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PRIN 2012 - Accademia della Crusca
Situazione migliorata - Pellegrinaggi dolorosi - Solidarietà internazionale - Il prof. Matteucci
(Per dispaccio al " Corriere della Sera ")
Il Re nei paesi più colpiti
Napoli 12 aprile, matt.
Stamattina alle cinque e mezzo, il Re accompagnato dall'on. Sonnino e dal generale Brusati, partì in automobile per San Giuseppe, Ottajano e Terzigno, ossia per i comuni più colpiti per rendersi esatto conto delle condizioni vere di quei paesi, e più specialmente del modo come funzionano le cucine economiche ivi impiantate. Quindi il Re si recherà a Castellammare, a Sarno e negli altri comuni dove si trovano profughi dei paesi vesuviani.
In questa visita ai luoghi della sventura e di ispezione dei soccorsi il Re volle essere accompagnato dal'on. Sonnino.
Napoli, 12 aprile, sera.
Delle notizie della giornata sulla visita del Re ai Comuni danneggiati, apprendo questi particolari. L'automobile reale giunse a Santa Anastasia alle ore 6.30. La poca gente, che non ha abbandonato il paese, era sulla via. Il Re non venne sulle prime riconosciuto. Sceso dall'automobile, volle essere informato, domandando direttamente ad un popolano, se dai tetti veniva tolta la sabbia; indi, con belle parole, cercò di confortare quella gente, che presentava l'aspetto di un vivo dolore. Uno dei presenti lo riconobbe ed allora venne fatto segno ad una dimostrazione di simpatia.
L'automobile reale riprese la corsa sotto una fitta pioggia di cenere; il Re era costretto ogni tanto pulire le lenti della maschera, e spesso spesso ripeteva, guardando attorno: «È orribile, è orribile!» Giunto nei pressi di Somma Vesuviana, scese; fu subito avvicinato da un ufficiale di cavalleria; poco lontano erano parecchi soldati, che tenevano a mano i cavalli reali belli e bardati, pronti per la partenza. Il Re si fermò pochi minuti sopra un'altura, guardando con un binoccolo attorno per la campagna, quasi a voler penetrare con lo sguardo attraverso il fitto velo di sabbia, che come un denso fumo avvolgeva tutte le cose per lungo tratto, fino al mare. Indi montò a cavallo, imitato dagli ufficiali del seguito e prese la via di Ottajano. Gli automobili, meno uno che lentamente seguì il Re, si fermarono in una fattoria sulla via di Somma.
Essendo la strada in salita, i cavalli procedevano lentamente; ma appena si
scorsero le prime case della città, il Re incitò alla corsa la propria
cavalcatura. Sulla via alberata che è innanzi alla porta del paese erano ad
attendere il Sovrano il generale De Chaurand, comandante la zona militare, il
commissario prefettizio ed altre autorità, insieme ad una folla di popolo. Non
un grido, non un battimano. Il Re scese di sella e si accostò al commissario
prefettizio, al quale rivolse domande circa i danni causati dal disastro. Poi,
sempre seguito dagli ufficiali e dalle autorità, si incamminò verso la città;
qui volle vedere tutto. Stando nei pressi delle macerie della chiesa distrutta
esclamò:
Anche qui le autorità locali erano ad attendere la visita reale. Sceso da cavallo, il Re fece a piedi il giro del paese, osservando, consigliando, lodando e confortando gli avviliti superstiti che non hanno abbandonato la loro terra. In seguito raggiunse la borgata di San Gennariello, donde, risalito a cavallo, ritornò a Napoli. Sulla via di Somma, il Re e il seguito lasciarono ai soldati le stanche cavalcature e presero gli automobili, giungendo alla reggia alle ore 11.40.
Napoli, 12 aprile, notte.
Dopo colazione, verso le ore 14, il Re ripartì per Torre Annunziata. Qui stamane vi fu un grande fermento della popolazione per un ordine emanato dalle autorità per la chiusura della chiesa di Santa Maria della Neve; dovette accorrere la truppa per sedare il tumulto. Durante la notte e nelle prime ore del mattino riprese la pioggie di cenere, poi cessò.
Anche il Duca d'Aosta nel pomeriggio si recò a Portici, Torre del Greco e Torre Annunziata, accompagnato dal senatore Zumbini. Visitò a Portici le cucine gratuite ed assistette alla distribuzione del pane in cui avvennero molte scene pietose. Una povera donna, piangendo e presentando il suo figlioletto macilento, si lamentò della scarsezza delle razioni di pane. Il Duca immediatamente ordinò che la razione fosse raddoppiata.
Alla stazione di Torre del Greco un povero contadino tentò di partire per Castellammare; ma non avendo né il biglietto, né il denaro per comprarselo, il capo stazione si rifiutò di lasciarlo salire in treno. Il Duca d'Aosta, saputo il fatto, fece osservare al capo stazione che non era questo il momento di chiedere il biglietto e che bisognava trasportare gratis tutti gli infelici.
II Re non tornò alla reggia che verso le dieciotto, in mezzo alla più completa oscurità.
A Boscotrecase la notte scorsa una banda di malfattori si gettò sopra le case disabitate, rubando a man salva.
Le rampogne del Re
Roma, 12 aprile, matt.
Il Messaggero di stamane deplorando l'indolenza delle autorità municipali dei Comuni vesuviani danneggiati, le quali non fanno che chiedere soldati senza nulla fare per conto proprio, narra che il Re stesso nella sua recente visita si mostrò sdegnato di ciò.
Il sindaco di uno dei paesi danneggiati lo pregò insistentemente perché ordinasse l'invio di nuovi soldati.
Né sarebbe stata questa la sola rampogna reale. Incontrando dovunque processioni di donne e di uomini, là dove tutti avrebbero dovuto lavorare, ad un certo punto egli avrebbe esclamato:
Invece i fedeli si adunarono nelle chiese, dove avvennero nuovi disastri.
Napoli, 12 aprile, notte. Oggi, proveniente da Marsiglia, giunse la divisione della squadra francese del Mediterraneo composta delle navi Bouvel, Gaulois e Jena, al comando di un ammiraglio, che si mise a disposizione del prefetto, qualora necessitasse un'opera di soccorso ai profughi.
Napoli, 12 aprila, sera.
La Regina, che domenica accorse con il Re nei Comuni danneggiati dall'eruzione,
ieri volle tornare nuovamente a Napoli per accorrere ancora una volta sui luoghi
del disastro. Ad una gentile persona che, nel vederla ad un giorno solo di
distanza far ritorno qui, le disse:
Alla Caserma dei Granili
La Regina alle sei e mezzo, accompagnata dal duca e dalla duchessa d'Ascoli e dal conte Trigona, gentiluomo di servizio, si recò a fare un rapido giro nei comuni danneggiati più prossimi. Due ore dopo tornò e passando si fermò alla caserma dei Granili a visitare il ricovero dei profughi.
La Regina, sulle prime, non venne riconosciuta dai soldati di guardia, che opposero qualche difficoltà per farla entrare. Ma ciò non durò che un attimo, perché subito l'augusta Signora fu riconosciuta, ed i soldati si affrettarono a farle largo. La Regina salì al terzo piano del grandioso edificio e cioè un centinaio e più di gradini; fu ricevuta dal tenente colonnello Bellucci e dai capitani Ogieri e Ventuni. Visitò minutamente quindici cameroni in cui sono ricoverati tremila profughi. Essendosi imbattuta nel primo camerone in una bambinella sparuta, l'ha presa tra le braccia, chiedendole il nome; la bambina rispose: Carmela. La Regina la baciò e fattasi dare la borsetta dalla duchessa d'Ascoli, ne trasse alcuni dolci che offrì alla creaturina.
Le donne, saputo dell'arrivo della Regina, si sono inginocchiate, piangendo di commozione ed applaudendo. La Regina invitò quelle che si trovavano più vicine a lei ad alzarsi; a parecchie chiese di qual paese fossero, se avessero parenti nei luoghi devastati dalla lava, se si trovassero bene nel ricovero. Le donne risposero che nulla avevano da lagnarsi e che erano trattate come soldati; tutti gli ufficiali erano pieni di premure, specie per quelle che avevano bambini in fasce. A tutte la Regina disse parole di conforto, esortandole a mantenersi calme. Distribuì molti dolci ai bambini. La visita durò 50 minuti. Quando la Regina partì fu salutata da lunghi evviva.
Al Reclusorio e a San Domenico
La Regina, dopo la visita ai profughi nei locali dei Granili, sempre in automobile e accompagnata dal Duca e dalla Duchessa d'Ascoli, per la via Foria si recò al reclusorio, dove sono ricoverati 300 profughi dai Comuni vesuviani. Appena la Regina è discesa dall'automobile, una gran folla l'applaudì calorosamente. Sono accorse parecchie guardie per fare largo tra la folla. Così la Regina ha potuto salire all'Albergo dei poveri, dove è stata ricevuta dal comm. Scardaccione o da tutto il governo dell'Opera pia, e dal comandante cav. Morello.
La Regina è entrata nel gran camerone dove erano i profughi ed ha chiesto notizie sulla salute di tutti e del modo come erano trattati. Indi ha visitato la cucina e il nuovo refettorio, ed ha espresso al governatore la sua soddisfazione pel modo come i profughi sono trattati.
Alle 10.30 Sua Maestà ha proseguito per la via di San Giovanniello.
Alle 11 la Regina, accompagnata dal Duca e dalla Duchessa d'Ascoli si è recata a San Domenico Maggiore dove sono i due ricoveri dei profughi. Non essendo stato preannunziato il suo arrivo, in quell'ora non v'erano che due vigili sanitari e cinque guardie municipali con un graduato. La Regina si è recata subito al primo piano dove sono alloggiati cinquantasette profughi, in gran parte donne e fanciulli. Costoro nel primo momento non l'hanno riconosciuta, ma quando la guardia municipale ha sussurrato nell'orecchio di una delle donne «è la Regina!» la voce si è propagata ed un coro di ringraziamenti, di suppliche e d'invocazioni si è levato da quell'agglomeramento di miseri.
La Regina è rimasta visibilmente impressionata da quello spettacolo di miseria e di dolore; le donne l'hanno attorniata e ciascuna voleva baciarle la mano: chi le era meno vicina si appagava di baciarle il lembo della veste.
L'augusta signora con un sorriso di mestizia e di tenerezza ebbe per tutte una parola, d'affetto, di dolcezza e di conforto.
Colloqui coi vecchi
Una vecchia, certa Maddalena Ficugo, di Resina, con le lacrime agli occhi le si
avvicinò e le chiese:
Avendo poi ella scorto in un angolo un vecchio sessantenne con la testa e il braccio destro avvolti da bende, gli si avvicinò e gli chiese informazioni del suo stato e come chiamavasi.
Il vecchio con lacrime agli occhi balbettò essere di San Giuseppe d'Ottajano, chiamarsi Francesco Jervolino; aggiunse d'essere fuggito come un pazzo la notte di domenica facendo il viaggio a piedi, senza pane, e giungendo a Napoli senza nulla. La Regina gli fece molte domande circa il modo come si svolse la catastrofe, cui il vecchio rispondeva con voce spesso rotta dai singhiozzi e cogli occhi luccicanti di lacrime. AI triste racconto la Regina si commosse così da lagrimare essa pure. Ella salì poi al secondo piano dell'edificio dove, nei locali della scuola tecnica Flavio Gioia, sono ricoverati centosettantacinque profughi. Distribuì denaro e dolci ai fanciulli.
A Capodichino
Alle ore 11.45 la Regina accompagnata dal Duca d'Ascoli si recava a Capodichino per visitarvi le cucine economiche e gli altri ricoveri dei profughi. Essa fu ricevuta dai consiglieri comunali Improta e Klain e dal comandante la stazione dei carabinieri.
La Regina s'informò minutamente dell'andamento delle cucine e del numero dei profughi interessandosi vivamente alla loro sorte, commiserando tutti e chiedendo alle autorità quali credessero fossero i provvedimenti più urgenti; ha indi disposto che a tutti i profughi venisse a sue spese distribuita una refezione. Viste fra la folla tre orfanelle dispose che fossero condotte a Napoli per essere ricevute nel ricovero di Montecalvario. Ha indi parlato con alcuni popolani a tutti chiedendo quali fossero i loro bisogni. Fu acclamatissima.
La Regina voleva proseguire per Secondigliano dove tutto il popolo l'attendeva; ma l'orribile stato delle vie la costrinse a tornare a Napoli. Prima però di lasciare Capodichino ella disse si sarebbe in un modo o nell'altro recata a Secondigliano lo stesso.
La Sovrana fece ritorno alla reggia alle 12.50.
La Regina nel pomeriggio si recò in automobile a Nola dove visitò i profughi colà convenuti da vari paesi del circondario; visitò pure i feriti di San Giuseppe d'Ottajano che vennero raccolti in quell'Ospedale. Tornò alla reggia alle 19.20.
Napoli, 12 aprile, matt.
All'Hotel de Londres si riunirono iersera una trentina di deputati meridionali ministeriali e d'opposizione, per concretare i provvedimenti atti a rimediare alla catastrofe. Intervenne anche l'on. Sonnino, col quale i deputati avevano preso appuntamento, ricevendolo ieri alla stazione.
Le richieste dei deputati concretate in privata riunione furono: 1. Invio di truppe, specie del genio, per sgombrare la cenere e i lapilli, ristabilire le comunicazioni, e i servizi pubblici e gli attendamenti per i profughi; 2. Provvedere largamente ai soccorsi, specie con le cucine economiche; 3. Provvedere subito allo sgombero delle macerie nella speranza di trovare persone ancora vive.
Sonnino promise la costituzione di Comitati per la distribuzione dei soccorsi raccolti tra i privati.
L'on. Gianturco chiese subito larghi sussidi ai Governo, ma l'on. Sonnino rilevò di non potere il Governo assumersi sin da ora oneri seri pur essendo disposto a concorrere nei limiti delle sue forze.
La riunione si sciolse senza venire ad una conclusione definitiva.
Retroscena politici
Napoli, 12 aprile, sera.
Nella riunione tenuta iersera all'Hotel de Londres ci fu una discussione alquanto vivace tra il presidente del Consiglio, Sonnino, e l'on. Gianturco. Questi, animato dal desiderio di fare quanto più sia possibile e prontamente, reclamava dal capo del Governo che assegnasse fin da ora la cifra che lo Stato intende mettere a disposizione dei danneggiati; ma Sonnino gli rispose che il Governo intende assumere intera la responsabilità dei suoi atti e reclamava perciò la più ampia libertà d'azione; e l'on. Gianturco, dopo lunga discussione, finì col persuadersi della bontà di questo ragionamento.
Per chi è lontano da Napoli, occorre spiegare le ragioni di tutto ciò. È noto come l'on. Gianturco si attribuisca l'aspirazione di avere il predominio su tutta la deputazione napoletana e come fra i deputati di Napoli ve ne siano due, i quali, per ragione di anzianità, sembrino contestargli questo predominio; così l'on. Girardi, che ora milita nell'opposizione, e Placido, che osteggia la permanenza di costui alla presidenza del Consiglio provinciale. Questi interni dissapori sono quelli che hanno determinata la vivace discussione di ieri sera.
Sono però assicurato da fonte diretta che la risposta franca e fors'anco un po' rude data da Sonnino a Gianturco non indica che egli intenda limitare l'azione del Governo ai soccorsi spediti nel primo momento, quando non ancora era nota l'entità della sventura. Il capo del Governo vede volontieri la costituzione di un Comitato provinciale di soccorso, ma desidera che l'opera di tutti i Comitati sia coordinata a quella del Comitato governativo, ch'egli si era riservato di nominare.
La presenza del capo del Governo e quella precedente del ministro Salandra e del sotto-segretario De Navn hanno giovato intanto a coordinare e semplificare i servizi per venire in aiuto dei colpiti dalla sventura.
L'autorità militare ha assunta intera la direzione dei soccorsi e provvede con abnegazione e coraggio. L'autorità locale politica, che pure aveva lasciato a desiderare nei primi momenti, è ora meglio disciplinata.
Circa poi alle responsabilità eventuali del Governo per il modo come da prima si è svolta l'opera di soccorso, a suo tempo deciderà la Camera, e non pare sia questo il momento per discussioni di tal genere.
Napoli, 12 aprile, sera.
Con decreto ministeriale firmato stamane, il presidente del Consiglio nominò un Comitato così composto: Duca d'Aosta, comandante del corpo d'annata, presidente; il comandante della divisione militare, generale Tarditi; il prefetto Caracciolo; il sindaco Del Carretto; il direttore generale del Banco di Napoli, comm. Miraglia; l'ispettore capo compartimentale del genio civile Ronza; il procuratore generale della Corte d'appello Capaldo.
Al detto Comitato è aggregato un ispettore generale del Ministero dell'interno che, sotto l'alta vigilanza del ministro, è delegato all'esecuzione di tutte le suddette opere di soccorso, di concerto con le singole autorità locali, nei limiti delle rispettive attribuzioni. Al suddetto Comitato il Governo ha assegnato, come primo fondo, la somma di mezzo milione.
L'ispettore generale designato è il comm. Peano, che già prese possesso delle sue funzioni.
Oggi si riunì anche il Comitato provinciale. L'on. Girardi vi annunziò la nomina del Comitato governativo, rilevando la necessità di procedere d'accordo con le persone nominate dal Governo nel Comitato centrale, le quali sono superiori ad ogni elogio. L'on. Gianturco appoggiò la proposta Girardi, nel senso che il Comitato provinciale non possa erogare fondi senza preventiva intesa col Comitato governativo. I deputati Nitti e Colajanni precisarono questo concetto, e con tale accordo, su proposta di Colajanni, fu nominato un Comitato esecutivo, che risultò composto del presidente del Consiglio provinciale, del presidente della Deputazione provinciale, del presidente della Camera di commercio e del segretario della Borsa del lavoro. Questo Comitato vigilerà alla raccolta dei fondi.
Su proposta degli on. Giusso e Pansini, il Comitato esecutivo nominò seduta stante un Comitato speciale con l'incarico di recarsi sopra luogo per vedere se è ancora possibile salvare qualche vita umana. Questo Comitato speciale fu composto dei deputati Pansini, De Tilla, Di Bugnano e di tre consiglieri provinciali.
Proposta d'un prestito nazionale
Soma, 12 aprile, notte. La Tribuna si dichiara contraria ad una sottoscrizione il favore delle vittime del Vesuvio, e propone che il Governo emetta subito per i danneggiati un prestito straordinario redimibile di cinquanta, di cento milioni, di quanto occorra. L'interesse del prestito sia appena dell'uno e mezzo, del due per cento, e gl'italiani lo accettino sottoscrivendolo, contentandosi del basso premio, in segno di solidarietà. I nomi dei sottoscrittori principali siano pubblicati. Il prestito sarà coperto e la infelice Campania sarà subito redenta. E sarà una grande dimostrazione italiana.
Lo slancio della carità
Roma, 12 aprile, notte.
La Navigazione Generale italiana ha telegrafato oggi al presidente del Consiglio a Napoli, annunziandogli di aver deliberato a favore dei danneggiati del Vesuvio la somma di diecimila lire e di aver dato disposizioni alla sede della Navigazione a Napoli per mettere a disposizione dell'autorità, per qualunque evenienza, i piroscafi e il personale disponibili.
Si annunziano altre cospicue elargizioni: lire 10,000 del Municipio di Firenze; 2000 della Cassa di risparmio di Imola; 40,000 franchi dei fratelli Rothschild di Parigi. In molte città italiane si sono poi costituiti Comitati per raccogliere offerte.
Parigi, 12 aprile, matt.
Il Consiglio municipale votò cinquemila franchi per lo vittime dell'eruzione del Vesuvio.
La solidarietà della nazione inglese
Londra, 13 aprile, matt. Il Daily News a proposito della catastrofe dei Comuni vesuviani, stamane scrive: «Come amici del popolo italiano abbiamo un dovere diretto da compiere. Non possiamo dimenticare la miseria e la rovina che colpirono il bel paese, ove migliaia di persone errano prive di pane, di abiti e di tetto. Siamo lieti di vedere che il Governo francese mandò delle navi a portare cibi e soccorsi e vorremmo che il Governo inglese facesse altrettanto. L'azione sarebbe caldamente approvata dalla nazione, sarebbe un servigio pratico reso al popolo sciagurato, sarebbe nello stesso tempo un'occasione per rinvigorire i sentimenti di amicizia esistenti tra l'Inghilterra e l'Italia.»
Napoli, 12 aprile, notte.
Parlai con un distinto ufficiale superiore, reduce da San Giuseppe Vesuviano, intorno al modo col quale vennero esplicate le operazioni militari di soccorso nei Comuni vesuviani. Egli mi disse: «Il mattino del giorno dieci presero imbarco con me sulla regia nave Saint-Bon un battaglione del 45° fanteria e gli ufficiali medici dell'ospedale di Napoli, capitano Salvatore Solinari e tenenti Pennelli e Soperano. Queste avevano alle loro dipendenze numerosi infermieri e portavano quattro sacchi con materiale sanitario per medicare 200 feriti. Sbarcati a Torre Annunziata, il generale comandante la zona mise a disposizione dei medici 10 carri d'ambulanza pel trasporto dei feriti e dei malati.
«Durante la via per raggiungere San Giuseppe abbiamo dovuto spesso alleggerire i carri. Arrivati colà, il battaglione proseguì per Ottajano, mentre i medici si fermavano. La nostra opera però giunse tardi, essendo già arrivati sul luogo ufficiali medici della legione di Salerno, i tenenti Volpe e Massimi e il sottotenente Marzano, un medico della Croce Rossa e due medici borghesi; i feriti medicati quel giorno non furono che una decina. I morti, pel loro stato, destavano raccapriccio; si raccolsero in grande quantità per trasportarli al cimitero; ma i cavalli stanchi si rifiutarono di camminare e i cadaveri, avvolti in un lenzuolo bagnato di sublimato, rimasero accanto alle macerie. Il giorno dopo vennero seppelliti. Fino a ieri mattina i cadaveri estratti sommarono a 105.
«Nella sera del giorno dieci, la truppa distribuì ai pochi rimasti in paese gallette e carne in conserva. Ieri, a mezzogiorno, a Palma San Germano, dove crollarono parecchio case, giunsero due compagnie del 9° bersaglieri. Qui però le vittime furono solamente due.
Circa il modo col quale le truppe sono distribuite nelle varie zone, il mio interlocutore mi disse: «Bisogna distinguere fra zone di prima linea, quelle cioè in cui la catastrofe fu maggiore e che si estendono intorno al centro eruttivo, da quelle di seconda linea, stabilite allo scopo di rendere rapide le comunicazioni ed agevolare l'affluenza dei soccorsi.
«Nella zona di Torre del Greco vi sono circa 10 compagnie di fanteria, di cui alcune di zappatori, con attrezzi, una compagnia del genio e parecchie colonne di carri d'artiglieria: in complesso un migliaio di uomini.
«Nella zona di Resina, da cui dipendono Portici, Resina e San Giorgio vi sono complessivamente circa mille nomini, così distribuiti: A Resina tre compagnie di fanteria ed una colonna di dodici carri; a Portici, novo compagnie di fanteria, una di zappatori e venticinque carri: a San Giorgio, due compagnie di fanteria, due di bersaglieri e una colonna di carri.
«Nella zona di Santa Anastasia, che comprende Somma, Pollena e San Sebastiano, vi sono circa 700 uomini, frazionati nel modo seguente: a Santa Anastasia, due compagnie di fanteria e quaranta uomini a cavallo; a Somma due compagnie di fanteria, con un reparto di zappatori; a Pollena, due compagnie di fanteria e cinque, carri.
«Nella zona di Ottajano, che comprende Ottajano. San Giuseppe e Terzigno vi sono 1220 uomini, divisi così: ad Ottajano, due battaglioni di fanteria, muniti di attrezzi per zappatori, due squadroni di cavalleria, una compagnia del genio e circa 70 carri, divisi in parecchie colonne: a San Giuseppe, un battaglione di fanteria ed una compagnia del genio, più una colonna di carri; a Terzigno, due compagnie di fanteria e una colonna di sette carri.
«Nella zona di Torre Annunziata, che comprende Boscotrecase e Boscoreale vi sono in complesso mezzo reggimento di fanteria e una colonna di carri. In Nola, zona di seconda linea, vi sono quattro squadroni di cavalleria e due compagnie di bersaglieri: una compagnia di bersaglieri staziona a Marigliane.
«Ogni comando di zona, ha a sua disposizione ciclisti ed uomini a cavallo.
«A Napoli vi è un presidio di più di tre reggimenti di fanteria e due di cavalleria; altre truppe sono in viaggio.»
Un rapporto del Comando militare di Napoli
Roma, 13 aprile, notte.
Il Comando del X corpo d'armata diresse al Ministero della guerra in data 12 aprile, ore 11.15, il seguente dispaccio:
«I comandanti di zone riferiscono che tutti sono in buone condizioni non ostante la continua pioggia di cenere che cade ora anche a Napoli fittissima. Continuano i lavori di sgombero ed i soccorsi alle popolazioni vesuviane aumentano. Le truppe del genio prestano utilissimo servizio, ma cinque compagnie sono tuttora in viaggio; sono giunti due bataglioni da Firenze e una compagnia del genio da Messina. Si procede all'impianto nelle zone di grandi magazzini di viveri. Tutti i feriti furono trasportati all'Ospedale; il seppellimento dei morti è quasi ultimato.
«Le popolazioni vesuviane sono alquanto rincorate, sia perché si abituano anche al pericolo, sia per l'assistenza continua della quale sono oggetto. Occorrono al comando della divisione di Napoli due capitani di stato maggiore. Furono interessati i prefetti, anche quello di Roma, di acquistare il maggior numero possibile di corbelli di vimini, pale di legno e di ferro e carriole, perché la popolazione, stimolata dall'esempio dei soldati, incomincia ora ad occuparsi dei propri interessi. In complesso tutto procede regolarmente, con calma e con sicurezza da parte di tutti. Questo comando è coadiuvato da tutti I suoi dipendenti ufficiali e truppa in modo veramente ammirevole, tale da rendere sereno l'ambiente e sicura l'azione.
«Visto che la stampa divaga, ignorando quanto si è fatto e si fa e traendo argomento soltanto da episodi quasi sempre esagerati, anche per partito preso, il comando ha diramato un comunicato alla stampa e così si regolerà giornalmente, non a difesa del proprio operato ma per tranquillizzare la popolazione. Fino a quest'ora le condizioni di Napoli sono buone e ad ogni modo sono state adottate tutto le precauzioni. «Per il comandante del corpo d'armata
«Firmato : tenente generale TARDITI».
I lavori di sgombero - Cinque giorni viva sotto la cenere! - Un circo equestre mutato in ricovero - I ladri all'opera.
Napoli, 11 aprile, notte (ritartd.).
A San Giuseppe, oggi, 350 operai, ai quali stasera se ne aggiunsero altri, lavorano a sgomberare la strada da Scafati a San Giuseppe e vi sono già riusciti in parte: il lavoro è reso difficile dai mucchi di sabbia che gli operai precipitano dai tetti. Si lavora anche a sgombrare la ferrovia per riattivare le comunicazioni con Napoli. Nel paese, che fu tra i più colpiti, non piove più cenere da due giorni.
Verso Ottaiano. invece, il cielo è oscuro e i contadini che vengono di là dicono che vi cade una fitta pioggia di lapilli.
Sono accampati in paese circa duecento soldati ed intorno al paese stesso, in attendamenti provvisori, sono circa duemila persone, che aspettano viveri, mentre il comando militare ne ha appena per la truppa. Durante tutta la giornata non giunse da Torre Annunziata, che pure dista un'ora di cavallo da San Giuseppe, alcuna notizia. Quest'abbandono preoccupa, come preoccupa la deficienza di viveri che lascia temere qualche sommossa di affamati; ma stasera furono spediti cinque furgoni, con cinque tonnellate di gallette.
Fino ad oggi i lavori di salvataggio a San Giuseppe, che sono diretti dall'ing. capo del genio civile Ronza, non ebbero esito soddisfacente che per la chiesa dell'oratorio, dove si ebbe, come è noto, il maggior numero di morti. Nelle case si scavò con scarsi risultati. Pure avvennero parecchi salvataggi, tra cui quello della giovanetta quindicenne Giustina Andreoli che visse cinque giorni - quasi impossibile a credersi - sotto la cenere. I salvati sono una dozzina e furono fatti accampare sotto la tenda di un Circo equestre posto nella piazza del paese.
II proprietario di questo Circo, Francesco Esposito, nella notte di sabato quando la massa dei fuggitivi cercava disperatamente rifugio, compì opera altamente umanitaria. Egli fece coprire il Circo e diede ricovero agli infelici, circa cinquecento, che se ne stettero tutta la notte pigiati.
Dalla chiesa sinora furono tratti centosei cadaveri, tutti identificati da un impiegato dello stato civile che è scampato dal disastro e ritornò il giorno seguente. I soldati lavorano aiutati da alcuni profughi che fecero ritorno a San Giuseppe.
Alcune case intanto continuano a crollare e sarebbero state abbattute, se si fossero avuti gli esplosivi necessari. Furono seppelliti i morti nel cimitero che fu sgombrato dei lapilli. Dei feriti, che, sono venticinque, solo tre sono in paese, ricoverati nel Circo equestre. Gli altri furono trasportati negli ospedali più vicini. Cinque dei feriti più gravi furono condotti all'ospedale di Torre Annunziata. L'aspetto di dodici estratti incolumi è miserevole. Sono sdraiati a terra sotto una tenda. Interrogati non rispondono.
Nel paese, che ha un aspetto desolante, le donne piangono continuamente in modo da destare profonda pietà. Alcuni bambini chiedono l'elemosina. Si chiede specialmente il pane, poiché il valore della moneta è relativo non essendovi nulla da comperare.
Intanto si apprendono notizie di furti avvenuti nelle case dissepolte. Passano frotte di ladri lungo tutta la linea dei villaggi devastati. Essi si avvicinano alle case gridando: «Scappate. Giunge la lava» e come la gente fugge atterrita, penetrano nelle abitazioni asportando il meglio. Ne furono però arrestati alcuni.
Concludendo la giornata odierna fu triste nella mattina, molto meno invece nel pomeriggio e nella sera, sebbene sino a stanotte sia piovuta la cenere. Le notizie del Vesuvio sono migliori. Non v'è quasi più eruzione e la lava si è arrestata ovunque. La visita, del Re rianimò la popolazione. Essa è certo dovuta alle cattive notizie di ieri e all'allarme sparsosi stamane in città, che fu veramente minaccioso.
Dispacci sbagliati e dispacci smarriti che ritardano i soccorsi
Napoli, 12 aprile, sera. Sono in grado di dare le seguenti precise informazioni sull'inchiesta governativa già condotta a buon punto, per assodare come fino a dopo la partenza del Re, cioè fino a lunedì sera, nessuna notizia precisa e concreta era giunta alla Prefettura di Napoli sull'immane disastro di San Giuseppe vesuviano. Nella notte precedente alla domenica ultima, tutte le autorità, compresi gli impiegati telegrafici, avevano abbandonato con una gran massa di cittadini il paese. Restavano circa duecento persone col parroco, nella speranza che la calma tornasse.
I profughi ricoverati a Terzigno diffusero la notizia e fu da Terzigno spedito al sottoprefetto di Castellammare, pel tramite della pubblica sicurezza, un telegramma accennante vagamente alla disgrazia. Questo telegramma, spedito verso mezzogiorno, fu recapitato, non si sa bene come e perché, solo verso le dieci della sera al sottoprefetto di Castellammare. Questi spedì allora un delegato per verificare la cosa.
Costui dovette andare a piedi a Terzigno. Egli ha raccontato che, giunto colà, ebbe notizia che si trattasse di cinquanta morti, e dice di aver telegrafato in questo senso al prefetto di Napoli. II fatto è che il telegramma si è rintracciato, ma che esso parla di cinque morti e non di cinquanta.
II funzionario di pubblica sicurezza asserisce che questo è un errore dell'impiegato del telegrafo.
Egli ha anche detto che, appurate più tardi le notizie sempre più gravi, e non avendo alcuna risposta, reclutò quanta forza pubblica era a Terzigno e parti per Ottajano. Ha aggiunto che, non contento della prima comunicazione telegrafica, spedì da Ottajano altri otto contadini con altri otto dispacci; però di questi non si ritrovò alcuna traccia. Il delegato non sa spiegare la cosa, e ritiene che i contadini non abbiano fatto i telegrammi e si siano appropriati i danari.
Questo il punto in cui sta l'inchiesta governativa: essa continua per assodare come il telegramma spedito a mezzogiorno non venne recapitato al sottoprefetto di Castellammare che alle ore 22 della sera, e come spiegasi che, appena conosciuta l'entità del disastro non si organizzò subito l'invio di soldati e di soccorsi in numero adeguato all'entità dei danni.
Napoli, 13 aprile, notte.
Sono stanco; nel mio spirito il tumulto delle impressioni recenti si attenua ed ha tregua sotto il peso della fatica e del sonno. Torno ora da Ottajano, il paese sepolto sotto la cenere ed i lapilli, la vera città morta, la nuova Pompei. Il nostro viaggio all'andare non fu penoso, poiché con la ferrovia circumvesuviana potemmo giungere sino a Somma agevolmente, e poi proseguire su carrimerci insieme ai soldati del genio, sino ad un chilometro dal paese, facendo a piedi la rimanente via.
Tutta la campagna all'intorno ci apparve come sepolta sotto la cenere; un denso lenzuolo biancastro la ricopriva, facendola, sotto la luce del sole che nelle prime ore sfolgorò magnifico, triste e pittoresca insieme. Mucchi di polvere fiancheggiavano le rotaie. Gli alberi, senza una sola foglia, squallidi e nerastri, parevano piegar lentamente sotto la cenere.
Il treno procedeva lentamente per le rotaie malsicure, mentre nei vagoni s'incrociavano discussioni animate, unico segno della vitalità meridionale esuberante, in quel deserto di polvere. A Somma apprendemmo che il Re era giunto alle ore 6,30 in automobile, che aveva visitato il paese ed aveva rincuorato gli abitanti, che il popolo gli aveva fatta una calda dimostrazione chiedendo soccorsi, e che infine aveva proseguito a cavallo per Ottajano e per San Giuseppe. A Somma quattro o cinquemila abitanti già tornarono. Le case cadute furono 15: non si ebbe che una sola vittima, come fu già altra volta telegrafato.
Lungo la linea dalla stazione di Somma ad Ottajano. una compagnia del 45 zappatori, lavora alacremente allo sgombero della cenere insieme agli operai. Altri operai ed altri soldati si occupano dello sgombero dei tetti, per evitare il pericolo dei crollamenti. Due compagnie del 41 fanteria completano la truppa, quasi tutta attendata nei quattro centri della città presso le quattro parrocchie. La terza compagnia zappatori giunse a Somma senza tende, né zaini e fu ricoverata al Municipio, sebbene questo sia pericolante, perché non vi sono posti migliori e si aspettano tendo per accampamenti.
Come discendiamo dal treno, ci dirigiamo a piedi verso Ottajano procedendo lentamente, perché si affonda nella cenere. Nessuno parla: sembra che su tutti gravi una profonda angoscia, ora che la realtà si fa sempre più tangibile. Ad un quattrocento metri dal paese, quando già la piccola stazione si profila sulla lunga distesa della campagna, scorgiamo cinque cavalieri avanzare. È il Re col generale Brasati, un tenente, un ufficiale superiore della marina: non riconosco gli altri. Ultimo è un soldato di cavalleria che chiude il piccolo drappello. Il Sovrano torna a Somma dopo aver visitalo le rovine di Ottajano e di San Giuseppe.
Ad Ottajano
Siamo infine ad Ottajano. Cinque vagoni sono di fronte alla stazione con le vetrate infrante o bucherellate come da colpi di fucile, e le ruote affondate mezzo nella cenere; ufficiali e soldati stanno riposandosi un po' dopo l'ininterrotto lavoro di parecchie ore. Ai due lati del treno vi sono enormi ammassi di polvere.
Entriamo nella stazione e conosciamo per il primo il capo-stazione Francesco
Ovidio. Egli ci è indicato come un eroe (della notte disastrosa; incurante di
sé, infaticabile, provvide ai primi soccorsi, usando dei vagoni che vedemmo
arrivando, come di ospedali. Molte altre belle figure vidi a Ottajano, ci anche
qualche anima troppo pavida: per esempio il parroco Minichino, vero tipo di
prete di villaggio, grasso, grosso e svelto, perché fuggì al primo segno della
sciagura inesorabile. Il Re s'incontrò con questo ministro di Dio in piazza di
San Francesco stamane, e gli domandò se si trovava sul posto al momento del
disastro. Come ebbe appreso che era scappato, volgendosi bruscamente alle
spalle, disse:
Il sottoprefetto mi disse che il Re visitò tutti i punti più alti della città, rimanendone impressionatissimo, e portò via come triste ricordo un grosso lapillo che affidò al generale Brasati perché glie lo conservasse. Il Sovrano fu anche a San Giuseppe, come dissi, indugiandovisi mezz'ora, e chiedendo l'entità dei danni ed il numero delle vittime.
Tra la cenere e i lapilli che ingombrano il suolo, per una via larga e diritta, entriamo nel cuore del paese. Incontriamo pochi contadini, e molti lavoratori armati di vanghe, molti soldati zappatori di fanteria, qualche ufficiale. A sinistra la via si apre sulla piazza del mercato; essa presenta i segni della rovina, della distruzione e della morte. Di fronte è il palazzo Suzzese, chiuso e pericolante, con le vetrate infrante; il frontone è abbattuto, ed una parte del lato sinistro è rovinato. Verso la sinistra è la fabbrica di liquori Galliano, il solo edificio quasi intatto: di fronte a questo è il palazzo Papi, metà in rovina. Dal lato opposto, a destra, è la chiesa, donde furono tratti anche stamane dei cadaveri.
Un soldato, dinanzi a una rustica tavola carica di carni, fa le funzioni di
beccaio, e con un coltellaccio taglia e trincia rapidamente; attendono la
distribuzione soldati e contadini. Una donna, appena ci vede, rompe in pianto,
dicendo:
Lo spettacolo del disastro
Un uomo bruno, tutto coperto di polvere nel volto rude e maschio, dagli occhi
nerissimi, ben saldo della persona, mi raggiunge. È il signor Galliano,
proprietario della fabbrica di liquori che sorge nella piazza. Quest'uomo,
appena posto in salvo la famiglia ad Avellino, tornò in paese ed incurante dei
suoi interessi, per quanto nel disastro avesse perduto molte migliaia di lire,
attese alacremente all'opera di salvataggio; infaticabile, solerte, largo di
aiuti a tutti, egli, con proprio legname, fece costruire qualche capanna,
riserbando la più piccola per sé. Offri il vino che era nelle sue cantine,
incoraggiò i più timorosi.
Tutto il paese, dall'alto, mi apparve come una città distrutta in un terribile assedio: interi edifici crollati, nude muraglie in piedi, avanzi di abitati, cumuli di macerie e cumuli di sabbia; da lontano, alberi nudi e squallidi. A sinistra scorgo una via cosi ingombra di cenere, che gli edifici rimasti vi sono sommersi sino al primo piano. A destra è la chiesa vigilata da un carabiniere perché pericolante, e poi continuamente case in rovina.
Solo un quinto delle abitazioni potrà essere riattato; il resto è perduto per sempre e se non cade sotto la violenza dei lapilli, cadrà sotto i colpi del piccone.
Sulla terrazza una ventina di operai che vogliono cinque lire al giorno, lavorava
a sgombrare la cenere e il lapillo.
Una pioggia di cenere rovesciata dalle vanghe cadeva da moltissime case, sollevando un polverone immenso. Non una voce: solo rumore, il tamburar lieve dei lapilli pittati dall'alto. Ogni tanto s'udiva un tonfo di macerie: qualche muro che si tenne in piedi per prodigio di equilibrio è caduto.
Il lavoro di sgombero procedo lento e quasi penoso, non essendovi in paese che un solo attendamento di soldati e di operai. A mezzogiorno sono arrivati gli attrezzi militari e nel pomeriggio i lavori procedettero perciò più rapidi e sicuri.
Gli abitanti rimasti sono appena un migliaio: molti tornano per salvare qualche masserizia e scappano nuovamente.
La ricerca dei cadaveri
Discesi dalla terrazza, raggiunsi la piazza e chiesi notizie dei lavori di dissotterramento dei cadaveri. Ne furono sinora dissepolti 22 e identificati dodici. L'identificazione avviene in piazza del Municipio e poi i cadaveri sono interrati nel cimitero, equidistante dai comuni di San Giuseppe e di Ottajano, a tre chilometri da entrambi e destinato ad entrambi. Restano da seppellire non meno di cento cadaveri in una trentina di case, in seguito alla ricognizione fatta ieri. Anche moltissime carogne sono insepolte. I primi lavori di dissotterramento furono fatti esclusivamente dai soldati.
Poco prima che giungessi, furono dissepolti cinque cadaveri nella chiesa di San Lorenzo, che è presso la piazza di San Francesco. È un'intera famiglia di due uomini e tre donne. Nella casa rovinatissima del vice-cancelliere di pretura Luigi Fedele deve essere sepolta tutta la famiglia di cinque persone, le quali non riuscirono a scappare.
La cronaca è più che mai triste, né mancano episodi pietosi. Ieri sera, mentre il
commissario e il sottoprefetto procedevano ad una ricognizione nelle case, in
capo alla contrada di Trecase, videro incontrarsi una madre e una figlia,
entrambe cercantesi ansiosamente, entrambe disperate oramai di ritrovarsi. Come
si videro, le due donne mandarono un grido e si slanciarono una verso l'altra,
abbracciandosi fortemente a lungo tra i singhiozzi, incapaci di articolare
parola. Poi la figlia poté balbettare:
Poco sopra la fabbrica Scudieri, in una piccola casa, fu trovata una bambina che quasi per miracolo fu risparmiata dalle macerie. Per tre giorni l'infelice vide il padre sotterrato a mezzo, col capo emergente tra le rovine e con gli occhi fuori dall'orbita, mentre la cenere e i lapilli andavano ricoprendolo. Egli si scosse e spirò sotto la caduta di una trave che gli fece come di riparo alla cenere ardente. La piccina conserva negli occhi questa visione terribile, e guarda come stralunata ed estranea a tutto ciò che la circonda. Una vecchia signora poi fu portata via a forza e salvata: essa non voleva abbandonare la sua casa. Verso Sant'Anastasia il sottoprefetto Peri, recandosi ad Ottajano, fu incontrato dal signor Ottavio Amendola, che chiedeva soccorsi per il fratello. Ma camminando oltre trovò il cadavere amato abbandonato come una carogna.
Qualche furgone che passa reca i cadaveri di cinque morti dissepolti recentemente. Essi sono avvolti in lenzuoli, ed uno reca metà del volto scoperto. È una chiazza rossastra: il naso è schiacciato. Il carro emana all'intorno un odore di putredine. Si ferma dinanzi al palazzo Papi in piazza San Francesco, ove è il comando militare. Gli ufficiali stanno in una stanzetta a destra, rifocillandosi coi pochi viveri che sono a loro disposizione. L'odore dei cadaveri invade la stanza.
La visita degli on. Sonnino e Salandra
Alle ore 1.30 giunsero con la Circumvesuviana gli on. Sonnino e Salandra, accompagnati dagli onor. Galdieri e Arlotta e dal comm. Rocco. Si fermarono prima a Somma. Sonnino, tra i giornalisti ansiosi, visita il paese chiedendo notizie intorno alla gravità del disastro e al numero delle vittime. S'informò dei vettovagliamenti e seppe che si potevano dare un migliaio di razioni al giorno: e s'informò anche del numero dei carabinieri e della truppa, e so questa sia ora attendata.
In via Umberto un popolano avanzò verso Sonnino dicendo:
In piazza San Francesco Sonnino Incontrò il parroco scappato al momento del
disastro. Egli disse:
La visita di Sonnino durò qualche ora. Il presidente dei ministri s'incontrò anche con il generale Canera di Salasco giunto poco prima, e conferì a lungo con lui. Vide poi il pretore, che con altre autorità del paese abbandonò nel momento del disastro il suo ufficio. Questo pretore per qualche giorno fu irreperibile. Il sotto-prefetto ebbe oggi per lui parole alquanto severo. Il disgraziato si scusò dicendo che ogni speranza di salvezza era perduta pel paese quando lo abbandonò. Oggi il brigadiere dei carabinieri, che fu un vero eroe, rincuorava il pretore consigliandolo a non lasciare stasera il paese. La sua opera era necessaria; non vi erano ormai più pericoli.
Alle 15 partimmo con i ministri per Napoli. Il cielo erasi fatto fosco e la pioggia di cenere ricominciava a cadere fitta sulla campagna che appariva più squallida. Apprendo durante il viaggio che anche San Gennaro è in parte distrutta, ma non vi sono vittime. A Terzigno vi furono allarmi, ma non si ebbero a lamentare né morti, né feriti. Quando giungiamo a Napoli alle 16,45, la città è avvolta dalla caligine.
Dal mio viaggio ad Ottajano potei rilevare che il contegno della truppa è stato ammirevole. I soldati non conobbero né sonno, né tregua; gli ufficiali furono pieni di slancio e di abnegazione. È mia convinzione che il pericolo maggiore è quello delle pioggie; occorre subito un'incanalazione, altrimenti i paesi vesuviani situati al basso corrono pericolo: così Pomigliano, Portici, Resina, Barra e Ponticelli. Ala quest'opera d'incanalazione costerà milioni e milioni, e ci vorrà un numero enorme di operai. A Ottajano stasera furono spediti alcuni quintali di pane.
A. Cotronei
Il sole azzurro
Napoli, 12 aprile, notte.
I napoletani, che si svegliarono stamane sotto ad un cielo fulgidissimo, respiravano di sollievo dopo tante giornate angosciose; ma verso le ore nove l'orizzonte cominciò ad oscurarsi e gli animi ripresero a trepidare.
Un fenomeno curioso fu visto per la prima volta dalle alture di Napoli: il sole appariva completamente azzurro, ed il suo disco, un poco più piccolo del normale, risaltava bizzarramente nello sfondo di nubi, che in quel momento si erano fatte più rosse.
Si diffondevano intanto, per mezzo dei giornali e degli ultimi profughi, notizie sempre tristi dai paesi circonvicini. La giornata non prometteva più la tregua promessa dal primaverile sole mattutino. Tutti i tentativi per rianimare con un soffio di vita le vie e le piazze furono interrotti e la classica giornata del giovedì santo che, come sapete, offre ancora allo straniero ed all'osservatore tanta messe di vivaci rilievi, trascorse sotto un cielo ora plumbeo, ora rossastro. Sparirono le tradizionali banchette dei rivenduglioli ambulanti, scomparvero le fiere preannunzianti la Pasqua di resurrezione ed i consueti mercati di fiori, soliti ad adornare i sepolcri della nostra settimana santa.
Eppure, malgrado la continua pioggia di sabbia e l'insoffribile tormento da essa arrecato alle persone sin nell'interno delle abitazioni, la giornata sarebbe trascorsa relativamente tranquilla nella sua sconsolata monotonia, se quasi improvvisamente, verso le ore sedici, il cielo non si fosse oscurato a tal punto che per mezz'ora la città rimase nelle tenebre, che cedettero ad una fosca penombra fino al calar della notte.
È impossibile descrivere efficacemente l'impressione popolare in quei momenti di cupa incertezza. Molto botteghe incominciarono a chiudersi e la gente mosse a cercare ricovero nelle proprie case. Se non che a poco a poco le vie cominciarono ad echeggiare delle salmodie del popolino, di grida di donne discinte e dì fanciulli piangenti che sbucavano ovunque dai vicoli.
Ho colto queste impressioni, in un momento indimenticabile, da un balcone di via Toledo: l'oscurità era talmente intensa, che anche le lampade elettriche, accese immediatamente, non riuscivano a romperla. In quel punto passò un funerale con otto cavalli, dalle bardature sudice di fango e di cenere, sotto le quali i cavalli nitrivano, come fiutando un pericolo. Il funerale procedeva tra l'indifferenza degli scarsi passanti, senza preti, senza ceri, senza fiori.
Sin quando durerà la pioggia di cenere ? Ecco quello che tutti si domandano.
Certo che se persistono le attuali condizioni meteorologiche, ogni giorno si avrà Io stesso fenomeno di ieri e di oggi, cioè verso mezzogiorno la brezza marittima spingerà la cenere su Napoli alla e verso sera la brezza di terra la risospingerà su Napoli bassa e sul mare.
L'inchiesta amministrativa
Napoli. 12 aprile, notte.
Con Sonnino è venuto da Roma l'ispettore generale del Ministero dell'interno, comm. Peano, che deve iniziare l'inchiesta amministrativa in ordine al crollamento del mercato di Monteoliveto. Egli ha chiesto ed avuta autorizzazione di aggregarsi un ingegnere per la parte tecnica, essendo egli avvocato, e quindi non competente nei giudizi di questa natura. Ieri si è recato sul posto e vi è tornato stamane. Il comm. Peano: ha richiamata tutta la pratica riferentesi alla questione del mercato di Monteoliveto, la quale si trova in Municipio ed è piuttosto voluminosa. Pare che le prime impressioni siano conformi a quelle esposte da me: si assegnerebbe una parte addirittura trascurabile al peso della cenere.
La lava è quasi cessata - Una visita al vulcano
Napoli, 12 aprile, matt.
Stamane la pioggia di cenere è quasi cessata a Napoli, è ridotta a minime proporzioni a Portici e a Torre del Greco, è cessata del tutto a Torre Annunziata e sul versante di Pompei; al contrario è piuttosto intensa a Ponticelli) a Sant'Anastasia e a Somma Vesuviana. Mancano notizie di altri comuni dalle 11 di iersera, ma in generale si ritiene che dappertutto la situazione sia migliorata.
Si è iniziato a Torre del Greco lo sgombro dei tetti oppressi dalla cenere e dalla sabbia, ad opera dei soldati e dei pompieri inviati da Roma. Altri pompieri che giungeranno stamane da Palermo saranno inviati anche colà.
Il collega De Fiore, che fu ieri all'Osservatorio del Vesuvio, mi comunica le seguenti notizie:
La lava si è arrestata completamente. La superficie si è raffreddata da Boscotrecase a Torre Annunziata, tanto da escludere in modo assoluto che dalla strada in giù possa continuare a scorrere. Delle tre bocche da cui venne fuori la lava che si riversò su Boscotrecase e Torre Annunziata, due si sono chiuse. Dalla terza, a 150 metri sotto il distrutto restaurant Fiorenza, scorre superficialmente un rivoletto di lava, appena percettibile, e senza pericolo alcuno.
La cenere è il vero grande malanno che rende il vulcano inaccessibile. Essa vien fuori abbondantemente da tre bocche apertesi nel cono principale.
La strada che conduce alla funicolare è completamente distrutta.
La casa dei carabinieri è completamente sepolta: la sabbia raggiunge un'altezza da tre a cinque metri. Della funicolare non v'è più traccia. Delle officine delle macchine non resta che una caldaia: un'altra venne trascinata dalla violenza della sabbia cento metri lontano.
Non è vero che si siano aperti dei baratri sotto la funicolare. Il sentiero della casa bianca, che sorgeva sopra Boscotrecase e conduceva all'Osservatorio, è anch'esso sepolto sotto la cenere e i lapilli. Camminando a qualche metro di distanza dal luogo ove esso correva, l'Osservatorio può raggiungersi con molta fatica in due ore. I movimenti tellurici ieri erano quasi impercettibili, però l'attività del cratere principale continua a manifestarsi con boati e getti di pietre.
Il professore Matteucci, che domenica abbandonò l'Osservatorio, vi tornò la notte di lunedì, ma egli si trova con i carabinieri quasi senza viveri. La cenere distrusse ogni vegetazione ed ogni vita animale. A centinaia si veggono i cadaveri di uccelli morti. I carabinieri sparsero pietosamente miche di pane e farina in vari punti per i poveri volatili.
Buone notizie sull'eruzione
Roma, 12 aprile, notte. Un corrispondente del Giornale d'Italia riferisce che il prof. Matteucci, in un breve colloquio, espresse la fiducia che il vento del mare, il quale suole sempre presentarsi in simili occasioni, si alzi per proteggere Napoli e i Comuni vesuviani.
I carabinieri che furono compagni al prof. Matteucci in questi giorni terribili, aggiungono che tutto all'intorno era tenebra fitta per la cenere sprigionata dal Vesuvio, la qual tenebra era a volte interrotta da istantanei bagliori, a cui aggiungevano terribilità i vomiti continui e i tremiti del monte. Di minuto in minuto i rifugiati nell'Osservatorio s'aspettavano di veder crollare l'edificio. La vista del Vesuvio dall'Osservatorio è impressionantissima; il cono appare in qualche punto abbassato di duecento metri, mentre la cenere rossastra ammonticchiata all'intorno forma come un mare perpetuamente ondeggiante.
II prof. Don Rocco Migliardi si è rivolto telegraficamente al prof. Matteucci per avere notizie del proprio fratello Antonio, il maresciallo rimasto bloccato insieme col Matteucci nell'Osservatorio. Ne ebbe in risposta questo nobile telegramma:
«Osservatorio Vesuviano, giorno 11 ore 21,35
«Dato lo stato del Vesuvio e il sentimento del dovere, non conosciamo sacrifizi. Affettuosi saluti.
«MATTEUCCI e MIGLIARDI.»
Il maresciallo Migliardi ha poi scritto al fratello così:
(Bollo postale, 9 aprile 1906).
«Carissimo fratello.
«Mi trovo fuori insieme col prof. Matteucci, non potendo rimanere nell'Osservatorio per l'eruzione vulcanica. L'amico Matteucci è salvo e mostra sempre la ben nota attività. Per misura di precauzione rimaniamo all'aperto e sulla via vesuviana. Siamo stanchi ma non avviliti, quantunque la scossa passata non sia stata indifferente. L'eruzione continua sempre imponente e pericolosa, ma noi faremo di tutto per non procurarci guai. Saluti e baci.
«firmato: NINO.»
Il prof. Matteucci è nato a Sinigaglia nel 1846, e compì i suoi studi a Napoli ove si laureò in scienze naturali. Egli si era dedicato specialmente allo studio della petrografia e della vulcanologia. Recossi poi all'Università di Heidelberg per perfezionarsi in tali materie. Ritornato in Italia, cominciò per proprio conto le osservazioni vesuviane, per le quali sofferse grandi disagi. Una volta, anzi, essendosi inoltrato verso il cratere durante una eruzione, fu colpito da un frammento di bomba vulcanica a un ginocchio, e riportò una grave contusione per la quale rimase parecchio tempo zoppo. Quattro anni or sono per titoli vinse il concorso al posto di direttore del R. Osservatorio. Matteucci poté così prendere stabile dimora nell'edifizio costruito sul dorso del Vesuvio e dedicarsi interamente allo studio dei fenomeni vulcanici.
Egli è anche libero docente all'Università di Napoli e certamente, cessata la fase eruttiva, riprenderà il corso di conferenze che tiene ogni anno, e darà interessantissime notizie intorno alla disastrosa eruzione che ha diffuso in Italia così grave lutto.
Il direttore dell'Osservatorio vesuviano, prof. Matteucci, telegrafa: «Salvo qualche raro tremito, la nottata trascorse calma, malgrado la continua emissione di sabbia finissima. Anche gli apparecchi dell'Osservatorio sono, come ieri, pochissimo agitati. Continuo a nutrire fiducia che i materiali sabbiosi sieno presto esauriti. Auguro che qualche forte vento trasporti via le ceneri dall'atmosfera corrente per Napoli e per i paesi circumvesuviani, spargendole altrove in sottilissimi strati.»
Parlando oggi col sotto-segretario agl'interni, on. De Nava, questi mi assicurò essere intenzione del Governo di conferire un'onorificenza al prof. Matteucci per la sua coraggiosa e meritoria opera quale direttore dell'Osservatorio vesuviano.
(Per telefono al Corriere della Sera)
Parigi, 12 aprile, notte. Oggi, alla Camera, il ministro degli esteri, Bourgeois, in occasione della domanda di crediti supplementari per le spese della Conferenza di Algesiras, lesse una dichiarazione relativa alla parte sostenuta dal Governo francese nel regolamento degli affari del Marocco. L'oratore si richiama ai principi emessi dall'ex-presidente del Consiglio e ex-ministro, degli esteri Rouvier, suo predecessore, nel momento, in cui si aprirono le trattative.
Bourgeois riassume i risultati acquisiti con l'atto del 7 aprile, che lascia intatti i diritti della Francia e l'indipendenza del Sultano. Egli rende omaggio all'abilità e alla vigilanza del diplomatici francesi, e alla buona volontà delle potenze alleate e amiche: Spagna, Italia, Stati Uniti, Inghilterra e Russia, il cui concorso facilitò l'accordo. Il ministro termina, augurandosi che la pace sia duratura e la Camera applaude all'unanimità.
Giova però osservare che alla Camera erano presenti soltanto centosessanta deputati sopra quasi seicento.
Parlò dopo il ministro, il deputato di destra Delafosse, che si occupa specialmente della politica estera. Egli disse che aveva presentata un'interpellanza al ministro Rouvier, ma che non gli pareva possibile di rivolgerla al Gabinetto attuale, il quale non fu che il liquidatore della situazione. Tuttavia vuole spiegare in che modo gli appare la situazione all'indomani della Conferenza.
Vaillant, deputato socialista rivoluzionario, si felicita del risultato della Conferenza, ma non ammette che la Francia abbia da sottoscrivere all'imminente prestito russo.
Il presidente della Camera dice che la Camera francese non può discutere gli affari interni di un altro paese.
L'on. Denys Cochin, della destra, protesta contro le parole del Vaillant, che dice ingiuriose per la Russia, la quale, per prima, ha stesa la mano alla Francia, isolata e sconfitta. Quindi, rivolgendosi ai socialisti, dice:
L'on. Rouanet, deputato socialista di Parigi, sollevò un grande tumulto, dicendo che la Francia ebbe un'attitudine umiliata alla Conferenza.
A queste parole la Camera protesta contro l'oratore. Il ministro Bourgeois invita l'on. Rouanet a ritirare le sue parole.
La discussione è chiusa. La Camera, all'unanimità, approva i crediti supplementari per la Conferenza di Algesiras.
Si passa allo sciopero dei fattorini postali. Sembat, deputato socialista, sale alla tribuna e dice che lo sciopero dei fattorini non è che una delle fasi della questione dei sindacati di funzionari. Egli chiede che si esaminino con equità le rivendicazioni dei fattorini postali. Espone le loro principali richieste, le quali si riassumono in una domanda di aumento di paga. Sembat propone al Governo una transazione, che consisterebbe nell'aumentare l'indennità di residenza data ai fattorini postali. Quindi traduce questa sua proposta in un ordine del giorno.
L'on. Barthou, ministro dei lavori pubblici e delle poste e telegrafi, sale alla tribuna, e fa la dichiarazione seguente:
Il Governo ha cura di tutte lo libertà, ma ha pure cura del buon funzionamento di tutti i servizi pubblici. (Applausi ripetuti sopra quasi tutti i banchi).
L'impressione prodotta da questo discorso è notevole. La priorità dell'ordine del giorno dell'on. Sembat venne respinta con 405 voti contro 82. Si vota poi sull'ordine del giorno del deputato Ville, accettato dal Governo, e così concepito:
«La Camera, approvando le dichiarazioni del Governo e calcolando sulla sua benevolenza verso i sotto-agenti delle imposte, meglio inspirata e meglio informata, passa all'ordine del giorno.»
Quest'ordine del giorno viene votato per divisione: la prima parte concepita così: «La Camera, approvando le dichiarazioni del Governo», viene approvata da 442 voti ,contro 74; la seconda parte viene adottata con 466 voti contro 86. L'insieme dell'ordine del giorno viene quindi approvato a mani alzate.
Parigi, 12 aprile, matt. Si ha da Lens, 12: Ieri fu fatto il riconoscimento dei cadaveri risaliti nel pomeriggio. Due soltanto non furono riconosciuti. Le donne di Sallaumines fecero sapere al luogotenente della gendarmeria comandante il servizio d'ordine, che erano convinte che vi sono quattro superstiti troppo deboli per essere risaliti e che sono curati nelle scuderie in fondo alla miniera. Esse hanno proposto una delegazione di cinque persone per andarsi ad assicurare di ciò. (Stefani).
La riunione della scorsa notte
(Per telefono al Corriere della Sera)
Parigi, 2 aprile, matt.
A mezzanotte e trenta i fattorini postali scioperanti erano ancora riuniti nella sala Tivoli e la discussione continuava molto aspra. Essi provarono a un certo momento gli stimoli della fame, e la sala assunse un aspetto pittoresco. I fattorini si misero a cenare a piccoli gruppi. Frattanto nella parte più remota dello stabilimento, altri, scioperanti si insediarono alla meglio per dormire.
L'avv. Willm. candidato socialista alle elezioni amministrative, pronunziò un
discorso violento: -
Quindi un altro oratore propose di organizzare delle squadre di scioperanti, le quali si recheranno a distogliere dal lavoro, con la persuasione o con la violenza, quei fattorini che vi persistono.
Alle due e mezza del mattino la sala cominciò a vuotarsi; ma restarono ancora mille scioperanti circa, i quali per far passare il tempo, ascoltavano le canzonette cantate da quelli che hanno la voce per farlo.
La situazione si riassume cosi: i sotto-agenti hanno deciso di mandare delle delegazioni al palazzo delle poste e nelle poste centrali per forzare i fattorini delle lettere a partecipare al moto degli scioperanti. I fattorini delle lettere hanno tenuto una riunione strettamente privata nella quale non presero nessuna decisione, rinviando la discussione a lunedì prossimo. Questa notizia ha un po' sconcertato i sotto-agenti e non si può prevedere se il moto sarà così generale come si temeva in principio.
Il Figaro crede sapere che i ministri dei lavori pubblici e delle poste hanno ricevuto iersera due delegati dei sotto-agenti che li informarono sulla situazione; ma questa conversazione avrebbe avuto soltanto un carattere ufficioso e privato e non significa che il Governo sia disposto a entrare in rapporto con un sindacato che finora ha rifiutato riconoscere. Barthou si mostrò tanto sorpreso quanto malcontento del modo brutale ed inopinato con cui i sotto-agenti hanno cessato il lavoro, prima ancora di avere formulato delle rivendicazioni.
Si ha da Marsiglia che lo sciopero dei fattorini delle poste di Parigi non tardò ad avere colà una ripercussione non appena venne risaputo. Il locale sindacato dei sotto-agenti delle poste e telegrafi convocò d'urgenza tutti i sotto-agenti ad una grande riunione che avrà luogo stasera (12) alla Borsa del lavoro. In sostanza i sotto-agenti di Marsiglia, mentre non desiderano la cessazione del lavoro, sembrano decisi far sentire in alto luogo i loro lamenti.
Si ha poi da Saint-Etienne che quella sezione sindacalista dei sotto-agenti delle poste e telegrafi, riunitasi iersera alla Borsa del lavoro, votò un ordine del giorno d'appoggio ai compagni di Parigi impegnandosi a sostenerli con tutti i mezzi.
L'adesione del Congresso degli insegnanti
Parigi, 12 aprile, notte. Nella seduta tenutasi in questo pomeriggio dai fattorini postali scioperanti nella sala Tivoli, venne letto tra vivissimi applausi l'indirizzo seguente: «Il primo Congresso della Federazione nazionale dei sindacati delle insegnanti e degli insegnanti di Francia, riunitosi oggi a Parigi, manda ai compagni delle poste, in isciopero pel trionfo delle loro legittime rivendicazioni, l'assicurazione della solidarietà del proletariato delle scuole primarie e il suo saluto fraterno.»
Alle ore quindici entrò nella sala un gruppo di telegrafisti: uno di essi salì
alla tribuna ed annunziò che i telegrafisti dell'ufficio centrale di Parigi si
mettevano essi pure in isciopero. Questa notizia sollevò un entusiasmo
indescrivibile. Si applaudirono e si acclamarono nuovamente i nuovi venuti.
Alcuni scioperanti, ebbri di gioia, si slanciarono nelle vie, annunciando a
tutti i compagni raccolti nei caffé delle vicinanze:
Alle ore due una trentina di giovani telegrafisti si presentarono all'ufficio della Borsa, tentando di convincere i compagni a far sciopero: essi vennero dispersi dagli agenti di polizia.
Nel diciottesimo circondario, vale a dire a Montmartre, i fattorini delle lettere, che non sono in isciopero, e che erano muniti delle loro borse, rifiutarono di uscire dall'ufficio centrale; in conseguenza stamane la distribuzione delle lettere non venne fatta in quel circondario.
Lo sciopero all'officina Riquier a Fressenneville
Numerosi arresti di scioperanti
Ci telefonano da Parigi, 12 aprile, mattina: L'Echo de Paris ricevo da Abbeville II: L'autorità giudiziaria si è finalmente decisa ad agire. Stamane quindici individui vennero arrestati e condotti ad Abbeville colle manette ai polsi. Trenta gendarmi scortavano gli arrestati. il sindaco di Abbeville, il commissario di polizia e il sostituto procuratore della Repubblica li aspettavano alla stazione. II segreto assoluto era stato serbato su questi arresti. Non c'era nessuno alla stazione; quindi non avvenne nessuna manifestazione. Due omnibus requisiti a tale scopo aspettavano i prigionieri alla stazione della piccola velocità. L'attitudine degli accusati era calma. Sono in gran parte molto giovani. Fra essi figura quell'operaio Depoilly congedato dai signori Riquier - gli industriali cui fu incendiata la villa - e causa iniziala dello sciopero; e quattro scioperanti conosciuti nella regione per le loro idee anti-militariste. Questi arresti, quando furono conosciuti a Fressenneville, produssero una grande emozione. La situazione rimane stazionaria. È falso però che tutte le officine siano in isciopero. Lo sciopero non è stato approvato e si lavora dappertutto, salvo, s'intende, nell'officina Riquier. All'ultimo momento si apprende che a Frossenneville avvennero quattro altri arresti. Gli arrestati non opposero resistenza.
Ci telefonano da Parigi, 12 aprile, mattina: I ferrovieri dell'isola di Corsica sono in sciopero dal principio di aprile. Questo sciopero - le cui conseguenze sono gravi perché l'isola in primavera è visitata da numerosi turisti - avrebbe avuto, a quanto asserisce il Matin, la causa seguente:>
«Il treno proveniente da Aiaccio e che arriva a Bastia verso le 14.30 si era fermato alla piccola stazione di Casamozza. Colà il macchinista del treno, certo Battista, malgrado gli ordini del capo stazione, che gli ingiungeva di partire, discese dalla macchina, sedette sopra un banco e si mise tranquillamente a far colazione colle provvigioni portate seco in un canestro. Lo proteste dei viaggiatori, le esortazioni del capo stazione non valsero a fargli abbandonare il delizioso pasto e quanto meno ad affrettarlo. In seguito a queste incidente, il Battista fu destituito e ciò servì di motivo o almeno di pretesto allo sciopero generale dei ferrovieri corsi».
Il suo proclama
Parigi, 18 aprile, matt.
Il Matin riceve da New York in data della scorsa notte:
Una comunicazione ricevuta dal Sun dal consolato venezuelano a New York, annunzia che Castro ha dato temporaneamente le dimissioni da presidente della repubblica del Venezuela e che il generale Juan Vincente Gomez, vicepresidente ha assunto la presidenza.
New York, 12 aprile, notte.
La lettera del console generale del Venezuela che annunzia le dimissioni temporanee di Castro, dice che Cstro desidera ritornare per qualche tempo nella vita privata per riposarsi dalle fatiche di questi ultimi tempi. Alla lettera del console generale è annesso un proclama, nel quale Castro dice che la pace regna ora su tutta l'estensione del territorio della Repubblica, che il Governo ha dinanzi a sé una situazione chiara e che tulle le questioni in litigio saranno regolate o all'amichevole, ovvero con arbitrato. Castro chiede ai venezuelani di dare il loro appoggio al generale Gomez, e termina dichiarando che se il suo allontanamento dal potere avrà per risultato di far regnare l'armonia e la concordia nel paese, è pronto a ritirarsi dalla vita pubblica in modo permanente. (Stefani).
Ci telefonano da Parigi, 12 aprile, notte: Si legge nei giornali francesi di stamane: «Un originale, nativo di New York, arcimilionario. il signor Richow Webber, ha scritto a Papa Pio X per chiedergli la mano di sua sorella maggiore che ha più di sessant'anni. Un dispaccio da Roma dice che il Santo Padre è stato offeso da questa sollecitazione insolita e ha pregato l'arcivescovo di New York di far comprendere al signor Richow Webber, il quale è un buon cattolico, la sconvenienza della sua domanda.»
Ci telefonano da Parigi 12 aprile, notte: il New York Herald riceve da New York,
11 notte: «Il Governo degli Stati Uniti, di concerto col Governo italiano, si
adopera a sciogliere i gruppi di anarchici italiani arrivati in questo paese. Da
informazioni fornite dal Governo italiano, gli anarchici hanno i loro quartieri
generali a Baltimora e a San Francisco. Un italiano
Parigi, 12 aprile, notte. Il Journal Officiel pubblica stamane un decreto del ministro dell'interno che accorda la medaglia d'oro al minatore Berton, l'ultimo dei sopravviventi della catastrofe di Courrières.
Londra, 12 aprile, notte,
Lo Standard pubblica la seguente informazione: Apprendiamo che la Conferenza dell'Aia per la Pace, già fissata pel mese di luglio, sarà rinviata almeno fino all'ottobre di quest'anno. Il cambiamento venne fatto specialmente nell'interesse degli Stati Uniti i quali devono occuparsi del Congresso pan-americano fissato pel prossimo giugno. Si è poi tenuto conto che nella prossima estate deve aver luogo a Ginevra il Congresso della Croce Rossa. Per decidere definitivamente circa la scelta del mese d'ottobre, si attende il parere del Governo olandese.
Budapest, 13 aprile, notte.
In una riunione dei partiti coalizzati, Wekerle ha esposto il programma del Governo. Egli ha detto che, in seguito alla crisi che minacciava la costituzione, i membri dei vari partiti furono costretti a costituire il Gabinetto per porre fine alla crisi. I rappresentanti dei partiti hanno assunto il Governo sulla base delle leggi del 1867, conservando intatti i loro principi.
Wekerle ha poi soggiunto che il Governo chiederà al Parlamento un bill d'indennità per i bilanci del 1905-906 e pei crediti militari non ancora votati. Chiederà pure che venga eletta la delegazione per fissare le spese comuni. Non presenterà la domanda di aumento del contingente di leva, ma soltanto la domanda del contingente normale e sottoporrà al Parlamento i trattati di commercio cogli Stati esteri, che già sono entrati in vigore.
Circa le relazioni dell'Ungheria coll'Austria, Wekerle ha dichiarato che il Governo non concluderà un'unione doganale con l'Austria, ma un trattato doganale; e il Governo presenterà il progetto di una riforma elettorale sopra una base democratica, tenendo conto dei diritti della classe operaia. Dopo l'approvazione della riforma elettorale, la Camera dei deputati sarà sciolta. Le nuove elezioni si faranno sulla base della nuova legge elettorale.
Il partito liberale, su proposta del conte Tisza, ha deliberato di sciogliersi. {Stefani).
Vienna, 12 aprile, notte.
Tutti i giornali di Budapest si occupano del discorso-programma tenuto ieri dal presidente dei ministri, Wekerle, nella conferenza della coalizione. Il tono piuttosto asciutto della sua esposizione offre poco argomento a entusiastici commenti. Tuttavia, si constata con soddisfazione che nel programma non fu rinunciato a nulla di quanto aveva formato le basi del programma dell'antica opposizione.
Il ministro dell'interno, Andrassy, è arrivato a Vienna per presentare alla Corona le sue proposte circa le nomine dei nuovi prefetti.
La giornata di corse di ieri al Trotter, favorita dal tempo, venne presenziata da numeroso pubblico. Il programma svolto, nel quale si comprendevano tre corse a prova unica, riuscì interessante lu ogni sua parte.
Ogni premio venne vivamente disputato, ma non si diedero notevoli sorprese al giuoco. Ecco l'esito delle varie gare:
Ci telegrafano da Monaco, 12 aprile, notte:
Favorita da un tempo magnifico, oltremodo interessante è riuscita oggi la corsa per il campionato del mare, alla quale presero parte ventitré canotti automobili tra racers e cruisers. Una folla enorme coronava il boulevard della Condamine e le terrazze dei giardini di Montecarlo.
Dei cinquantacinque canotti inscritti, gli italiani partirono tutti, ad eccezione di Caflit e Seasik. Le panne sono state numerose. La Fiat XIII rimase in panna al diciannovesimo giro. Essa si era avvantaggiala sugli altri canotti di 8'18", e riprese la corsa dopo essere rimasta quindici minuti in panna. La sua corsa è stata meravigliosa: arrivò a superare i duecento chilometri in 4.46'31" e fece un giro in diciotto minuti, raggiungendo così la velocità di cinquanta chilometri all'ora. E così, secondo i calcoli fatti dalla Giuria, vinse il record delle cento miglia.
Eccovi ora i risultati ufficiali:
Dei quattro primi arrivarono: 1. Delahaye in i.40'12"; 2. Antoniette in 4.42'53": 3. Fiat Xlll in 4.46'3": 4. Yarrow-Napier in 4.47*38. Cosi la Delahaye fece quarantadue chilometri e novecento metri all'ora.
Un fonogramma dalla capitale ha portato anche al Corriere la novella di un grave avvenimento, svoltosi in questi giorni fra le auguste mura di Roma. Nel teatro di Marcello, sacro ai ricordi classici, per iniziativa del Comitato centrale della Federazione nazionale fra gli studenti secondari, o meglio, come con elegante brevità si suole scrivere oggi, del C. C. della F. N. S. S., un grosso manipolo di discepoli si è adunato per significare al ministro, con dignitosa fermezza, i suoi propositi o piuttosto le sue volontà. I frutti del regime della libertà, se Dio vuole, maturano.
Il periodo degli scioperi incomposti, con rottura di vetri, rumorose gazzarre per le vie cittadine, invasioni ed abbandono degli edifici scolastici, è superato. Anche gli studenti secondari, fatti consapevoli della forza invincibile di una bene ordinata organizzazione, hanno inteso che miglior consiglio è riserbare la violenza ai casi disperati. Per ora si contentano di esercitare quell'azione moralmente intimidatrice, che può sì travolgere i ministri del Re, ma lascia incolumi i banchi e le invetriate.
In verità se c'è fra i lavoratori o i disoccupati d'Italia una classe che abbia diritto di conseguire immediati miglioramenti, questa è la rispettabile Federazione degli studenti secondari. Costoro sono infatti i paria della scuola. Già l'epiteto che li distingue dagli affini è ingiurioso e maligno. È duro sentirsi chiamare «secondari» nei più begli anni della vita, quando ogni più folle chimera pare una mèta sicura: è duro soffrire il giogo di regolamenti vessatori e di una disciplina fratesca quando il sacrosanto amore di libertà più infiamma i cuori giovanetti.
La tenacia di propositi, tutta virile, che anima queste reclute adolescenti della redenzione sociale, è votata ad immancabili trionfi. Ognuno di noi, pochi mesi or sono, poté essere testimone dell'ardire e della fierezza di cui - a tempo e luogo - sono capaci i nostri secondari. Questi secondari a cui taluno contesta perfino la dignità di studenti; continuando a chiamarli con un nome che ricorda i tempi della peggiore oppressione: scolari.
In ogni secondario parve che palpitasse il cuore di un Balilla. Vedemmo i locali scolastici asserragliati dalla Polizia, commissari e guardie di piantone nelle immediate vicinanze; birri alle prese con pacifici scioperanti. Io stesso, che scrivo, assistei ad atti di sopraffazione inaudita. Vidi, per esempio, un minorenne ciclista che correva ad impartire gli ordini del Comitato centrale o di altra autorità direttiva dello sciopero, fermato da un commissario, il quale non si peritò di gridargli, in malo modo: vada a casa! Mentre altri agenti agli alunni che tumultuavano davanti al ginnasio non si stancavano di intimare: a casa o a scuola! Capite? A casa o a scuola: come se un libero cittadino, per quanto minorenne, non dovesse legittimamente aspirare ad andarsene in qualunque altro luogo, piuttosto che a casa o a scuola.
Ma oggi i secondari coscienti, anche loro, e meglio ispirati, non scendono più in piazza, pur continuando a non andare né a casa, né a scuola: vanno al comizio.
Vanno al comizio (8 aprile 1906) ad esporre i loro desiderata e a votare i loro ordini del giorno. Premettono che non temono le minacce del Governo. E come, e perché dovrebbero temerle? La Federazione annovera sessanta sezioni che stringono l'intera penisola in una rete d'acciaio: a occhio e croce, quasi tutte le province vi sono rappresentate. La sola sezione romana vanta trecento iscritti: trecento! cifra fatidica che è tutto un programma di epici ardimenti. Esaurita la pregiudiziale, vari oratori si succedono alla tribuna e mettono in istato d'accusa i ministri che negli ultimi anni hanno retto Minerva.
La dimostrazione dell'insania di quei reggitori non avrebbe potuto esser fatta in modo più convincente. Senonché taluno penserà che anche quell'eloquenza sia stata superflua. O non bastava il comizio a dimostrare che le cose dell'istruzione vanno a rotoli, in Italia?
Ma le più gravi accuse par che fossero rivolte al ministro oggi in carica; a S. E. Boselli, colpevole, nientemeno, di avere approvato un memoriale del Comitato centrale e di non averlo ancora, dopo alcune settimane di indugio, tradotto in legge o in regolamento. E non basta; egli avrebbe anche esortato i federati a desistere dall'agitazione, in attesa dei provvedimenti governativi. Ora appunto nel monito del ministro si adombra una di quelle intimidazioni autoritarie che la coscienza evoluta del secondario, può sì, occorrendo, mettere in opera, non mai tollerare. Ben fecero dunque gli adunati di Roma a protestare. E protestarono: e per rinfrescare la memoria al ministro, se per avventura costui ne avesse sentito il bisogno, gli ricordarono quali siano i desiderata indeclinabili dei giovani operai delle declinazioni.
Non li ripeteremo qui; perché sono ormai abbastanza conosciuti: si tratta, per dirla in due parole, di licenze che debbono essere accordate a studenti bocciati in una sola materia: (non si può essere meno bocciati ed anche meno esigenti di così!): di dispensa dagli esami di licenza, concessa con illuminata larghezza ai detentori del democratico sette, non più ai soli favoriti dell'otto di media: di compensi fra prove scritte ed orali: di una terza sessione di esami ad uso dei diseredati che non godettero di entrambe le sessioni ordinarie, e di poche altre modeste domande dello stesso genere. Insomma siamo di fronte ad un vero programma minimo. Se il ministro Paolo Boselli non si deciderà a prendere la via di Damasco, come il suo santo protettore, anche la pazienza dei secondari potrà finalmente conoscere i limiti umani. Su questo punto la parola degli adunati di Roma è molto esplicita. La tregua è breve.
Gli studenti federati delle scuole secondarie, riuniti in comizio, danno mandato al Comitato centrale di presentare al ministro il memoriale, invitandolo a pronunziarsi definitivamente. II gesto è categorico: par quello degli agenti di P. S. che «invitano» il cittadino ad accompagnarli alla prossima sezione. Fin d'ora i suddetti studenti secondari deliberano di convocarsi in comizio il 29 del mese corrente per discutere le risposte del ministro e «seguire solidali i deliberati del Comitato centrale, qualunque essi sieno.» Nespole! Se il ministro non ha giudizio, a quindici giorni data, nuovi irreparabili guai possono essere riserbati alla patria.
Ve li figurate voi gli ascritti alle sessanta sezioni della Federazione, pronti a seguire i deliberati del Comitato centrale, qualunque essi sieno? E se il Comitato centrale ordinasse la distruzione degli edifici scolastici, la fucilazione dei professori o quella dei presidi - previa degradazione? Noi fidiamo nel senno del Comitato centrale; e vogliamo sperare che non sarà versata neppure una goccia di sangue innocente: anzi nemmeno una goccia d'inchiostro...
Di buon augurio ci sembra infatti,la seconda parte dell'ordine del giorno votato nel comizio di Roma. - Gli studenti secondari si preoccupano anche della questione economica, ma, come si conviene a persone accese da santi ideali, la relegano all'ultimo posto. Di fronte alla minaccia di nuovi inasprimenti delle tasse scolastiche, i secondari protestano non solo, ma deplorando il contegno di un Governo che crede di risolvere la questione scolastica e mediante una brutale rincrudescenza (sic) fiscale, invitano i propri genitori ad occuparsi seriamente della questione, e dal canto loro, deliberano di vivamente agitarsi finché la notizia non venga ufficialmente e completamente «smentita.» A parte la vaga minaccia contenuta nella deliberazione di a vivamente agitarsi finché » bisogna pur riconoscere che l'appello ai genitori rivela negli intervenuti al comizio uno squisito sentimento di famiglia; sentimento che è la migliore garanzia per l'avvenire.
Soltanto mi sembra un po' strano l'invito fatto ai cari genitori per mezzo di un ordine del giorno. Non poteva ciascun figliuolo rivolgersi prima al proprio genitore e invitarlo - in via amichevole e privata - ad «occuparsi seriamente della questione?» Non poteva il Comitato centrale riserbare il monito ufficiale ai genitori recalcitranti, denunziati dai rispettivi rampolli? Ma forse anche questo dubbio non ha ragion d'essere.
Chi ci dice che all'amichevole invito non avesse potuto rispondere qualche non meno amichevole scapaccione? E allora dove sarebbe andata a finire la dignità dei federati ?
In ogni caso, posta la questione in tali termini, certo è che al ministro e ai genitori rimane una sola via d'uscita: obbedire!
Gaio.
Glie lo aveva detto e ripetuto il povero marito: - Maria, mi sembra che tu ti mostri troppo tenera verso quel giovanotto. Lascia che vada per i fatti suoi. Pensa che hai quattro figli. E poi... alla tua età non si fanno più certe cose.
Maria invece volle mostrarsi il contrario. Ed un giorno dello scorso gennaio, mentre il marito entrava in casa, si lasciò sorprendere con le braccia al collo del suo Aristide, un bel cameriere di poco più che vent'anni.
Aristide fu messo alla porta. Ma il marito, che fa il tramviere, doveva pure rispettare il suo orario, ed allora Aristide, approfittava delle assenze.
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E tutti e due infatti si sono presentati ieri al cospetto del Tribunale. Maria Franchini, una donna lunga, magra, malaticcia forse, veste un succinto abito nero. Si direbbe la statua della pudicizia.
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Le giustificazioni della donna s'infrangono contro la confessione che Aristide Morlacchi - il complice - ha fatto avanti la pubblica sicurezza. E il Tribunale li condanna entrambi ad ugual sorte: due mesi e mezzo ciascuno di detenzione.
Presidente (sez. VII): avv. Codara; P. M. avv. Cao; difesa avv. Testori e Valente.
FEDERICO RATZEL: Il mare origine della grandezza dai popoli, studio politico-geografico; traduzione e note di O. V. Callegari; pag. 77 (Torino, Unione tipografico-editrice, L. 2). - L'autore della «Politische Geographie» dedicò questa monografia a un argomento che va divenendo sempre più attuale: l'importanza e la necessità, del dominio marittimo. Il fatto, egli dice, che vi sono ben 72 parti d'acqua e solo 28 parti di terra deve far intendere quale preponderanza abbia il mare nella, vita d'un popolo o d'una razza; preponderanza che si afferma ogni giorno più necessariamente, poiché lo sviluppo di tutti gli Stati soggiace alla legge del progresso, da uno spazio ristretto ad uno più vasto». Ed è perciò che oramai «l'antichissimo contrasto, di popoli marittimi o terrestri, di potenze marittime e terrestri, svanisco con l'accrescersi dei popoli a degli Stati». L'ultima pagina del libro porta uno specchietto dello principali marine da guerra alla fine del 1905 con questa annotazione lusinghiera per la flotta italiana: «molte corazzate ed incrociatori antiquati: flotta nel suo complesso di valore mediocre».
OTTO KARMIN,
Rag. ROMUALDO TABANELLI: Considerazioni e proposte sui tributi locali, studi economici-amministrativi; pag. 123 (Faenza, Novelli e Castellari, L. 1.50).
Cap. E. A. D'Albertis: In Africa - Victoria Nyanta e Benadir - con 185 illustrazioni, 2 tavole e 3 carte geografiche; pag. 162 (Bergamo, Istituto italiano d'Arti grafiche, L. 5). - Il capitano d'Albertis ha il gusto aristocratico delle gite di piacere... intercontinentali, e preferisce di solito quelle nell'Africa chiamata un tempo tenebrosa. In realtà, a leggere questo suo libro ameno e spigliato, pieno di particolari interessanti - in ispecie per ciò che riguarda il Benadir - e scevro d'ogni atteggiamento da rivelatore, si ha quasi voglia di chiamar il continente nero l'Africa domestica, tanto con la sua vivacità egli sa avvicinarla a noi. Con la sua vivacità di narratore e, bisogna aggiungere, con la sua macchina fotografica. Infatti, le illustrazioni fotografiche, numerose, che arricchiscono il volume sono, per interesse e per gusto, degne della più incondizionata lode.
GIAMBATTISTA PRIMO CAUTELE, tenente nel 56 di linea: Regione e Stato indipendente del Congo; con carta geografica e illustrazioni; pag. 1l6 (Cremona, Stabilimento Foroni, L. 1,25). - L'autore premette al suo studio una rigida affermazione di oggettività e d'indipendenza da ogni esagerazione polemica, così in un senso come nell'altro, circa il modo conio il Congo è amministrato e sfruttato; e gli si crede. Ma ciò ch'egli narra e descrive non è fatto per ispirare simpatia verso quell'amministrazione. A parte ciò, l'interesse del libro sta nella ricchezza dei particolari ch'egli dà, particolari utilissimi per farsi un'idea concreta della regione che ha attratta a sé l'opinione pubblica, e quindi la curiosità degli studiosi.
H. KUMMERLY: Gesamt Karte der Schweiz (Berna, Geographiscer Karton-Verlag, L. 4,50). - Questa carta generale della Svizzera è sulla scala 1:400.000 e di formato 91x59.
TEOFILO GAUTIER: Sulle Alpi (Il Monte Bianco-Il Monte Cervino); pag. 118 (Milano, Sonzogno editore, L. 0,25).
GIUSEPPE CIMBOLI: La Città terrena; pag. 385 (Torino, Roux o Viarengo, editori, L. 5). - «Due diversi amori - dice Sant'Agostino - fecero due città: l'amor di sé stesso, spinto sino al disprezzo di Dio, fece la città terrena: quella celeste, invece, l'amore di Dio spinto sino al disprezzo di sé stesso.» E Sant'Agostino scrisse appunto De Civitate Dei; Giuseppe Cimboli, oggi, prende il rovescio della medaglia, e contrappone la sua Città terrena, non ispecial modo a quella di Sant'Agostino, ma, oltre che a questa, a tutte le astrazioni che si dilungarono dalla realtà rigida e piana - alla Repubblica di Platone, per esempio, all'Utopia del Moro, alla Città del Sole del Campanella. L'ambiziosa, e un po'ingenua, idea informativa di questo libro è che a allo stato delle cose, ogni illusione così sul meccanismo della vita, come sulla natura dell'uomo, sarebbe, nonché ingiustificabile, inconcepibile. Ammainando, pertanto, le vele... si può, per la comune serietà e per la maggior energia dell'azione, proclamare, senz'altro, la vita quale è, l'uomo quale è». E l'ultimo capitolo dell'opera dimostra, anzi conchiude di conseguenza, che «il mondo sta bene come sta».
La Cassazione di Firenze (Firenze. Poggi, editore: abbonamento annuo, L. 18). - La nuova rivista giuridica in materia, civile, non è solo un prezioso complemento delle grandi riviste giuridiche italiane, ma ricolma anche una lacuna pel ceto forense della Toscana e del Veneto. Essa, oltre a riportare le decisioni delle sezioni unite della Cassazione di Roma interessanti le due suddette regioni, contiene la rassegna completa delle sentenze della Suprema Corte di Firenze, delle tre Corti d'Appello dipendenti (Firenze-Lucca-Venezia), nonché le più notevoli delle magistrature minori, con note di commento. Si pubblica sotto la direzione del prof. Carlo Lessona dell'Università di Pisa e vi è preposta una Commissione scientifica composta dei senatori professori Gabba e Vidari, del comm. Cosenza, primo presidente della Corte di Cassazione di Firenze, e del prof. Polacco dell'Ateneo di Padova.
Rivista Valsesiana, periodico mensile illustrato (Varallo. Camaschella e Zaufa; un anno, L. 4, un numero, L. 0,30).
ENRICO SIENKIEWICZ: Sul campo della gloria; pagine 305 (Milano, Cogliati, editore. L. 3). - È la prima traduzione italiana d'un nuovo romanzo storico del celebre scrittore polacco. Questo volume è la prima parte d'una trilogia intorno alla gloriosa lotta del Re Sobieski contro i turchi: la seconda parte non è ancora stata pubblicata dall'autore.
MIRIAM CORNELIO MASSA e ANGELO MARIA CORNELIO: Anima eroica; pag. 76 (Pistoia, Casa editrice Sinibaldiana). - Storia d'una vita di sacerdote, eroica e dolorosa.
E. D. COLONNA: Madri..., novelle moderno; pag, 127 (S. Maria Capua Vetere, Casa editrice della Gioventù, L. 1,50).
E. SIENKIEWICZ: La gioia d'amare! prima versione italiana di Federico Verdinois; pag. 154 (Napoli, Società editrice partenopea, L. 1,50).
Roma e dintorni, piccola guida pratica con 87 illustrazioni e 4 carte, edita a beneficio dell'Istituto Umberto I per gli orfani degl'impiegati subalterni delle pubbliche amministrazioni; pag. 98 (Roma, "L'Italia industriale artistica», L. 1).
GIOVANNI ZUMPANO, tenente delle guardie di città: Manuale, di polizia pratica ad uso degli agenti di pubblica sicurezza; seconda edizione con figure intercalate nel testo; pag. 136 (Roma, Tipografia Cooperativa Leonina, L. 1). - Libro denso di osservazioni pratiche, interessante e curioso per tutti, poiché esaminando le diverse categorie di delinquenti svela le astuzie di cui si valgono e i mezzi con cui esercitano la loro delinquenza.
CESARE AUGUSTO LEVI, direttore dei musei di Torcello e Murano: Danto a Torcello e il Musaico del Giudizio universale; pag. 40 (Treviso, Zeppelin. - «È positivo che Dante non fu in Egitto», ci afferma l'autore, accrescendo così in modo considerevole la nostra coltura dantesca, ma aggiunge più oltre: «Compresi che Dante Alighieri dovette in passare dalla Terraferma a Venezia e in uno di cotali tristi crepuscoli di autunno sei secoli fa, aver avuto il lampo sublime creatore della sua città di Dite e piansi, o Signori, di gioia nel pensare che niuno prima di me se ne fosse accorto, neppure il Poeta del melograno e del fuoco: Gabriele D'Annunzio...» Quando si dice la fortuna!
A. ZINCONE, capitano: Tra il paese, e l'esercito, conferenze dedicate agli ufficiali del 1 reggimento bersaglieri; pag. 71 (Roma, Voghera, editore). - Lodevole esempio di quell'attività d'istruzione e d'educazione dei soldati da parte degli ufficiali che va divenendo di sempre maggiore necessità o importanza.
Annuario militare del Regno d'Italia, anno 1906; volume I : Ufficiali in servizio attivo permanente ed impiegati civili. - Vol. II: Ufficiali in congedo; pagine complessive 1219 (Roma, Voghera, editore).
Ing. ELVIO SOLERI: Le centrali elettriche degli Stati Uniti d'America, con 39 figure, intercalate nel testo e 19 diagrammi; pag. 174 (Roma, Casa editrice «L'Elettricista », L. 4).
GUSTAVO USIELLI: Genova e Livorno porti europei - La direttissima Firenze-Bologna, con due carte geografiche; pag. 58 (Firenze, Seeber, editore, L. 1 50).
GIUSEPPE GIOVANELLI : Satire, terza edizione corretta ed accresciuta di nuove satire; pag. 212 (Roma A. C. E. S. D. A.).
Ci telefonano da Roma, 12 aprile, sera: Una rappresentanza del Comitato costituitosi in Roma per la erezione d'un monumento ad Anita Garibaldi nella capitale del Regno, in occasione del centenario della nascita di Garibaldi, si recò a visitare Ricciotti Garibaldi ed il presidente della Camera on. Biancheri, il quale accettò la presidenza del Comitato d'onore.
Ci telefonano da Roma, 12 aprile, notte: Questa mattina al Ministero d'agricoltura si è riunita la Commissione incaricata dal Comitato permanente del lavoro di studiare e riferire circa la personalità giuridica delle Associazioni professionali e i contratti collettivi di lavoro. Erano presenti il presidente Pisa, il relatore Murialdi, i consiglieri Maffi, Montemartini, Reina, Saldini.
L'avv. Murialdi lesse la sua relazione nella quale si constata che dall'esame delle leggi estere, confrontate col diritto italiano, emerge che quasi tutte le leggi estere che riguardano il nuovo diritto proletario entrano nel diritto costituzionale, mentre in Italia il problema proletario è pure di diritto civile.
Dopo aver passato in rassegna i diversi sistemi delle dichiarazioni e delle legislazioni, l'avv. Murialdi nella seconda parte della sua relazione, indica i principali provvedimenti, riflettenti i contratti collettivi di lavoro, la personalità giuridica delle Associazioni professionali, la soluzione dei conflitti di lavoro.
Alla lettura della relazione seguì una lunga discussione; il consigliere Saldini notò come la relazione escluda la stipulazione temporanea dei contratti che avvengono fra determinate squadre di operai e imprenditori, specialmente per cottimi collettivi. Da qualche altro oratore fu osservato che in questo caso la costituzione di apposite associazioni, come quelle previste dalla relazione, sarebbe un fatto troppo complesso, difficile, inadatto. La Commissione però fu in massima d'accordo con l'ing. Saldini sulla necessità di formulare proposte che riguardino questi casi speciali.
Ci telefonano da Genova, 12 aprile, notte: A proposito della interrogazione fatta dal deputato Cairns alla Camera dei Comuni - di cui vi fu ieri telegrafato - per sapere dal ministro degli esteri come egli avrebbe provveduto in ordine alla nave Briardab trattenuta in sequestro nel porto di Genova fin dal marzo 1903. il Corriere Mercantile pubblica stasera la sentenza emanata dalla Corte d'appello di Genova intorno alla controversia di cui detta nave e l'oggetto. Eccone il riassunto sostanziale.
La nave appartiene alla ditta inglese «Geo, II, Elder e C.». Essa, quando arrivò nel porto di Genova recava nella stiva un carico, intestato in parte all'indirizzo di diversi destinatari e per 28 carature riserbato ancora agli armatori.
La ditta Fratelli Lertora, del signor Hermann Trumpy e del signor Henry Coe, creditrice per vari titoli di essi armatori, impose un sequestro sulla nave, pensando di potersi rivalere del suo credito sulle 28 carature soprannominate. Senonché su queste esisteva a vantaggio di altri creditori il diritto inglese di mortgage, ch'è una specie di diritto di pegno ignoto al nostro Codice di commercio.
L'opposizione al sequestro dinanzi al Tribunale di Genova fu sostenuta dal capitano della nave N. Gleghorn, al quale si unirono nella fase successiva alcuni caratori, destinatari cioè del carico rimanente. Il capitano a nome degli armatori domandava una sentenza che affermasse la nullità del credito: ma perché la via a questo giudizio appariva assai lunga e prima di tutto importava togliere il sequestro, così il capitano stesso e i caratisti interessati alla liberazione della nave, reclamarono una sentenza interlocutoria che decidesse sui seguenti punti:
1° Validità in Italia del diritto di mortgage;
2° diritto dei caratisti di sottrarre la nave al sequestro;
3° Cauzione.
Ora il Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte d'appello, non ammise le ragioni degli attori e confermò il sequestro entrando anche nel fatto e confermando il credito della ditta Lertora.
La questione dunque è di competenza dei tribunali civili italiani e non importa nessuna controversia di diritto internazionale.
Il conte Mainardi da Linda
La Stampa reca che ieri, alle 14. la signora Giannina Murri, accompagnata dalla cameriera, si è recata in vettura alle carceri giudiziarie, dove ha visitato il figlio. L'incontro fu commoventissimo; la povera donna non poté quasi proferire parola. Essa non poté visitare la figlia mancandole il permesso del procuratore del re.
Tullio ricevette pure una visita dell'avv. Gottardo Alle 15, in compagnia degli avvocati Cavaglià e Berenini, giunse alle carceri anche il conte Mainardi, tutore dei piccoli Bonmartini, che si recò subito a trovare Linda, con la quale si trattenne lungamente, parlandole dei bambini. Linda proruppe in pianto dirotto ed espresse il desiderio di rivederli, ma probabilmente non sarà esaudita, perché si teme che un simile incontro possa fare una impressione troppo dolorosa sull'animo dei due bambini.
Quando uscì dalle carceri il conte Mainardi appariva molto commosso.
Ci telegrafano da Firenze, 12 aprile, notte: Oggi la contessa di Montignoso, ex-principessa reale di Sassonia, mentre in via Rondinelli passava in bicicletta, la strada essendo bagnata, cadeva fratturandosi in due punti la tibia sinistra.
La contessa fu trasporta in vettura alla sua abitazione di via Benedetto da Fojano, al villino Cigheri. Il medico della famiglia Anzelti la giudicava guaribile in cinquanta giorni.
Ci telefonano da Modena. 12 aprile, notte: Stamattina, verso mezzogiorno, il fanciullo dodicenne Pietro Ciardi, di famiglia operaia, gettavasi in prossimità della stazione sotto il treno diretto proveniente da Bologna, restandone sfracellato. Di carattere eccitabilissimo, il ragazzo aveva in antecedenza manifestato propositi di suicidio, perché stanco della vita. A dodici anni!...
Ci telegrafano da Firenze, 12 aprile, notte: La R. Accademia della Crusca, con unanimità di suffragi, elesse accademici corrispondenti Alessandro Chiappelli, Attilio Hortisi, Edoardo Moore.
Come avevamo annunciato, alle ore 15 di ieri, la presidenza del Comitato esecutivo dell'Esposizione - nelle persone del senatore Mangili, del cav. Bertarelli, del conte Crivelli-Serbelloni e del cav. Meazza - veniva ricevuta a Palazzo Marino dal sindaco e dalla Giunta comunale.
Il senatore Ponti - tornato ieri da Roma - disse come avesse potuto in quella città farsi l'idea precisa della gravità del disastro da cui furono colpite le popolazioni della piaga vesuviana e come egli credesse quindi in conformità anche dal desiderio espresso da parecchi membri del Governo e anche dallo stesso Sovrano - che fosse opportuno prorogare di qualche giorno la data d'apertura della Mostra.
I rappresentanti del Comitato risposero che non potevano essi prendere nessuna deliberazione in proposito e che si riservavano di comunicare all'assemblea del Comitato - convocato per la sera stessa - il desiderio del Sindaco. E la riunione - che durò circa un'ora - ebbe termine con l'accordo che il sindaco avrebbe dato comunicazione per lettera di quanto aveva già detto a voce.
Ieri sera, ad ore 21.30, nei locali di piazza Paolo Ferrari si radunava la presidenza del Comitato, la quale prese visione della lettera inviata dal Sindaco, alle ore 18, e immediatamente la comunicava ai membri del Comitato.
La lettera inviata dal sindaco al Comitato è cosi concepita:
«Il lutto che ha colpito tutta Italia, per i gravi e dolorosissimi disastri prodotti dall'eruzione del Vesuvio, ha trovato eco grandissima nella cittadinanza nostra, commossa dalla immane iattura dei nostri fratelli del Mezzogiorno.
«Col generale cordoglio, colle manifestazioni unanimi di compianto, coll'accorrere degli amati Sovrani e dei ministri sul luogo della sciagura, male si concilierebbe l'imminente avvenimento lieto e solenne dell'inaugurazione della nostra Esposizione internazionale, fissato per il 21 corrente.
«È di avviso questa Giunta municipale che una dilazione, sia pur breve, risponda alle condizioni tristi del momento e, sicura d'interpretare i sentimenti generali della città, prega vivamente codesto onorevole Comitato esecutivo di considerare se non sia del caso, come è desiderio della Giunta municipale, di prorogare di alcuni giorni l'inaugurazione dell'Esposizione.
«Vado certo che il Comitato esecutivo, ispirandosi agli stessi sentimenti di affettuosa commiserazione per i tanti colpiti dalla immane iattura, vorrà assecondare il voto della civica amministrazione.»
«Colla più perfetta considerazione
«firmato: il sindaco ETTORE PONTI.»
I presenti furono all'unanimità concordi nell'approvare i nobili sentimenti che avevano ispirato la lettera del Sindaco e breve quindi riuscì la discussione, che ebbe termine con l'approvazione, a grandissima maggioranza, del seguente ordine del giorno:
«Il Comitato, nel mentre afferma che l'ordinamento dell'Esposizione ne permetterebbe l'inaugurazione il 21 corrente, deferente all'invito espresso, nel nome della cittadinanza, dal signor Sindaco, con sua lettera odierna, e condividendo il dolore del paese per la sventura della regione vesuviana delibera di proporre al gradimento di S. M. il giorno 28 corrente come data dell'inaugurazione prorogata.»
I radunati deliberavano infine di inviare al generale Brusati - primo aiutante del Re - a Napoli il seguente telegramma:
«Il Comitato Esecutivo dell'Esposizione, che aveva avuto il sovrano gradimento per l'inaugurazione pel giorno 21, prega l'E. V. di portare a cognizione di S. M. che, nel pensiero di non privare le popolazioni, colpite dalla sventura, del pietoso conforto dei Sovrani e di non intralciare l'azione riparatrice del Governo, avrebbe deliberato di rispettosamente proporre a S. M. di prorogare la solennità al giorno 28 o ad altra data più prossima che piacesse a S. M. di indicare. Ossequi
Firmato: MANGILI.»
L'ordine del giorno votato dal Comitato venne, ieri sera stessa, comunicato al sindaco, che trovavasi appunto a palazzo Marino in attesa della deliberazione.
Roma, 12 aprile, notte.
Il rinvio della cerimonia inaugurale dell'Esposizione di Milano, annunciato stasera a Roma, destò ottima impressione come manifestazione di solidarietà nel dolore coi fratelli del Mezzogiorno. L'idea della proroga fu del sindaco senatore Ponti, che, giunto ieri l'altro a Roma, la comunicò privatamente al presidente del Consiglio on. Sonnino, al cerimoniere di Corte, conte Gianotti, e al ministro Carmine, ottenendone la sollecita adesione. Ieri poi il Re, avendo saputo, prima di ripartire per Napoli, della nobile e patriottica intenzione del vostro sindaco, incaricava l'on. Carmine di fare al senatore Ponti le proprie congratulazioni. Mi consta che stasera stessa il Re è stato avvertito a Napoli della decisione presa.
Il lavoro di scarico e di collocamento, malgrado le difficoltà diverse che lo rendono tuttora difficile, si è in questi giorni intensificato. Martedì entrarono nello scalo di piazza d'Armi settanta vagoni e altrettanti ne entrarono mercoledì.
Sotto le tettoie delle mostre ferroviarie presero posto due locomotive, dalle forme mastodontiche, provenienti: una dall'Ungheria e l'altra dalla Svizzera. Dall'Ungheria è giunta pure - e gli operai stanno ora rinnovandole la vernice - una motrice elettrica, simile a quelle che s'adoperano sulla ferrovia Milano-Gallarate, ma di proporzioni molto più vaste.
Un treno completo - dai vagoni snelli e leggeri - è arrivato dalla Svizzera, la cui mostra è quasi giunta a compimento. Fra gli ultimi arrivi, si è notato molto materiale delle mostre trasporti, specialmente del genio e dell'artiglieria.
Dai carri si scaricò anche molta roba destinata alle altre mostre: parecchi automobili presero posto nella galleria dell'automobilismo e nell'agraria entrarono nuove macchine agricole di diverse speci. Nella mostra dell'igiene vennero collocate numerosissime barelle e lettighe della Croce Rossa italiana.
I vagoni arrivati e scaricati alla stazione di piazza d'Armi - comprese le locomotive, i vagoni e le carrozze destinate alle mostre ferroviarie - oltrepassano il migliaio. Si attendono di giorno in giorno i treni completi, per le mostre ferroviarie, dalla Francia, da cui deve pure arrivare ora tutto il materiale destinato alle altre mostre.
Le operazioni di scarico e di collocamento delle merci francesi si compiranno in breve perché, come già dicemmo, dalla Francia verranno gli agenti doganali, risparmiandosi cosi del tempo preziosissimo per tutte le operazioni doganali, le quali hanno sempre non poco incagliato l'ordinamento dell'Esposizione.
Quando le merci francesi saranno entrate nei rispettivi edifici, la Mostra, nel suo complesso, avrà fatto un non breve passo innanzi.
In parecchie gallerie si lavora anche durante la notte. All'ufficio merci le operazioni di manovra dei treni e di scarico del materiale se non durano tutta la notte sì protraggono però ora fino a sera inoltrata e ripigliano nelle primissime oro del mattino: ieri prima delle ore 5, gli operai erano già al lavoro. Grazie alla constatata intensificazione di lavoro. L'Esposizione farà certamente in questi giorni molto cammino.
L'altra sera si sono nuovamente ripetute le prove della ferrovia elevata con risultato assai soddisfacente.
Altre 15,000 lire della Banca Commerciale /@@
Dalla Banca Commerciale italiana abbiamo ricevuto lire quindicimila da essa assegnate a favore dei danneggiati dall'eruzione del Vesuvio.
Versiamo la cospicua somma, perché la faccia pervenire a destinazione, al sindaco di Milano, al quale trasmetteremo pure tutte le altre offerte che ci pervenissero.
È questa la seconda elargizione di L. 15.000, che la Banca commerciale fa per questo benefico scopo. Altre L. 15.000 furono versate direttamente a Napoli, a mezzo di quella sua sede.
Il Credito Italiano ha deliberato ieri di versare al prefetto di Napoli dalla sua sede di detta città lire cinquemila quale prima elargizione a favore dei danneggiati del Vesuvio.
Ieri sera, promossa dalla sezione della Camera del lavoro, dai Gruppi socialisti, dalla Federazione socialista e dalla sezione del Partito repubblicano, ebbero luogo, nelle scuole di via Moscati, via Felice Casati e via Vigevano, tre comizi contro di rincaro degli affitti.
Lo scopo che si vuole raggiungere con questa agitazione era detto dalla circolare d'invito a questa riunione: è quella, cioè, di imporre una tariffa calmiere, basata sulla capacità dei locali affittabili. Questa tariffa va dalle L. 3 alle L. 4.75 al metro quadrato per le case vecchie, e da L. 3.25 a L. 5 per le case nuove.
Nei comizi si è anche protestato per il rincaro dei viveri di prima necessità.
Un altro comizio verrà tenuto domani sera nelle scuole di corso Romana, 10, ma riservato agli operai delle arti poligrafiche, i quali pure hanno diramato una circolare in cui affermano che «i proprietari di case e gli esercenti, senza scrupoli, approfittando dell'occasione, aumentano enormemente gli affitti e i generi alimentari, evidentemente con danno enorme delle classi meno abbienti, che dalla grande Mostra non traggono profitto alcuno, assoggettandosi, volenti o nolenti, a maggiori spese che le condizioni anormali della città impongono.» Essi aggiungono anche che «la percentuale concessa ad aumentare in parto gli stipendi dei lavoratori della penna e la mercede di pochi salariati, tacitamente conferma l'enorme speculazione che buona parte dei capitalisti locali intende fare per il lungo periodo dell'Esposizione.»
Per ciò che concerne il rincaro dei viveri, dobbiamo dire che per quello che a noi consta esso è sinora più affermato e temuto che non provato ed attuato. Anzi, desideremmo a questo proposito che qualcuno di coloro che sono alla testa delle nostre cooperative di consumo e quindi in grado di conoscere le oscillazioni dei prezzi, ci dicesse quali aumenti e in quale misura si sono effettuati nei generi di prima necessità. Perché continuando con questo sistema, a proclamare che i viveri rincarano enormemente, si eccitano gli esercenti a rincarare per davvero, e si fa una réclame un po' negativa alla prossima Esposizione.
Il prof. Bordoni-Uffreduzzi, medico-capo del Comune di Milano, nella seduta di ieri del R. Istituto lombardo, di cui egli è socio corrispondente, comunicò dei dati assai interessanti sul rinnovamento igienico o sulla statistica sanitaria della nostra città. Egli ricordò anzitutto le grandi opere di rinnovamento igienico, che si sono compiute a Milano dal 1888 in avanti, e cioè, in ordine cronologico:
1. Parte di fognatura stradale e impianti di acqua potabile (conduttura municipale), iniziati dal 1888;
2. Riordinamento e completamento dei servizi d'igiene pubblica, col relativo regolamento a igiene, dal 1896 in avanti;
3. Costruzione di abitazioni salubri a buon mercato e sostituzione dell'antica pavimentazione stradale in acciottolato e macadam, con altra più rispondente ai dettami dell'igiene: l'una e l'altra però iniziate da poco tempo.
Poscia il prof. Bordoni-Uffreduzzi mise in raffronto le prime due serie dei provvedimenti suddetti colle cifre della mortalità cittadina, affine di giudicare dei loro benefici effetti. Ebbene, i dati statistici raccolti nell'ultimo trentennio 1876-905, rivelano la notevole diminuzione della mortalità generale, verificatasi gradatamente fino a questi ultimi anni, e l'abbassamento, assai più rapido e notevole, della mortalità speciale per malattie infettive, realizzatosi nell'ultimo decennio.
Infatti la mortalità generale da 32 per 1000 abitanti che ora nel 1876 è andata gradatamente scemando fino a 21.6 nel 1905, e da 25.5 che era nel quinquennio 1891-95 è scesa a 21.2 nel 1901-905; mentre quella per malattie infettive da 36.7 che era nel 1876 è discesa a 8.2 nel 1905 e da 21.6 che era nel quinquennio 1891-95 si è ridotta a 9.8 nel quinquennio 1901-905.
Lo stesso fatto si ripete anche più evidente per alcune singole malattie infettive. Così il vaiolo, che nel 1894 presentava ancora una mortalità di 3.8 per 10.000 abitanti, negli ultimi tre anni (1902-905) ha ridotto la sua mortalità a zero. La mortalità per difterite da 10.7 per 10.000 abitanti nel 1895 è discesa a 2.3 nel 1905; quella per febbre tifoide da 13 per 10.000 abitanti nel 1878 è ridotta a 2.7 nel 1905.
Tutto ciò e veramente consolante e Milano offre uno dei più belli esempi di quanto possano per la salute della popolazione i provvedimenti igienici, suggeriti dalla scienza moderna.
Ne è detto che ci si debba fermar qui: altro cammino resta ancora da percorrere: così ad es. coi 21.6 per mille di mortalità generale a Milano è ancora parecchio lontana da Torino, dove la mortalità generale è del 14 per mille soltanto. Ma giova sperare che altri grandi provvedimenti, che sono in via di attuazione, faranno presto sentir anch'essi i loro benefici effetti.
Ciò serva intanto d'incoraggiamento e di sprone all'Amministrazione cittadina per lo spese che incontra a vantaggio della pubblica igiene.
Il povero Giulio Grassi - la seconda vittima della follia omicida del Torricelli - ha cessato di vivere ieri notte, all'Istituto per gli infortuni di via Paolo Sarpi, ove era stato trattenuto il suo stato non permettendo il trasporto all'Ospedale Maggiore.
L'assassino, tradotto nella notte a San Fedele, subì al mattino un primo interrogatorio per parte del commissario cav. Gislon c del delegato Argenton.
Egli mostrò di avere sufficientemente chiari i ricordi fino al momento della tragedia; ma nulla ricorda - o quanto meno dice di ricordare - di questa. Raccontò che da una quindicina di giorni i suoi due amici e vicini di casa, Longoni o Grassi, avevano assunto verso di lui un contegno provocante; pronunciavano frasi misteriose al suo indirizzo, tanto che egli riteneva di essere con quelle frasi, motteggiato e insolentito. I due andavano ripetendo - secondo quanto riferisce il Torricelli - che bisognava restaurare la casa, imbiancare di nuovo le pareti, e ciò alludendo all'appartamento del Torricelli. Questi interpretava la cosa nel senso che lo si volesse sfrattare senza motivo.
Continua a narrare l'omicida, che alcune sere sono, il Longoni e il Grassi, trovandosi nella di luì casa ripeterono le note frasi. Egli tuttavia non vi badò. L'altra sera invece, nel momento in cui la moglie erasi allontanata volle chiederne loro conto; e quelli finirono per dire che era tempo che egli - Torricelli - sloggiasse; quanto alla moglie di lui, avrebbe potuto andare sui bastioni...
Fu nell'udire l'oltraggiosa provocazione, che egli reagì: staccò dalla parete la doppietta, la caricò con movimento fulmineo, e sparò all'impazzata. Di quanto avvenne poi il Torricelli dice di non ricordare nulla; cosicché ignora la sorte dei suoi due amici, la colluttazione colla moglie, il tumulto avvenuto intorno a lui e il suo arresto. Solo, più tardi, ritornata in lui la calma ebbe come un risveglio, nel quale invano cercò di domandare a sé stesso quanto era passato e il motivo del suo arresto.
Il Torricelli ha reso il suo strano racconto con frasi sconnesse, invano cercando di rincorrere una linea diritta e logica di pensiero: tormentato come da fissazioni, ritornava a scatti sulle medesime circostanze, ripetendolo più volte.
È facile comprendere, del resto, che la di lui narrazione è il prodotto illogico, assurdo e fantastico di un cervello in cui la pazzia ha avuto una cosi violenta e orribile rivelazione. Non occorre dimostrare ch'egli agì cosi impensatamente, che i due disgraziati non ebbero nemmeno tempo di compiere alcun atto difensivo; la doppietta poi, doveva essere già carica, perché diversamente i pochi istanti impiegati per caricarla, avrebbero bastato al Longoni e al Grassi per lanciarsi sullo sciagurato c disarmarlo o almeno precipitarsi fuori della porta e mettersi in salvo.
Il Torricelli è un uomo di complessione e statura medie; ha due piccoli baffi biondi, leggermente brizzolati. Interrogato, egli non guarda il suo interlocutore; volge altrove gli occhi, girandoli o fissandoli nel vuoto, come perseguendo un fantasma.
Il Giovanni Torricelli appartiene ad una famiglia di contadini ed è nativo di Brusuglio, una, piccola frazione del paesello di Cormanno, sullo stradale Milano-Erba. Venne a Milano ancora ragazzo per guadagnarsi il pane e fino ai quattordici anni fece il selciatore. Poi, cambiando mestiere, trovò lavoro nella fabbrica di bottoni della ditta Achille Robbiati dove rimase fino a circa tre anni fa, epoca nella quale - in seguito all'importante incidente, che riferiamo più avanti - mutò una seconda volta, occupandosi prima in un'officina per la pulitura dei metalli a porta Magenta e poi in un'altra simile in via Messina, dove lavorava attualmente.
Persona cresciuta con lui afferma che il Torricelli non aveva vizi e fu sempre amante del lavoro. Soltanto coltivò fino da giovanetto una grande passione per la caccia. Malgrado fosse privo della licenza, che non poteva ottenere per la giovane età, esercitava furtivamente quello sport, tanto che una volta, sorpreso dai carabinieri, dovette pagare la multa per la contravvenzione. Appena giunto all'età propizia però si provvide del permesso e lo rinnovò regolarmente ogni anno, costituendo quello l'unico svago della sua vita.
Verso la moglie Teresa Ronchi, che sposò d'amore sei o sette anni fa, egli fu sempre affettuoso e adorava il suo unico figlioletto di quattro anni.
La sera, di ritorno dall'officina, precedendo la moglie, che lavora in una fabbrica di maglierie e, causa la distanza, rincasava più tardi di lui, egli ammaniva da sè il desinare. Non usciva quasi mai e se non andava a letto addirittura dopo mangiato, s'intratteneva qualche ora della serata appunto col Longoni e col Grassi o nella propria o nella loro attigua abitazione.
Fra le tre famiglie, che da circa sette anni abitano al terzo piano, come s'è detto, della casa N. 9, i buoni rapporti non furono mai offuscati dal più piccolo screzio.
Verso il Longoni, poi - che fu la prima vittima della tragica scena - il Torricelli era legata da un'amicizia speciale: era, fra l'altro, il suo indivisibile compagno di caccia.
Circa un paio di mesi addietro il Longoni giacque per qualche tempo malato. In quella circostanza il Torricelli ebbe occasione di dimostrare all'amico una rara premura. Egli passava, se libero dal lavoro, delle mezze giornate accanto al letto di lui, procurandogli ogni possibile divagazione o infondendogli coraggio. Di ritorno poi dal lavoro, prima ancora di entrare in casa sua passando dinanzi all'abitazione di lui, vi entrava a salutare l'amico e a vedere come procedeva la malattia.
Abbiamo avuto occasione di parlare con l'operaio Claudio Pozzuolo, che ha sposato l'unica sorella, Ida, del Torricelli, e dimora, con la moglie e tre figli, nella casa N. 14, proprio di contro cioè al N. 9.
Il Pozzuolo ci apprese l'episodio seguente:
Narra lo stesso Pozzuolo che un mese, fa il Torricelli, ritornando dal lavoro,
molto accigliato e in preda a violento orgasmo, gli disse, alludendo
all'individuo da lui querelato:
La Teresa Ronchi, moglie del Torricelli, invitata ieri in questura, è stata interrogata a lungo dal delegato Argenton. La disgraziata donna, interrotta frequentemente dai singhiozzi, confermò tutto quanto narra il cognato Pozzuolo, rilevando in ispeoial modo l'affettuosità del marito verso di lei e verso il suo piccino.
La moglie in sostanza concluse col sostenere che suo marito conservò sempre per lei immutata la medesima, fiducia, né dalla sua bocca uscì mai un accento che accennasse nemmeno lontanamente a gelosia.
Riferendo sul fatto, la Ronchi narrò che rientrò in casa proprio nell'atto in cui il marito esplodeva, un dopo l'altro, i due colpi contro il Longoni e il Grassi. Essa non poteva assolutamente impedire la tragedia.
- Oh, Madonna! - gridai - che cosa hai fatto, Giovanni?
E lui come un insensato: «Ma niente, ma io non ho fatto niente.»
La Ronchi afferma pure che quando uscì, per assentarsi pochi istanti, i tre amici discorrevano in buonissima armonia fra di loro, per cui non può essere avvenuta la scena della provocazione raccontata dal marito.
Narra finalmente la infelice donna che poco prima che il Longoni e il Grassi
entrassero, il marito, indicando il figliuoletto, che essa stava per mettere a
letto, uscì con questa stupida frase:
Il cognato Pozzuolo ci ha fornito anche altri importanti particolari. Egli racconta, ad esempio, che mercoledì mattina, al vecchio dazio di porta Volta, incontrò il Torricelli, il quale, accompagnato dalla moglie, si recava al lavoro. Si salutarono e si scambiarono qualche parola.
Aggiunge il Pozzuolo che, in quella mattina, il cognato gli fece una triste impressione. Egli notò in lui un contegno che aveva dello strano e lo sguardo tetro come di un pazzo.
Anche parlando coi compagni di lavoro del Torricelli, il Pozzuolo era stato avvertito che da circa un mese suo cognato aveva fatto un bizzarro cambiamento: anziché quello che avrebbe dovuto fare, eseguiva il lavoro che accomodava a lui e se gli si rivolgeva la parola non rispondeva affatto.
Mercoledì il Torricelli lavorò fino ad orario finito e, rincasato, fu lui, come soleva, che preparò il desinare. Mangiò poco però, anche perché, prima di sedere a mensa, bevve una decozione per riguardo appunto ai disturbi gastrici, che lo avevano tenuto a casa in quei tre giorni.
La moglie del Longoni la quale trovasi, come s'è detto, in istato di avanzata gestazione, coi suoi due figli è stata condotta dai parenti nel suo paese di Cormanno.
Parimenti la moglie del Torricelli col suo figlioletto è stata accompagnata presso la sua famiglia nel paesello di Niguarda.
Soltanto la moglie del Grassi, col figlio, è rimasta nella sua abitazione. Abbiamo parlato anche con questa poveretta ieri: essa è in uno stato che suscita la più profonda pietà.
Naturalmente la impressione di quei terrazzani è immensa.
Alcuni inquilini della casa segnata col numero 31 in via Vigentina, ieri, verso le 14, salendo le scale, sentirono un forte odore di acido carbonico uscire dall'appartamento occupato da certa Maria Rosa Morati, maritata Rossini, che vi abitava col marito.
Temendo una disgrazia, si affrettarono ad avvertire del fatto i sorveglianti del mandamento VIII. Due vigili urbani si recarono subito sul posto, mentre vi si recava pure un funzionario di P. S. della sezione di corso Romana, il quale fece forzare la porta chiusa a chiave. Stesa sopra il letto, venne trovata la donna che non dava più segno di vita; presso il letto un braciere era pieno di carbone che ardeva ancora. Furono subito spalancate le finestre e venne mandato per un medico che, prontamente giunto sul posto per prestare le cure necessarie alla disgraziata, non poté che constatarne la mette che saliva già a qualche ora.
Da un biglietto lasciato dalla suicida si poterono appurare le cause del suicidio che vanno ricercate in gravi dispiaceri domestici.
Ieri nel pomeriggio il carrozzone tramviario n. 330, che fa il servizio di circonvallazione, in viale Vigentina, all'altezza della via Altaguardia, investiva una bambina che in quel momento attraversava le rotaie. Il manovratore Primo Tavecchio frenò prontamente ma la piccina - Elena Ferri di Luigi, di 3 anni - era già stata travolta, ed in uno stato compassionevole venne tratta di sotto la piattaforma posteriore. La disgraziata bambina, mentre le venivano prodigate le prime cure, spirava in seguito ad una grave ferita all'addome prodottale dal respingente del tram dal quale era stata colpita.
Ci telegrafano da Bari. 12 aprile, notte:
Oggi ha avuto il suo epilogo la tragedia compiuta nel 18 novembre 1904 a Polignano a Mare, provocata dalla vendetta della ventenne Apollonia Gialluisi contro il suo seduttore dott. Vito Nicola, e nella quale rimasero morti il dott. Pellegrini e il padre della sedotta, Domenico.
Dinanzi alla nostra Corte d'Assise sono comparsi come imputati Apollonia Gialluisi, il fratello Giuseppe, la madre loro Maria Concetta. Dopo una settimana stasera è finito il processo che ha destato interesse ed emozione. In seguito al verdetto dei giurati la Corte assolse Gialluisi Maria e Gialluisi Giuseppa. I giurati concessero la legittima difesa all'Apollonia e venne condannata per porto d'arma abusivo, a dieci mesi di detenzione.
Costei, protagonista della tragedia, altra volta comparve dinanzi ai giurati per mancato omicidio a danno dello stesso dott. Pellegrini. Allora ai giurati che l'assolsero disse: «Tornerò nuovamente in questa gabbia!»
Il pubblico ha applaudito la sentenza ed ha fatto una dimostrazione all'uscita degl'imputati. Anche l'Apollonia fu rimossa in libertà, avendo già scontata la pena.
(Per dispaccio e per telefono al «Corriere della Sera»)
Gli esempi della storia europea
Londra, 33 aprile (matt.).
Il corrispondente del Daily Telegraph ha sottoposto al professor Martens, il celebre giureconsulto di fama mondiale, la seguente questiona: il Governo presente della Russia è nel diritto di negoziare il prestito internazionale, prima di avere l'approvazione della Duma? E quest'altra relativa: la Duma potrebbe ripudiare gli impegni che il Ministero assume?
La risposta dei professor Martens fu completamente favorevole alla tesi del Governo russo, a cui riconosce il pieno diritto di negoziare quanti prestiti ritiene necessari. Tale diritto è basato, anzitutto, sugli statuti dell'Impero, a senso dei quali furono contratti i prestiti precedenti. Questi statuti sono stati confermati dalla sesta clausola della legge 8 marzo passato, per la quale tutti gli impegni derivanti dal debito estero, contratto dall'Impero, sono intangibili e non possono venire modificati dalla Duma o da qualsiasi altra futura assemblea legislativa. Del resto, tale principio e universalmente riconosciuto e seguito da tutte le nazioni.
Il prof. Martens ha ricordato come neppure il mutamento di regime, provocato da rivoluzioni, abbia modificato tali norme: infatti i nuovi Governi hanno sempre cominciato col riconoscere gli impegni finanziari presi dai loro predecessori. Quanto poi all'obbligo contratto dal Governo presente della Russia, in nome della nazione, esso non potrebbe essere né eluso, né modificato per qualsiasi cambiamento di governo, neppure in seguito a una rivoluzione radicale.
Il giureconsulto ha citato in appoggio alla sua tesi gli esempi offerti dalla storia europea quello dei Borboni che, dopo la restaurazione del 1815, riconobbero gli impegni finanziari assunti dai governi della Rivoluzione, del Consolato e Napoleonico, sebbene si sforzassero di cancellare tutte le tracce di quei governi. Così gli impegni di Luigi Filippo, della seconda Repubblica e del seconda Impero, furono riconosciuti dal Governo della terza Repubblica, e fra questi vi era un debito di un miliardo, contratto dal Ministero imperiale proprio nel 1870, quando Napoleone poteva considerarsi già spacciato.
La storia dell'Austria, dell'Italia e della Prussia porge pure di tali esempi.
Quanto al caso attuale, il Martens rileva che il Governo russo non potrebbe aspettare che la Duma lo autorizzasse a contrarre il prestito, poiché prima di un mese non potrebbe venire in discussione la questione finanziaria e gliene occorrerebbero parecchi altri per uno studio completo e per un'analisi dettagliata del bilancio, da parte di una Commissione speciale e dei relatori. Ora il Governo non può, senza gravissimo pregiudizio per gli interessi dello Stato, attendere tanto tempo per incassare il denaro che gli occorre immediatamente. La liquidazione delle spese di guerra non può essere posposta. Nessun russo può desiderare che il Governo venga meno a impegni che, una volta assunti, devono essere considerati come sacri.
Le domande della Turchia
Londra, 13 aprile (matt,).
L'incidente anglo-turco si va aggravando. Il Daily Telegraph riceve dal Cairo:
Apprendo dalla fonte più alta che la questione tra la Turchia e l'Egitto, circa l'occupazione di Akaba, lungi dal l'appianarsi, è entrata in una fase più critica. Infatti, ora la Turchia ha avanzato nuove e inaspettate pretese: essa domanda il diritto di occupare qualsiasi punto della penisola del Sinai senza consultare l'Egitto, basandosi appunto sul precedente dell'occupazione di Akaba e di altre località. La Porta chiede, inoltre, che il confine settentrionale, della penisola del Sinai sia costituito da una linea che vada da Akaba a Suez, lungo la quale essa intende costruire una ferrovia che potrebbe essere prolungata anche al di là del canale.
Le autorità inglesi mantengono il più assoluto riserbo, circa la risposta data a queste straordinarie richieste; ma è facile supporre che abbiano espresso il più categorico rifiuto. È inutile dire che, se le domande della Turchia fossero accettate, tutti i principi fondamentali dell'indipendenza egiziana ne resterebbero scossi.
Londra, 13 aprile (matt.). Il Daily Telegraph ha da Vienna: La questione della rimozione dei regicidi serbi dai loro gradi nell'esercito è stata aggravata dalla dichiarazione del ministro degli affari esteri inglese, annunciata oggi a Belgrado. Il Gabinetto del generale Gruic ha presentato un ultimatum al Re Pietro, nel quale chiede che egli acconsenta a risolvere la questione dei cospiratori. Il Governo rileva, in questo documento, la deliberazione del giovane partito radicale, il quale chiede che il presidente del Consiglio dia una immediata soluzione, o le dimissioni del Gabinetto.
La situazione è poi complicata dalla circostanza che il Gabinetto austriaco, per sottoscrivere al nuovo trattato commerciale con la Serbia, che ha grande importanza per il commercio nazionale, pretende che la Serbia acconsenta a ordinare parte dei suoi nuovi armamenti alle fabbriche austriache. I radicali di ogni gradazione sono affatto contrari a tale richiesta.
L'annuncio a breve scadenza
Londra, 13 aprile (matt,).
Commentando alcune frasi del ministro degli esteri francese, il Daily Telegraph di stamane scrive:
«L'equilibrio delle potenze è una frase che fu considerata come un dogma internazionale, poi per molti anni fu dileggiata, ma ora è riconosciuta di nuovo come l'espressione di un importantissimo principio. Tutte le nazioni del mondo sono interessate soprattutto al mantenimento della pace ma, finché il potere militare e navale delle combinazioni rivali non si pareggia, i più forti saranno sempre tentati di attaccare i più deboli. È evidente, però, che se la Russia, l'Inghilterra e la Francia si accorderanno, la pace europea non sarà messa in pericolo. La parola alleanza, sarebbe fuori di posto; ma un accordo tra queste tre potenze non offenderebbe alcuno. Nella sua essenza l'accordo deve essere difensivo e non aggressivo. Non vi è alcun motivo per cui la triplice non debba interamente appoggiare la politica di una triplice entente cordiale.»
A complemento di queste dichiarazioni significanti del Daily Telegraph, posso aggiungere che la triplice entente cordiale è già virtualmente compiuta e l'annunzio ne sarà dato tra breve: si attende solo l'occasione propizia, e onesta sarà fornita probabilmente dal ricevimento che lo Zar farà al nuovo ambasciatore inglese, Nicholson, reduce da Algesiras. È superfluo mettere in rilievo l'importanza grandissima di questo accordo che, concluso ora, sarà certamente interpretato in senso ostile alla Germania.
Londra, 13 aprile, notte. Lo Standard di stamane ha da Madrid che Re Alfonso partirà da Madrid lunedì prossimo diretto a Cherbourg ove si imbarcherà per l'isola di Wight (Inghilterra;, a bordo del yacht reale Giraldo. Egli rimarrà otto giorni in Inghilterra. Dopo il suo ritorno ai primi di maggio visiterà Biarritz e San Sebastiano ove soggiornerà per una settimana. La principessa Ena, sua fidanzata, si recherà a quell'epoca nuovamente a Biarritz. Il Re ritornerà quindi a Madrid per occuparsi dei preparativi per la cerimonia del matrimonio che avrà luogo il 2 giugno.
Il movimento si estende
Ci telefonano da Parigi, 13 aprile, mattina:
Lo sciopero dei fattorini postali accenna a prendere sempre maggiori proporzioni. Nell'adunanza tenuta ieri sera dagli scioperanti, alla quale assistevano circa cinquemila sotto-agenti delle poste, il presidente riferì e commentò il discorso molto energico del ministro Barthou alla Camera e attaccò vivamente il Governo, dicendolo composto di persone di vari partiti, unita soltanto e alleate contro i funzionari subalterni dello Stato, ai quali si rifiuta ingiustamente di riunirsi in sindacato. II presidente continuò qualificando di intimidazione e di minaccia l'avvertimento del Barthou, che coloro i quali non si presenteranno al lavoro domani saranno formalmente licenziati.
L'assemblea votò un ordine del giorno nel quale deliberò di persistere nello sciopero. Il presidente annunziò, poi, che nell'adunanza tenutasi questa sera, anche i portalettere, in numero rilevantissimo, hanno deliberato di mettersi domani in sciopero.
L'ultima distribuzione di ieri sera non potè essere fatta per mancanza di personale, specialmente interno, per la selezione delle lettere. Sembra che altre categorie di agenti e sotto-agenti vogliano mettersi in sciopero. Notasi poi anche una certa agitazione fra le signorine del telefono, e non sarebbe da sorprendere qualche movimento fra esse.
Le adunanze di Marsiglia e di Saint-Etienne
Parigi, 13 aprile, matt.
Telegrafano da Lione che le sezioni lionesi degli impiegati postali hanno tenuto un'adunanza in cui, dopo vivace discussione, hanno deliberato di scioperare per domani. Molti sotto-agenti annunziano poi di avert ricevuto l'avviso di un prossimo trasferimento a Parigi per sostituire gli scioperanti. La maggior parte di essi ha dichiarato di non accettare il trasloco.
Anche i sotto-agenti di Marsiglia hanno tenuto un'adunanza, nella quale dopo aver soprasseduto alla proposta di proclamare lo sciopero, hanno votato un ordine del giorno con cui fanno atto di solidarietà coi colleghi di Parigi, e dichiarano di associarsi alle loro rivendicazioni e di protestare contro il contegno del Governo, che rifiuta di ricevere i delegati sindacali. Hanno inoltre pregato il prefetto di Marsiglia di trasmettere al Governo le loro lagnanze. Il prefetto ha aderito.
Una viva effervescenza regna pure tra il personale delle poste e telegrafi della Loira. Se le misure annunziate alla Camera dal ministro Barthou saranno prese, forse il movimento dello sciopero si estenderà anche a Saint-Etienne. Riunioni sono state tenute dai sottosegretari per concertarsi. Gli agenti si riuniranno domani.
Ci telefonano da Parigi, 13 aprile, mattina:
Oggi una delegazione del partito costituzionale democratico russo si è presentata al ministro dell'interno Clemenceau. Lo scopo della delegazione era quello di pregare il ministro di volere intervenire perché l'emissione del prestito russo a Parigi sia sospesa o ritardata, almeno fino alla convocazione della Duma. Clemenceau dapprima non voleva ricevere la delegazione e l'aveva indirizzata al ministro delle finanze, ma i delegati russi insistettero, facendo appello al Clemenceau giornalista, vechio liberale che sempre sostenne le rivendicazioni del popolo russo. Clemenceau allora dichiarò che riceveva la delegazione nella sua qualità di privato.
Il colloquio durò circa mezz'ora. I delegati insistettero nella loro domanda, ma Clemenceau non volle impegnarsi in alcun modo, dicendo essere ciò di esclusiva spettanza del ministro delle finanze, e pregò quindi i delegati di rivolversi a Poincaré.
Domani la delegazione farà domanda d'udienza al ministro delle finanze.
Ci telefonano da Berna, 12 aprile, notte: È noto che lo scopo della venuta in Berna dei sindaci di Milano, Genova, Torino, Novara era quello di invitare il Consiglio federale alle feste che si terranno in Italia per l'inaugurazione del Sempione.
Il presidente della Confederazione aveva accettato in precedenza l'invito di Milano, ma si era scusato per le feste di Genova; però, data la cortese insistenza dei sindaci, il Consiglio ha risoluto di mandare a Genova tre dei suoi membri, accompagnati dai rappresentanti dell'assemblea federale. Nel ritorno essi passeranno per Torino e Novara.
La municipalità di Losanna ricevette dal sindaco di Milano, senatore Ettore Ponti, una gentilissima lettera invitante quella città alle prossime feste per l'apertura dell'Esposizione internazionale.
La municipalità di Losanna si fece un obbligo di rispondere subito, accettando il cortese e lusinghiero invito.
Il Consiglio manderà a presenziare il grande avvenimento i suoi rappresentanti.
«Si parli al popolo»
Napoli, 13 aprile, notte.
Sotto il titolo «Si parli al popolo» Matilde Serao pubblica nel Giorno un articolo rivolto al cardinale Prisco, arcivescovo di Napoli, in cui parla del senso di oppressione e di sgomento che occupa l'animo del popolo di Napoli al cospetto non solo dei danni materiali recati dall'eruzione, ma anche al cospetto delle fantastiche minaccie, contenute nei fenomeni paurosi della caligine e della cenere che hanno accompagnato l'eruzione.
E rivolgendosi al cardinale Prisco, la Serao dice:
Napoli, 13 aprile, notte.
Essendosi potuto riattivare il servizio della ferrovia circumvesuviana fino ad Ottajano, gli on. Sonnino e Salandra partirono alle 11.20 per Ottajano, accompagnati da parecchi deputati. Alle stazioni di Ceriola, Pollegno, Sant'Anastasia, le autorità si recarono a salutare il presidente del Consiglio ed informarlo delle condizioni dei rispettivi paesi. Man mano che il treno procedeva i danni dell'eruzione si mostravano più gravi ed i lapilli ammucchiati lungo i binari, minacciavano di ingombrarli nuovamente.
Col treno ridotto ad un solo vagone, i due membri del Governo proseguirono per Ottajano; era il primo treno che ripercorreva la via dopo la catastrofe; esso era costretto a procedere a passo d'uomo. Transitò così innanzi alla sezione di Somma detta di Costantinopoli, dove quasi tutti i tetti sono crollati. Finalmente si fermò nei pressi della stazione di Ottajano. I lavori di sgombro procedevano qui alacremente.
Procedendo pei campi, fra i vigneti, i due ministri raggiunsero il paese accolti da molte donne che chiedevano soccorso; essi le confortarono ed incoraggiarono. Il colonnello Mambretti informò dell'opera compiuta, elogiando l'eroica condotta delle truppe, che sfidano i pericoli, tentando qualsiasi opera di salvataggio.
Alle ore 14.20 gli on. Sonnino e Salandra risalirono in treno e ritornarono a Napoli alle ore 17.
Questa sera l'on. De Nava partì per Roma.
Napoli, 13 aprile, notte.
Con telegramma odierno il ministro Salandra sospese il pagamento dell'imposta fondiaria nei ventidue Comuni del circondario di Nola.
Oggi il Comitato centrale per i soccorsi ai danneggiati tenne la sua prima riunione sotto la presidenza del Duca d'Aosta con l'intervento degli onorevoli Sonnino e Salandra. Il Duca d'Aosta, appena aperta la seduta annunziò l'offerta della Duchessa e sua di lire 25.000.
Il presidente del Consiglio spedì 10,000 lire all'ingegnere capo del genio civile, Ronza, per provvedere ai lavori di sgombero e di demolizione nei Comuni di San Giuseppe e di Ottajano. Altre diecimila lire, oltre a quelle già distribuite, si inviarono al sottoprefetto di Castellammare per i soccorsi urgenti ai profughi ivi rifugiati.
Il sindaco di Roma inviò 20,000 lire; da Genova si annunzia l'invio di cinquemila lire da parte di quella Deputazone provinciale; 500 lire furono mandate dall'Associazione costituzionale di Firenze.
Parigi, 12 aprile, notte. Il presidente Doumer ha letto alla Camera dei deputati un telegramma con cui si esprime alla Camera dei deputati italiana, in nome della Camera francese, la simpatia della Francia in occasione della eruzione del Vesuvio. Il ministro degli esteri, a nome del Governo, si è associato a questa dimostrazione di simpatia. (Stefani).
Londra, 13 aprile (matt.). Si ha da Berlino che il sismografo di Gottinga ha registrato stamane, alle ore 4, alcune nuove scosse di terremoto in lontananza, di intensità straordinaria. I calcoli fatti dai sismologi inducono a credere che le scosse provengano dall'Italia meridionale. Se questa ipotesi è confermata, bisognerebbe dedurre che non si può più attribuire la catastrofe del Vesuvio soltanto alla chiusura della parte superiore del cratere; la causa della eruzione sarebbe assai più forte, e ciò renderebbe probabili nuove catastrofi.
Ci telefonano da Roma, 12 aprile, notte: La Commissione permanente degli ispettori d'artiglieria, alla unanimità di voti emise, non è molto, parere favorevole all'adozione del materiale da cannone scorrevole da settantacinque millimetri in acciaio, di tipo analogo a quello provato a Ciriè nel 1904, e con quelle lievi varianti che le prove fatte in seguito dimostrarono opportune. In seguito a tale parere, che venne anche confortato da quello del capo di stato maggiore, il Ministero ha disposto che la casa Krupp, in base alle convenzioni esistenti, allestisca e consegni entro il prossimo ottobre una batteria del tipo definitivo adottato, e in seguito si inizi senz'altro l'allestimento su vasta scala delle batterie che devono sostituire quelle da 87 millimetri, in bronzo modello 80-98 tuttora in servizio.
La costruzione del nuovo materiale verrà fatta nei nostri stabilimenti militari, con il più largo concorso dell'industria privata, anche allo scopo di non essere costretti ad aumentare il personale dei nostri stabilimenti militari. Intanto si potrà tutto preparare perché a suo tempo anche le batterie da settantacinque, in acciaio ad affusto rigido, ora in servizio, siano trasportate sul nuovo tipo, in modo da avere per tutta l'artiglieria campale dell'esercito un materiale di tipo e calibro unico, con lo stesso identico munizionamento.
E così la questione dei cannoni da campagna, che tanto e giustamente preoccupa l'opinione pubblica, resta definitivamente risoluta.
Milano – Si costituita a rogito del notaio Guasti, con sede a Milano, questa
anonima, per l’industria e il commercio della carrozzeria in genere, tanto
comune che di lusso per automobili, col capitale di lire 800.000 aumentabile a
lire 3.000.000 per deliberazione del Consiglio, così composto:
Ne sono sindaci i signori:
Roma – A rogito del notaio Rinaldi si è costituita questa anonima, il cui scopo è quello di impressionare pellicole per cinematografi, costruire e vendere pellicole, macchine ed accessori di qualunque genere per cinematografia, fotografia ed industrie affini; sviluppare nfine tutte le industrie che hanno attinenza con la cinematografia e la fotografia, sia fondando nuove società, che prendendo cointeressenze. Il capitale è fissato in L. 250.000 interamente versato, diviso in 2500 azioni da L. 100 cadauna. L’esercizio annuale si chiude il 31 dicembre di ogni anno. Sono stati nominati: ad unico amministratore il signor ing. Adolfo Pouchain; a sindaci effettivi i signori: Palombelli Enrico, De Rossi Giuseppe, Coari ing. Gino; a sindaci supplenti i signori: Navone Cesare e Pediconi avv. Filippo.
Aumenti di capitali Società di macinazione
Milano – Il Consiglio di amministrazione, valendosi della facoltà conferitagli dallo statuto, ha deliberato di portare il capitale sociale da L. 3.500.000 a L. 5.000.000, mediante l’emissione di 6000 nuove azioni da L. 250 ciascuna, con godimento dal 1 gennaio 1906, al prezzo di L. 300. Il premio di L. 50 per azione, depurato delle spese, sarà passato ad ammortamento dei nuovi deputati.
Emissione di azione
Banca popolare agricola commerciale di Pavia
Il Consiglio d’amministrazione, riunitosi ieri l’altro, ha deliberato, in esecuzione della deliberazione dell’assemblea straordinaria dell’8 febbraio, di emettere 10.000 nuove azioni, del valore nominale di L. 50, in aumento del capitale sociale, che viene portato a L. 1.500.000. Queste azioni vengono offerte in opzione ai soci in ragione di un’azione nuova per ogni due già possedute. Il prezzo d’emissione è fissato in L. 140 e avranno godimento di metà dividendo nel 1906.
Bilanci e dividendi
Società toscana per imprese elettriche
Firenze – L’assemblea ordinaria alla quale intervennero 4 azionisti,
rapresentanti 7960 azioni delle 8000 da L. 500 costituenti il capitale di L.
4.000.000 – versato L. 3.000.000 – presieduta dal signor console Carlo Kapf,
approvò il bilancio dell’esercizio 1905, e deliberò di distribuire agli
azionisti un dividendo del 6%, cioè L. 30, per azioni da L. 500 della prima
serie, interamente liberate; L. 21 per quelle pure di L. 500, di cui sono
versati 7/10; L. 9 per le azioni della terza serie di cui sono versati 3/10,
portando l’avanzo degli utili, di L. 39.461, al nuovo esercizio 1906. L’utile
netto del 1905 fu di L. 250.426. Fu rieletto a consigliere d’amministrazione il
comm. Avv. Biagio La Manna; a sindaci effettivi i signori:
Roma – La relazione del Consiglio, che dà particolareggiate notizie sulle pendenze fra il Governo e la Società per la questione del riscatto, propose nell’ultima assemblea degli azionisti, alla quale erano rappresentate 8132 azioni, di sospendere per ora, la distribuzione del dividendo, in attesa che siano definite le questioni pendenti col Governo. L’assemblea approvò il bilancio del defunto barone Domenico Gallotti, il Consiglio ha eletto a presidente il cav. Lazzaro Donati.