modo, signori, lo Stato si faceva Chiesa, e la Chiesa si faceva Stato nel medesimo tempo.
No, quegli statuti non possono e non debbono per alcun verso essere considerati come leggi dello Stato, ma soltanto rispettati come patti di una società, i quali hanno effetto contrattuale, hanno forza di legge fra i soci fino a che questi persistono nel loro proposito religioso, e vogliono liberamente far parte della società a cui appartengono. Il potere costituito, lo Stato, nello stesso modo che non s'inframmette nell'interno delle società commerciali ed industriali di qualunque forma, non deve immischiarsi nella società ecclesiastica. Ma lo Stato, invigilando perchè gli statuti di ciascuna società siano rigorosamente osservati, esamina pure se i medesimi contengano qualche disposizione che offenda o le sue leggi, o 1'ordine pubblico, o il suo diritto: allo stesso modo, signori, lo Stato, sconoscendo quella parte degli statuti della società ecclesiastica, che potesse mai offendere il diritto pubblico, o le leggi sue proprie, può richiedere che
si osservino dai soci i patti contrattuali e far che questi sieno tra loro rispettati, in quanto a quegli obblighi che sono capaci di una giuridica sanzione civile, consentita dalle leggi comuni.
A questo modo, o signori, non può dirsi che la società della Chiesa sia un potere accanto al potere, che corra una via sua propria e parallela senzachè il potere generale dello Stato ne possa correggere i trascorsi, senza che possa dare protezione a coloro che nel seno della società medesima fossero in alcuni casi abbandonati o sopraffatti da altri più potenti nell'ordine gerarchico.
Concepita a questo modo, la libertà della Chiesa diventa un diritto, un diritto che dirò naturale e comune, un diritto che la legge non deve concedere, ma semplicemente dichiarare.
Questa dichiarazione di diritto, con le sue particolari condizioni, è formolata in un progetto di legge che il Governo sottopone oggi al Parlamento; e col quale egli crede di compiere un atto di giustizia, un atto di ossequio al principio della libertà, il quale o non è vero o dev'essere applicabile sotto tutte le sue forme, se non vuol convertirsi in monopolio.
Ma quando s'introduce questo nuovo diritto della Chiesa, quando con una solenne dichiarazione, ponendosi termine alle lotte, alle usurpazioni ed ai privilegi, si riconduce la Chiesa nel campo della libertà, allora, o signori, a suo complemento deve anche nel campo economico essere fatto un altro passo, deve cioè provvedersi alla sorte di quel patrimonio che la Chiesa medesima veniva acquistando nei tempi di cui ho parlato testè. Quel patrimonio, sia per la sua origine, sia pel concorso che lo Stato ha dato al suo acquisto, sia per la destinazione che altra volta aveva di sopperire ai bisogni civili, ai quali oggi provvede lo Stato, è pur mestieri che, nell'atto di entrare in questa nuova condizione di diritto, sia liquidato e diviso tra lo Stato e la Chiesa. E veramente una seconda parte del progetto di legge di cui vi parlava poc'anzi contiene le norme di questa liquidazione.
La liquidazione del patrimonio ecclesiastico tra lo Stato e la Chiesa è fatta nella ragione approssimativa di un terzo per lo Stato e di due terzi per la Chiesa. E questo terzo darà allo Stato medesimo la somma desiderata per compiere quel gran fatto che dirò più che politico sociale del pareggio del bilancio, poichè le questioni di finanza escono dal campo della politica e diventano sociali quando non si provveda a tempo e con preveggenza alla scelta dei mezzi per ripararvi.
Il modo come effettuare questa liquidazione è esposto nel progetto di cui vi parlava. Questo modo può essere duplice secondo che voglia operarsi d'accordo colla Chiesa medesima, o direttamente, se la Chiesa o per meglio dire i suoi principali rappresentanti gerarchici ricusano l'accordo che a tale uopo offre lo Stato.
Se quest'accordo ha luogo, se coloro che secondo gli statuti della società
cattolica sono rappresentanti immediati, principali della Chiesa nel regno,
accettano di volere per la parte che riguarda il patrimonio loro medesimo, e
nell'interesse degli altri enti che sono nelle rispettive loro
giurisdizioni, liquidare il patrimonio, lo Stato commette ad essi, sotto
certe condizioni che sono dalla legge stabilite, di compiere, anche
nell'interesse proprio, quella liquidazione. La quale consiste nella
disammortizzazione assoluta de' beni immobili e presuppone rispettate
interamente tutte le leggi precedentemente fatte. A codesta liquidazione
quindi non prendono parte quegli enti ecclesiastici i
cui statuti, riconosciuti come contrari all'ordine e all'interesse dello
Stato, furono dallo Stato medesimo col mezzo di leggi soppressi.
A queste condizioni, se i magnati della Chiesa vogliono essi stessi incaricarsi della liquidazione, non avranno che il debito di dare allo Stato la somma di 600 milioni, a cui approssimativamente si fa ascendere il terzo dei beni della Chiesa in Italia.
Siccome però si avrebbe a trattare con persone che per la natura del loro ministerio medesimo non sono forse acconce a fare in breve e senza lasciar loro agio e tempo sufficiente quella serie di contratti, di alienazioni, di operazioni commerciali che sono necessarie per raggiungere la liquidazione medesima, e di tenere con lo Stato una specie di conto corrente fastidioso e complicato; il Governo ha già stabilito un contratto con un assuntore, il quale, riservandosi di riscuotere egli medesimo dai vescovi, che volessero farsi liquidatori del patrimonio ecclesiastico, le somme che sono dovute allo Stato, assicura a quest'ultimo il pagamento alla ragione di 50 milioni per ogni semestre.
Ma se si ammette l'altra ipotesi, cioè che la Chiesa, rappresentata localmente dai vescovi, non accetti quest'offerta, quale ne sarà la conseguenza? Intenderà forse lo Stato in questo caso di mercanteggiare la proclamazione della libertà della Chiesa?
No, signori, lo Stato, o, per meglio dire, noi crediamo che lo Stato debba proclamare un principio, la cui attuazione è giunta oramai a maturità: quindi, anche dissidenti gli Ordinari diocesani della Chiesa nel regno, la proclamazione deve essere fatta e la legge eseguita.
Se non che la liquidazione che poteva farsi d'accordo, sarà fatta invece, per un tacito e necessario mandato dell'altra parte, dallo Stato medesimo. E perchè ardua cosa sarebbe allo Stato, compiuta la liquidazione, procedere direttamente a quella distribuzione che è regolata nell'interno delle società religiose dagli statuti ecclesiastici, lo Stato non può seguire la via medesima che seguirebbero i vescovi, ma seguirà la via inversa.
Aggiungasi che quando il Governo avesse a liquidare direttamente il patrimonio ecclesiastico dovrebbe tener conto di tutti i pesi ecclesiastici che vi gravitano sopra, che ne scemano il prezzo e che rappresentano
una entrata del clero, perchè sono in gran parte rimunerazione di opera per atti del suo ministerio.
Ond'è che lo Stato prendendo per sè tutti i beni ed alienandoli, nell'ipotesi del rifiuto dei vescovi, assegnerà alla Chiesa 50 milioni di rendita, ed esonerando il bilancio da qualunque spesa di culto o pensione e rimunerazione di qualsiasi specie, farà che la Chiesa medesima, seguendo i suoi propri statuti, distribuisca quella somma tra coloro che vi hanno diritto.
In ogni modo se il Governo ha da alienare direttamente i beni di cui si tratta, ecco il sistema ch'egli vi propone di essere abilitato a seguire: venderà i beni mobili e riscuoterà i capitali nei modi consentiti dalla legge.
Ma quanto ai beni immobili egli vi chiede la facoltà di procedere per via sommaria, senza usare quelle lente e dispendiose formalità che in pratica non hanno fatta buona prova finora, ad una grande alienazione per lotti.
Considerando però che i risparmi annuali che possono essere destinati all'acquisto di beni stabili non sono così considerevoli come dovrebbero essere per compiere in pochi anni l'acquisto d'una grande massa di beni, il Ministero vi propone di stabilire che il prezzo dei lotti esposti al concorso dei compratori sia pagabile a piccole e lente rate annuali, con facoltà di anticiparne il pagamento mediante un premio, o, come dicesi comunemente, di scontarle.
Il tempo del pagamento dovrebbe durare dai 15 ai 30 anni, per tornar utile ai compratori e per accrescere il numero dei concorrenti all'acquisto. Ma sarebbe troppo lungo pei bisogni dello Stato. E però contemporaneamente a questa vendita saranno creati dei titoli di credito i quali verranno negoziati direttamente, o per mezzo d'interposte persone, dallo Stato medesimo. Questi titoli sarebbero ammortizzabili, come sarebbe ammortizzabile il prezzo dei fondi alienati, ed avrebbero per conseguenza la garanzia d'una ipoteca su questi fondi medesimi. Essi perciò sarebbero certamente tanto pregiati da dare al Governo un buon risultato, da dare allo Stato il mezzo di potere in dieci anni entrare nel possesso di quella somma ch'è necessaria a far fronte al disavanzo del bilancio. Lo Stato, è vero, guarentisce sempre i titoli che emette con tutte le sue proprietà, con tutti i suoi proventi, e da ciò deriva che d'ordinario si tiene in poco conto la garanzia ipotecaria, allorchè è data su beni che sono in possesso dello Stato. Ma nel caso attuale la garanzia di cui parlo sarebbe in grandissimo pregio, appunto perchè sarebbe data sopra beni che uscendo dall'amministrazione dello Stato, entrano nell'amministrazione privata di coloro, i quali essendo destinati a divenirne definitivamente proprietari, dopo averne pagato il prezzo, cercheranno tutti i mezzi di migliorarne la rendita e di accrescerne il valore.
Ecco, signori, le parti che compongono la legge che sottomettiamo alle vostre deliberazioni, Nell'una ipotesi e nell'altra, il prodotto che lo Stato aspetta da questa grande liquidazione, che verrà come conseguenza necessaria di un grand'atto politico, d'un grand'atto di giustizia, non potrà punto mancare alle nostre previsioni.
Ma, coloro i quali hanno pratica del bilancio dello Stato, hanno potuto
notare come, mentre io ho preveduto in qual modo si verrebbe ammortizzando
la partita dei 400 milioni del debito nazionale, che è una delle partite che
potrebbe dirsi scoperta, e come si viene colmando il Banca Nazionale, il
quale è destinato a cessare contemporaneamente al corso forzato dei
biglietti.
No, o signori, io non aveva dimenticato quest'altra partita; ma permettete che io ve ne parli prima sotto il rispetto del bilancio, e vi faccia notare come nel corso di tredici anni lo Stato ha l'ammortamento graduale che può tradursi in sessanta milioni di uscita di meno, di più ha una risorsa di 500 milioni. Infatti ha a sua disposizione due risorse, questa di 500 milioni, e l'altra dello sgravamento a cui si procede gradatamente fino a sessanta milioni; il che fa sì che egli possa in tempi migliori scontare una parte dell'uscita che è destinata a cessare.
Questa parte di uscita, se altri mezzi non vi fossero pel movimento dei maggiori importi che non ho preveduto, questa parte di uscita scontata, potrebbe essere benissimo destinata a coprire questo dèbito scoperto. Ma da questo mio ragionamento non deve inferirsene la misura del tempo della restituzione accennata. Dal modo come riuscirà la liquidazione dell'asse ecclesiastico, cioè dalla possibilità di avere i 600,000,000 nel corso di cinque anni e mezzo, o dall'averli probabilmente in una serie di anni più o meno lunga, dipenderà anche in parte la decisione intorno al modo di potere, per quanto più celeremente si può, sopperire al bisogno dell'accennata restituzione, per riprendere il corso dei valori in danaro. Permettete che in questo momento io non vi indichi quali sieno tutti i mezzi possibili, ai quali io non ho pertanto cessato di pensare e penso; perciocchè, mi piace di ripeterlo, non è da credersi che io non pensi spesso all'atto a cui fui spinto il primo maggio come ad uno di quegli atti, a cui sarei ben fortunato di potere io medesimo porre riparo.
Se oggi stesso avessi il danaro sufficiente per riprendere immediatamente il pagamento dei biglietti in moneta, non mi arrischierei però a farlo senza considerazione molta, e non lo farei se non gradatamente; perciocchè, siccome vi è un dissesto nella pubblica economia e nella circolazione, quando dal pagamento in danaro si passa al pagamento in carta, così nel passaggio opposto un simile dissesto si verifica; e siccome nel
primo caso non vi è scelta, ma vi è nel secondo, sarebbe colpa in questo caso non adoperare tutti i temperamenti che debbono rendere meno dannoso il passaggio dall'uno stato all'altro.
Nè, o signori, si potrebbe proporre in quest'anno, nonchè in questo mese; perciocchè siccome pare che il destino, per accrescere il merito ai nostri sforzi, ci contrari nelle cose finanziarie ed economiche, quest'anno lo scarso raccolto, che è un fatto quasi generale in Europa, ci fa prevedere non dirò una grande crisi, ma certamente una carestia di danaro nel mercato europeo.
Di simili penurie naturalmente si risentono in modo indiretto tutti quegli Stati dove per la condizione simile alla nostra, la quantità di danaro è scarsa; e se ne dee tanto più risentire il nostro mercato il quale è per condizioni politiche costretto a metter fuori grande quantità di moneta d'oro per pagamenti all'Austria, per pagamenti in parte del debito pontificio, per pagamenti delle spese di guerra ed approvigionamenti: e quindi mal potrebbe una quantità di danaro qualunque gettata nella circolazione, rimanervi, senza vederla quasi istantaneamente uscire; dal che verrebbe forse la necessità di un nuovo atto, al quale, oggi per imprevidenza, sarebbe colpa di spingere od il presente od un altro ministro delle finanze.
Epperciò, o signori, io credo che presentemente bisogna lasciare per alcun tempo da banda questa questione, alla quale però prometto di pensare continuamente; e posso assicurare il Parlamento che sarei fortunatissimo quel giorno in cui potessi venire con una proposta, la quale tendesse a ripigliare i pagamenti in danaro.
(Movimenti)
Finora, o signori, ho parlato dei mezzi onde sopperire al vuoto del bilancio; ed ho respinti i mezzi straordinari che da una parte colmerebbero un vuoto, dall'altra ne scaverebbero un altro. Ma io vado più in là ancora, e credo che sia giunto il momento di considerare, se le attuali condizioni finanziarie ed economiche nostre, rispetto specialmente alle relazioni tra lo Stato e le società delle grandi opere pubbliche, tra cui primeggiano le strade ferrate, non siano tali da offrirci l'occasione, non di crearci un mezzo finanziario nel senso del bilancio, ma di rendere possibile allo Stato l'apparecchiarsi, appunto nel periodo di tempo di cui vi ho parlato finora, un capitale che potesse poi servire di punto di appoggio ad altre operazioni. Finora abbiamo scontato l'avvenire; vediamo se possiamo fare un'operazione inversa.
(Sensazione)
Il mio collega dei lavori pubblici ed io abbiamo cercato di trovare il modo
di risolvere questo problema; e ci è parso che, avendo già nel bilancio una
somma di 60 milioni iscritta tra le partite del debito pubblico come
sovvenzione e garanzia alle strade ferrate, ed avendo, come vi diceva ieri,
la probabilità di vedere questa enorme somma crescere ancora, sia il caso
appunto di convertire questa partita, senza spostarla; convertire cioè la
sovvenzione in debito pubblico, servendosi del
capitale che sarebbe da quella cifra rappresentato, per venire ad una
liquidazione finale colle società costruttrici di queste grandi opere.
Si è cercato di vedere se, mettendosi in possesso di questi grandi capitali, che per ora sono poco fruttiferi, ma che, oltre a diventarlo quando fossero, o direttamente dallo Stato o per mezzo di società speciali, bene amministrati, potrebbero dare allo Stato medesimo la opportunità, se non altro, di far crescere con una riforma nelle tariffe quel movimento che è principale occasione della prosperità pubblica e dell'aumento della ricchezza; si è cercato, dico, di vedere, se ciò facendo non potesse prepararsi a poco a poco, durante i tredici anni summentovati, un capitale, cioè un fondo rappresentante il capitale della rendita che queste strade ferrate non mancherebbero certamente di produrre, e soprattutto di quella che la ricchezza accresciuta darebbe allo Stato.
Questo concetto, che io non fo che accennare, da qui a pochi giorni sarà formolato, e quindi sottoposto alle mature considerazioni e al giudizio del Parlamento.
Così, o signori, da una parte con isforzi possenti cercando di preparare i mezzi per colmare il disavanzo, e dall'altra con atti preveggenti preparando il capitale per l'avvenire, è impossibile che il nostro credito pubblico non migliori; e quando il credito è migliorato, gli effetti che specialmente sulle condizioni nostre ne debbono conseguire, saranno incalcolabili. Ho qui preparato uno specchio che sarà stampato e pubblicato insieme al mio discorso, da cui risulta che, se il corso della rendita del debito pubblico, il quale è alla misura che voi sapete, crescesse a lire 65 per 100, la fortuna pubblica d'Italia dove l'esperienza del pagamento delle cedole all'estero ha provato che sono più dei due terzi, per l'aumento del capitale corrispondente a quell'aumento del corso, si vantaggierebbe di 571,800,000. E se poi salisse al 70, quel capitale si aumenterebbe di 857,700,000, e se andasse fino al 75…
(Ilarità e bisbigli a sinistra)
(Vedi lo specchio a
pag
. 168.)
Signori, io non intendo questi bisbigli! Se io non avessi la certezza che in poco tempo la nostra rendita dovesse salire al di là del 75, io non avrei il coraggio di parlarvi.
(Bene! A destra)
Io dunque dico: non più se, ma quando la nostra rendita, secondata da energici provvedimenti, fra poco sarà al 75, la pubblica fortuna in Italia avrà migliorato di un miliardo e cento quarantatrè milioni…
(Movimenti\diversi — Conversazioni animate)
Dopo le cose esposte, o signori, la Camera si accorgerà di leggieri come da un avvenire prospero è d'uopo di credere che sarebbe largamente compensato qualunque sacrifizio presente. Discorrendo ultimamente con un eminente uomo di Stato, egli mi diceva:
«L'Italia finora ha abituato il mondo a' prodigi, ma le sue
finanze sono in tale stato, che io domando se l'Italia potrà continuare a migliorarle con un altro prodigio, cioè mettendole fra breve tempo in assetto.»
Signori, questo dubbio mi turbò un istante lo spirito, ma un momento dopo mi sentii invaso da un nobile orgoglio nazionale, un momento dopo si avvivò in me quella piena fiducia, che vorrei trasfondere nella Camera, e risposi, signori, quello che sarà la conclusione del mio discorso: l'Italia non mancherà al suo compito.
(Vivi segni d'approvazione)
presidente. Domani seduta pubblica all'ora
consueta…
Crispi. Domando la parola.
Il discorso abbastanza ingegnoso dell'onorevole ministro delle finanze, contiene un intero sistema pel riordinamento delle finanze dello Stato.
Cotesta quistione delle finanze è la vera, è la vitale per l'Italia. Il paese attende da noi che ce ne occupiamo con tutto lo zelo e la maturità necessaria nelle condizioni difficili in cui si trova. Conviene quindi (e questo è il motivo per cui presi la parola) che la Camera fissi un giorno per discutere siffatto sistema.
Se il ministro delle finanze, facendoci la sua esposizione fosse venuto con una serie di progetti di legge, io avrei immediatamente chiesto che la discussione venisse fatta sopra uno dei progetti stessi, e non sul sistema accennato nell'esposizione ministeriale. Ma il ministro per parecchi di cotesti progetti di legge ci rimanda al mese venturo, per qualche altro da qui a due settimane. Io credo che non si possa aspettare così lungamente.
Quando la Camera approvò nel dicembre la legge pel bilancio provvisorio, lo fece con l'intendimento che, dopo l'esposizione finanziaria, sarebbe stata fatta una discussione ampia, seria, affinchè si stabiliscano le norme secondo le quali si debba uscire dalla triste situazione in cui siamo. Anch'io sono convinto che, laddove lo vogliamo, laddove il paese ci secondi, noi non mancheremo al nostro compito.
L'Italia non è esaurita di risorse, e spero che non mancherà di volontà. Questa volontà non è mancata in momenti anche più difficili; e l'anno caduto, nel corso di solenni avvenimenti, si diede mirabile prova che la volontà di salvare la nazione è profonda nel paese.
(Bravo!)
Ora quando il paese è in dure condizioni, quando il popolo aspetta da noi che si esca dalla critica posizione in cui siamo, noi non mancheremo di uscirne, e pel nostro interesse, e per la nostra dignità in faccia a noi ed in faccia anche agli stranieri coi quali abbiamo degl'impegni. Io sono convinto che la Camera non tarderà d'occuparsene al più presto, epperciò insisto perchè sia stabilito un giorno onde discutere e prendere una risoluzione sul grave argomento.
Scialoja ministro per le finanze. Ho l'onore di
presentare alla Camera i seguenti cinque progetti di legge:
1° Il progetto di legge sulla libertà della Chiesa e sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico;
2° Un progetto di legge che impone una tassa annua dell'uno e mezzo per mille di valore effettivo sulla circolazione e negoziazione dei titoli di credito negoziabili;
3° Un progetto di legge che stabilisce una tassa graduale di bollo in ragione dell'uno e mezzo per cento, da tener luogo delle tasse di bollo e registro sui pagamenti d'ogni specie fatti dalle amministrazioni governative, provinciali, comunali, e da quelle delle opere pie, dagli istituti di pubblica istruzione, dalle casse di risparmio, non che pei mandati, ordini, fatture, elenchi e richieste pei pagamenti fatte dalle amministrazioni medesime;
4° Un progetto di legge col quale sono unificate le tasse esistenti per le concessioni governative e per altri atti e provvedimenti amministrativi, e se ne stabiliscono altre nuove per altri atti richiesti dalle nuove leggi civili, commerciali ed amministrative;
5° Riproduco un progetto di legge, presentato già alla Camera nella precedente Sessione, che modifica i diritti ipotecari.
Degli altri progetti annunzio, come ho detto nel mio discorso, prossima la presentazione.
Perciò, come vede l'onorevole Crispi, in questi, e massime nel primo progetto, vi è materia più che sufficiente a quell'ampia discussione cui egli alludeva, che io sono ben lontano dal respingere, e che anzi prego la Camera di fare, ma di fare non già su tesi astratta, che fa perder tempo, ma su tesi speciale ed utilmente applicata.
(Bene! Bravo!)
Crispi. A compimento delle cose dette poco fa, io chiedo che sul progetto di legge il più importante, quello che riguarda la Chiesa, sia dichiarata l'urgenza, affinchè gli uffici si riuniscano, nominino la Commissione che deve presentare la relazione alla Camera, e quindi si fissi in occasione dell'esame del progetto stesso una discussione sul sistema economico-politico del ministro delle finanze. Era questo il mio desiderio; e se dubitai che ancora questi progetti di legge non ci fossero, fu perchè il ministro non li aveva ancora presentati; altrimenti non avrei domandato che la discussione si facesse sul suo sistema generale di finanze, e non sullo stesso, in conseguenza d'una legge speciale.
Ma poichè il signor ministro, dopo le mie parole, ha presentato alla Camera cinque de' suoi progetti, io chiedo che l'urgenza sia dichiarata sul più importante di essi, cioè su quello che riguarda la nuova costituzione della Chiesa e la liquidazione dell'asse ecclesiastico.
presidente. La parola spetta all'onorevole
Mancini.
Mancini Stanislao. Mi duole di non esser d'accordo
coll'onorevole preopinante, ov'egli non consideri la discussione, che sarà
richiesta dal primo dei progetti di legge presentati dal ministro, come una
delle più ardue, delle più lunghe, delle più feconde di gravi
conseguenze
per l'avvenire della civile società, di quante mai possano presentarsi al giudizio di un'assemblea legislativa ne' tempi attuali.
Ciò che vi si propone, o signori, è nientemeno che di dare il primo grande esempio in Europa di distruggere ad un tratto ed abbandonare fin da ora famose istituzioni, reputate indispensabili mezzi di garanzia e di difesa alle sovranità politiche de'paesi cattolici, e di cui la Francia, la Spagna e tutti gli altri Governi civili, ancorchè ordinati con forme liberali, sono gelosi custodi, e di abbandonarle, quasi come condizione accessoria, ad un contratto finanziario.
Con queste parole io non giudico quello che non conosco: estraneo a' segreti del Gabinetto, non ho lo scopo di oppormi ad un disegno di legge che mi è interamente sconosciuto, e sarei ben leggiero avventurando in questo momento un'opinione; anzi dichiaro di riserbare intera la libertà del mio giudizio; ho voluto soltanto porre in avvertenza la Camera, che se imprendiamo la discussione di questo progetto di legge, il fatto proverà per quanto tempo sarà allontanata, con pubblico danno, ogni discussione de' provvedimenti necessari ai bisogni del nostro bilancio, e che io credo al contrario doversi egualmente dichiarare di urgenza, lasciando il tempo necessario al maturo studio del primo dei progetti presentati.
(Mormorio)
La Camera mi permetta perciò che io deponga sul banco della Presidenza una proposta a me suggerita dal discorso ministeriale, sulla quale mi è indifferente ch'essa voti in questo momento o in altro che stimi più opportuno. Essa è una proposta d'ordine, precisamente relativa al complesso delle idee espresse dall'onorevole ministro delle finanze nel suo elaborato e sapiente discorso.
Io credo, o signori, che produrrà una impressione assai penosa nell'animo di molti, che la proposta di riforme cotanto gravi, destinate a cangiare in parte le basi fondamentali del diritto pubblico del nostro Stato, sia stata presentata in occasione di una semplice esposizione finanziaria, e quasi come un espediente di bilancio: come tale, io la respingerei sin d'ora: ma son pago di domandare, con un formale ordine del giorno, che quel progetto di legge si consideri dalla Camera affatto separato ed indipendente da' provvedimenti e dalle operazioni finanziarie occorrenti a colmare il disavanzo del bilancio del 1867. Credo che tutti dobbiate sentirne la convenienza. Altrimenti abbasseremmo la importanza di quelle proposte, e scemeremmo il valore anche di que' voti, che per avventura nel seno delle Assemblee italiane si mostrassero disposti ad accoglierle.
Si sa che gli espedienti di bilancio si votano per considerazioni relative e secondarie, e talvolta sotto la pressione di circostanze le quali obbligano a concedere mal volontieri un voto strappato dalla necessità e dall'urgenza.
Invece una riforma come quella proposta deve portare con sè tutto il carattere di una solenne mutazione negli ordini civili e politici del paese, profondamente pensata, e con fredda e matura riflessione deliberata, per considerazioni di un ordine assai più elevato e superiore alla bassa regione in cui vengono a conflitto gl'interessi materiali, cioè per quei grandi principii di libertà e di giustizia, ai quali lo stesso onorevole ministro delle finanze ha fatto appello, conciliandoli con le non meno alte ragioni della integrità di quei mezzi di garanzia e di difesa della civile potestà, che sono inalienabili quando siano riconosciuti necessari alla custodia dell'ordine sociale ed alla sicurezza della sovranità nazionale.
(Bene!)
Con questi intendimenti io propongo alla Camera il seguente ordine del giorno, lasciando alla sua saviezza decidere quando voglia prenderlo in considerazione:
«La Camera, udita l'esposizione del ministro delle finanze,
invita il Ministero a tenere distinto ed indipendente dalle proposte
ed operazioni finanziarie del bilancio del corrente esercizio,
l'annunziato disegno di riforme fondamentali nel diritto pubblico
nazionale quanto ai rapporti dello Stato colla Chiesa, non che il
disegno di liquidazione dei beni ecclesiastici, i quali
provvedimenti, per le loro conseguenze politiche, e per l'influenza
che potranno esercitare sull'avvenire d'Italia, richiedono speciale
maturità di esame, ed anzichè deliberarsi sotto la pressione delle
considerazioni relative che inducono ad accettare gli espedienti del
bilancio, debbono unicamente venire determinati da ragioni di ordine
superiore, e mantenuta la integrità delle garanzie e difese
necessarie alla nazionale sovranità.»
(Movimenti e bisbigli)
Scialoja, ministro per le finanze. Mi duole molto di dovermi opporre recisamente all'ordine del giorno del mio antico amico Mancini. Credo che egli fosse assente quando io dichiarava due cose…
Mancini. Ho udito tutto il discorso.
presidente. Non interrompa.
Scialoja ministro per le finanze. … quando cioè io
dichiarava che non intendeva di proporre alcun espediente per l'esercizio
corrente. Ho anzi impiegata tutta la tornata d'ieri a dimostrare che per
l'esercizio corrente lo Stato non ha bisogno di espediente di sorta.
Mancini. Chiedo di parlare.
Scialoja ministro per le finanze. In secondo luogo, ho
parlato della liquidazione dell'asse ecclesiastico, e se, facendomi strada
per parlare, ho toccato della questione della libertà della Chiesa, l'ho
fatto perchè credeva debito mio di presentare alla Camera un concetto
completo di ciò che il Governo ha intenzione di fare; ma l'iniziativa del
disegno di legge che ho avuto l'onore di presentare alla Camera non ispetta
al ministro delle finanze se non per la parte che egli vi ha presa, essendo
dovuta al ministro di grazia e giustizia per la parte più generale, la
quale, interessando certamente
un ordine più elevato di idee, lo Stato medesimo, tiene per conseguenza impegnato tutto intero il Ministero.
Quando però, o signori, ho parlato della liquidazione, è stata questa una conseguenza di quella prima, più alta e più solenne determinazione di distinguere, non di separare lo Stato dalla Chiesa. Poichè questa distinzione porta con sè necessariamente, come effetto di un atto di giustizia, una separazione e una distinzione economica; ed io credo, o signori, che veramente dell'una cosa non possa parlarsi senza dell'altra. Mi sembra poi che l'onorevole avvocato Mancini, egli principalmente dottissimo in questa materia, e più dotto ancora per gli studi fatti sulle opere di Giannone che egli ha pubblicate, debba avere presente che su questo subbietto, tanto importante per l'Italia, ciascuno di noi ha già una opinione ben formata e ben ponderata; ond'io, anche per tale considerazione, non crederei fosse questo il caso di accordare una inutile dilazione, il di cui unico pratico risultamento sarebbe quello di rimandare ad un'altra Sessione questa importante questione, di privarci di una risorsa per l'avvenire, di far rimanere per lungo tempo incerto il credito dello Stato, e di spingere l'Italia in una via rovinosa.
(Movimenti a sinistra)
Io non vorrei a nessun costo essere complice di questo fatto; quindi mi dichiaro francamente contrario all'ordine del giorno del deputato Mancini, e ne fo una questione personale.
(Bravo! Bene!)
Crispi. Signori, io sono ben penetrato dell'importanza del disegno di legge, il quale attirò meritamente l'attenzione del mio amico il deputato Mancini. Chiedendo che la discussione sia fatta su questo progetto di legge, io non ebbi nell'animo mio l'intenzione di accettarlo, e molto meno di lasciarlo passare senza una necessaria discussione su quei principii che il Ministero vi ha consacrati. Ho preso però come tema di un nostro dibattimento quel progetto, perchè il medesimo, mentre è un progetto di legge politico-religioso, è altresì un progetto finanziario. La Camera venendo ad esaminarlo e discuterlo potrà pronunziarsi in conseguenza di esso sul sistema dell'amministrazione spiegato dai consiglieri della Corona. Un piano finanziario non è un edilizio di cifre, o signori; esso è un intero congegno amministrativo. Guai se il ministro delle finanze sia un uomo che scrive numeri, e guai se per riforma della finanza si voglia soltanto intendere un'addizione o sottrazione di cifre. L'Italia non potrà mai riordinarsi se non si comincerà sino dalle fondamenta a riformare le leggi principali che attualmente la governano.
Ora quel progetto di legge, il quale per la prima volta viene a gettare delle regole, a stabilire dei canoni, i quali in altri paesi civili, giustamente disse l'onorevole Mancini, non furono ancora accettati, porge a voi l'occasione di potere, discutendolo, fissare le norme vere e sicure, secondo le quali in avvenire noi dobbiamo governare il paese. Quindi, chiedendo l'urgenza, io non mi sono affatto dissimulata la gravità di cotesto progetto di legge. Io ne ho compresa completamente l'importanza, ma oramai è tempo d'uscire dalle incertitudini in cui si trova il paese ed in cui si trova la Camera.
Noi dobbiamo una buona volta venire a questa discussione ampia, completa della nostra politica interna, senza della quale non sapremo uscire dalle difficoltà in cui ci troviamo.
Quindi insisto perchè l'urgenza sia dichiarata, e perchè la Commissione che sarà nominata negli uffici, dopo quegli ampi studi che sarà chiamata a fare, ci porti qui la sua relazione, e fissatosi il giorno della discussione, che non può essere certo nè oggi ne domani, perchè la Commissione stessa, anche dopo la dichiarazione d'urgenza, ha bisogno del tempo, noi possiamo discutere e parlare sul rammentato progetto di legge con quella maturità di consiglio che merita un argomento così grave.
Allora non solo il deputato Mancini, ma quanti altri dividono le sue idee potranno metterle innanzi, e la Camera deciderà su quello che crederà di fare.
Imperciocchè, sì nel caso che cotesto progetto di legge fosse rigettato, come in caso contrario, noi sapremmo a che tenerci per lo avvenire. Il deputato Mancini capisce che il suddetto progetto essendo politico e finanziario, ne verrebbe che, accettandolo, si baserebbe sul medesimo tutto il sistema amministrativo di coloro che sono al potere; respingendolo, ne sorgerebbe altro sistema da surrogare al ministeriale; e coloro i quali sarebbero chiamati ad attuarlo, porterebbero alla Camera quelle idee che essi crederebbero più utili e convenienti alla pubblica cosa.
Ecco quindi perchè ho chiesta l'urgenza, e spero che la Camera non vorrà negarla.
Mancini Stanislao. Sarà mia colpa, se non sono stato ben
compreso dall'onorevole ministro delle finanze, ed in parte ancora
dall'onorevole Crispi.
Io non ho punto inteso di chiedere una dilazione; ho
chiesta soltanto la separazione di due argomenti, che
a mio avviso debbono rimanere l'uno dall'altro indipendenti.
Mi si è dunque attribuito un desiderio che non ho certamente espresso; prego anzi l'onorevole ministro, mio antico amico, di esser persuaso che io sono anche pronto a discutere, se si voglia, in questo momento sul gravissimo argomento.
Il mio vero pensiero fu dal ministro interpretato, quando il medesimo ha tentato di dimostrare che non dovranno avere alcuna influenza sul bilancio le proposte del Ministero riguardanti le relazioni dello Stato colla Chiesa. Egli invece ha sospettato che io fossi stato assente durante questa parte del suo discorso. Dichiaro averlo tutto udito con quella religiosa attenzione che esso si meritava per la importanza dell'obbietto ed anche
per la forma: ma, se là memoria non mi tradisce, e gli ha premesso che gli occorrevano per quest'anno 185 milioni…
(No! No! — Interruzioni e movimenti diversi)
Ma perdonino, non ci facciamo illusioni, non confondiamo il bilancio col semplice stato della cassa.
Il signor ministro ha detto che la condizione nostra è tale che egli ha
bisogno assoluto di rifornirla in quest'anno, ma nel tempo stesso ci ha
presentati i risultamenti del bilancio attivo e passivo del 1867, e dal
confronto delle due cifre finali conchiuse esservi un
(Rumori)
Così non fosse, o signori, che saremmo felici tutti, ed il ministro non men contento di noi!
Quindi egli proponeva a sè stesso la domanda: Come si fa a trovare i 185
milioni per colmare il
(Nuove interruzioni)
Voci. No! No!
Mancini. Ma scusino, il bilancio presenta sì o no, questo
Ora, io penso che il problema di procacciare allo Stato i 100,000,000 non debba essere posto in guisa che propriamente ed esclusivamente abbiasi a conseguire questo risultato dall'accettazione di un progetto di legge, che implica un'immensa riforma politica ed economica, la cui gravità non ha potuto essere sconosciuta dallo stesso ministro proponente; un tal sistema potrebbe celare funesti pericoli. Pertanto la mia proposta si restringe a mantenere separati due argomenti, che non debbono essere tra loro vincolati e dipendenti.
Che anzi, se ho bene inteso una parte del discorso del signor ministro, egli ha già in parte appagato questo mio desiderio, laonde il mio ordine del giorno nella sua parte essenziale può dirsi ormai accettato.
In fatti egli consentiva che la grande riforma da lui accennata non dovesse considerarsi come un espediente finanziario e tanto meno come una necessità del bilancio; e richiamava su di essa il vostro solenne e meditato esame unicamente dal punto di vista dei grandi principii della libertà e della politica nazionale, benchè in tal guisa non sia interamente giustificata la digressione oggi da lui fatta in un campo d'ordinario inaccessibile all'occasione di una semplice esposizione finanziaria.
Or bene, poichè si ammette esser questo il criterio unico, col quale dovremo discutere quell'importantissimo progetto di legge; poichè si riconosce la gravità di questa discussione, e si dichiara apertamente che non debbasi deliberare su quel progetto sotto veruna influenza dipendente dalle necessità del bilancio, ed anzi il ministro ha soggiunto che per quest'anno la Cassa dello Stato è fornita e non soffre lo stimolo del bisogno, a me non resta che prendere atto di queste dichiarazioni, che son lieto di aver provocate; e soddisfatto così almeno al concetto sostanziale della mia proposta, non mi oppongo a che sia dichiarato di urgenza il progetto di legge di che ho favellato, e trasmesso allo studio degli uffizi, perchè sono certo che ognuno dei membri di questa Camera, compreso della gravità delle questioni chc quel progetto solleva, consacrerà alle medesime profonda e coscienziosa meditazione.
Conseguentemente, non credo siavi bisogno che la Camera nella presente seduta sia invitata a votare quell'ordine del giorno da me proposto, il quale, se non m'inganno, ha raggiunto il suo scopo, quando l'onorevole ministro ha meco riconosciuto che il principale progetto da lui presentato non deve risentire alcuna influenza dalle esigenze del bilancio e dell'esercizio finanziario dell'anno: ed invece prendo atto espressamente di questa preziosa dichiarazione che per la bocca del ministro delle finanze il Governo ha fatta in questa seduta, riserbandomi al bisogno d'invocarla nel tempo in cui la legge verrà in discussione, per impedire che venga in essa a mescolarsi verun argomento desunto dai nostri bisogni finanziari.
presidente. Ha domandata la parola l'onorevole
Minghetti; ma, come egli ha inteso, l'onorevole Mancini non insiste perchè
si voti sulla sua proposta; ed anco nel suo primo discorso avea dichiarato
di rimettersi alla Camera quanto al porre ai voti immediatamente la sua
proposta, o riservarla ad altro tempo.
Ciò nonostante se l'onorevole Minghetti desidera parlare, gli do la parola.
Minghetti. Io voleva appoggiare la proposta di urgenza e spiegare che cosa debba per essa intendersi.
Voci. Forte! Forte!
Minghetti. Se il signor presidente mi consente di parlare, dirò che se la
parola urgenza significasse che l'argomento dovesse
trattarsi in fretta, e con poca ponderazione, io sarei il primo a
respingerla, perchè convengo che forse mai alcun progetto è stato presentato
alla Camera, di tanta importanza come questo. E di vero si tratta
d'introdurre un principio nuovo, grande, e di demolire tutto quell'arsenale
di vincoli alla libertà che più secoli hanno edificato. Ma la parola urgenza non significa altro se non che precedenza, nè impedisce che gli argomenti su cui
essa vien dichiarata possano essere studiati e meditati. Per conseguenza
votare l'urgenza a me pare voglia dire: votare la precedenza nello studio di
questo progetto di legge.
Crispi. Siamo d'accordo.
Minghetti. Quanto alla divisione che l'onorevole Mancini proponeva, io non credo che si possa
pronunciare un giudizio in questo momento, prima cioè di considerare in tutte le sue parti il progetto.
Finalmente, giacchè ho la parola, se alla Camera non incresce, mi sia lecito esporre ancora un pensiero.
(Parli! Parli!)
L'onorevole Crispi ha detto: godergli l'animo pel collegamento del concetto politico col concetto finanziario, perchè noi avremo in questo modo occasione a giudicare complessivamente il Ministero attuale. Sì, o signori, il male da cui è travagliata questa Camera è la incertezza dei partiti. Altra volta se noi eravamo concordi nel fine dell'indipendenza italiana, eravamo divisi nei mezzi da adottarsi per raggiungerla, e questa differenza di mezzi costituiva il programma di due ben distinti partiti. Ma oggi che il fine è conseguito, i partiti passati non hanno più ragione di esistere.
Occorre una grande idea, un grande principio intorno al quale i deputati si aggruppino, costituendosi e formando una nuova maggioranza ed una nuova minoranza. Ebbene, o signori, ecco la grande idea. L'onorevole presidente del Consiglio e l'onorevole ministro delle finanze l'hanno portata avanti a voi, ed ora, signori, noi dobbiamo desiderare che si affretti quanto è possibile il giorno in cui una sì rilevante questione venga discussa, perchè in quel giorno una vera maggioranza ed una vera minoranza si formino con bandiera spiegata, facendo ogni opera perchè la bandiera che essi credono giusta ed utile alla nazione trionfi.
(Vivi segni d'approvazione)
presidente. L'onorevole Crispi aveva già dichiarato
che egli, domandando l'urgenza di questo disegno di legge, aveva cotesto
pensiero, cioè che di esso si dovesse prima degli altri occupare la
Camera.
Do atto al signor ministro delle finanze della presentazione de'suoi cinque disegni di legge; e, se non v'è opposizione, sarà dichiarato urgente il primo, che riguarda la libertà della Chiesa e la liquidazione dell'asse ecclesiastico.
(È dichiarato urgente.)
La seduta è levata alle ore 5 1/4.
1° Relazioni di petizioni.
Discussione dei progetti di legge:
2° Estensione alle provincie già pontificie delle speciali leggi regolatrici della materia demaniale comunale;
3° Disposizioni relative alle servitù del pascolo e del legnatico nell'ex-principato di Piombino.
Prospetto dell'accrescimento del capitale nazionale conseguibile col progressivo miglioramento dei fondi pubblici. (Vedi pag. 162.)
Indicazione degli effetti pubblici
Capitale investito calcolato in ragione di
Indicazione degli effetti pubblici
100 55 65 70 75
RENDITA CAPITALE
5 p. % 243,692,717 72
4,878,854,354 40
Consolidato
3 p. % 6,140,490 204
683,024 66
Debiti redimibili
Annuario delle finanze, p. 1193 275549,812 20
Ultimo prestito nazionale 400,000,000 00
Debiti non inclusi nel Gran Libro
Annuario pag. 1194 344,560,203 24
Prestito Banca Nazionale. 278,000,000 00
Banche, instituti di credito e altre società per azioni
Supponendo 1/3 degli effetti fuori d'Italia
Per gli effetti in Italia