Atto I
Scena I
Il teatro rappresenta la gran piazza di Lisbona. In fondo il palazzo del Generale Spagnuolo a cui si sale per una gradinata. A dritta dello spettatore il palazzo della principessa Giovanna De Guzman, a sinistra l’ingresso ad una caserma.
Carlo, Mendez, Soldati Spagnuoli, Portoghesi, poi Don Pedro e Don Diego.
(Carlo e Mendez con parecchi soldati Spagnuoli hanno recato una tavola dinanzi la porta della caserma, vi s’assiedono intorno e bevono. Soldati Portoghesi con le loro donne e i loro parenti attraversano la piazza, formano de’ gruppi qua e là, guardando biecamente i soldati Spagnuoli.)
Coro
Carlo, Mendez, Soldati Spagnuoli
Al cielo natio,
sorriso di Dio,
voliam col pensier
tra i canti e i bicchier.
Con fronde d’alloro,
col vino e coll’oro
del pro’ vincitor
si premii il valor.
Portoghesi
(a diritta ed a mezza voce)
La facile gloria
d’incerta vittoria
consacran gl’Iberi
tra canti e bicchieri…
Di nuovo cimento
fatale momento
t’affretta, e il valor
rinfranca ne’ cor.
Carlo
(alzando il bicchiere)
Evviva, evviva il grande capitano,
Mendez
d’Iberia orgoglio e primo per valor!
Carlo
Fulmine in guerra…
Mendez
Mai non fere invano,
ed è de’ suoi l’amor!
(in questo mentre escono dalla caserma Don Pedro e Don Diego tenendosi in atto famigliare)
Diego
Così di queste mura
che chiamano Lisbona,
lo disse il General!… mio duce, è ver?…
(barcollando alquanto e indirizzandosi a Don Pedro)
noi siam signori!
Pedro
(ridendo)
Olà! il tuo piè vacilla!
Soldato, ebbro tu sei!
Mendez
Ebbro son io… d’amore!
Ogni beltà mi piace!
Pedro
(sempre ridendo)
È il Lusitano
geloso, e alter delle sue donne il core!
Mendez
(sempre barcollando)
Cor non v’ha che non ceda
d’un cimiero alla vista!
(a Carlo)
Vedrai!…
Carlo
Ma i lor consorti?
Mendez
Altero vincitore
io non sarò per chi mi dona il core.
Coro
Spagnuoli
Al cielo natio,
sorriso di Dio,
voliam col pensier
tra i canti e i bicchier.
Con fronde d’alloro,
col vino e coll’oro
del pro’ vincitor
si premii il valor.
Portoghesi
La facile gloria
d’incerta vittoria
consacran gl’Iberi
tra canti e bicchieri…
Di nuovo cimento
fatale momento
t’affretta, e il valor
rinfranca ne’ cor.
Scena II.
Giovanna De Guzman, Vittoria, Tello e detti. Giovanna vestita a lutto, appoggiandosi al braccio di Vittoria e seguita da Tello, attraversa la piazza venendo da sinistra e dirigendosi verso il proprio palazzo: ha un libro di preci tra le mani. È salutata con rispetto dai Portoghesi, coi quali famigliarmente si trattiene in colloquio.
Diego
Qual s’offre al mio sguardo – del ciel vaga stella?
(a Don Pedro)
Tra noi qual si noma – sì rara beltà?
Pedro
A lutto vestita – del prence sorella,
cui tronco fu il capo – ostaggio qui sta!
Or mesta deplora – l’amato fratello…
Diego
(con vivacità)
Amico al Braganza – che tanto l’amò.
Affetto fatale – che il sangue scontò!
Pedro
È dolce la prece – d’un labbro amoroso…
Diego
All’ombra diletta – invoca riposo.
Pedro
(sorridendo)
E ultrice su noi – la folgor del ciel!
Diego
E a dritto: la pena – fu troppo crudel!
Pedro
Ah! taci: ad un soldato
mal s’addicon tai detti!…
(Don Pedro saluta rispettosamente Giovanna e rientra nella caserma con Don Diego)
Scena III.
Detti, meno Don Diego e Don Pedro.
Tello
O dì fatale,
giorno di duol, ove il nemico ferro
de’ migliori suoi figli
il suol materno orbava!
Giovanna
O mio fratel, Fernando! o nobil alma!
Fior che rio turbin svelse
nel suo primier mattino!
Odio eterno a colui che la tua vita
rapiva… E indifferenti a tanto eccidio
stan tuoi guerrier!… Da me vendetta omai,
o mio fratel! e sol da me tu avrai.
Mendez
Assai nappi vuotammo: or la canzone
ci allegri… (alzandosi da tavola) Il Lusitano
canti le nostre glorie!
Carlo
Il pensi?
Mendez
(completamente ubbriaco)
Per mia fé! canto gentile
fra queste belle chi sciorrà?
(avvicinandosi barcollando a Giovanna)
Fior di beltade, a te s’aspetta! or via…
Vittoria
Di noi che fia?
Mendez
Signor mi fe’ dell’armi
la sorte, e al vincitor mal ti sottraggi!
Non più s’indugi! olà!
Vittoria
(con isdegno e facendo atto di proteggere Giovanna)
Soldato! e tanto ardite!…
Giovanna
(ritenendola)
Taci!
Mendez
(minaccioso a Giovanna)
Tu canterai!… ovver…
Giovanna
(con calma)
Udite!
(Mendez e Carlo cogli Spagnuoli hanno di nuovo occupato il loro posto intorno alla tavola: poco a poco i Portoghesi s’avvicinano ad essi, quasi circondandoli durante l’aria seguente:)
Giovanna
(avanzandosi sul limitare della scena)
In alto mare e battuto dai venti,
vedi quel pino in sen degli elementi
a naufragar già presso? – ascolti il pianto
del marinar dal suo navile infranto?
Deh! tu calma, o Dio possente,
col tuo riso e cielo e mar;
salga a te la prece ardente,
in te fida il marinar!
Iddio risponde in sua giustizia immensa:
«A chi lotta col turbo il cielo arride,
e un giusto e santo ardir sempre compensa!»
Coraggio, su coraggio,
del mare audaci figli;
si sprezzino i perigli;
si scacci la viltà!
Non curvisi la testa
al furïar del nembo,
e Dio dalla tempesta
in porto ci trarrà!
(guardando con espressione i soldati Portoghesi che la circondano)
E perché sol preci ascolto?
Perché pallido è ogni volto?
Nel più forte del cimento
voi tremate di spavento?
Su, su, forti! al mugghiare dell’onda
e agli scrosci del tuono risponda,
si desti il vostro ardor,
soldati, ancor!
Coraggio, su coraggio,
del mare audaci figli;
si sprezzino i perigli;
si scacci la viltà!
Non curvisi la testa
al furïar del nembo,
e Dio dalla tempesta
in porto ci trarrà!
Coro di Portoghesi
(a parte e a mezza voce)
A quel dir – ogni ardor
si destò – nel mio cor.
Via dal sen – la viltà!
A pugnar – su corriam,
l’armi ancor – ritentiam,
e il valor – vincerà.
Carlo, Mendez e Soldati Spagnuoli
(bevendo senza prestare attenzione a quanto succede intorno ad essi)
Di vin colmi bicchieri
rallegrano ogni core,
raddoppiano il valore;
beviamo alla beltà!
Giovanna
(con forza, e guardando gli Spagnuoli che vêr lei si rivolgono)
Già l’antico valore
ecco si desta al marinaro in core!
Giovanna, Vittoria, Tello
(con forza)
Coraggio, su coraggio,
del mare audaci figli:
si sprezzino i perigli,
si scacci la viltà!
Pensate l’alta gloria
dei Lusitani eroi…
per quella pia memoria
chi pugna vincerà.
Portoghesi
(con forza)
Coraggio, su coraggio!
Siamo del mare i figli:
si sprezzino i perigli,
Iddio ci guiderà.
Pensiamo l’alta gloria
dei Lusitani eroi…
per quella pia memoria
chi pugna vincerà.
Coro di Spagnuoli
(sempre a tavola)
Più di cotal frastuono,
d’urtati nappi il suono
gradito a noi sarà!
Col giuoco e il vin, l’amore
scalda al soldato il core,
di sé maggior lo fa.
Giovanna, Vittoria, Tello, e Coro di Portoghesi
(animandosi mutuamente)
Già di novel cimento
giunse il fatal momento:
l’acciar risplenda – del forte in man!
Corriam, pugniam!
(i Portoghesi traggono le spade e si gettano contro ai Soldati Spagnuoli: un uomo comparisce d’un tratto sulla scalinata del palazzo del Generale Spagnuolo: è solo e senza guardie)
Tutti
(arrestandosi spaventati)
Vasconcello!
Giovanna
O furor!… Che mai vegg’io?
Innanzi a lui paventa ognun… gran Dio!
(Vasconcello getta uno sguardo con calma sulla turba e fa un gesto imperativo: fugge ognuno lasciando deserta la piazza: non restano in iscena che Vasconcello, Giovanna, Vittoria e Tello.)
Scena IV.
Giovanna, Vittoria, Tello e Vasconcello.
Giovanna
D’ira fremo all’aspetto tremendo,
l’alma mia raccapriccia d’orror!
O fratello! a te penso gemendo,
e vendetta sol spira il mio cor!
Vittoria, Tello
Tace l’ira all’aspetto tremendo,
il mio seno s’agghiaccia d’orror!
Al fratello ella pensa fremendo,
e vendetta già spira il suo cor!
Vasconcello
(a parte)
Il terror su quei volti leggendo,
di disprezzo sorride il mio cor!
Fremin pur, ma divorin tacendo
la vergogna e l’imbelle furor!
Scena V.
Gli stessi, Enrico arrivando dal fondo vede Giovanna e corre a lei senza scorgere Vasconcello, che s’arresta all’arrivo d’Enrico ed a lui s’avvicina lentamente.
Enrico
Giovanna!
Giovanna
O ciel! chi veggio?
Enrico!… e il crederò?… tu prigioniero…
Enrico
(con vivacità)
Ah! sì, tra cari miei,
del mio destino incerti, in questo loco
libero io stommi!
Giovana, Vittoria
Oh! che di’ tu?
Enrico
Spagnuoli
giudici pronunciâro equa sentenza!
Cotanto osâr di Vasconcello in onta!
Giovanna
E fia pur ver?
Enrico
Sì, appieno assolto io sono!
E fu mera giustizia e non perdono!
Vasconcello
(avanzandosi sorridente)
Di sconoscente core
segno è tuo folle ardir: omaggio a lui
rendi di sua clemenza!
Enrico
Meglio di’ ch’egli è lasso! al ferro il braccio
or manca ed alle faci,
se non il core: e affine
di colpir meglio, si riposa!
Giovanna
(con ispavento)
Ah taci!
Vittoria
Non osar!…
Enrico
E perché? – così il recasse
innanzi a me fortuna
e a mia vendetta!
Vasconcello
(tranquillamente)
Il tuo timor rinfranca:
or lo vedrai!
Enrico
Dov’è?
Vasconcello
Qui stassi!
Enrico
Cielo!
Giovanna
Ahimè! che fia di lui?
Vasconcello
Ebben! non mi rispondi?
Enrico
Ah! nol poss’io… nol vedi?… io non ho brando!
Vasconcello
(a Giovanna, Vittoria e Tello)
Sgombrate! (ad Enrico) e tu qui resta: io tel comando!
(Giovanna, Vittoria e Tello entrano nel palazzo a dritta; Enrico vorrebbe seguirli, ma s’arresta al cenno di Vasconcello.)
Scena VI.
Vasconcello ed Enrico.
Vasconcello
Qual è il tuo nome?
Enrico
Enrico!
Vasconcello
Non altro?
Enrico
Il mio rancore
ti è noto! al mio nemico
ciò basti!
Vasconcello
E il genitore?
Enrico
Io genitor non ho!
So che ramingo ed esule
traeva i giorni suoi
lungi dal tetto patrio,
lontan dai cari suoi…
Vasconcello
Or di tua madre narrami!
Enrico
Ah! non è più colei!
Già dieci lune scorsero,
che, lasso! io la perdei;
(mostrando il cielo)
or la ritroverò!
Vasconcello
Dagli anni tuoi più teneri
il duca di Braganza
t’accolse in la sua reggia?…
Enrico
Sì, m’albergò la stanza
di quell’eroe!…
Vasconcello
Fellone!
Enrico
Su me vegliò magnanimo
tra le guerriere squadre;
i passi miei sorreggere
ei pur degnò qual padre;
gli alti d’onore esempj
fu gloria mia seguir;
io per lui vissi e intrepido
per lui vogl’io morir!
Enrico
Di giovine audace
punisci l’ardir:
mi sento capace
d’odiarti e morir!
Non curo ritorte,
disprezzo il dolor;
incontro alla morte
va lieto il mio cor!
Vasconcello
(guardando Enrico)
(Ammiro e mi piace
in lui quell’ardir:
lo credo capace
d’odiarmi e morir!
Non cura ritorte,
disprezza il dolor;
in faccia alla morte
non trema il suo cor!)
Vasconcello
Dovrei punirti, incauto,
ma scuso un folle ardire!
Enrico
Pietade in te?
Vasconcello
Sì! tacciono
in alma grande l’ire:
e per salvarti io voglio
offrire al tuo valor
eccelsa meta, o giovane,
degna d’un nobil cor.
Al sol pensier di gloria,
fremere in sen tu dêi!
Enrico
La gloria! – e dove mercasi?
Vasconcello
Sotto i vessilli miei!
Vien tra mie schiere intrepide,
t’affida al mio perdon;
vieni, per me sei libero!
Enrico
No, no! sì vil non son!
Enrico
No, no! d’un audace
punisci l’ardir:
mi sento capace
d’odiarti e morir!
Disprezzo ritorte,
non curo il dolor;
incontro alla morte
va lieto il mio cor!
Vasconcello
(Ammiro e mi piace
in lui quell’ardir:
sarebbe capace
d’odiarmi e morir!
Non cura ritorte,
disprezza il dolor;
in faccia alla morte
sta saldo il suo cor!)
Vasconcello
(freddamente)
Adunque vanne! e immemore
la mia clemenza oblia!
Ma, giovinetto, ascoltami:
odi un consiglio in pria!
(indicando il palazzo di Giovanna)
Là vedi quell’ostello?
Enrico
Ebben?
Vasconcello
La soglia mai
non dêi varcar di quello.
Enrico
E perché?
Vasconcello
Lo saprai!
(in tuono misterioso)
Paventa che il tuo core
arda d’infausto amore!…
Enrico
(con sorpresa)
O ciel!
Vasconcello
Ei già divampa
qual fiamma… e t’arderà!
Enrico
(turbato)
Chi disse a te?…
Vasconcello
Tu il vedi!
Leggo nel tuo pensiero;
per me non v’ha mistero,
tutto a me noto è già!
Ah fuggi! io tel ripeto!
Enrico
E con qual dritto?
Vasconcello
Incauto!
Il dissi, il voglio! va!
Enrico
Non curo il tuo divieto,
freno il mio cor non ha!
Vasconcello
Temerario! quale ardire!
Meno altier t’arrendi a me!
Non destarmi in sen quell’ire
che cadran su voi, su te!
Enrico
Lusitano io son, l’ardire
di grand’alma è innato in me!
l’ira tua mi può colpire,
ma non tremo innanzi a te!
Vasconcello
Freno al tuo folle ardire!
E quella soglia non varcar giammai!
Io tel comando!
Enrico
Tu?
Vasconcello
Sì! la tua sorte
or ne dipende…
Enrico
Il cenno tuo disprezzo!
Vasconcello
E morte avrai!
Enrico
Per lei disfido io morte!
(sale i gradini del palazzo di Giovanna: batte: la porta s’apre: Enrico vi entra. – Vasconcello lo guarda con commozione, ma senza sdegno: – cade il sipario.)
Atto secondo
Scena I.
Il teatro rappresenta una ridente valle presso Lisbona sulla riva del Tago – a diritta colline fiorite e sparse di cedri e d’aranci – a sinistra l’esterno di una chiesetta – in fondo il Tago. Due uomini arrivano in una scialuppa e guadagnano la riva – il pescatore che la conduce s’allontana.
Giovanni Pinto solo.
Pinto
O patria, o cara patria, alfin ti veggo!
Ancora io ti saluto
dopo sì lunga assenza;
il tuo fiorente suolo
bacio, e ripien d’amore
reco il mio voto a te, col brando e il core!
O sacra terra, – suolo adorato,
de’ miei verdi anni – riso d’amor,
da lunga guerra – tanto straziato,
alla tua gloria – ritorna ancor!
Chiesi aita ad estranee regioni,
ramingai per castella e città:
ma insensibili ai fervidi sproni,
rispondeano con vana pietà! –
Lusitania! il tuo prisco valor
si ridesti a vittoria, all’onor!
(Manfredo e parecchi compagni di Pinto approdano colle barche o discendono dalla collina a diritta e gli fan cerchio)
(a Manfredo)
Ai nostri fidi nunzio
vola di mia venuta,
e della speme che in lor cor ripongo.
(ad un altro)
Tu va in traccia d’Enrico: e lui previeni
e di Guzman la suora,
che qui entrambi li attendo e tra brev’ora!
(i due partono – gli altri si fanno intorno a Pinto)
Guerrier di Lusitania,
stringiamci al suo vessillo;
si piombi al primo squillo
sul crudo vincitor.
Tu seconda, eterno Iddio,
de’ magnanimi il desio;
dopo tanto e tanto duolo,
lieta un’alba alfin spuntò!
Di vittoria un giorno solo,
poi contento io morirò!
Coro
(a mezza voce)
Guerrier di Lusitania,
stringiamci al suo vessillo;
si piombi al primo squillo
sul crudo vincitor.
Pinto
Partite – silenzio,
prudenza ed ardir!
Coro
Partiamo – silenzio,
prudenza ed ardir!
(partono)
Pinto
(scorgendo Giovanna ed Enrico)
Alfin, diletti amici,
io vi riveggo!
Scena II.
Pinto, Giovanna ed Enrico venendo dalla chiesetta a sinistra.
Pinto
(andando loro incontro)
Principessa!… Enrico!…
Giovanna
È lui!
Enrico
Pinto!… l’amico!…
Pinto
Il vostro servo!…
Giovanna
Nostra sola speranza!
Pinto
Tutta Europa trascorsi,
chiedendo ovunque aita!
Giovanna
(con ansietà)
Or dimmi… d’Inghilterra è nostro il voto?
Enrico
Francia è per noi?
Giovanna
Che ti promise?
Pinto
Nulla
ancor! l’accorto Richelieu promette
di schiere e d’ôr soccorso,
quando fia presta Luisitania intera!
A tal prezzo è per noi. – Le nostre schiere,
dite, son pronte? che sperate omai?
Enrico
Ahi! poco: han forte il core;
ma la prima sconfitta
ha la incertezza nel lor sen confitta!
Pinto
È giunto il giorno alfine
che a combatter ci chiama:
opriam!
Enrico
Già lo tentai! scarso di forze
esita il Portoghese!
Pinto
Ebben, dovremo
suo malgrado tentare
un mezzo audace, estremo!
A guerresco cimento
lo chiami il fero Ispano,
e provocato accorra il Lusitano!
Enrico
E presso fia tal giorno!
Giovanna
Le fidanzate coppie,
che a piè dell’ara con solenne rito
la cittade congiunge,
pretesto fian!…
Enrico
Ivi guerrieri Ispani…
Pinto
E guerrier Portoghesi
a fronte stan. Facile il labbro corre
alla rampogna, ed all’acciar la mano,
fremon l’ire, e la pugna arde e divampa…
allor un cor che il mio desir coroni
e un braccio io vo’!
Enrico
Ma quale?
Pinto
Il tuo!
Enrico
Disponi!
(Pinto parte a diritta)
Scena III.
Enrico e Giovanna.
Giovanna
(ad Enrico dopo un istante di silenzio)
Quale, o prode, al tuo coraggio,
potrò rendere mercé?
Enrico
Il mio premio è nell’omaggio
che depongo al vostro piè!
Giovanna
Dell’Ispano minaccioso
l’ira in te nulla poté?
Enrico
Con lui tutto… io sì… tutt’oso,
e sol tremo innanzi a te!
Ma le tue luci angeliche
fuggon lo sguardo mio!
Ah no! perdona al misero,
cui tu riveli un dio!
T’amo, Giovanna! sappilo:
altra non vo’ mercé,
che il dritto di combattere
e di morir per te.
Giovanna
Presso alla tomba ch’apresi,
in preda al mio tormento,
non so frenare il palpito,
che nel mio petto io sento!
Tu, dalle sedi eteree,
che vedi il mio dolor,
fratello, deh! perdonami
s’apro agli affetti il cor!
Enrico
Io ben intesi? tu non mi disprezzi?
l’ardito voto del mio cor perdoni?
Tu d’un soldato umile
non isdegni la fede
e l’oscura miseria?
Giovanna
Il mio fratel deh! vendica,
e tu sarai per me
grande siccome un re!
Enrico
Su questa terra, misero,
solo e deserto sto!
Giovanna
Il mio fratello vendica,
Enrico, e tua sarò!
Enrico
Sì, lo vendicherò!
Giovanna
Il giuri?
Enrico
Il giuro!
O donna, io tel prometto:
lo giuro sull’onor!
Giovanna
Il giuramento accetto,
riposo sul tuo cor!
Scena IV.
Giovanna, Enrico, Don Pedro con seguito di parecchi Soldati.
Pedro
(ad Enrico porgendogli una lettera)
Cavalier, questo foglio
Il viceré v’invia!
Enrico
(leggendo con istupore)
Un invito alla danza!
Pedro
Eccelso onore
egli vi rende affé!
Enrico
Ch’io non accetto!
Pedro
Sì gran favor, signore,
delitto è ricusar!
Enrico
Pur lo ricuso!
Pedro
(con alterigia)
Ed in suo nome allora io vel comando!
Via! ci seguite e tosto!
Enrico
(sguainando la spada)
Ah! no: l’oltraggio
non soffrirò!
Pedro
(facendo un gesto ai Soldati che assalgono Enrico e lo disarmano)
Soldati!…
Giovanna
(a Don Pedro)
Che feste, o ciel!
Pedro
Compito ho il mio messaggio.
(le mostra Enrico che i Soldati trascinan via – quindi s’allontana.)
Scena V.
Giovanna, poi Pinto.
Giovanna
Accoppiare il dileggio
a tanto insulto è infame!
Enrico…
Pinto
(entrando in fretta ed accorgendosi del suo turbamento)
Sì turbata?
Giovanna
A forza tratto
viene alla reggia!…
Pinto
(con dolore)
Ahimè! nuovo ritardo
alla battaglia! In lui,
nel valente suo cor fidammo: or certo
egli è perduto!
Giovanna
(con risolutezza)
Ah! no: libero ei fia,
l’onore il vuol!
Pinto
Silenzio!
Lisbona, il vedi, verso qui s’avvia.
Scena VI.
Giovanna, Pinto, Giovani d’ambo i sessi discendono dalle colline in abiti festivi al seguito delle dodici fidanzate. – Vittoria è fra queste. – D’altra parte s’avanza Tello alla testa degli sposi. – Manfredo ed alcuni amici di Pinto a lui s’avvicinano. – Vittoria e Tello piegano il ginocchio davanti Giovanna, chiedendole la benedizione. – Qui hanno principio le danze, che vengono interrotte da Mendez e da Carlo che arrivano attraversando la scena alla testa di numerosi soldati Spagnuoli. – Mendez accenna ai danzatori di continuare ed ordina ai soldati di rompere le file e di riposarsi. – Questi prendono parte alle danze, che si fanno più vive e più animate. – Mendez, situato alla sinistra dello spettatore vicino a Pinto, contempla questo spettacolo con una curiosa emozione: – il dialogo seguente ha luogo durante la danza.
Mendez
Le vaghe spose affé! son pur gentili!
Pinto
(A Mendez guardando le danzatrici)
Ed a voi care!
Mendez
Assai!
Pinto
(sorridendo)
Lessi nel pensier vostro!
Mendez
E chi sei tu?
Pinto
Vostro amico sincer.
Carlo
Chi tu sia… ben t’apponi!
Mendez
(riguardando le spose)
Mira – son pur graziose!
Carlo
Quali beltà divine!…
Mendez
Festose a nozze van!
Pinto
(alzando le spalle)
Che importa?
Carlo
E i loro sposi?
Pinto
(a mezza voce e con intenzione marcata)
Al vino ed all’amor…
Mendez
Ebben?
Pinto
(a mezza voce)
Tutto è concesso!
Carlo
Mendez, rammenti tu la tela…
Mendez
Ah! il ratto
delle donne Sabine!…
Pinto
Eran Romani!
Mendez
(in tuono allegro)
Non cede al mondo intero
per imprese galanti il prode Ibero!
(La danza va sempre più animandosi. – Mendez e Carlo vanno a riunirsi ai loro compagni. – Questi raddoppiano le loro galanti premure presso le giovani Portoghesi. – Ad un tratto e ad un segnale di Mendez ciascuno di essi rapisce la propria ballerina – i soldati che non ballavano, trascinano seco le altre giovani donzelle. – Mendez s’è impadronito di Vittoria. – Tello ed i giovani si muovono per riprendere le loro donne: ma gli Spagnuoli mettono mano alle spade. – Tello ed i suoi compagni retrocedono spaventati e tremanti. – Manfredo porta la propria mano all’elsa della spada, ma Pinto lo arresta e gli fa segno di vegliare con lui alla difesa di Giovanna che è collocata fra loro all’estrema diritta del teatro.)
Mendez, Carlo, Soldati
Confortan la guerra
il vino e l’amor!
Per noi dalla terra
bandito è il dolor.
(alle donne:)
– Or già tu sei mia,
è vano il rigor;
sarebbe follia
sottrarti al mio cor!
Portoghesi d’ambo i sessi
Su inermi tu stendi,
su donne l’imper!
L’azione che imprendi
è indegna a’ guerrier!
– È fero, spietato
chi irride al dolor;
è un vile esecrato
chi insulta all’onor!
Mendez
(a Vittoria che tenta sfuggirgli)
Calmati, gentil bruna!
Vittoria
Ah! mi lascia!
Mendez
Il timor discaccia omai:
il tuo guerrier presto adorar saprai!
(a diritta parecchi soldati si sono avvicinati a Giovanna. – Pinto e Manfredo hanno messo mano alla spada per difenderla: la zuffa sta per accendersi)
Mendez
(ai soldati loro additando Giovanna e Pinto)
Si rispetti costei!
A lui si serbi, amici,
che consigli ci dié tanto felici.
(i Soldati si ritirano, ed il Coro riprende con maggior forza)
Mendez, Carlo, Soldati
Confortan la guerra
il vino e l’amor!
Per noi dalla terra
bandito è il dolor!
(alle donne)
– Or già tu sei mia,
è vano il rigor;
sarebbe follia
sottrarti al mio cor!
Portoghesi
Su inermi tu stendi,
su donne l’imper!
L’azione che imprendi
è indegna a guerrier!
– È fero, spietato
chi irride al dolor;
è un vile esecrato
chi insulta all’onor!
(gli Spagnuoli si ritirano conducendo seco loro le donne)
Scena VII.
Pinto, Giovanna, Manfredo, Tello, i soldati Portoghesi e i fidanzati. Al rumore succede il silenzio e l’avvilimento. Tello e tutti i Portoghesi collocati in cerchio nel mezzo del teatro cantano a voce bassa il coro seguente, nel mentre che Pinto, Giovanna e Manfredo osservano in silenzio ed accompagnano i sentimenti che successivamente agitano i Portoghesi.
Tello, Coro
Il rossor – mi coprì – il terror – ho nel sen –
zitto ancor! – l’onta ria – divorar – mi convien –
pur mi par – sentir già – ribollir – nel mio cor –
d’un lion – che piagò – ferreo stral – il furor. –
Giovanna
(ai fidanzati mostrando Pinto)
Per lui non ebbi oltraggio!
Pinto
Rispetto in lor parlò!
Tello, Coro
È ver!
Giovanna
(ai fidanzati mostrando Pinto)
Onore al suo coraggio!
Pinto
I vili ognun sprezzò!
Tello, Coro
È ver!
Giovanna
(a Tello)
Tu, alma timorosa…
Pinto
E colma di terror,
Giovanna
Lasci rapir la sposa…
Pinto
(guardando Tello e gli altri con disprezzo)
Né uccidi il rapitor!
Frenar si ponno… e timidi
divorar l’onta e il duol!…
Giovanna
Ben ai tremanti e ai deboli
insulta lo Spagnuol!
Tello, Portoghesi
(crescendo fino all’ultimo grado di furore)
Troppo già – favellò – il dolor – nel mio sen. –
Ben è ver! – l’onta ria – vendicar – ci convien! –
Taccia ormai – la viltà! – Sento già – nel mio cor –
d’un lion – più fatal – ribollir – il furor. –
Pinto, Giovanna, Manfredo
Troppo già – favellò – il dolor – nel lor sen. –
L’onta ria – che patîr – vendicar – or convien! –
Taccia ormai la viltà! – Già poté – nel lor cor –
d’un lion – più fatal – ribollir – il furor!
Scena VIII.
In mezzo alle grida che s’innalzano, una musica graziosa ed allegra si fa sentire. Tutti corrono sulla sponda del fiume e veggono avanzarsi una barca splendidamente adorna che costeggia la riva. Don Diego, Ufficiali Spagnuoli e nobili Dame Spagnuole e Portoghesi, elegantemente abbigliate, siedono in essa. I battellieri indossano ricche livree: e delle Dame adagiate su molli cuscini, alcune tengono alle mani chitarre, altre piglian rinfreschi, ecc.
Coro
Del piacer s’avanza l’ora!
Colle Grazie dal tuo cielo,
dio d’amor, deh! scendi ancora
a far lieti i nostri dì!
Gaia in viso e senza velo,
qual la vaga Citerea,
vieni a me, verace dea,
fresco è il vento e imbruna il dì!
Pinto
Portati in sen di così ricca prora,
ove si recan?
Giovanna
Alla reggia, a festa!
Pinto
Si voli adunque, amici,
sull’orme loro!
Giovanna
E come?
Pinto
Sotto larva fedele
ignoto io mi terrò: qual folgor ratto
piomberò sull’Ispano,
tra le festose genti
che voto al mio furore!
Tello
(a mezzavoce e tremante)
E spade avran!
Pinto
(a mezzavoce)
E noi l’ardire e il core!
Coro allegro e brillante sulla barca
Del piacer s’avanza l’ora!
Colle Grazie dal tuo cielo,
dio d’amor, deh! scendi ancora
a far lieti i nostri dì!
Gaia in viso e senza velo,
qual la vaga Citerea,
vieni a me, verace Dea,
fresco è il vento e imbruna il dì!
Tello, Portoghesi
(a voce bassa)
Troppo ormai – favellò – il dolor – nel mio sen! –
Su corriam! – l’onta ria – vendicar – ci convien, –
agli acciar – va la man; – sento già – nel mio cor –
d’un lion – più fatal – ribollir – il furor. –
Pinto, Giovanna, Manfredo
Troppo ormai – favellò – il dolor – nel lor sen! –
L’onta ria – che patîr – vendicar – ci convien! –
Agli acciar – corron già; – poté omai – nel lor cor –
d’un lion – più fatal – ribollir – il furor. –
(La barca continua la sua marcia, mentre che Pinto, Giovanna, Manfredo, Tello, i Soldati Portoghesi e i fidanzati stanno in gruppi a sinistra del teatro. – Cade la tela.)
Atto terzo
Scena I.
Gabinetto nel palazzo di Vasconcello.
Vasconcello seduto ad un tavolo.
Vasconcello
Sì, m’abborriva ed a ragion! cotanto
vêr lei fui reo, che giunsi un dì a rapirla!
E me odiava e fuggiva!… e per tre lustri
all’amplesso paterno il figlio ascose…
E lo nudriva nell’orror del padre!…
E me crudel poi chiami!…
(toglie dal seno un foglio)
Foglio, che presso a morte
vergò la fatal donna,
quanti affetti diversi in me richiami!
(legge)
«O tu, cui nulla è sacro! se la scure
sanguinosa minaccia
il prode Enrico, onor del patrio suolo,
risparmia almen quell’innocente capo!
È quel del figlio tuo!»
Mio figlio!
Scena II.
Don Pedro e detto.
Pedro
Il cavaliero
ricusava protervo qui venirne,
e qui fu tratto a forza!
Vasconcello
Sta ben!
Pedro
Qual pena inflitta
a lui sarà?
Vasconcello
Non cale;
ei si rispetti e in alto onor si tenga.
Or va, Don Pedro, e al mio cospetto ei venga!
(Don Pedro parte)
Scena III.
Vasconcello solo.
Vasconcello
In braccio alle dovizie,
in seno degli onor,
un vuoto immenso, orribile
regnava nel mio cor.
Ma un avvenir beato
or s’apre innanzi a me,
se viver mi fia dato,
figlio, vicino a te!
L’odio invan da me il separa,
invan l’agita il furor!
Vincerà quell’alma ignara
la pietà del genitor!
In braccio alle dovizie,
in seno degli onor,
un vuoto immenso, orribile
regnava nel mio cor.
Ma un avvenir beato
or s’apre innanzi a me,
se viver mi fia dato,
figlio, vicino a te!
Scena IV.
Vasconcello ed Enrico, preceduto da due Paggi che si inchinano e si ritirano.
Enrico
Sogno, o son desto? umile
e sollecito accorre
ognuno ai miei desiri, e d’un mio cenno
lieto si mostra!
(indirizzandosi a Vasconcello)
Novel giuoco è questo
inver di strana sorte,
se da te non m’aspetto altro che morte!
Vasconcello
La speri invan! senza timore omai
libero in queste soglie
tu puoi chiamarmi ingiusto,
e vane insidie contro me tramare!
Enrico
Difendere i suoi lari è nobil scopo:
io combatto un nemico!
Vasconcello
In campo aperto
colla spada io ferisco, e tu da tergo
nell’ombra vibri! né oseresti, audace,
(guardandolo fissamente)
fìssarmi in volto! Or mira! a te dinanzi
senza difesa io sto!
Enrico
Per mia sventura!
Vasconcello
O stolto, cui salvò la mia clemenza,
a sì dura mercé m’hai tu serbato?
Ti credi generoso e hai core ingrato!
Quando al mio seno per te parlava
pietà sincera d’un cieco error,
quando un fellone – in te salvava,
Enrico!… nulla ti disse il cor?
Enrico
(a parte)
(Alla sua voce rabbrividisco,
invan bandisco – il mio terror!)
Vasconcello
E al duol intenso che m’ange intanto,
la giovin alma non palpitò?
E pur tu il vedi!… stilla di pianto
sul mesto ciglio per te spuntò!
Enrico
(a parte)
(A qual tormento nuovo, spietato,
il crudo fato – mi condannò!)
Vasconcello
Ebben, Enrico! se il mio tormento
l’ingrato core non ti colpì,
or di tua madre leggi l’accento…
Enrico
Che? di mia madre?…
Vasconcello
Sì, ingrato, sì!…
Mentre contemplo quel volto amato,
benché velato – d’atro dolor,
l’alma è commossa – io son beato,
tutto ho ripieno – di gaudio il cor!
Enrico
(leggendo il foglio)
Gioia! e fia vero? sogno o son desto?
Cifre materne!… qui sul mio cor!…
(gettando un grido)
O ciel! che scopro?… arcan funesto
mi si rivela… fremo d’orror!
Vasconcello
(appressandosi ad Enrico, che rimase immobile e come annichilito)
Ma che? fuggi il mio sguardo,
o figlio?
Enrico
(trasalendo)
Inorridisco!
Vasconcello
Non sai tu dunque qual mi son?
Enrico
(con dolore)
(Giovanna!
Io t’ho perduta!)
Vasconcello
Il mio potere, Enrico,
sconosciuto t’è dunque?
Io, Vasconcel!
Enrico
(Giovanna, io t’ho perduta!)
Vasconcello
Sol che tu accenni, a te concesso fia
dal mio poter quanto domandi e speri.
Titoli, onor, dovizie,
quanto ambizion desia,
io tutto a te darò!
Enrico
Al mio destin mi lascia,
e pago allor sarò!
Vasconcello
Ma non sai tu che splendida
fama suonò di me?
È il nome mio glorïoso…
Enrico
Nome esecrato egli è!
Vasconcello
Parola fatale!
Insulto mortale!
La gioia è svanita
che l’alma sperò!
Giustizia suprema!
Tremendo anatema
che un barbaro figlio
sul padre scagliò!
Enrico
Al padre è fatale
l’insulto mortale!
La gioia è svanita
che l’alma sperò!
Giustizia suprema!
Tremendo anatema
che un figlio percuote,
che al padre imprecò!
Vasconcello
(cercando di trattenerlo)
T’arresta, Enrico! plachisi
quell’ostinato core!
Enrico
Lasciami, o crudo, lasciami,
in preda al mio dolore!
Vasconcello
Invano, o figlio, crudel mi chiami,
del padre vincati la prece e il duol!
Enrico
Fuggir mi lascia, se è ver che m’ami,
ad altro lido, ad altro suol!
Ah! volare al tuo sen io pur vorrei,
ma nol poss’io!
Vasconcello
Chi te lo vieta, ingrato?
Enrico
Lo spettro di mia madre,
che tra di noi si pone.
Vasconcello
(con sommo dolore)
O figlio mio!
Enrico
Suo carnefice fosti: e l’alma è rea
se vacillar fra voi tanto potea!
Ombra diletta, che in ciel riposi,
la forza rendimi che il cor perdé!
Su me i tuoi sguardi veglin pietosi,
e prega, o madre, prega per me!
Vasconcello
L’ardente prego del genitore
è nulla, Enrico, nulla per te?
Apri il tuo seno, ch’io t’apro il core,
t’arrendi alfine, o figlio, a me!
(Enrico si toglie con impeto dalle braccia di Vasconcello che tenta ritenerlo, e fugge a sinistra. Vasconcello lo segue collo sguardo e con atto di dolore si allontana. La scena cambia e rappresenta una magnifica sala disposta per una festa da ballo.)
Scena V.
(Gentiluomini e Dame Spagnuoli e Portoghesi, con maschere e senza, che vanno e vengono. Entra Vasconcello, preceduto da’ suoi Paggi e dagli Ufficiali del palazzo. Egli si colloca sopra un seggio elevato, e fa segno a ciascuno di sedersi. Il maestro di cerimonie viene a prendere i suoi ordini e dà il segnale per cominciare la festa.)
Ballo.
Si rappresenta davanti alla Corte di Lisbona il ballo delle Quattro Stagioni. – Un canestro sorge da terra; è formato d’arbusti verdi di piante che non crescono che d’inverno; le loro foglie sono coperte di ghiaccio e di neve. Dal seno del canestro esce una giovinetta che rappresenta l’Inverno, e che, respingendo col piede il braciere che le sue compagne avevano acceso, danza per riscaldarsi. I ghiacci si sciolgono tosto al tiepido soffio dei zeffiri che fendono l’aria. L’Inverno è scomparso. La Primavera sorge da un canestro di fiori, cedendo poco dopo il luogo all’Estate, giovinetta che esce da un canestro circondato da manipoli di spighe dorate. Il caldo la opprime, e domanda alle Najadi la freschezza delle loro sorgenti. Le Bagnanti sono messe in fuga da un Fauno che salta fuori, precedendo l’Autunno. I suoni del sistro e dei timballi annunziano i Satiri e le Baccanti, le cui danze animate terminano il Ballo.
Coro
O splendide feste!
O notti feconde
di danze gioconde,
di rare beltà!
Son raggio celeste
quei vivi splendori
che infondon nei cori
amor, voluttà!
(la folla si disperde negli appartamenti del palazzo e nei giardini, la scena resta vuota per un istante)
Scena VI.
Enrico viene da diritta; è seguito da Giovanna e da Pinto, ambedue mascherati.
Pinto
(a bassa voce ad Enrico)
«Su te veglia l’amistade!»
Enrico
(Cielo! il cor non m’ingannò?)
Giovanna
«Su te veglia l’amistade!»
Enrico
Ah! qual voce al sen vibrò!
(Pinto e Giovanna si tolgono la larva)
O Giovanna! oh! qual sorpresa!
Per voi gelo.di spavento!
Qui perché vi siete resa?
Giovanna
Per salvarti!
Pinto
E il Lusitano
vendicar!…
Enrico
(con incertezza)
Parla sommesso!
Per me nulla omai pavento;
sono libero… ma voi…
L’ira sua temer dovete
e fuggir gli sdegni suoi.
Pinto
Sii tranquillo… il traditor…
Enrico
(mostrando loro alcuni Spagnuoli che entrano nella sala)
Zitto! ci odono!… (oh terror!)
a 3
(allegramente e sul motivo della danza che echeggia nell’interno)
O splendide feste!
O notti feconde
di danze gioconde,
di rare beltà!
Son raggio celeste
quei vivi splendori
che infondon nei cori
amor, voluttà!
(le Dame ed i Cavalieri entrano dal fondo. Enrico, Pinto e Giovanna restano ancor soli per un istante sul davanti della scena; ma si ode sempre dai vicini appartamenti il suono della musica della danza)
Giovanna
(ad Enrico ed a mezza voce)
In fra gli allegri vortici
delle intrecciate danze,
Pinto
(come sopra)
sotto le larve ascondono
i fidi le sembianze…
Giovanna
(cingendo ad Enrico una ciarpa cilestre)
A tale ciarpa serica
ciascun di noi fia noto!
Pinto
Nostri guerrieri intrepidi
non colpiranno a vuoto!
Giovanna
E in brevi istanti vindice
qui brilli il nostro acciaro.
Pinto
Dalle ridenti imagini
allo svegliarsi amaro
qui Vasconcel cadrà!
Enrico
(spaventato)
Gran Dio! (Di lui pietà!)
Pinto
(sorpreso)
Impallidisci?
Enrico
(c. s.)
Intenderti
alcun potrebbe!
Giovanna
E chi?
Pinto
(vedendo entrare Vasconcello e rimettendosi la larva)
Ei stesso!
Enrico
(a parte e tremante)
(O giorno infausto!)
Pinto
(ad Enrico)
Tra pochi istanti qui!
(comparisce Vasconcello in mezzo a Dame Spagnuole e Portoghesi)
Tutti
O splendide feste!
O notti feconde
di danze gioconde,
di rare beltà!
Son raggio celeste
quei vivi splendori,
che infondon nei cori
amor, voluttà!
(Giovanna e Pinto s’allontanano perdendosi nella folla; mentre le coppie danzanti passeggiano nelle sale ed i rinfreschi sono d’intorno serviti, Vasconcello s’avvicina ad Enrico, che si trova solo sul davanti della scena.)
Scena VII.
Vasconcello, Enrico, poi tutti.
Vasconcello
(ad Enrico)
Di tal piacer, per te novelli, pago
sei tu?
Enrico
(a mezza voce)
Per te fatale aura qui spira,
va!
Vasconcello
Che temer degg’io
nelle mie stanze?
Enrico
Io dir nol posso!… eppure!…
Ancor ti prego! vanne!
Pavento pe’ tuoi giorni!
Vasconcello
(con gioia)
E a mia salvezza or vegli e per me tremi?
Ah! s’apre alfin quell’anima
al mio paterno affetto!
Gli errori tuoi dimentico,
vien che ti stringa al petto!
Enrico
T’arretra!
Vasconcello
(freddamente)
Io resto allor!
Enrico
(con calore)
Incauto! e tu cadrai
segno a vendetta lor!
Vasconcello
Non l’oseran giammai!
Enrico
(portando la mano al petto)
Su questa ciarpa… mirala!…
io pur giurava…
Vasconcello
Invano!
(gli strappa la ciarpa)
Segno del disonor!
Io te lo strappo, insano!
(gesto di sdegno d’Enrico)
Fremi? – dei tradimenti
tutto l’orror tu senti;
il veggo! ibero sangue
nel sen ti ferve ancor!
Enrico
(con calore)
No, no, non son colpevole;
fedel resto all’onor!
Ma tu, deh! m’odi; involati;
ai voti miei deh! cedi;
vanne!
Vasconcello
Sperarlo è inutile!
Enrico
(scorgendo parecchi gruppi di Portoghesi che vanno avvicinandosi)
Già a te s’appressan… vedi!
Già ti circondan… eccoli!
Brillan gli acciar su te!
Pinto ed i suoi
(circondando Vasconcello ed a voce bassa)
Guerra all’Ispano! L’ultimo
dì pe’ Spagnuoli egli è!
Feriam! Su Lusitania!…
Enrico
Fermate!
Vasconcello
Iberia a me!
(Giovanna, che ha preceduto Pinto, si è lanciata la prima per ferir Vasconcello. Enrico si getta innanzi a lui, facendogli scudo del suo petto. A tal vista Giovanna s’arretra e con spavento lascia cadere il pugnale. Gli Spagnuoli sono accorsi alla voce del proprio capo, traendo le spade e facendogli corona)
Vasconcello
(a Don Pedro e Don Diego)
Tra ceppi, olà, si adduca ognun che fregio
orna simil.
(mostrando la ciarpa di Pinto)
La morte a lor! (additando Enrico) Costui
sia salvo! io pregio in lui
lealtà di nemico!
Pinto
(a parte)
(Oh tradimento!)
Vasconcello
Ei protesse i miei dì! svelò le trame,
che varranno a costor supplizio infame!
Pinto, Giovanna, Tello ed i Soldati Portoghesi
(mostrando Enrico)
Colpo orrendo, inaspettato!
Ei sì perfido, sì ingrato!
Gli sia pena il suo rossor!
(con entusiasmo e sommo sdegno)
Onta al vile, al traditor!
O terra adorata,
mio primo sospiro,
ti lascio prostrata
nel grave tuo duol!
Il santo tuo spiro
più bello s’accenda,
(mostrando Enrico)
e fosca a lui renda
la luce del sol!
A voi l’infamia,
la gloria a me.
Enrico
Nel mio petto esterrefatto
cessò il battito del cor!
L’onta rea di tal misfatto
fa palese il mio rossor!
Per colpa del fato
in preda al deliro,
di sangue bagnato
ho il caro mio suol!
O speme! il tuo spiro
nel seno è già spento;
non veggo, non sento
che lutto, che duol!
A lor la gloria,
l’infamia a me.
Vasconcello, Spagnuoli
Dio possente! a te la lode
salga umil dai nostri cor!
Ché salvasti il sen del prode
dall’acciar de’ traditor!
(ad Enrico)
Rivolgi ora grato
a Iberia il sospiro!
Dell’Eden beato
è specchio il suo suol!
Più nobil desiro
il petto t’accenda,
e viva a te splenda
la luce del sol!
A voi l’infamia,
la gloria a me!
Enrico
(avvicinandosi a Giovanna, a Pinto ed agli altri Portoghesi)
Pietà!… Giovanna!… amici!
Vi muova il mio dolor!
Pinto, Portoghesi
(respingendolo)
No, no; mente l’iniquo –
indietro, il traditor!
Vasconcello
(ad Enrico)
Io ti saprò difendere…
lieto con me vivrai!
Enrico
(con accento disperato)
No! lasciami!… giammai!
Pinto
(con sprezzo)
Or che il nemico – è scudo a te,
di doppia infamia – segno sarai.
(verso i compagni)
A noi la gloria, – la morte a me!
Pinto, Giovanna, Tello, Portoghesi
O terra adorata,
mio primo sospiro,
ti lascio prostrata
nel grave tuo duol!
Il santo tuo spiro
più bello s’accenda,
e fosca a lui splenda
la luce del sol!
A voi l’infamia,
la gloria a me!
Enrico
Per colpa del fato
in preda al deliro,
di sangue bagnato
ho il caro mio suol!
O speme! il tuo spiro
nel seno è già spento;
non veggo, non sento
che lutto, che duol!
A lor la gloria,
l’infamia a me!
Vasconcello, Spagnuoli
Rivolgi ora grato
a Iberia il sospiro!
Dell’Eden beato
è specchio il suo suol!
Più nobil desiro
il petto t’accenda,
e viva a te splenda
la luce del sol!
A voi l’infamia,
la gloria a me!
(a un gesto di Vasconcello, vengon trascinati via Pinto, Giovanna ed i Portoghesi. Enrico vuol correre dietro loro. Vasconcello il trattiene. Pinto e Giovanna lo respingono con disprezzo, nel mentre ch’egli loro tende le mani in atto di supplicare. Oppresso, annichilito, Enrico vacilla e cade nelle braccia di Vasconcello. – Cala il sipario.)
Atto quarto
Scena I.
Cortile d’una fortezza. A sinistra una stanza che conduce all’alloggio dei prigionieri. A dritta, cancello che comunica con l’interno della fortezza. Nel fondo cresta merlata d’una parte delle mura e porta d’ingresso custodita da soldati.
Enrico presentandosi alla porta d’ingresso.
Enrico
Di Vasconcello è il cenno.
(i soldati lo lasciano entrare)
Per suo voler supremo
m’è concesso di vederli… a me li adduci!
(un Ufficiale, al quale Enrico avrà mostrato un ordine, si allontana dalla porta a sinistra dello spettatore)
(guardando dal lato delle prigioni)
Così voi qui gemete
in orrida prigion, diletti amici!
Ed io, cagion de’ mali vostri, in ceppi
fra voi non sono! e vittima del fato,
mal sottrarmi poteva al don fatale
che m’avvilisce! ingiurïoso dono!
vergognoso favore!
Più della vita è caro a me l’onore!
D’un indegno sospetto
io vengo a discolparmi… ma vorranno
essi vedermi?… udir le mie difese?
Son spregiato da lei
e in odio a tutti… io che per lor morrei!
Giorno di pianto, di fier dolore!
Mentre l’amore
sorrise a me,
il ciel dirada quel sogno aurato,
il cor piagato
tutto perdé!
Sovra il mio capo – il folgor scoppia
e in me raddoppia
l’atro dolor!
Nel tuo disprezzo – vivere, o cara,
è pena amara,
è morte al cor!
Scena II.
Giovanna, uscendo dalla prigione a sinistra, condotta dall’Ufficiale, che le mostra Enrico e si ritira.
Giovanna
(avanzandosi e riconoscendo Enrico getta un grido)
O sdegni miei tacete – fremer mi sento il core…
Forse a novel tormento – mi serba il traditore!
Enrico
(supplichevole)
Volgi il guardo a me sereno
per pietà del mio pregar;
mi perdona! o lascia almeno
che al tuo piè poss’io spirar!
Giovanna
(fieramente)
Del fallir mercede avrai
nei rimorsi del tuo cor!
Il perdono… a te?… giammai!
Non lo speri un traditor!
Enrico
Non son reo! tremendo fato
su me scaglia il disonor;
non son reo, ma sventurato,
e innocente io sono in cor!
Giovanna
Mal, fellone, accusi il fato,
se ti copre il disonor;
l’anatema è già scagliato,
sul tuo capo, o traditor!
(con sdegno)
Non fu tua mano, o indegno,
che disarmò il mio braccio, allor che il ferro
vibrava in lui… nell’empio Ispan?
Enrico
(con accento di disperazione)
Mio padre!
Giovanna
Tuo padre!
Enrico
Ahi! nodo orribile,
fatal legame è questo!
Mortale, orrendo vincolo
per sempre a me funesto!
Eternamente a perdermi
mel rivelava il ciel.
Che far dovea, me misero!
in bivio sì crudel?
Tu del fratello ai lemuri
te stessa offrivi invano;
io di più feci: al barbaro
sacrificai l’onor!
Giovanna
(commossa)
O rio, funesto arcano!
O doppio mio dolor!
Se sincero è quell’accento,
compatisci al suo dolor,
Tu, che vedi il suo tormento,
Tu, che leggi in fondo al cor!
Ma gli aborriti vincoli?
Enrico
Già li distrusse amore!
La vita ch’egli diedemi
ho resa al genitore;
omai di me son libero;
riprendo l’odio antico!
Giovanna
Ma il nome, le dovizie…
Enrico
Tutto disprezza Enrico!
Da lui vogl’io sol chiedere
del mio soffrir mercé,
il don di poter vivere,
o di morir per te.
Giovanna
(con crescente emozione)
Enrico! ah! parli a un core
già pronto al perdonare;
il mio più gran dolore
era doverti odiare!
Un’aura di contento
or calma il mio martir;
io t’amo! e quest’accento
fa lieto il mio morir!
Gli odj ci fur fatali
della ria gente Ibera:
di sangue i tuoi natali
poser tra noi barriera!
Addio! ne attende il cielo!
Addio! mi serba fé:
io moro! e il mortal velo
spoglio, pensando a te.
Enrico
Pensando a me!
Enrico
È dolce raggio,
celeste dono
il tuo perdono
al mio pentir.
Sfido le folgori
del rio destino,
se a te vicino
potrò morir!
Giovanna
Or dolce all’anima
voce risuona,
che il ciel perdona
al tuo pentir.
Sfido le folgori
del rio destino,
se a te vicino
potrò morir!
Scena III.
Pinto, Enrico, Giovanna.
Pinto, scortato dai Soldati, s’avvicina a Giovanna e s’avanza verso di lei, mentre Enrico s’allontana e mostrando l’ordine di cui è munito, accenna ai Soldati di partire.
Pinto
(a bassa voce a Giovanna, e senza vedere Enrico)
Amica man, sollievo al martir nostro
questo foglio recò d’oltre le mura
della prigion!
Giovanna
(prende il foglio, lo apre e lo legge a mezza voce)
«Solca Inglese navile
del Tago l’onde, ed è già presso al porto
carco d’armati e d’oro!…»
Pinto
(con accento disperato)
Ed io stommi tra ferri!
Ah! del mio sangue a prezzo
potessi escirne!… un giorno solo… un’ora!…
Nella pugna trovarmi e poi si mora!
(volgendosi e riconoscendo Enrico)
Ma chi vegg’io? – costui
perché miro al tuo fianco?
Giovanna
Il pentimento
quivi lo addusse!
Pinto
Un nuovo tradimento!
Il suo complice vedi!
(mostrandole Vasconcello, che entra seguito da Don Pedro e da altri Uffiziali)
Scena IV.
Gli stessi, Vasconcello, Don Pedro ed altri Uffiziali.
Pedro
(interrogando Vasconcello e mostrandogli Giovanna e Pinto)
I tuoi cenni, o signor!
Vasconcello
Il lor supplizio
tosto si appresti!
Pedro
E pronto fia. – Null’altro
brami?…
Vasconcello
Le schiere in armi
nei destinati lochi
pronte a’ miei cenni. Se battaglia brama
l’ardito Lusitan, s’abbia battaglia!
Intendesti?
Pedro
T’intesi!
(s’inchina e parte)
Scena V.
Detti, meno Don Pedro.
Enrico
(vivamente a Vasconcello)
Perché tai cenni?
Vasconcello
Brevi istanti ancora,
e giunta l’ultim’ora
per lor sarà!
Enrico
Di morte!
Pinto
(con dolore)
(Morir! mentre io sperava
guidar mie schiere alla vittoria ancora!)
Enrico
(a Vasconcello)
Perdono! io ten scongiuro…
Grazia per loro, o me con essi uccidi!
Giovanna
(a Pinto con gioia)
L’intendi tu?
Pinto
Colui che ci tradia
merta perir!… ma non pei lari suoi;
(ad Enrico)
vanne! di tanto onore
io ti proclamo indegno!
Enrico
(con un grido di sdegno)
Ah!…
Vasconcello
Da lor tanto oltraggio a te spettava,
Enrico!… a te mio sangue!…
Pinto
Che?
Giovanna
(a mezza voce)
Suo figlio!…
Vasconcello
A te, che scegli ingrato
piuttosto morte che con me la gloria!
Pinto
Lui!… suo figlio!… o crudel legge del fato!
O Lusitania, che ho tanto amato,
ad altra sfera m’innalzo a vol!
Ma il tuo guerrier muor disperato
d’abbandonarti fra tanto duol!
Vasconcello
Sì, al loro ardire sarà troncato
dalla mia mano per sempre il vol;
e da tant’odj – sarà purgato
o Lusitania – il tuo bel suol!
Enrico
Nella tua tomba, – o sventurata,
per me cangiossi – il patrio suol!
Ma non morrai, – donna adorata,
o teco, il giuro, – morrò di duol!
Giovanna
Addio, mia terra amata,
addio, fiorente suol!
Io sciolgo sconsolata
ad altra sfera il vol!
Coro (interno)
Dal profondo del mio cor
grido a te: Pietà, Signor!
Pinto
(a Giovanna)
A terra, a terra, o figlia,
prostriamci innanzi a Dio!
Già veggo il ciel sorridere…
Giovanna
M’attende il fratel mio!
Enrico
(a Vasconcello mostrandogli Giovanna e Pinto inginocchiati)
Pietà, pietà di loro,
sospendi il cenno, o qui con essi io moro!
Vasconcello
(con isdegno)
Tu reo, tu pur colpevole,
audace assunto imprendi!
E con qual dritto ai complici
intercessor ti rendi?
(con tenerezza)
Ma, benché ingrato, al figlio
tutto concedo e dono:
padre mi chiama, Enrico,
e ad essi e a te perdono!
Enrico
O ciel!
Vasconcello
(mostrando la folla che è entrata nella fortezza)
Indarno il mondo supplice
or mi cadrebbe al piè!
Ah! dimmi alfin «mio padre!»
e grazia avran da me!
Giovanna
(ad Enrico)
Ah! non lo dir e lasciami morire!
Enrico
(con accento di disperazione)
Giovanna!…
Giovanna
Il tuo pentire
deh! sia costante almen!
Vasconcello
(con forza)
Chiamami padre,
e grazia avran da me!
Giovanna
Ah non lo dir! disprezza il suo perdono!
Enrico
Che far! chi mi consiglia?
(il cancello a dritta s’apre: si vede la gran sala di giustizia, alla quale s’ascende per parecchi gradini ed in cui si vedono quattro romiti e dei soldati con torce in mano. Sul primo gradino sta il loro ufficiale appoggiato alla sua spada)
Enrico
(gettando un grido)
Ma che vegg’io?
Vasconcello
(con freddezza)
La scorta
del supplizio è già presta
e attende il cenno mio!
Enrico
Cenno crudel, ingiusto, iniquo cenno!
(due romiti discendono i gradini e vengono a prendere, l’uno Pinto e l’altro Giovanna)
Pinto
(ai romiti)
Noi vi seguiam… (a Giovanna) – A morte vieni!
Giovanna
A gloria!
Enrico
Giovanna!… o mio terror!
Coro di donne
Ah! grazia, grazia!
Coro interno
Dal profondo del mio cor…
(la folla che è nel cortile della cittadella e dietro i Soldati s’inginocchia e prega. – Pinto e Giovanna preceduti dai due romiti si dirigono verso la gradinata. – Enrico si slancia verso Giovanna e vuol seguirla, ma è trattenuto da Vasconcello che si colloca tra loro)
Pinto, Giovanna
O Lusitania, addio!
(i soldati s’impadroniscono di Giovanna; appena ella tocca la soglia della sala di giustizia, Enrico getta un grido)
Enrico
O padre! o padre!
Vasconcello
O gioia! e fia pur ver?
(all’Uffiziale)
Olà, di morte il cenno
sospendi! a lor perdono!
(grido unanime di gioia. Pinto e Giovanna circondati dai romiti e dai Soldati discendono la gradinata e sono condotti vicino a Vasconcello)
Vasconcello
Né basti a mia clemenza!
Qual d’amistà suggello
tra eserciti rivali
d’Enrico e di Giovanna io sacro il nodo!
Giovanna
(con voce soffocata)
No!
Pinto
(come sopra)
Lo dêi! la patria ed il fratello
il vogliono, Giovanna: io tel consiglio!
Vasconcello
(volgendosi al popolo)
Pace e a tutti perdono!… io ritrovai mio figlio!
Giovanna
O mia sorpresa! o giubilo
maggior d’ogni contento!
È muto il labbro, e accento
a esprimerlo non ha.
Omai rapito in estasi
da tanta gioja il core,
s’apre al più dolce amore,
è pegno d’amistà.
Enrico
O mia sorpresa! o giubilo
maggior d’ogni contento!
È muto il labbro, e accento
a esprimerlo non ha.
Omai rapito in estasi
da tanta gioja il core,
s’apre al più dolce amore,
è pegno d’amistà.
Vasconcello, Spagnuoli
Risponda ogni alma al fremito
d’universal contento;
di pace omai l’accento
ovunque echeggierà.
Lieti pensieri all’estasi
rapiscono ogni core;
il serto dell’amore
coroni l’amistà.
Pinto, Soldati Portoghesi
(Di quelle gioje al fremito,
al general contento,
di guerra il fiero accento
fra poco echeggerà.
Allor vederemo il giubilo
cangiarsi nel dolore,
dai veli dell’amore
la guerra scoppierà.)
Enrico
(a Vasconcello)
Deh! colma il nostro gaudio
cotanto in sen represso;
e il sacro imen si celebri
doman!
Vasconcello
Quest’oggi stesso!
Allorché il sole temperi
la vespertina brezza,
quando all’occaso ei volgasi…
Enrico
O cara, o diva ebbrezza!
Pinto
Fra poco! o cielo, indomita
tu forza a me darai!
Enrico
(con tenerezza)
E il crederò, Giovanna?
Sei mia!
Giovanna
Son tua!
Pinto
(Giammai!)
Giovanna
O mia sorpresa! o giubilo, ecc., ecc.
(si recano dal corpo di guardia dei bicchieri e dei boccali: i soldati Spagnuoli bevono coi soldati Portoghesi. – Vasconcello s’incammina tenendo per mano Giovanna ed Enrico. – Pinto rimane circondato dai propri amici. – Cala la tela.)
Atto quinto
Scena I.
Ricchi giardini nel Palazzo di Vasconcello in Lisbona. In fondo gradinate, per le quali si arriva alla cappella, di cui si vede la cupola elevarsi al disopra degli alberi. – A diritta l’ingresso al palazzo.
Coro di Cavalieri tra le quinte
Si celebri alfine
tra i canti, tra i fior
l’unione e la fine
di tanti dolor.
È l’iri di pace,
è pegno d’amor,
evviva la face
che accese quel cor!
Evviva la gloria,
evviva l’amor!
Coro di giovinette
Di fulgida stella
hai tutto il splendor!
Sei pura, sei bella
qual candido fior.
Di pace sei l’iri,
sei pegno d’amor,
l’affetto che inspiri
seduce ogni cor!
È serto di gloria
il serto d’amor!
Scena II.
Le stesse. Giovanna in veste da sposa scende dalla gradinata del palazzo a diritta. Le giovinette le muovono incontro, offrendole dei fiori, indi Enrico.
Giovanna
Il don m’è grato e pregio
di quei leggiadri fior;
delle vostr’alme ingenue
riflettono il candor!
Oh! fortunato il vincolo
che mi prepara amor,
se voi recate pronube
felici augurj al cor!
Sogno beato, caro deliro,
per voi del fato l’ira cessò!
L’aura soave che qui respiro
già tutti i sensi m’inebbriò.
Ritorni, o Lusitania,
di pace il dì sereno;
assai vendette orribili
ti laceraro il seno!
Colma di speme e immemore
di quanto il cor soffrì,
io ti vedrò rifulgere
come ai primieri dì.
Sogno beato, caro deliro,
per voi del fato l’ira cessò!
L’aura soave che qui respiro
già tutti i sensi m’inebbriò.
Coro
O sogno beato, caro deliro,
per voi del fato l’ira cessò!
L’aura soave che qui respiro
già tutti i sensi m’inebbriò.
(Giovanna congeda le donne, che s’allontanano: in questo frattempo Enrico discende pensieroso dalla gradinata in fondo)
Enrico
Scendono i zeffiretti – a carezzarmi il viso,
e di profumi eletti – inondano il mio cor.
L’acque in tenor gentile – il dolce mormorio
sposano al gaudio mio – col riso dell’amor.
Tutto il creato giubila – la terra è un paradiso,
ora che tu sei mia – ora che tuo sarò!
Giovanna
Io sarò tua per sempre – per sempre t’amerò!
Enrico
Tu m’ami! o caro accento!… in estasi rapita
esulta, anima mia! colmò tuoi voti il ciel!
Ah! di novel splendore s’abbella la mia vita,
pare che a te di fiori vesta natura un vel.
Mio dolce amor, Giovanna! Iddio per me ti fé;
celeste angiol tu sei, raggio di sol per me!
(alcuni Gentiluomini si presentano alla porta del palazzo a diritta e vengono a cercare Enrico, che ad un gesto di Giovanna si decide a seguirli)
Or deh! per poco lasciami
volare al padre mio;
sarò qui tosto reduce!
Giovanna
Ah! presto riedi! – addio!
(Enrico entra nel palazzo a diritta)
Scena III.
Pinto che discende dalla gradinata in fondo, e Giovanna.
Pinto
Al tuo cor generoso
lieto annunzio qui reco io di speranza!
Giovanna
E qual?
Pinto
(con gioia e voce sommessa)
Senza difesa
il nemico abbandona,
tutto fidente in noi, torri e bastite.
Vestito a pompa e in braccio
a gioia folle, ognuno
si dà in preda al piacer, lieto e festante.
Giovanna
(con inquietudine)
Qual ci sovrasta fato?
Pinto
(con voce bassa)
Nulla ti sia celato!
Non appena tu avrai
mosso l’ardente sì,
quando, a festa suonando, i sacri bronzi
dato l’annunzio dell’Imene avranno,
all’istante in Lisbona arda la pugna
e a battaglia si corra!
Giovanna
Dell’ara al piede!… qui… dinanzi al cielo!…
E la giurata fede?…
Pinto
Più sacra ella ti fia di nostra gloria?
Tutto darei!…
Giovanna
Anche l’onore?
Pinto
Anch’esso!
Giovanna
Ah! mai!
Pinto
Ma sul tuo core,
ove già l’odio è spento,
cotanto d’un Ispan poté l’amore?
Di Vasconcello è figlio
quest’amante…
Giovanna
Ei m’è sposo!
Pinto
E tu il difendi?
Giovanna
Sì!
Pinto
Tant’osi?
Giovanna
Io l’oso!
(vedendo Enrico che esce dal palazzo a diritta)
Eccolo! ei vien!
Pinto
O donna, che ti arresta?
Va, corri, mi denuncia!
Il prezzo è la mia testa!
Giovanna
(con orrore)
(Io gli amici tradire?
No, no… ma pur… dovrei
uccidere lo sposo?… Ah! nol potrei!)
Scena IV.
Pinto, Giovanna, Enrico.
Enrico
(appressandosi con gioia a Giovanna, che abbassa il capo)
Veggo agitarsi all’aure
il castiglian vessillo;
ripete in suon di giubilo
l’eco il guerriero squillo!
Giovanna
(a parte, con riflessione e senza rispondergli)
«Non appena tu avrai
mosso l’ardente sì…»
Enrico
Suonò l’ora sì cara…
L’imen ci chiama all’ara!…
Giovanna
(c. s.)
«Quando, a festa suonando, i sacri bronzi
dato l’annunzio dell’Imene avranno,
a battaglia si corra».
(con sommo dolore)
O cielo! a qual partito
m’appiglierò?
Enrico
(guardandola)
Ella trema!
È pallido il suo fronte!
Di tal terror quali ha motivi ascosi?
Ah! parla, o ciel!
Pinto
(a bassa voce a Giovanna)
Sì, parla! se tu l’osi!
Giovanna
(Sorte fatale! nel fier cimento
l’alma vien meno, vacilla il cor!
Pietà, o fratello, del mio tormento,
reggi il mio spirto, calma il dolor!)
Pinto
Di Lusitania in tal cimento
a te favelli, donna, l’amor!
Pensa al fratello! col divo accento
egli ti addita la via d’onor!
Enrico
Ah! parla, ah! cedi – al mio tormento,
pietà, pietade del mio dolor;
un sol tuo sguardo, un solo accento
salvar mi ponno da tanto orror!
Giovanna
(dopo aver guardato un istante Pinto ed Enrico in silenzio, s’avanza verso questi con commozione)
Infra di noi si oppone
una barriera eterna!
Del fratel l’ombra fiera a me comparve…
la veggo!… innanzi sta!… grazia, perdono,
Enrico!… ah!… tua non sono!
Enrico
Che dicesti?
Pinto
(Gran Dio!)
Giovanna
Quest’imeneo
giammai si compirà!
Enrico
(con disperazione)
O mio deluso amore!
Pinto
(con furore)
(O tradita vendetta!)
Giovanna
Va! t’invola all’altar!… speranze, addio!
(Morrò! ma il tolgo a crudo fato e rio!)
Enrico
M’ingannasti, o traditrice,
sulla fé de’ tuoi sospir;
or non resta a me infelice
che poterti maledir!
Tu spergiura, disleale,
m’immergesti nel dolor!
Questo istante a me fatale
è la morte del mio cor!
Giovanna
No, non sono traditrice,
né mentirono i sospir!
(Or non resta a me infelice
che salvarlo e poi morir!
Non morrà quel cor leale,
io l’involo a reo furor!
Non dirò quel sì fatale,
nunzio rio di strage e orror!)
Pinto
Tu fingevi, o traditrice,
di voler con noi morir,
ma volgesti, o ingannatrice,
a rea fiamma i tuoi sospir!
Onta eterna al disleale,
che tradì la fé, l’onor;
la mia voce omai fatale
su lui chiami il disonor!
Scena ultima.
Detti, Vasconcello con tutti i Cavalieri Spagnuoli e le Dame che escono dal palazzo a diritta.
Enrico
(correndo a Vasconcello)
Deh! vieni; il mio mortale
dolor ti mova, o padre: il caro nodo
che io cotanto ambia,
del fratello al pensier, Giovanna infrange!
Vasconcello
Errore! invan ritrosa
pugni contro il tuo core: (basso a Giovanna) ei m’è palese,
lo credi!… l’ami!… egli ti adora; ed io,
che nomaste crudel, (sorridente) voglio per voi
esserlo ancora! a me le destre, o figli!
(unendo le loro destre)
V’unisco, o nobil coppia!
E in sì solenne dì, bronzi, echeggiate!
Giovanna
No, no! impossibil fia!
Vasconcello
Del cielo in nome ai voti suoi ti arrendi!
Giura!…
Giovanna
No! mai!… nol posso!… ah! lassi voi!
(si sente suono di campana a festa che indica il momento delle nozze)
T’allontana! va! fuggi!
Vasconcello
E perché mai?
Giovanna
Non odi tu le grida?…
Vasconcello
La folla è che ci aspetta.
Giovanna
È il bronzo annunciator…
Enrico
Di gioja!
Pinto
(con forza)
Di battaglia!
(dall’alto della gradinata, e da ogni parte accorrono i Soldati Portoghesi e le lor donne, i primi con torce e spade)
Coro
A nuovo cimento,
Spagnuol, ti sfidiamo;
intrepidi siamo,
pugniam per l’onor!
Di guerra l’accento
è il grido del cor!
(Pinto ed i Portoghesi si scagliano su Vasconcello e sugli Spagnuoli. – Cala la tela.)
Fine.