PROLOGO
CAPITOLO I
Perchè quell'uomo si chiamasse
Abrakadabra.
Nell'aprile dell'anno 1860, un eccentrico personaggio venne
ad abitare l'alpestre paesello di C... .
Era un uomo sui cinquant'anni, magro, sparuto, dagli occhi
incavati ed immobili, dal sorriso amorevole, tratto tratto
mefistofelico.
La foggia del suo soprabito nero, ampio, abbottonato fino al
mento e lungo fino al tallone; la callotta di tela ch'egli portava, a
guisa di turbante, involta a più riprese da una fascia azzurra; tutto
il suo abbigliamento formava una strana figura di prete e di
pascià, che lungi dal riuscire ridicola, ispirava simpatia e rispetto.
Quell'eccentrico personaggio aveva preso in affitto una casa
di rustiche apparenze, ma comoda e decente. Tutti lo sapevano
ricco e di gran cuore. I poveri del paesello dicevano che quel
forestiere era stato mandato in paese dalla Provvidenza. Nei primi
tempi lo chiamavano il signore.
Erano con lui due domestici ed un medico. Questi gli stava
sempre a lato. Rare volte parlavano assieme. Quando uscivano al
passeggio, il medico leggeva o fumava; l'altro a giudicarne dalla
immobilità dello sguardo, pareva assorto in una sola, irremovibile
idea. In paese correva voce che il signore fosse malato di
cervello per eccessiva applicazione agli studi, e avesse appunto
abbandonata la città per ritemprarsi nella buon'aria dei monti.
In fatti, dopo un mese di vita campestre, a dire dei paesani,
il signore aveva fatto una ciera più lustra I suoi denti di
alabastro brillavano più spesso nel sorriso dell'amorevolezza che
non in quello della ironia mefistofelica.
Usciva più sovente al passeggio. Si intratteneva sulla
piazzetta a udire i colloqui dei contadini, a veder giuocare i
fanciulli. Riceveva qualche visita alla sera. Il curato, il sindaco ed
il farmacista erano divenuti assidui nella sua sala, ed egli stava le
lunghe ore ad ascoltare le loro polemiche religiose e politiche.
Il curato, il sindaco e il farmacista di C... per lui
rappresentavano i tre partiti, la eterna invariabile trinità del
pensiero umano, che a suo credere, era cominciata nella mente dei
tre primi abitatori dell'universo.
Il curato rappresentava il non possumus la forza
reazionaria;
Il sindaco il liberale moderato o moderatore
Il farmacista l'uomo del progresso ad ogni costo, l'utopista
rivoluzionario, che non ammette intervallo tra il pensiero e
l'azione.
Questi tre principii, come ognuno può immaginare, si
detestavano cordialmente; e il loro attrito era scabro e sfavillante
come quello dell'acciaio colla pietra.
Ciò nullameno, il curato, il sindaco e il farmacista venivano
ogni sera ad occupare nella sala del signore tre lati di un
tavolo coperto di ricco tappeto.
Nel centro di quel tavolo, quegli spiriti eterogenei,
intolleranti, irreconciliabili, avevano trovato un punto di
coincidenza simpatica. Era un'immane bottiglia, un'anfora
imponente e generosa, il cui sugo inesauribile produceva nei tre
antagonisti il doppio effetto di rifiammare gli ardori politici e di
ammorbidire le gole. Il curato, il sindaco e il farmacista
pigliavano un gusto matto a bisticciarsi e a contraddirsi in quel
tiepido ambiente dove la più gustosa delle bevande era sempre là
per estinguere ogni ardore di sete e di entusiasmo.
Essi amavano il buon vino con esemplare concordia; e
siccome il buon vino non corre le bettole e le cantine del volgo,
così la loro ripulsione politica si era mutata in attrazione pel
fascino di un barolo squisito.
Il curato si scusava: - Forse che alla chiesa non conveniamo
tutti, uomini dabbene e peccatori, papisti e scomunicati, intorno
all'altare del Dio uno e vero?
E il farmacista rifletteva: - Dinanzi alla malattia non conosco
avversarii politici; io prodigo i miei medicinali anche ai vili
moderati che vorrei avvelenare di arsenico. La malattia e la sete
stanno al di sopra di ogni rancore di partito.
Il sindaco, nella sua qualità di moderato, credeva dar prova di
sublime tolleranza, trincando coi due partiti estremi.
Di qual modo si erano introdotti nella casa dell'eccentrico
signore tre individui di opinioni così avverse?
Il signore li aveva conquistati nei primi tempi del suo
soggiorno in paese. Ciascuno alla sua volta, il curato, il sindaco e
il farmacista, avevano ricevuto dal forestiere una carta di visita ed
un autografo accompagnato da un biglietto a stampa di effetto
miracoloso.
Sulle carte di visita era impresso uno stemma gentilizio
sovrapposto ad una parola enigmatica, che i tre sapienti del
villaggio non avevano osato interpretare: Abrakadabra.
I biglietti a stampa erano altrettanti boni della banca
nazionale del valore di cinquecento franchi cadauno.
Le tre lettere determinavano lo scopo e l'indirizzo
dell'oblazione.
La prima, al curato, per l'obolo di San Pietro
La seconda, al sindaco, pel monumento a Vittorio Emanuele;
La terza, al farmacista, da suddividersi fra le due collette
promosse da Garibaldi e da Mazzini pel milione di fucili ... e
pel soccorso alla libera stampa
Il curato, il sindaco e il farmacista, nell'aprire quell'inatteso
dispaccio, nel constatare le intenzioni del generoso oblatore, si
erano fregati le mani a versarne sangue, esclamando con enfasi da
partigiani: il signore è dei nostri!
Ed ecco per quale impulso i tre avversari politici del paesello
si erano recati a visitare il signore, coincidendo intorno alla
grossa bottiglia, che poi doveva riavvicinarli quotidianamente a
discutere i grandi problemi lulla politica mondiale.
Durante la polemica, il contegno del signore era
sempre enigmatico. Taceva con disperante costanza. La sua fronte
spaziosa a volte si corrugava: i suoi occhi profondi vibravano
lampi; le labbra tumide e sorridenti si contraevano, e i denti si
serravano con sinistro cigolio.
Pareva ch'egli facesse uno sforzo violento contro gli impeti
della propria volontà, per reprimere un torrente di idee e di parole
che tentavano prorompere.
Quelle crisi erano passeggiere, ma atterrivano gli oratori, e
imponevano agli entusiasmi della loro facondia.
Un silenzio solenne regnava per qualche tempo nella sala.
«Che razza d'uomo! - pensava il curato - credo ch'egli abbia
il diavolo in corpo!»
E gli occhi dei tre antagonisti si incontravano nell'espressione
di un sentimento comune; vattel'a pesca come la pensi costui!
Queste pause della politica erano ordinariamente impiegate
nelle libazioni più generose. Tutti vuotavano il bicchiere, e si
affrettavano a riempirlo come soldati che si preparino a nuovi
attacchi.
Brevi uragani. Si scioglievano senza rumore e senza danno.
La fronte del signore riprendeva la sua calma severa -
l'occhio si dileguava nelle palpebre folte, e il labbro si
ricomponeva al più mite sorriso, nell'articolazione di una parola
misteriosa: Abrakadabra.
Quella parola era il terrore del curato, il quale la riteneva
diabolica.
Il farmacista, cui le spiegazioni del dizionario di scienze
mediche l'avevano resa incomprensibile, sorrideva con aria
sapiente e faceva lo sbadato.
Qualche volta, per soccorrere alla intelligenza dei suoi ospiti,
il signore traduceva l'Abrakadabra nel motto latino:
ibis, redibis
Poi accennava ad essi di ripigliare la discussione - e in mezzo
al frastuono delle voci mormorava fra i denti un fiat lux
che pareva il gemito di un Epulone assetato di luce»
Abrakadabra, che non cessava di essere un enigma per
tutti, era divenuto dopo alcuni mesi il soprannome del
signore.
CAPITOLO II - Il discorso del farmacista.
Una sera i tre antagonisti di C... si erano infervorati più che
mai nella discussione politica.
Le finestre della sala erano aperte, e parecchi paesani attratti
dalle grida, sporgevano dai parapetti le bocche spalancate. La
Camera del signore aveva le sue tribune.
Quella sera l'assemblea era completa. Il medico e i due
domestici sedevano a poca distanza dal signore.
Il farmacista aveva la parola:
«- No! ... colle mezze misure non si otterranno che deplorabili
risultati - e fra poco le idee liberali dovranno soccombere, a meno
che sull'apatia universale non prevalgano gli uomini del nostro
partito.
«I moderati sono la peste delle rivoluzioni. L'oppio è il più
esiziale dei narcotici, in quanto esso uccida cogli allettamenti di
un sopore delizioso.
«Questa nostra società, corrotta dal despotismo, incadaverita
dall'inazione e dal servaggio, domanda rimedii eroici - fuoco,
sangue, terrore. Di tal guisa si rigenerano le nazioni.
«Tronchiamo le membra guaste, e il corpo sorgerà vivificato!
Dovunque elevasi un campanile, si pianti una ghigliottina! I
nemici del progresso sono i sicarii della umanità, la negazione di
Dio. Esterminiamoli! La voce del popolo li ha colpiti del suo
tremendo anatema.
«Gli schiavi, gli oppressi, i sofferenti, sono la maggioranza,
Questa maggioranza ... è onnipotente. Già da secoli le ossa di quel
misero Laocoonte che è il popolo, stridono nell'improbo amplesso
di pochi rettili coronati - il Briareo dalle cento braccia si lascia
stritolare senza gemiti, come un gramo fanciullo nelle fascie.
«Riscuotiti, o gigante! Strappa a' tuoi carnefici quelle squame
dorate che finora ti abbagliarono la vista. Schiaccia sotto il forte
tallone le teste dell'idra. - Sperdi nel fango le bave velenose! ...
Guai se una sola testa uscirà intatta dall'eccidio! Ella andrà a
rintanarsi fino a quando non abbia ricuperate le sue spire e il suo
veleno. Al primo intiepidirsi della stagione, spiccherà un salto per
morderti alla carotide e succhiare il tuo sangue.
«Che abbiamo fatto noi? che facciamo, colla nostra
rivoluzione tanto vantata e tanto infruttuosa? ... Abbiamo atterrito
il dispotismo col tuono di una cannonata - abbiamo lanciato una
bomba di carta in mezzo a questo intrigo di rettili. Ma i rettili si
ritrassero nelle loro tane sibilando minaccia, e aspettando gli
eventi.
«Poi misero fuori la cresta, e si sparsero fra il popolo coll'aria
mansueta del primo serpente. E noi li vediamo, li incontriamo
nelle nostre vie - li accogliamo nelle nostre case - li riscaldiamo
nel nostro grembo - e istupiditi dall'oppio, non sentiamo le nuove
trafitture. Oh la bella, la grande rivoluzione!
«Metà dell'Italia è schiava degli stranieri. I moderati ci
promettono il compimento dell'opera, predicando la rassegnazione
e la pazienza. - Noi ci prepariamo! - gridano essi. - O che? Forse i
tedeschi, i clericali, i nemici nostri non profittano anch'essi della
tregua per prepararsi alla lor volta? ...
«Aspettiamo! diamo tempo alla reazione di completare la sua
trama! Così, il giorno in cui i soldati d'Italia dovranno schierarsi
sul Mincio per attaccare i tedeschi, ovvero spingersi a Roma alla
conquista di una capitale, nel volgere il capo dietro i loro passi,
vedranno sventolare sulle aguglie delle nostre cattedrali i colori
abborriti!
«Stolti! avete perdonato ai despoti quando essi giacevano nel
fango ai vostri piedi! Liberi per un quarto d'ora, tremaste della
libertà conquistata più che delle vinte tirannidi. Adulaste gli
oppressori caduti, confermando nei vostri Parlamenti le leggi
dell'oppressione. Temeste di mostrarvi troppo liberali, e vi
lusingaste, col rispetto di un abbominevole passato, conciliarvi le
simpatie di chi non potrà in nessun modo allearsi con voi.
«Perseguitaste gli uomini della luce, per allearvi,
inconsapevoli o colpevoli, agli uomini delle tenebre. Impotenti o
malvagi, ritiratevi! Il popolo non è con voi, non può essere con
voi.
«Guai, se svegliandosi da quel sonno artifiziale che è il
prodotto dei vostri narcotici, il popolo si accorgerà di esser
tradito! Allora il vostro sangue correrà nelle vie a torrenti; allora
tutti gli alberi e tutti i metalli si convertiranno in ghigliottine, in
istrumenti di morte, pel vostro completo esterminio.
«I Robespierre, i Danton, i Marat sorgeranno a migliaia dalle
officine pensanti. E questa volta non sarà l'ottantanove
della Francia, ma quello di tutta l'Europa liberale, coalizzata
contro i tiranni. Voi vi troverete accerchiati da un milione di
baionette, minacciati da un milione di mannaie - e la libertà, come
aurora boreale, splenderà sull'universo imporporata di sangue ...
«E badate, che i vostri giorni sono contati; che la pazienza è
prossima a mutarsi in furore ... In quel giorno, i clericali e i
moderati, gli uomini delle tenebre e gli uomini del crepuscolo,
saranno travolti dal medesimo turbine. Coloro che si oppongono
al progresso come quelli che pretendono moderarlo, rimarranno
stritolati sotto le sue ruote prepotenti».
Il terribile oratore pose fine alla sua arringa per essiccamento
di fauci, e sedette nel cupo silenzio de' suoi ascoltatori.
La fronte del signore annunciava un intimo
turbamento, sebbene più volte egli avesse dato segno di adesione
con un leggero movimento del capo.
Il curato, durante il discorso dell'implacabile demagogo, non
aveva cessato di interromperlo con delle esclamazioni che
parevano giaculatorie. Poichè il farmacista ebbe finito di parlare,
il buon prete giunse le mani in atto di orrore, ed ai paesani, che
ascoltavano dalla finestra, fece un gesto come dicesse: non vi
scandalizzate di tante bestemmie!
Il Sindaco aveva ascoltato con moderazione,
meditando un'eloquente risposta.
CAPITOLO III - Il discorso del Sindaco.
- L'ottantanove! ... sempre l'ottantanove! -
cominciò il sindaco levandosi in piedi dopo aver vuotato il
bicchiere. - Robespierre! Danton! Marat! ... Ecco il vostro
ritornello, la vostra eterna minaccia, o infelici rimestatori di un
passato che non può rinnovarsi.
«Tutto il progresso della civiltà europea, le poche franchigie,
le poche libertà acquisite dal popolo da quell'epoca di sangue
infino ad oggi, sono, a vostro dire, il frutto della rivoluzione. E sta
bene, se col nome di rivoluzione voi intendiate designare il genio
innovatore, la ribellione intellettuale del gran secolo che ci ha
preceduti, Buffon, Beaumarchais, Voltaire, Diderot, Rousseau,
D'Alembert, Volney, tutti i grandi pensatori di un'epoca luminosa
- ecco la vera rivoluzione, la rivoluzione irresistibile, indomabile,
soverchiatrice di ogni ostacolo.
«Chi ha ritardata l'opera della filosofia? quali furono i nemici
più esiziali dell'idea? - quelli che allora rappresentavano il partito
di azione, i demagoghi, i tiranni dal berretto frigio. Via! cessate
una volta dall'adulare la ghigliottina, attribuendo all'istrumento
feroce che ha mietuto tante nobili intelligenze la facoltà di
rigenerare la terra e di fecondarvi il progresso!
«La filosofia è luce di verità. Dessa si espande libera e vivace
nell'atmosfera tranquilla, ma rifugge dai cieli procellosi. I
pensatori di quel secolo di luce, colla logica stringente dei diritti
naturali, col sarcasmo demolitore, colla satira, coll'inno di libertà,
avevano già compiuta la grande rivoluzione
dell'ottantanove, prima che la ghigliottina si arrogasse il
vanto di averla iniziata colle sue orgie di sangue.
«Quanti anni sono trascorsi dacchè Rousseau inaugorava
l'epoca di redenzione col suo Contratto sociale dacchè
Voltaire, denudando le vergogne della terra e del cielo le
esponeva alla berlina dello scherno popolare! Nondimeno, quante
tirannie, quanti pregiudizii nella nostra Europa di oggigiorno! Se
la ghigliottina e le stragi napoleoniche non avessero interposto un
torrente di sangue fra le idee degli enciclopedisti e le indefinite
aspirazioni delle moltitudini ignare; non credete voi che ci
troveremmo più avanzati nel progresso?
«Che avete fatto voi, o cannibali del liberalismo? Voi
diffidaste della verità. La vostra impazienza sanguinaria non
sofferse gli indugi. In luogo di aspettare la convinzione,
presumeste violentarla col terrore. Per voi fu delitto l'esitanza.
Agli attoniti, ai perplessi, che consultavano la propria ragione e la
propria coscienza per ammettere le nuove dottrine; ai timorosi,
agli onesti che discutevano, voi gridaste con efferata baldanza: o
seguirci o morire!
«Che avvenne? I girondini, i moderati di allora, votarono la
morte della monarchia rinnegando una convinzione; ma il re li
precedette di pochi mesi al patibolo. Da Luigi XVI a Robespierre,
tutte le teste più illustri della Francia caddero inesorabilmente
troncate. Il berretto frigio non impose alla ferocia briaca più del
diadema reale. E qual rimase la Francia dopo quelle orgie di
sangue? Una bottega da macello piena di terrore, esalante
ribrezzo. Dopo ciò, meditate quella istoria, e comprenderete come
l'orrore delle stragi e del sangue potesse più tardi ispirare
l'avversione alle idee.
«Ma non tutte le idee, non tutti i principii
dell'ottantanove soccombettero ai massacri della
ghigliottina. Un genio fatale, sorto dalla rivoluzione, ne impose
all'Europa quel tanto che essa era in grado di comportarne.
Napoleone, il despota dei nuovi tempi, coi lampi e le folgori della
sua potenza, parve precludere il ritorno al despotismo passato; il
codice di Napoleone fu il solo, il positivo risultato della grande
rivoluzione francese.
«Qual fu la riconoscenza dell'Europa verso quel grande? La
gloria di cento vittorie, il fascino del genio, l'apoteosi del trono,
tutti i prodigi operati da lui nel più meraviglioso decennio della
storia contemporanea, non bastarono ad invertire gli istinti della
umanità. I macelli del cannone fecero inorridire l'Europa come i
macelli della ghigliottina - e il mondo dissanguato domandò pace
ad ogni prezzo, anche a costo di capitolare cogli antichi tiranni.
«Quando il leone dell'Elba scosse le catene per ritornare in
campo a ricominciare la lotta, i popoli, scorati o ribelli, lo
rinnegarono, lo consegnarono al nemico, l'obbliarono - o, peggio
ancora, ricordarono lui vivo e sofferente a Sant'Elena come una
sublime figura istorica già scomparsa dal mondo.
«Non serve falsare il passato. I trattati del 1815, che
ribadirono i chiodi dell'antico servaggio, perciò solo che
significavano tregua dal sangue, furono accolti dai nostri padri
come una benedizione del cielo. Nel 1815, una buona metà
dell'Europa - e dico poco - intuonò il Te Deum con sincera
compunzione per quell'indegno mercato di popoli.
«Ho risuscitate queste memorie perchè desse, a mio credere,
ritardarono di vent'anni la seconda riscossa, e arrestarono il corso
delle nobili idee colla vergogna e col rimorso di atroci misfatti. Il
terrore della anarchia repubblicana e di una conflagrazione
universale, anche oggigiorno rende sterile il voto ed il lamento di
tante nazionalità conculcate. La minaccia di una guerra Europea
impone alle aspirazioni generose dei principi e dei popoli. La
Polonia, segno di tante simpatie, di tanti voti, dovrà forse
soccombere a questa minaccia.
«La guerra! sublime spettacolo nelle epopee di Omero e di
Ossian! Quando nel 1859, il cannone degli invalidi annunziò alla
Francia la grande battaglia la grande vittoria di
Solferino, tutta la nazione si scosse di entusiasmo. Le contrade
pavesate di drappi tricolori, le luminarie, i fuochi di gioia
salutarono il fausto avvenimento. Ma sotto quella superficie
festante, nella retroscena di quei splendidi entusiasmi, quante
lacrime, quanti terrori!
«Quarantamila morti! In verità il bullettino non poteva essere
più splendido. Chi non ha gustato l'epico entusiasmo di quel
grandioso massacro? L'avete voi veduto un campo di battaglia,
una pianura di Solferino, dopo una grande vittoria
Quarantamila cadaveri o frammenti di carne umana, orribilmente
pestati, confusi, ingrommati di caligine e di sangue? ...
«Rifuggiamo dall'orribile spettacolo! Voi, filosofi della
umanità, voi protettori del povero popolo, che nell'eccesso di una
sensibilità altamente benefica, cadete in deliquio, e più sovente
imprecate alla società tutta intera se la ruota incolpevole di una
carrozza signorile offende lo strascico di una povera donna
pedestre - voi che vi intenerite alla vista di un spazzacamino senza
scarpe - voi, che gridate al delitto di lesa umanità, se il poliziotto
non si mette i guanti per arrestare il cavaborse - voi, che tutte le
mattine versate una lagrima sulla paziente schiavitù del somaro, e
sulla fine miseranda del montone che vi fornisce il gigot -
voi morireste di raccapriccio alla vista di quarantamila cadaveri
umani! - Copriamoli di terra e di oblio, e ricominciamo i
massacri! ...
«Pur troppo! è la storia di tutti i tempi! è la condanna
tremenda della razza ragionevole! - La guerra è un disastro
inevitabile. - Tutte le riforme politiche e sociali, tutti i progressi
della libertà domandano il loro tributo di sangue! Rispetterò
questa barbara convinzione, sebbene io vi potrei rammentare la
più grande delle rivoluzioni umane, la rivoluzione di Cristo,
operata dagli inermi pescatori di Galilea col pacifico mezzo della
predicazione - potrei mostrarvi le immense legioni del
paganesimo, debellate da poche parabole ripiene di verità e di
sapienza - potrei altresì ricordarvi che il codice di un vangelo
altamente umanitario, allora soltanto cominciò ad ispirare
diffidenza ed avversione, quando i successori dei primi apostoli si
arrogarono di imporlo colle spade e coi roghi.
«Forse che l'Europa del 1864 si troverebbe meno avanzata
nel progresso delle idee liberali, ove gli anni degli eccidii e del
terrore fossero stati impiegati nella educazione del popolo, nella
diffusione dei lumi? Vi par egli che un secolo padrone della
stampa, del telegrafo, del vapore, abbia proprio bisogno dei
massacri per civilizzarsi, per ottenere ciò che desidera? ...
«Ma l'Europa liberalissima vuole affrettarsi. Un
indugio di trent'anni, di mezzo secolo, sarebbe troppo grave alla
impazienza dei dittatori umanitarii. - Povero popolo! ... bisogna far
presto a redimerlo, a patto che egli paghi il suo riscatto con un
miliardo di vittime.
«Ebbene! accettiamo il barbaro assurdo! Ammettiamo che
l'animale ragionevole non ceda che alla logica delle bombe.
Dichiariamoci antropofagi, e rinunziamo ad ogni speranza di
convertire il mondo alle pacifiche utopie. - Ma almeno - poichè la
carneficina dovrà aver luogo, procuriamo di assicurarne i risultati
a benefizio delle nostre idee; non prodighiamo le vittime; non
avventuriamo ad un improvvido azzardo il passato, il presente e
l'avvenire. I moderati non chiedono altro. Facciamo che questa
lotta sia breve, sia decisiva, e sopratutto vittoriosa.
«Mentre voi, uomini dell'azione, urlate nelle piazze i
vostri entusiasmi; noi nei nostri gabinetti calcoliamo i mezzi di
riuscita - voi fidate nell'intervento di Dio: noi numeriamo i nostri
cannoni e le nostre navi corazzate - voi dite: popolo, come
direste venti milioni di combattenti; noi passiamo in rassegna
l'esercito, e contiamo trecentomila soldati - voi sperate
nell'alleanza di tutti gli oppressi, di tutti i
malcontenti di Europa; noi domandiamo l'appoggio o la
neutralità di potenti nazioni - voi minacciate e sfidate, noi
destreggiamo perchè ci lascino fare - voi vi fate beffe della
diplomazia; noi ci facciamo diplomatici per ischermircene.
«Ecco perché ci chiamate moderati, uomini della
paura! Moderati? Oh sì! noi lo siamo ... La moderazione è da
esseri ragionevoli - i bruti, i selvaggi non la conoscono. Paura? Se
la passione non vi impedisse di renderci giustizia, voi la
chiamereste prudenza. Una sola cosa noi temiamo: perdere il
frutto del sangue versato a prezzo di nuovo sangue.
«Gridateci codardi, impotenti, traditori! Abbiamo fatto il
callo alle vostre invettive! Noi aspetteremo fino a quando la
convinzione del poter fare non ci gridi: avanti!
«Frattanto, i giorni della attesa non saranno sprecati per
opera nostra. Noi non turberemo la fede del popolo con
suggestioni nefande; predicheremo la concordia e il compatimento
- insegneremo la libertà, esercizio di equi diritti e legge di sacri
doveri. Mentre l'esercito si agguerrisce, impareremo a divenire
nazione.
«Non è malva, non è oppio quello che noi spargiamo nei
circoli, nelle associazioni degli operai, nelle scuole gratuite da noi
favorite e protette. Noi insegniamo la libertà ogni qualvolta voi
non ci interrompiate per obbligarci a combattere la licenza e la
violazione delle leggi.
«Più che altro ci sta a cuore di riconciliare alle idee di civiltà
e di progresso i molti che finora le guardarono con isgomento. Noi
vogliamo persuadere gli onesti di tutte le classi che libertà è
ordine assoluto, che rivoluzione non è sinonimo di anarchia e di
ghigliottina. La nostra moderazione ha già risolto molte esitanze,
conquistato molte simpatie. Procediamo a questo intento! È a
sperarsi che il nostro metodo riesca completamente. È a sperarsi
che i pertinaci fautori del passato, i più accaniti nemici delle
nostre idee, gli stessi clericali, si accostino un giorno al banchetto
delle nazionalità redente, e vengano con noi a celebrare la Pasqua
di riconciliazione. Non è vero, signor curato revendissimo?»
CAPITOLO IV - Non possumus!
La inattesa perorazione del sindaco produsse un effetto
galvanico sul curato, il quale nella sua canonica riservatezza,
avrebbe voluto astenersi da quella vivace polemica. Tacere, dopo
una interpellanza così diretta, era lo stesso che approvare o
dichiararsi convinto. E quale scandalo per le tribune dei villani!
quale sconfitta per il principio!
Tutti gli occhi erano fissi in lui. Il signore col suo
sguardo severo pareva esigere una spiegazione.
Il curato si levò in piedi, e volgendosi all'uditorio con un
gesto da dominus vobiscum replicò a tutta voce due parole
latine, il motto inesorabile, nel quale si riassume tutto il
programma religioso e politico della setta clericale:
«Non possumus!
«Non possiamo! non possiamo! proseguì a tutta voce
l'onorevole interpellato, traducendo il suo testo per adattarsi alla
intelligenza delle tribune idiote.
«Il papa e i prelati della sacra venerabile curia romana, i
grandi dottori della Chiesa vi manderebbero a spasso con questo
semplice motto, che è il corollario di un coscienzioso e meditato
sistema. Ma io non sono prelato, nè dottore della chiesa; io sono
un povero curato, l'ultimo fra gli ultimi nella gerarchia
ecclesiastica; e voi potreste supporre che io ripeta da papagallo il
testo consacrato dalla Curia senza aver studiata la questione.
«Voi vi ingannereste, o signori. Io sono pienamente convinto
del mio non possumus più che voi non lo siate delle vostre
utopie liberali, umanitarie. Io le ho studiate le vostre utopie, le ho
discusse - ho fatto di più - mi sono provato ad applicarle
mentalmente alla vita pratica, e sono riuscito a concludere che
tutte le vostre riforme, le vostre innovazioni, ciò che voi chiamate
civiltà, libertà, progresso, non sono che larve ingannevoli, assunte
dallo spirito malefico per insinuarsi nel mondo a moltiplicarvi la
miseria e la corruzione.
«Ah! voi predicate la scienza universale; volete che tutti
apprendano a leggere, a scrivere, a ragionare, a filosofare! E siete
voi che spacciate queste felici teorie! ... voi proprietario di seicento
pertiche di terreno, e padrone di un vasto opifizio dove lavorano
ogni giorno da oltre sessanta operai!
«Avete mai riflettuto cosa avverrà dei vostri campi e dei
vostri meccanismi il giorno in cui la educazione universale avrà
cessato di essere una brillante utopia per tradursi in una realtà
deplorabile?
«Quando voi, beatamente sdraiato nel vostro birroccio, lo
zigaro in bocca, la punta del naso fiammante di vino, percorrete la
strada che attraversa i vostri poderi, i contadini che non san
leggere, si levano rispettosamente il cappello, col sorriso e col
cuore vi danno il buon giorno, e ansanti, sudanti, raddoppiano la
lena della vanga.
«Essi dicono: il padrone è ricco, e noi siamo poveretti - egli è
il nostro benefattore - egli ci mantiene, ci dà la polenta -
lavoriamo per lui! - è nostro dovere! senza di lui come potremmo
vivere?
«Così gli idioti contadini, che non sanno leggere, nè
ragionare. Vedete qual logica balorda! Come si illudono
grossolanamente i poveretti sulla legittimità dei vostri diritti di
proprietario, e sulla necessità del loro servaggio! Sono ignoranti,
sono zotici i vostri paesani!!!
«Via, signor sindaco! ... bisogna soccorrere all'idiotismo di
questi infelici. Affrettiamoci ad educarli! Poniamo loro in mano
l'abbecedario, poi la grammatica, poi l'istradamento al
comporre la prosodia, se volete - qualche libro di amena
letteratura - e da ultimo, abboniamoli ai giornali politici!
«Tutto sta che i maestri ci si mettano di zelo; e in meno di
cinque o sei anni, i vostri contadini, signor sindaco, ne sapranno
quanto voi, o per lo meno quanto il vostro segretario.
«Ecco là un'assemblea di scienziati, un areopago di filosofi ...
Via! battete le mani, signor sindaco presidente! Il grande miracolo
è compiuto! I vostri villani erano bruti ed ora sono diventati
uomini - erano schiavi, ed hanno infranto le catene - nuotavano
nelle tenebre, ed oggi aspirano alla luce. Tanto ciò è vero che essi
hanno gettata la vanga e la gerla, e non vogliono più saperne di
fecondare coi loro sudori la gleba del tiranno
«E sapete cosa è la gleba, signor sindaco? - è il vostro
campo. Sapete chi è il tiranno? - Il tiranno siete voi.
Consolatevi! questa scoperta è dovuta al vostro sistema di
educazione universale. Il risultato poteva esser più pronto e più
soddisfacente?
«Ma io ho forse abordato con soverchia leggerezza una
quistione molto seria, che racchiude il germe di sanguinosi
avvenimenti. Il nostro non possumus data da secoli, e mette
capo a quel libro divino, a cui non vorrete negare qualche autorità
- parlo del vangelo. I pericoli e i danni della scienza universale
sono prevenuti in quel codice santo, dove la povertà dello
spirito e l'umiltà del cuore stabiliscono la base di una
morale feconda di beatitudine.
«Attenendoci ai consigli della sapienza divina, noi abbiamo
tremato di ogni nuova istituzione che tendesse a traviare l'umanità
pel cammino dell'orgoglio e del disordine.
«Fummo avversi alla stampa, presaghi delle sue
abbominazioni infrenabili; perseguitammo Galileo; ponemmo
ostacolo per quanto era da noi alle temerarie pellegrinazioni di
Colombo - abbiamo negato il vapore, contrastato il telegrafo,
imprecato a tutti gli abusi della ragione, alla filosofia, all'esame
critico, ai sacrileghi attentati della chimica e del magnetismo, due
scienze di terribile avvenire! ...
«Se il genio del male fu più potente di noi - se la stampa e il
vapore, i più fieri nemici dell'umanità, si scatenarono sulla faccia
dell'universo - noi non cesseremo, per quanto i nostri mezzi ce lo
permettono, di opporre un freno allo spirito ed alla materia ribelle.
Se non ci è dato impedire, noi ritarderemo. Verrà giorno in cui,
meditando il nostro non possumus quegli stessi che oggi ci
accusano quali nemici della umanità, ci proclameranno ispirati da
Dio.
«Poco dianzi, parlandovi dei contadini e degli effetti
immediati che dovranno prodursi in questa categoria sociale dal
benefizio dell'istruzione, io vi faceva presentire la terribile
minaccia: «badate! l'uomo che sa leggere e ragionare non può
adattarsi a trascinare l'aratro.» In questa verità stanno i germi della
più micidiale, della più orribile rivoluzione che mai abbia
insanguinata la superficie della terra.
«Come riuscirete a sedarla? quale sarà il mezzo della tregua?
il componimento finale? - Via! confessatelo, signori progressisti
umanitarii - su questo punto della questione voi non siete più
avanzati di noi.
«Basta! a suo tempo ci penseremo - non è vero? tale è la
vostra filosofia; ed io mi congratulo di vedervi sorvolare con tanta
leggerezza agli scrupoli dell'avvenire. Ma vi è nel presente
qualche cosa di più grave, di più contradditorio, a cui forse non
avete ancora badato. I vostri progressi non sono solamente una
minaccia che gravita sui vostri contemporanei. Tutte le scoperte
che soccorrono ad un bisogno, ad un comodo, o ad un diletto della
vita umana - ogni nuovo passo dello spirito inventivo, che, a
vostro dire, segna una nuova fase di civilizzazione, moltiplica
necessariamente sulla terra il numero degli schiavi, e inchioda più
aspramente alla catena quei milioni di paria che voi pretendereste
redimere.
«Voi scuotete il capo, signor farmacista! Ciò vi sembra un
paradosso ... Vi spiegherò il pensiero cogli esempi ... Compiacetevi
di abbandonare le astrazioni, e di scendere con me sul terreno
della vita reale, a cui, se non mi inganno, voi altri liberali vi
dimenticate troppo spesso di appartenere.
«Il primo uomo che, camminando per una foresta di vergini
piante, corse dietro ad un candido fiocco staccatosi da un ramo, e
strofinandolo leggermente fra le dita, concepì il pensiero di ridurlo
a filo per tramarne dei tessuti - il primo uomo che si propose
coltivare il cotone per farne dei drappi; quell'uomo, nell'ingenua
compiacenza di recare un immenso vantaggio alla umanità, segnò
la condanna di milioni e milioni di negri - fu l'innocente iniziatore
di una mostruosa barbarie, che anche oggigiorno fa inorridire la
terra.
«Volgetevi intorno - una occhiata alla vostra mensa - alla
vostra guardaroba - ai vostri mobili - ai meccanismi che vi
rendono agiata l'esistenza! ...
«Dacchè il sale divenne una necessità dei palati istupiditi,
parecchi milioni di uomini furono condannati a intisichire onde
apprestarvelo. Per variare i vostri foraggi, il riso fu introdotto sulle
mense - non importa che migliaia di infelici paghino della loro
vita questo capriccio di ghiottoneria. Il paria delle risaie
lombarde, dopo aver lottato venticinque anni colle terzane, a
trent'anni è vecchio, a quaranta è decrepito, a quarantacinque anni
è cadavere.
«I cristalli che vi splendono sulla tavola, i colori brillanti
delle vostre tappezzerie, i metalli che servono agli usi più comuni,
la luce artifiziale della notte; tutto il lusso, tutti gli agi che vi
circondano, narrano la istoria dei vostri progressi con
gemiti e strida disperate.
«La locomotiva che attraversa la terra come un conquistatore
inebriato di fumo e di possanza; questo sorprendente meccanismo
che accelera il moto dell'uomo e la diffusione delle idee - non ha
forse relegati nelle cave di carbon fossile migliaia e migliaia di
sciagurati, perchè muoiano nelle impure esalazioni a benefizio del
progresso che cammina? Esaminatelo attentamente il grande
ordigno civilizzatore - studiatelo in ogni sua parte, in ogni suo
accessorio - poi fate bene il vostro computo, e ditemi quanti
milioni di schiavi sieno necessariamente aggiogati e stritolati alle
ruote di questo carro emancipatore!
«Ed ora vediamo un po' come la intendiate! Questi paria,
questi schiavi della civiltà, che dovranno necessariamente
moltiplicarsi per servire ai nuovi bisogni, ai nuovi comodi del
secolo - impareranno anch'essi a leggere, a filosofare con voi? E
qual sarà la catena per vincolarli alle cave tenebrose, al maglio
rodente delle officine? Forse la coscienza del dovere? - Io credo,
signor sindaco, che il vostro cenno affermativo sia un amaro
sarcasmo. La coscienza dei propri diritti farà dire a questi paria
conculcati: È oramai tempo che i felici del mondo prendano
il nostro posto!
«Una volta - ai tempi dell'ignoranza e della superstizione -
quando il paesano vegetava nella sua atmosfera più omogenea,
quando l'operaio non si era ancora associato all'esaltazione ed
all'ateismo - bastava un versetto del vangelo o una parola del
curato per mantenere in questo povero popolo la fede del lavoro, e
la rassegnazione alla miseria.
«Noi ripetevamo al villano: i ricchi godono la loro porzione
di felicità in questo mondo, ma voi ne avrete a ridoppio nell'altro -
beati coloro che soffrono, perocchè saranno consolati! - più
soffrirete quaggiù, e più grande sarà la vostra esaltazione in
paradiso.
«Gli scorati, i dubbiosi avevano fede nella parola del curato;
tornavano ai campi, alle officine - lavoravano, soffrivano ... e
morivano nella speranza.
«Ah! voi credete utile e morale istillare la diffidenza e il
sospetto in quei semplici cuori! Che faranno i vostri libri?
Distruggeranno la fede e la rassegnazione sotto pretesto di
combattere il pregiudizio. La vostra educazione griderà agli
schiavi: «tutti gli uomini hanno uguali diritti», non è giusto che i
milioni lavorino nel pianto perchè i pochi tripudiino
nell'abbondanza e nel potere - animo, dunque! insorgete!
domandate la porzione che vi spetta! ...
«E sapete voi quale sarà la vostra porzione? (proseguì il prete
volgendosi ai contadini delle tribune). Dopo avervi rapito il
maggior di ogni bene, la fede: dopo avervi spogliati della vostra
semplicità, dopo aver mutato la vostra operosa pazienza in
disperata ribellione - il giorno in cui domanderete il compenso di
una libertà tante volte promessa, sarete appiccati ai gelsi delle
vostre campagne, o ricacciati nelle officine a furore di mitraglia.
«No! figliuoli delle officine e dei campi! Non vi lasciate
adescare dai falsi apostoli della scienza. La scienza, come il pomo
del paradiso terrestre, ci insegna il bene, ma ci riempie di mali.
«Ciò che vi si promette è un inganno. Credete al vostro
curato. I ministri di una religione, che ha per codice il Vangelo,
non potranno mai farsi complici di quest'opera abbominevole.
Non possumus! non possumus! sarà la nostra insegna, la
nostra invariabile protesta, quando anche tutte le ire e le violenze
del secolo si rovesciassero sopra di noi!
CAPITOLO V - Rassegna delle idee.
I contadini si inginocchiarono come alla perorazione del
Passio, e il curato impartì ad essi la benedizione.
Il sindaco e il farmacista non osarono far repliche.
Tutti gli occhi eran fissi nel signore, aspettando che
egli gettasse in mezzo alla quistione una parola decisiva come la
spada di Brenno.
Il signore si levò in piedi, e girò intorno una occhiata
che fece abbassare tutte le ciglia.
Il medico e i domestici accorsero a lui, come infermieri al
primo delirio di un malato.
Regnava nella sala un silenzio solenne. - Abrakadabra!
Abrakadabra! Abrakadabra! tuonò la voce del signore.
E portò la mano alla fronte, rimanendo nella attitudine
dell'abbarbagliato che invoca dalle tenebre una luce più veritiera.
Ma quella sera l'Abrakadabra non doveva essere
l'ultima parola del signore.
Trascorsi pochi minuti, egli ritrasse la mano dalla fronte, e
volgendosi ai tre antagonisti in sembiante più calmo:
«Grazie! mille grazie a voi tutti! - esclamò - se la vostra
polemica, non mi ha dato l'ultimo verbo della idea, ha però
versato molta luce sul caos. Io sento che le acque si
separano dalla terra, che l'aria ed il fuoco prendono il loro posto.
Fra poco raccoglierò i miei pensieri per ordinarli sotto questo
raggio di luce, e forse domani potrò gridare eureka!»
Ciò detto, il signore fece un gesto di congedo, al quale
tutti obbedirono. Il medico e i domestici, che parevano esitare,
dovettero uscire dalla sala fulminati da un'occhiata inesorabile.
Poichè tutti furono usciti, il signore sedette, appoggiò i
gomiti alla tavola, e, raccolta la testa fra le mani, si fece a passare
in rassegna le proprie idee, adunandole per ordinarle o
respingerle, come farebbe un generale con un esercito di sconfitti.
«- Ragione? forse che tutti non hanno ragione? ... e non
sarebbe più logico il dire che tutti hanno torto? ... Il triangolo è
necessario, perfetto. Ciascun lato presenta la medesima superficie.
Leggete per diritto, leggete per rovescio, capovolgete - le cifre
non si mutano, la figura non si scompone - Abrakadabra! -
Perchè adunque tanto strepito di polemiche? ... Acquietamoci una
volta! Conveniamo che il moto non viene da noi, che l'uomo è uno
strumento, un meccanismo subordinato all'intelligenza mondiale.
La regola è stabilita, nè può mutarsi. Tutto ciò che pensiamo, tutto
ciò che tentiamo è perfettamente logico, perchè necessario. Ciò
che si chiama errore, contraddizione, inganno, è una necessità
sapientissima nell'ordine, nell'armonia universale.
«Perchè si dice progresso? ... Moto è la parola. Se
l'umanità progredisse nel meglio; quanto sarebbero da
compiangere i nostri antenati, che vissero seimila anni prima di
noi! Pure anch'essi lavoravano per la medesima illusione ... e si
affannavano in questo moto d'idee e di tentativi che non dà requie
allo spirito umano. - Seimila anni di corsa; e dove siamo
arrivati? ... - Al punto di partenza. Valeva la pena di mettersi in
cammino? ...
«Eppure, tutti i giorni si parte, e si corre ... Non vi è dunque
una meta? ... Il farmacista, nel limite delle sue idee politiche, vi
dirà che la sua meta è la repubblica universale. Il sindaco non vuol
andare così lontano - egli si arresterebbe alla unificazione
completa dell'Italia, con un voto di simpatia per le nazionalità
oppresse. Tutto ciò può avverarsi. Ma quando il sindaco e il
farmacista saranno arrivati? ... Da capo, signori! L'umanità non
può arrestarsi - bisogna riprendere la corsa, lasciarsi rimorchiare ...
o farsi stritolare, che è peggio!
«Chi rallenta, chi si fa rimorchiare è moderato - chi si
ferma e pretende arrestare, è reazionario. - Convenzioni! Moda! -
Quest'ultima parola mi chiarisce l'idea.
«La moda è prepotente; o tosto o tardi, tutti dobbiamo
uniformarci al figurino dell'epoca. Gli ultimi che adottarono la
coda, appendice delle teste rivoluzionarie di un'epoca
liberalissima, furono gli ultimi a tagliarsela. Per averla portata
fuori di tempo, il mondo li chiamò reazionarii, e il
codinismo passò in proverbio.
«I primi che mettono fuori il figurino di una idea son
chiamati liberali. La moda viene accettata, si propaga, si allarga -
a lungo andare, tutti debbono svestire l'abito vecchio, per adottare
la nuova foggia. Ma dopo alcuni anni comparisce un altro
figurino, un figurino che alla sua volta si chiama progresso, civiltà, democrazia, socialismo, ciò che
meglio vi piace. Gli iniziatori della moda precedente, i liberali di
un'altra epoca, vorrebbero resistere e persistere. Essi gridano il
non possumus del curato, e in rapporto ai nuovi tempi
divengono reazionarii.
«Abrakadabra! ibis! redibis! Ciò che ieri era il bene,
oggi rappresenta il male; ciò che pei nostri predecessori era la
meta, per noi diviene il punto di partenza. Sarebbero dunque,
anche il bene ed il male, una illusione del convenzionalismo? Il
principio delle nazionalità, che rappresenta il non plus ultra
del liberalismo contemporaneo, come dovrà apparire meschino e
puerile fra un secolo, quando nel pensiero della comunanza di
origine e della fratellanza naturale, l'uomo si dirà cosmopolita;
quando le frontiere delle Alpi, dei fiumi e dei mari,
scompariranno, insieme ai pregiudizii di razza; e l'umanità, che
oggi pone il suo vanto nel suddividersi in cento frazioni nemiche,
si riunirà tutta per formare una sola famiglia!
«Bene, male! ... per disingannarci di codeste distinzioni che
non hanno senso, rimontiamo alla origine delle cose, a Dio.
«Dio non è una parola - è una idea innata, congenita
all'uomo, trasfusa in tutto il creato. Dio è l'essere, la luce, il moto
del pensiero. Dio è la perfezione - tutto che emana da lui è
perfetto.
«Orbene, a che discutere il torto e la ragione, il bene ed il
male? - parole! Poichè l'universo riflette la perfezione di Dio, le
leggi che lo governano e gli atomi che lo compongono debbono
considerarsi irriprovevoli. Potete voi concepire la perfezione del
tutto, escludendo la perfezione delle parti?
«L'uomo, nella sua vanità provvidenziale, facendosi centro
della creazione, credette che quest'opera gigantesca e
inconcepibile non avesse altro scopo che il di lui individuale
vantaggio. Tale è il nostro peccato di origine, la superbia
incarnata, da cui si genera il dolore, l'impotente desiderio del
meglio.
«Tutto per noi! ecco la strana illusione! - Cerca, prova,
rimescola, agita, va, torna, edifica, dissolvi; tutto questo moto,
questa operosità incessante dell'uomo non può migliorare di un
solo grado la di lui condizione. L'illuso egoista non vuol
persuadersi che il suo moto intelligente e appassionato è diretto ad
uno scopo più universale, cui è interessata tutta la creazione.
«Se l'umanità potesse raggiungere il meglio a cui tende,
allora la sua esistenza diverrebbe un assurdo, il moto cesserebbe, e
il mondo intero sarebbe disorganizzato.
«Il vos non vobis è la legge di tutti gli elementi
mondiali. - Forse che il sole percorre ogni anno il suo giro
indeclinabile a benefizio della propria individualità? Il moto è una
legge di sacrifizio per lui come per gli altri pianeti, parimenti
subordinati a reciproci rapporti, ad inevitabili dipendenze. Tutto
per il cosmos, nulla per noi; ecco la legge di tutte le
intelligenze organizzate che si agitano nel creato.
«E l'atomo vanitoso che si classifica ragionevole
presumerebbe emanciparsi dalla legge universale! Non deridiamo,
non insultiamo! Questa pretesa dell'istinto umano costituisce
appunto il motore della sua efficienza. Illuso, inconsapevole,
l'uomo segue il suo corso di rotazione. Cercando il meglio
nell'esclusivo interesse della propria individualità, il suo moto, la
sua azione diviene, come quella delle altre intelligenze mondiali,
un perpetuo sacrifizio al bene dell'universo.
«Misterioso, imponente, pieno di sublime poesia è questo
sacrifizio di tutti per il tutto. Il sole, questa grande intelligenza
luminosa, che non può uscire dalle sue rotaie inesorabili, che non
può arrestarsi, che non può svestirsi della sua immensa luce, nè
temperare gli ardori della sua combustione perenne - la terra che
si affatica nel rapido movimento di ogni giorno, roteante fra i
nembi e le folgori, sospinta e ribalzata da più potenti pianeti - la
belva che ruggisce per fame, il montone che dev'essere divorato,
l'augello che canta per dolore, l'uomo che ride per impotenza, la
pianta che piange e geme negli sforzi della vegetazione, la materia
e l'intelligenza che si accoppiano per dissolversi nella corruzione -
tutto ciò che vediamo o immaginiamo, tutto ciò che si nasconde ai
nostri sensi, ma si rivela al nostro spirito - tutto rappresenta
l'individualità che si sacrifica all'ordine dell'universo.
«Una volta riconosciuta questa legge, una volta stabilita
questa fede, che risulta lucidissima ai sensi, tanto che la mente più
pregiudicata non oserebbe rinegarla; è egli più possibile di
prender sul serio queste miserabili questioni di parole e di
formole, le quali non sono che il risultato di un errore vanitoso,
per cui l'uomo vorrebbe disconoscere, adempiendola, la propria
missione?
«Non fanno pietà queste gare mal definite tra il passato e il
presente? queste lotte di principii ugualmente erronei? queste
verità dell'oggi che domani si trasmuteranno in menzogne? queste
riforme che scaturiscono dall'antico e sono da uomini antichi
respinte come nuove? queste sillabe accozzate che vorrebbero dar
corpo ad una larva? queste larve che si decompongono e
svaniscono il giorno in cui prendono corpo? queste scoperte della
scienza che accusano la stoltezza dei nostri predecessori e fra un
secolo accuseranno la nostra? questi trovati dell'arte e
dell'industria che forniscono un diletto creando mille bisogni?
queste rivoluzioni che massacrano le moltitudini per istabilire una
idea? queste idee che aspettano di essere accettate e tradotte
nell'azione pratica per divenire intollerabili ed esecrate?
«E quanto ardore nelle polemiche! quanto entusiasmo negli
assurdi! ... qual cecità nelle contraddizioni! - Un dabben farmacista
crede di aver inventato il liberalismo perchè osa dire:
ammazziamo chi vorrebbe soperchiarci! Questa politica era già
nella mente solitaria di Caino, il figliuolo primogenito dell'uomo.
Ma la storia è troppo antica - non è meraviglia che il farmacista
l'abbia dimenticata.
«E il curato, che pretende egli col suo non possumus
Arrestare il movimento? Uccidere l'idea? - Non ha egli appreso
dalla istoria che una idea, antica o nuova non importa, purchè
lusinghi questo istintivo desiderio del meglio che è il principio
motore della umanità, deve fare il suo cammino, svolgersi e
completarsi nella esperienza fino a quando l'esperienza non la
riprovi? Non si avvede egli, il buon curato, che il suo non
possumus sta al moto delle idee come la zavorra alle navi -
invece di sommergere, equilibra ed assicura?
«E il sindaco, ignora egli che le violenze e le stragi sono del
pari una necessità del movimento? che, per dar passo alla
locomotiva, il ferro e la polvere debbono prepararle il cammino,
distruggendo la vegetazione, appianando la montagna, divergendo
il torrente?
«Non è questa la istoria inevitabile del movimento umano? ...
Ma chi bada alla storia? Chi la comprende? L'uomo è sempre
nuovo sulla terra. L'esperienza de' suoi predecessori non è lezione
per lui se non in quanto lo ammonisca che essi nulla hanno fatto
di bene, che tutto bisogna rifare.
«Oh! se l'uomo potesse leggere l'avvenire! Forse
riconoscerebbe la sua vera missione, l'inanità de' suoi sforzi per
migliorare la condizione propria, e la sua divina efficacia nel
cooperare all'equilibrio ed allo sviluppo del cosmos! Ove
ciò avvenisse, un nobile orgoglio potrebbe egli sostituire alla
vanità disillusa dell'io, e dire con più soda convinzione: io
sono una leva della intelligenza di Dio - agisco per lui e con lui -
tutto che produco è perfetto - e forse, l'atomo perduto
nell'universo, compiuto il sacrificio del dolore operoso, si riunirà,
si identificherà in quell'Essere Uno, che è la Causa e l'Effetto dei
mondi.
«Scriviamo la storia dell'avvenire. Dessa troverà fede più che
la storia del passato. Per essa la vanità e la follia si acquieteranno
in un concetto filosofico e morale ... !
«Per scrivere questa storia, non è mestieri di profonda
dottrina, nè di penose investigazioni, nè di lunghi e meditati
raffronti. La logica naturale può dettarla. Raccogliamo le idee dei
nostri tempi, i principii innovatori che oggi si presentano in
germe; seguiamo il loro movimento, il loro sviluppo -
completiamo tutte le aspirazioni dell'epoca nostra traducendole in
fatti; l'avvenire non avrà più segreti per noi. La nostra istoria potrà
ingannarsi nelle date. - Cosa sono le date? - Una divisione
convenzionale del tempo indivisibile. Che importa se gli
avvenimenti non sieno numerizzati e disposti a rubriche come le
cartelle del notaio? Non basta il saperli veri, necessariamente
esatti come il prodotto di una addizione, come la logica di un
calcolo algebrico?
«Osiamo dunque! ... Poichè la definizione mi sfugge; poichè
il verbo si rifiuta ad esprimere l'idea - sforziamoci di tradurla in
una serie di fatti!
«Che è mai l'Abrakadabra se non il programma, lo
scheletro di tutta la istoria umana? Completiamolo - riempiamo le
lacune, vestiamolo di muscoli e di nervi! Ch'egli si muova, si
agiti, precorra gli spazii dell'avvenire! ... Tutti lo riconosceranno,
lo comprenderanno, e l'umanità dovrà arrendersi all'evidenza del
suo concetto ... »
CAPITOLO VI - Eureka!
Il signore aveva trovato. Snodò le mani dalla
fronte, prese un gran foglio di carta, e in mezzo a quello disegnò
con la penna la figura cabalistica del suo concetto:
A B R A K A D A B R A
A B R A K A D A B R
A B R A K A D A B
A B R A K A D A
A B R A K A D
A B R A K A
A B R A K
A B R A
A B R
A B
A
La mente del signore non era punto affaticata dal
cozzo di tante idee, di tante ipotesi mal definite e peggio
coordinate. Quella rassegna aveva portato il suo frutto. Gli aveva
suggerito il modo più ovvio per esprimersi. Egli non cercava di
meglio.
Vegliò tutta la notte sull'Abrakadabra. Quando il
medico e i domestici entrarono, al mattino, nella sala, trovarono il
signore seduto al tavolo, cogli occhi fissi alla figura
cabalistica, intorno alla quale avea disegnato un laberinto di
lineette e di segni misteriosi, un intreccio di circoli e di triangoli
bizzarramente collegati; e in quello sfondo egiziano, inverosimili
accoppiamenti d'uomini e di belve, di alberi e di case, una nuova
generazione di animali e di vegetali sospesi o inchiodati alla
periferia di un mondo impossibile.
Il medico, che era entrato in punta di piedi, si pose dietro le
spalle del signore, e contemplava quegli sgorbi con
espressione di pietà.
- Non sarebbe tempo di prendere un po' di riposo? - disse il
medico a mezza voce, come temesse di produrre una scossa
troppo violenta sui nervi dell'amico.
Il signore, colpito da quella voce, tracciò rapidamente
sul margine superiore del foglio alcune lineette ondeggiate, e
volgendosi al medico col sorriso più sereno:
«Grazie del buon suggerimento, gli disse! ora che il lavoro è
compiuto, posso mettermi a letto col cuore tranquillo. Da dieci
mesi non ho mai gustato il bisogno del sonno come in questo
momento».
Il medico, come era usato di fare ogni mattina, portò la mano
al polso del signore, e parve molto sorpreso di trovarlo in
piena calma.
- Sono guarito! - disse il signore levandosi in piedi -
l'Abrakadabra è spiegato ... Esso è qui ... su questo foglio, e
quando mi piaccia, io potrò leggerlo all'universo e farlo
comprendere a tutti.
- Che! ... queste linee? ... questi geroglifici? ...
- Sono la storia dell'avvenire, sono la soluzione del grande
problema mondiale - disse il signore coll'accento della
convinzione più serena. - A rivederci ... domani ... volevo dire ...
stassera ... ! ... fa di invitare tutti i nostri conoscenti ... Che tutti
prendano parte alla festa! ... Io sono guarito! ... perfettamente
guarito!
Il signore piegò il foglio, se lo pose in tasca, ed uscì
per avviarsi alla sua camera da letto.
Il medico e i due domestici stettero parecchi minuti a
guardarsi in faccia; né potevano riaversi dalla sorpresa.
- Ch'egli sia guarito davvero? - pensò il medico. - Tanto
meglio! Io avrò guadagnato della celebrità a buon mercato ... e in
pochi anni potrò avere il mio posto alla direzione della
Senavra! ... Così va il mondo, e bisogna lasciarlo andare
così per il meglio di tutti!
Il nostro medico aveva assorbito il sistema filosofico
dell'Abrakadabra senz'avvedersene.
Per tutta la giornata il signore fu invisibile. I
domestici, inquieti, più volte avevano spiato all'uscio della sua
camera da letto - nessun rumore, nessun movimento.
Il medico, verso tre ore, entrò nella camera. Il signore
dormiva profondamente.
Gli ordini erano stati eseguiti. Fu preparato un copioso
desinare. Il sindaco, il farmacista, il curato, il marescalco, il
barbiere ed altri notabili del paese furono invitati.
Nessuno mancò all'appello. A sei ore tutti si trovavano nella
sala. Il signore entrò festevolmente, strinse la mano di tutti,
e accennò ai commensali di sedere.
Inesplicabile cangiamento! ... La fisonomia del signore
non era più quella del giorno precedente. Pareva ringiovanito. Un
raggio di benessere, di felicità, brillava nel suo sguardo, nella
candidezza vivace della sua fronte. La callotta turchesca era
scomparsa, e i capelli abbondanti e crespi si espandevano intorno
alle tempia d'alabastro, scolpite di intelligenza e di bontà.
L'abbigliamento era semplice nella sua eleganza. Il soprabito,
aperto sul petto, metteva in evidenza il candore irreprovevole dei
lini leggermente ombreggiati da una barba tizianesca.
Al principiare del pranzo, nessuno parlava. Lo stupore
imponeva alle lingue. Ma il signore, con una disinvoltura,
con una spigliatezza ammirabile, aperse la conversazione e ridonò
la loquela ai commensali.
Parlava di tutto. Sfiorava gli argomenti più serii con una
leggerezza che toccava l'affettazione. Il curato non poteva darsi
pace in udirlo celiare sul tema delle scomuniche e sulle strategie
bellicose di monsignore De-Merode. Il farmacista più volte
dovette fremere nel vedere il suo Garibaldi degradato al
confronto di Cavour, e la reggia di Torino ritenuta più modesta
della reggia di Caprera.
Il sindaco, che credeva passarsela netta dagli attacchi,
sull'ultimo dovette trasalire per una terribile sentenza: i moderati,
per trovarsi nel centro dei due partiti estremi, non hanno altro
vantaggio che di essere più prossimi alla ghigliottina di questi ed
alla forca di quelli.
Il signore si divertiva a tormentare i suoi commensali
politici con una sequela di proposte contradittorie, di domande
equivoche, di sarcasmi, di sofismi provocanti. Egli sorrideva
trionfalmente del loro imbarazzo, e tratto tratto lanciava una
ironica occhiata al marescalco ed al barbiere, i quali, senza
comprendere, aderivano a tutto. - «Essi mangiano e approvano -
pensava egli - ecco la maggioranza, il coro di tutti i drammi
sociali, il fondo massiccio di tutte le storie».
In sul finire del pranzo, per un gusto di rappresaglia
naturalissimo a chi si sente umiliato da una eloquenza intrattabile,
il curato fece una sortita veramente pretesca, dove il malumore e
la stizza spiccavano in tutta buona fede.
«A dire il vero ... signor mio - e voi non vi meraviglierete, nè
v'offenderete d'una cosa cotanto naturale - c'erano molti in paese ...
e anch'io fra questi - vi parlo schiettamente - c'erano molti, che a
giudicarvi dalle apparenze esteriori e sopratutto dalla vostra
taciturnità ... vi credevano ...
- Pazzo ... non è vero? ...
- Io non avrei osato dir tanto - proseguì il curato - ma, poiché
la signoria vostra ha voluto buttarla fuori netta e schietta - credo
inutile temperare l'espressione con dei sinonimi, che presso a poco
si equivarrebbero ...
- A meraviglia! ... La verità, bisogna aver il coraggio di dirla
per intero ... Io fui pazzo - ed il mio ottimo medico potrebbe
attestarlo meglio di chicchessia - io fui pazzo pel corso di oltre
dieci mesi; e la mia guarigione non data che da poche ore. Io mi
era smarrito in un immenso laberinto di idee; io mi esauriva in
uno sforzo del pari tormentoso che impotente per trovare ad esse
una formola precisa ed evidente all'altrui intelligenza. Io cercava
questa formola nelle vostre polemiche, nelle vostre interminabili
discussioni. Era il mio torto. Seguendo questo sistema, io non
faceva che alimentare la mia pazzia coi riflessi della vostra. Ah!
perchè io ricuperassi la mia ragione, perchè io potessi rassicurare
la mia coscienza e il mio intelletto, era necessario che
l'Abrakadabra si convertisse in un'avvenimento storico - e
che io - sull'appoggio di questo avvenimento - potessi dirvi: i
pazzi siete voi!
- Ma in nome di Dio! - sorse a dire il curato - ci spiegherete
voi alla fine cosa sia questo vostro Abrakadabra? ...
- L'Abrakadabra - rispose il signore - è la storia
perenne del movimento umano riflessa in un'epoca sconosciuta
all'universale, in un'epoca avvenire.
- Ah! sarei ben curioso di sapere in qual libro voi l'abbiate
trovata codesta istoria dell'avvenire! Deve essere un libro raro e
preziossimo ... ed io mi terrei ben felice che qualcuno me lo
prestasse ... tanto da sbizzarrirmi una mezz'ora nei mondi
sconosciuti!
- Il libro non è raro, signor curato, ma non cessa di essere
prezioso. La natura lo ha impresso nella mente di tutti; sebbene
noi abbiamo il torto di leggerlo a rovescio. L'istoria del passato e
del presente sono una conseguenza logica dell'istinto umano, che
non può mutarsi. Studiate in voi stessi le leggi di questo istinto, e
avrete la istoria dell'avvenire.
- E voi ... credete ... di conoscere questa storia ... ?
- Tanto che, se voi non sapeste leggerla nel vostro libro,
potrei prestarvi il mio, perfettamente trascritto e corredato di
commenti.
Il signore parlava con una calma, con una
convinzione, che eccitava all'ultimo grado la curiosità de' suoi
uditori. Il curato era perplesso. Non ardiva manifestare il suo
desiderio ... Temeva per sè, per la fede degli altri ... Un segreto
presentimento lo avvertiva che la storia del signore doveva
portare un terribile crollo al sistema del non possumus e ad
altre teorie venerande. La curiosità del sindaco non era scevra di
terrore. La ghigliottina o la forca si affacciavano alla sua
imaginazione come un terribile dilemma ... La mano ignota
dell'avvenire lo stringeva alla gola come un capestro ... Il
farmacista era più fidente. Un uomo di idee tanto avanzate
credeva di non aver nulla a temere dal progresso. Nella storia
dell'avvenire egli si vedeva riservata la parte più brillante.
Il signore attraverso alle esitanze ed ai terrori,
indovinò il desiderio della sua piccola assemblea.
Si levò di tasca il foglio cabalistico che noi conosciamo, lo
spiegò sulla tavola, e si fece a narrare la sua istoria.
E poichè la storia dell'Abrakadabra vuol essere molto
lunga, e, osiamo sperarlo, molto interessante, noi la riporteremo
tutta di seguito senza avvertire le pause, le objezioni, le piccole
controversie suscitate dai fatti, e quegli accidenti di tempo e di
luogo che non hanno da fare coll'azione.
Il signore narrò la sua istoria in diverse riprese. La sua
fisonomia mutava espressione a seconda degli avvenimenti, o
piuttosto a seconda delle momentanee disposizioni dell'animo. A
volte grave e severo, a volte scherzoso e beffardo. I suoi
entusiasmi erano brevi, intermittenti - si ammorzavano
d'improvviso come se un lampo di incredulità gli attraversasse la
mente. Rideva nel dipingere una scena di desolazione - declamava
tragicamente una inezia. Quando i suoi ascoltatori parevano
profondamente impressionati, egli si affrettava a distrarli con una
digressione faceta, con un episodio puerile. Non sempre riusciva
all'intento. Col procedere della narrazione, collo svilupparsi degli
avvenimenti, egli prendeva pe' suoi personaggi immaginarii, un
reale interesse. Finiva coll'amarli - e da ultimo, come il Dio della
Genesi, si pentiva di averli creati.
Comprendete voi quest'uomo singolare? ... Lo vedete? ...
Ascoltate la sua istoria come egli ve la narra - meditando e
ridendo.
CAPITOLO VII - Dove conduce il principio di nazionalità.
A quell'epoca - parlo del 1977 - l'Unione Europea
A risparmio di note, si stamperanno in corsivo le parole, che rappresentano una nuova istituzione, un nuovo ordine di
idee, un trovato qualunque dell'epoca a cui si riferisce la nostra storia.
era un fatto compiuto.
Quante transazioni di idee e di principii, quante lotte della
intelligenza e della materia, quanti dolori, quanti sacrifizii, quanto
sangue, per riuscire al patto federativo di tutti i popoli di Europa!
Non per questo dobbiamo ritenere illogici gli sforzi del
secolo precedente per determinare e circoscrivere le nazioni entro
i confini segnati dalla natura
In tutta la storia del signore i vocaboli sono usati nel loro significato convenzionale.
e dalla tradizione storica.
A prima giunta parrà assurdo. Ma l'idea di costituire l'Europa
in una sola e grande nazione non avrebbe potuto sorgere nella
mente dei popoli se il principio di separazione non si fosse
preventivamente concretato.
La mente umana procede a gradi, ma non si diparte mai dalla
linea retta.
Un po' di storia retrospettiva per intenderci meglio.
Vi fu tempo - quando le aspirazioni, che più tardi si
chiamarono nazionali, si agitavano in embrione nella mente di
pochissimi - vi fu tempo in cui l'Italia era patria ignorata per la
massima parte degli Italiani. - Ciò che per l'Italia, ripetasi per la
Francia, per la Spagna, per tutte le altre nazioni.
Da noi si diceva: milanesi, bergamaschi, lucchesi, aretini,
faentini e via via.
Ci vedevamo di rado. Poco ci conoscevamo: disgiunti da
naturali barriere, da pregiudizii ereditati, ci detestavamo per
tradizione.
Si aprirono delle strade - le comunicazioni si resero più facili
- il commercio mise a contatto queste popolazioni limitrofe, che
per molti secoli si credettero antipode. - Oh che? ... non siamo tutti
fratelli? ... Non si parla tutti la medesima lingua? E dopo una tale
domanda, in un giorno di buon umore o di comune pericolo, i
cittadini di Lodi e quelli di Bergamo, i cittadini di Arezzo e i
Pistoiesi, i cittadini di Faenza e quei di Ferrara, si fusero in una
denominazione più collettiva - Lombardi, Toscani, Romagnoli. Il
Municipio si eclissò nella provincia - più tardi le grosse provincie
assorbirono le minori - le mille divisioni si restrinsero a cento - e
quando le cento divennero dieci, la parola italiani uscì
finalmente dallo spirito del popolo, e da quel giorno l'Italia fu
fatta.
Più tardi - (le proporzioni si dilatano, ma il processo è
sempre uguale) - italiani, francesi, spagnuoli, portoghesi, quattro
nazioni di indole omogenea e strettamente collegate da reciproci
interessi, un bel giorno si accorgono di aver comune l'origine. -
Chi siamo? d'onde veniamo? Meraviglia! stupore! ... E dire che per
tanti secoli ci siamo guardati in cagnesco, chiamandoci stranieri
con reciproca diffidenza ed abborrimento! Noi siamo latini!
- La parola è trovata. - Una razza distinta dai germani e
dagli slavi - una razza che deve fare da sè, che deve
fondersi, serrarsi in vincolo dissolubile ... - Latini, tedeschi,
slavi - ecco la nuova divisione che deve fondare il nuovo
principio separatore, che deve condurci alla unità europea.
Le strade di ferro, il compiuto traforo del Cenisio, il telegrafo
parlante, le locomotive aeree, ed altre facilitazioni di contatto fra
popoli e popoli, affrettano necessariamente l'applicazione del
nuovo principio. Dal 1884 al 1890 la questione di razza
tiene agitata l'Europa, come trenta anni prima la questione di
nazionalità.
Non intendo farvi attraversare tutta la storia di un secolo; ma
l'incidente che venne a determinare questo nuovo progresso verso
la fratellanza universale vuol essere accennato come una terribile
minaccia alla diplomazia incongruente ed egoista. I popoli latini
erano prossimi a fondersi. Convenuti i patti, accettati in massima
dalle singole parti. L'iniziativa latina doveva necessariamente
seguirsi dai tedeschi e dagli slavi, informati al nuovo principio.
Che si tarda? ... Come si spiega questa lunga esitazione? Dal 1888
al 1890, pel corso di due anni, eterni, fastidiosi, rovinosi, le tre
razze si guardano, diffidenti e non osano fare il passo decisivo.
Che farà l'Inghilterra? - ecco la domanda che tutti si ripetono.
Da qual parte vorrà mettersi l'Inghilterra? - Rimanere neutrale? ...
isolarsi? - non è possibile - Unirsi ai latini? - Gli antichi
pregiudizii vi si oppongono. - Mettersi cogli slavi? - C'è troppa
ruggine colla Russia. - Farsi tedesca? - Non c'è il suo tornaconto.
L'Inghilterra diplomatizza ... .. minaccia interventi ... piega a
destra ... piega a sinistra ... giuoca di ministeri e di note
contraddittorie ... oggi parla latino ... domani sbuffa degli off
tanto lunghi o si prova a belare degli oschi ... ! A forza di
svolgere, di invertire, di avviluppare la questione, l'Inghilterra
perde la bussola ... non riconosce più la propria razza ... minaccia di
dichiararsi calmucca ...
Tutta Europa rimane per due anni sospesa, aggirata dal
vecchio manubrio di lord Palmerston ...
Finalmente ... la mattina del 20 agosto 1890 ... un dispaccio
dell'Agenzia Stefani leva i popoli dall'ansietà, l'Europa
dall'immenso fastidio ...
Il dispaccio annunzia un terribile cataclisma già preveduto
fino dal secolo precedente ...
La grande isola Britannica, a forza di proteggere e di
mantenere l'equilibrio di Europa, ha finito col perdere ella stessa il
proprio equilibrio, e si è capovolta ... , sommersa nell'Oceano!
I bastimenti a vapore partiti quella mattina dall'Havre per
approdare alle foci del Tamigi, dopo breve tratto di mare, furono
attratti da un flusso irresistibile e condotti a naufragare sovra un
informe ammasso di carbon fossile e di balle di cotone, che il
giorno innanzi si chiamava Inghilterra.
Questo avvenimento storico era troppo grave perchè io
potessi pretermetterlo. E debbo aggiungere - a vergogna
dell'umanità - che il raccapriccio dell'orribile cataclisma non fu
espresso dall'Europa colla desiderabile ipocrisia. A Parigi e a
Pietroburgo si fecero luminarie e fuochi di artifizio. La
questione di razza era sciolta, e nel novembre 1890 divenne
un fatto compiuto.
Che manca ora all'unificazione completa di Europa? - Un
breve passo dell'idea.
Cessate di chiamarvi latini, tedeschi e slavi! - non siete tutti
Europei? Perchè fantasticare una differenza di origine? Una
è la terra che vi ha generati; identici i costumi, pari la civiltà. Per
una vicenda di tristissimi secoli, invasori ed invasi, persecutori e
perseguitati, rimescolati da cupidigie prepotenti, da odii ed amori
nefasti, qual'è di voi che porti nel volto e nello spirito i caratteri
originali della propria razza? La Provvidenza vi ha resi bastardi
perchè un giorno abbiate ad abbracciarvi e chiamarvi fratelli. Qual
marchio vi distingue gli uni dagli altri? ... Come potete
riconoscervi? - Al diverso linguaggio? - Ebbene: perchè mai
questo epilogo di razze non potrà parlare la medesima lingua? ... Si
stabilisca una lingua per tutti - la lingua universale, la lingua
cosmica! - e tutte le differenze spariranno.
Credereste? - l'idea della unificazione di Europa fu appena
enunziata dai pensatori, che subito venne sancita dall'universale
consenso.
Parimenti ben accetto fu il pensiero di creare una lingua
cosmica; ma la scelta di questa lingua diede origine a fatali
dissensioni.
I vecchi pregiudizii tornarono a galla - i puntigli si
inviperirono - la lotta fu lunga e piena di fastidi.
- Inventeremo una nuova lingua? - A che pro, mentre tante ne
abbiamo? Perchè incomodare tutto il mondo allo studio di un
nuovo dizionario? Non è meglio servirci di una lingua già usata ... ,
della francese, per esempio, nota alla maggioranza degli Europei?
La questione fu deferita ad un congresso di filologi, i quali si
adunarono a Berlino, e dopo tre anni di discussione, convennero
nel proposito di creare la nuova lingua incominciando dal
riformare l'alfabeto.
Quella decisione fu accolta in Europa con poco favore. Ma
l'assemblea dei filologi stette dura! Erano molti, circa duemila, e
caparbii.
Si accinsero in buona fede all'arduo lavoro. Si accapigliarono
per ben cinque anni prima di decidere se il nuovo alfabeto avesse
a cominciare coll'o piuttosto che coll'a.
Millenovecentonovantanove oratori avevano parlato pro e
contro. Quando l'ultimo inscritto si alzò per parlare in
merito una grossa bomba venne a cadere sul tavolo del
presidente, e scoppiò con orribile fracasso.
Fuggirono tutti. Que' buoni filologi, nel calore della
polemica, non si erano accorti che la razza latina e la razza
tedesca trattavamo da due anni la medesima questione cogli
argomenti delle bombe e delle cannonate.
I latini entrarono in Berlino la mattina del 10 gennaio 1925, e
occuparono la città malgrado le proteste e le minacce di tutta la
Confederazione germanica. Era fissato che quella occupazione
militare affrettasse l'effettuazione delle nuove idee.
I preliminari della unione federativa delle tre razze furono
stesi a Berlino. Quei preliminari, due anni dopo, nel 1930, ebbero
conferma di un trattato definitivo, che fu steso a Parigi e firmato
da duemila rappresentanti del popolo europeo eletti per suffragio
universale.
I latini, preponderanti di autorità per le recenti vittorie delle
armi, ottennero di far accettare la francese come lingua
cosmica. Singolare è l'articolo che si riferisce a questa
legge. La lingua francese viene accettata a condizione che, per
l'uso universale, essa venga traslocata dal naso alla bocca, e
purgata dalla blague
La grande Unione non poteva costituirsi che sopra un
sistema di discentramento amministrativo molto frazionato e
molto libero.
L'Europa si divise in ventiquattro dipartimenti. L'Italia,
suddivisa in quindici comuni di primo ordine o centrali, e
centoventidue di secondo ordine, nel 1957 era considerata il più
popoloso e il più civile dipartimento della Unione.
Chi mai avrebbe immaginato che un sì rapido sviluppo di
intelligenza e di moralità, dovesse emergere da un impeto di
collera popolare, da un avvenimento barbaro in apparenza, e con
tal titolo riprovato dagli storici contemporanei?
Questo avvenimento - poichè ci accadde accennarlo - fu
l'incendio e la distruzione di Roma, decretata da quel popolo
stesso che pochi anni prima aveva eletta la città dei Cesari e dei
papi a capitale del nuovo regno italiano.
Istallarsi in Roma, consenziente la Curia, benevolo il papa,
voleva dire per il governo italiano abdicazione di ogni idea
liberale, di ogni principio di moralità. Tardi ma in tempo lo
compresero gli italiani. Quando ai banali entusiasmi della piazza,
alimentati dal baiocco papalino; quando al sacrilego connubio
delle mascherate e delle processioni, delle riviste e dei tridui,
sottentrò la calma normale di una nazione che grande si crede,
allora i disinganni cominciarono, il pericolo si annunziò
minaccioso, il tradimento della Curia esalò putrido e nero dalle
sentine cardinalizie. Il Parlamento invaso da canonici - il Senato
una congrega di cardinali e di cappuccini corpulenti - le riforme
del Codice affidate ad una Commissione di Domenicani!
L'Italia, più che mai aggravata dalla cappa di piombo
simboleggiata; dall'Alighieri, dopo tanti fastidi e tante guerre per
la conquista della capitale, ricominciò a cospirare per disfarsene.
La nuova cospirazione affrontò senza esitanza e senza
scrupoli il dogma religioso. Rénan preso il posto di Mazzini. La
Vita di Gesù Cristo divenne la Giovine Italia
dell'epoca nuova.
Pio X vide gonfiarsi la marea della rivoluzione anticattolica,
e tremò di esser l'ultimo dei papi. Assediato dalle riforme fin
dentro le mura del Vaticano, mal trincerato negli antichi sofismi e
inesorabilmente aggredito dalla logica universale, stolidamente
pertinace, pertinacemente crudele, si avvisò di sommergere la idea
in un oceano di sangue umano. E il Nerone dei papi non ebbe
raccapriccio a pensare che, per riuscire nel suo immane proposito,
l'eccidio di tutti gli italiani, di trentadue milioni di italiani, non
avrebbe rappresentato che un impercettibile episodio
dell'universale macello.
Ad esempio di un suo predecessore, del pari insensato ma
meno cannibale, Pio X fuggì da Roma con poco seguito, lasciando
dietro i suoi passi benedizioni e scomuniche derise. Ma fuori
dell'Italia, segnatamente in Francia e nel Belgio, il gonzume
cattolico prestò al pontefice un contingente di armati abbastanza
numeroso. Tutto il pantano, tutta la feccia del sanfedismo
fermentò per la nuova crociata. Ricondurre il papa a Roma fu
l'ultimo grido della setta impotente.
Questo supremo attentato dei papi contro il progresso,
quest'ultimo sforzo per estinguere nella umanità la ragione, il
soffio di Dio, allarmò gli Italiani, e convertì la pazienza di lunghi
secoli in furore disperato. Si distrugga Roma! - fu il grido di tutta
Italia. - E l'Italia, stanca di preti e di atroci pregiudizii, era pronta
ad incenerire le sue cento città, a suicidarsi in un ammasso di
ceneri.
La città dei Cesari, la sentina dei preti, la capitale di un
nuovissimo regno, il giorno 24 settembre 1888, non era più che un
mucchio di macerie e di carboni.
Due idolatrie, la pagana e la cattolica, furono sepolte in
quell'incendio per non lasciare alcuna traccia della loro esistenza.
Gli ultimi torsi di Apollo e di Vesta si rovesciarono nell'amplesso
degli scheletri santificati, delle carogne adorate. Le due
superstizioni sprofondarono nell'immenso rogo, irridendosi,
imprecandosi. Da quell'incendio una gran luce si diffuse per tutta
la Italia, la luce della riforma. Al vangelo dei papi sottentrò il
vangelo che grida all'umanità: siate fratelli!
Che poteva la reazione dopo una protesta sì imponente? - I
crociati si perdettero d'animo. Pio X, vedendo la sua causa
disperata, domandò asilo alla Francia. Voleva morire nel castello
di Avignone. Ma la città che altre volte aveva assaggiato la mala
gramigna, non volle saperne di calze rosse nè di chieriche. E certo
avrebbe accolto a sassate il venerando corteo, se il papa ed i suoi,
con opportuno consiglio, non si fossero arrestati in una città
meno guasta
L'ultimo papa finì i suoi giorni a Carpentras, come un
vecchio mobile obliato nel solaio.
Nell'anno 1890 il governo italiano trasferì la sua sede a
Napoli, che ebbe titolo di capitale del Regno. Ciò avvenne con
grande soddisfazione di tutti. Un conte Ricciardi, che dietro un tal
esito avrebbe consentito ad accettare il portafogli degli interni,
morì per esuberanza di gioia.
Questa digressione sulle cose di Roma mi ha preso il tempo
che io intendeva consacrare ad un quadro statistico di tutti i
dipartimenti e dei principali Comuni della Unione Europea
nell'anno 1977.
Io vi prego dispensarmi da tale fatica. A chiarire gli
avvenimenti che sto per narrare sarà più opportuno un rapido
cenno delle leggi che formano la base della nuova Costituzione,
delle istituzioni, delle opinioni politiche e religiose dell'epoca,
degli usi introdotti nella vita pubblica e privata, delle condizioni
morali e fisiche della nuova società, considerata nell'individuo e
nelle masse.
Tutto ciò occuperà lo spazio di un breve capitolo.
CAPITOLO VIII - L'avvenire comincia a beffarsi del presente.
Conciliare la più ampia libertà individuale colle maggiori
guarentigie di sicurezza e di ordine pubblico, ecco il principio a
cui si informano tutte le istituzioni politiche e sociali
dell'Unione Europea
Il secolo precedente disputava di forme. Monarchia
costituzionale o Repubblica tale il dilemma rappresentato da
due frazioni ugualmente ispirate da liberalismo.
Le moltitudini si lasciavano imporre dalla parola senza
badare all'essenza. Ignare di storia o dimentiche, non
comprendevano che la tirannia può prendere tutti i nomi e
inalberare tutte le bandiere.
Si discuteva, si pugnava per le apparenze, per le etichette, per
il timbro delle carte pubbliche.
L'Unione Europea riflette quegli antichi assurdi nei
mirabili risultati della sua tolleranza. I capi dei dipartimenti, e
perfino i capi dei comuni si chiamano capricciosamente Gran
Proposti, Sindaci, Presidi, Re, Imperatori, Capo-famiglie, Padri,
Czarri, Sultani, Borgomastri, Consoli, Dogi, Centurioni, Pretori,
Custodi, Moderatori, Gonfalonieri, Istromenti, Bani, Governatori,
Commissarii ecc., ecc. Tanto è vero che la nuova civiltà non fa
caso dei nomi.
Le attribuzioni di questi Capi, comunque si chiamino, sono
perfettamente identiche. Vittorio Emanuele III re del
comune Dora, Berretta III gran proposto dell'Olona, Manin
Il doge di Venezia, Libeny Il governatore di Vienna,
Camillo Ugo presidente di Parigi, Carlo Bixio borgomastro di
Genova, non sono che mandatarii del popolo, eletti per voto
universale, incaricati di presiedere il Consesso degli
Anziani o Padri di famiglia nelle adunanze Comunali.
Vittorio Emanuele III, con titolo di Re, rappresenta il capo del
dipartimento Italia, sebbene i proposti dei singoli comuni
sieno affatto indipendenti da lui.
Tutti i proposti (usiamo questo titolo per intenderci) sono
anche rappresentanti del comune nelle assemblee del dipartimento
e nei congressi generali della Unione. Le assemblee
parziali del dipartimento, per l'Italia, si tengono a Napoli
nell'ultimo giorno di ciascun mese. I congressi generali si
adunano a Berlino due volte all'anno, alla fine di ciascun semestre.
I rappresentanti del popolo Europeo sommavano, nel 1976,
a duemilasettecento quattordici.
Lo statuto della Unione ha per base la santificazione di un
diritto naturale che l'umanità per lunghi secoli disconobbe; il
diritto di esistenza. Ciascun cittadino di Europa, dal giorno della
nascita fino al giorno dell'estinzione, è alloggiato, vestito, nutrito
a spese del comune.
Questo comune, che noi chiameremo Famiglia per
conformarci al linguaggio dei tempi, diviene necessariamente
l'esclusivo proprietario delle terre, l'amministratore della sostanza
pubblica.
Tutti i cittadini della Unione sono guarentiti dalla
miseria, e l'educazione si estende a tutte le classi del popolo. - Ed
ora, chi vorrà consacrarsi alle manuali fatiche? Chi vorrà
sottomettersi ai disagi, alla servitù dei lavori agricoli? I canapi e le
officine rimarranno deserte ...
I terrori del nostro parroco reverendissimo si sono realizzati
da oltre venti anni. La rivoluzione del 1935 ha tolto di mezzo le
ultime tirannie sociali. Il mondo ha dovuto convincersi che
disuguaglianza di condizioni non può esistere dove tutti abbiano
raggiunto l'uguale sviluppo di civiltà.
L'uomo che pensa non può essere il volontario
dell'aratro. La scienza conquistava gli intelletti, le braccia
disertavano dal campo. La reazione del 1835 si provò di
respingere alla gleba gli spiriti ribelli, ma si riconobbe impotente.
I paria si emanciparono.
L'Europa tremò del futuro - l'umanità tutta intera ebbe a
dubitare della propria conservazione.
L'agricoltura è una necessità della esistenza umana -
l'agricoltura è dunque un dovere di ciascun uomo.
Questo assioma sociale arresterà il disastro minacciato. La
coscrizione agraria prenderà il posto della coscrizione
militare. Dai venti ai venticinque anni, per legge del nuovo
Statuto, ciascun individuo della Unione sarà coltivatore.
Vanno esenti dalla coscrizione gli impotenti ai lavori
manuali, e gli Eletti dell'intelligenza A questi ultimi, di
numero assai limitato, lo Statuto accorda l'esenzione per rispetto
ai privilegi del genio.
Godremo più tardi l'imponente e giocondo spettacolo di un
campo di coscritti. Vedremo come la vegetazione si avvantaggi da
questa nuova coltura operata da braccia vigorose e intelligenti. I
cinque anni di agraria sono pei contadini
dell'Unione, i più felici, i più caramente ricordati nella vita.
Qual differenza fra l'antica e la nuova circoscrizione! Questa
destinata a fecondare la terra, a portarvi la salute e il ben'essere;
quell'altra condannata a distruggersi distruggendo, al soldo
di una idea non compresa o ripugnante!
I lavori campestri sono un esercizio riparatore pel giovane
estenuato dalle lunghe fatiche della mente. Lo Statuto dell'Unione,
accordando a tutti i cittadini i mezzi di esistenza a patto che
lavorino, pretende altresì che tutti sappiano. Ma il sapere non è
facile conquista - non lo fu mai - oggi meno che mai.
Eccovi, brevemente tracciato, il programma degli studi
obbligatorii a ciascun individuo dell'Unione.
La lingua cosmica è la sola adottata nel pubblico
insegnamento. Fra pochi anni lo studio di questa lingua sarà molto
semplificato. Purchè i padri e le madri si facciano scrupolo di
parlarla in famiglia a tutto rigore di grammatica e di stile, i
figliuoli la apprenderanno naturalmente, si risparmierà il tempo e
la noia degli esercizii scolastici. Ma i padri e le madri, nel 1977,
risentono un poco dell'antica barbarie. La lingua cosmica
non ha peranco distrutti gli antichi dialetti, e a Milano si odono
ancora dei vecchi sessagenarii ricambiarsi il loro meneghino con
qualche pretesa di municipalismo.
Lo studio della lingua cosmica fa dunque parte del
programma scolastico. Il fanciullo l'apprende dai cinque ai sette
anni. A otto anni egli ne sa quanto basta per comporre i suoi temi
in prosa ed in versi, e sostenere un dibattimento improvvisato
dalla cattedra di eloquenza.
Poichè tutta Europa parla in lingua cosmica, ne viene
di conseguenza che lo studio d'altre lingue si rende superfluo. Se
l'Asia o l'America vorranno intendersela coll'Unione
converrà bene che apprendano a parlare come noi. Questa
massima vanitosamente praticata dai francesi in epoca più remota,
oggi è all'ordine del giorno in Europa.
Ciò fa sperare che fra un altro mezzo secolo la lingua
cosmica diverrà praticamente la lingua di tutti.
Dagli otto ai quindici anni - il tempo che i barbari del secolo
precedente sprecavano nel latino e nel greco - oggi viene
impiegato negli studi matematici e filosofici, nella storia, nella
fisica, nella astronomia, nella geologia, e nella spiritodossia, di cui
fa parte il magnetismo, il galvanismo animale, e l'ipoteticonia.
Grulli, grullissimi i nostri nonni, che si ebetizzavano dieci
anni a imparare una lingua morta, per non averne più traccia
cinque anni dopo!
Ma venti volte più grulli, e pazzamente spietati, quando alla
povera vittima del Ginnasio e del Liceo, inesperta dei propri
talenti, della propria individualità, imponevano la scelta
indeclinabile delle quattro professioni universitarie - la medicina,
la farmacia, le matematiche, o il diritto!
Forse che ciascun uomo non è tenuto a conoscere le leggi del
proprio paese, i diritti e gli obblighi che gli insegnino a
governarsi, a tutelare i propri interessi? E la scienza della
economia animale, dell'organismo umano, non è forse un bisogno
di tutti? Come può l'uomo provvedere alla propria conservazione,
alla igiene propria, esercitare la beneficenza e l'amore verso i
congiunti e le persone più care, quando non sia in grado di
applicare opportunamente i pochi trovati dell'arte farmaceutica? ...
E la matematica? Potete voi reggervi sulla persona, camminare,
muovere un passo - che dico? - affidarvi ad un consiglio della
ragione, se questa scienza non vi presti il suo appoggio e la sua
logica?
Or bene: dopo un corso regolare nella Università della
Unione, all'età di venti anni, ciascun cittadino è
giurisperito, medico, farmacista, ingegnere, architetto e
magnetizzatore. Vale a dire: egli conosce delle singole scienze
quanto può occorrergli per l'uso proprio e pel servigio altrui. Le
Università della Unione vi danno l'uomo completo
l'uomo che basta a sè stesso, che a tutti può giovare.
Nel secolo gaglioffo del latino e del greco, chi
avesse osato proporre un tale programma di studii universitarii si
sarebbe buscato dell'utopista, del matto! Eppure, a quei tempi, uno
studente, purchè si ricordasse di sfogliare il suo testo una
settimana innanzi all'esame, apprendeva in poche ore tutta la
scienza medica o legale di un intero anno scolastico. Che vuol dir
ciò? Vuol dire che i professori di quell'epoca diluivano in otto
mesi di insegnamento la scienza aquisibile in poche ore. Vi pare
inverosimile che, dopo cinque mesi di studi patologici e chimici e
dopo altrettanti mesi di clinica pratica, un giovane di buona
volontà sappia conoscere le febbri al moto del polso, e sia in
grado di comporre una purga, di forare la vena per un salasso, di
strappare un molare o una mascella? Eppure, i grandi dottori del
secolo precedente non erano più illuminati nè più pratici.
Ma il massimo torto dei metodi antichi era di insegnare le
scienze ab origine discutendo i vari sistemi, raffrontando,
eliminando, riproducendo tutte le ipotesi e tutti gli assurdi, pel
gusto di confutarli e di agglomerare nei cervelli una erudizione, al
meno danno, superflua.
Che m'importa di Giustiziano e delle Pandette? - fatemi
conoscere il mio codice, i miei doveri e i miei diritti! ne saprò
abbastanza per l'uso mio, ed anche un poco per l'uso degli altri. -
In medicina, riepilogate il buono degli antichi, e i risultati positivi
delle esperienze più recenti. In una parola: dateci la scienza dei
tempi nostri, la sua ultima parola. Più tardi, per lusso, per
capriccio di erudizione, consulterò le Pandette, o leggerò il
vecchio Ippocrate.
Così ragiona il secolo nuovo - su questa logica si basa il
nuovo programma degli studi universitari. I giovani, che in un
ramo speciale della quadrupla scienza, dimostreranno una
attitudine fuori della comune; gli Eletti della Intelligenza
godranno la esenzione dalla legge agraria, e a spese della
Famiglia verranno mantenuti per altri cinque anni in
qualche Ateneo di perfezionamento Ivi, sotto la scorta dei
più illustri Primati si applicheranno al più ampio
svolgimento della scienza preferita, per divenire più tardi
Medici consulenti Legali di ricorso o Ingegneri
di miracolo Meno questi pochi eletti, tutti gli altri escono dalla
Università per divenire coscritti dell'agro. Ivi si completano con
esercizii corporali molto favorevoli alla salute ed alla vigoria.
Mi sono un po' dilungato sul metodo di educazione, perchè
da quello vi sarà facile argomentare il grado di civiltà generale.
Come vedete, i carichi della Famiglia sono gravi e
dispendiosi, ma i proventi, le rendite sono enormi.
Oltre ai prodotti naturali delle terre, che esclusivamente le
appartengono, la Famiglia percepisce le imposte sul
lusso le multe criminali e gli accidenti ereditarii
Le multe criminali costituiscono per la famiglia una sorgente
di reddito importantissimo. Desse furono sostituite, nel nuovo
codice, alla pena di reclusione. Una volta abolita la pena di morte,
dietro il principio che l'uomo non ha diritto per qualsivoglia
ragione di togliere la vita al proprio simile; come potreste
mantenere l'inumana condanna della carcerazione, per cui il
cittadino è privato della libertà, diritto sacro del pari e forse più
inviolabile del diritto di esistenza? Alla morte civile
supremo castigo dei grandi delinquenti, nel Codice di
redenzione si coordinano gradatamente le multe criminali.
Per comprendere queste multe è mestieri ricorrere alle leggi
che provvedono al diritto di esistenza.
Ciascun cittadino della Unione, nato da legale
matrimonio, viene, dal giorno di sua nascita, iscritto nel libro di
famiglia, e da questa iscrizione ha principio l'assegno di
vita I genitori, o chi per essi, ritirano l'assegno fino a quando il
fanciullo abbia toccato l'età gestiente, vale a dire ch'egli sia
in grado di governarsi. Raggiunta questa età - dodici anni -
l'adulto percepisce direttamente il proprio assegno. La
Famiglia gli fornisce l'alloggio, il mantenimento,
l'uniforme, e una somma di cento lussi (franchi)
all'anno, fino al compimento del corso universitario. La posta
lettere, le strade ferrate, i vapori di mare, tutti i mezzi di trasporto
sono gratuiti, ad eccezione dei palloni aereostatici, delle navi
sottomarine, e delle locomotive a ribalzo. Il popolo ha libero
accesso in tutti i teatri di prosa, direttamente amministrati e
sorvegliati dal Consiglio di Famiglia.
Sospendete questi provvedimenti, queste agevolezze, questi
comodi, questi piaceri al cittadino che ha mancato a' suoi doveri
verso la società - ecco un eccellente codice di punizione!
Cento lussi! ... Ah! voi non potete apprezzare il valore
di cento lussi per un nullatenente, per un povero diavolo
che non abbia risorse fuori della piccola pensione che gli viene
pagata dalla famiglia!
Figuratevi la disperazione di un borsaiuolo, quando, alla
scadenza del suo premio, udrà la voce del pubblico tesoriere
gridargli alla coscienza: - il tribunale ha posto il veto su'
tuoi cento lussi per il battizza che hai fatto sparire,
per la catena che ti sei appropriato!
Procedete dai minori ai maggiori delitti, applicate le pene in
proporzione. Sospendete il premio de' cento lussi, vietate
l'ingresso ai teatri, negate il trasporto sulle ferrovie, su tutti i
veicoli della Unione, diminuite l'assegno necessario,
salite di grado in grado alla più terribile delle punizioni, alla morte
civile. Voi avrete una idea generica, ma precisa del nuovo codice
criminale.
Però anche in queste leggi tanto provvide e benefiche,
apparisce, a chi ben le consideri, lo stigmate inevitabile della
umana imperfezione.
Perchè esclusi dal benefizio di esistenza i nati da
unione illegittima? Forse hanno colpa i miserelli della loro origine
meno legale? Non hanno diritto alla vita?
I dottori dell'epoca vi rispondono: - la eccezione si è fatta per
ristabilire e generalizzare il matrimonio, orribilmente screditato
nel secolo precedente. Sotto questo aspetto, è mestieri confessarlo,
legge più efficace non potevasi ideare.
E perchè l'uniforme obbligatoria agli adulti che
percepiscono l'assegno di famiglia - Una misura
economica basata sull'orgoglio umano. Non accordandosi
l'assegno agli adulti che a patto di indossare la uniforme del
nullatenente, molti si asterranno per vergogna, e
penseranno a guadagnarsi l'esistenza col lavoro. Ma i poveretti
che moriranno di inedia piuttosto che far mostra della loro
miseria? E i ricchi sfrontati che indosseranno la livrea per vivere a
spese altrui? - Meno male che la Legge ereditaria
restringerà, fino a renderlo impercettibile, il numero degli
accumulatori e degli usurai. Ma di questa legge, e d'altre
importantissime, come di tutti i progressi giganteschi delle
scienze, delle arti e delle industrie, si vedranno manifestamente gli
effetti, quando al breve accenno delle istituzioni seguiranno le
storie del fatto.
L'anno 1977, da cui appunto principiano queste storie,
presenterebbe l'apogeo del moto saliente dell'epoca. L'ordine
pubblico, la pace, la moralità, il sentimento umanitario e religioso
diffuso in tutte le classi e perfettamente armonizzante colla
intelligenza e col sapere, il rapido succedersi delle scoperte, la
pronta effettuazione di ogni idea veramente utile, gli incredibili
ardimenti del genio, e l'impotente cooperazione di tutte le forze
animate e materiali che si associano per tradurli in fatto, ci
obbligherebbero a chiamar questo il vero secolo d'oro, l'era
preconizzata della felicità universale, se ...
Questo se è il punto nero di tutti i tempi, di tutte le
storie umane. Noi lo vedremo disegnarsi, prender corpo, agitarsi
nella nuova epoca, mischiarsi a tutte le sue aspirazioni, a tutte le
sue feste, a' suoi trionfi, per gridarle eternamente: «il secolo
peggiore e il secolo migliore per l'umanità non esistono!»
Ma prima che si rivelino i dolori latenti, illudiamoci ancora
un istante su questa superficie di bene.
CAPITOLO IX - Il prete e la donna.
Il secolo ventesimo è eminentemente spiritualista.
Un secolo di temperamento nervoso, di umore ipocondriaco -
sentimentale fino alla affettazione.
Un secolo che abusa di fantasia, che stravizza nello studio e
nella operosità, che si strugge dietro l'ideale di una perfezione
impossibile.
Un secolo che delira di ascetismo e di amore.
Il prete e la donna, come nel medio evo, rappresentano le
figure predominanti di questa nuova società, che intenderebbe
sublimarsi emancipandosi da ogni istinto materiale.
Dopo la riforma religiosa, che ebbe principio colla
distruzione di Roma, due foggie di preti, il bianco ed il nero,
simboleggiarono distintamente la chiesa novella e la antica, le
superstizioni del passato e la fede dell'avvenire.
I preti della chiesa riformata vestirono la tunica bianca come
gli antichi leviti. I settarii del non possumus mantennero il
loro abito nero, fatto più sudicio e più lugubre.
Poco ci occuperemo degli avanzi sdrusciti della Curia
romana, sopravvissuti all'ultimo papa di Carpentras, all'ultimo
Lamoricière della Vandea. Nell'anno 1977 le statistiche del
Monde e dell'Union si gloriavano di poterne contare
venticinque in tutta Europa.
Il prete riformato, il prete bianco, era l'incarnazione più pura
del progresso del secolo. Per lui l'Europa si era unificata anche nel
pensiero religioso. Il Cristianesimo contava sulla terra settecento
milioni di credenti.
Un vangelo che si riassume nel sublime precetto: non fate
agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi, perdonate,
amate non poteva tradursi nell'osservanza generale che in
un'epoca molto civile e illuminata. I secoli ignoranti inneggiarono
a Cristo senza comprenderlo. La superstizione, l'idolatria, il
fanatismo tennero luogo del culto morale. Era tempo che il
cristianesimo riprendesse la sua alta missione libera e umanitaria.
Era tempo che una convinzione illuminata si sostituisse al cieco
entusiasmo, per proclamare questa verità incontestabile - che un
Dio sapiente e benefico non potrebbe dare alla umanità un codice
più santo del vangelo.
Il prete bianco divenne apostolo, fratello, consolatore della
umanità.
I templi, consacrati esclusivamente alla predicazione ed alle
assemblee, rinunciarono alle pompe idolatre. Le cerimonie del
culto si celebrarono a porte chiuse. I sacri bronzi, annunziando la
preghiera del levita, trasmettevano al popolo la benedizione, del
Dio che è dappertutto.
I leviti erano pochi, ma esemplari di moralità e di
abnegazione.
Non era ammesso al sacerdozio chi non avesse compiuti i
trent'anni.
Il matrimonio spirituale era permesso ai leviti. Si
associavano alla donna per avere in essa una ispiratrice, un'emula
di virtù e di sacrifizio, per adoperarla nelle missioni più dilicate e
più ardue di carità e di consolazione.
Ma voi non conoscete la donna dei nuovi tempi! Voi non
potete figurarvi questo angelico tipo dell'Eva redenta che
tanto più si sublima quanto più i nostri padri la vollero degradata!
La sorveglianza tiranna è abolita. - E tu pure, o vivace
farfalla dalle candide ali, esci dalla tua prigionia secolare; percorri
liberamente il giardino del creato; inebbriati di luce e di profumi,
raccogli il fiore che ti sorride, e, santificato da' tuoi baci, chiudilo
nel tuo seno palpitante!
Povera fanciulla! - Aspettare, desiderare, morire ... ! tale la
legge infame degli uomini antichi, de' tuoi oppressori brutali. Per
sottrarti a quella legge, a te non si apriva che una via, una via
disperata, tremenda - gettarti nell'abisso delle colpe, annegarti nel
materialismo e nell'onta.
Tu non potevi esprimere al giovane amato le forti
concitazioni de' tuoi sensi. La tua giovinezza si consumava in
disperati desiderii.
Venivano cinque ... venivano venti ... ma egli non veniva! ...
Che fare? ... Morire senza amore, o prostituirti al libertinaggio o,
peggio ancora, immolarti in connubii legittimi e nefandi.
Oggi, colle tue note più vergini, tu canti l'amore alla gran
luce del sole. Nessuno ti terrà disonorata!
Le scienze e le arti hanno cessato di respingerti. Al contrario,
esse ti invocano. Le infermità reclamano la tua mano leggera ed
amorosa, i tuoi farmachi ispirati. Il dolore domanda i tuoi sorrisi, i
tuoi pianti. La colpa aspetta l'assoluzione della sacerdotessa
immolata!
Due vie ti schiude la bellezza, non avventurose del pari, ma
ugualmente onorevoli e benefiche. - L'uomo o l'umanità, l'amore o
il sacrifizio.
Quale sarà la tua scelta? ...
A tale domanda io mi sento invadere da un dubbio
affannoso ...
Via! rispondiamo una volta a tutte queste ansie, a queste
perplessità dello spirito!
Lo scenario è compiuto - le tinte locali son date - la ribalta è
abbastanza illuminata - il coro ha recitato il suo prologo.
È tempo che i personaggi principali si mettano in azione.
CAPITOLO X - Una sentenza di morte civile.
Trasportiamoci sulla piazza della cattedrale di Milano, nel
giorno 15 agosto dell'anno 1977.
Da soli tre mesi fu ridotta a compimento la magnifica
facciata del tempio; da soli tre mesi, nella vastissima piazza, larga
tre miglia quadrate, auspice il Proposto Terzo Berretta, la
famiglia dell'Olona ha solennizzata la Nuova Pasqua
delle genti
Ed oggi il funebre squillo della campana di Giustizia
richiama i cittadini nella piazza per assistere ad una cerimonia
lugubre, alla condanna di un gran delinquente, cui giusta il
Codice di redenzione è riservata la pena della morte civile.
Allo scoccare dell'ora sesta, una folla di duecentomila
persone si estende dalla gradinata del tempio fino alla estremità
della contrada Santo è il Lavoro che termina all'Arco
della Pace
Non una donna fra tanta moltitudine.
Questa elettissima parte dell'umana famiglia è dispensata
dall'intervenire alla triste cerimonia. - Nell'anno 1977, una donna
che spontanea assistesse a tale spettacolo sarebbe disonorata.
La creatura nata per amare, benedire e compiangere, non
deve assistere ai sacrifizii inesorabili della legge.
Ma silenzio ... ! L'ora giuridica è suonata ... L'esecutore della
legge ha tolte le cortine che coprivano il palco d'infamia
elevato a poca distanza dalla cattedrale ... Il colpevole, vestito di
gramaglia, le ginocchia strette di catene e il volto velato ... deve
udire la sentenza ...
I magistrati, i savii, gli anziani del popolo, che seggono nelle
tribune laterali, si levano in piedi, si scoprono il capo ... Le porte
del tempio si spalancano. I sacerdoti preceduti dal gran Levita si
schierano sulla gradinata, giungendo le mani in atto di preghiera.
Un colpo di cannone annunzia ai presenti ed ai lontani fratelli
dell'Olona che il banditore della giustizia è salito sulla torre
e sta per proferire la sentenza ...
La coscienza del dovere ha imposto silenzio alla folla ...
Duecentomila persone ammutoliscono ... al primo cenno della
legge.
Qual è dunque la voce potente, che si propaga dall'un capo
all'altro della città, come eco di tuono?
Il banditore della giustizia parla dalla tromba
elettroeufonica che ha facoltà di centuplicare il volume dei
suoni ...
L'Angelo dell'Apocalisse potrebbe servirsi di quella tromba
per evocare i morti al giudizio finale.
Ascoltiamo la voce del banditore:
«A me, Federico Manfredi, banditore del Tribunale di
Giustizia nella famiglia centrale dell'Olona, incombe il triste
ufficio di partecipare ai presenti ed ai lontani, ai cittadini d'Italia e
di tutta la Unione Europea, nonché agli abitatori delle altre
parti del globo che a noi si legarono o fecero solenne adesione ai
nuovi patti sociali e politici dell'Era di Redenzione
qualmente all'adulto fratello Secondo Albani, reo, confesso
e convinto di parricidio, dietro sentenza concorde dei trecento
consiglieri giurati, e il voto dei savii e degli anziani del popolo, sia
decretata la condanna suprema della morte civile.
«Le sagge riforme del Codice, le benefiche istituzioni civili e
i tanti provvedimenti umanitarii introdotti nella famiglia sociale,
resero il delitto meno frequente. Da quattro anni il nostro
Tribunale di Giustizia non ebbe a giudicare alcun individuo
imputato di assassinio. Ma pur troppo alle leggi e alle savie
istituzioni sociali non è concesso mutare la natura dell'uomo. Il
progresso ha temperato gli istinti, raddolciti i costumi; ma il
germe del male, inerente alla creta viziata, non può a meno di
svilupparsi in qualche individuo, e produrre il misfatto.
«Finalmente, oggi abbiamo a deplorare una anomalia di tal
genere. Secondo Albani, l'adulto ventenne, che oggi vediamo
relegato sul palco dell'infamia, sospinto da una passione
indomata, acciecato dall'ira, trafisse di propria mano l'autore de'
suoi giorni. Le circostanze del fatto constatate e determinate da
giudici incorruttibili, stanno scritte nel resoconto che da tre giorni
venne sottoposto al pubblico sindacato nel Diario del
dipartimento Nessun difensore essendosi presentato innanzi
l'ora prefissa dalla legge, è ritenuto che la coscienza pubblica
abbia facoltà di confermare la sentenza del Tribunale. Da questo
momento la condanna di Secondo Albani è divenuta irrevocabile.
«Ed ora mi rivolgo a te, fratello reietto; e bada che la mia
voce è la voce di tutta l'umanità che grida anatema sul tuo capo.
«In epoca non lontana che con stolida jattanza intitolossi
civile, l'assassino era condannato a morire per mano del carnefice
sulla piazza, al cospetto di un popolo, che assisteva a quella scena
di sangue come a spettacolo giocondo. Il delitto punito col delitto,
in luogo di moralizzare le masse, le abituava al ribrezzo
dell'orribile vista. Il popolo fu veduto ammirare ed applaudire al
cinismo del condannato. - Sul palco di morte il delitto parve
circondarsi di un'aureola gloriosa - la vittima fu compianta, il boia
imprecato. - E nondimeno, a quell'epoca, molti eminenti legisti
facevano l'apologia della forca. I più miti, riconoscendo
l'immoralità del supplizio, lo dissero terrore indispensabile a
reprimere istinti feroci. - Non avrei evocate le memorie dei
barbari tempi, se non fosse rarissimo il caso in cui il Tribunale di
Giustizia debba applicare ad un grande colpevole gli estremi
rigori del Codice di redenzione. - È necessario che al
fratello del reietto, e a tutta la famiglia che mi ascolta, io ricordi in
che consista la pena della morte civile, e come debbasi applicare,
e quali sieno quindi innanzi i soli rapporti possibili fra il
condannato e la società che lo respinge dal suo grembo.
«A te dunque, Secondo Albani, da questo momento è tolto il
diritto di portare il nome de' tuoi avi e dei tuoi congiunti di
sangue, perocché non è giusto che tu abbia cosa veruna di comune
con uomini onesti e rispettati.
«Il titolo di Secondo, a te conferito nel giorno
dell'adolescenza per stimolarti all'emulazione di un padre
benemerito della umanità, verrà trasmesso fra due giorni al minore
fratello, cui rimarrà il privilegio di portarlo e trasmetterlo al figlio
primogenito.
«Per cinque anni e un giorno dovrà cessare ogni
comunicazione fra te e il resto della umana famiglia. Non potrai
soggiornare oltre ventiquattro ore in una città o circondario, né
penetrare nelle case dei fratelli che ti hanno reietto, né assiderti
alla mensa de' tuoi simili, né profittare di alcun istituto pubblico,
né viaggiare coi veicoli della Unione, né servirti di cosa
veruna che appartenga alla Comunità degli uomini.
«I tuoi fratelli, a qualunque famiglia appartengano o
circondario o dipartimento della grande Unione Europea e delle
altre comunità che adottarono il Nuovo Codice non
ricambieranno con te un saluto né una parola quando ti incontrino
pel loro cammino. Passerai fra le genti come un'ombra invisibile,
come larva di un uomo che ha cessato di esistere.
«E perché tutti ti riconoscano, e nessuno per inscienza o
inavvertenza possa opporsi ai voti della legge, l'Esecutore della
Giustizia ti imporrà il collare di riprovazione che tu
porterai al collo per cinque anni ed un giorno fino ad espiazione
compiuta. l'esecutore di Giustizia sarà tenuto a conservare la
chiave di detto collare, che egli stesso discioglierà in questo luogo
medesimo, al cospetto dei magistrati e del popolo, quando,
esaurlta la condanna, tornerai all'amplesso dei fratelli.
«Trascorsi i cinque anni ed un giorno, se, per malattia, o per
altre circostanze indipendenti dal tuo libero arbitrio, tu non fossi
in grado di tornare in questo luogo stesso per ricevere
l'assoluzione della famiglia; in qualunque Dipartimento, o
Circondario della Unione Europea, avrai diritto di invocare la
risurrezione morale che ti verrà prontamente accordata, in
dipendenza al messaggio telegrafico che oggi si trasmette a tutti i
Tribunali di Europa determinante il tempo e la durata della tua
condanna.
«Trascorsi i cinque anni ed un giorno, dacché l'esecutore
della Giustizia ti abbia levato il collare di riprovazione e i fratelli
ti abbian reso l'amplesso del perdono e dell'oblio, tu riprenderai il
tuo nome di casato, sopprimendo il titolo onorifico che ad altri
venne trasmesso. Da quel momento verrai riammesso al libero
esercizio di tutti i diritti - tu sarai puro ed onorato al cospetto degli
uomini come al giorno della tua nascita. Noi confidiamo nella
saviezza del popolo, perché i voti della legge vengano esauditi.
Quegli stessi che oggi si allontanano dal condannato, troncando
ogni rapporto con lui, e cooperando per tal modo alla espiazione
della orribile colpa, fra cinque anni saranno i primi ad abbracciare
il redento e ad accoglierlo come fratello.
«Ed ora, o parricida, la tua espiazione incomincia.
L'esecutore del Tribunale faccia l'opera sua. Al terzo squillo di
tromba, la piazza sia sgombrata dal popolo - sulla Via della
Misericordia che il condannato dovrà percorrere per uscire
dalla città, non veggasi persona; - tutte le finestre e le porte dei
palazzi si chiudano. - Giorno di lutto è codesto, e gravissimo lutto
per l'umanità! Un fratello è morto alla vita civile!»
Le parole del Banditore furono obbedite. Appena le trombe
mandarono il terzo squillo, i cittadini silenziosi e commossi
abbandonarono la piazza.
Era triste spettacolo. - Le tribune e le logge nello spazio di
pochi minuti rimasero vuote. - I magistrati, i savii e gli anziani
erano scomparsi ... I cittadini pei larghi sbocchi delle vie si
disperdevano, affrettando il passo come a fuggire un luogo di
desolazione. Sulla piazza deserta, poco lungi dal tempio, non
rimaneva che un solo essere vivente - e questi, curvato, immobile,
incatenato al palco di infamia, dominava la vasta solitudine,
simile ad uno di quei neri fantocci che i contadini pongono a
guardia dei campi.
L'Albani, durante la tremenda cerimonia, aveva provato tutti
gli spasimi dell'agonia morale. Atterrito dal silenzio e dalla
solitudine, il condannato fece uno sforzo per sollevare la fronte ...
aperse gli occhi ... Poi, ricurvando la testa, ruggì coll'accento della
disperazione: «Tutti dunque mi hanno abbandonato!»
- Non tutti! - rispose una voce melodiosa e soave come la
voce di un angelo. - Non tutti! Gli uomini hanno sentenziato nella
giustizia, ma Dio viene a te nella misericordia!
E l'uomo che parlava di tal guisa, posò la mano sulla spalla
del condannato: e questi rianimandosi, levò di nuovo lo sguardo, e
vide un giovane levita, coperto di bianche vesti, che con affettuosa
pazienza si adoperava a rimuovergli le catene.
- Coraggio, fratello mio! - proseguì il sacerdote ...
- Voi mi chiamate fratello? - mormorò l'Albani ricurvando la
testa.
- Io solo ho questo diritto; è un santo diritto, che mi accorda
l'altare, che il tribunale degli uomini non potrebbe contendermi.
Al condannato, al reietto dalla umana famiglia, la Chiesa accorda
un fratello, un compagno di pellegrinaggio, perchè sostenga il
paziente sul cammino della espiazione. Questo incarico di sublime
pietà venne a me accordato dal grande Levita, ed io gli resi grazie
- e il mio cuore esulta di trovarmi teco. - Sorgi dunque! sorgi,
cristiano fratello, appoggiati al mio braccio - noi procederemo
insieme o insieme cadremo.
L'Albani si levò macchinalmente, e discese i gradini del
palco sorreggendosi al braccio del giovane sacerdote.
Attraversarono a lenti passi la Via della Misericordia
Il bianco levita, colla bisaccia sulle spalle, un largo cappello in
testa, e un bastone di giunco alla mano, era costretto di
soffermarsi ad ogni tratto perchè il compagno riprendesse lena. La
lunga via era affatto deserta, le finestre e le porte serrate, la
solitudine resa più tetra dalle ombre crepuscolari.
Dopo un'ora di cammino, i due pellegrini si trovarono lunge
dalle case, all'aperta campagna. Le ombre si eran fatte più dense -
la Stella d'Amore spuntava nel firmamento.
I due viandanti udirono uno squillo lontano - entrambi si
fermarono.
- Fratello! - disse il levita - è l'ora di benedizione! Questo
suono tu devi conoscerlo. In questo punto tutti i tuoi fratelli
piegano il ginocchio, e ringraziano Dio colla preghiera del cuore
che in parole non si traduce. Il gran levita dalla torre del tempio
inaccessibile, stende la mano a benedire tutti i figli della terra ...
Inginocchiati, o fratello!
L'Albani piegò le ginocchia - un tremito convulso gli scosse
le membra - indi proruppe in uno sfogo di lacrime.
Quand'egli levossi per riprendere il cammino: - Ho sentito la
voce di Dio! - esclamò l'Albani con accento rassegnato: - io avrò
forza per compiere il duro pellegrinaggio ... Espierò la mia colpa ...
rivivrò nella stima e nell'amore dei fratelli ... purchè voi non mi
abbandoniate!
- Abbandonarti! - esclamò il levita colla sua voce d'angelo -
qual altra missione può avere il sacerdote di Cristo fuori quella di
portare la croce degli infelici, di perdonare e di redimere?
I due viandanti si abbracciarono, e di nuovo si posero in
cammino.
FINE DEL PROLOGO.
IL DRAMMA STORICO
CAPITOLO I - Cinque anni dopo.
La notte del quattro settembre 1982, da un magnifico palazzo
posto nelle vicinanze dell'Antico giardino uscivano tre
giovani donne - Luce, Viola e Fidelia - tre tipi di quell'angelica
bellezza, che l'amore cosmopolita aveva creato da pochi anni
rigenerando la specie umana.
- Oh! finalmente si respira! - esclamò Fidelia, la più giovane
delle tre. - Se l'ora non fosse tanto avanzata, io proporrei di fare
una gita fino al Larietto per vedere gli apparecchi della
gran macchina.
- Non sono che dieci ore e mezzo - disse la Viola. -
Affrettiamo il passo.
- Oh sì! andiamo! - soggiunse Luce. - Ho proprio bisogno di
correre un poco su questi tappeti d'erba. La seduta di questa sera
fu lunga fino alla noia ... Figuratevi ch'io sono entrata al
Circolo delle sorelle prima delle quattro! In verità, io non
credeva di aver tanto coraggio civile da reggere ad una
discussione di sei ore e mezzo.
- Dunque?
- Dunque! spieghiamo le ali ... e via! Hai tu uno zigaretto, mia
buona Fidelia?
- Io ne tengo dei famosi, a me regalati da Speranza, mia
sorella d'amore.
- Zigari alla Rosa?
- Meglio!
- Alla vaniglia!
- Meglio ancora!
- Al gelsomino?
- Fatene la prova, e giudicate.
E Fidelia si levò dalla tasca un astuccio elegante, dal quale
estrasse alcuni zigari bianchi come avorio, che distribuì alle
compagne.
Non appena le donne ebbero appressata alle labbra la foglia
profumata e sciolto con legger tocco dell'ugna il nodo
fiammifero proruppero in una specie di ovazione.
- Delizioso!
- Inebbriante!
- Tutti i sapori dell'ananasso!
- Tutti gli aromi della terra benedetta!
- Questi zigari -disse Fidelia - si fabbricano alle Canarie colla
foglia della Fragola vergine detta arbusto del
paradiso Il Parlamento della Confederazione ha deciso che in
tutti i dipartimenti di Europa venga piantato quell'arbusto, ed ha
votato una somma ragguardevole per incoraggiare i coltivatori,
accordando la privativa di smerciare i nuovi zigari a duemila
società anonime Lo zigaro della fragola vergine è
dotato di speciali prerogative, ed esercita un'azione benefica sul
cuore, moderandone i trasporti. A quanto pare, esso verrà adottato
negli stabilimenti di educazione femminile, a preferenza della rosa
e della vaniglia, che pure hanno tanto giovato a raddolcire gli
istinti.
- E chi è l'inventore?
- Franco Dolosias, un giovane di circa ventisette anni, del
Dipartimento di Portogallo.
Luce cavò di tasca un portafogli, e soffermandosi al piede di
una stella elettrica scrisse il nome del giovane, dicendo
alle compagne:
- L'inventore di questo zigaro deve avere un'anima gentile. -
Nelle antiche poesie di Prati Secondo ho letto che la donna allora
soltanto potrà dirsi rigenerata, quand'ella avrà succhiato tutti i
profumi dei fiori.
- Il Prati ha dimenticato di qualificare i suoi fiori. Pur troppo
ve n'hanno di velenosi che rappresentano la essenza del male.
- Hai ragione, Viola; ma il poeta ha forse omessa la
distinzione per necessità del verso e della rima. Prati Secondo ha
vissuto in un'epoca, che avea ridotta la poesia ad un frivolo giuoco
di accenti e di echi. Pure il suo concetto è abbastanza trasparente.
Iddio ha posto nel mondo animato gli elementi del male e del
bene, spargendoli in tutti gli oggetti visibili ed invisibili, nell'aria,
nelle piante, in seno alle onde, perfino nelle intime viscere della
terra. Che ha fatto la creatura ragionevole, in luogo di seguire gli
istinti che la conducono verso l'utile e il buono? Passando da
errore in errore, da abisso in abisso, ella si ridusse al punto da
imprecare al Creatore, e da affrettare co' suoi voti il cataclisma.
Un branco di scellerati divenne padrone dell'umanità imbecillita, e
per dominarla eternamente, la governò colla legge del male
fabbricando su quella il despotismo, che durò molti secoli.
Quando io penso che il despotismo ha inventato la galera e la
forca prima di stabilire il Diritto all'esistenza debbo
credere che le generazioni precedenti alla nostra non fossero al
mondo che per espiare un delitto. Possiamo noi leggere le storie
del passato, senza provare una specie di ribrezzo per coloro che ci
hanno preceduti? Eppure noi vediamo che i pochi fautori dell'era
antica, coloro che in giovane età succhiarono la corruzione, oggi
non sono in grado di comprendere il bene. Essi hanno nel sangue
il veleno, ereditato dai loro antenati. La loro essenza non è la
nostra - e il Codice di redenzione fu ispirato da somma
giustizia quando stabilì maggior mitezza di pena pei delinquenti
nati prima del 1925.
- Vero! vero purtroppo! - esclamò Fidelia con voce
commossa, - I nostri padri sono molto diversi di noi! Bisogna
compatirli e rispettarli nei loro pregiudizi, pensando che essi ci
hanno preceduti sul cammino della libertà, ch'essi hanno fatto
sforzi da giganti per rimuovere quella diga secolare che stava fra
le due grandi epoche dell'umanità.
- Ciò che io trovo inconcepibile - proseguì Luce è che molti
dell'Era vecchia mentre riconoscono i grandi progressi di
questi ultimi tempi, la saggezza delle nuove istituzioni, la
squisitezza dei nuovi trovati, non solo rimpiangono sovente il
passato, ma non possono interamente rinunziare alle orribili
abitudini contratte nella loro gioventù. Mio nonno, cui sono
riuscita colle dolci violenze della persuasione e dell'amore a
rendere graditi gli zigari alla rosa, che egli per molti anni trovò
detestabili, ogni mese riceve dalle Antille una cassetta di zigari
alla foglia di tabacco fabbricati da una società anonima di
Ottentotti. Dippiù egli ha pagato dodicimila lussi per avere
mille pacchi di certi fuscellini neri e puzzolenti, di cui si trovarono
alcune casse negli scavi dell'antico Foro Bonaparte - Mio
nonno si fuma ogni giorno uno di quegli orribili fuscellini, e li
trova deliziosi, e dice che noi abbiamo torto di fuggire di casa
quando egli ci ammorba di quella puzza insopportabile.
- Oh! pur troppo li ho conosciuti anch'io i fuscellini di tuo
nonno! Fortunatamente mio padre ha esaurito la sua provvista, e
n'è disperato. - Ogni qualvolta io sento dire che in città vien
proposta la demolizione di qualche antico monumento, pensando
al pericolo di vederne uscire quella peste, mi viene la pelle d'oca!
- Eppure quelli erano i famosi zigari Virginia, croce e delizia
del secolo passato!
- Ora giudicate se la natura umana doveva essere viziata a
quei tempi! - L'altra sera, conversando con maestro Umbold
quarto io gli ho proposto la questione se sia presumibile che
nel secolo passato i fiori avessero colori, fragranza od altra
proprietà che in oggi non hanno; non potendo io concepire come i
nostri avi abbiano potuto deliziarsi nel fetore dei loro tabacchi! -
Le leggi di natura sono immutabili - mi rispose il maestro - perché
sono perfette. Ai nostri padri come a noi la primavera offeriva
ogni anno le sue rose olezzanti, i ligustri, le viole, i gelsomini ... Il
profumo del bene esalava dai campi, si spandeva nell'aria e
penetrava nelle cose dell'uomo, per adescarlo a seguire il buon
cammino - e l'uomo aspirava l'infezione del tabacco, e si
avvelenava il sangue e l'intelletto coll'absinzio e coll'acquavite.
- E credi tu, Viola, che a quei tempi esistesse la santa virtù
che si chiama l'amore?
- Io credo che l'amore abbia sempre esistito nel mondo - e
che a lui si debba ogni sviluppo delle umane perfezioni. Io mi
sento orgogliosa di essere donna - perché ritengo che, nei barbari
tempi dell'abbrutimento universale, la donna abbia sempre
conservata e alimentata la favilla della carità. Quando tutte le case
erano ammorbate di tabacco, e tutti gli uomini imbestialiti nella
crapula, o peggio ancora, mummificati dall'egoismo, o fatti
macchina dalla cupidigia dell'oro - tutta la poesia del creato si
rifugiava nel cuore di poche donne, angioli predestinati al
martirio, che viveano per amare e morivano per aver troppo
amato.
- Oh! io non avrei potuto amare quei rozzi e balordi animali
d'allora - disse Fidelia ridendo. - Ti giuro, o sorella, che se io fossi
vissuta nel secolo scorso, piuttosto che lasciarmi baciare da un
uomo ... Che orrore! Uomini che all'età di trent'anni non avevano
più denti in bocca, né capelli sulla nuca!
Questa ingenua sortita di Fidelia portava la conversazione
sopra un tema favorito. Ragionando di quella misteriosa e gentile
aspirazione dei giovani cuori, di quel bisogno imperioso dei sensi
che è l'amore, le tre donne divennero eloquenti.
CAPITOLO II - Amore.
La notte era limpida e serena - il cielo sfavillante di stelle -
l'aria imbalsamata. Mille augelletti canori, da poco tempo
climatizzati in Europa, svolazzavano tra gli alberi odorosi, tolti
alle vergini foreste americane e trapiantati nell'ampio giardino. I
vivaci colibrì dalle ali di fuoco precedevano le tre donne,
formando sul loro capo una nuvoletta dorata. Tutta la poesia del
creato si rifletteva in quei giovani cuori, fecondando i germogli
della più sublime, della più santa passione. La voce, la parola,
l'accento di quella conversazione era una musica divina, nella
quale si fondevano tutte le armonie misteriose della natura.
Presso l'Arco della Pace le tre donne fecero sosta. Il
lago era a poca distanza, e i gruppi dei lavoratori e dei passeggieri
che si dirigevano a quella volta, divenivano frequenti.
- Mutiamo argomento - disse la Viola, trattenendo le
compagne. - Qualche profano dell'antica razza potrebbe udirci e
burlarsi di noi. Non esponiamo le cose sante al ludibrio dei
pervertiti.
- Noi ci siamo slanciati per una via di fiori; abbiamo discusse
le illusioni, i sogni gentili della vita, ma nulla abbiamo concluso.
- La sola conclusione possibile - disse la Viola - è che nell'era
antica l'amore fu riguardato come un piacere, mentre il piacere
non è nell'amore che un modo di manifestazione ed un
complemento.
- Io credo che nessuno sia in grado di definire l'amore - disse
la Viola - o piuttosto che ciascuna donna lo senta diversamente,
secondo l'indole propria e l'educazione degli eventi. Per me
l'amore è desiderio.
- L'amore è sacrifizio! - soggiunse Luce.
- L'amore è perdono! - sospirò Fidelia.
E in quel punto una voce vibrata e sonora ripetè le parole
della fanciulla, e un giovane di bellissimo aspetto uscì da un cespo
di dalie, e mosse incontro a Fidelia stendendole la mano.
Le tre donne trasalirono di sorpresa. Ma gli occhi di Fidelia
furono attratti da forza magnetica verso lo sconosciuto - le due
mani s'incontrarono - e un fremito di voluttà corse rapidamente
dall'uno all'altro cuore. Quel fremito era la parola misteriosa
dell'amore, il muto linguaggio delle anime, che l'una all'altra si
rivelano.
- Adulto! - disse la Viola allo sconosciuto - noi non possiamo
intrattenerci o camminare in vostra compagnia, se prima non
abbiate adempiuto alla legge di ricognizione.
- Dispensatemi dal palesare il mio nome - rispose il giovane.
- Una sola di voi ha il diritto di conoscerlo ... ella che diceva poco
dianzi: l'amore è perdono. - Quanto alle mie qualifiche, vi basti
sapere che io sono l'inventore della nuova macchina per la pioggia
artificiale che domani verrà esperimentata al cospetto
dell'universo.
- Voi ... il nuovo benefattore dell'umanità! - sclamò Fidelia
con entusiasmo. - Voi, l'inventore della macchina che ha destato la
meraviglia del mondo!
- Pur troppo io sono quello sventurato! - rispose il giovane
con voce commossa. E in quel punto il volto del giovane si
coperse di pallore, e una ruga gl'increspò leggermente la fronte.
Luce e Viola si ricambiarono una occhiata significante, poi
rivolgendosi a Fidelia: - Vanne, - le dissero, - la pietà accompagni
il dolore. Quest'uomo aveva bisogno della confessione, e Dio gli
ha mandato il suo angelo!
Fidelia baciò in fronte le amiche, e preso per mano il giovane
addolorato, si diresse con lui verso la spiaggia del lago.
- Chi lo crederebbe? - disse Viola alla Luce, seguendo con lo
sguardo i due che si allontanavano. - Quest'uomo da oltre venti
giorni riempie il mondo della sua fama; domani, per assistere
all'esperimento de' suoi meravigliosi meccanismi, dai confini più
remoti della terra converranno a Milano tutti i primati
dell'intelligenza. Più di tremila areostati sono già scesi quest'oggi
all'arsenale di Corsico - la Casa di ospitalità dell'antico
Foro ha già ricoverato ventimila forestieri, - domani prima
di mezzogiorno arriveranno i tre palloni smisurati del
dipartimento Russia, e la grande arca Americana della forza di
cinquecento aquile ... Tutti i veicoli della Unione saranno in moto
per trasportare passeggieri - le viscere della terra fremeranno per
elettrico impulso negli scambi della grande novella ... Ed ecco:
l'uomo che ha dominato gli elementi, che ha sconvolto l'ordine
della natura fisica; l'uomo che domani sarà idoleggiato da tutta la
famiglia umana, non può emanciparsi dalla tirannia del dolore,
non può con tutti gli sforzi della sua volontà e della sua
intelligenza sospendere anche per un momento il battito delle
proprie passioni. Sarebbe mai vero il paradosso propugnato dalla
nuova setta dei Ginevrini, che l'umanità progredisce a scapito
degli individui? ...
Per giungere al lago, Fidelia e il suo giovane compagno
avevano attraversato una folta selva di pini. Uscendo all'aperta,
uno spettacolo meraviglioso si presentò al loro sguardo, spettacolo
affatto nuovo per la giovinetta, che arrestossi sospesa sulla punta
dei piedi, immobile come la statua dell'ammirazione.
Le acque erano sparite - una immensa lastra di metallo ne
copriva la superficie, formando sovr'esse una cupola lucente, dal
cui centro usciva una piramide colossale, gigantesca,
immensurabile, la cui estremità superiore si perdeva negli oscuri
spazi della notte.
La torre di Babele è dunque riedificata? E Iddio ha permesso
agli uomini del ventesimo secolo di stabilire una comunicazione
fra la terra ed il cielo? E perché non ha egli punito, come in altri
tempi, questo sacrilego attentato della superbia umana?
La favola di Babele non è certo la meno immorale delle tante
immoralità delle Genesi. - Iddio non può punire quel
provvidenziale istinto della azione che è nella mente della
umanità. Oggimai nessuno può disconoscere questo vero
immutabile. Rimescolare la materia, agitarla, trasformarla, tale è
la missione dell'uomo. Orgoglioso, superbo fino a credersi
onnipotente, l'uomo non cesserà mai da questa lotta gigantesca
che aspira al perfezionamento e forse conduce alla dissoluzione. Il
Titano schiacciato non cesserà di agitare i suoi massi, di
accumulare i macigni per salire fino a Dio - perché egli sente di
aver qualche cosa di comune con Dio: l'intelligenza e lo spirito
creatore!
CAPITOLO III - I terrori del genio.
- Giovinetta - disse l'adulto coll'accento dell'entusiasmo -
l'estasi del vostro volto, l'eloquenza del vostro silenzio mi
compensano di cinque anni di patimenti!
- Perdonate al mio egoismo- disse Fidelia, riavendosi dallo
stupore. - Ammirando la vostra opera, ho dimenticato i vostri
dolori.
- E anch'io li dimentico in questo momento, e siete voi che
me li fate obliare! - Prima che l'uomo vi confidi le pene del cuore,
permettete che l'artista profitti di questo breve entusiasmo, per
rivelarvi le creazioni del suo genio. Questo grande meccanismo
che domani verrà posto in azione, io l'ho concepito da oltre cinque
anni, nell'estate del 1976, quando una siccità desolante avea
costretti buona parte dei cittadini ad emigrare in paesi lontani. Un
avvenimento terribile ... mi vietò di presentare il mio progetto alla
Commissione dei Primati dell'intelligenza ... E forse fu pel
meglio ... E l'uomo, che a quei tempi mi sconsigliava dal tentare il
voto della Commissione, era forse ispirato dalla saggezza e
dall'amore. Ma rifuggiamo da queste ricordanze ... Pur troppo esse
non danno mai tregua al mio spirito, e fra poco io sarò costretto a
dividerne con voi l'amarezza. Cinque anni di aspettazione e di
meditazione modificarono in diverse guise il mio progetto, finché,
ridotto e semplificato col soccorso di nuove scoperte, riuscì tale
da venire ammesso all'esperimento con milleseicento voti
favorevoli e quattrocento contrari. La più grande difficoltà del
meccanismo stava nel produrre l'ebollizione del lago - ed io spero
averla superata, risparmiando le materie combustibili, e derivando
il calorico dal sole cogli specchi ustorii di Archimede, riprodotti e
perfezionati dal secondo Volta. Questo immenso coperchio di
metallo, che si estende alla superficie del lago, chiudendo
ermeticamente le acque, non ha che un solo sfogo, la torre
gigantesca del centro, dalla quale usciranno i vapori condensati
dalla ebollizione sospinti da forza violentissima all'altezza di
tremila metri. Gli specchi ustorii verranno posti in attività verso le
undici antimeridiane - ho calcolato che, in meno di tre ore,
passando pei duecento conduttori che si elevano dalla
circonferenza del lago, il calorico si propagherà alle acque,
producendo l'ebollizione. Oh quanto mi tarda di udire il brontolìo
delle onde commosse! ... di vedere una bianca nuvoletta spuntare
dalla piccola valvola, e sfumare leggera leggera nell'orizzonte! ...
Perocchè - lo dico a voi, o fanciulla, a voi sola che avete un'anima
per comprendere i dolori e i terrori della vita - io non sono
pienamente rassicurato sull'esito dell'opera mia ... Io temo che
qualche ostacolo impreveduto, qualche fatale combinazione
atmosferica, qualche forza fisica da me obliata si interponga fra il
concepimento e l'effetto ... Temo altresì che la giustizia di Dio mi
attenda al varco fatale per intercettare colla sua mano onnipotente
l'opera del peccatore! ...
- Oh! non dubitate! - esclamò Fidelia coll'accento della
convinzione. - Il genio emana da lui, ed egli non lo dona perché
vada sprecato. La vostra opera fu concetta nel desiderio del bene,
e ciò che è buono è benedetto da Dio! Ormai non ho bisogno di
altre spiegazioni. Contemplando da questo luogo i meravigliosi
apparecchi, io già mi figuro il grande spettacolo che deve aver
luogo domani. Le acque ribollono come per incanto ... I vapori si
concentrano nel vasto serbatoio ... Al cadere del sole, voi aprite le
grandi valvole - una densa colonna di fumo, sospinta dalle trombe
pneumatiche, si slancia verso l'orizzonte che in pochi minuti sì
copre di nubi ... Dalla città si leva un grido di ammirazione, e i
vapori agglomerati e rinfrescati nelle alte regioni dello spazio, si
sciolgono in pioggia abbondante! ...
- L'angelo ha parlato; io non posso più dubitare dell'opera
mia; - disse il giovane cadendo in ginocchio dinanzi a Fidelia, e
baciandole un lembo della tunica verginale - Ora che avete
confermata la fede dell'artista, aggiungete, o fanciulla, un
miracolo, rendete all'uomo la pace che egli ha perduto da molti
anni!
- Alzatevi! - sclamò Fidelia quasi atterrita. - La pace viene da
Dio, che la promette e la dona agli uomini di buona volontà.
- La voce della donna è la voce di Dio - proseguì il giovane
coll'entusiasmo dell'ispirazione. - Io non leverò le mie ginocchia
dalla terra, prima che voi abbiate risposto ad una domanda.
Credete voi che un uomo, il quale un tempo si chiamava Secondo
Albani, possa aspirare all'amore di una donna?
- Quale strana domanda! - sclamò la giovinetta, fissando gli
occhi smarriti nel volto dello sconosciuto. Poi, non potendo
indovinare il senso delle misteriose parole, stese la mano al
genuflesso, e con voce commossa: - Sorgete - gli disse; - il nome
che avete pronunziato è un suono affatto nuovo al mio orecchio;
ma se voi siete l'uomo a cui desso appartiene, io lo scolpirò nel
mio cuore per non dimenticarlo mai più.
- Voi dunque ignorate la triste storia del mio passato! ... -
proruppe il giovane levandosi da terra e premendo al cuore la
mano di Fidelia. - Gli uomini sono migliori che io non credeva,
poiché obbediscono alla Legge di redenzione Ebbene,
poiché le vostre parole mi hanno dimostrato che i fratelli non
obliarono il dovere, anch'io avrò il coraggio di prevalermi de' miei
diritti. A voi sola, per cui l'amore è perdono, a voi ho rivelato il
nome fatale ch'io desiderava nascondere a a tutti. L'inventore della
pioggia artifiziale, domani, dopo l'esperimento voleva allontanarsi
per sempre da questa città che gli diè vita, per isfuggire ad una
amara ricordanza, per involarsi ad una gloria che avrebbe ridestato
nei fratelli un'eco di riprovazione. Ebbene, io rimarrò - io sfiderò i
pericoli della celebrità - il mio nome allo spuntare dell'alba, verrà
proclamato dai banditori - dirigerò io stesso, alla prima luce del
sole, i meccanismi preparati nelle tenebre ... Voi non potete
comprendere quanto vi sia di terribile nella mia risoluzione ...
Nulla oso dirvi in questo momento; ma domani a notte avanzata,
quando tutto vi sarà noto, io sarò qui, tra gli spasimi del terrore e
della speranza, tremante, convulso, ad aspettarvi sotto questo
platano stesso, dove mi avete detto che il nome di Secondo Albani
rimarrà eternamente scolpito nel vostro cuore. Se prima di
mezzanotte voi tornerete a me per ripetermi le sante parole, allora
avrò il coraggio alla mia volta di chiedervi qual nome abbia
imposto il Signore all'angelo di redenzione.
In quel punto, dalla torre Garibaldi squillò il richiamo
delle vergini Era la prima volta, dacché Fidelia avea compiuta
l'età dell'emancipazione che quel suono la sorprendeva
fuori della casa paterna. La giovinetta in quella notte avea sorbiti i
profumi inebbrianti dell'amore. Ma il tempo inesorabile e pedante
non ha riguardo né pietà per le anime innamorate. Lo squillo del
richiamo troncò sul labbro di Fidelia una risposta che il giovane
avrebbe pagato a prezzo di sangue.
CAPITOLO IV - Il despotismo della legge naturale.
- Che ho mai fatto! - esclamò la giovinetta riscuotendosi, e
volgendo intorno lo sguardo smarrito. - Mio padre! Che dirà egli,
mio padre, nel vedermi rientrare sì tardi?
- Tu sarai nella tua cameretta all'ora legale - disse una voce
ben nota alla fanciulla.
- Oh! voi ... mie buone sorelle!
- Presto! a venti passi dall'Arco c'è una stazione di
gondole volanti - disse Viola, dando il braccio alla giovane
amica ... - In meno di tre minuti, prima che la campana abbia
cessato di suonare, noi scenderemo alla porta del tuo palazzo.
L'agitazione di Fidelia, sopratutto l'accento di terrore ond'ella
proferì il nome del padre, agghiacciarono il cuore del giovane
innamorato. Non osò muover passo, non proferire una parola. Ma
prima di allontanarsi, Fidelia volse a lui uno sguardo ed un addio,
che equivalevano ad una promessa. - E mentre le tre donne si
dileguavano per l'ampio viale, l'Albani sentiva nell'anima una
voce soave ripetergli in mille toni melodiosi: io ti amo!
Presso l'Arco della Pace le tre donne salirono in una
gondola volante che elevandosi rapidamente all'altezza di
cento metri, si diresse verso la città con moto velocissimo. Luce,
Fidelia e Viola, adagiate nella aerea navicella, sorvolavano alle
piante ed alle abitazioni, come tre cherubini portati da una
nuvoletta.
La campana del richiamo vibrava gli ultimi squilli,
allorquando Fidelia, salutate le amiche, entrava negli atrii del
palazzo paterno. Corse alla sedia ascendente toccò il
bottone dorato, e tosto, pel rapido agitarsi delle carrucole, tra il
fremito armonioso delle corde vellutate, ella trovossi negli
appartamenti superiori.
Le prime sensazioni dell'amore, i moti involontari dell'anima
che sente la seconda vita, riflettonsi nel volto di giovane donna.
Le guance di Fidelia erano bianche siccome l'alabastro, l'occhio
radiante di nuova luce, le labbra voluttuosamente socchiuse. Un
insolito abbandono, una melanconica rilassatezza in tutta la
persona. - L'amore, che più tardi rinvigorisce e rigenera la donna,
in sulle prime si annunzia coi sintomi della febbre.
Al leggero cigolio delle carrucole, che annunziava
l'ascensione di Fidelia negli appartamenti superiori, due gravi
personaggi mossero ad incontrarla nella galleria. Non appena la
sedia ristette, l'un d'essi stese la mano alla fanciulla per aiutarla a
discendere - l'altro, il più vecchio, arrestandosi a pochi passi dalla
porta d'onde era uscito - figliuola mia, disse con voce severa, tu
sai che io non amo di saperti in volta ... ad ora sì tarda della notte ...
Fidelia non rispose.
- È l'ora legale - disse il più giovane dei personaggi ... - Il
richiamo dello vergini suona tuttavìa ...
- Sempre da capo con queste vostre teorie della legalità! -
proruppe il vecchio con accento di stizza ... - Io rispetto le leggi, e
mi adopero con tutto lo zelo per farle rispettare dalla famiglia; ma
fra un padre ed una figlia i doveri ed i diritti non vanno misurati
alle norme del codice. L'amore che io porto a Fidelia mi impone
di ricordarle che l'aria della notte è nociva alla salute, e
quand'anche non vi fossero per lei altri pericoli andando in volta
ad ora sì tarda, questo solo basterebbe perché ella dovesse piegarsi
a' miei desiderii.
- Eravamo uscite un po' tardi dal circolo ... Luce e
Viola mi hanno invitata ad accompagnarle fino al Larietto
per vedere gli apparecchi della macchina ...
Fidelia articolava a stento le parole. Ella appoggiò il suo
braccio a quello del padre, e tutti insieme entrarono nella sala.
- Figliuola mia - disse il vecchio assestandosi in un
pieritto,
Pieritto è un mobile di casa, la cui invenzione data dall'anno 1924. In esso l'uomo può riposarsi, senza piegare
il corpo, né costringere i visceri ed i vasi sanguigni a spostature o pressioni insalubri. L'uomo vi si mantiene
costantemente nella sua posizione verticale, appoggiato alle grucce elastiche, su cui le ascelle ed altre prominenze
inferiori vengono sostenute.
mentre Fidelia si coricava sovra un divano di
velluto - non vorrei che queste scappatelle notturne si
rinnovassero troppo spesso ... So che tu mi vuoi bene ... Spero che
la voce dell'affetto figliale in avvenire preverrà di due o tre ore il
richiamo delle campane ... Vedete, Gran Prestinaio; non vi pare
che mia figlia abbia un viso da febbre terzana?
- Più pallida, più estenuata ... difatti ...
- Immaginate, cittadino Rolland, che sono stata ritta più di
un'ora al medesimo posto, per udire la spiegazione dei
meravigliosi meccanismi che devono produrre la pioggia
artiflziale ...
- E chi ebbe la fortuna di svelare i misteri della scienza ad
un'allieva sì docile e sì gentile? - chiese Rolland a Fidelia.
- Oh! la fortuna fu tutta mia - rispose la giovinetta arrossendo
- io non sperava d'incontrare sulla riva del lago un maestro tanto
istruito e sapiente. Figuratevi che la spiegazione della
meravigliosa macchina io l'ebbi dall'inventore ...
- Tu hai parlato con quell'uomo! - esclamò il padre di Fidelia,
balzando dal pieritto. - Tu dici d'aver parlato coll'inventore
della macchina ... ! - ripetè il vecchio con voce corrucciata.
- Gran Proposto: - disse Rolland levandosi in piedi -
moderate quei vostri trasporti dinanzi ad una fanciulla ... Non
vedete? voi la fate tremare!
- Fidelia! mia buona Fidelia! - riprese il vecchio dopo breve
silenzio, accostandosi alla figlia e stringendole la mano con
tenerezza. - Rispondi sinceramente al tuo vecchio padre: conosci
tu il nome del giovine artista, col quale ti sei intrattenuta a
conversare? T'ha egli nulla rivelato delle sue vicende ... delle sue ...
sventure?
- Io non conosco la menzogna - riprese Fidelia con voce
commossa. - L'inventore della pioggia artifiziale mi ha rivelato il
proprio nome coll'accento straziante di chi confessa una colpa.
Questo nome, che domani non sarà più un segreto per alcuno, io
non ho difficoltà di ripeterlo a voi ... Il giovane artista si chiama
Secondo Albani ...
- Egli ti ha ingannata,figliuola mia! - proruppe il vecchio con
ira. - Colui non ha più diritto di chiamarsi Secondo, dacché la
legge lo ha condannato ...
Ma il vecchio non potè compiere la frase ... perocché il
Rolland, balzando in piedi, e intromettendosi fra il padre e la
figlia:
- Gran Proposto! - disse con voce autorevole; - in nome di
quella legge che tu, primo magistrato della famiglia Olona, devi
affermare coll'esempio, io ti ammonisco che tu mancheresti al più
sacro dovere di fraternità, accusando ed infamando un cittadino,
che oggi è puro ed onorabile come al giorno della sua
nascita
- Io sono in casa mia, mastro Rolland. Nella libera cerchia
del santuario domestico, fra un padre ed una figlia, ve lo ripeto,
non può esservi altro codice che quello dell'amore.
- Con autorità di fratello vi ho ricordato un dovere - proseguì
Rolland - ed ora fate ciò che la coscienza v'ispira. Badate che
questa legge che voi chiamate di amore, non sia piuttosto un
avanzo di pregiudizi ereditati.
Queste parole turbarono la fronte al vecchio Proposto.
Rolland gli strinse la mano, uscì dalla comune, e
abbandonandosi al pendio della glissante,
Scala scivolante, senza gradini, adottata nelle grandi case per risparmio di tempo e di fatica. Per essa gli abitatori dei
piani elevati scivolano ai piani inferiori, sboccando nell'atrio o nella via
scivolò sino
agli atrii inferiori.
Il Gran Proposto fece uno sforzo violento sopra sé stesso. Per
quella sera egli non proferse altre parole. Prese per mano la figlia,
e, accompagnandola fin presso la stanza delle rose prese
commiato da lei col bacio del buon sogno
Fidelia era vivamente commossa. Gli sdegni del padre, le
parole concitate e interrotte, le strane proteste di Rolland, tutta la
scena cui poco dianzi aveva assistito le riempirono il cuore di
tristi presagi. Prima di coricarsi, ella si assise al cembalo
magnetico e scorrendo colle dita sovra la tastiera di avorio, parlò
alla sorella d'amore.
- Vegli, o Speranza?
- Veglio.
- Finalmente le rose diedero fragranza, ma le spine sono
cresciute.
- Narrami la storia del tuo cuore - io chino l'orecchio sul
cembalo per udire il melodioso canto della vergine innamorata.
La casa di Fidelia e la casa di Speranza erano disgiunte da tre
lunghe contrade - ma le due donne conversarono fino all'alba colle
oscillazioni del telegrafo. Per comunicare agli avorii le
magnetiche parole, Fidelia raccoglieva tutte le forze dell'anima
sospingendole colla volontà verso l'estremo delle dita. Gli occhi
della giovinetta mandavano fiamme; le labbra oscillavano; i polsi
tremavano convulsi per la pressione del fluido sospinto ... E
quando Fidelia, stanca da quegli sforzi violenti, reclinava la testa
sul timpano sonoro, una musica soavissima le parlava allo spirito -
una musica di consigli, di speranze e di benedizioni - la musica di
un'anima sorella. - Il telegrafo magnetico di Terzo Bonelli
riparava ai tanti peccati dei telegrafi antichi - traduttore fedele
dell'anima, esso non poteva in verun modo trasmettere la
menzogna.
CAPITOLO V - Meneghini puro sangue.
Da tempo immemorabile, alla vasta città dell'Olona non
erano affluiti tanti forestieri da tutte parti del mondo.
Nella casa di ospitalità dell'antico Lazzaretto, ove, fino dal
giorno antecedente, han preso alloggio trentamila persone - nei
quattrocento palazzi di ferro che gli Anziani della famiglia hanno
fatto collocare nel Campo Ausiliario, non trovasi più una sola
camera disponibile. - Tutti gli alberghi di lusso, tutti gli
asili gratuiti riboccano di gente.
E dire che siamo appena al mezzogiorno, e dalle cinque
ferrovie giungono ad ogni tratto nuovi convogli - e innumerevoli
aerostati, immense arche natanti negli spazi del cielo, si librano a
trecento metri di altezza sovra il porto Corsico, attendendo il
segnale della calata.
I tardi arrivati, disperando di trovare alloggio, si accalcano
nelle vie, o nelle sale da rinfresco. Il grande Caffè Centrale della
Associazione Gnocchi, verso un'ora pomeridiana ribocca di
uomini, donne e bestie d'ogni paese.
- Gran bel Milano! - esclama uno dei vecchi abituati del
Caffè, il quale da cinque ore sta seduto in compagnia di alcuni
buontemponi sulla porta di Occidente. - Gran bel Milano! Per me,
ho giurato di non uscir mai dalla mia città quand'anche a due
miglia di distanza piovessero beccafichi arrostiti, come ai tempi di
Mosè.
- Via! per una pioggia di beccafichi si potrebbe fare il
sacrifizio di una piccola corsa in vapore! - dice un altro milanese.
- Voi mi avete capito, caro Pirotta - in vapore!
- Che! tu! un uomo che possiede trentamila lussi di rendita ...
viaggi ancora coi veicoli gratuiti della Unione?
- Io amo di andare all'antica, mio caro Perelli; con questi
malcreati palloni io lascio viaggiare i matti, che han voglia di
rompersi il collo precipitando dall'altezza di due o trecento metri
sulla cupola di qualche campanile!
- Non hai torto, mio caro Pestalozza! E pazienza se quei
matti, che pretendono viaggiare nell'aria, rischiassero soltanto la
propria vita! ... Ma pur troppo la loro imprudenza è un continuo
attentato alla sicurezza altrui. Anche ieri, causa quei maledetti
palloni; avvennero quattro o cinque disastri nella nostra Milano ...
Il Guardapolli del giardino Balzaretti, mentre stava sulla porta
della piccionaia distribuendo il grano alle bestie, ricevette sul
ghigno il complimento di un lungo cannocchiale che uno dei
viaggiatori si lasciò scappare di mano. Sulla piazza del Duomo,
mentre la folla dei nullabbienti si accalcava presso la porta della
decima Dispensa per ricevere il pane, venne a cadere una pioggia
di grosse ostriche, le quali, ti giuro, non resero il miglior servizio
alle nuche pelate di alcuni poveretti ...
- Perciò.., viva sempre il cilindro! E dicano pure i balordi che
noi siamo antiquari, retrogradi, codini, cappelloni, torrioni ... Ma
un buon cappello a cilindro ...
- Della fabbrica Ponzone ...
- Bravo! della fabbrica Ponzone! Da centoventisette anni la
mia famiglia si serve in quel negozio! Oh! ... vedi quanta gente
vien su dalla strada dei medici! ... . Forestieri arrivati di fresco!
- Se non m'inganno, debbon essere scienziati!
- Primati dell'intelligenza, si deve dire ...
- Scienziati o primati fa lo stesso ... Chiamali come ti pare
meglio, sono e saranno sempre sinonimi di gabbamondo.
- Dove andrà ad alloggiare tutta questa gente?
- Con tutta la loro scienza, i signori primati dovranno
rassegnarsi, e far di necessità virtù, dormendo a cielo scoperto.
- È proprio una vergogna che il municipio ... cioè ... volevo
dire ... come lo chiamano ora? ...
- Il Consiglio di famiglia ...
- C'è da perder la testa a imparare queste nuove
denominazioni! Che ne dici, caro Perelli? ... Hanno fatto un gran
sfoggio di belle parole, ma nel fatto non si è punto avvantaggiato!
Fra le nostre Giunte municipali e i moderni Consigli di famiglia
non veggo gran differenza ...
- Io direi piuttosto che siamo andati di male in peggio.
- Figurati se in una giornata come questa non si doveva
pensare a far venire da Bergamo o da Como duecento o trecento
case di ferro! ... Signori no! ha detto il Sindaco ... o Gran
Proposto ... come ora lo chiamano ... Milano non deve ricorrere alle
famiglie minori - non deve disturbare i vicini - Milano deve fare
da sè! - Ed ecco ... corpo di mille diavoli! ... che per voler fare da
sé, il Municipio ... non ha saputo far nulla ... e il decoro della città è
compromesso! ...
- Questo nostro Sindaco ... o Gran Proposto ... vuol durar poco
nella sua carica! ... Ho sentito certe campane ...
- Parliamo a voce bassa ... Voi sapete che io vado a pranzo da
lui due volte la settimana ... E non vorrei ...
- Eh! non siamo più ai tempi della repubblica rossa! Ora si
può parlare liberamente! ...
- Non si sa mai ... quello che può accadere ... Io non ho
dimenticato il precetto di mio nonno: delle autorità, dei magistrati,
dei funzionari pubblici - fin quando sono in carica - bisogna dirne
bene, salvo a lapidarli quando sieno caduti ...
- Io poi, non ho tanti scrupoli, caro Perelli ... Anche ai tempi
della repubblica era permesso dir male dei sindaci e delle Giunte ...
Toglieteci il piacere di parlare contro il Municipio, e in verità non
sapremmo come passare la vita ... Volete che io ve la dica schietta
e netta come la sento in cuore? ... anche in codesta faccenda della
pioggia artificiale io ci veggo del marcio ...
- Sicuro che c'è del marcio! - sciamano in coro i circostanti.
- Qui sotto c'è qualche imbroglio, qualche brutto intrigo dei
signori anziani ...
- E aggiungete pure del Gran Proposto! ...
- Quando si pensa che Parigi, Berlino, Lucerna, Varsavia,
infine le principali città della Unione respinsero la proposta
dell'esperimento! ...
- Ciò significa che il meccanismo è difettoso ...
- Io dubito piuttosto che una pioggia artifiziale possa recare
gravi danni all'igiene pubblica, suscitando dalla terra evaporazioni
pestifere ... Questa dev'essere la vera ragione per cui i Municipii
delle capitali più illuminate non vollero tentare la prova ... Oh!
vedrete! vedrete! ... Grazie alla intelligenza ed al senno del nostro
Municipio, avremo fra pochi giorni a Milano la petecchiale o la
febbre gialla ...
- Quanto a me, nessuno mi leva dalla mente che avremo una
pioggia di acqua calda, la quale cremerà in poche ore tutta la
vegetazione ...
- Voi parlate di danni probabili e possibili; ma nessuno di voi
ha avvertito il danno certo, reale, inevitabile ... . la morte di tutti i
pesci del lago ...
- E tu credi, Pirotta, che tutti i pesci? ...
- Oh, veh l'ingenua domanda! Poiché il lago deve bollire, ne
viene di conseguenza ...
- Sicuro! ne viene di conseguenza che i pesci si cuoceranno..,
- Ora comprendo! - grida il Perelli, levandosi in piedi, e
spalancando tanto d'occhi ... - E quando i pesci saran cotti ...
- Allora ... !
- I signori del Municipio ...
- Il Gran Proposto ...
- Gli anziani ...
- Una buona mangiata fra loro ... alla barba dei gonzi, che
hanno fatto le spese della pioggia! ...
La strana conclusione dell'ultimo oratore fu accolta con una
esplosione di viva, di applausi e di risa sguaiate. L'idea che il
Gran Proposto e gli anziani del Consiglio avessero approvato
l'esperimento della pioggia artificiale al solo scopo di fare un lauto
pranzo con pesci del lago, percorse i crocchi vicini, ma venne
respinta ben tosto e soffocata dai sarcasmi delle persone
intelligenti. Un secolo addietro, quella assurdità grossolana e
maligna avrebbe trovato eco nelle masse, e venti o trenta
pappagalli del giornalismo l'avrebbero stampata per edificazione
del popolo.
CAPITOLO VI - Le pillole alimentari di Raspali.
Ma lasciamo il vestibolo, e spingiamo lo sguardo nelle sale
interne, ove stanno adunate più di duemila persone giunte da
lontani paesi. Duecento garzoni ed altrettante donzelle vanno,
vengono, si incontrano, si urtano presso la Rotonda centrale, per
levare le imbandigioni da distribuirsi nei ventiquattro emicicli.
Ad ogni tratto nuovi forestieri sopraggiungono. Dappertutto è
un ricambiarsi di saluti, di augurii, di strette di mano. Amici e
conoscenti, che vivono disgiunti da immensurabili spazi di terra e
di mare: uomini che senza essersi veduti mai, per mezzo di un filo
miracoloso si ricambiarono per molti anni le aspirazioni e le idee -
eccoli riuniti in una sola città, in un sol punto del globo, per
assistere ad un nuovo prodigio dell'intelligenza.
In uno dei più vasti emicicli, conversavano a voce alta due
personaggi, che al vestito ed al distintivo di nobiltà ond'erano
fregiati, mostravano appartenere alla onorata congregazione dei
Primati.
- Povera umanità - diceva l'un d'essi, volgendo uno sguardo
di commiserazione alla folla. - Povera umanità! Studia! lavora!
inventa pure il miracolo onde migliorare la tua condizione, tu
starai sempre a disagio nel mondo. La scienza non può soccorrere
a' tuoi bisogni senza crearne dei nuovi. La noia, il desiderio, il
dolore aggraveranno eternamente il fardello della vita! ... Questa
città nel breve corso di un secolo si è estesa di oltre venti miglia in
circonferenza. Le più belle, le più utili istituzioni furono qui
favorite dalla ricchezza e dalla generosità de' cittadini. Un
migliaio di stabilimenti pubblici e privati si eressero come per
incanto nell'ultimo decennio; le case di ospitalità, gli alberghi, i
palazzi mobili possono dar ricetto a seicentomila forestieri:
nondimeno, ecco venire un giorno in cui il concorso
strabocchevole dimostra l'insufficienza dei provvedimenti umani,
e i disordini rinascono, la confusione si rinnova, e da ogni parte
sorgono grida di malcontento! Nel primo caffè di Milano, fornito
di venti fornelli e servito da oltre quattrocento volonterosi,
io veggo dei poveri diavoli che attendono da due ore la colazione!
- Tu hai sempre il tuo umor nero, amico Rousseau; - disse un
giovane di circa venticinque anni, che portava sulla fronte il
doppio distintivo della nobiltà.
Nobiltà ereditaria che si trasmette a quattro generazioni, e nobiltà acquisita o confermata da azioni benefiche.
- Convengo che il dipartimento Italia, e sopratutto la famiglia
dell'Olona, han molto progredito nella civiltà in quest'ultimo
decennio; ma rispetto agli altri dipartimenti di Europa, qui trovo
ancora un barbarismo deplorabile. Il progresso, come tu dici, crea
dei nuovi bisogni, e guai se ciò non avvenisse! l'uomo diverrebbe
stazionario, ovvero camminerebbe retrogrado. Una invenzione,
una scoperta qualunque, producendo nuovi bisogni, trae seco di
conseguenza altre invenzioni ed altre scoperte - e così l'uomo
procede gradatamente a quell'apice di perfezione, che è il fine
supremo della vita. Guai allo sciagurato che si arresta a mezzo del
cammino! Guai tre volte a colui, che si adagia sul presente,
rifiutando i benefizi quotidiani della intelligenza! Quest'oggi
parecchie migliaia di persone si trovano a Milano senza albergo e
senza vitto - ciò non avverrebbe a Parigi, nè a Napoli, nè a
Berlino, quand'anche, in un sol giorno, tutti gli abitatori
dall'universo si adunassero in quei centri popolosi. In occasione
dell'ultima esposizione, a Parigi v'era un'affluenza quotidiana di
circa otto milioni di forestieri, ma in meno di due giorni sui tetti
delle case vennero elevati cinque o sei piani di piccole camere in
guttaperca, e gli alloggi furono quadruplicati. Quanto alla bisogna
del vitto, il provvedimento è ancora più facile. Se a Milano i
proprietari degli Alberghi e dei Caffè si fossero provveduti di
midollo concentrato di leone tutti quei poveretti che
attendono la colazione da due ore, con una sola pillola potrebbero
nutrirsi per l'intera giornata.
- Bella invenzione davvero, le vostre pillole di midollo
concentrato! - disse Rousseau, crollando la testa. - I Milanesi non
diedero mai prova di tanto buon senso, quanto nel rifiutare questo
nuovo metodo di alimentazione, che debilita lo stomaco e priva
l'uomo de' più squisiti piaceri.
- E credi tu, che se in questo momento giungesse a Milano
uno speculatore, il quale mettesse in vendita due o tre barili delle
mie pillole, non sarebbe un gran benefizio per gli stomachi
digiuni? ...
Un sorriso di dubbio, quasi di scherno, increspò leggermente
il labbro di Rousseau. E già stava per rispondere una amara
parola, quando una ondata di giovincelli bizzarramente vestiti
irruppe nella sala.
Erano i piccoli banditori del commercio e della industria,
venditori di giornali, di zigaretti e fotografie, porta voci di notizie,
anticamente denominati barabini, ed ora distinti col titolo
espressivo di demonietti di città Abbigliati di una semplice
blouse di seta color scarlatto, la fronte protetta da un elegante
berettino di velluto azzurro, i capelli lunghi e scendenti sulle
spalle, la gamba ignuda fino al ginocchio, il piede serrato in uno
stivaletto rosso colle calze riverse, di una candidezza
incensurabile; snelli, petulanti, loquaci, attraversavano la folla
senza toccarla, filtravano nei crocchi, strillavano, sparivano come
esseri fantastici.
Il grido di quei piccoli demoni pose fine alla quistione dei
due scienziati. Un pallone da commercio giunto da Parigi in quel
punto aveva recato a Milano quattromila case di guttaperca e
parecchi barili di pillole Raspail preparate col midollo di leone.
All'annunzio inaspettato, tutte le sale furono in moto. I
forestieri, che già da parecchie ore languivano a stomaco digiuno,
e che non avevano trovato alloggio nella città, assediano la sporta
dei piccoli venditori, i quali strillano a tutta gola: - avanti, fratelli!
- Una camera per cinque lussi! - Un pranzo in una pillola! -
Midollo concentrato di leone! Un vaso di trenta pillole Raspail per
sessanta lussi! - Non più fame per un mese! - Non più osti!
Palazzi di guttaperca con mobili e senza mobili!!!
- Che il diavolo vi porti! - brontola Rousseau, levandosi
impetuosamente dal sedile. E salutando con aria dispettosa il
collega scienziato: - amico - gli dice - io non posso reggere a
questi orribili spettacoli della umana follia. Le tue pillole di
midollo affrettano di due secoli il suicidio totale dell'umanità.
- Il tempo farà ragione delle nostre differenze - rispose l'altro
scienziato, il quale era appunto l'illustre Raspail III, inventore
dell'alimento omeopatico. - Ma i tuoi sofismi non possono
distruggere nel mio cuore la compiacenza che io provo in questo
momento!
In meno di un quarto d'ora, i ragazzi aveano infatti esaurita la
loro provvisione di pillole; e buona parte dei forestieri, confortato
lo stomaco dai sughi efficaci, erano usciti dal Caffè, ciascuno col
suo rotolo di guttaperca sotto braccio, che doveva trasformarsi in
camera o in palazzo ammobigliato.
CAPITOLO VII - L'uomo alato di Fourrier.
Mentre Rousseau usciva dall'emiciclo, entravano dalla porta
Orientale tre nuovi personaggi, i quali dopo breve ricambio di
saluti, sedettero presso Raspail. Erano tre primati del dipartimento
francese: Virey, Michelet e Fourrier, celebri innovatori o piuttosto
trasformatori della scienza zoologica.
Michelet era seguito da due magnifiche tigri, sommesse e
docili come cani di Terranuova. Le due fiere dell'africano deserto,
ammansate da quella forza simpatico-magnetica che Dio ha dato
all'uomo quando lo istituì signore del creato, si sdraiarono sul
pavimento facendo sgabello del dorso ai piedi del potente
domatore. Alla vista delle ammirabili belve, quanti sedevano
nell'emiciclo si alzarono mandando un grido di sorpresa. Da oltre
dieci anni, i leoni, le iene, gli orsi ed altri animali, che ai tempi
andati si chiamavano feroci, soggiogati dal magnetismo e
raddolciti dalla educazione, viveano famigliarmente coll'uomo. La
sola tigre avea resistito alla potenza dell'elettrico animale,
sfidando il coraggio e l'imperiosa volontà dei più temerari.
Immaginate la meraviglia dei circostanti in vedere lo scienziato
distendere sbadatamente le gambe sui cuscini della pelle contratta,
e solleticare colla punta dello stivaletto gli irti mustacchi della
belva!
Se non che, a scemare l'impressione terribile di quella scena,
un altro fatto meno sorprendente, perché constatato da altre
esperienze, ma sempre interessante e giocondo, distrasse
l'attenzione dei curiosi. Un centinaio di augelletti d'ogni specie e
d'ogni colore aveano invasa la sala, e svolazzavano dai capitelli
alle cornici, dai ventilatori ai lampadari, cinguettando
festosamente. Fourrier levò lo sguardo, e sorrise coll'espressione
di chi risponde ad un cortese saluto con animo profondamente
addolorato. Poi trasse dalla bisaccia una elegante scatoletta ripiena
di semi odorosi - e gli augelletti a discendere tosto, beccare il loro
granello, e di nuovo sparpagliarsi nelle regioni più elevate.
Sulla fronte dello scienziato era una nube di tristezza. Raspail
se ne avvide, gli stese la mano, e coll'affetto dello sguardo gli
chiese il segreto de' suoi dolori.
- Il mio dolore non è più un segreto pei miei compagni di
viaggio - prese a dire Fourrier coll'accento della più viva
commozione, e accennava a Virey e a Michelet. - Pure io ripeterò
la confessione, perocché la mia anima ha bisogno di rivelarsi.
Nella sala si fece un silenzio solenne. Gli augelli ristettero e
cessarono dal canto.
- Colleghi, amici, fratelli - riprese Fourrier - la scienza genera
la superbia, e la superbia genera l'errore. Questa antica sentenza
oggi mi ricorre al pensiero nella sua verità più terribile. Seguendo
le orme d'un mio illustre antenato, io mi era prefisso di concorrere
alla rigenerazione della umana famiglia perfezionando
l'organizzazione fisica dell'uomo, facendo violenza alle leggi
istesse della natura. Ho consumata la giovinezza in lunghi e
pazienti studi, in esperienze terribili, che più volte mi costarono
dei rimorsi; ma l'idea fissa, irremovibile, l'idea dominatrice di tutti
i miei pensieri era quella di dare all'uomo una nuova facoltà, la
facoltà di volare come l'aquila delle Alpi, come il Condoro delle
Indie. Io mi ero detto: finché l'uomo non potrà elevarsi negli spazi
infiniti dell'aere, solo, per suo proprio impulso, senza dipendere
da meccanismi che richieggono il concorso di altri uomini;
indipendenza e libertà saranno aspirazioni vane, parole vuote di
senso. I palloni aerostatici, i vagoni delle ferrovie, i fili telegrafici,
le navi sottomarine, saranno mai sempre subordinati a quel
dispotismo sociale, che niuna legge può distruggere. Ove altro
non esistesse, rimarrebbe la tirannia del denaro, principio e fomite
di schiavitù. - Per compiere il volo di Dedalo, si vorrebbe denaro a
provvedere la cera e le piume; ali non si avrebbero senza il
soccorso di meccanismi costosi. Non sarà dunque possibile
modificare la conformazione fisica dell'uomo in guisa da fargli
spuntare in sulle spalle questo nuovo organo, che deve aprirgli le
libere vie del firmamento? Nel 1940, proposi il quesito ad una
assemblea di scienziati americani, - ed ebbi lo scherno per sola
risposta. Due anni dopo, passeggiando nel podere di un industre
colono di Strasburgo, questi mi fece notare una magnifica pianta,
sulla quale maturavano dieci qualità di frutti differenti, sicché
dall'un ramo pendevano le più belle pesche, dall'altro fichi
prelibati, qui grappoli d'uva, più in alto pere, e mandorle, e noci; e
tutta questa varietà di frutta era cresciuta sullo stesso tronco per
effetto di innesto ...
- Comprendo, - interruppe Raspail; - l'innesto dei vegetali ti
ha suggerito l'idea ... di tentare l'ugual prova nei regno animato.
- E l'idea era troppo logica perché io non mi affrettassi a
realizzarla; io, che da tanti anni non vagheggiava che una sola
speranza al mondo! ... Prima di tentare la prova nell'animale
ragionevole, feci parecchie esperienze sui bruti, le quali riuscirono
a meraviglia. Nell'anno 1945 non restandomi più alcun dubbio sul
risultato delle mie operazioni, presi in alloggio una villa a poca
distanza da Lima, e quivi, col soccorso di pochi amici e la
benedizione di Dio, produssi per la prima volta il grande
fenomeno dell'uomo alato. Due gentili bambini, che oggi amo con
cuore di padre, sottoposero le tenere membra al ferro incisore ... Le
lacrime ch'essi versarono in quel giorno doveano essere
compensate ad usura dal benefizio della libertà. Incisi le tenere
carni all'estremità della scapola, v'innestai prontamente le ali
ancora palpitanti di una colomba ... Chiusi la cicatrice con cera
vergine ed aromi glutinosi. I due bimbi, nutriti di sughi animatori,
per tre giorni rimasero in fasce ... Nel quarto giorno, al levarsi dei
lini, io vidi le ali agitarsi di novella vitalità ... Il ramo innestato non
poteva deperire ... Le due piccole creature, che mi stavano dinanzi,
avevano le forme dell'angelo immaginato dai cristiani.
Il tuono di una cannonata interruppe la conversazione di
Fourrier. - Era il primo segnale della pioggia. - Due minuti ancora,
e le valvole della gran macchina dovevano aprirsi ...
Tutti quanti si levarono per uscire dalla sala. Fourrier, dando
il braccio a Raspail e seguito dai colleghi, si condusse sulla porta
di occidente, proseguendo a narrare la sua istoria ...
I quattro scienziati, affacciandosi alla grande apertura che
dominava la piazza del Duomo, ristettero meravigliati.
Il terreno, i balconi, le muraglie, i tetti e gli orti superiori
delle case erano spariti. Da qualunque parte volgessero lo
sguardo, non incontravano che una folta selva di gente.
A un tratto la folla parve agitarsi come l'onda dell'Oceano ai
primi soffi della bufera. - Tutte le teste si levarono verso il
firmamento, le braccia e le mani accennarono - un milione di
cannocchiali si volsero a due corpi bianchi che nuotavano nello
spazio con moto discendente.
A quella vista Fourrier non potè trattenere un grido di gioia. -
Son dessi! - esclamò lo scienziato. - Le mie creature! ... Rondine e
Lucarino, i miei figli di adozione! ... Oh! mi perdoni il Signore la
colpevole diffidenza!
- Miracolo della scienza! - esclamò Raspail seguendo con
estatico sguardo i due giovani alati, che calavano rapidamente
sovra la maggiore aguglia del Duomo ...
- Io non aveva calcolato le ore del riposo - soggiunse
Fourrier ... - Questa fu la sola causa del loro ritardo! ...
- Ma donde vengono essi? Qual fu il loro viaggio? - chiesero
ad una voce i circostanti ...
- Presero il volo da Filadelfia ieri notte, due ore prima che io
partissi coll'aerostata La Hoeu ... Ma ecco! ... Vedete! han raccolte
le ali! ... Essi precipitano come due frecce! ...
Un grido si levò dalla folla ... Poi successe il silenzio terribile
dell'ansia repressa ... Fourrier con moto involontario appoggiò la
mano convulsa sulla spalla dell'amico, e levossi sulla punta dei
piedi ...
Il terrore fu breve ... I due pellegrini dell'aria, dopo una
discesa precipitosa di oltre mille metri, improvvisamente distesero
le immense ali ... e scherzando con leggerissimo volo intorno alla
cupola del Duomo, ristettero abbracciati sulla testa dorata della
Madonna ...
In quel punto il cannone della gran torre diede il secondo
segnale, che annunziava l'apertura delle valvole! ...
CAPITOLO VIII - La pioggia artificiale.
I cinquanta subalterni, che fino a quel momento erano
rimasti a guardia dei tubi ustorii, si diressero verso il centro della
cupola, e concentrando le loro forze intorno ai manubrii, fecero
scattare il coperchio della gran torre.
Allora fu udito un rumore simile al ruggito di mille Leoni; e
una densa colonna di vapore lanciossi verso il firmamento; e il
limpido azzurro si coperse di nuvole opache, divenne torbido e
fremente come un lago all'irrompere di torrente impetuoso.
Io non vi saprei descrivere l'effetto meraviglioso di quella
scena, e molto meno ritrarre le agitazioni, le impazienze, i terrori
del giovane Albani, il quale da una gabbia sporgente dalla gran
torre, aveva dirette le operazioni del pericoloso meccanismo; ed
ora, avvolto da una nuvola ardente, fra lo scroscio spaventevole
del vapore, somigliava ad Elia profeta, sospeso fra il cielo e la
terra sul carro di fuoco.
L'Albani combatteva l'ultima crisi di quella febbre che uccide
il genio col disinganno, o lo ravviva col successo.
Ma l'eruzione è cessata - le sorgenti inaridite - il cielo
plumbeo, opaco, minaccioso - gli augelli sorpresi dalla improvvisa
caligine, si smarriscono per l'aere mandando strida lamentose ...
La città si è dunque mutata in deserto? - Ma no - le vie, i
balconi, i tetti, le torri, gli alberi sono scomparsi sotto quest'onda
di popolo, che dall'agitazione rumorosa è passato d'un tratto
all'immobilità, al silenzio più solenne. Si direbbe che, a punire
questa titanica ribellione contro l'ordine della natura, Iddio abbia
pietrificato di uno sguardo l'umanità tutta intera.
Dopo dieci minuti di attesa terribile, l'Albani sentì piovere
sulla fronte uno gocciola refrigerante. Era la stilla invocata dal
dannato Epulone ... Il giovine levò al cielo uno sguardo più
eloquente di ogni parola ... e quello sguardo era l'inno di
riconoscenza, era l'omaggio dell'intelligenza subordinata, che
rimonta alla sorgente divina da cui emana e dipende.
Tutti i calcoli dell'Albani si erano avverati. Una pioggia
lenta, fresca, abbondante, simile in tutto alla pioggia naturale,
scendeva sulla terra a vivificare gli animali, le piante, i campi e le
onde. L'artista non potè contenere un grido di soddisfazione; ma
quel grido andò perduto negli applausi, nell'urlo di dieci milioni di
spettatori. Quando l'Albani abbassò lo sguardo con sublime
compiacenza per leggere su quella immensa superficie di teste
l'ammirazione dell'opera sua, le teste erano già sparite sotto uno
sterminato padiglione di ombrelli, ed egli potè sorridere, come
Dio, sulla umana debolezza.
Due ore dopo, per mezzo dei fili telegrafici, la riuscita del
nuovo meccanismo era annunziata agli estremi confini
dell'universo, e l'artefice prendeva il suo posto fra i primati
dell'intelligenza col nome di primo Albani.
CAPITOLO IX - La Confessione.
Al cader della notte, era cessata per l'Albani l'ebbrezza del
trionfo. La sua fronte si era nuovamente increspata di una ruga
profonda. Le memorie del passato, le trepidanze dell'avvenire
riprendevano imperiosamente il loro posto nell'anima del giovine.
Prevedendo il pericolo di una ovazione popolare, l'Albani salì
in una gondola volante onde uscire liberamente dalla folla.
Per due ore, il giovane artista si aggirò negli spazi dell'aere,
in preda a' suoi cupi pensieri. Il tempo era lento per lui. Le ore per
lui si svolgevano lente e terribili, come quelle del delinquente che
aspetta il giudizio degli uomini. Ma in quella meditazione, fosca e
lugubre come l'inferno, traluceva di quando in quando un raggio
di paradiso. La sua anima travolta nelle tenebre si riscuoteva al
suono di una voce melodiosa che gli diceva: l'amore di una donna
è il santo riflesso del perdono di Dio; per esso si cancellano tutti i
peccati e tutti i rimorsi dell'uomo.
- Bada di non iscostarti troppo dalla città - disse l'Albani al
conduttore della gondola. - A undici ore io debbo trovarmi sulla
riva del lago, presso l'antico Arco della Pace.
- Il gran faro cittadino segna le dieci e cinque minuti - rispose
il gondoliere dell'aere, volgendo gli occhi ad un immenso globo di
luce che sorgeva a poca distanza dalla cattedrale. - Colla mia
gondola potrei condurvi fino a Bergamo, e restituirvi alla spiaggia
per l'ora indicata
- Due ore di attesa! ... ancora due ore di incertezza ... di
terribile agonia! - mormorò l'Albani. - No, io non potrei reggere
più a lungo a questa lotta.
Poi, volgendosi di nuovo al gondoliere - ritorniamo alla città
- disse ad alta voce - alla contrada di Riparazione, numero
zero.
Mentre la gondola drizzava rapidamente il rostro
verso il faro cittadino, la fronte dell'Albani si andava
rasserenando, riflettendo le intime compiacenze di un'anima che
crede aver trovato il farmaco a' suoi dolori.
- Oh! troppo tardi mi è venuta questa ispirazione - pensava
egli. - Nelle perplessità, nei pericoli della vita, non mi ha egli
pregato di ricorrere a lui? Ed io ho potuto dimenticare le ultime
parole del mesto congedo, le promesse che ci siamo ricambiate
nel bacio dell'addio? Non fu egli il solo compagno, l'amico mio,
nel lungo pellegrinaggio di cinque anni? Quando gli uomini
scagliarono sul mio capo l'anatema e la morte, le sue parole
furono amore e speranza. Ogni volta che, estenuato dai patimenti,
dalla vergogna e dal rimorso, io cadeva a terra, invocando la fine
di una insopportabile esistenza, la sua mano mi rialzava
dolcemente, ed io sentiva rinascere le forze smarrite, io riprendeva
il coraggio al suono di quella voce santa che mi diceva: Prosegui,
l'espiazione cancella la colpa!
Mentre l'Albani era assorto in tali pensieri, la gondola,
oltrepassato il Faro cittadino sostava all'altezza di
duecento metri sopra il Quartiere di Misericordia
Il gondoliere, per riconoscere la contrada sulla quale doveva
calarsi, si pose agli occhi una chatvue,
Chatvue, in lingua cosmica significa il cannocchiale concentratore della luce, le cui lenti danno all'occhio
dell'uomo la facoltà di vedere nelle tenebre come veggono gli occhi del gatto. In italiano questo vocabolo potrebbe
tradursi visogatto
e dopo alcuni
minuti di esplorazione, diede moto a' suoi meccanismi, e scese
rapidamente nella via di Riparazione, toccando terra presso la casa
che gli era stata indicata.
Il giovane balzò dai cuscini, ed entrò nella casa senza dir
motto al conduttore. Questi riprese l'alto colla sua gondola, e
ristette sopra la porta ad aspettare che quegli uscisse.
L'Albani attraversò rapidamente la galleria terrena, o
piuttosto un viale di rose d'ogni colore e fragranza, rischiarato da
una luce artifiziale, in cui parevano fondersi il raggio melanconico
della luna e il vivace candore del mattino.
Ad incontrarlo mosse una donna vestita di tunica bianca, le
chiome raccolte in una reticella di perle e di topazi, splendenti
come foglie irrorate dal mattino. La tunica, chiusa sul petto da una
croce di diamanti, scendeva con ricca onda di pieghe fino
all'estremo dello stivaletto. Senza cintura, senza ornamenti. Lo
splendore dello sguardo, il vermiglio delle labbra, l'ebano delle
chiome, rivelavano la donna sotto la effige dell'angelo.
- Che cercate, o fratello, nella casa di benedizione? - chiese la
donna all'Albani con soavissimo accento.
- Io cerco - rispose il giovane con voce commossa. - io cerco
il predicatore dell'evangelo, che fra i ministri porta il nome di
fratello consolatore.
- Il ministro è assente - disse la donna - ma egli sarà di
ritorno fra poco. Noi dobbiamo uscire insieme per assistere ad una
cerimonia nuziale, che deve compiersi prima di mezzanotte in un
quartiere alquanto discosto dal nostro.
- Una cerimonia nuziale prima di mezzanotte! - esclamò il
giovane radiante di gioia ... - Dunque ... sarebbe vero? ... Fidelia
avrebbe acconsentito? ...
- Fidelia! ... Il nome che voi profferite - disse la donna - mi dà
a conoscere il vostro ... Voi siete l'Albani ... il fidanzato della mia
sorella d'amore! ... Venite! ... Affrettiamo gl'istanti della
consolazione, perocché sulla terra i dolori sono sempre
imminenti ... La vostra fidanzata è là, nell'intimo sacrario
del ministro, ad attendere quell'ora che voi avete prevenuta
coll'impaziente desiderio.
Così parlando, la sposa del ministro prese per mano l'Albani
e lo introdusse in una rotonda scolpita nell'alabastro, dove,
sovra un divano coperto di bianchi drappi, sedeva la figlia del
Gran Proposto.
L'Albani, al primo vederla, la credette una statua.
Ma le candide forme erano animate, la statua levossi in piedi,
e sciolse la voce:
- Amico! fratello! - esclamò Fidelia coll'accento della più
viva commozione. - E tu pure hai indovinato la strada più breve
per toccare la meta! I nostri cuori si attraggono!
L'Albani non potè profferire parola, e cadde alle ginocchia di
Fidelia.
- Poiché l'istinto del bene vi ha qui riuniti innanzi l'ora
prefissa - parlò la sposa del ministro - noi compiremo la cerimonia
in questo luogo. Fratello Consolatore sarà qui fra pochi minuti;
ma i minuti dell'uomo benefico sono preziosi agli infelici, e noi
che respiriamo la gioia, non dobbiamo usurpare i diritti del dolore.
Prima che il ministro ritorni, noi possiamo dar passo ai preliminari
della vostra unione spirituale Innanzi tutto, voi dovete
adempiere al dovere di confessione, a quel sacro dovere,
che ora non vuolsi più considerare, come ai tempi del
pervertimento curiale, una formalità ripugnante ed assurda, ma
sibbene un attestato di reciproca fiducia necessaria a guarentire la
vostra pace avvenire; io vi lascio, o figliuoli! Quando la vostra
confessione sarà compiuta, io verrò qui, col ministro, a benedire i
vostri legami di spirito!
La sacerdotessa pose la mano di Fidelia in quella del suo
giovane fidanzato, e uscì dalla rotonda.
Allora l'Albani, rimanendo genuflesso, la mano di Fidelia
stretta alle labbra, cominciò la sua confessione:
- Oh sì! Una santa istituzione è codesta, che ci obbliga a
rivelare tutte le nostre debolezze, tutte le nostre colpe, prima che il
giuramento d'amore sia profferito. Due cuori non possono amarsi
davvero se prima non si conoscano. Miserabile quell'uomo che
pretende affermare la fede della sua compagna colla
dissimulazione e coll'inganno! Ed era la mia una immensa
stoltezza di affidarmi ai rigori delle leggi umane perché tu avessi
ad ignorare il triste mistero del mio passato. A te dunque, o
giovinetta, che mi rivelasti il divino istinto del perdono; a te, che
assumendo la missione dell'angelo, hai steso la mano al caduto per
redimerlo dalla vergogna e dai rimorsi, io narrerò quella orribile
istoria ...
- No! ... basta! - interruppe Fidelia con un leggiero brivido di
terrore - la confessione non è obbligatoria. Io posso dispensarti
dall'accusare le tue colpe, prevenendoti col mio perdono. La
donna che si consacra ad un uomo per tutta la vita, non solo deve
assolvere il di lui passato, ma anche il di lui avvenire. In ciò la
donna è più sublime di Dio!
Così parlando, Fidelia chinò le labbra sulla fronte infuocata,
dell'Albani, e vi ristette con un lungo bacio. Poi ella fece un
movimento per levarsi in piedi e cedere il suo posto al giovane,
che tuttavia rimaneva inginocchiato.
- Mio fidanzato, mio fratello d'amore - riprese Fidelia con
dolcissimo accento - dispensandoti dalla confessione io mi sono
prevalsa di un mio diritto, ma non intendo perciò esonerarmi da'
miei doveri. Al contrario, io ti prego di acconsentirmi questo
sfogo dell'anima che la legge mi impone, perocché io sappia che
l'uomo non può gustare, nelle braccia di una donna, tutta intera la
voluttà dell'amore, quand'egli non sia ben certo che questa donna
non abbia mai appartenuto ad alcuno ...
- E potrei io dubitare della tua illibatezza? - esclamò l'Albani
trattenendo la giovinetta con dolce violenza. - Tutta la tua vita si
riflette nel tuo purissimo sguardo. Nella freschezza delle tue mani,
nella fragranza del tuo alito, nelle caste pieghe dei lini che
disegnano le tue membra, io respiro la vergine, indovino una
limpida fonte, a cui nessuno ha mai portato le labbra! La legge mi
comanda di proferire a mia volta la parola perdono; ed io,
per obbedire a questa legge, ti perdono la sola colpa che in te
riconosco, quella di aver amato un uomo immeritevole di
possederti.
I due fidanzati, nell'estasi di un lungo abbracciamento, non si
accorsero che la porta si era aperta, che non erano più soli.
Speranza e fratello Consolatore entrarono nella
rotonda.
Il ministro si accostò al due amanti per compiere la
cerimonia dell'unione spirituale colla formola prescritta dai canoni
religiosi.
- Io ti amo e ti amerò sempre! - disse l'Albani - mentre il
sacerdote univa la sua mano a quella di Fidelia.
La giovinetta replicò la promessa con tremula voce. E mentre
il ministro baciava in fronte i due sposi, dalla torre Garibaldi
partirono i primi squilli del richiamo delle vergini
La cerimonia era compiuta. I due giovani si levarono in
piedi. La sposa del ministro offerse il braccio a Fidelia, e tutti
quanti uscirono dal sacrario.
Appena sboccati nella via, l'Albani scosse la funicella che
pendeva dalla sua gondola, e il conduttore, svegliandosi al
suono dell'organetto acustico
L'organetto acustico fu inventato nell'anno 1959 per isvegliare i brumisti e conduttori di gondole
volanti Per legge municipale, a ciascun conduttore fu imposto di portare nel cappello l'ingegnoso meccanismo onde
evitare gli inconvenienti prodotti troppo spesso dalla sonnolenza briaca. Era un piccolo soffietto da cui partivasi un
tubo di gomma elastico posto in comunicazione coll'orecchio del dormiente. Una leggiera scossa della funicella
produceva un fischio tanto acuto da svegliare una marmotta.
calò a terra presso la porta.
CAPITOLO X - Petizione civile.
La cerimonia religiosa era compiuta; l'Albani e Fidelia erano
sposi dinanzi a Dio; la benedizione del sacerdote aveva santificato
il loro amore, affermati i desiderii e le promesse con vincolo
indissolubile; ma essi non potevano convivere sotto il medesimo
tetto prima di aver adempiuto alla formalità del contratto civile, Il
matrimonio delle anime non imponeva che alle coscienze - il
matrimonio civile stabiliva i doveri e i diritti dei coniugi,
legittimava la prole, si faceva riconoscere e rispettare dalla
famiglia.
- Ed ora, mia dolce Fidelia - parlava l'Albani alla sua donna
durante il tragitto aereo - bisogna affrettare il compimento della
nostra felicità ... Purché tu mi assecondi, purché non insorgano
ostacoli d'altra parte, fra un mese e tre giorni, lo squillo di
richiamo non avrà più forza di separarci ...
- Non è dunque compiuta la nostra felicità? - domandò
Fidelia con ingenua sorpresa. - Che altro ci resta a desiderare?
sono amata, e ti amo!
Questa sortita di Fidelia portò un leggiero turbamento
nell'anima del giovane.
- Tu sai bene, sorella mia - affrettossi a dire l'Albani - che noi
non abbiamo diritto di chiamarci sposi dinanzi alla società, fino a
quando la nostra unione non sia riconosciuta dalla famiglia.
- È vero! - mormorò Fidelia, e la sua parola parve un gemito.
L'Albani sentì crescere le ansietà.
- Che? ... tu dunque non dividi il mio desiderio?
- Poss'io desiderare altra cosa fuor quello che tu desideri? ...
Pure ... non aveva pensato ... non credeva che sì presto ...
- Spero di comprenderti, Fidelia! Io so bene che, fra giovani
amanti, il matrimonio spirituale quasi sempre suol precedere di
parecchi anni la unione civile. A diciotto, a venti anni, si stringono
i legami religiosi fra due cuori che si amano, ma difficilmente un
cittadino della Confederazione Europea si trova in grado di
passare alla conferma coniugale, prima di aver compiuto gli studi
universitari e gli esercizi dell'agro. Le fanciulle si compiacciono di
questi ritardi, ed è orgoglio per esse poter dire: il mio è
stato fedele per tanti anni senz'avere altri vincoli che quelli della
propria coscienza! E tu forse, mia buona Fidelia, tu vagheggiavi
questa prova di sentimento, che ha pure le sue dolcezze sublimi! -
Tu non riesci a comprendere perché io voglia sì presto rinunziare
a questa ineffabile voluttà che deriva dall'amore di una vergine. -
Se tu non mi avessi generosamente dispensato dal confessarti le
mie colpe, ora non avrei mestieri di spiegarti le mie impazienze.
Ti basti sapere che la mia giovinezza non trascorse. come quella
dei fratelli, nel severo esercizio degli studi, nell'operoso lavoro dei
campi. Io fui esentato dalla coscrizione agraria, per una
eventualità dolorosa ... che ormai debbo tacerti, poiché tu bramasti
di ignorarla. Quei cinque anni per me furono lunghi, segnati di
incredibili angosce; all'agro, il cittadino corrobora la sua
giovinezza; io, precorrendo le esperienze della vita, ho abbreviato
il mio avvenire. Che è mai l'esistenza di un uomo ai tempi nostri?
Per chi non esca dalla strada comune, la vita finisce a ventisei
anni, o a trenta, al più tardi. Per me, trascinato dalla sventura in
una carriera eccezionale, il mondo non ha più attrattive fuor quelle
della solitudine e dell'amore.
«In meno di dieci anni, noi apprendiamo tutta la scienza
vera - in meno di due mesi, per mezzo dei palloni aerei, noi
vediamo tutto il globo nella sua vasta circonferenza, noi
conosciamo i costumi di tutti i popoli; nulla più ci resta a sapere.
Io aspirava alla gloria, alla ricchezza - ed ecco, mi chiamano
primate dell'intelligenza, e l'invenzione del mio meccanismo per
la pioggia artificiale mi verrà pagata oltre dieci milioni. Tu vedi
bene, o Fidelia, che io non ho quindi più nulla a desiderare ... fuori
di te - che tu sola puoi riempiere l'immenso vuoto della mia
esistenza avvenire; che nel tuo aspetto soltanto io potrò leggere la
ragione della mia vita. - Sovvengati, o Fidelia! ... - e così parlando
la voce dell'Albani mutò improvvisamente di tono - che se mai un
ostacolo insorgesse fra noi, se qualche anima sleale ...
- Ma ciò non può essere, amico mio! - interruppe Fidelia
atterrita. - Poiché tu vuoi ... poiché io sono pronta a secondarti ...
poiché Iddio ci ha già uniti di un vincolo che vuolsi ritenere il più
sacro, il più indissolubile ...
- Ebbene ... domani vedrai pubblicata la mia domanda ... Per
un mese e tre giorni noi vivremo disgiunti, come impongono le
leggi di petizione. Fra noi ogni comunicazione sarà
sospesa ... E quand'io tornerò a Milano ...
- Quando tornerai a Milano ... la tua Fidelia avrà risposto alla
domanda come il tuo cuore desidera, come io pure desidero in
questo momento.
Il conduttore aveva fermata la sua gondola sopra la Cupola
maggiore del Piccolo Campidoglio - Erano cessati gli
squilli del richiamo.
- Presto! scendiamo! ... a sinistra ... alla casa del gran
Proposto.
I due giovani si abbracciarono, ripetendosi mille giuramenti.
Fidelia discese a terra, e l'Albani si elevò di bel nuovo colla sua
gondola, ordinando al conduttore di dirigersi al Palazzo di
Famiglia
Quivi giunto, l'Albani entrò nella sala d'amore e
richiesto agli anziani di guardia il libro di petizione
pubblica vi scrisse le parole seguenti:
«Io, Redento Albani, adulto, costruttore della macchina per la
pioggia artificiale, figlio di Primo Albani, inventore delle stufe
cittadine
Nella stagione invernale, in molte città dell'Unione si accendevano nelle principali vie, riparate da velarii trasparenti,
delle grandi stufe, le quali sviluppavano un calore temperato ed igienico.
chieggo legittimare con la cerimonia civile il
matrimonio religioso da me precedentemente contratto con la
adulta Fidelia Berretta, figlia di Terzo Berretta, Gran Proposto di
Milano.»
CAPITOLO XI - Due personaggi di tutti i tempi.
Quella mattina, il funzionario Torresani, Capo di
Sorveglianza della Famiglia Olona, fu svegliato innanzi tempo
da dodici squilli della campana elettrica.
- Caspita! - esclamò il vecchio balzando dal letto - il Gran
Proposto mi chiama di buon'ora ... Qualche cosa di serio! ...
E il Capo di Sorveglianza si gettò sulle spalle un mantello
grigio, si pose in testa un alto cilindro, poi, discese con passo
celere la Cava,
La Cava è la stazione delle ferrovie sotterranee che attraversano la città in vari sensi. Queste ferrovie sono
destinate al trasporto gratuito dei passeggieri e delle merci. È inutile avvertire che oltre alle ferrovie vi hanno anche
altre strade sotterranee, per comodo dei conduttori delle carriuole a mano e delle piccole vetture. Queste servono più
che ad altri, agli industriali ambulanti, i quali portano in giro oggetti voluminosi che sarebbero d'ingombro nella città.
e fece levare un espresso per
recarsi al Piccolo Campidoglio
Il Torresani era un uomo di circa sessantacinque anni, un po'
ricurvo, ma ancora vigoroso. La sua faccia ossea, bernoccoluta,
dura, affettava una giovialità poco rassicurante. I suoi occhi grigi
vibravano dai solchi profondi delle guance una luce sinistra - due
occhi, che tratto tratto si eclissavano, rintanandosi nelle palpebre
come due teste da serpente.
Cento anni addietro, quel pubblico funzionario si sarebbe
chiamato Commissario superiore di polizia ovvero
Questore.
Nel 1982, il titolo era mutato, ma le funzioni erano identiche.
La Polizia, la Questura, l'Uffizio di
sorveglianza furono e saranno una necessità di tutti i tempi.
Quando l'espresso venne a fermarsi presso la porta
intima del Piccolo Campidoglio il Gran Proposto
Berretta stava sulla soglia ad attenderlo. I due funzionari si
salutarono con un cenno democratico della mano, cui il Torresani
aggiunse un leggiero inchino della schiena.
I due pubblici funzionari entrarono in un gabinetto terreno. E
siccome un vecchio commissario di Sorveglianza (di polizia, se
meglio vi piace) non ha bisogno della vista magnetica per leggere
in quel viscere opaco che si chiama il cuore umano, al Torresani
bastò una rapida occhiata, un'occhiata da basilisco, per indovinare
il turbamento del suo superiore.
Il Gran Proposto si era tuffato con tutta la persona in una
sedia liquida
La sedia liquida è formata di cuscini di guttaperca ripieni d'acqua. Due cilindri congelatori
mantengono la freschezza al liquido racchiuso, mentre, d'altra parte, il calore della persona che vi sta seduta impedisce
la completa congelazione che la renderebbe meno soffice. Il sistema dei congelatori è abbastanza noto a chi
abbia veduto le macchine recentemente inventate per la formazione del ghiaccio artificiale.
i cui cilindri congelatori girarono con moto
rapidissimi. Egli stringeva nella mano una ampolletta di argento,
la quale a giudicarne dal timbro, doveva contenere il famoso
elisire di ambra distillata, il più potente moderatore degli sdegni
umani.
Quelle due circostanze non isfuggirono allo sguardo maligno
del Capo di Sorveglianza, il quale non era mai tanto felice come
quando poteva accertarsi che alcuno de' suoi superiori versasse in
gravi imbarazzi. Il Torresani era stoffa da impiegato. Per
dissimulare le proprie impressioni, egli si studiava di prendere
un'aria di bonomia che faceva a pugni col suo grugno sinistro.
Teneva gli occhi bassi - il labbro semiaperto - e preparava in sua
mente dei concettini, delle arguzie, delle banalità umoristiche,
tanto da prolungare un colloquio, dal quale prevedeva ottimi
risultati. Il Torresani voleva divertirsi a spese del Gran Proposto, e
cavare da' suoi imbarazzi il maggior profitto che per lui si potesse.
- Mio caro Torresani ... noi viviamo in tempi difficili! -
cominciò il Gran Proposto, dopo aver sorbito due o tre gocciole
dell'elisire moderatore.
- In verità - rispose l'altro - i tempi non sono facili ...
I due interlocutori si sbirciarono di traverso - e ciascuno
aspettava che l'altro riprendesse il dialogo.
Il Gran Proposto, dopo breve pausa, dovette intuonare una
seconda volta:
- Viviamo in tempi ... nefasti! ...
- Voi parlate come un giornale dell'opposizione,
eccellentissimo signor Proposto. - Moderate le vostre parole,
ovvero sarò costretto a registrare il vostro nome fra quelli dei
malcontenti, dei pregiudicati politici, dei settari, dei nemici
dell'ordine, di quei sciagurati che cospirano contro il migliore dei
Governi ... contro il Governo attuale ...
- Voi non mi avete compreso, ottimo collega - ed io mi
affretterò a chiarirvi il mio concetto; altrimenti, da quel fiero e
zelante impiegato ch'io vi conosco, voi sareste capace di farmi
arrestare al primo tumulto di popolo. I tempi sono difficili -
intendiamoci bene - difficili per noi, alti dignitari dello Stato,
rappresentanti della legge, e moderatori dell'ordine pubblico! ...
- Senza far torto alle sapientissime e ossequiatissime
istituzioni della serenissima Confederazione Europea, mi sia
permesso di soggiungere che, in ogni tempo, sotto qualsivoglia
Governo, gl'impiegati pubblici furono retribuiti meschinamente ...
Eppure ... come si fa? ... Bisogna stare col Governo! ... sostenere il
Governo! ... E guai se avessimo ad allentare le redini ... alla
canaglia! ... Nelle rivoluzioni, i primi martiri siamo noi ... Meglio la
mezza pensione del Governo, che non il congedo assoluto dei
popoli! ... Basta! ... Lasciamo andare questo lugubre argomento ... e
tiriamo innanzi alle mercé di Dio ... e dei nostri superiori!
Nel proferire quest'ultima parola, la voce del Torresani era
divenuta fioca e rantolosa, come quella di un infermo accattone.
- Vero ... verissimo ... quanto voi asserite - riprese il Gran
Proposto - i nemici naturali dei governanti sono i popoli
governati. Le leggi, per quanto eque e liberali esse sieno - non
cesseranno mai di rappresentare, nel giudizio del popolo,
altrettanti vincoli di schiavitù. Noi, che ne siamo gli interpreti e
gli esecutori, dobbiamo necessariamente subire l'odio delle
moltitudini ignoranti e depravate ... I popoli troveranno sempre dei
pretesti per cospirare contro il principio di autorità che si incarna
nei pubblici funzionari ...
- Negli uomini più eminenti della Nazione ...
- Dunque ... come voi dicevate poco dianzi ... noi dobbiamo
fare a gara nel sostenerci ... nel prestarci mano ... nel renderci
scambievoli servigi ... dobbiam stringere una alleanza compatta ...
- E solida ...
- Usare di tutti i mezzi ...
- Solidi ...
- Che sono in nostro potere, onde far fronte a questa
incessante reazione di popolo, che minaccia la nostra sicurezza
personale, i nostri averi, i nostri titoli, e perfino la nostra
tranquillità ... la nostra pace domestica ...
- Gran Proposto - interruppe il Torresani con una animazione
artificiale che somigliava ad un impeto di zelo - se dal mio infimo
gradino io posso qualche cosa per voi che sedete al più alto vertice
della Gerarchia Governativa, non avete che a proferire una parola,
ad emettere un ordine, perché anima e corpo, io mi adoperi a
vostro vantaggio ... Non dico per vantarmi, ma credo, nel
disimpegno delle mie attribuzioni, di avervi sempre dato prova di
intelligenza, di abilità e sopratutto di molto zelo.
- Voi portate gloriosamente il nome del Torresani - rispose il
Gran Proposto con accento solenne - epperò nelle emergenze
difficili, io ebbi sempre ricorso a voi, ed oggi più che mai faccio
assegnamento sul vostro ingegno, sulla vostra esattezza ...
Il Torresani si levò in piedi e portò la mano al cuore
esprimendo la più rispettosa divozione. Poi, ricomponendosi nel
pieritto, fissò in volto il Proposto con tutta la malizia dei
suoi due occhi da serpente.
Il Gran Proposto portò alle labbra l'ampolla dell'elisire, la
sorbì fino all'ultima stilla - indi riprese con calma:
- Voi siete padre di famiglia, mio caro Torresani ...
- Colle istituzioni attuali, ciò non porta imbarazzi ... I miei
dodici figli sono mantenuti a spese del Comune ...
- Fino a quando la prole fu a carico dei genitori, gli affetti
erano meno vivi, meno intensi ...
- E i figli più scarsi di numero ...
- La vostra osservazione è profonda, ma non serve al caso
mio - rispose il Gran Proposto alquanto turbato. - Iddio non ha
voluto gratificarmi di una prole numerosa quanto la vostra. Ebbi
una sola figlia, e tutti i miei affetti, tutte le mie speranze si
concentrarono in essa. Voi la conoscete - mia figlia, che all'ultimo
Concorso di Napoli
Il Concorso di bellezza è una istituzione del ventesimo secolo, la quale ha per iscopo il miglioramento della
specie umana. Tutte le giovani donne appartenenti alla Unione Europea dai diciotto ai venticinque anni possono
presentarsi ai Concorsi annuali che hanno luogo nelle città più importanti dei singoli Dipartimenti. Una
Commissione composta di cento matrone scelte dalle più illustri e rispettabili famiglie del Dipartimento, esamina e
giudica le prerogative delle singole concorrenti, decretando premi per maggioranza di voti. Le ragazze premiate al
Concorso sono le più ricercate da chi aspira alla vita coniugale. Questa istituzione ha raddoppiata nelle giovani donne
del ventesimo secolo la cura della propria bellezza, assai meno osservata nei secoli addietro pel sotterfugio troppo
comodo delle lunghe gonnelle e del crinolino.
ha ottenuto il secondo premio di
bellezza - una figlia amorosa, buona, che tutti i padri m'invidiano.
- Voi sapete ancora che da molti anni ho perduto la moglie; che io
non ho sulla terra altro bene, altro conforto ai vecchi giorni fuori
della mia Fidelia ...
- Se non m'inganno, la vostra Fidelia deve aver compiuto i
diciannove anni ... Ella è nata nel 1963, all'epoca in cui ebbi
anch'io una figlia ... una figlia che si chiamava Stella ... no ... mi
inganno ... Giacinta ... o piuttosto Camelia ... Questi tre nomi
c'erano nella famiglia ... e so di averli iscritti ne' miei registri ... Ah!
voi siete un padre fortunato, signor Proposto ... Avete potuto
tenere presso di voi una figlia per diciannove anni, mentre a me,
de' miei dodici, non ne rimane più uno. Le mie ragazze, quale a
sedici anni, quale a dodici, quale a dieci, se ne andarono al quinto
cielo coi palloni a vapore; e quando una ragazza abbia fatto la sua
prima corsa in pallone, domando io chi può fermarla!
Il Gran Proposto si fece pallido in viso.
L'altro, che già cominciava a comprendere il segreto del suo
turbamento, riprese, nel sembiante e nelle parole, il suo fare più
ingenuo.
- Il vostro esordio, onorevolissimo Gran Proposto, mi
darebbe a credere che voi pure abbiate dei gravi dispiaceri nella
vostra famiglia privata
- Tanto gravi, che quelli della famiglia pubblica, e sono pure
ingentissimi, al paragone mi sembrano inezie.
- Se ciò è, mi spiace, onorevolissimo Gran Proposto, che io
non sarò in grado di giovarvi come avrei desiderato.
- Al contrario ... Non solamente voi siete in grado di prestarmi
aiuto, ma fuori di voi, non avvi persona al mondo sulla quale io
possa contare nel terribile frangente in cui mi trovo.
Il furbo Torresani sapeva già tutto, ma proseguiva a fare
l'attonito.
- Voi ... senza dubbio ... avrete letto i giornali di ieri sera -
disse il Gran Proposto con un largo sospiro - voi saprete la notizia
pubblicata dal Figaro, organo uffiziale dei matrimoni, la
notizia ... che oggi corre sulle labbra di tutti ...
- Ah! ... To! ... Veh! ... La gran testa d'oca ch'io sono ... ! E dire
che io mi era già scordato ... Vedete se la politica ci rende
imbecilli ... ! Perdonate se io non mi sono affrettato a rivolgervi le
mie congratulazioni.
- Grazie, onorevole collega! ... Grazie! Non è il caso di farmi
delle congratulazioni, ma piuttosto di condolervi ...
- Che? ... vediamo un poco se ci intendiamo! - proseguì il
Torresani abbandonandosi ad una loquacità che escludeva ogni
interruzione. - Io voleva alludere alla petizione di matrimonio
inoltrata dal cittadino Redento Albani, dal celebre inventore della
pioggia artifiziale, in favore di vostra figlia ... Figuratevi, Gran
Proposto, qual fu la mia sorpresa ieri sera ... sì ... ieri sera ... al
teatro degli Automi ... voi sapete ... a quel vecchio teatro che
un tempo si chiamava della Scala, e che oggi serve agli spettacoli
automeccanici delle grandi marionette. Io vado ogni sera a quel
teatro, vi ero abbonato da ragazzo, fino dai tempi in cui vi si
rappresentava l'opera in musica ... Che volete ... ? Siamo milanesi ...
e quindi ... per indole ... per educazione ... fors'anche per influenza
di clima ... un po' abitudinari. Una sera, invece dei soliti cantanti,
delle solite ballerine, ci hanno dato le marionette ... Io, e i miei
coetanei, piuttosto che abbandonare la nostra sedia fissa, il nostro
palco di quarta fila ... piuttosto che allontanarci dal nostro vecchio
centro, ci siamo accontentati di quel nuovo spettacolo ... e vi
assicuro ... Gran Proposto ... che ci si diverte di cuore, e che la
vecchia Scala è tuttora il primo teatro del mondo.
Il Gran Proposto sbuffava, ma non ardiva interrompere quella
foga di parole. Il vecchio Torresani tirava innanzi con una
facondia inesorabile.
- Or bene - voi conoscete il nuovo sistema dei sipari adottati
recentemente nei grandi teatri - voglio parlare del sipario-
giornale che suol calarsi dopo il secondo atto della
rappresentazione. Su quella vasta tela sono stampati, a grandi
caratteri, i dispacci più importanti della giornata e buona parte
delle notizie cittadine. Figuratevi dunque la mia sorpresa ... la mia
commozione ... la mia gioia ... quando, ieri sera, volgendo il mio
binoccolo al sipario-giornale, potei leggere la petizione del
cittadino Albani, riprodotta testualmente dal foglio uffiziale dei
matrimoni. Oh! vi assicuro io, onorandissimo Gran Proposto, che
quelle poche linee produssero una viva sensazione in tutta la
sala ... Tutti si compiacevano della vostra buona fortuna ... Tutti
dicevano che un partito migliore non poteva presentarsi a quella
cara, a quella buona, a quella adorabile figliuola ...
- Basta così! basta, Torresani! - proruppe il Berretta balzando
dalla sedia liquida - ciò che voi narrate è troppo inverosimile ... ! Io
non posso credere che voi, che un uomo qualunque dotato di sana
ragione possa congratularsi meco di un tale avvenimento con
sincerità di cuore.
Il Torresani portò le mani al petto e stravolse gli occhi, come
uomo che chiegga perdono di un fallo involontario. Nel fondo
dell'anima egli tripudiava di aver prodotta nel suo superiore quella
impetuosa irritazione.
- Torresani ... mio vecchio collega! - riprese il Gran Proposto
con accento più moderato - mettete una mano sul vostro cuore di
padre ... e poi rispondetemi ciò che esso vi detta. Dareste voi in
moglie la figlia vostra, l'unica vostra figlia, ad uomo come ... lui? ...
- In verità.., giudicando dietro i calcoli dell'interesse ... un
primate dell'intelligenza ... un uomo che può guadagnarsi dieci o
quindici milioni di lussi colla sua invenzione ...
- Torresani ...
- Sentiamo ... dunque ...
- Parliamoci da buoni colleghi ...
- Da fratelli ... se vi piace ...
- Come si poteva parlare ... ai nostri buoni tempi ... ai tempi
dell'Unione latina ...
Il Gran Proposto parlava con voce commossa, con accento
supplichevole:
- Conoscete voi tutta intera la biografia di questo uomo ... che
osa chiedere in moglie la mia Fidelia ... ?
- Nella mia qualità di Capo di Sorveglianza, io dovrei
conoscere tutti i cittadini che entrano nel circuito del mio
Dipartimento; ma pure, dopo l'attivazione di quella malaugurata
locomotiva dell'aria, vi confesso, onorevole Proposto, che mi
riesce oltremodo difficile assumere su tutti delle informazioni
complete ...
- Non vi ricorda come or fanno cinque anni e pochi mesi, un
giovane, che a quell'epoca si chiamava Secondo Albani, fosse
implicato in un processo ... in un processo ... che fece inorridire la
città tutta intera ... ? io spero che voi m'intendiate ... che non vorrete
obbligarmi ad esporre certi fatti ...
- Fatti ... orribili ... atroci ...
- Voi dunque ... vi sovvenite ... ?
- In verità ... nella mia qualità di cittadino ... io dovrei ...
- Comprendo i vostri scrupoli, mio eccellentissimo ...
- Un capo di Sorveglianza ...
- Deve necessariamente tener nota di certe precedenze ...
- Le quali, in caso di recidiva, o di sospetto ...
- Potrebbero fornire ... argomenti ...
- E servire come prove o titoli aggravanti ...
- A meraviglia ... ! Io vedo che non occorrono altri discorsi ...
Voi siete una perla d'impiegato.! ...
- Gran Proposto, voi mi onorate di troppo!
I due funzionari si alzarono come due automi, si
ricambiarono un profondo inchino, poi ripresero il loro posto.
Dopo breve silenzio, il Berretta uscì fuori con una domanda
risoluta, colla quale egli sperava abbreviare quel disgustoso
colloquio.
- Torresani! ... Io farei torto al vostro acume, alla vostra
perspicacia, e, aggiungiamolo pure, alla vostra provata amicizia,
se mostrassi dubitare che voi non abbiate ancora indovinato ciò
che io bramo da voi. Siete voi disposto ad assecondarmi? ...
- Quanto all'assecondarvi - rispose il Capo di Sorveglianza
con un accento di sommissione che fece rabbrividire il Gran
Proposto - voi sapete che un misero impiegato di seconda classe,
quale io mi sono, deve necessariamente subordinare la sua volontà
a quella degli alti dignitari dello Stato ... Vi ho già detto che, su
questo punto, fra noi non può esistere difficoltà di sorta ... Tutto
sta che io abbia realmente compresa la situazione vostra, e in
conseguenza le vostre intenzioni ... Io non vorrei offendere la
vostra delicatezza di cittadino ... parlandovi con soverchia libertà ...
Il Gran Proposto arrossì leggermente. L'altro proseguiva:
- Basta! Nel caso mi fossi ingannato ... oso sperare che non
vorrete prendere in mala parte le mie supposizioni., e vorrete
perdonarle come effetto di zelo soverchio.
Il Torresani fissava le sue grigie pupille nel volto del Gran
Proposto, e tirava innanzi con voce asmatica:
- Eccovi dunque come io la intendo, onorandissimo e
colendissimo cittadino Proposto. Voi non bramate che vostra
figlia, la vostra unica figlia, si unisca in matrimonio a
quell'emerito cittadino, oggi Primate d'intelligenza, che porta il
nome di Albani Redento, e ciò per la ragione, un po' illegale, se
vogliamo, ma pure assai potente sul cuore di un padre, che quel
cittadino, quel Primate, l'Albani in una parola, in epoca non
remota, pose ... la famiglia tutta intera ... e quindi anche voi ... noi ...
tutti quanti ... nella necessità di dover dimenticare certe sue
azioni ... Basta! ... Tanto io che voi, onorandissimo e sempre
colendissimo Proposto, siamo troppo fedeli osservatori della legge
per insistere su quest'ombra di reminiscenza!
- Bravo!
- L'essenziale è di impedire il matrimonio, opponendo alla
petizione del giovane, ed al probabile assenso di vostra figlia, il
veto paterno che le leggi rendono inesorabile ogni
qualvolta sia appoggiato da gravi ragioni, e convalidato dal voto
degli Anziani.
- Voi leggete nel mio cuore, o nobile amico.
- La lettura è un po' difficile, ma le vostre lodi mi
incoraggiano. Non potendo motivare il nostro veto su quelle tali
precedenze che tanto io ... come voi ... abbiamo dimenticato ...
- E dimentichiamo ...
- Sta bene! ... Convien frugare nella vita più recente del nostro
uomo, vedere se dopo l'epoca di Redenzione egli non siasi
per avventura macchiato ...
- Torresani! ... Voi siete un sublime Questore ... !
- Capo di sorveglianza - se vi piace! ...
- Perdonate! - la parola mi è sfuggita in un impeto di
entusiasmo ... È un lapsus linguæ che vi onora ... Torniamo
al nostro ... uomo.
- Fra la petizione e il contratto finale di matrimonio, giusta le
vigenti leggi (capitolo centosettanta, paragrafo novantotto) deve
trascorrere un mese ed un giorno, nel qual tempo i due
futuri devono vivere separati da una distanza di sessanta
miglia, né avere fra loro comunicazione di sorta. - È una
dilazione di prova che impone dei rigorosi doveri ...
- Dei doveri che molto spesso vengono obliati dall'una parte
o dall'altra, nella quasi certezza che nessuno ne tenga conto ...
- Si esigerebbe dunque ... per parte nostra ... un po' di
sorveglianza ...
- Molta sorveglianza ...
- Una sorveglianza perenne, insistente, minuziosa ...
- Importuna ...
- Irritante ...
- Accanita ...
- Accanita! ... Ecco la vera parola, onorandissimo signor
prefetto ...
- Gran Proposto ... se vi piace! ...
- I lapsus linguæ son contagiosi ... Vi chieggo mille
perdoni! ...
- In un mese ... anche l'uomo più onesto può commettere delle
azioni ...
- Nefande! ... Il giusto pecca sette volte all'ora, dicono i preti
riformati, i preti della vecchia portavano la cifra a settanta
volte sette! ...
- Voi dunque credete? ...
- Io credo che in due linee di scritto si trovino sempre dieci
capi di accusa per far condannare un imbecille, così l'uomo il più
astuto, e diciamolo pure, il più onesto, dopo un mese di
sorveglianza fatta a dovere ...
- Fatta da voi, mio buon Torresani ...
- O da' miei incaricati ...
- È un uomo posto fuori dalla legge ...
- Un uomo ... impossibile!
Il Gran Proposto e il Capo di Sorveglianza si levarono in
piedi con moto simultaneo, e si strinsero la mano come due
cospiratori.
- Io sono orgoglioso di avervi perfettamente indovinato -
disse il Torresani con affettata compunzione. - Ormai ogni altra
parola sarebbe superflua; convien mettersi in moto e agire
prontamente ... Il nostro uomo è partito per Costantinopoli; di là,
fra una settimana, dovrà recarsi a Pietroburgo ... Prima ch'egli ci
sfugga, bisogna mettergli a fianco due dei nostri ... due buoni
bracchi dei meglio addestrati a simili imprese ... Scriverò
privatamente a tutti i Capi di Sorveglianza dei principali
Dipartimenti della Confederazione ... Insomma, non
risparmieremo né cura ... né danaro ...
- A proposito ... Io mi scordava dell'essenziale - disse il Gran
Proposto, trattenendo Torresani che prendeva le mosse per
andarsene. - Per compiere il vostro piano, vi abbisogneranno
senza dubbio dei mezzi straordinari ... Via! che serve? ... Facciamo
le cose a dovere ... No! io non vi lascio partire ... se prima ... non
dichiarate ...
- Ma se vi dico che sono inezie! Trattandosi di voi ... della
vostra famiglia ... a cui mi legano tante obbligazioni ...
- No! ... no! ... I fondi segreti debbono servire a qualche cosa ...
Ed è appunto in tali emergenze straordinarie ...
- Basta! poichè voi ... lo esigete ...
- Duecentomila lussi ... Che vi pare, Torresani?.,. Tanto da
cominciare le operazioni ...
- Io direi, poichè vi sta tanto a cuore la buona riuscita
dell'impresa, io direi che, seguendo l'antico proverbio: omne
trinum ...
- Trecentomila lussi! ... Ma voi siete troppo discreto, mio
vecchio collega! Trattandosi, come dicevate poc'anzi, di rendere
un immenso servigio ...
- Al Governo ...
Il Gran Proposto si sentì trafitto da quest'ultimo sarcasmo.
Prese la penna con mano tremante, sottoscrisse un bono di
trecentomila lussi, e lo porse al Torresani, senza aggiunger parola.
Questi chiuse il viglietto nel portafoglio, e, fatto un inchino
grottesco, uscì dal gabinetto.
Quella sera, nell'Unità mondiale altro dei fogli
dell'opposizione, leggevasi la seguente notizia cittadina:
«Stamane, fra il proconsole Terzo Berretta e il famigerato
poliziotto Torresani ebbe luogo un lungo conciliabolo a porte
chiuse, in seguito a importanti dispacci venuti da Berlino, e da
altri capoluoghi della Unione. Noi sappiamo da fonte sicura che il
partito governativo (il partito coda) sta tramando un orribile
complotto contro la libertà dei popoli. Il colpo di Stato, già tante
volte preconizzato da noi, è tanto imminente, che può dirsi un
fatto compiuto. All'erta cittadini! ... Popoli dell'Unione
preparatevi ad agire! ... »
CAPITOLO XII - Strategie di un Capo di Sorveglianza.
Il Torresani, dopo il suo abboccamento col Gran Proposto, si
recò all'Uffizio di Sorveglianza per procedere senza ritardo
alle operazioni richieste dal caso.
Il suo zelo fu adeguato alla importanza della missione; ma
forse egli non sarebbe riuscito ad appagare pienamente i desideri
del suo superiore, se la fortuna non lo avesse singolarmente
favorito.
Erano trascorsi quindici giorni dacché l'Albani aveva lasciato
Milano per recarsi a Costantinopoli e quindi a Pietroburgo, e il
Torresani, che aveva mandato sulle sue tracce una mezza dozzina
de' suoi segugi più fidati per spiare ogni sua azione, ogni suo
movimento, non aveva ancora ricevuto alcun dispaccio
soddisfacente.
Il vecchio Capo di Sorveglianza già cominciava a dubitare
della buona riuscita del suo piano strategico, quando un incidente,
che a prima giunta non pareva avere alcun rapporto coll'affare che
tanto gli stava a cuore, venne inaspettatamente in suo soccorso.
Una mattina, mentre il Torresani se ne stava, come al solito,
nel suo gabinetto, a decifrare i dispacci arrivati nella notte, un
esploratore di alto cielo
Uffiziali di Sorveglianza, specialmente incaricati di tener d'occhio le navi aerostatiche.
venne a riferirgli che una
volante di terzo ordine già da parecchi giorni stazionava al
disopra della città, mantenendosi ancorata ad una elevatezza
molto sospetta.
Quella volante, a dire dell'esploratore, presentava una
struttura singolarissima.
Il gran pallone, di colore azzurrognolo, diafano, terso come
cristallo, rifletteva siffattamente la tinta atmosferica, che in quella
si fondeva, si smarriva, rendendosi quasi impercettibile. La
navicella era chiusa, immobili le ruote, la coda timoniera
costantemente abbassata; non sibilo, non fumo, nessun indizio che
il cavo contenesse degli abitatori.
Più volte l'esploratore aveva veduto una gondola cittadina
elevarsi in quella direzione, e poi disparire, come se il grande
veicolo l'avesse assorbita.
Queste ascensioni erano avvenute ad ora molto avanzata
della notte, e la gondola cittadina, in onta alle prescrizioni, si era
slanciata nell'aria a fanali spenti. L'esploratore due o tre volte si
era provato ad inseguirla, ma al momento di raggiungerla,
improvvisamente il suo chatvue si era annebbiato, e le
ruotelle del suo brik aveano preso a girare in senso
retrogrado.
Il vecchio Torresani ascoltò la relazione del suo
subalterno senza dar segno di meraviglia. Uscì dal
gabinetto, accennò all'altro di seguirlo, e tutti due salirono sulla
gran torre che dominava l'intera città.
Quivi giunti, il Capo di Sorveglianza avvicinossi ad un
immenso aereoscopio,
Cannocchiale per l'esplorazione delle locomotive aeree.
e volgendosi all'esploratore: - sai tu
indicarmi - gli disse - in qual punto stazioni la nave sospetta?
- Tirate una retta fra Venere e Marte; dividetela in otto
sezioni perfettamente uguali; alla quinta metà dell'ultima sezione
d'ovest, abbassate un triangolo, e al lato a, b, c. troverete la
nave.
- Sta bene! - mormorò il Torresani incurvato sotto il
poderoso cannocchiale.
In quel momento il vecchio Capo di Sorveglianza somigliava
ad un ragno, e parlava con voce chioccia, com'egli temesse di
essere udito al di sopra delle nuvole.
- Ecco! appunto una nave di terzo ordine a distanza di mille e
novecento metri ... Presto! ... Applichiamo alla lente la nostra
camera oscura ... fotografiamo! ... Ah! La nave si muove ... !
Mutano di posto ... ! se ne vanno! ... Via! non serve correr tanto,
signori miei! Vi ho conosciuti, vi conosco ...
- Che! ... a tanta distanza, voi avete potuto riconoscere le
persone che sono là dentro! - esclamò il subalterno spalancando
due grossi occhi da imbecille.
Il Torresani gettò su lui uno sguardo pieno di sarcasmo e di
commiserazione.
- E tu, imbecille, non hai ancora capito che razza di gente sia
quella, che mostra tanta paura del nostro cannocchiale?
- Gente sospetta ... capisco anch'io ... - balbettò il subalterno
colla persuasione d'aver fatto una grande scoperta.
- Ah! quei signori tu li chiami gente sospetta, imbecille! Di'
piuttosto canaglia della peggior specie, furfanti, bricconi, ladri,
barattieri, e ignoranti, presuntuosi, che credono sottrarsi al rigore
della legge ... che pretendono corbellare il vecchio Torresani!..,
Presto! ... Scendiamo abbasso, lumacone! ... Lascia in pace quel
l'ordigno maledetto ... Dire che i primati dell'ottica non
hanno ancora trovato il modo di fornirci un aereoscopio,
che si possa nascondere fra i polpastrelli delle dita ... Non importa!
Abbiamo altre risorse ... I birboni della scienza favoriscono le
ladrerie e le truffe: ma fortunatamente ci porgono mille mezzi per
discoprirle e punirle ... C'è progresso da ambe le parti, signori
garbatissimi! Peccato che gli statuti dell'Unione non ci
permettano di violentare i cittadini! ... Le manette, la prigione, la
forca, quelli erano espedienti efficacissimi per tutelare l'ordine
pubblico! ... Nondimeno, parola da Torresani, fra pochi minuti io
farò vedere a quei pirati di alto cielo, che anche noi siamo in
grado di far rispettare le leggi e di imporre alla canaglia! ...
Così parlando, il Capo di Sorveglianza giunse nella sala di
diramazione, dove, appena entrato, fece scattare una molla,
la quale, per varii fili elettrici, era in comunicazione coi principali
dipartimenti del palazzo.
Le pareti oscillarono, e dopo alcuni minuti, si apersero nei
quattro lati della sala parecchie porticelle numerizzate, e a
ciascuna porticella affacciossi un individuo, portante la divisa dei
subalterni di sorveglianza.
Il Torresani salì sovra un pulpito e prese a diramare i
suoi ordini.
- Numero uno: convocare i duecento nella sala di
magnetismo, e arrestare nel termine di dieci minuti la nave
sospetta. - Numero due: recarsi da Duroni, e far ritrarre la nave in
ventiquattro copie, dodici a fotografia colorata, dodici a fotografia
ponderabile.
La fotografia ha fatto immensi progressi nel ventesimo secolo. Il ritratto ponderabile non solamente
riproduce un oggetto, ma è tale, che decomposto chimicamente, fornisce i dati necessari a misurarne il volume e la
gravità, nonché a conoscere la sostanza di cui esso si compone. Una volta determinata la distanza fra l'oggetto che si
ritrae e la macchina fotografica, calcolata la diminuzione proporzionale che da questa distanza risulta nell'effige, è assai
facile con un calcolo aritmetico stabilire il volume reale dell'oggetto riprodotto. Il medesimo calcolo serve anche per la
misura dei pesi. Posto che la sostanza di una nave fotografata, sottoposta alla ponderazione dei chimici, non pesi in
tutto che quattro once, questa cifra moltiplicata in ragione della distanza e delle conseguenti sproporzioni fra l'effige e
l'oggetto, vi darà il peso reale e positivo che voi bramate conoscere.
- Numero tre: riferire il numero preciso delle gondole
stazionate nei diversi quartieri, e di quelle che tengono l'alto. -
Numero quattro: esaminare i tesseri dei singoli padroni di
gondole, portanti le note giornaliere dal dieci settembre fino a
questo giorno, e riferire l'itinerario di ciascun conduttore.
Ciascun subalterno, appena scoccato l'ordine, scompariva
come fantasma, gli altri rimanevano in sentinella alle porte ad
attendere i cenni del Capo.
Dopo un quarto d'ora di attesa, il numero due entrò
nella sala, e depose sul pulpito del Torresani ventiquattro cartoni,
sui quali era disegnata la nave volante.
Il Capo di Sorveglianza gettò una rapida occhiata sulle
fotografie, indi rispose:
- Numero cinque: prendete una copia di questo disegno, e
compite sollecitamente l'ispezione di raffronto.
- Numero sei: portate quest'altra copia nella sala di chimica
onde sia ponderata e decomposta. - Numero sette: a voi quest'altro
cartone! fate l'inventario dei mobili, degli attrezzi, degli accessorii
che appariscono alla superficie della nave. - Numero otto:
verificate se da qualche finestra o pertugio apparisce alcun
frammento di figura umana, una testa, un naso, un orecchio, una
gamba, non importa! riportatemi quei frammenti centuplicati di
proporzioni.
Per alcuni minuti, fu nella sala un andirivieni di subalterni.
Il Torresani, dall'alto del suo pulpito, non cessava di
impartire ordini a questi e a quelli. I suoi occhi grigi mandavano
faville.
In termine di mezz'ora, i documenti più essenziali erano
raccolti. Il Torresani li esaminava, li confrontava
con feroce compiacenza. Le sue labbra, frattanto, non
cessavano di brontolare una specie di monologo, dal quale
spiccavano tratto tratto degli ordini, delle interrogazioni, e più
spesso dei grugniti di piacere.
- Voi dicevate, subalterno numero uno che i vostri
duecento magnetizzatori hanno durato molta fatica a trattenere la
nave per dieci minuti, vuol dire che abbiamo delle volontà
deboli fors'anche dei contrari, dei traditori, che
mangiano la pensione del Governo e servono ai cospiratori ... Non
importa ... I cinque minuti hanno bastato al Duroni per darmi delle
buone fotografie ... La nave è di costruzione americana, porta il
numero 2724, probabilmente un numero falso ... Nel gran catalogo
delle navi volanti ne abbiamo trovato una perfettamente identica a
questa ... Lo stesso disegno ... la stessa forza ... lo stesso peso ... non
c'è dubbio ... Ah! ah! ... Questa nave fu fabbricata a Rio Janeiro
dagli industriali Thompson e Stefany ... tre anni sono, e fu venduta
al Primate Michelet, il quale a sua volta la cedette al Bonafous pel
servizio della retta fra Milano e Pietroburgo. Ah! ...
comprendo ... ! I Bonafous, due anni sono, la cedettero ai Calzado,
fabbricatori di carte da giuoco a Madrid, poi ... poi ... Dacché i
Calzado vennero sfrattati dalla Unione, la nave scomparve
per due mesi, quindi fu riveduta e segnalata da parecchi
aereoscopi, dapprima a Torino, poi a Napoli, quindi a Parigi, più
tardi a Pietroburgo, a Berlino, a Lucerna. Confrontiamo le date di
queste apparizioni colla Cronaca criminale delle città nominate ...
Ci siamo ... ! Ecco ... ! Sta bene! ... L'avrei indovinato; a Torino una
sorpresa notturna alle guardie del tesoro reale; a Napoli una
sottrazione di monete antiche al pubblico Museo; a Parigi vincite
considerevoli al maccao per parte di un truffatore; a
Pietroburgo, a Vienna, a Lucerna altri fatti dell'egual genere ...
Dapertutto, l'apparizione di questa nave ha portato la truffa,
l'aggressione, il delitto ... Dunque io non mi era ingannato ... Là
dentro c'era un nido di briganti, di barattieri, fors'anche di
assassini ... E voi, signori uffiziali di magnetismo, non avete avuto
forza di trattenerli una mezz'ora, tanto che io potessi ottenere un
mandato di arresto eccezionale ... Basta! ... C'è ancora una
speranza ... Non tutti quei bricconi saranno partiti colla nave ... può
darsi che qualcuno sia rimasto fra noi ... Il Lissoni, proprietario di
gondole al quartiere del Macello pubblico, riferisce che uno dei
suoi conduttori, il nominato Bigino, per cinque notti consecutive
fece delle ascensioni fuori di torno, a fanali spenti. Eh! di là!
Numero quattordici! conducetemi tosto il Bigino! Egli è disceso
stamattina prima dell'albeggiare; non è improbabile che la sua
gondola abbia portato abbasso uno di quei gabbamondo ... E noi lo
conosceremo ... perdio! E s'io riesco a pigliar in mano un filo della
matassa ... giuro districarla in pochi giorni ... e vi prometto che
quella galera di birboni non farà, quindi innanzi, un lungo
viaggio! ...
Il Torresani accennò col dito a diversi subalterni, i quali
immediatamente gli si fecero appresso, per ricevere alcuni ordini
segreti.
Poco dopo, entrò nella sala il Bigino, conduttore di gondole.
CAPITOLO XIII - Un settario che osserva la legge.
- Bigino ... fatti innanzi! ... più innanzi! - cominciò con voce
alquanto aspra il Torresani. - Sul tuo tessero veggo notate quattro
trasgressioni dal primo d'anno a tutt'oggi ... Un'altra ancora, e
saremo autorizzati a levarti la patente di conduttore ... Ciò dipende
da noi ... dal nostro beneplacito ... Bada ora dunque a rispondere
con sincerità alle nostre interrogazioni; a tale patto soltanto noi
potremo usarti qualche indulgenza. Per tre notti consecutive,
contrariamente alle prescrizioni dell'Ufficio di Sorveglianza, tu ti
sei permesso di esercitare il servizio fuori di torno, e di prendere
l'alto senza accendere i fanali ...
Il Bigino, che posava dinanzi al pulpito in un'attitudine da
cinico petulante, crollò leggermente le spalle, e fissando i suoi
occhi avvinazzati in quelli del Torresani:
- Signor Questore - rispose - il servizio fuori di torno ...
com'ella può bene imaginare ... qualche volta diviene
obbligatorio ... sopratutto ... se gli altri colleghi di professione (ciò
che accade sovente ... ) dopo essersi sbarazzati del soffietto
acustico si addormentano della quinta, e caschi il mondo, non
scendono al richiamo. Quanto poi alla questione dei lumi, la colpa
non è mia, dacché ai fanali della gondola mancano quattro vetri,
ed ella sa meglio di me, signor Questore onorevolissimo ...
- Io non mi chiamo Questore, ma Capo di Sorveglianza ...
- La perdoni ... ! Noi altri milanesi siamo un po' duri a
imparare le parole nuove ... sopratutto se queste parole non
esprimano che idee antichissime ... e rappresentino delle istituzioni
altrimenti qualificate nei tempi addietro. Gli è già molto se
abbiamo potuto abituarci a denominare Questura ciò che nel
secolo scorso si chiamava Polizia ...
- Lasciamo andare queste inezie - rispose il Torresani con un
suo sorrisetto che aspirava ad essere ingenuo. - Bigino! ... Io so
bene che malgrado le tue irregolarità nell'esercizio della tua
professione, tu sei un buon figliuolo, un buon cittadino, ed
all'Università passavi anche per uno spirito pronto e illuminato ...
Tu conosci le leggi dello Stato e ne comprendi lo spirito e le
intenzioni. Tu sai che in un Governo ben ordinato, libero,
popolare, dove tutti hanno uguali diritti e uguali doveri, ciascun
cittadino che non renda testimonianza del vero contro i
malfattori ... che non cooperi ...
- Non serve studiare le frasi - interruppe il Bigino col suo
fare più bislacco. - In un governo ben ordinato, libero, popolare ...
tutti siamo in dovere di fare la spia ... !
- Tu profferisci una parola che in verità ... suona alquanto
sinistra ed antipatica alle masse ... ma pure ... ne convengo ...
- Via! parliamo giù alla meneghina! Rendere testimonianza e
fare la spia ... sono due frasi che si equivalgono perfettamente ...
Ma via! Non sgomentatevi, signor Questore. Io amo alquanto
bisticciare sulla elasticità del linguaggio umano e sulle
consuetudini dei tempi. Dopo aver compiuto il corso completo
nelle Università della Unione, anche a noi conduttori di
gondole è permesso di filosofare un pochetto. Del resto io vi
dichiaro, signor Questore, che fra i tanti doveri che opprimono i
liberi cittadini della Unione, questo di rendere
testimonianza per effetto di legge lo ritengo il più sacro. Per
incoraggiarvi, dirò di più. Io appartengo a quella setta di politici, i
quali si accordano nel principio che il mondo non sarà mai
perfettamente governato, fino a quando il potere esecutivo non
sarà nelle mani di tutti!
Il Torresani fece una smorfia sinistra.
Le ultime parole del conduttore di gondole rimescolavano
nella sua mente una terribile idea, una idea che era il tormento
delle sue ore inoperose, l'incubo delle sue notti più insonni.
Commissari di polizia, questori, capi di sorveglianza, non
sacrifichereste voi una metà del vostro stipendio per allontanare
questo orribile fantasma che vi grida eternamente con un milione
di voci: rivoluzione! ... mutamento di Governo! anarchia!? ...
Ma il vecchio Torresani riprese ben tosto la sua calma, e
fingendo di non aver compreso la minaccia del suo interlocutore:
- Bigino! - gli disse - poiché ti veggo sì ben disposto a
secondare l'autorità, nella quale, per ora, si concentrano i poteri
necessarii alla tutela dell'ordine pubblico, non dubito che tu vorrai
rispondermi con tutta schiettezza. Nelle tue ascensioni fuori di
torno, tu hai condotto delle persone sospette alla volante
stazionata da circa dieci giorni al disopra della città, portante
abusivamente il numero 2724.
- Persone sospette! ... Ecco delle parole molto elastiche e
molto abusate dagli antichi e dai nuovi rappresentanti dell'autorità
governativa. Sarebbe ormai tempo di sopprimerle, onorevolissimo
Questore. Il sospetto è il nemico più naturale della equità, ed è
quasi sempre il precursore della ingiustizia. Basta! A suo tempo
muteremo il frasario ... Io vi ho detto, onorevole Torresani, che
intendo adempiere al dovere di testimonianza con iscrupolosa
sincerità. Risparmiatevi dunque la pena delle subdole
interrogazioni, e lasciate che io esponga i fatti nella schiettezza
dell'animo mio. Il vostro metodo di inquisizione potrebbe
irritarmi, ed io sarei tentato di reagire con quelle medesime armi
che voi siete soliti adoperare in tali occasioni.
Il Torresani si morse le labbra, e ripensò ai tempi beati,
quando una osservazione di tal genere, indirizzata ad un
Commissario di Polizia, avrebbe valso all'inquisito due o tre mesi
di arresto.
Il Bigino, senza attendere altro cenno, si fece a narrare la sua
istoria:
- La sera dell'otto corrente, verso nove ore, uno sconosciuto
venne a patteggiare la mia gondola per una ascensione diretta,
eccedente l'elevatezza legale. Per altri mi sarei rifiutato; ma
l'individuo mi si diede a conoscere per un graduato della setta
equilibrista, ed io dovetti obbedire. Salimmo rapidamente, i lumi
si spensero, il mio uomo non fece parola durante l'ascensione; egli
governava il timone per dirigere la gondola, e frattanto girava
rapidamente il suo chatvue per esplorare gli spazi tenebrosi.
Giunti alla nave ancorata, egli stesso volle gettare gli uncini di
presa, e dopo avermi generosamente regalato, mi pregò di
attendere alcuni minuti. Poco dopo, quattro individui discesero
nella mia gondola, staccarono gli uncini, e mi ordinarono di calare
verso gli orti Balzaretti. Nell'atto di pagarmi, gli sconosciuti mi
imposero di tornare la sera appresso in quel medesimo luogo,
donde sarebbero ripartiti per l'alto colla mia gondola. Promisi e
tenni parola. A dieci ore della notte, io presi l'alto co' miei quattro
individui per risalire alla volante ancorata. Essi entrarono nella
nave; io, dietro loro richiesta, patteggiai di risalire la notte
seguente per tenermi pronto ad ogni cenno. Si fecero parecchi
viaggi ...
- Basta! - interruppe il Torresani, il quale durante
l'esposizione del Conduttore non aveva cessato mai di sfogliare i
documenti che erano ammassati nel suo pulpito - so quante volte
sei asceso, quante volte sei calato, e con quanti individui, e in
quali circostanze. Lodo la tua schiettezza, Bigino. Ma ora, per
abbreviare le formalità dell'esame, io ti prego rispondere alle
poche domande che sono per indirizzarti: Nell'ultima tua
calata, hai tu deposto in Milano qualcuno degli
abitatori della Nave?
- Uno.
- Il primo, forse, lo stesso che, la sera dell'otto, venne a
noleggiare la tua gondola, dandosi a conoscere per un graduato
della setta equilibrista ... ?
- Un altro ...
- Uno dei quattro ... ?
- Un individuo, che io non aveva mai visto, una persona
molto seria, molto interessante.
- E questa persona ... molto seria ... molto interessante ... ti ha
fatto promettere di tornare colla tua gondola ... a rilevarlo ... ?
- Al contrario, gusta volta io fui licenziato, e congedato
formalmente.
- Bigino! ... Un ultimo favore, poi ti lascio andare pei fatti
tuoi, senz'altra molestia: ti prego di salire un istante sul mio
pulpito ...
Il conduttore si avanzò verso il pulpito colle mani in
saccoccia, e giunto presso i gradini, si fermò come un ciuco restìo.
- Salite, dunque, cittadino fratello! ...
- Cittadino questore, io non amo i luoghi alti ...
- Tu! un conduttore di gondole volanti! ...
- Le gondole si elevano nell'aria libera; ma qui ... più si va in
alto ... e più manca il respiro ...
- Dunque, cittadino Bigino, tu vuoi proprio che il vecchio
Torresani discenda? ...
- Chi è salito discenda, chi è caduto si rialzi, tale è il motto
degli Equilibristi.
Il Torresani scese dal pulpito, e accostandosi al Bigino con
affabilità carezzante, gli pose sottocchio un ritratto fotografico.
- Conosci tu questa figura?
- È lui! ... quegli che la sera dell'otto richiese pel primo la mia
gondola ...
- Sta bene! Ed ora, sfogliamo rapidamente l'Album dei
pregiudicati; e vediamo se fra questi duecento ritratti tu puoi
riconoscere anche l'altro individuo che hai deposto in città
nell'ultima tua calata.
Il Bigino sfogliò rapidamente il gran libro, e poi crollò la
testa in segno negativo.
- Dunque egli non è qui? Osserva bene! Non v'è alcun figuro
qua dentro di tua conoscenza?
- Ho detto di no!
- Bigino! ... Tu hai parlato di una persona seria ...
interessante ... Non sapresti fornirmi altri connotati di
quell'uomo? ... Aspetta ... Bigino! ... Una idea! ... Colui è iscritto tra
gli affigliati alla setta degli Equilibristi! ... Vediamo un
po'! ...
Così parlando, il Torresani spiccò un salto verso il suo
pulpito, aperse un cassettino, ne levò un ritratto in fotografia, e
tornando presso il conduttore di gondole, glielo pose sotto gli
occhi.
Il Bigino guardò fissamente l'effigie, poi il vecchio Capo di
Sorveglianza che sorrideva maliziosamente, e obbedì alla voce del
dovere, che gli imponeva la testimonianza legale:
- È lui! ...
-Lui!!! - esclamò il Torresani - lui ... a Milano! ...
Ma il Capo di Sorveglianza non lasciò intravedere che un
lampo della immensa sua gioia. Immediatamente egli congedò il
conduttore, salì di nuovo in bigoncia, e adunati intorno a sé tutti i
subalterni che durante l'interrogatorio erano rimasti sulle
porticelle come altrettante cariatidi, riassunse con voce convulsa
le sue deduzioni:
- Nella volante incriminata si trova il famigerato Antonio
Casanova, altro dei graduati della setta di Equilibrio, ladro,
falsario, truffatore, barattiere da giuoco, già processato in
contumacia in due dipartimenti della Unione, privato d'ogni diritto
di famiglia, e oggimai posto fuori della legge. Gli agenti di
Sorveglianza hanno dunque sulla nave e sull'individuo il diritto di
cattura e di esterminio, del quale possono prevalersi in ogni tempo
e in qualsivoglia circostanza senza obbligo di intimazione. Il
Compartimento di complicità è incaricato di segnalare la
detta nave a tutti gli Uffizii dello Stato, trasmettendo a ciascun
Uffizio una copia fotografica del veicolo, col ritratto del reo
inassolvibile. Quanto poi all'altro individuo, parimenti affigliato
alla setta degli equilibristi secondo ogni probabilità
residente ora in Milano, noi possiamo constatare essere questi un
celebre industriale da pochi giorni elevato al rango dei Primati
dell'intelligenza, l'inventore della macchina per la pioggia
artificiale, noto attualmente sotto il nome di Albani Redento. Non
risulta dai nostri cataloghi verun delitto a di lui carico, ed essendo
l'Albani nel suo pieno diritto di percorrere ed abitare a suo
beneplacito tutti i dipartimenti della Unione, noi non ci terremo
obbligati ad esercitare su lui una speciale sorveglianza. Pure,
considerata la circostanza pregiudiziale di aver egli viaggiato in
un veicolo sospetto e in compagnia di uomini riprovati e
processati e condannati a tutto rigore di legge, credo opportuno e
prudente far seguire le sue tracce, e far sindacare le sue azioni da
quattro uffiziali di prevenzione, i quali verranno scelti fra i
più cauti e manierosi del compartimento. Questi quattro uffiziali si
pongano immediatamente sulle peste. L'Albani è proprietario di
una villa suntuosa, sulle sponde del canale Lariano, a venti miglia
dalla città. I nostri bracchi fiutino per quella parte, e troveranno il
loro uomo. Prudenza, discrezione, alacrità, rapporti celeri e
immediati! - Abbiamo inteso? Il processo è esaurito! ...
Il Torresani, dopo queste parole, toccò la molla di congedo, i
subalterni sparirono com'erano venuti, le porticelle si chiusero, e
la sala rimase deserta.
Poco dopo, il vecchio Capo di Sorveglianza spediva a
Pietroburgo un telegramma:
«Bolza, - sei un imbecille! - Albani è a Milano da otto giorni,
e tu l'hai veduto ieri a Pietroburgo; da questo momento ti metto in
disponibilità con un quarto di stipendio».
E subito da Pietroburgo un telegramma di risposta:
«Albani è qui; ho fatto colazione con lui stamattina al Caffè
Kertzel. Mettendomi in disponibilità commettereste un abuso di
potere, e la vedremo!
«Bolza».
Il Torresani, letto il dispaccio, rimase alcuni minuti sopra
pensiero. I suoi occhi erano quelli del gatto che vede levarsi a
volo una allodola sfuggitagli dall'ugna.
- Non importa! - esclamò poco dopo - le deposizioni del
Bigino varranno a qualche cosa, se non altro a convincere il Gran
Proposto della nostra buona volontà.
CAPITOLO XIV - Antonio Casanova (15).
Il narratore di questa istoria, riproducendo dei personaggi famigerati o famosi che già figurarono in epoche passate,
intenderebbe di mettere in evidenza una delle tante ipotesi o teorie simboleggiate nell'Abrakadabra, cioè che le
individualità costituenti l'umana specie sieno in ogni tempo le medesime, sebbene, a norma delle circostanze o delle
consuetudini, si manifestino sotto aspetto differente. Così, ogni età ebbe i suoi Neroni, i suoi Caligola, come i suoi
Bruti, e i suoi Scevola. Il secolo decimonono diede gli Haynau e i Murawieff proconsoli atroci, più crudeli e più
sanguinari di quelli di Roma antica. Fondete in uno Garibaldi e Mazzini: eccovi il Rienzi tribuno. I nomi sono una
convenzione del caso, ma i personaggi di tutte le istorie perfettamente identici. - Il secolo decimottavo produsse un
Casanova, ciarlatano, barattiere da giuoco, briccone, vera stoffa da Cagliostro, altro furfante famigerato. Riportate al
ventesimo secolo un personaggio di tal tempra, sussidiatelo colle nuove scoperte della scienza, dotatelo di singolare
potenza magnetica, fornitegli una nave aerea, un chatvue, e tutti i meccanismi della industria contemporanea - e
avrete il birbone più completo che mai sia esistito. Il Casanova del secolo decimottavo, cogli uguali mezzi, non sarebbe
stato da meno, (Veggansi le Memoires de Casanova.
La strategia dell'astuto Torresani, tuttoché abilissima, questa
volta non giunse a salvarlo dalle mistificazioni del più scaltrito
industriante dell'epoca.
Questo industriante, o meglio cavaliere di industria, chiamasi
Antonio Casanova.
Per discoprire i suoi ingegnosi stratagemmi ci converrà salire
nelle regioni dell'aria, all'altezza di mille e novecento metri, per
introdurci nella sua cabina riservata.
La sua nave si era ancorata al disopra di Milano fino dal 4
settembre, sebbene gli esploratori dell'alto cielo non l'avessero
avvertita che tre giorni più tardi.
Antonio Casanova aveva scelto il suo tempo per venire a
Milano. La straordinaria affluenza di veicoli aerei e terrestri che
portavano alla famiglia dell'Olona tante migliaia di forestieri
attratti dal nuovo spettacolo della pioggia artifiziale, era una
circostanza molto propizia a' suoi disegni. I cavalieri di industria
corrono dov'è la folla.
La biografia del nostro barattiere fornirebbe un romanzo
poco edificante, ma pieno di interesse. Io mi limiterò ad
accennarne alcuni tratti, nei quali si scorge come il progresso delle
scienze, delle arti e delle industrie si possa facilmente usufruttare
dai birboni al maggior danno della società.
Le prime scene del mio racconto splendevano di poesia, di
amore e di felicità; io mi compiaceva di spaziare nella luce di
questo secolo avanzato e meraviglioso, che io godeva raffigurarmi
tanto diverso dal nostro nel più completo sviluppo di ogni idea
liberale e umanitaria, nella soddisfazione di tutti i desideri più
nobili e più audaci. Ed eccoci, troppo presto, intricati in quel
labirinto di miserie, di bassezze, di fatuità, di stravaganze, di
delitti, che costituiscono il fondo reale e positivo di tutta la istoria
umana!
La nostra fantasia può ben colorire di rose tutta un'epoca, e
abbellirla di un prestigio incantevole; può rappresentarsi la
perfezione ideale dello spiritualismo e della virtù, incarnata nei
suoi molteplici personaggi; ma essa non può mentire a sé
medesima al punto da rinnegare uno dei due elementi che
costituiscono la natura dell'uomo. Esageriamo il bene a comodo
nostro, e noi vedremo, sulle orme di quello, insorgere il male in
proporzioni gigantesche. Estraete il fuoco dalla silice; e mentre gli
assiderati ne ritrarranno la vita, il prete si trarrà in disparte a
meditare l'orrendo supplizio dei roghi. Mentre voi benedite
l'acciaio che vi fornisce il vomere a coltura dei campi, il boia
imaginerà la mannaia. Quale è la scienza, quale l'industria, che
possa vantarsi innocente di corruzione e di calamità? La stampa,
che diffonde la luce, moltiplica i pregiudizi!, il telegrafo accelera
il moto del pensiero, e serve alla menzogna dei despoti, alle frodi
della Borsa. Dappertutto i due elementi dell'uomo si rivelano: il
bene ed il male camminano di pari passo. Il secolo d'oro è
inconcepibile.
Perdonate la digressione, e proseguiamo il racconto.
Antonio Casanova di poco oltrepassava i trent'anni, e già il
suo nome era tristamente famoso nella Cronaca criminale
dell'epoca. Questo insigne barattiere avea già posto in allarme tutti
gli uffizi di sorveglianza dei Dipartimenti della Unione, le
Questure e le Polizie dell'altre parti del mondo.
Dotato di una forza fisica sorprendente, magnetizzatore di
prima potenza, il Casanova aveva incominciate le sue prodezze
nelle case da giuoco.
La sua volontà efficiente si esercitava con mirabile effetto
sulle carte e sulle palle da bigliardo. Aveva viaggiato parecchi
anni con una stecca di sua invenzione, nel cui legno perforato
scorreva un zampillo di mercurio iniettato in una vena capillare di
nervi umani. Quel tubo era un inalterabile conduttore della
volontà. Il Casanova, lanciando la sua biglia, non aveva che a
prescriverle il corso nella sua mente, perché quella obbedisse al
suo volere come un corpo intelligente. La palla descriveva sul
verde tappeto delle curve, dei circoli inverosimili. La colla,
il salto degli uomini la carambola, nessuna difficoltà di
giuoco imbarazzava quell'avorio prudente e sicuro, il quale
trionfava di ogni ostacolo, e pareva schernire la trepidazione dei
circostanti. Il Casanova, usando della sua stecca, poteva dare venti
punti al più abile giuocatore ...
Al macao, al lanzichenecchi, all'ecarté, le istesse
risorse magnetiche. Il Casanova, purché avesse le carte nelle
mani, col semplice tocco delle dita, mutava i picche in fiori, i
cuori in quadri, sostituiva un fante ad un asso, creava il suo
giuoco. Egli vinceva colla volontà, portando ne' suoi competitori
il turbamento e la disperazione. Guadagnava tesori.
Ma questa professione del giuoco era troppo monotona per
uno spirito insofferente e fantastico. Il Casanova ne fu presto
annoiato. La sua natura era perversa. Più che l'utile proprio egli
amava il danno d'altrui. Il giuoco non gli offriva che delle vittime
volontarie, uscite per la più parte dai ranghi più screditati della
società; egli aveva bisogno di portare il male nelle famiglie
oneste, nelle classi più stimate e, a suo vedere, più felici.
Sopratutto egli si compiaceva di truffare gli uomini altolocati, i
funzionar! del Governo, i primati dell'intelligenza. Tutto ciò che
era talento, illustrazione, rappresentanza di moralità e d'ordine
pubblico, per lui, anima di Caino, era oggetto di odio e di
persecuzione. Affigliato alla setta degli Equilibristi propugnatori
della anarchia universale, in breve era salito ai primi gradi
dell'ordine. Gli Equilibristi domandavano la perfetta uguaglianza
sociale, ma fra essi era già stabilita la gerarchla. I settarii di buona
fede cooperavano, inconscii od illusi, alle sue ladrerie. Nelle città
più importanti della Unione e d'altre parti del mondo, il Casanova
poteva impiegare al servizio de' propri disegni una camorra
potente. Rubava, e divideva co' suoi correligionarii il quinto dei
redditi. Il resto spendeva in gozzoviglie, ovvero in
procacciarsi nuovi mezzi a compiere le sue imprese temerarie.
Ed ora, dopo questi brevi cenni, vediamo il nostro uomo
nell'azione che direttamente si riferisce alla nostra istoria.
CAPITOLO XV - I misteri della nave 2724.
Antonio Casanova, venendo a Milano, aveva già fissata la
sua vittima.
Riportiamoci alla data del sei settembre. Al sorgere del
mattino, tutti i forastieri venuti a Milano per assistere
all'esperimento della pioggia artifiziale, ripartivano per diverse
direzioni. L'aria era ingombra di palloni; le locomotive volanti si
staccavano dalla terra come bolidi opachi, lanciandosi negli
spazii. Una popolazione di oltre cinquecentomila viaggiatori
salutava la città ospitale dall'altezza di ottocento metri cogli spari
delle bombe fraterne, le quali, scoppiando, sviluppavano
una pioggia di confetti e di fiori.
La nave 2724, profittando della concorrenza, si era abbassata
al livello del Duomo; tanto che il timoniere, lanciando una corda
di sospensione, potè attirarvi il Casanova, che fino all'alba stava
spiando i movimenti del suo legno dalla cupola maggiore.
Quella operazione si compiva in un lampo. Appena il
Casanova fu a bordo della sua nave, questa prese a salire
rapidamente in linea diretta, e scomparve tra le nuvole.
Durante quella giornata il nostro cavaliere di industria si
tenne chiuso nella sua cabina. Verso mezzanotte fece chiamare
quattro uomini di fiducia per concertare con essi il suo piano
strategico.
- Io l'ho veduto - cominciò il Casanova - l'ho veduto ieri, di
pieno giorno, sulla gabbia della torre centrale che dominava la sua
macchina, mentre egli dirigeva le operazioni. Dippiù, l'ho udito
parlare, onde io mi tengo sicuro di poter imitare perfettamente la
sua voce e le sue inflessioni. L'Albani ha, presso a poco, la mia
statura. La sua testa è enorme, la sua corporatura più sviluppata
della mia; in una parola, quell'uomo mi va come un guanto.
Oramai non mi resta che discendere un'ultima volta per spiare
l'entità e la deposizione dei morto16);
Gergo canagliesco che si spiega: il valore della somma il luogo dove fu depositata.
voi mi capite! È
un'operazione delicata e difficile, per la quale si richiedono tutto il
mio accorgimento e la mia potenza di volontà. Questa notte io mi
lascierò cadere su Milano, e spero, se il diavolo mi assiste,
scoprire nello spazio di due giorni quanto mi abbisogna. Ad ogni
modo, io sarò di ritorno posdomani verso le nove e mezzo di
notte. Verrò con una gondola; voi tenetevi pronti a discendere
immediatamente, perocchè, nel caso nostro, la rapidità è la
condizione più essenziale per ottenere il successo.
- Io non credo prudente - osservò uno dei quattro - che voi,
per tornare alla nave, vi serviate d'una gondola cittadina. Questi
sorveglianti di gondole sono altrettante spie della
Sorveglianza, e noi rischieremmo di venir segnalati a quel
vecchio birbone di Torresani ...
- Non ti prenda pensiero - rispose il Casanova coll'accento
della più ferma sicurezza - io so scegliere i miei uomini. Noi
abbiamo degli equilibristi perfino tra gli agenti della
Polizia.
- E se mai, durante la vostra assenza, ci vedessimo esplorati ...
inseguiti?
- Reagite colla volontà!
- Noi siamo pochi di numero ...
- Ma concordi ... e potenti ... !
- Il vecchio Torresani tiene a' suoi ordini duecento
magnetisti ...
- E fra questi, sessantaquattro spiriti avversi. Alla distanza di
mille e ottocento metri, venti volontà compatte e risolute
possono tener fronte a cento magnetisti discordi e spossati.
In ogni modo, i poliziotti non potranno agire sulla nave oltre
cinque minuti, - e se mai, durante il fermo, voi vedeste avvicinarsi
qualche brik del Torresani, - scaricate le pile contro esso, e
avvenga che può. Una volta liberati dall'attrazione, manovrate per
l'alto in linea diretta. Nel nostro serbatoio c'è tanta aria respirabile
pel consumo di quattro giorni!
I quattro uffiziali non mossero altre obiezioni.
Il Casanova uscì dalla cabina, venne fuori all'aperto, esplorò
la posizione da un immenso chatvue collocato all'estremità
della nave, indi, spiegato l'ombrello di salvezza spiccò un
salto dal ponte.
In meno di due minuti, il Casanova toccava terra nel mezzo
dell'anfiteatro dell'Arena.
Le testimonianze prodotte dal Bigino dinanzi al Tribunale del
Torresani erano state veritiere. Antonio Casanova, la sera dell'otto
ottobre, fece ritorno alla sua nave colla gondola del conduttore
settario.
Il nostro industriante avea studiato il terreno e fissato il suo
piano strategico.
Appena fu a bordo della nave, egli adunò nuovamente nella
cabina i suoi quattro confidenti per metterli al fatto di quanto egli
aveva operato, ed impartire ad essi degli ordini.
- Oramai io so tutto quanto mi giovava sapere, non restano
che alcuni particolari di niun conto dei quali voi dovrete
incaricarvi. Com'io aveva preveduto, all'indomani
dell'esperimento per la pioggia artifiziale, il Consiglio di Milano
ha decretato all'Albani un sussidio di due milioni di lussi,
elevandolo in pari tempo alla dignità di Primate. L'Albani è
un apostata vile, che per orgoglio ha disertato dalla nostra setta;
l'Albani è ricco e potente, e fa parte di quelle caste privilegiate che
noi dobbiamo perseguitare e distruggere. I suoi milioni ci
appartengono; noi abbiamo il diritto di confiscarli a
benefizio della nostra idea. Fratelli: io voglio sperare che voi
converrete pienamente nelle mie vedute, e vi adoprerete a
secondarle con tutte le vostre forze, con tutto il vostro zelo.
- Da Omega ad Alfa - risposero i quattro alzando la
mano.
- Sta bene! Una circostanza molto favorevole ai nostri
disegni la è questa, che l'Albani, in seguito alla sua petizione di
matrimonio ha dovuto assentarsi da Milano per consumare, a
distanza legale, il mese di dilazione imposto dalle leggi.
Noi dunque potremo agire con sicurezza. L'Albani, prima di
partire, ha comperato una deliziosa villa, la villa Paradiso,
sorgente sulla sponda destra del Canale Lariano a poca distanza di
Camerlata. Egli ha dato trecentomila lussi all'architetto
mobiliare Perroni perché provveda a decorare quell'incantevole
albergo durante la sua assenza. Il resto dei due milioni venno
depositato presso il Custode della Villa. La sommetta è appetibile
alla nostra cassa, un po' esausta, quel denaro può servire. Io mi
incarico di far volare il marsupio alle alte regioni del
firmamento, purché voi mi aiutiate fedelmente. Scendete tutti e
quattro su Milano, nella gondola che ho espressamente trattenuta.
Uno di voi si rechi alla Villa per informarsi se l'Albani vi abbia
messo di guardia qualcuno dei suoi leoni. Un altro vada domattina
allo Stabilimento Rota a levare il ritratto fotoplastico da me
ordinato, badando di confrontarlo colla prima copia per
veriflcare se sia veramente identico. Presentando alla Dama di
commercio la mia carta di visita che porta il nome di Don
Fernando Blaga Gran Torreadore di Saragozza, il ritratto vi sarà
consegnato. Un terzo raccolga i diversi vestimenti da me ordinati
ai cinquanta sarti dei quali vi trasmetto la nota. E il quarto
finalmente, si tenga in comunicazione cogli Agenti di
Sorveglianza affigliati alla setta, per avvertirmi in tempo utile se
mai il Torresani venisse a fiutare le orme nostre.
Il Casanova aggiunse a questi ordini non poche ammonizioni
di lieve importanza; poi stretta la mano a' suoi quattro colleghi, li
accompagnò sul ponte della nave.
Il Bigino era là ad attenderli. I quattro calarono nella
gondola, e immediatamente sprofondarono nelle tenebre.
All'indomani tutti gli ordini del Casanova erano stati eseguiti.
I quattro si ricondussero alla nave, portando un ritratto
fotoplastico dell'Albani di perfettissima somiglianza, due
canestri ripieni di vestiti, ed altri piccoli attrezzi necessari alle
strategie di tal genere.
Il Casanova fece recare quegli oggetti nella sua cabina, e
quivi si rinchiuse per alcune ore in compagnia di un giovane
napolitano, certo Anselmo Furlay, abilissimo metamorfo.
Parrà inverosimile quanto io sto per narrare, e voi che mi
udite, farete delle esclamazioni di meraviglia, forse anche
crollerete il capo da increduli. Voi non riescirete a concepire
questi nuovi perfezionamenti della acconciatura, dove la
guttaperca è chiamata ad operare delle trasformazioni prodigiose.
Ma io non avrò certo la pazienza di spiegarvi tutto un processo,
che d'altronde può essere facilmente indovinato dagli spiriti
arguti. A me basta accennare il fatto, a me basta di porre in rilievo
i mezzi che concorrono a crearlo. La maschera ritratto non è una
invenzione del secolo ventesimo; se avete letto i Cento anni
di Rovani, vi sovverrete degli orribili scandali che ebbero a
prodursi a Milano fino dal secolo precedente, per questo trovata
della menzogna e della frode. Ma a quei tempi non si conoscevano
le meravigliose proprietà della guttaperca, si ignoravano quegli
altri mezzi chimici, che ora, nel ventesimo secolo, concorrono a
trasformar completamente un profilo, una fisonomia,
riproducendo in un individuo le sembianze di un altro.
Nella cabina del settario equilibrista venne dunque ad
operarsi una di codeste meravigliose trasformazioni. Uno strato di
guttaperca modellato al ritratto fotoplastico dell'Albani,
iniettato di cera rosea e di liquido vitale trasformò il
Casanova completamente. Il metamorfo Furlay questa volta
fu sublime di trovati, fu vero artista. Egli riprodusse l'originale
nella maschera con insuperabile precisione. E non solo nei
contorni del viso e del collo, ma nel colorito delle guance e delle
labbra il Casanova rappresentava così fattamente l'Albani, che
quegli, mirandosi nello specchio, provò un fremito di terrore,
quasiché l'imagine riflessa dovesse accusarlo e svelare l'inganno.
Il Casanova, parlando dell'Albani a' suoi colleghi, aveva
detto: quell'uomo mi va come un guanto! Il capo degli Equilibristi
aveva calcolato perfettamente.
Ed ora che abbiamo veduto abbigliarsi dietro la scena questo
nuovo attore del nostro dramma, precediamolo di poche ore sul
teatro dell'azione; scendiamo prima di lui nei penetrali della
Villa Paradiso
CAPITOLO XVI - Alla Villa Paradiso.
Erano venute in lieta comitiva a visitare quel piccolo Eden,
quel meraviglioso, elegantissimo palazzo, fabbricato da uno dei
più celebri architetti di amore
Un palazzo, che, a vederlo da lontano, pareva un tempio di
alabastro galleggiante sulle onde o sospeso in una nuvola di fiori.
Erano venute in sull'ora del tramonto, Fidelia, Speranza,
Viola, Luce ed altre sorelle del circolo delle vergini tutte
legate di tenera amicizia alla figlia del Gran proposto ...
Si erano slanciate nei viali come uno stormo di cigni - si
erano perdute in quel vasto labirinto di alberi e di colonne, dopo
aver fissato, per punto di ritrovo, la sala terrena del palazzo.
L'Albani aveva comperata e fatta riabbellire la Villa Paradiso
per quivi ritirarsi colla eletta del suo cuore a gioire, fra gli incanti
della natura e dell'arte, i primi tripudii di un amore ricambiato. Ed
ora l'appassionata Fidelia veniva a pregustare le gioie benedette, a
inebbriarsi nei sogni prediletti dell'avvenire.
Era una piccola festa di fanciulle. Le amiche della fidanzata,
giusta il costume dell'epoca, avevano portato il loro dono di
nozze. Quei doni misteriosi, di cui ciascuna guardava
scrupolosamente il segreto, dovevano riuscire altrettante sorprese
alla giovane sposa, il giorno in cui ella avrebbe passeggiato per la
prima volta a braccio del consorte negli intimi viali del giardino.
E noi rispetteremo il segreto di quelle fantastiche fanciulle;
noi ci guarderemo dall'esplorare col nostro occhio profano
gl'ingegnosi stratagemmi dell'amicizia, i gentili trovati di quelle
anime vergini di donna.
Fidelia non aveva voluto staccarsi dalla sua sorella di
amore Ella appoggiava il braccio a quello di Speranza, e senza
divagare dal grande viale che metteva al palazzo, camminava a
passo lento in quella direzione, e parlava all'amica con angelico
abbandono:
- Dieci giorni ancora! ... sai che sono lunghi ... dieci giorni!
- Cosa sarebbe l'amore, cosa sarebbe la gioia - esclamava
Speranza con accento ispirato - senza i giorni del desiderio e della
aspettazione! Io credo che Viola avesse perfettamente ragione,
quand'ella, nel circolo, ha dato dell'amore quella sublime
definizione così poco apprezzata dalle sorelle. L'amore è
desiderio.
- L'amore è perdono! - mormorò Fidelia con un sospiro.
E questo concetto era per lei una soave reminiscenza, queste
parole erano una melodia sommessa che le inebbriava tutti i sensi.
Giunsero al palazzo. Le porte erano abbassate, e la sala
terrena sfarzosamente addobbata splendeva di fantastica luce. Una
tavola oblunga, sfolgorante di preziose suppellettili e imbandita di
vivande vespertine attendeva la gioconda comitiva delle
ospiti fanciulle.
All'entrare di Fidelia, l'anziana del palazzo e le quattro
volonterose che stavano a guardia della sala, spruzzarono di
faville i vasi purificatori e da questi subitamente elevossi
una nuvola bianco-rosata che, dissipandosi nel vano, imbalsamava
l'atmosfera di atomi odorosi.
- Fra un'ora saranno qui tutte! - disse Fidelia alle donne. -
Frattanto io e la mia buona sorella di amore visiteremo gli
appartamenti.
- Non vi sono appartamenti in questo palazzo - disse
sorridendo l'anziana - o piuttosto ve ne sono tanti, quanti ne può
ideare la umana fantasia; ma voi potete vederli tutti senza uscire
da questa sala.
Fidelia e Speranza si ricambiarono una occhiata di sorpresa.
- Ebbene - domandò l'anziana. - Volete voi godere il
meraviglioso spettacolo? Compiacetevi di sedere su quel piccolo
divano di muschio satinato, e noi vi mostreremo una ventina di
appartamenti, vi offriremo allo sguardo tale varietà di mobilie e di
addobbi quale non saprebbe ideare la mente più ingegnosa. Io
credo che la moderna architettura non abbia ancora prodotto un
palazzo più sorprendente di questo in nessuna città della Unione
Europea.
Fidelia e Speranza, tenendosi per mano, quasi impaurite,
andarono a collocarsi sopra il divano loro assegnato. E tosto, per
un cenno dell'anziana, le quattro volonterose corsero ad
occupare i quattro angoli della sala, e toccando ciascuna un
bottone sporgente dalla muraglia, produssero uno di quei
cambiamenti di scena che in teatro producono tanto effetto.
La parete di fondo scomparve ... Ciò vi sembra prodigioso,
non è vero? Orbene: eccovi in due parole la spiegazione del
miracolo. Quella parete non era che un grandioso ventaglio di
taffetà americano, il quale, disteso, formava un abbagliante
sipario azzurro dorato come il lapislazzulì. Le quattro
volonterose, premendo i bottoni che lo tenevano dispiegato,
ottennero che immediatamente si contraesse, formando di tal
modo una colonna quadrata per cui la vasta scena veniva a
dividersi in due grandi scompartimenti.
Al di là di quella colonna si apriva un mondo incantevole,
che offriva allo sguardo tutte le seduzioni della natura, e non era
di fatto che un meraviglioso accordo di tutte le industrie, di tutte
le arti umane.
Fidelia e Speranza rimasero alcun tempo assorte nella
contemplazione di quel nuovo spettacolo, mentre l'anziana
con affettuosa compiacenza descriveva alle due fanciulle le
bellezze del quadro.
- Da quella parte ... al lato destro - accennava l'anziana - voi
vedete una collina di facile pendìo, dei praticelli, delle grotte, dei
chioschi, dei cespugli di fiori. Sono altrettante camere, altrettanti
ricoveri copiati fedelmente dalla natura. L'architetto, nel costruire
quei nidi di velluto, quei chioschi di bambagia, quelle nuvole di
guttaperga, era ispirato dall'amore, come il Dio della Genesi nella
creazione del paradiso terrestre. Il primo palazzo di Eva, ideato
dall'architetto divino, non poteva essere più confortevole e più
delizioso. Voi stupite, o gentile Fidelia! ... Voi non credevate che
un pensatore di case potesse elevarsi a tanta sublimità di
concetti ... Quella nuvola che vedete agitarsi mollemente al di
sopra della collina è la stanza che deve accogliervi fanciulla per
iniziarvi ai misteri deliziosi dell'amore ... Osservate quella
grotta! ... Da quelle stalattiti bianche trasudano gli unguenti più
odorosi, i balsami più delicati. È il vostro gabinetto di
acconciatura. Attraversandolo, ne uscirete profumata e vivificata.
A poca distanza da quella grotta, una magnolia gigantesca
distende i suoi rami di un bel verde opaco ... Quella è la vostra
biblioteca. I libri stanno raccolti nel tronco dell'albero, e le
eleganti legature formano intorno a quel tronco una corteccia di
oro e di gemme. Abbassate lo sguardo a quella pianura lucente ... a
sinistra della colonna! Non vi sembra che quel tappeto imiti
perfettamente le onde tremolanti di un lago? È un tappeto di
mercurio bianco imprigionato in una tela di vetro elastico. Voi
sentite il mercurio agitarsi sotto il vostro piede, e la illusione di
passeggiare sulle acque è tanto verosimile, che quasi vi
meravigliate di poterne uscire a piede asciutto. Come vedete, due
gondole eleganti galleggiano su quel piccolo lago artifiziale. Una
di quelle gondole è destinata ad essere il vostro gabinetto
musicale. Noi vi abbiamo collocato un pianoforte a corde di
cigno, ed un'arpa magnetica. Assisa al pianoforte, per la rifrazione
dei vari specchi mirabilmente congegnati, vi parrà di trovarvi
isolata in mezzo ad un lago senza confini. I vostri canti, i vostri
suoni si ispireranno nella poesia della solitudine e delle onde ...
Quel pianoforte ha due pedali, per cui potrete modificare a grado
vostro la calma e le procelle del piccolo oceano. Il tappeto
mercuriale, sotto la pressione del vostro piede, potrà fingere tutti i
commovimenti della marina. L'altra gondola è una sala di
refezione; e questa, a piacere dei naviganti, può scivolare fino alla
estremità della pianura, dove, per una porticiuola che da questo
luogo non si scorge, essa uscirà dal lago artifiziale per islanciarsi
nel lago vero. Qual sorpresa per voi, qual gioconda sensazione, al
finire di una cena iniziata nel palazzo fra le carezze ed i baci dello
sposo, uscire sulla prora della gondola, e veder sfilare le cento
ville del Lario, una meravigliosa fantasmagoria di palazzi e di
giardini emergenti dalle onde! Ma basti! ... Gli è un vero peccato
quello che io sto commettendo, un peccato di indiscrezione che il
vostro sposo non saprebbe perdonarmi. A che buono svelarvi tutti
i misteri di questo meraviglioso palazzo? ... Che altro è la gioia se
non la sorpresa del nuovo, dell'inaspettato? ... Ma pure io mi
ravvedo in tempo ... Io non vi ho palesato che la millesima parte
delle delizie che qui vi attendono. L'ho fatto a fine di bene; per
serenare l'animo vostro, per alleviare colle promesse dell'avvenire
le crudeli impazienze del presente. Ho tracciato il cammino alla
vostra fantasia di fanciulla e di amante. Se in questi giorni di
dilazione che ancora vi rimangono, il vostro spirito verrà a
spaziare su questi prati di seta, fra questi alberi a foglie di piume
che stillano rugiade di diamante, fra queste onde di metallo
animato; voi troverete una distrazione soave alle cure che vi
opprimono. Io però mi tengo sicuro che voi non riescirete mai ad
indovinare la centesima parte delle meraviglie qui adunate da quei
due creatori sublimi di poesia che sono il vostro Albani e Regolo
Mengoni pensatori di edifizii
Poiché l'anziana ebbe finito di parlare, la fidanzata
dell'Albani, nell'ingenuità della sua anima innamorata, si lasciò
sfuggire una esclamazione che rivelava tutto il suo cuore:
- Ma egli! ... il mio sposo! ...
- Comprendo il vostro pensiero - affrettossi a dire l'anziana. -
Egli ... il vostro Albani non verrà a dimorare in questa villa, che
tutta vi appartiene. Vi spiegherò il suo concetto come io credo di
averlo compreso. Dell'Albani voi non dovete conoscere che
l'amante e lo sposo. Egli verrà in questo luogo per portarvi il suo
amore, per cogliervi il vostro, per godere dei vostri tripudii, per
consolare le vostre afflizioni, per chiedere a sua volta il diletto e la
forza a sostenere i dolori della vita. I vostri rapporti, in una parola,
non devon essere che rapporti d'amore. Perché riesca feconda di
bene, l'unione coniugale vuol essere circondata di poesia. In altri
tempi, quando era obbligatorio agli sposi convivere sotto il
medesimo tetto, vedersi a tutte l'ore del giorno e della notte,
dividere le cure disaggradevoli e qualche volta un po' volgari del
regime di famiglia, avveniva sovente una rilassatezza di affetti,
che a lungo andare degenerava in fastidio, in avversione. C'è
molta differenza fra il vedersi spesso e il vedersi sempre.
L'augello che rinnova così frequenti i trasporti dell'amore, si
allontana dalla sua compagna dopo l'ebbrezza vivace del
connubio, e si perde negli spazi finché quella non lo richiami co'
suoi gorgheggi, finché quella non gli dica coi suoi gemiti
melodiosi: ritorna! ho bisogno delle tue carezze, dei tuoi baci!
Desideriamoci, se vogliamo amarci eternamente! Il vostro Albani,
ispirandosi a questo concetto, verrà in questa casa come un ospite.
Egli vi apparirà inaspettato - egli giungerà fino a voi per cento vie
misteriose. Lo vedrete uscire da questa gondola, lo troverete
adagiato in quella grotta, udrete la sua voce carezzante rispondervi
da quella nube, Quando i vostri due cuori si chiameranno per
quella voce arcana che esala dall'amore, vi sentirete allacciati da
soavissimo amplesso. Io credo, Fidelia, che il vostro animo gentile
avrà compreso il delicato pensiero che io ho tentato di esprimervi.
Lo sguardo di Fidelia splendeva di angelica luce. Quell'anima
giovane era inebbriata di felicità.
Si levò in piedi, e con timida voce, qual di fanciullo che non
osa manifestare un capriccio per paura di vedersi contrariato, disse
all'anziana:
- Vi par egli che io sia troppo indiscreta nel domandarvi una
concessione? ... Amerei di attraversare quel lago ... di salire in
quella gondola ... di provare, sull'istromento che dovrà essere
l'interprete dei miei pensieri, una canzone che ho composta per ...
lui! Sarà la canzone di richiamo. E tu, mia buona Speranza, tu
l'ascolterai da questo luogo, e mi dirai qual effetto essa avrà
prodotto sull'animo tuo! ... E poi! ... ho in mente un pensiero ... Mi
pare che i suoni di quel cembalo debbano attraversare gli spazii
immensi ... e giungere fino a lui.
- Non vi è ragione perché io mi opponga a così onesto
desiderio - rispose l'anziana - venite!
La fanciulla, dopo essersi congedata con un bacio dalla
sorella di amore sorvolò con piede leggerissimo al mobile
tappeto, salì nella gondola, e disparve colla sua guida.
L'anziana, per un sentimento di deferenza e di rispetto che
erale imposto dalla sua condizione, non si intrattenne con Fidelia
nel piccolo gabinetto. D'altronde, ella aveva l'obbligo di far gli
onori del palazzo, e in quel momento suonava l'ora di
refezione, e le amiche della fidanzata, giusta il patto
convenuto, entravano nel vestibolo.
- Rilasciate il gran ventaglio! rilevate le mense! - ordinò
l'anziana alle volonterose - prima che le ospiti fanciulle
fossero entrate nella sala.
E subito la scena mutò di aspetto, e l'incantevole panorama
scomparve dietro il velario ondulato, che formava una muraglia di
lapislazzulì.
Nel momento in cui le fanciulle entravano nella sala, dalla
sua gondola invisibile Fidelia sciolse la voce.
Speranza portò il dito alle labbra, e le fanciulle ristettero ad
ascoltare coll'estasi in volto.
Erano le più dolci note che mai si modulassero pel labbro di
una vergine innamorata. Quelle note, attraversando l'azzurro
padiglione, parevano il canto di un cherubino smarrito negli spazii
del firmamento.
E davvero Fidelia aveva dimenticato la terra. Ella si sentiva
isolata nel suo piccolo gabinetto come una sirena sugli scogli
dell'oceano. Immersa negli elementi più vergini del creato,
nell'aria e nelle acque, la sua anima possedeva le ali bianche e il
melodioso sospiro del cigno.
Le parole della sua canzone esprimevano questi pensieri
gentili:
«Iddio ha creato la terra, ma l'amore soltanto ha creato il
paradiso.
«No! questo non è il paradiso, dacché, aggirandomi fra i
miracoli della creazione, io sento che il creatore è lontano.
«Quando il creatore sarà tornato, quando l'aria di questo
giardino sarà l'alito della sua bocca o il dolce fremito del suo
cuore, allora io potrò dire: egli mi ha riportato il mio paradiso.
«Oh venga presto colui che può creare il paradiso, perché il
paradiso è in lui, soltanto in lui!»
Il canto di Fidelia era una estasi voluttuosa.
Mentre il labbro scioglieva le note, mentre il cuore modulava
gli accenti, lo sguardo della fanciulla errava nelle illusioni di un
mondo fantastico.
Questo mondo fantastico si creava dinnanzi a lei per una
combinazione di specchi metallici, i quali ritraevano
perfettamente un cielo di zaffiro, un lago placido e sereno. Gli
occhi di Fidelia aspettavano che quella solitudine di spazio e di
acque si animasse improvvisamente di una figura umana, di una
figura che per lei, per la fanciulla innamorata, avrebbe
rappresentato il Dio animatore.
Era delirio? ... Era sogno? ...
La fanciulla sentì mancarle le forze, la sua voce si spense, un
tremito le invase tutte le membra ...
Quella vasta solitudine si era davvero animata: l'uomo
dell'amore, il Dio era comparso ...
Fidelia non osava li volgere il capo, ma lo specchio
inesorabile che le stava dinanzi riproduceva una figura umana,
riproduceva un essere vagheggiato e invocato, che per lei aveva
nome di Redento Albani.
Quell'uomo, ritto ed immobile dietro il seggio della fanciulla,
pareva assorto nel contemplare le forme perfette di lei. La fronte
di quell'uomo era calma; i tratti del volto non rivelavano veruna
commozione; ma l'occhio irrequieto, iniettato di viva luce, aveva
una espressione quasi sinistra.
Fidelia ne fu atterrita più che sorpresa. Dalla sua fronte
sgocciolava il sudore a grosse stille, pure non aveva forza di
portarvi la mano ad asciugarle.
Come si spiega questo terrore della fanciulla alla vista di un
amante, di un fidanzato, di lui che era l'oggetto de' suoi ardenti
desiderii, delle sue invocazioni?
Se quell'uomo fosse stato l'Albani, Fidelia non avrebbe
esitato un momento a levarsi dal seggio, ad avvincerlo tra le sue
braccia, a inondarlo di baci.
Ella esitava ... tremava ...
Erano le sembianze ben note; la sua statura, i suoi capelli
ondeggianti e fosforici, il suo labbro perfettamente delineato, i
suoi denti pieni di sorriso. Ma pure, qualche cosa mancava a
quell'uomo per essere l'amante, il fidanzato di Fidelia. Mancava la
magnetica corrente che si espande dai cuori innamorati, il flusso
che non si può suscitare dai nervi e dal sangue, se questi nervi, se
questo sangue non sieno agitati da una vera passione.
La fanciulla non poteva penetrare l'orribile inganno di quella
apparizione. Ella fissava quella larva con occhio attonito;
meditava quelle sembianze come si medita un sinistro problema.
Quella contemplazione, quella meditazione angosciosa doveva
risolversi per lei in un giudizio altrettanto erroneo che tremendo:
«Egli è ben desso, ma egli ha cessato di amarmi».
Era la logica più naturale che il cuore della fanciulla
innamorata potesse seguire, la sola spiegazione che ella potesse
ammettere dello strano turbamento che l'invadeva.
A sì triste convincimento, Fidelia nascose il volto fra le mani
e proruppe in dirotto pianto.
Ma il Casanova (noi gli daremo il suo vero nome) non era
uomo da smarrirsi di coraggio per quella fredda accoglienza.
Magnetista di prima potenza, egli contava sulla forza del proprio
volere per dominare quella gracile fanciulla estenuata dalle
commozioni dell'amore e della paura.
Egli stese la mano sul capo di Fidelia, e accarezzando le
chiome odorose per innondarle del suo fluido irresistibile, parlò
con accento animato:
- Fidelia! ... mia buona ... mia bella Fidelia! ... non era mestieri
che tu mi chiamassi ... . Sarei venuto ugualmente ... . Anch'io
numerava i giorni e le ore. Avevo bisogno di vederti. Un bacio, un
solo tuo bacio potrà darmi la forza per reggere a questi ultimi
giorni di prova ... . Fidelia! ... I momenti sono contati. Nessuno mi
ha veduto entrare, nessuno mi vedrà uscire da questo luogo ... . Non
c'è a temere di nulla! ... Oh! la mia bella Fidelia! Abbandonati agli
istinti del cuore ... . Poichè mi ami ... poichè hai giurato di esser
mia ... . Mia sorella ... mia sposa ... . Tu mi ami: Io sapeva bene che
tu non avresti negato questa gioia! ... Le tue fibre sono
commosse ... . Allacciami il collo colle tue braccia di neve ... . Che
io respiri il fresco alito della tua bocca! ... Le mie labbra erano
arse, e la sete di amore mi avrebbe consumato, senza il refrigerio
di un tuo ... bacio divino!
Così parlando, il Casanova si era impadronito della fanciulla
attraendola al proprio petto colla potenza affascinante della
volontà.
Fidelia, inebbriata da quelle parole, da quelle carezze, si
abbandonò a lui come un corpo morto. I dubbi, i terrori erano
svaniti. La sua faccia inondata di lacrime era divenuta radiante. In
quel momento di suprema illusione, la fanciulla sognava il
paradiso.
Quel sogno fu un lampo.
Nell'amplesso di quella larva adorata, Fidelia si attendeva
una inondazione di delizie. Ma appena le labbra dell'avventuriero
ebbero sfiorate le sue, la fanciulla arretrò con ribrezzo, mandò dal
petto un grido affannoso, e cadde al suolo tramortita. Il bacio di
quell'uomo, o piuttosto di quella maschera umana, le era sembrato
gelido come il bacio di un morto.
Tutta questa scena era passata rapidamente, mentre le sorelle
del Circolo, nel compartimento anteriore del palazzo, attendevano
che Fidelia ripigliasse la canzone, ovvero ritornasse nella sala per
prendere parte al convito.
Il grido della fanciulla destò lo sgomento nella piccola
comitiva. L'anziana fece allentare il gran ventaglio, e le amiche di
Fidelia accorsero tutte verso la gondola.
Quand'esse posero il piede nel gabinetto musicale, il
Casanova era già scomparso; nessun indizio, nessuna traccia di
lui.
Fidelia giaceva a terra coll'abbandono della morte. Le sue
chiome, le sue vesti scomposte davano a supporre che ella avesse
dovuto soccombere ad un assalto violento.
Le fanciulle non si perdettero in vane esclamazioni.
Improvvisarono una catena magnetica, e scaricando il loro fluido
sulla giacente, in men che non si pensi, la ridonarono alla vita.
Fidelia si levò in piedi, girò intorno gli occhi smarriti come
chi, risvegliandosi da un orribile sogno, tremi di rivedere una
larva.
Poi sorrise alle amiche, e appoggiandosi al braccio di
Speranza uscì con quella dal gabinetto.
- Domani ti dirò tutto - disse Fidelia alla sua prediletta. E per
quella serata non si tenne più parola del misterioso avvenimento.
Durante la cena, le fanciulle ripresero insensibilmente la loro
abituale gaiezza. Fidelia sorrideva alle amiche, e pareva dividere i
loro ingenui tripudii. Di tratto in tratto ella trasaliva, portava la
mano agli occhi come a rimuovere un velo, a dissipare una nube.
E subito, dopo quel gesto, la sua fronte tornava serena, e l'occhio
riacquistava la sua luce.
Ai primi squilli del richiamo delle vergini quella
gioconda comitiva uscì dalla villa Paradiso per disperdersi
nei varii compartimenti della città.
Fidelia baciò le amiche ad una ad una, e salita in una
gondola volante si fece ricondurre al palazzo di famiglia.
Quella sera, il Gran Proposto era di umore assai lieto.
Quell'inesorabile partigiano delle antiche discipline, che non
poteva tollerare nella propria famiglia ciò che egli chiamava
insubordinazione legale agli ordini della natura; quel padre severo
che non aveva mai perdonato a Fidelia le lunghe assenze notturne,
mosse ad incontrarla con volto radiante, l'accolse con insolita
profusione di amorevolezze.
C'era qualche cosa di misterioso, qualche cosa di sinistro
nella bonomia di quel vecchio. Le sue carezze parvero a Fidelia
una affettazione di cattivo augurio, ond'ella, per sottrarsi a
quell'impeto di tenerezza paterna, pose in campo un pretesto e
ritirossi nel suo appartamento. Il Gran Proposto, dopo averla
accompagnata com'era suo costume, e salutata col bacio del
buon sogno rientrò nel suo gabinetto.
Sullo scrittoio del primo funzionario dell'Olona stava
spiegato un dispaccio portante il timbro del Ministero di
Sorveglianza pubblica.
Erano poche linee di scrittura, ma il vecchio non si saziava di
rileggerle, e pareva che da quel foglio uscisse un riflesso di
beatitudine ad irradiargli tutto il volto.
Il dispaccio era così concepito:
«Onorevole Gran Proposto,
«Ho la soddisfazione di annunziarvi che il nostro zelo, le
nostre sollecitudini, la nostra pertinacia hanno trionfato di ogni
difficoltà. Redento Albani ha violato la legge di dilazione.
Questa notte egli era a Milano, ha visitato la Villa
Paradiso si è intrattenuto col Custode-direttore, ed
ebbe anche un segreto colloquio con vostra figlia nel piccolo
gabinetto musicale addetto alla villa stessa. Non è mestieri che io
vi aggiunga altre parole; vostra onorevolezza sa troppo bene ciò
che le resta a fare. Aggradite, onorandissimo Gran Proposto, gli
umili ossequi del vostro subordinato devotissimo, e comandatemi
in ogni occasione.
«Dato dal primo gabinetto di Sorveglianza pubblica la notte
del ventisette settembre 19 ...
«TORRESANI DEGLI EX-BARONI.»
CAPITOLO XVII - Il veto del Gran Proposto.
Velocissima è la corsa del tempo, anche per gli addolorati e
per gli amanti, cui le ore sembrano secoli.
E l'Albani, compiuto il mese di dilazione, superata la
terribile prova della lontananza e dell'isolamento, tornava a
Milano più innamorato che mai, coll'anima piena di entusiasmi e
di terrori.
In quel mese egli aveva percorse le principali città
dell'Unione, soffermandosi di preferenza a Berlino, a Pietroburgo,
a Parigi, a Pest, dove era stato chiamato per dirigervi i suoi
sorprendenti meccanismi.
Negli ultimi giorni di dilazione, egli aveva provate
quella febbre tormentosa della impazienza che, all'avvicinarsi di
una catastrofe desiderata, sviluppa nei temperamenti irritabili i
sintomi della follia.
Per illudere sè stesso, per placare quelle ansie affannose, egli
aveva anticipata di ventiquattro ore la sua partenza da Pest,
servendosi di quei mezzi di trasporto che erano i meno veloci, e
come tali, accordati gratuitamente dagli statuti della Unione
alla classe dei nullabbienti. Era venuto da Pest a Parigi
colla ferrovia a pressione atmosferica; da Parigi a Saint Jean de
Maurienne colla Messaggeria pneumatica dei Bonafous; e da
ultimo aveva sorpassato il Cenisio colla locomotiva
ertoascendente della Società Goudar e Blondeau, una
locomotiva che aveva fatto obliare il meraviglioso traforo
praticato fino dal secolo precedente nelle viscere del monte.(17)
La locomotiva erto-ascendente si costituisce di una catena di vagoni ordinarii messi in moto da un
gigantesco pallone della forza di ottocento aquile. Immaginate l'immenso aereostata che parte dal vertice della
montagna, trascinando, nell'impeto dell'ascensione, una grossa fune, la quale si prolunga fino alla base del monte per
congiungersi ai vagoni La fune, girando sovra una serie di carrucole mobilissime aderenti al pendìo, mette in
moto il convoglio e lo obbliga a salire. È superfluo avvertire che queste corse ascendenti sono esattamente commisurate
alla lunghezza della fune, riuscendo altresì molto facile arrestare il convoglio, alle diverse stazioni, coi freni
nodosi già prima intercalati alla fune medesima. Le corse discendenti si effettuano sullo stesso binario senz'altro
motore che quello della gravitazione naturale del convoglio, opportunamente frenato dalle corde coibenti.
L'Albani giunse in Milano verso le nove della sera. Prima di
oltrepassare la cinta balsamica18),
La cinta balsamica è una doppia fila di alberi ed arbusti aromatici, sostituita agli opprimenti bastioni del
secolo precedente. Il profumo di questi alberi è un efficace disinfettante dell'aria, sopratutto nella calda stagione. La
cinta balsamica serve anche nell'autunno e nell'inverno per riparare la città dalla invasione delle nebbie.
egli si fermò un istante
per consultare il suo orologio calamitato poi, come uomo
che tema di essere veduto o riconosciuto, sbottonò dalle spalline il
berretto succursale per riporselo in capo, rialzando al
tempo stesso i due paraventi acustici19)
Paravento acustico Non farà meraviglia che un secolo tanto affaticato dalla operosità dello spirito, e per
conseguenza tanto nervoso, abbia dovuto ricorrere a mille congegni meccanici per proteggere i sensi e rinvigorirli. Non
c'era bisogno di occhiali, prima che l'umanità imparasse a leggere ed a vegliare sulle carte al lume incerto e tremolante
della candela - e così pure non venne sentita la necessità del paravento acustico e d'altri riparatori e rinforzatori
dell'udito, prima che il trambusto delle locomotive terrene ed aeree, prima che il frastuono dei grandi apparati
meccanici non minacciasse di ottundere anche i nervi più sani.
fino al disopra
dell'orecchio.
Se un agente della pubblica sorveglianza lo avesse
sorpreso in quell'atto, avrebbe creduto di mancare al proprio
debito omettendo di segnalare i di lui connotati sul tessero dei
forestieri sospetti.
Quella esitanza, quelle precauzioni, non erano per parte
dell'Albani che uno scrupolo eccessivo di legalità. Egli aveva
notato che mancavano ancora dieci minuti al termine assegnato
dalle leggi per la prova di dilazione.
- Conviene ch'io sia rigoroso fino all'eccesso! - pensava egli.
- Il bene cui vado incontro è così grande, e d'altra parte sono così
grandi i pericoli che mi circondano, che io mi riterrei uno
scellerato quando dovessi imputare alla mia trascuratezza od alla
mia imprudenza un disastro qualunque.
Come ognun vede, quell'anima ardente ed onesta era sempre
agitata dal dubbio e dai presentimenti sinistri.
Per comprendere il cuore dell'Albani e le lotte tremende del
suo spirito, è mestieri che noi ricordiamo sempre ciò che egli non
poteva mai dimenticare, il suo terribile passato. Quest'uomo si era
macchiato di un orrendo delitto, aveva subito una pubblica
condanna, per cinque anni morto alla società, egli non era mai
riuscito a persuadersi che questa avesse realmente obliato e
perdonato. Nella rettitudine della sua coscienza, egli si giudicava
inferiore a tutti gli incolpevoli. E quando la voce della coscienza
parea placarsi, un'altra voce più lugubre gli rintronava nell'anima,
quella del pubblico banditore che dall'alto suo pergamo, in
mezzo ad una piazza gremita di popolo e muta non di meno come
una tomba, veniva ad intimargli la morte civile Gli
accadeva sovente di fermarsi col pensiero in questa meditazione
angosciosa ... Lo spirito della legge gli appariva eccellente. La
condanna della morte civile, dopo i cinque anni di espiazione,
prometteva l'oblìo del delitto, e la riabilitazione completa. Tutto
ciò era scritto nei codici, tutto ciò era articolo di legge. Ma i
codici, gli statuti, le leggi sono un contratto sociale, che non può
mutare la essenza, la natura dell'uomo, quand'anche quest'uomo
apparisca grandemente modificato dalla così detta civilizzazione. -
I sofismi sono vani. - No! io non posso arrendermi a codesto
assurdo del convenzionalismo contemporaneo - gridava l'Albani
con accento disperato ogni qualvolta gli avveniva di soffermarsi
in questo doloroso argomento. - Io non cesserò mai di essere un
morto; la società tutta intera non cesserà mai di considerarmi
come tale, sebbene ella debba, in forza di una legge, accogliermi
come un essere vivente. Mentiranno. Taluni vorranno anche
prodigarmi delle speciali amorevolezze ... Ma questo sentimento,
questo atto di carità, o peggio di compassione, accuserà il non
senso della legge. Mentre io non ho mai potuto, né potrò mai
cancellare dalla mia mente le terribili impressioni di quella
condanna; potranno essi obbliarle? essi! ... Gli uomini! ... gli
spettatori del lugubre palco, che hanno inorridito del mio misfatto
e del mio nome?
Ma in questa procella di pensieri che turbava
incessantemente lo spirito dell'Albani, un astro solitario brillava di
luce perenne - la fanciulla dell'amore e del perdono - Fidelia! La
fede dell'Albani era tutta in quel punto luminoso, che egli vedeva
brillare attraverso alle nuvole opache; in quella vergine bianca e
diafana, che in una notte di supreme angosce posando una mano
di neve sulla sua fronte inaridita, aveva dato dell'amore quella sola
definizione in cui egli poteva aver fede.
L'avvenire dell'Albani era Fidelia. Il cuore di Fidelia era un
mondo, che gli offriva un rifugio, un paradiso dov'egli sperava di
obliare sé stesso e di farsi obliare.
Ed ora, ritornando dopo l'assenza di un mese, dopo la prova
di una legge, per la quale era vietata qualunque comunicazione fra
due amanti fidanzati, l'Albani riportava a Milano tutto il suo
amore e tutta la sua fede nella donna che già gli era sposa nel
vincolo religioso; ma i suoi dubbi, le sue diffidenze, i suoi terrori
non potevano dissiparsi completamente fino a quando, sul libro di
petizione pubblica non avesse letto l'adesione formale di
Fidelia, e ciò che egli tremava di vedersi negato, lo assenso del
Gran Proposto.
Ma l'ora, che doveva risolvere i suoi dubbi, che doveva
metter fine a quelle ansie febbrili, era giunta. I dieci minuti
trascorsero. Il termine legale di dilazione era spirato, e
l'Albani poteva entrare liberamente nella città.
Salito in una gondola volante, ordinò al conduttore di
prendere la via del Palazzo di Famiglia laddove un mese
prima, quasi alla medesima ora, egli era entrato coll'anima
inebbriata di amore, per iscrivere la sua domanda di
legittimazione civile al matrimonio religioso da lui
precedentemente contratto colla figlia del Gran Proposto.
La volata fu breve. Disceso dalla gondola, l'Albani precipitò
nel palazzo, corse alla sala di amore si fece portare il gran
libro, e dopo averlo sfogliato, arrestò gli occhi sulla pagina che
portava la sua petizione.
Sotto i caratteri, una mano di donna, la mano gentile di
Fidelia, avea tracciato queste poche linee, che l'Albani lesse
avidamente,
«Io Fidelia, adulta, figlia di Terzo Berretta Gran Proposto di
Milano, attestandosi unita dall'indissolubile vincolo religioso
all'adulto Redento Albani qui sopra iscritto, aderisco di cuore, per
quanto a me spetta, alla petizione di civile matrimonio formolata
da lui salvo sempre il rispetto del veto paterno, come di
legge, e l'adempimento delle cerimonie obbligatorie».
L'adesione di Fidelia era esplicita, senza condizioni, quale
l'Albani l'aspettava, quale egli aveva il diritto di attenderla.
Ma al piè di quelle cifre così gentilmente tracciate
dall'amore, spiccavano due linee di carattere diverso, due linee
improntate da altra mano, difformi, contorte, quasi illegibili.
All'occhio, al cuore dell'Albani, quelle due linee produssero
l'impressione di un rettile nero, raggruppato sotto un cespo di
rose.
Gli occhi dell'Albani si iniettarono di sangue. A lui non era
mestieri di leggere quello scritto per accertarsi della propria
sciagura, per riconoscere avverati i suoi presentimenti sinistri,
E nondimeno portò la mano alla fronte e fece un gesto come
a rimuovere un velo che gli offuscasse la vista. Le sue pupille
avide e truci sibilavano le parole, - e ciascuna di quelle sillabe gli
sgocciolava sul cuore come una stilla di piombo infuocato.
Il veto del Gran Proposto portava una data recente, ad
era formulato nei termini più assoluti.
«Io sottoscritto, appoggiandomi ai miei diritti di paternità, e
rassicurato in questi diritti da gravi ragioni che io farò valere,
dietro reclamo delle parti interessate, dinanzi al Consiglio
inappellabile degli Anziani di famiglia; credo di opporre il mio
veto alla petizione di matrimonio civile inoltrata
dall'inscritto Redento Albani in favore dell'accettante Fidelia
Berretta, mia figlia adulta.
TERZO BERRETTA Gran Proposto della famiglia
Olona.
Sotto il peso di un'accusa inaspettata e terribile, avviene che
l'uomo più incolpevole provi il bisogno di scandagliare la propria
coscienza, non foss'altro per attingervi il coraggio e la forza di
respingere gli attacchi. Ma l'Albani era troppo sicuro di sè stesso
per discendere a questo esame. Il veto del Gran Proposto
per tutt'altri che per lui, poteva essere considerato un atto di
accusa; ma egli, per quella logica di sospetti e di diffidenze che
era stata il supplizio de' suoi giorni di esilio, per quella
divinazione del presentimento che rare volte fallisce, per gl'impeti
sdegnosi del suo nobile cuore, non rimase perplesso un istante.
Quelle linee fatali scritte dal Gran Proposto erano la
dissimulazione del codardo, la calunnia, il tradimento, il principio
di un assassinio legale.
I pugni serrati alla sbarra del leggio, le labbra livide e
spumanti, l'Albani rimase alcun tempo nella immobilità contratta
del forte che vuoi resistere agli impeti della passione.
Orribili disegni gli attraversavano la mente. I truci lampi del
suo sguardo rivelavano l'anelito della vendetta. Quell'uomo era il
nembo che si condensa per esplodere terribilmente.
E forse, nell'impeto, della disperazione, l'Albani avrebbe
tutto dimenticato, il suo amore, la sua donna, i suoi doveri verso la
società, i mezzi più pronti e più validi che la legge istessa gli
offriva per ottenere giustizia; se a scuoterlo dal cupo letargo non
fosse intervenuta una voce piena di dolcezza, una voce santa come
le aspirazioni di Dio, cui quel carattere indomito e procelloso non
aveva mai resistito.
Era la voce del suo compagno di espiazione, di lui che lo
aveva sorretto per cinque anni sul cammino del dolore; del
giovine levita che portava il nome di Fratello Consolatore.
La parola, l'aspetto di quell'amico produssero nell'anima
dell'Albani una reazione benefica.
- Tu qui, fratello! - esclamò l'Albani volgendosi al Levita, e
gettandogli al collo le braccia.
- Io! ... E poteva essere altrove in questo momento? ... L'ora
del tuo ritorno era scritta nel mio cuore, ed io sapeva che i tuoi
primi passi sarebbero diretti a questo luogo, e che qui ... avresti
avuto bisogno di conforti e di consigli.
- Io ti ringrazio, fratello! - rispose l'Albani, dopo aver sfogato
sul petto del levita la piena delle lagrime - io ti ringrazio! ...
Ebbene! ... Vediamo; quali conforti, quali consigli puoi tu
offrirmi? Vedi! ... Io mi era affidato alle tue promesse ... Io aveva
contato sulla giustizia di Dio ... ed anche un poco sulla giustizia de
gli uomini! ...
- E troppo presto hai cominciato a disperare soggiunse
amorevolmente il levita. - I conforti che io ti posso offrire
derivano sempre della medesima sorgente, dalla fede nello spirito
del bene; i consigli saranno ora come sempre quelli della ragione
e della legalità. Non hai tu nulla da rimproverare a te stesso? Sei
tu disceso nella tua coscienza per investigarne le pieghe più
occulte? Hai chiamato a rassegna le tue azioni dal giorno in cui la
umanità ti aperse le braccia rendendoti il bacio del perdono e
dell'oblio? Or bene: poiché nessuna ricordanza di colpe viene ora
ad affliggere il tuo spirito; poiché a nessun dovere hai mancato
verso la patria, verso la società e verso le leggi, non è mestieri che
io ti insegni ciò che ti resta a fare. Quel libro sul quale è registrata
l'accusa, ti aprirà le vie della giustizia, ti accorderà tutti i mezzi
della discolpa. Se ti preme l'amore della tua donna, se ti è cara la
tua onoratezza, se non hai ripudiata quella fede religiosa che grida
alla coscienza: esser dovere dell'uomo cooperare incessantemente
sulla terra al trionfo del bene, tu guarderai in faccia alla verità, e la
sfiderai al cospetto dell'universo!
L'Albani stette alcun tempo senza proferir parola. Poi,
coll'accento dell'incredulo che sì piega ad una convinzione
autorevole:
- Amico ... fratello - disse al levita - fino dal primo momento
che mi occorse agli occhi quel veto, ho riconosciuto che
esso racchiudeva una calunnia, una trama inqualificabile, contro la
quale io sarò impotente a lottare. Essi ... gli infami ... avranno
calcolato tutte le evenienze possibili ... Egli che occupa un posto
tanto eminente nella società, non potrebbe lanciare un tal colpo, se
prima non fosse ben sicuro che non avesse a ricadergli sul capo.
Io ti giuro, fratello, che il mio cuore non ha più fede nella giustizia
degli uomini. Nondimeno voglio cedere ancora una volta a' tuoi
amichevoli consigli che mi furono legge negli anni più desolati
della mia esistenza. Ma, bada! questa è la mia ultima prova! Se
dessa non riesce quale tu me la prometti, quale dovrebbe riuscire
perché io riconosca il tuo Dio, allora tu stesso dovrai assolvermi
dall'obbedire alle leggi del male, ed io diverrò quello che fui nei
primi tempi della mia giovinezza: un vindice della umanità
conculcata, un fulmine dei soperchiatori e dei despoti.
Ciò detto, l'Albani si accostò di nuovo al leggio, prese una
penna, e sotto il veto del Gran Proposto scrisse le due linee
seguenti:
«Io domando che, a termine di legge, entro le ventiquattro
ore prescritte, il Gran Proposto Terzo Berretta mi renda ragione
del suo veto dinanzi al Consiglio degli Anziani.
«REDENTO ALBANI».
Compiuta quella formalità, i due amici si separarono.
L'Albani salì nella sua gondola e ordinò al conduttore di
calarlo alla Villa Paradiso
Giunto alla Villa, il fidanzato di Fidelia diede il segnale
perché si aprissero i cancelli. Entrò senza volger parola al Custode
che era mosso ad incontrarlo. Attraversò i viali a passo concitato;
congedò bruscamente le volonterose che lo attendevano
negli atrî, ordinando che fosse tolta la luce al palazzo.
Rimasto solo in quel vasto salone reso tetro dall'oscurità
come una grotta popolata di immobili spettri, l'Albani si sdraiò sul
tappeto ruggendo:
- Guai a loro! guai a tutti ... se domani io dovessi portare le
fiamme dell'inferno in questo paradiso creato dall'amore!
CAPITOLO XVIII - Catastrofe impreveduta.
Se quella notte fu lunga ed angosciosa per l'Albani, ciascuno
di leggieri comprende che anche il Gran Proposto Berretta e il
Capo di Sorveglianza Torresani non dormirono sovra un letto di
rose.
Quanto alla buona e sensibile Fidelia, basti sapere ch'ella
vegliò fino all'alba in lacrime e preghiere.
Chi all'indomani apparve più rassicurato e fidente, fu
l'Albani. Nella propria coscienza egli aveva attinto il coraggio; se
qualche cosa gli rimaneva ancora a temere dalla malvagità degli
uomini o dalla soperchieria dei potenti, pur si sentiva agguerrito
alla lotta dalla propria rettitudine e dalla inesorabilità della legge.
Serena la fronte e l'occhio infiammato di febbrile impazienza,
egli uscì dalla villa, e dopo aver errato alcun tempo nei quartieri
più popolosi della città, si diresse verso il palazzo di Giustizia
Civile
La sala del Consiglio si apriva nelle ore pomeridiane, al
principiare dei crepuscoli.
Quando l'Albani comparve alla piccola Tribuna degli
appellanti, i trecento anziani già occupavano le scranne
dell'Emiciclo. I cinque Seniori, ai quali spettava
esclusivamente il diritto di interrogare e di discutere, già avevano
compiuto l'esame dei molti documenti ammucchiati sulla tavola. Il
Gran Proposto Berretta, calmo in apparenza, ma in cuore
vivamente preoccupato, era assiso, colla testa raccolta fra le mani,
alla tribuna di ragione
All'apparire dell'Albani, si riscosse, alzò gli occhi, ma non
ardì sostenere il lampo di uno sguardo che pareva sfidarlo.
I quattro compartimenti dell'anfiteatro superiore frattanto si
inondavano di una folla di curiosi, avida di emozioni.
Un dibattimento nel quale dovevano trovarsi di fronte due
grandi notabilità della famiglia, il Proposto Terzo Berretta e il
celebre inventore della pioggia artifiziale Redento Albani doveva
naturalmente destare nella moltitudine il più vivo interesse. La
vertenza offriva altresì una speciale attrattiva ai malcontenti di
tutte le classi, ai nullabbienti, ai federati dei partiti estremi, nemici
naturali di ogni autorità costituita, bramosi di scandali e
impazienti di lotte.
Allo scoccare dell'ora settima, il Presidente temporaneo degli
Anziani annunziò l'apertura del dibattimento. Tutti i labbri
ammutirono.
Tutti gli sguardi si volgerò al Seniore Inquirente che
dal suo seggio elevato ripetè quattro volte il nome del Gran
Proposto
Questi a sua volta si levò in piedi.
- Cittadino Berretta - tuonò la voce dell'Inquirente - la
legge ti interroga, la famiglia ti ascolta e Dio ti vede nel cuore(20).
Formola giudiziaria sostituita all'antico giuramento.
Perchè hai tu posto il veto alla petizione di matrimonio
civile inoltrata dal fratello Primo Albani in favore di Fidelia tua
figlia?
- Nella mia qualità di Supremo Magistrato dell'Olona -
risponde il Gran Proposto con voce commossa - sento che la più
rigida osservanza delle leggi mi è sacro dovere. L'Albani ha
violato la legge di dilazione; nella notte del 27 settembre,
egli venne a Milano furtivamente e si intrattenne parecchie ore nei
giardini della Villa Paradiso.
- È falso! - urlò l'Albani balzando in piedi coll'impeto del suo
ardente carattere. E quel grido dell'anima concitata destò nella sala
un eco tumultuoso.
Il Gran Proposto si fece pallido in viso.
- Cittadino Albani - riprese l'Anziano Inquirente - moderate i
vostri impeti che a nulla giovano, se non forse a pregiudicarvi,
quando in vostro favore non intercedano le irresistibili prove del
fatto. Il cittadino Berretta ha recato sul banco della giustizia dei
gravi documenti che appoggiano la sua asserzione, e noi, col
vostro beneplacito, ne daremo contezza a quanti ci ascoltano.
- Si leggano i documenti! - rispose l'Albani assidendosi e
chinando la testa fra le mani.
Al cominciare della lettura, l'attesa del pubblico era solenne e
imponente il silenzio; ma appena il nome dell'ex barone Torresani
autore del rapporto segreto risuonò nella sala, insorse da ogni
parte un mormorio sinistro e provocante. Un Capo di sorveglianza
pubblica non era meno detestato sotto il fraterno regime della
Unione, che nol fossero un secolo addietro un prefetto di
polizia od un questore.
L'Albani, che ascoltava con angoscia impaziente, appena fu
esaurita la lettura di quel primo documento, si rialzò dal suo
seggio, e tutti notarono con meraviglia come il di lui volto, poco
dianzi allibito dalla collera, esprimesse calma e fiducia.
- Onorevoli Seniori, onorevoli Anziani, onorevolissimi
cittadini e fratelli - parlò l'Albani con ferma voce - i voti del mio
cuore sono appagati, ciò che io ardentemente desiderava si è
avverato; il rapporto del cittadino Torresani mi apre l'unica via
sulla quale mi sarà dato di raccogliere a mia giustificazione delle
prove assolute. In detto rapporto si afferma che nei giardini della
Villa Paradiso io mi trattenni colla figlia del Gran Proposto,
Orbene: se il padre di Fidelia acconsente, io eleggo a termine
impreteribile di assoluzione o di condanna, la pubblica
testimonianza di quell'angelo di luce e di bontà, di quella santa
creatura, inaccessibile alla menzogna, che porta il nome di
Fidelia ... Il suo verdetto mi sarà sacro, ed io mi appresto ad
ascoltarlo col sorriso nel volto e colla fede nel cuore.
L'Albani guardava fissamente il Gran Proposto, ma nessun
segno di turbamento o di esitazione appariva su quella fronte
marmorea. Quel vecchio non poteva aver scrupoli né rimorsi in
presenza de' suoi istinti di padre; quel magistrato si sentiva
agguerrito dalla coscienza del vero. Prima che l'Anziano
Inquirente gli ripetesse, come d'uso, la proposta dell'avversario
civile, il Berretta si levò in piedi profferendo queste due semplici
parole: «accetto la testimonianza di mia figlia come termine
impreteribile venga Fidelia!»
La figlia del Gran Proposto non era lungi.
Gli Anziani, prevedendo l'incidente, l'avevano chiamata al
giudizio, e la giovinetta, circondata dalle amiche, attendeva
l'appello della matrona legale nella sala di aspetto riservata
alle fanciulle. Nel di lei volto non appariva alcun segno delle
interne agitazioni: ma quella calma sgomentava le amiche, e la
buona Speranza ne era siffattamente allarmata che a stento
reprimeva i singulti.
Al primo appello della matrona, Fidelia si levò in piedi e
appoggiata al braccio delle amiche, la persona castamente avvolta
nel peplo mattutino si diresse verso la porticella che
metteva alla tribuna.
Quella apparizione destò nella sala un mormorio di simpatia.
I Seniori e gli Anziani si scopersero il capo,
Il Gran Proposto e l'Albani rimasero al loro posto come
impietriti. Sì l'uno che l'altro furono investiti da un tremito che
pareva un presagio. Gli occhi di Fidelia. eretti al cielo, si
irradiavano tratto tratto di una luce fosforescente.
- Abbassate la reticella vitrea!(21)
La reticella vitrea è un tessuto di materie coibenti, e si impiega nei tribunali civili e criminali ad
isolare i testimoni, onde sottrarli alle correnti di fluido magnetico che potrebbero pregiudicare la libera
espressione di un verdetto. È un apparato semplicissimo, tanto semplice, che un arguto lettore dal nome può formarsene
un concetto approssimativamente veritiero.
- ordina il Presidente
Temporaneo degli Anziani ai meccanici di legge; - il
risultato della testimonianza vuol essere decisivo; è necessario che
la verità non venga pregiudicata da influssi magnetici o da altri
poteri occulti.
- È vano! - rispose dalla tribuna la voce di Fidelia; - nessuna
volontà umana potrebbe violentare il mio libero arbitrio. L'anima
di mia madre è con me, e la menzogna non può uscire dal mio
labbro.
Così parlando, la giovinetta sviluppò dal peplo il suo candido
braccio, e alzando la destra fece brillare allo sguardo degli
assembrati un bellissimo carbonchio umano (22)
Da oltre mezzo secolo la cremazione dei cadaveri venne da tutta Europa non solamente adottata ma prescritta
come base di ogni rito funebre. Al momento di raccogliere le ceneri di un trapassato, accade talvolta di rinvenire nel
centro dell'amianto funerario, al luogo ove posava il cuore del defunto, una pietra di color sanguigno più splendida e
più dura dell'adamante. La superstizione si impadronì di questo fatto inesplicato dalla scienza, per fabbricarvi intorno le
più strane congetture. La bella, splendidissima pietra prese il nome di carbonchio umano Si suppose che le
molecole vitali del defunto, rifuggendo, per un accidente chimico-elettrico non ancora esplorato, da tutte le estremità
del corpo alle regioni del cuore, ivi si cristallizzino per formare il prezioso gioiello, che andò poi nella opinione del
popolo acquistando il titolo di talismano onnipotente contro le forze occulte della perversità e della soperchieria umana.
sfavillante
come l'astro di Venere.
L'emozione degli astanti toccava il parossismo.
L'inquirente, dopo breve attesa, raccolse dalla mano del
Presidente il quesito finale già formulato e riveduto dagli
Anziani e dai Seniori; indi, nel silenzio più opaco della assemblea,
si volse a Fidelia:
- Adulta Fidelia Berretta: la legge ti interroga, la famiglia ti
ascolta e Dio ti vede nel cuore. Puoi tu asserire che nella notte dal
ventisette al ventotto settembre dell'anno corrente, l'adulto
Redento o Primo Albani siasi intrattenuto teco a colloquio in
Milano, e precisamente nella sua villa detta del Paradiso? ...
- Sì! - rispose Fidelia senza esitare un istante. L'Albani, che
durante la interpellanza si era levato in sulla punta dei piedi, col
labbro ansante e l'occhio iniettato di una luce che era fede e
certezza, ricadde sulla seggiola mettendo un grido.
Ma un altro grido uscito da molti cuori di donne in quel
medesimo punto, distrasse dall'Albani l'attenzione degli astanti
per portarla sovra la figlia del Gran Proposto.
Il monosillabo affermativo partito dalla tribuna delle vergini
era stato l'ultimo sospiro vitale di Fidelia. La giovinetta, nel
profferirlo, era caduta nelle braccia delle amiche come un giglio
reciso.
- Morta! morta! - gridavano le donne.
- Uccisa dalla menzogna! - ruggì l'Albani insorgendo e
accennando al Gran Proposto.
- La prova galvanica! la prova galvanica! - urlarono mille
voci dall'emiciclo.
Il Presidente degli Anziani sollevò la mazza di primo
ammonito per sedare il tumulto. E frattanto, in men che io nol
dica, quattro matrone di ufficio trasportarono il corpo di
Fidelia nel centro della sala, e il chirurgo primate del tribunale le
applicò il pungiglione galvanico all'occipite.
La folla irruppe dalle sbarre. Seniori, Anziani, bidelli,
subalterni, spettatori, si pressarono compatti intorno al banco di
risurrezione. L'Albani stringeva nelle sue la mano di Fidelia.
Il Gran Proposto piangeva desolato ai piedi della figlia.
Al tumulto scapigliato era succeduto come per incanto il
silenzio della riverenza e della aspettazione.
La puntura galvanica non tardò molto ad agire. Fidelia
si riscosse ...
- Discendi in te stessa - disse il primate di chirurgia
parlandole all'orecchio; - visita il tuo cuore e i tuoi visceri, e
dimmi qual fu la sincope che ti ha colpita.
Le labbra di Fidelia si agitarono e proffersero la parola
morte.
Il primate le applicò il pungiglione galvanico alla
fronte.
- Puoi tu asserire - domandò l'inquirente - che Primo Albani
abbia avuto teco un colloquio nella notte dal ventisette al ventotto
settembre?
- No! - rispose la morta. - In quella notte l'Albani era ben
lungi ... ben lungi ... da Milano.
- Perché dunque - riprese l'Inquirente - hai tu voluto, quando
eri in vita, affermare un fatto che ora sei costretta a smentire? ...
- Perché desso ... perché colui ...
- Parla! ... una sola voce! ... una parola ... ancora! - gridò
l'Albani!
- È vano! - disse il primate ritirando il pungiglione dalla
fronte dell'estinta e riponendolo nell'astuccio. - Il galvanismo non
ha più azione su lei: la materia animale è ottusa.
Ciò che avvenne in quel punto nella sala non può descriversi
a parole.
Caliamo la tela su questa scena di desolazione e di tumulto.
CAPITOLO XIX - Le dimissioni.
Due giorni sono, trascorsi I cittadini dell'Olona si affollano
intorno a due proclami apparsi dallo spuntare del giorno sulle
muraglie di affissione.
L'un d'essi porta la firma del Gran Proposto, l'altro è segnato
Torresani.
Soffermiamoci dinanzi al primo proclama, e leggiamo:
«Ai presenti ed ai lontani salute e buon senso!
«Duemila telegrammi partiti dai centri esecutivi della Unione
domandano che io mi dimetta dalla carica di Gran Proposto
dell'Olona.
«Lo stesso voto esprimono le seicentomila cartoline postali
che oggi pervennero al mio domicilio. Dinanzi a questa e ad altre
manifestazioni imponenti dell'autorità pubblica, io non posso
indugiare un istante a svestirmi di un potere più illusorio che reale
e punto invidiabile.
«Ma i motivi che contro me provocarono questa unanime
protesta della opinione pubblica sono di tal natura che mi terrei
disonorato affermandoli col mio silenzio. Né moralmente, né
civilmente, io so di aver mancato al dovere; e ne faccio solenne
giuramento sulle ceneri tuttora fumanti di mia figlia, testé raccolte
dal funebre amianto. Nessun altro tesoro all'infuori di queste e di
altre ceneri care, io esporterò dal piccolo Campidoglio ove per
venti anni tenni il governo della pubblica amministrazione.
«Tanto mi tengo in debito di affermare ai presenti ed ai
lontani, e non dubito punto che le mie parole abbiano a trovar fede
presso gli onesti di qualunque partito.
L'EX PROPOSTO BERRETTA».
- Nobili parole, degne del suo gran cuore! - esclama,
tergendosi le lagrime, un meneghino, che il giorno innanzi avea
spedita al Gran Proposto la sua cartolina di ostracismo
Volgiamoci all'altro proclama, e vediamo con quali formole
il Capo di Sorveglianza annunzii la propria dimissione:
«Cittadini ladri, truffatori, manutengoli, barattieri, furfanti
d'ogni specie che costituite la maggioranza della Società umana:
«Esultate! Ciò che era nei vostri voti si è compiuto; la
dimissione di sua Eccellenza Riveritissima il Gran Proposto Terzo
Berretta implica necessariamente la mia.
«Il benemerito dicastero di sorveglianza pubblica
rimarrà per uno o più giorni senza capo.
«Cittadini ladri, truffatori e furfanti di ogni specie, esultate!
ve lo ripeto. E frattanto, i pochi galantuomini - se è pur vero che
ve ne abbiano, ciò che a me non consta positivamente - badino
alle loro tasche ed alle serrature dei loro forzieri!
«Il mio successore, entrando in carica, vedrà che durante la
mia gestione tutto ha proceduto con ordine e con giustizia. Con
quale accortezza e tenacità io abbia lottato per oltre venti anni
contro la ribalderia umana, apparirà evidentemente dai registri e
dai tesseri che io lasciai negli uffizii. Se non che - lo confesso con
immenso rammarico - in questi ultimi tempi la mia e l'attività
indomabile de' miei subalterni riuscì in molti casi impotente. Già
da oltre mezzo secolo, quei nostri famigerati utopisti che
ripetevano la frequenza dei crimini dall'analfabetismo delle masse,
hanno dovuto convincersi che l'istruzione universale ha
quadruplicato il numero dei falsarii e dei ricattatori. Più tardi, la
scienza medica e farmaceutica appresa a tutti indistintamente i
cittadini della Unione, moltiplicò gli avvelenatori e gli assassinî
domestici. Le locomotive aeree agevolarono le contumacie dei
bricconi e favorirono la impunità. La sistemazione e applicazione
pratica delle forze magnetiche produsse abbominazioni che fanno
inorridire.
«A questi, sempre crescenti ausiliarii della iniquità e della
corruzione, i governi opposero una resistenza in fino ad oggi
abbastanza efficace. Nelle nostre mani le nuove armi fornite dal
progresso alla depravazione ed alla colpa divennero una forza
riparatrice. La nostra sorveglianza dalla terra e dal mare si estese
alle amplissime regioni dell'aria. Abbiamo non pochi esempi di
grandi ed audacissimi malfattori, catturati dai nostri agenti a poca
distanza dalla luna.
«Ma qual pro' da questa caccia affannosa e piena di pericoli?
Noi inseguiamo il calabrone malefico, lo afferriamo, lo rechiamo
trionfanti, esultanti, sul banco della giustizia, acciò questa si
prenda il bel spasso di aprirci il pugno per ridonare il captivo al
libero esercizio de' suoi perfidi talenti.
«Tante grazie, signori riformatori del Codice penale! ... Ma
non vi par tempo di finirla con questa buffoneria che si chiama il
Ministero di Sorveglianza pubblica? A che serve lo inseguire, il
catturare dei delinquenti, mentre alla giustizia più non rimane
alcun serio mezzo di punizione?
«Nei secoli addietro, allorquando a migliaia a migliaia i
galantuomini, o dirò meglio, gli impregiudicati, morivano di fame,
un cotal Beccaria finse di intenerirsi sulla sorte degli assassini
appiccati alla forca. Tutti i filosofi dell'epoca fecero eco alla
nenia, e la canaglia (ciò si comprende) proclamò il Beccaria
altamente benemerito della Società umana.
«La pena di morte venne col tempo abolita; tanto è vero che
tutte le idee, anche le più strane e più esiziali, seguono il loro
corso di rotazione e a lungo andare si traducono in fatto. I
briganti, gli aggressori di strada, gli avvelenatori, i parricidi arsero
dei ceri alla statua grottesta di Beccaria(23).
Non si dimentichi che l'ex-barone Torresani rappresenta il principio di reazione, comune a tutte le epoche.
«Più tardi, questi signori umanitarii progressisti che mai non
seppero formulare un concetto benefico in favore dei così detti
galantuomini, si accorsero che negli ergastoli e nelle galere i
birbaccioni non godevano le maggiori agiatezze della vita.
«Lugete, Veneres, cupidinesque!
«E mano alle riforme carcerarie! ... Le case di pena si
tramutino in altrettanti cenobii di fannulloni ben vestiti, meglio
pasciuti e confortati, a spese del comune, da ogni sorta di
ricreamento.
«È troppo giusto che il vizio ed il crimine dormano sovra un
soffice letto, mentre i contadini pusillanimi che rispettano la legge
debbon coricarsi a digiuno sulla paglia ammorbata.
«Non basta ancora, non basta, perdio! La reclusione è una
infamia ... L'uomo è nato libero ... La libertà è un inviolabile diritto
di tutti. Chi si attenta, sotto qualsivoglia pretesto, di vincolare
questo istinto sovrano della umanità, commette un mostruoso
fratricidio.
«Si atterrino le case ... di riposo! ... Uscite, o sfortunati! La
società vi riapre le braccia; cittadini ladri, cittadini assassini, i
fratelli vi reclamano. La famiglia Europea offrirà a tutti il pane e
l'alloggio gratuito; voi sarete vestiti e nutriti a spese del Comune;
potrete viaggiare gratuitamente sulle ferrovie e sui piroscafi: alla
sera, nelle grandi città, avrete libero accesso ai teatri. La
famiglia non è abbastanza ricca per offrirvi dei lauti
sussidii in denaro. Un lusso al giorno! ... è poca cosa, ne
conveniamo. Ma alle spese delle gozzoviglie, dei capricci galanti,
delle corse aeree, provvederanno i vostri talenti.
«E infatti ... si è veduto:
«Non appena questo bel trovato dell'amnistia generale ebbe
scatenati sulle famiglie della Unione i trentamila
fratelli detenuti, a tutte le porte delle abitazioni fu mestieri
applicare la serratura a revolver. Il grande avvenimento
venne festeggiato nelle principali città di Europa con luminarie e
banchetti, ma tutti ricordano quali immediate prove di
ravvedimento abbian fornito ai loro concittadini questi antichi
martiri del cenobbio. Dalle finestre sparirono i candelabri,
dalle mense le posate e le tovaglie.
«Voi avete supposto che le multe, la denunziazione
pubblica la nota di infamia e la morte civile
potessero costituire, in un secolo illuminato, dei validi freni al
delitto. Che faranno i ladri per soddisfare alle multe? La risposta è
troppo ovvia: ruberanno. Le denunzie, le note di
infamia potranno ancora far breccia, in quelle anime incallite al
misfatto? Il più enorme dei vostri supplizi!, la morte civile
ucciderà nel delinquente ogni senso di moralità; e voi lo vedrete,
dopo i cinque anni di espiazione, ritornare al consorzio dei fratelli
coll'odio di Caino nel cuore e con propositi atroci. I pochissimi
rigenerati dalla espiazione, disperando dell'oblio promesso,
soccomberanno alla lenta agonia del rimorso e della vergogna, o
affretteranno il loro fine in una piscina dissolvente24).
La frequenza dei suicidi e gli orrendi spettacoli che da questi si producono, indussero i governi a stabilire, in ogni
centro popoloso, delle piscine dette dissolventi, le cui acque fosforiche hanno facoltà di consumare in
pochi secondi il corpo che vi si immerge. Dette piscine sono ordinariamente situate nelle case di piacere, e vegliate
assiduamente da due Immolate, le quali hanno l'incarico di usare ogni mezzo di seduzione per distogliere i suicidi dal
funesto proposito. - Veggasi più innanzi il capitolo: Una casa di Immolate
«A tale è giunta la Società umana, dopo tante fasi di
rinnovamenti e di progressi.
«E guai se io sollevassi il velo che ricopre il mondo latente!
«Unico freno alla esplosione della completa anarchia rimane
il terrore dell'ignoto e, diciamolo pure, quella provvidenziale
dissidenza di partiti, che noi abbiamo abilmente e con ogni mezzo
mantenuta. Ma allorquando una delle tante sette politico-sociali-
religiose che fremono nelle viscere corrose della Unione,
riuscirà ad ottenere una prevalenza assoluta; allora, o signori,
aspettatevi il diluvio ... la pioggia di fuoco, l'inferno ... ! I primi
furori della spaventevole rivolta si rovescieranno, come di uso, sui
Proposti, sugli Imperatori, sugli Czarri, sui Capi di Sorveglianza,
sui tiranni che lottarono per scongiurare il cataclisma ... In
seguito ... lasciate fare agli equilibristi ... ! Vi prometto io,
che in pochi giorni l'equilibrio sarà perfetto.
«Prima di finirla, vorrei dire due parole sul fatto speciale che
ha provocata la dimissione del Gran Proposto e la mia. Nel
rapporto che io presentai ai Tribunali relativo alla violazione della
legge di «dilazione per parte dell'Albani, io so di non aver
peccato contro il dovere di primate legale. L'Albani fu realmente
veduto dai miei agenti nella notte dal 27 al 28 settembre entrare
nella Villa Paradiso e quivi intrattenersi colla figlia del Gran
Proposto. Ma i due verdetti contradittorii della prima e non mai
abbastanza deplorata vittima dell'infausto processo, mi hanno dato
a riflettere ...
«Io non mi accuso di aver mancato per negligenza o mal
volere, ma temo che l'impotenza assoluta a lottare contro uno dei
più abbominevoli trovati della industria moderna abbia tradito i
miei calcoli.
«Che qualche furfante, abusando della maschera-ritratto, a
tanto sia riuscito da ingannare la mia accortezza non solo, ma
anche quell'istinto di gentile penetrazione, quella direi quasi
intuizione divina che è propria delle donne innamorate? ... Una tale
ipotesi spiegherebbe molte cose; ed io non dispero che,
profittando delle molte note da me tracciate in argomento, il mio
successore riesca a scoprire la verità e a porgermi i mezzi di una
giustificazione più completa.
«E dopo questo, cittadini ladri, manutengoli, ecc. ecc., io
rientro nella vita privata, ringraziando voi e la provvidenza, di
avermi aperta, a svignarmela sano e salvo dal palazzo di
Sorveglianza, una uscita abbastanza sicura, quale difficilmente
vorrà offrirsi al mio successore.
«L'EX BARONE TORRESANI»
Quella sera al teatro Scalvoni e Barbetta si rappresentava una
grandiosa tragedia-ballo in venti atti e sessantotto quadri,
intitolata la Caduta di un Gran Proposto, ossia il tremendo
verdetto della Giustizia divina per opera d'uno specillo
galvanico
Verso le ore sette, una ondata di oltre cinquantamila
spettatori irrompeva nel gran teatro popolare. La impazienza e la
concitazione del pubblico si rivelava dagli atroci latrati dei
binoccoli canini(25).
Ai binoccoli da teatro venne aggiunto un tubo stantuffo, dal quale, con leggiera pressione, si traggono dei suoni
acutissimi, somiglianti al latrato del cane, al miagolìo del gatto, ed al fischio di una locomotiva a vapore. Inutile dire a
qual uso sia destinato questo istromento, la cui invenzione divenne una necessità dacché la vastità dei teatri, e più che
altro, il frastuono delle musiche perpetrate dal Terzo Wagner rese impercettibili le disapprovazioni a bocca.
All'alzarsi del sipario, tutti i palchi erano stipati di spettatori.
Solo il palco al numero sette di prima fila si vedeva coperto dal
riparatore(26),
Piccolo velario che si abbassa sul palco di chi vuol assistere inosservato ad una rappresentazione. Si compone di una
lamina sottilissima di metallo, sulla quale ordinariamente è dipinto un gran volto in caricatura. Nelle occhiaie lo
spettatore nascosto appoggia ordinariamente il binoccolo.
ed era ovvio, il supporre che dietro quello si
nascondeva la cinica figura dell'ex-capo di Sorveglianza.
Il dramma non era che una indigesta e gaglioffa parodia
dell'avvenimento della giornata, colle solite invettive ai
consorti, ai tiranni, agli uomini della
reazione.
Abilmente riprodotti a mezzo delle maschere
guttaperche sfilavano sulla scena i principali attori del
dramma cittadino. Il Gran Proposto e il Barone Torresani
ricomparivano in ogni atto per raccogliere le invettive del palco
scenico, e quelle più irriverenti e chiassose della platea.
La produzione sortì l'esito che era da attendersi: fanatismo
completo ... Ma al momento in cui gli autori comparivano per la
ducentesima volta al proscenio, il velario riparatore che
copriva il palco numero sette si alzò improvvisamente, mettendo
allo scoperto la sarcastica figura del Torresani.
- Signori e signore! - gridò il barone colla sua voce rantolosa
e vibrata; - abbiate la compiacenza di fermarvi un istante per
ascoltare la protesta di un libero cittadino!
Tutti gli sguardi si volsero al palco di prima fila, e i
cinquantamila spettatori ammutirono come un sol muto.
- Signori e signore - riprese il Torresani nel generale silenzio;
- nella mia qualità di ex-ministro di Sorveglianza pubblica io non
poteva attendermi dagli autori del nuovo dramma delle allusioni o
delle apostrofi gentili. A queste non intendo rispondere; io le ho
ascoltate con indicibile compiacenza, le ho raccolte come un
glorioso attestato di onoratezza. L'onore di un Capo di
Sorveglianza, o altrimenti Questore, è posto sotto la salvaguardia
dell'odio generale, ed io mi glorio di essere esecrato. Ciò che mi
preme rettificare è una circostanza storica del dramma, la quale, se
fosse accolta come veritiera, mi pregiudicherebbe grandemente
sotto l'aspetto finanziario. Nell'ultimo atto, l'autore si è piaciuto di
farmi appiccare ad un fico. Come vedete, io non mi sono
appiccato, e vi giuro che non intendo appiccarmi. Ma in quella
vece aprirò domani un grandioso negozio di salumeria in via dei
Ghiotti al numero 10. Colgo questa occasione per fare un po' di
réclame al mio Stabilimento, e augurando a tutti il miglior
appetito, vi abbasso le mie salutazioni più affettuose.
- No! no! - grida una voce dalla platea; - nessun cittadino
onesto metterà il piede nel tuo negozio; nessun onesto mangerà il
salame della questura!
- Mi importa assai degli onesti! - mormora il Torresani
riabbassando il velario riparatore. - Purché i ladri onorino
la mia bottega, in due mesi diverrò milionario.
Così parlando, il sarcastico vecchietto sovrappose al proprio
volto una maschera-guttaperca al sembiante del drammaturgo
Scalvoni, e lanciandosi destramente nell'atrio, si fece largo tra la
folla plaudente fino alla volante che lo attendeva sulla piazza.
Lasciamo che egli se ne vada pe' fatti suoi, e poniamoci sulle
orme di altri personaggi più meritevoli e simpatici.
CAPITOLO XX - Il chiodo fantastico.
In una delle più intime stanze della Villa Paradiso, disteso
sovra un candido letto, il pallido volto abbandonato ai guanciali,
giace l'amante di Fidelia assopito da un letargo affannoso.
Al lato dell'infermo, in atteggiamento di profonda mestizia,
sta assiso il Levita che porta il nome di fratello Consolatore.
Il suo sguardo e il suo pensiero sembrano assorti in un
fascicolo di carte manoscritte.
Un lieve rumore di passi ha riscosso il Levita.
La porta si apre, e il vecchio custode della villa introduce
nella stanza l'illustre primate di medicina Secondo Virey, seguito
da due praticanti specialisti, incaricati di esercitare l'azione
magnetica sull'infermo.
Fratello Consolatore ha ceduto il posto al Primate. I due
praticanti distendono le braccia, e il Virey non tarda un istante ad
iniziare l'esplorazione.
- Sei tu in grado di osservare?
- Lo sono - risponde il malato agitando lievemente la testa.
- Hai tu compiuto il tuo corso di scienza medica? ...
- Io dovetti interromperlo per forza di legge, ma non vi è
arcano della scienza che a me sia sconosciuto,
- Vedi tu nulla di anormale nel colore del tuo sangue
arterioso?
- Nulla,
- Al cuore? ...
- Una leggiera enfiagione al lato destro.
- Al cervello?
- Delle parziali alterazioni negli organi inferiori; disparizione
quasi completa della stearina, e prevalenza di fosforo.
- Sei tu ben sicuro di quanto asserisci circa la prevalenza del
fosforo?
Il malato chiude gli occhi, e dopo breve silenzio risponde
affermativamente.
Ad un cenno del Virey, i due praticanti magnetisti
abbassarono le braccia, e la testa del malato, abbandonata dal
fluido possente, ricadde assopita sui guanciali.
Il Virey rivolse la parola al fratello Consolatore.
- Credo esser nel vero affermando che l'illustre infermo
rappresenta una delle tante vittime dello spiritualismo esagerato
dell'epoca nostro. Porgetemi la biografia di questo sventurato ...
Fratello Consolatore si fece innanzi e consegnò il
manoscritto al Primate.
- Le alterazioni del sistema arterioso - riprese quest'ultimo
con calma solenne - derivano da grandi sofferenze morali
accoppiate ad una violenta attività del cervello. Questa attività ha
potuto assorbire, distraendola dal cuore, una delle grandi cause
efficienti della malattia. Senza questa circostanza, l'aneurisma
avrebbe già prodotto le sue conseguenze mortali. Ma la biografia
del malato chiarirà meglio la mia diagnosi. Potete voi giurare, o
fratello Levita, che in queste pagine non vi abbia parola la quale
non sia ispirata dalla verità?.
Fratello Consolatore portò la mano al petto e rispose:
- Pel corso di cinque anni ho diviso tutte le angosce
dell'uomo che ci sta dinanzi: la sua anima si è completamente
rivelata alla mia e voi la vedrete riflessa in quelle carte ...
- Voi fortunati! - esclamò il Virey con un sorriso di sdegnosa
ironia - voi che avete il privilegio di scorgere l'anima attraverso le
molecole organiche dalle quali risulta la vitalità ... La scienza di
noi profani non giunge a tanto. Vedete voi la vostra anima,
fratello Levita?
- Non la vedo, ma la sento - rispose fratello Consolatore con
umile voce.
- E siete proprio persuaso che il battito delle arterie, il respiro
dei polmoni, la facoltà di pensare e di agire dipendano da una
potenza misteriosa che non ha da fare colla materia?
- Il giorno in cui in me cessasse una tale convinzione,
arrossirei di esser uomo e invocherei di morire.
- Mentre io mi occuperò a leggere queste note biografiche -
disse il Virey allontanandosi - voi potrete, o fratello, esercitare le
vostre pratiche salutari sull'anima dell'infermo. Più tardi, se i
vostri rimedi non avranno giovato, io mi permetterò di tentare
qualche prova sulla massa corporea. Vi prometto che il vostro
metodo di cura non ne rimarrà pregiudicato.
Così parlando, il Virey si ritirò nel vicino gabinetto. Fratello
Consolatore cadde in ginocchio presso il letto dell'infermo
mormorando una preghiera.
Trascorsa un'ora, il Primate di medicina rientrò nella stanza.
Ai due praticanti magnetisti che lo accompagnavano si era
aggiunto un numeroso drappello di giovani studenti, intervenuti
spontaneamente al consulto per erudirsi nella dotta e faconda
parola dell'illustre scienziato. Il Virey da più mesi non era venuto
a Milano; tutti si attendevano che al letto degli infermi egli
avrebbe solennemente proclamate e spiegate le sue grandi teorie
innovatrici.
L'aspettativa non fu delusa.
I giovani si schierarono silenziosi intorno al letto, e il Primate
con accento solenne prese a parlare:
«L'esplorazione magnetica non mi aveva ingannato; la
biografia dell'infermo, e più che altro la storia delle sue ultime
peripezie ha confermato i miei criterii sulla natura del male
che reclama i nostri soccorsi.
«La scienza medica ha fatto, nella prima metà del corrente
secolo, dei progressi meravigliosi. Oggimai non vi è legge
dell'organismo umano che a noi sia ignota, non vi è forza della
natura che abbia potuto sottrarsi alle nostre investigazioni ed al
dominio delle nostre esperienze. Ogni mistero si è rivelato;
l'organismo umano non ha più segreti per noi; la chimica ha
messo a nostra disposizione tutte le sostanze vitali disperse negli
elementi, tutti i reagenti salutari che rispondono alle umane
fralezze.
«Possiamo noi inorgoglirci degli stupendi risultati?
«Possiamo noi esultare dei nostri trionfi, mentre gettando uno
sguardo sulla umanità ci è forza di constatare il suo incessante
deperimento?
«I nostri legislatori si mostrano sgomentati della frequenza,
per verità spaventevole, dei suicidii individuali; eppure - strano a
pensarsi - assistono spettatori indifferenti ed improvvidi al
suicidio di tutta la specie umana!
«Se fosse lecito dubitare della perfezione matematica
dell'universo, che implica necessariamente la perfezione dei
singoli elementi cosmici, in verità noi dovremmo chiamare
assurda ed improvvida questa grande sproporzione che si
manifesta tra la facoltà immaginativa e la forza puramente
meccanica dell'uomo. Tutte le malattie, tutte le passioni e le ansie
che ci contristano la vita ripetono la loro origine e la loro causa
efficiente da questo fenomeno implacabile. Il progressivo
sviluppo e la conseguente attività delle forze morali segna
nell'organismo dell'uomo le fasi del deperimento che conduce alla
morte. Questo attrito incessante fra l'uomo intelligente e l'uomo
bruto risponderebbe per avventura ad una misteriosa esigenza
dell'ordine universale? Questa legge, così assurda nelle apparenze,
costituirebbe forse il principio demolitore, o meglio, la potenza
trasformatrice della umanità? La razza umana sarebbe mai
destinata a scomparire dopo un lasso di secoli, per vivere e
riprendere sotto nuovi aspetti la sua attività cooperativa in un
mondo ringiovanito? Ammessa una tale ipotesi, per la quale
verrebbero ad eliminarsi molti assurdi concetti, volgendo uno
sguardo alle condizioni attuali della umanità, ed ai gravissimi
indizi di prostrazione che in ogni parte si manifestano, non
possiamo astenerci dall'emettere un grido di allarme - l'agonia
della nostra specie è cominciata. Il fuoco della nostra intelligenza
ha raggiunto il massimo grado della incandescenza; questo fuoco
sta per estinguersi.
«Noi siamo all'ultimo atto della grande tragedia umana. Il
Titano intelligente si elevò ad una altezza non mai raggiunta, ma
la sua caduta sarà irreparabile.
«Abbiamo spogliate le foreste, abbiamo traforate e abbattute
le montagne, abbiamo aperte delle voragini per rapire alla terra le
materie combustibili e gazose; abbiamo deviate le correnti
elettriche; dapertutto la mano dell'uomo ha portato lo scompiglio e
lo sfacelo.
«Che più ci resta a tentare? Dopo aver dominato la terra e le
acque, ecco le nostre locomotive ci sollevano ai cieli ... Non basta?
Fourrier, coll'innesto delle ali, ci comunica una nuova facoltà, ci
promette una trasformazione ...
«Affrettiamoci, signori! Ciò che abbiamo fatto per suicidarci
è poca cosa ... Voliamo alle regioni dove spaziano le aquile! ...
Voliamo colà dove per l'uomo si respira la morte ...
«E i sintomi mortali si scorgono dapertutto. L'attività febbrile
che nello scorso decennio ha operato dei prodigi, oggi accenna ad
estenuarsi; la luce della intelligenza umana è quella del lucignolo
prossimo a spegnersi.
«E frattanto, qual forza ci soccorre? La terra, nostra madre, e
nudrice, è ormai stanca delle nostre violenze. Essa comincia a
ribellarsi. I cereali intisichiscono, la vite non dà più grappoli; gli
animali che più abbondante e vigoroso ci fornivano l'alimento, si
ammorbano e periscono sui pascoli insteriliti.
«E già i governi mandano un grido di allarme; e il diritto alla
esistenza sancito dalle nuove leggi diverrà fra poco una
derisione ... Ma a ciò provveda chi deve.
«Il nostro compito, o signori, è quello di affermare, per
quanto è da noi, la vita individuale, mentre le masse precipitano
nella morte.
«L'umanità è colpita là dove ha molto peccato. La prevalenza
del succo nerveo ha paralizzato le forze del sangue; l'equilibrio
degli elementi vitali è cessato; l'uomo vegetale, l'uomo bruto fu
invaso dell'uomo pensante.
«Dalle cattedre, dai libri, dai giornali noi abbiamo reagito
costantemente contro l'invadenza di uno spiritualismo micidiale.
Ma la superbia umana ha sordo l'orecchio alle verità che la
umiliano.
«La religione riformata, accarezzando l'orgoglio dell'uomo e
l'idealismo irrazionale della donna, ha messo il colino alla
esaltazione. In ogni paese, in ogni tempo, l'ascetismo fu nemico
della nostra scienza; ma a nessuna epoca mai come alla nostra, il
prete ed il poeta, questi eterni falsarii della legge naturale, questi
allucinati o coscienti mistificatori delle plebi umane, esercitarono
più micidiale il loro predominio. I fanatici del nuovo culto
impazziscono a migliaia. Parigi, la superba città che era nello
scorso secolo denominata il cervello del mondo Parigi non
rappresenta oggigiorno che un vasto manicomio.
«Ma questi signori vi diranno: ciò che a noi importa è la
salute delle anime! Orbene! (e così parlando il Virey si volse a
fratello Consolatore) non vi par tempo che noi interveniamo?
«Vorrete poi permetterci di tentare qualche esperienza
profana sugli atomi vitali che per avventura serpeggiano tuttavia
in questo corpo estenuato? ... »
Fratello Consolatore non rispose e chinò la testa mestamente.
Il Virey, per un istante disarmato dall'umile atteggiamento
del Levita, riprese la parola con intonazione più dimessa:
«La malattia che ha colpito quest'uomo è una delle più
comuni oggidì: la lassitudine nervosa complicata e aggravata da
un chiodo fantastico
«Lo sfinimento dell'apparato nervoso ripete la sua origine da
troppo intense e prolungate esercitazioni della macchina
cerebrale; il chiodo fantastico è frutto di una troppo
costante e inesaudita surreccitazione dei globuli simpatici. Il
bagno fosforico e le fasciature elettro-magnetiche applicate con
prudente moderazione potrebbero in breve tempo rinvigorire il
sistema pregiudicato; ma un tal metodo di cura aggraverebbe la
crisi dell'organo più compromesso.
«Signori! ... occhio al cervello! ... occhio al padrone, al
governatore, al tiranno della casa vitale! Abbiate per fermo che
nessuna malattia è mortale quando l'organo tiranno che
siede là dentro conservi piena ed intatta la sua forza di
volere.
«Affrettiamoci dunque! Il nostro primo compito sia quello di
ristabilire l'equilibrio fra i globi cerebrali. Ottenuto l'equilibrio,
quando il malato sarà in grado di pensare e di volere,
in pochi giorni la resurrezione delle fibre sarà completa.
«Riassumiamoci. La biografia del paziente ci ha rivelato che
un intenso desiderio di possessione riportato sovra una donna fu
causa della anomalia. L'idealismo! sempre l'idealismo! fomite di
ogni follia, di ogni disordine, per non dire di ogni umana
scelleratezza. Questo uomo, credendo di amare ha fatto
violenza alle leggi della natura e si è reso impotente. Io vorrei
bene, o signori (e qui la parola del medico riprese una intonazione
più vibrata), io vorrei bene, se la situazione del malato non
esigesse tutte le nostre sollecitudini, sbizzarrirmi alcun poco nella
diagnosi di questa vacuità a cui le moltitudini danno il nome di
amore! ... Oh! chi scriverà la storia dell'amore? Chi
vorrà riprodurre nella sua spaventevole ampiezza la cronaca delle
follie e dei delitti derivati da questo equivoco, da questa fatale
illusione della superbia umana? E fino a quando proseguiremo noi
ad insultare la natura, a pervertirci, a suicidarci, per la mania di
idealizzare a mezzo di una insensata parola l'attrazione simpatica
dei sessi, comune a tutti gli enti, a tutte le molecole della
creazione?
«Ma torniamo al malato. La prevalenza del fosforo, rivelata
dalla esplorazione, mi è di buon augurio; l'assenza della febbre mi
allarma. Provochiamo la febbre! provochiamo questa benefica
agitazione del sangue che tende ad espellere dall'organismo gli
atomi eterogenei,
«Soffiamo in questa bonaccia! suscitiamo la tempesta
riparatrice! ...
«E non perdiamo un istante (proseguì il medico, ritraendo la
mano dalla fronte del malato); si chiami tosto ... Ma, no! ... io
stesso sceglierò l'individuo da applicarsi ...
«Vi è qui alcuno che possegga un ritratto della donna che
questo infelice ha creduto di amare? ... »
Fratello Consolatore si levò in piedi, levò dal portafoglio una
fotografia e la porse al primato.
- Sta bene! ... Conducetemi tosto ad una casa di Immolate ...
Là troveremo l'individuo simpatico che ci abbisogna.
E volgendosi ai giovani studenti che in silenzio lo avevano
ascoltato:
- Spero - disse - che mi avete compreso. L'estirpazione del
chiodo fantastico allora si effettuerà spontaneamente,
quando si ottenga che quest'uomo abbia a credere in
un'altra forma di donna ... Se a tanto può giungere il talento e la
volontà di una Immolata, è indubitabile che lo sviluppo istantaneo
della febbre ricondurrà l'equilibrio nelle forze mentali, e allora il
cervello potrà gridare a' suoi satelliti: sorgete e obbeditemi!»
Ciò detto, il Virey riconsegnò a fratello Consolatore la
fotografia dell'Albani, dopo averne spiccato uno dei tanti ritratti
fotografici che vi erano intercalati.
- Levita! - riprese il Primate nell'atto di congedarsi - voi
perdonerete alla vivacità di alcune mie espressioni che per
avventura possono aver irritate le vostre suscettibilità - la scienza
medica non fu mai troppo scrupolosa nella pratica del galateo. -
Dopo tutto, se i nostri principii e le nostre credenze si avversano,
ciò non impedisce che noi ci chiamiamo fratelli.
- Fratelli! - ripetè il Levita stringendo al cuore la mano che
aveva cercato la sua - è pur consolante l'udir profferire questa
parola da un uomo che nega l'amore e non crede
all'esistenza dell'anima ...
Il Virey, irritabile come tutti gli scienziati, stava per
riprendere la sua polemica, ma un sospiro affannoso del malato gli
ricordò che i minuti erano contati.
Egli volse al Levita un'ultima occhiata piena di ironia e uscì
dalla stanza seguito dagli alunni.
Giunto nella via, il Virey fece salire nella sua volante il
custode della Villa, e scambiate sommessamente alcune parole
con lui, ordinò al conduttore di dirigersi alla piazza dell'antica
cattedrale.
CAPITOLO XXI - Una casa di Immolate.
La gondola volante prese terra presso il vestibolo principale
di quel superbo edifizio ideato dall'illustre Mengoni che un tempo
si chiamava la Galleria Vittorio Emanuele.
Dopo l'attivazione dei velarii trasparenti e delle
stufe cittadine quel passaggio coperto di cristalli ha cessato
di rappresentare un rifugio ed un luogo di convegno per le
avventuriere e pei fannulloni eleganti. Le contrade principali di
Milano, meglio riparate dalle intemperie e dai geli, riscaldate
nell'inverno dalle stufe o rinfrescate nella calda stagione dai
ventilatori roteanti attraggono di preferenza i passeggieri.
Fin dal 1958, gli Anziani di famiglia hanno deliberato di
utilizzare la galleria derelitta, convertendola in una casa di
Immolate.
Quattro porte di bronzo dorato chiudono gli accessi, già
complici nel secolo precedente di tante stragi reumatiche. Quelle
porte, superbamente cesellate, narrano ai risguardanti tutta la
storia dei sacrifizi di beltà consumati dall'eroismo
femminile attraverso le barbarie dei secoli.
Non arrestiamoci a contemplare questi quadri, che
rappresentano altrettanti capolavori. Il Virey ha sorpassato il
vestibolo e già si è introdotto nel gabinetto di informazione
occupato dalle emerite.
Le vecchie matrone seggono gravemente agli scrittoi. Donna
Transita, là direttrice, sta per assiderai ad una piccola mensa in
compagnia di un Commesso di bellezza arrivato in quel
punto dalle Isole Mormoniche(27).
Nome delle isole scoperte e occupate recentemente dai Mormoni.
All'apparire del Virey, che portava sospeso al collo le
insegne del suo ordine accademico, donna Transita fece un
leggiero cenno di saluto gridando con voce secca alle emerite:
- Attenzione a questo ... Czarre! ... (28).
Questo titolo sulle labbra di donna Transita rivela un intento di adulazione naturalissimo in una Direttrice
di ... Immolate.
Il Virey espose brevemente la sua richiesta.
- Si tratta di un caso urgentissimo ... Io domando un mandato
di estradizione momentanea per una delle vostre alunne.
- Un mandato di estradizione! - ringhiò nuovamente la
Direttrice; - veramente ... all'ora della refezione ... non dovrei ... non
potrei ...
- Si tratta di un uomo che sta per morire - disse il Virey
bruscamente - e a termini di legge ...
- Non è il caso ... non è il caso - interruppe donna Transita; - il
nostro stabilimento, nol dico per vantarmene, può esser preso a
modello di ordine e di disciplina ... La carità delle nostre alunne
non ha mai esitato dinanzi al sacrifizio ...
E volgendosi ad una delle emerite: «A te, Miracolosa! Sia
fatto il beneplacito del postulante! Trecento lussi all'ora per la
martire ... e le buone grazie dello czarre pel nostro
incomodo».
Donna Transita, alla vista di una pernice truffata apparsa
sulla mensa, piombò sulla scranna con tutto il peso della sua
formidabile corporatura e non disse più motto.
L'emerita che portava il nome di Miracolosa stese
rapidamente il mandato; e il Virey, dopo aver depositata la somma
di lussi novecento, venne introdotto nella galleria
Quel grandioso ed elegante quadrivio coperto di cristalli
offre un colpo d'occhio stupendo.
Tutto è disposto per la refezione delle suore. Sulla
grande via lastricata di marmi dove in altre tempi si affollavano i
passeggieri, ora si estendono le mense coperte di candidi lini. I
candelabri, i fiori, il vasellame d'argento rivelano il gusto artistico
e il sensualismo raffinato dell'epoca.
La illuminazione è abbagliante.
La cupola gigantesca dell'ottagono sfolgora come un sole.
Duecento serpentelli di bronzo stillano dalle fauci una pioggia
fosforescente; lagrime di fuoco, che cadendo nella sottoposta
piscina, formano l'onda letale destinata a dissolvere il suicida(29).
Vedi la nota al capitolo XIX.
Al momento in cui il Virey entrava nella galleria, le
immolate scendevano dai loro appartamenti per assidersi
alle mense. Immaginate l'effetto di ottocento donne, splendenti di
gioventù, abbigliate con quella elegante semplicità che rivelando
tutti i contorni della persona, non cessa di irritare il desiderio.
Le vesti hanno il colore e la trasparenza dell'ambra. Le
capigliature lussureggianti riflettono i bagliori della luce artifiziale
come nuvole baciate dal sole.
Ciascuna si è assisa al suo posto. Un'onda vaporosa di suoni
esce dai sotterranei per confondersi ai bisbigli delle donne, ai
sussurri delle vesti, al giocondo tintinnio delle suppellettili.
Le leggi dell'Istituto esigono che all'ora della refezione il
sesso forte si tenga in disparte. Ma vi hanno alle finestre ed ai
balconi degli spettatori, che fumando il loro fragola(30),
Zigaro refrigerante che produce un momentaneo assopimento negli organi simpatici del cervelletto.
contemplano dall'alto il lieto spettacolo, lanciando motti e sorrisi
alle belle commensali.
Il divieto di scendere al piano-terra durante la refezione delle
suore, non poteva estendersi ai visitatori premuniti di un
mandato legale
Al momento in cui le ancelle si accingevano ad esportare
dalle mense il desiderium(31),
Si chiama desiderium il primo piatto che ai lauti pranzi viene recato sulle mense allo scopo di stimolare
l'appetito. Questo piatto suol essere ordinariamente un cinghiale, un daino od un pezzo di arrosto, dal quale esalano gli
aromi più eccitanti. Lo si imbandisce al principiare del pranzo perché la sua vista e le sue esalazioni provochino
l'appetito; ma dopo pochi istanti, gli scalchi lo esportano intatto dalla sala, mentre ai commensali delusi viene offerto un
cervello di piccione, o un uovo di passero, o una lingua di usignuolo, od altro frammento di vivanda omeopatica che
ordinariamente si perde fra i denti. Il desiderium suol ricomparire sulla mensa alla fine del pranzo, e allora
prende il nome di satietas e viene respinto con un grido di orrore.
l'illustre Virey avea quasi
compiuta la sua rassegna di donne. Raffrontando col ritratto
fotografico di Fidelia le svariate sembianze che si offrivano al suo
sguardo, egli procedeva esitante e turbato. In quel giardino di
bellezze viventi non vi era dunque una forma che riproducesse i
divini contorni della estinta fidanzata dell'Albani? ...
Ma un lampo di gioia irradia improvvisamente la fronte dello
scienziato. Il tipo che egli va cercando gli sta dinanzi: ecco la
realtà che potrà surrogare una idea; ecco la donna meglio adatta
per sostituirsi ad una larva ...
Il Virey fece il giro della tavola, e in un batter di ciglio fu
presso alla immolata.
- Sorella di amore - disse lo scienziato all'orecchio della bella
- sono dolentissimo di dovervi importunare in tal momento ... Vi è
un malato ... un morente ... che reclama i vostri soccorsi ... La sua
vita dipende da voi ... Abbandonate la mensa e seguitemi! ...
- La preferenza che voi mi accordate - rispose la donna con
amabile accento - mi colmerebbe di troppa gioia, se in questo
istante la mia vanità femminile non fosse dominata da un istinto
più volgare. Gli stimoli del desiderium mi hanno
surreccitate le papille nervee a tal segno, che il mio appetito di
vivande si è reso feroce, e voi converrete meco che questi ninnoli
non potranno ottenere altro effetto fuor quello di irritare
davvantaggio la rabbia de' miei denti.
Così parlando, la bella portò al labbro un elegante spillone
d'argento, sulla cui estremità stavano infisse due lingue di
usignuolo affumicate.
- Il nostro collega Raspail ha provveduto a tali urgenze -
disse il Virey traendo da una scatoletta due pillole di midollo
concentrato di leone. - Questi due globuletti racchiudono gli atomi
sostanziali di due pranzi lautissimi.
- Sia fatta la vostra volontà! - rispose con tristezza la donna
inghiottendo le pillole; - ma un buon pranzo è una grande
consolazione dei sensi, mentre invece questi surrogati della
scienza ...
Poi, mutando improvvisamente di tono:
- Ditemi, Primate, è egli bello il vostro malato?
- Giudicatene! - rispose il Virey.
E in così dire, pose innanzi alla donna una fotografia colorata
che ritraeva l'Albani in tutto il fulgore della sua bellezza
giovanile.
Che è stato? perché mai al vedere quelle sembianze
l'Immolata trasalisce e balza dalla seggiola con febbrile
agitazione?
- Presto! che tardiamo? non si perda un istante! - esclama la
donna con voce affannata, appoggiandosi al braccio del medico.
E già entrambi muovevano per uscire, quando un uomo, o
piuttosto un mostro della specie umana sbucò improvvisamente da
una delle porte che mettevano agli appartamenti superiori, e
chiuse il passo alla donna esclamando con terribile voce:
- Fermatevi! voi obbliate le vostre promesse! ...
L'Immolata si strinse al braccio del Virey, tremante e spaurita
come una capinera in presenza dell'aspide.
CAPITOLO XXII - Cardano.
Chi era quel personaggio ... terribile? Lo sapremo più tardi;
vediamo ora qual fosse nell'aspetto.
La sua testa era enorme. Figuratevi la materia organica di
quattro teste, impiegata a formarne una sola. Al vederlo, il Virey
provò un fremito di ribrezzo e si arrestò come impietrito.
- Non è dunque una favola la testa di Medusa? Se alla
capacità di questo cranio - pensò lo scienziato - corrisponde il
volume del midollo cerebrale, qual genio portentoso ... qual grande
scellerato dev'essere costui! ...
Indubbiamente quell'uomo era un mostro; pure, alla immane
testa non poteva rimproverarsi altro difetto fuor quello di essere
sproporzionata al restante della persona. Spiccate il capo al Mosé
di Michelangelo e ponetelo sulle spalle di un nano, voi avrete una
immagine approssimativa dello strano personaggio.
I suoi grandi occhi bovini, coronati da grandi sopracciglia e
iniettati di sangue, rivelavano una straordinaria potenza di
percezione.
L'espressione del suo sguardo era tetra, non sinistra. Le
grosse labbra, perfettamente delineate, dinotavano la energia e il
sensualismo di un carattere ardente.
Era una testa che a primo tratto eccitava lo sgomento e il
ribrezzo, ma l'occhio che sovr'essa osava arrestarsi un istante, ne
rimaneva abbagliato.
La corporatura, comparativamente tozza e deforme, si faceva
ammirare per lo spiccato rilievo dei contorni. Sotto la elegante
sopraveste del nano si indovinavano un torace di granito, due
braccia di acciaio e una muscolatura da atleta.
Il Virey, dopo aver contemplato in silenzio i singoli tratti di
quel fenomeno vivente, prese animo a parlargli:
- Potete voi affermare dei diritti legali sulla suora che
io intendo esportare per opera di carità umana? ... In tal caso
soltanto ...
- Dessa mi appartiene! - interruppe il nano vivamente. -
Interrogatela! ... Non posso supporre che ella abbia obliati gli
impegni con me presi or fanno pochi minuti.
- Noi apparteniamo alla umanità tutta intera - rispose
l'Immolata sospirando; - ma quelli che soffrono, quelli che
partono dalla terra hanno su noi dei diritti più urgenti.
Così parlando, la donna guardava il nano fissamente, colla
espressione supplichevole e mesta del delinquente che chiede
grazia all'arbitro de' suoi giorni.
E vedendo che quegli non accennava ad arrendersi, la trepida
donna rivolse la parola all'uomo che le dava di braccio,
invitandolo a mostrare il mandato di estradizione di cui era
munito.
Il Virey non esitò un istante a porgere il foglio.
Il nano lo percorse rapidamente coll'occhio, e parve
disarmato.
- Intorno a questa mensa - riprese lo strano personaggio
volgendo la parola al Virey con intonazione più mite - vi hanno
ottocento suore disposte a prestarvi i loro servizi; non
sareste voi abbastanza cortese per riferire la vostra scelta sovra
una di quelle?
- Ragioni di scienza me lo vietano - rispose il Virey
gravemente. - L'illustre malato reclama l'applicazione di un
assorbente eminentemente simpatico, e in questa donna soltanto
ho potuto scorgere le facoltà che al mio caso si confanno.
Il nano aggrottò le ciglia, le sue labbra impallidirono e
parvero minacciare una violenta esplosione di collera. Girò una
occhiata d'intorno, un'occhiata bieca, sospettosa, tremenda; ma
scorgendo due ufficiali di sorveglianza che si avanzavano alla sua
volta, coll'accento cupo di chi si reprime, disse:
- Sia fatta la volontà della legge! Noi ci vedremo più tardi ...
Il Virey fece un saluto del capo, e la donna, cui erano state
dirette le ultime parole del nano, rispose con una intraducibile
occhiata piena di angoscia e di sommissione.
Poco dopo, la volante che stazionava sulla piazza della
cattedrale, accoglieva nel suo grembo il Primate e la suora,
e dirigevasi con moto rapidissimo verso la villa Paradiso.
Durante il tragitto, l'Immolata appariva turbata.
- Quest'uomo - le disse il Virey - ha prodotto sui vostri nervi
una impressione dolorosa. Procurate di ricomporvi e di obliare.
Per la missione che ora andate a compiere si esige molta calma e
molta energia di volere.
- Se voi conosceste quel mostro! - esclamò l'Immolata
rabbrividendo.
- Egli è dunque di una specie ben trista, se voi tremate e vi
coprite di pallore al ricordarlo? ...
- Egli è un mistero più buio della notte e più profondo del
mare.
- Voi dunque ignorate affatto chi egli sia?
- Se ogni sua parola non è una menzogna, debbo credere che
egli si chiami Cardano, e ch'egli sia ricco e potente come un re.
- E viene spesso in cerca di voi?
- Mi ama! - sospirò la donna con un gesto di orrore. - Se
sapeste quale tremenda cosa sia per noi il dover subire di tali
amori! ...
Uno scoppio di lacrime troncò le parole della donna. Il
medico accerchiò la bellissima testa col braccio e premendola al
petto esclamò mestamente:
- La società moderna, designandovi col titolo di
Immolate, ha reso giustizia al vostro eroismo.
- No! no! - riprendeva la desolata singhiozzando. - La mente
dell'uomo non riuscirà mai a concepire le atrocità del nostro
martirio. Uno dei più orrendi supplizii ideati dalla scelleraggine
antica fu quello di legare ad un vivo il corpo di un estinto per
seppellirli abbracciati nella medesima tomba. Orbene: nelle
prepotenze a cui la Immolata si assoggetta vi è qualche cosa che
assomiglia all'accoppiamento di un morto e di un vivo ... Essere
amata da quel mostro, dover subire i suoi amplessi, dover fingere
al segno, ch'egli talvolta possa illudersi di essere amato! ... È
orribile ... è spaventoso! ...
- Da quanto tempo conoscete quell'uomo? - domandò il
Virey.
- Da sei o sette mesi. Dal giorno in cui a Milano ebbe luogo
l'esperimento della pioggia artifiziale ideata dal celebre Albani.
Non potrò mai obliare le tremende parole ch'io lo intesi profferire
in quella occasione. Al cadere delle prime stille, mentre dalla città
si alzava un grido di sorpresa e di plauso, l'esplosione di un
ghigno satanico mi trasse a rivolgere il capo. I miei occhi si
incontrarono per la prima volta in quelli del basilisco. Ed egli,
senza smettere il suo ghigno beffardo, e guardandomi fissamente:
«applaudite! applaudite! - ringhiava colla sua voce cavernosa; -
questo meccanismo, migliorato, corretto e opportunamente
applicato, al meno danno potrà fra pochi mesi riprodurre il
diluvio!»
Il Virey prestava la massima attenzione alle parole della
Immolata e a sua volta diveniva tetro.
Il moto discendente della gondola avvertì lo scienziato che
era tempo di avviare la conversazione sovra altro tema.
- Adunate le vostre forze - diss'egli; - cacciate dalla mente
ogni avversa preoccupazione; il nuovo sacrificio a cui andate
incontro darà la vita ad un fratello che ha resi i più segnalati
servigi alla umanità. Poco dianzi avete nominato l'Albani,
l'inventore della pioggia artifiziale. Orbene, sappiatelo: gli è
appunto quell'insigne cittadino che reclama le vostre cure. Poco
fa, nel gettar gli occhi sulla di lui effigie, le vostre guance si
animarono di un vivo rossore, e se io non mi sono ingannato, i
vostri nervi furono scossi da un elettrismo simpatico.
- Primate! - esclamò la donna rianimandosi improvvisamente
- gli è che quella effigie ... quelle sembianze ...
- Ebbene! - esclamò il medico colla impaziente curiosità di
chi sta per afferrare l'ultima parola di un enigma.
- Ebbene! - sospirò l'Immolata - quella effigie e quelle
sembianze mi hanno ricordato ciò che una donna della mia
condizione ha l'obbligo di obliare, che anch'io sulla terra ho amato
una volta, e molto, e intensamente amato pel solo diletto di amare.
Su queste parole della Immolata la gondola toccò terra. Il
Virey offerse il braccio alla donna, e si inoltrò con essa nella
galleria che metteva alla stanza del malato.
- Nessun sintomo allarmante? - chiese il medico entrando.
- Nessuno - rispose fratello Consolatore.
- Lasciamo con lui questa suora e ritiriamoci. Ciò che
importa - soggiunse il medico volgendosi alla Immolata - è che
quest'uomo creda in voi prima che siano trascorse due ore.
Tutti uscirono dalla stanza ad eccezione della donna.
Questa si appressò tremando al letto dell'infermo.
La luce melanconica della lampada azzurra, rischiarando il
pallido volto, lo abbelliva di una tristezza funerea.
L'Immolata, al vedere quelle sembianze, potè a stento
reprimere un grido.
Si gettò su quel corpo assiderato coll'impeto di una madre
selvaggia che trova il proprio figlio ucciso da una serpe.
Le sue braccia, incrociandosi tra le chiome dell'infermo,
sollevarono dai guanciali il capo estenuato; le sue labbra tumide di
sangue, esuberanti di ardore, corsero avidamente a baciare una
bocca, dove la morte già delineava il suo glaciale sorriso.
Quel bacio poteva essere eterno. L'Immolata, affiggendo le
sue labbra a quelle dell'Albani, dovea trasmettere la vita o
assorbire la dissoluzione.
Ma i presagi del Virey non tardarono ad avverarsi. L'infermo
dopo alcuni istanti aprì gli occhi.
- Che è stato? - domandò con fioca voce.
L'Immolata trasalì, e cadendo in ginocchio presso il letto del
malato, gli mormorò all'orecchio una parola che parve rianimarlo.
- Il vostro nome! il vostro nome! - ripeteva l'Albani,
guardandola fissamente.
E allora, con un accento pieno di soavità e di tristezza, la
genuflessa prese a parlare di tal guisa:
CAPITOLO XXIII - Sogno di una notte di estate.
- Lassù, al paese, dove le figliuole non hanno cessato di
portare con orgoglio i nomi delle loro madri, mi chiamavano
Maria. Più tardi, mutando dimora e condizione, io presi il nome di
Glicinia ...
- La Glicinia è un pallido fiore - mormorò l'Albani. - Se voi
non vi chiamate Fidelia, come accade ch'io vi vegga inginocchiata
davanti al mio letto?
- È il posto che mi spetta; e non credo che altra persona al
mondo più di me ci avrebbe dritto. Noi donne siamo portate ad
amare con istinto materno coloro ai quali abbiamo dato la vita, e
quando una di queste vite è in pericolo, noi sappiamo che per
salvarla nessuna potenza umana uguaglierebbe la nostra!
- Mia madre è morta! - sospirò l'Albani; - le sue carezze e i
suoi baci mancarono alla mia giovinezza.
- Nè vi resta il sovvenire di altre carezze, di altri baci, più
impetuosi, più ardenti, che in una notte di spasimi atroci, in un'ora
di tremenda agonia vi fecero esclamare: la giustizia degli uomini
mi avea ucciso e l'amore di un angelo mi richiama alla vita? ...
L'Albani si rizzò sui guanciali, ma tosto, vinto dalla
spossatezza, piegò il capo su quello della Immolata esclamando:
parlami!
- Parlami ancora! la tua voce mi fa bene al cuore.
- Or fanno cinque anni - riprese la donna - al cadere del
giorno, io sedeva con mia madre fuor della casetta tutta coperta di
edera e di glicinie, posta sul declivio di una collina. Il sole
tramontava dietro un padiglione di nuvole ardenti, i cui riflessi di
porpora rischiaravano il villaggio come vampa di Incendio. Si
respirava un'aria di fuoco. Regnava intorno a noi quel silenzio
lugubre che sembra presagire l'uragano. Allo svolto del sentiero
che metteva alla nostra abitazione apparve un viandante affannato.
Si appoggiò al muricciuolo, e scuotendosi la polvere dagli abiti,
pareva cercare collo sguardo una persona a cui chiedere soccorso.
Vestiva la tunica bianca del prete riformato, e sotto il suo largo
cappello da pellegrinaggio si disegnavano i contorni di un
bellissimo viso. Mia madre si alzò. Quel movimento attrasse a noi
gli sguardi del Levita, che tosto si diresse alla nostra volta
esclamando una parola di benedizione. - La volontà di Dio e la
saggezza degli uomini - proseguì egli colla sua voce piena di
angelica dolcezza - mi hanno imposto di accompagnare pel duro
calle della espiazione uno sventurato, che oggimai non ha più il
diritto di coabitare coi fratelli. Ma la pietà di Dio impone dei
temperamenti alla giustizia della società, e l'arbitro di questi
temperamenti suoi essere il sacerdote. Ora, ecco un caso nel quale
io posso di tutta coscienza invocare pel mio martire la tregua dei
rigori legali. Il reietto è là ... giacente sul terreno ... affranto dalla
stanchezza e dalla febbre ... L'uragano è imminente ... Io non debbo
permettere che quell'infelice muoia sulla via maledicendo agli
uomini ed al cielo. Consentireste voi a dargli asilo per questa
notte? Mia madre ed io ci ricambiammo uno sguardo, e
introducemmo il Levita nel cortiletto. Benedette le case dei nostri
padri! - esclamò il prete; - questi porticati erano una ispirazione
della carità! qui le rondini fabbricavano i loro nidi, e qui
dormivano nella sicurezza i perseguitati e i mendichi. Non volete
salire agli appartamenti superiori? - chiese mia madre al Levita. -
No! ... l'infrazione della legge eccederebbe i limiti che mi sono
prescritti. Si stabilì di collocare un pagliericcio al piede della
scala. Mia madre ed io ci affrettammo ad apprestare quel povero
letto, corredandolo di un guanciale e di una coltre. Noi
stendemmo fra le colonne del portico una tenda di riparo: una
scranna, un'anfora d'acqua, un lavacro ed una lampada elettrica
completarono il mobilio di quell'andito terreno, dove la pietà,
sposandosi all'infortunio, doveva in quella notte tramutarsi in un
amore infinito.
«Frattanto, il sacerdote era uscito con due famigli per
soccorrere il caduto e sorreggerlo fino alla porta della nostra casa.
Il vergine cuore di una fanciulla ha dei presentimenti divini. Ciò
che noi proviamo all'appressarsi di quel lui ignorato che
dovrà essere il sole della nostra esistenza è qualche cosa che
simiglia ad un'aurora. La nostra anima si rischiara, i nostri sensi
tripudiano; noi ci sentiamo inondate di una beatitudine
rivelatrice ... Nella attonita fantasia il mistero prende forma, ed è
una forma indeterminata, volubile, che ad ogni tratto svanisce per
ricomporsi, per rassodarsi, per isfuggirci di nuovo, fino a quando,
all'apparire di un essere reale, il cuore non ci gridi con un
sussulto: eccolo! è lui! Ho cercato di esprimere le ansie
della attesa, ma invano tenterei dipingere a parole la emozione che
provai nel vedermi innanzi ... quello sventurato. Egli era bello
della tua bellezza; egli era pallido come tu lo sei; egli soffriva
come tu soffri ... I due famigli, sorreggendolo, lo accompagnarono
fino al letto. Mi passò accanto, levò gli occhi, e il suo sguardo -
poiché la parola gli era contesa dal dovere - esprimeva un
ringraziamento affettuoso.
«I miei occhi non si affissarono che un istante su lui, ma la
sua imagine rimase avvinta al mio cuore per non più dipartirsene.
Mia madre, all'atto di allontanarsi, chiese al Levita se di nulla
abbisognasse. «Troverò il mio posto per riposarmi - riprese
quegli, e accennando al compagno che si appoggiava alla
muraglia per sorreggersi, ci fece comprendere che la nostra
presenza cominciava a divenire importuna. Ci avviammo per
salire agli appartamenti superiori. Io non proffersi parola; le
lacrime agglomerate sul cuore facevano intoppo alla voce. Prima
che noi fossimo entrate nelle nostre stanze, uno scoppio fragoroso
di tuono annunziò lo scatenarsi dell'uragano».
L'Immolata si interruppe. Il tremito convulso onde l'infermo
era assalito lo avvertiva che i dettagli spaventevoli di quella scena
potevano ucciderlo.
La crisi fu passeggiera. Il sembiante dell'Albani si ricompose,
una leggiera tinta di rossore traspirò dalle pallide guance, gli occhi
si animarono di viva luce.
L'Immolata raccolse tra le braccia il bel capo che per un
istante si era scostato da lei, e riprese a parlare di tal guisa:
- Le grandi commozioni della natura non durano a lungo. Di
là a pochi istanti, la tempesta era cessata, e il cielo raggiante di
stelle, gli alberi ed i fiori rinfrescati dalla pioggia si scambiavano
un saluto di luce e di profumi. La notte riprendeva la sua calma
solenne, e tutto il creato pareva gioire. Ciò che non poteva
placarsi era il turbamento, l'agitazione, la febbre del mio povero
cuore. Io non mi era coricata. Durante l'uragano, io non aveva
cessato di pregare, di piangere, di baciare col desiderio della pietà
e dell'amore il bel volto dell'ospite infelice. L'atmosfera della
stanzetta mi soffocava. Apersi la finestra; la dolce frescura e le
esalazioni del giardino non valsero a confortarmi. Sotto la finestra
che sovrastava al porticato, io vedevo al soffio dell'aere agitarsi
una tenda. Dei singulti affannosi giungevano al mio orecchio, e
penetrandomi nel cuore, parevano tradursi in richiami e
rimproveri. Sorpassando quel debole riparo di tela, il mio pensiero
penetrava nell'andito lugubre, ove un bello, un giovane uomo,
reietto dalla società, implorava nei tremiti della febbre quella stilla
ravvivatrice che è una parola di perdono e di amore. E mentre
nell'animo mio si dibattevano le esitanze e i desiderii; mentre i
pregiudizii contrastavano a quegli istinti di pietà e di sacrifizio che
fanno santa la donna, io aveva sorpassata la soglia della stanzetta;
ero discesa al piano terreno, ero caduta in ginocchio presso il
giaciglio di un infelice ...
- E quegli? - domandò l'Albani con voce animata.
- Sollevò il capo e mi stese le braccia, profferendo la parola
del Cristo morente ... «ho sete!»
- Gli sventurati hanno sete di pietà e di amore - interruppe
l'Albani.
- Infatti - proseguì l'Immolata - l'acqua che io gli porsi non
valse a dissetarlo ...
- Oh! mi sovvengo- riprese l'Albani contemplando con
espressione di viva riconoscenza e di affetto il bel volto della
donna; mi sovvengo di tutto ... Eppure, in quella notte gli ardori
del mio labbro furono ammorzati! ...
- Ti rammenti di qual maniera? - chiese Glicinia sollevandosi
e affiggendo amorosamente la bocca a quella dell'infermo. - Tu mi
attiravi al tuo petto esclamando: «io ti ringrazio ... io ti benedico ...
I tuoi baci mi daranno la forza di vivere ... e di soffrire.»
La reminiscenza di una ebbrezza sovrumana, ravvivata
dall'aspetto, dalla voce, dalle ardenti carezze di una donna
incomparabilmente leggiadra, operarono il miracolo.
Ripetendo con voce sussultante le parole della enfatica
narratrice, l'Albani aveva ripreso, colle illusioni del passato, tutta
la energia del suo temperamento giovanile. Quel lungo duetto di
amore si chiuse con una cabaletta che il gusto musicale dell'epoca
nostra ci impone di sopprimere.
L'impeto della passione non poteva durare a lungo nella fibra
estenuata dell'infermo. Quando il Virey e fratello Consolatore
rientrarono poco dopo nella stanza, l'Albani era ricaduto nel
letargo; ma il pallido volto supino ai guanciali pareva tuttavia
irradiato di felicità, e il labbro atteggiato al sorriso rivelava la
calma serena degli organi intelligenti.
Il Primate si accostò al letto. Posò la mano sul cuore
dell'infermo, e guardando fissamente la donna, colla espressione
di chi si attende una risposta affermativa, le chiese a bassa voce:
«ha creduto?»
- Ha creduto - rispose l'Immolata.
E la porpora delle guance, lo splendore degli occhi, l'ansia
del petto, prestavano alla pudica parola il più espressivo dei
commenti.
- Voi potete ritirarvi - disse il medico all'Immolata; - la vostra
missione è compiuta; dopo il breve letargo, avremo la reazione
febbrile, e in seguito a quella potremo operare sul sangue
con sicurezza di riuscita.
In quel punto entravano nella stanza gli alunni e alcuni
subalterni della villa.
- Ho l'onore di annunziarvi - proseguì il Virey solennemente
- che fra dodici giorni l'illustre Albani avrà ricuperata
l'integrità del suo essere e potrà presentarsi alla Assemblea
elettorale del nobile Dipartimento che intende elevarlo alla carica
di Gran Proposto.
L'Immolata esitava ad uscire.
Fratello Consolatore la prese per mano e traendola in
disparte:
- Sorella - le disse all'orecchio; - al sacerdote e all'Immolata
non è mai permesso di obliare che la vita è un sacrifizio.
- No! no! - rispose la donna colla vivacità di un fanciullo
contrariato; - noi viviamo di amore, e ogni voto, ogni legge
sociale che si oppone a questo sovrano istinto della natura, è una
mostruosità di cui Dio deve inorridire. Io amo quest'uomo! ... Egli
mi ha insegnato i più intensi piaceri e i dolori più tremendi della
vita..» per lui divenni madre! ...
Il Levita levò gli occhi nel bellissimo volto soffuso di
lacrime, e quello sguardo gli ravvivò nel pensiero mille memorie
assopite.
E traendo seco la donna oltre il vestibolo per passare nel
giardino:
- Non era dunque - esclamava - un sogno di inferma fantasia
ciò che il mio povero compagno di viaggio ebbe a rivelarmi dopo
quella notte angosciosa che noi passammo a Losanna. Ma voi ... ?
Come avviene che io debba rivedervi fra le Immolate, dopo che
Iddio vi aveva fatta santa col maggiore de' suoi benefizii,
rendendovi madre? ...
- Io perdetti mio figlio - rispose la donna con un sospiro.
- Morto? ...
- Rapito in età di due mesi.
Fratello Consolatore giunse le mani esclamando: - E Iddio
vorrà permettere che duri eternamente impunita questa tratta
misteriosa di neonati per cui piangono tante madri! ... Duemila e
cinquecento bimbi scomparsi dall'Europa in meno di tre anni ... e
nessun indizio ... nessuna traccia ...
- Tacete! ... - interruppe la donna rabbrividendo.
- Che è stato? ...
- Vedete ... quell'uomo? ...
- Un orribile uomo! - disse il Levita, guardando verso la
cancellata del giardino.
- Ebbene ... quel terribile nano ... quel mostro ... in un
momento di esaltazione amorosa ... mi avrebbe promesso ...
- Vi avrebbe promesso? ...
- Di restituirmi la mia creatura a patto che io infranga i miei
voti, a patto ch'io mi sacrifichi a lui per tutto il resto de' miei
giorni.
Fratello Consolatore alzò gli occhi al cielo e dopo breve
silenzio esclamò con fatidico accento:
- È necessario che il sacrificio si compia; i figli sono la
redenzione dei padri.
Così parlando, il sacerdote e la donna erano giunti alla
porta maestra del gran parco.
- Sorella di amore! - ringhiò il nano che stava ad attenderli
oltre il cancello - i termini della estradizione sono spirati -
vorrete voi permettere, o bella fra le belle, che io vi riconduca
all'ovile nella mia gondola? ...
L'Immolata si ritrasse con ribrezzo; ma appena il sacerdote le
ebbe mormorato all'orecchio una misteriosa parola, abbandonando
il suo braccio a quello del mostro, ella salì con lui nella gondola e
disparve.
CAPITOLO XXIV - Al Caffè Merlo.
Usciamo dalle alcove!
Uno splendido sole ravviva le contrade della bella e popolosa
Milano. Questo ente collettivo, che rappresenta lo spirito e
l'attività di una fra le più illustri famiglie della Unione si
prepara ad eleggere il Gran Proposto che dovrà succedere al
dimissionario Berretta.
La lotta elettorale, a norma di Legge, dovrà chiudersi nel
termine di dodici giorni, onde il nuovo titolato possa intervenire al
Congresso dipartimentale di Napoli e di là trasferirsi a Berlino
dove l'Assemblea sovrana suole adunarsi alla fine d'anno.
Il proclama politico del Torresani, la diagnosi dell'umano
deperimento e i tremendi pronostici enunziati dal Virey, nonchè i
tetri e complicati episodii a cui abbiamo assistito, ci avvertono
che, malgrado l'apparente benessere dell'Europa, gli individui vi si
muovono a disagio e non paiono troppo soddisfatti
dell'ordinamento politico e sociale che li regge. - Vi è un motto
che sempre fu mormorato dalle masse all'indomani di ogni
conquista, di ogni progresso liberale: si stava meglio quando si
stava peggio Dovremo noi meravigliarci se l'assurda
querimonia si va tuttavia ripetendo in un'epoca, nella quale si
veggono realizzate le più audaci utopie dei secoli precedenti? ... La
natura dell'uomo non si muta e il moto delle aspirazioni è infinito.
Fatto è che il Governo della Unione (come tutti i
governi che furono e che saranno) ha per base ... un vulcano.
Duecento sessanta quattro Comuni, oltre quello di Milano,
sono chiamati a nominare il loro Capo e rappresentante. Il fervore,
l'agitazione, l'entusiasmo degli elettori, nonchè l'apparato delle
macchine e la complicazione delle manovre
dimostrano la straordinaria importanza della lotta.
Non dipartiamoci dalla città che fu il teatro degli avvenimenti
fin qui riferiti. Lo spettacolo che oggi vorrà offrirci Milano non
sarà molto dissimile da quello che potremmo scorgere altrove.
Come ho detto, la giornata è abbellita da uno splendido sole.
Gli Apparatori pubblici hanno allentati i velarli
riparatori l'estate di S. Martino penetra allegramente
nelle vie a cacciarne le poco salubri esalazioni delle stufe.
Dai balconi e dalle finestre svolazzano bandiere e girandole
di mille colori, e al suono delle fanfare a migliaia i subalterni di
ogni classe sì spandono nella città per affiggere i proclami di
concorso.
Chi potrà reggere alla rassegna di quelle tappezzerie
stampate e dipinte? - Si vuole che i pretendenti alla Propostura
dell'Olona siano diecimila. - vorreste voi leggere altrettanti
proclami?
Attendiamo! Quelle dicerie verranno riprodotte dai giornali:
ed ecco appunto una processione di Portavvisi si diparte dal
Piccolo Campidoglio per attraversare quella grande arteria
cittadina che si intitola il Corso Ossobuco.
Poniamoci a sedere sotto il Padiglione del Caffè Merlo, dove
la processione dovrà passare e dove per avventura ci sarà dato
raccogliere dalle conversazioni animatissime dei cittadini qualche
sintomo della pubblica opinione.
Affrettiamoci. V'è ancora un tavolino libero, e poco lungi da
quello, seggono, con alcuni milanesi di nostra antica conoscenza,
due Primati dalla fisonomia grave ma altrettanto simpatica.
- Ci siamo, caro Pestalozza!
- La è proprio così, caro Pirotta!
E i due milanesi, scambiandosi un risolino più ebete che
sarcastico, tuffano il loro chiffer nel caffè e pannera ed
esclamano:
- Prepariamoci alla lotta!
- Rinforziamo la macchina!
Esaurita la colazione, i due amici riprendono il discorso.
- Hai fissato il tuo ... individuo?
- Non ancora; ma io voterò colla maggioranza de' miei
colleghi politici.
- Tu appartieni a qualche circolo?
- Al Circolo dei Droghieri indipendenti
- Il vostro programma?
- Vogliamo che il governo adotti il caffè igienico fico-patata
pei Coscritti dell'Agro.
- Come afferma il vecchio Pungolo, tutte le opinioni
politiche sono rispettabili quando si ispirino, al pari delle vostre,
ai grandi interessi della patria. Quanto a me, intendo
portare il mio voto sul Primate Albani ...
- Vedremo il suo manifesto ... Pur che vi abbia qualche
allusione in favore dell'anzidetto caffè igienico, io vedrò di
appoggiarlo.
- L'elezione dell'Albani farebbe scoppiare dalla bile quel bel
mobile dell'ex proposto Berretta con tutti i satelliti della infame
Consorteria.
- S'io fossi certo di veder crepare l'ex proposto ...
- Quel ludro!
- Quel ladro, dico io!
- E che ladro! Si vuole che tutti gli anni mandasse
secretamente a Madera un miliardo di lussi! ...
- E i buoni Milanesi l'han lasciato partire ...
- Oh! la morte del Prina! ...
- E noi due a far la parte del cavallo ... Ma ecco un compare
che sarà del nostro avviso.
- Che vuol dire quell'aria affannata?
Il brugnone Perelli si accosta al tavolino con un
giornale alla mano, esclamando:
- Avete letto? cose da far piangere i sassi! ...
- Che è stato?
- È morto l'ex-proposto Berretta.
- Morto! Oh, disgrazia! Ma quando? Ma come?
- Leggete! ... sentite! «La mano ci trema ... le lagrime ci fan
velo agli occhi ... il cuore ci si spezza nel trascrivere l'infausta
novella ... Quell'ottimo patriota, quell'illustre pubblicista,
quell'integro amministratore della cosa pubblica, quel solerte
funzionario al cui genio, alla cui operosità Milano va debitrice dei
tanti abbellimenti edilizii, dei tanti provvedimenti economici e
filantropici che in pochi anni la elevarono al rango di città
capitalissima - l'illustre, il benemerito, il grande, l'immortale
nostro concittadino Berretta non è più! Al momento di
abbandonare per sempre la sua diletta Milano, quel nobile cuore si
è spezzato ... di angoscia».
- Povero Berretta! - esclama il Pestalozza; - vero
galantuomo! ... vero patriota! ...
- E una testa! - soggiunge il Pirotta, - una di quelle teste ...
- E galantuomo, perdio!
- Uomini che non dovrebbero morir mai!
- Ma Milano farà il suo dovere.
- Apriamo subito una sottoscrizione per erigergli un
monumento ...
- Approvato! - gridarono molte voci.
- Io proporrei ...
- Sentiamo! tu proporresti? ...
- Che i Milanesi facessero pubblica e solenne riparazione dei
loro torti verso l'illustre estinto, rieleggendolo alla carica di Gran
Proposto.
- Sarebbe una dimostrazione degna di noi. L'illustre estinto
aveva troppo buon senso per opporsi alla adottazione del caffè
igienico fico-patata ... Proporrò la nomina al Circolo dei
droghieri ...
- Frattanto sottoscriviamo! Olà! penna, calamaio! e avanti a
chi tocca!
I circostanti si affollano intorno al Pirotta, e mentre,
inneggiando al defunto, tutti gareggiano nell'offrir denaro pel
monumento, i due Primati prendono a parlare fra loro
sommessamente.
- Ecco un altro cittadino benemerito, a cui verrà resa giustizia
quando i suoi compatrioti non vedranno più in lui che un uomo
di Pietra! - mormora il giovane Foscolo.
- Il volgo fu sempre volgo - risponde il Primate Alfieri, e
l'istruzione universale ha cretinizzato le masse completamente. Se
il governo non mette un freno alla stampa ...
- E tu osi profferire questo voto liberticida? ...
- Esso formerà la base del mio programma elettorale. La
libertà di stampa fu utile e buona ai tempi in cui l'istruzione era
privilegio di pochi. A quell'epoca, l'audacia dello scrivere quasi
sempre andava accompagnata alla coscienza del sapere. La
falange degli scrittori pessimi non era tanto compatta da chiudere
il varco agli intelligenti ed agli onesti, e la voce solitaria del genio
poteva ancora soverchiare il raglio collettivo delle plebi. Ma oggi?
Tutti leggono, tutti scrivono. La statistica libraria ci afferma che
nella Unione Europea vengono in luce da venti a trentamila
volumi ogni giorno. Altrettanti, e forse più, ne produce l'America;
e non parliamo delle altre province già invase e corrotte dalla
nostra civiltà. A leggere tutti i volumi che si pubblicano in un
giorno, appena basterebbe la vita di un uomo! Qual criterio può
ora guidare le nostre preferenze? E chi ci addita il buon libro? Chi
vorrà sommergersi in questo oceano di insensatezze stampate,
colla incerta lusinga di scoprire quando che sia, per favore del
caso, qualche perla sepolta fra le alghe? Ammesso che alla
espansività dell'idiotismo che scrive non si voglia mettere un
freno, qual sarà l'avvenire della nostra letteratura? L'asfissia del
senso comune, e un contagio di asinità irreparabile. Uomini di
genio, appiccatevi! Il mondo non ha più orecchio per voi, dacché
la stampa è in balia dell'ebete maggioranza.
- I parrucchieri! i parrucchieri!(32)
Con tal nome si qualificarono i giornalisti dacché i principali uffizi di redazione vennero a stabilirsi nelle botteghe
dei parrucchieri.
gridano a tal punto molte
voci.
Gli assembrati si levano come un sol uomo, e
iportabandiere del giornalismo cominciano a sfilare
dinanzi al padiglione.
- Sai tu - chiede a Foscolo l'Alfieri - a quanti ascendano i
nuovi organi di mistificazione che oggi si istituirono a
Milano per la bisogna delle elezioni? ...
- Da seicento ad ottocento, salvo errore.
- Non meno di duemila ...
Ma il rullo dei tamburi, il fragore delle tube egizie, e gli urli
dei banditori di giornalismo ingrossati dai saxo-pelitti(33)
Tube metalliche, usate dai banditori di città e dagli arringatori pubblici per ingrossare la voce.
la conversazione dei due Primati di letteratura.
Qual discussione sensata potrebbe reggere a tanto frastuono?
Le arti della réclame oggimai costituiscono un caos.
Chi leggerà quei duemila giornali quotidiani, proiettati sugli
elettori dai carri luminarii e dalle gondole volanti?
È una grandine di carta stampata, un nembo di parole che
ottenebra l'aria. In questa gara di candidati, che abusano di ogni
trovato della industria moderna per ischiacciare i competitori, le
idee ed i principii si sommergono, trascinando all'aberrazione
anche i criteri più retti.
Quand'anche, mercé un accozzo di elocubrazioni inaudite,
riuscisse a me di descrivere la babelica scena, qual mente umana
potrebbe oggi comprendermi? Lasciamo che passi la volontà del
paese, vale a dire la volontà dei mistificatori più audaci; e
frattanto, mentre dura nella città il baccanale politico, usciamo a
vedere ciò che si passa in un agro, sotto i limpidi raggi del sole di
ottobre, all'epoca del più giocondo ricolto. In questa escursione
campestre avremo a compagni due nostri conoscenti, l'Albani ed il
Virey, sì l'uno che l'altro indicati agli elettori di Milano quali
successori al Berretta nella carica di Gran Proposto.
CAPITOLO XXV - Vendemmia.
La raccolta delle uve non era abbondante; ma i coscritti
dell'agro celebravano allegramente la loro vendemmia. Per molti
veniva a spirare il termine delle obligatorie fatiche rurali; fatiche
gradevoli e corroboranti, ma, a lungo andare, incresciose. Il più
simpatico degli esercizi viene a noia quando sia imposto rigida
mente dalla legge.
Il compartimento agrario dove a noi piace introdurci è uno
dei più ubertosi, dei meglio coltivati e ordinati. Esso si estende pel
colli e sulle pianure circostanti a Stradella, già fertilissimi di uve
nel secolo precedente. Ora, la coltivazione della vite ha preso un
esclusivo predominio su quei terreni, e mercé l'applicazione dei
nuovi concimi fosforo-alcalini, i sapienti coltivatori hanno veduto
ringagliardirsi in pochi anni gli arbusti viniferi, già sterminati
dalle filossere devastatrici e dalla progressiva viziatura
dell'humo.
Le due avventurose città di Stradella e di Broni, ove stettero
accasermati durante l'anno più di ottomila coscritti, diventano
all'epoca vendemmiale, due luoghi di convegno pel mondo
dovizioso che in esse viene a versarsi dai compartimenti lombardi.
Le feste bacchiche organizzate e celebrate dai coscritti per la
chiusura della stagione costituiscono una solleticante attrattiva pei
gaudenti d'ambo i sessi; e la pigiatura delle uve, ritenuta oggimai
uno dei mezzi terapeutici più efficaci per combattere l'anemia e il
nervosismo, fa accorrere i convalescenti alle piscine del mosto
corroborante.
Pigiare! Ecco l'ultima parola della scienza e della moda.
Diecimila lussi per pigiatura, un patrimonio per la cura completa
di quindici o venti attriti di grappoli, ecco una nuova risorsa della
speculazione, che non cesserà mai di lucrare sulla infermità e sulla
miseria.
L'Albani, dietro consiglio dell'illustre suo medico, si era
appunto recato a Stradella per attingere vigore dai bagni
effervescenti. I due primati si vedevano ogni giorno, si
comunicavano ogni giorno le loro idee, discutevano. Qualche
volta nel calore della disputa si irritavano. Ma erano impeti
fuggitivi, ai quali succedeva bentosto una limpida calma.
Il Virey, scienziato profondo, sempre logico ed eloquente nel
derivare le sue deduzioni dalle leggi fisiche che governano l'uomo
ed il cosmos, si adoperava a sventare le fantastiche utopie
del suo antagonista con fervore da apostolo. L'altro, al finire di
ogni controversia, esausto di argomenti, chinava il capo in
silenzio, nell'atteggiamento di un convertito, di un discepolo
ossequioso e convinto. Quali erano le teorie del gran medico? Noi
le conosciamo. Al letto dell'Albani, in quella sapiente diagnosi
sulla origine, la natura e gli sviluppi del chiodo fantastico
il Virey aveva ampiamente spiegato il suo programma. Di tutte le
calamità pubbliche e private, dell'incessante deperimento della
razza umana, del disordine sociale sempre più minaccioso, della
infelicità di ogni vivente origine sola la prevalenza dello
spiritualismo. Ricostruiamo l'uomo antico, l'uomo primitivo,
l'uomo della natura! Imponiamo un limite alle aspirazioni
inconcludenti; ripudiamo i bisogni fittizii, per donare alle
necessità assolute la più ampia, la più libera soddisfazione.
Corpo sano e vigoroso, ecco ciò che si esige a costituire il
benessere. Riempite l'universo di meraviglie industriali; create, a
mezzo dell'elettricità o della condensazione radiale, una luce
abbagliante che faccia impallidire il sole; inventate dei mezzi di
locomozione più rapidi del baleno, ecc., ecc., qual grado di felicità
potrà attendersi da tali parvenze di bene l'uomo estenuato, l'uomo
deperito e quasi consunto da' suoi abusi vitali? Non vi ha
godimento possibile quando non sussistano in noi le condizioni
che ci rendano atti a godere. L'individuo malato non gode; ed
oggimai l'umanità tutta intera è peggio che malata, è quasi
agonizzante.
Tali erano le teorie del Virey, e su queste si aggiravano
incessantemente le vivaci polemiche dei due primati.
Frattanto nell'agro regnava una grande agitazione. Da una
parte, i preparativi per l'ultima solennità bacchica, la quale doveva
vincere in sontuosità e sfrenatezza tutte le feste antecedenti;
dall'altra, i tumulti della lotta elettorale, omai prossima a
chiudersi. I mistificatori della città erano venuti a inondare l'agro
di proclami e di giornali. Tutti si accaloravano nella discussione;
la maggioranza dei coscritti parteggiava pei candidati
equilibristi, i quali miravano a distruggere ogni supremazia,
fosse pur quella delle alte facoltà intellettuali e morali. Fra questi
ed i naturalisti caldeggiati dal Virey esistevano delle
affinità; ma gli uni dissentivano dagli altri nella scelta dei mezzi.
Gli equilibristi volevano la rivoluzione immediata,
micidiale, inesorabile; i naturalisti miravano a combattere
gli abusi della intelligenza e della attività umana colla abolizione
progressiva di ogni legge derivata dallo spiritualismo. Questi
pretendevano di riformare l'umanità riconducendola ai principii
naturali ed agli esercizii moderati della energia organica; quelli,
allucinati ancora da un fatuo idealismo, si illudevano di poter
raggiungere il benessere pubblico colla esagerazione delle utopie
più fallaci.
Sì gli uni che gli altri si vantavano progressisti. Gli
equilibristi procedevano sulla via dell'errore! i naturalisti
recedevano verso il bene. Quale era il più savio dei partiti?
In sull'albeggiare del 18 ottobre, un grande strepito di tube
egizie destò gli abitatori dell'agro. Era il giorno della grande,
dell'ultima solennità bacchica. Al tripudio che ordinariamente si
produce in un centro popoloso dall'aspettazione di grandiosi
spettacoli, si univano questa volta le inquietudini e le ansie più
che mai eccitate della passione politica. La lotta era finita il giorno
precedente; si attendevano da un'ora all'altra i telegrammi
annunzianti i nomi degli eletti. L'impazienza era febbrile. Milano,
al quarto ed ultimo scrutinio generale, aveva eletto la sua triade
definitiva rappresentata dall'Albani (spiritualista), dal Virey
(naturalista) e da Antonio Casanova (equilibrista). A quale dei tre
verrà deliberata la carica di Gran Proposto dell'Olona? Gli è ciò
che i telegrammi annunzieranno fra poche ore.
Le belle pigianti al levar del sole son balzate dai loro letti di
piume di cigno per gettarsi nella folla chiassosa che invade tutte le
aree di spettacolo. Fanfare da trecento, da quattrocento e più
suonatori irrompono dalle colline, riempiendo l'aria di musiche
esilaranti. Dapertutto si erigono baracche, si improvvisano
eleganti casupole di guttaperca per dar alloggio ai forestieri, avidi
di sollazzo e di baccano. I ciarlatani sostano coi loro carri sulle
piazze d'industria, mettendo in mostra i loro apparati chirurgici.
Ohimè! Non vi sono più denti da estirpare, ma in compenso,
quanto lavoro, e qual lauto guadagno dalla applicazione dei denti,
delle chiome, dalle sferoidi posticce! Commetteremo noi
l'indiscretezza di rivelare un segreto che accusa inesorabilmente la
donna del secolo decorrente? A che gioverebbe il nostro silenzio?
I ciarlatani lo vanno gridando sulle pubbliche vie dalle loro
bigonce rotabili. La donna del secolo ventesimo ha quasi cessato
di appartenere alla classe zoologica dei mammiferi. Le pillole
Raspail ed altri surrogati di allattamento insensibilmente hanno
quasi atrofizzato ciò che costituiva nell'organismo del sesso
muliebre un soave agente della maternità, ed un gentile,
attraentissimo accessorio della bellezza. Cento anni prima, il gran
Darvin avea lasciato sospettare questo pericolo, ma pur troppo le
divinazioni della scienza passano in ogni tempo inavvertite.
Ciò che attirava sull'area massima la più gran folla dei curiosi
era un mostruoso cartellone stampato a lettere cubitali. Il Virey e
l'Albani, che passeggiavano in mezzo alla moltitudine irrequieta,
calmi e sereni, poco o nulla preoccupati del voto che in quel
giorno poteva elevare l'uno o l'altro ad uno dei più onorifici seggi
della rappresentanza europea, si soffermavano dinanzi a quello
strano reclamo.
- Mo'! vedete dove si arriva! - sclamò il Virey; - e in verità
non v'è ragione da stupirne! Io stesso, nella mia prima giovinezza
avevo concepito la possibilità di costruire l'uomo.
L'Albani leggeva come trasognato, facendo spiccare le
sillabe:
«Elettori, Coscritti, Pigianti d'ambo i sessi
«Leggete!!!
«Vi si annunzia che oggi, alle ore 6 pomeridiane, il
sottoscritto Primate di Scienza Naturale, esporrà alla ammirazione
del rispettabile pubblico il suo Gigante chimico-automatico-
animalesco, da lui costruito coll'impiego di tutte le sostanze
omogenee all'organismo umano sin qui conosciute. Sarà un
Uomo dieci volte più grande del comune, perfettamente
costituito e dotato di vitalità a mezzo di una immissione adeguata
di sangue taurino. Chi bramasse assistere a quest'ultima
operazione della trasmissione del sangue vivo e dell'applicazione
delle pile animatrici, potrà, mediante sborso di trentamila
lussi, accedere al Padiglione numero 10, via De-Pretis,
dove il sottoscritto da oltre venti anni sta elaborando alla
confezione dello stupendo meccanismo. Ai serii cultori della
scienza, ai veri amici del progresso non parrà soverchio lo
spendere trentamila lussi per rendersi edotti di tutti i congegni
imaginati e messi in opera ad ottenere un fenomeno che fra poche
ore farà stupire l'universo.
Il padiglione sarà aperto a mezzodì.
SECONDO PIRIA Primate di Scienze naturali Professore di
chimica applicata e di Antropologia».
- E tu credi - esclamò l'Albani volgendosi al Virey - che
questo signor Piria non sia un matto o un ciarlatano?
- Perdona - rispose il Virey con severità; - or fanno pochi
mesi, parecchi scienziati di Europa si facevano la stessa domanda
all'udire che un Albani si riprometteva di produrre la pioggia
artificiale. Vi è del pazzo in ogni uomo di genio; e tutte le audacie
dello spirito inventivo provocarono in ogni tempo, prima del fatto
compiuto, diffidenza e derisione.
L'Albani arrossì leggermente.
- Io ritengo - proseguì l'altro mutando intonazione di voce, -
che il gigante del Primate Piria riuscirà ad agitarsi, a camminare, a
compiere fors'anche le funzioni più essenziali alla vitalità, non
mai a pensare e ad agire con riflessione.
- Dobbiamo noi -domandò l'Albani colla sua impazienza
generosa da scienziato, - spendere bravamente i nostri trentamila
lussi per entrare nel Padiglione?
- Serbiamo i nostri capitali per miglior impiego - rispose il
Virey. - A sei ore, constateremo l'effetto; a più tardi la
diagnosi delle cause.
CAPITOLO XXVI - Clara Michel.
La conversazione dei due scienziati fu interrotta dallo squillo
simultaneo di un centinaio di trombe. Una folla di gente irruppe
sull'area massima. Mille voci gridarono: «largo alle emancipate!
largo alle sapienti della Senna!» E urtandosi, pigiandosi,
accavallandosi, i cittadini facevano del loro meglio per dar libero
passo ad un pelottone di cavalcatrici, le quali a bandiera spiegata
scendevano dalla collina.
Chi erano? Che volevano? Dove andavano quelle cento
donne quasi nude, graziosamente atteggiate sulle candide selle?
Erano le rappresentanti del circolo Michel, venute da Parigi
per propagare nei dipartimenti italiani le libere idee della
emancipazione del sesso femminile. Giovani, belle, vigorose, le
chiome ondeggianti sui seni di alabastro, l'occhio radiante, la
mente esaltata da ardenti entusiasmi, esse sfilavano sull'area tra le
acclamazioni della moltitudine come altrettante amazzoni
trionfatrici.
Sostarono sotto un grande baldacchino, eretto il giorno
innanzi dalle consorelle del Circolo Olona; e l'onda della folla,
momentaneamente divisa dal loro passaggio, si riunì compatta,
numerosa, per precipitarsi verso le sbarre che circondavano il
padiglione. Di lì a poco, quell'immenso frastuono di grida,
quell'urto impetuoso di popolo, si mutarono in un silenzio di
sepolcro, in un'immobilità di acqua stagnante. Clara Michel, la
capitana delle emancipatrici, si discostò un breve tratto dalle
sorelle, e avanzandosi a cavallo verso quella selva di gente, con
voce vibrata e sonora da contralto, parlò in tal guisa:
«È a voi, consorelle del sesso avvilito, che io dirigo la parola.
I bruti che vi premono i fianchi col titolo di mariti, di padri, di
fratelli o di amanti, furono sordi in ogni tempo ai nostri legittimi
reclami; né io pretendo che essi mi prestino orecchio benigno.
«Il nostro maschio è inaccessibile ad ogni sentimento di
delicatezza. Dominarci, tiranneggiarci, abbrutirci, ecco il suo
statuto sessuale. Fummo chiamate sesso debole e noi,
atterrite dai grossi vocioni, ci lasciammo sottomettere. Parlo della
generalità; poiché in epoche poco remote da noi, come oggi,
troviamo esempi luminosi di donne emancipate. Quelle emerite si
chiamarono etère, cortigiane, cocottes; erano
semplicemente delle audaci ribelli. Sentivano di essere forti, e
spregiando gli assurdi pregiudizii, schiacciavano chi si arrogava il
diritto di dominarle. La gelosia dei contemporanei, l'ipocrisia delle
pusille, più tardi la stupida pedanteria degli storici e dei poeti, si
piacquero stigmatizzarle come creature viziate ed infami; ma esse,
cionnullameno, vissero da regine, e verrà giorno, quando noi
avrem vinto la non ardua battaglia, verrà giorno, ripeto, in cui
quelle generose iniziatrici della rivolta saran collocate sugli altari.
Ciò che noi vogliamo è noto, la nostra unica aspirazione è quella
di esser messe a pari col maschio. Non si pretende a supremazia;
si esige l'uguaglianza. Uguaglianza di diritti, uguaglianza di
posizione sociale, uguaglianza di trattamenti. Noi siamo
elettrici; ma quante restrizioni a nostro disfavore! Noi
paghiamo il nostro diritto di votare con sacrifizii, i quali talvolta ci
costano la vita. La elettrice nubile dev'essere una vergine; la
elettrice coniugata deve presentare un certificato di fedeltà
segnato dal marito; le figlie del libero amore, assurdamente
dichiarate illegittime, non hanno diritto di civile rappresentanza.
Sempre la stessa disuguaglianza, la stessa tirannia da parte
dell'uomo, e identici i risultati. Si è ottenuto, a forza di restrizioni,
che la donna rappresenti una minoranza quasi impercettibile; in
ogni lotta legale noi ci troviamo deboli, quasi impotenti; le nostre
aspirazioni più legittime sono soffocate dalla violenza grossolana,
brutale, dispotica, del sesso dominatore. Da che proviene tutto
questo? Via! Non esageriamo di troppo i torti del maschio;
l'ambizione del dominio è in lui naturalissima; ciò che fa
meraviglia, ciò che rende inescusabile il nostro sesso, è la nostra
sommissione volontaria, la nostra condiscendenza codarda. Noi
siamo più forti di lui! Tale la coscienza, tale la convinzione delle
Frinì, delle Aspasie, delle Dubarry, delle Montes, di tutte le illustri
etére che dominarono il maschio nei tempi più difficili. Noi
possediamo la forza della bellezza, delle attrazioni affascinanti,
delle carezze che inebbriano. Ogni donna, che senta la propria
possanza, può governare un migliaio di questi bruti camuffati da
eroi o da legislatori, i quali cospirano alla nostra infelicità.
Abbiate fede nelle vostre forze, e vincerete. Non si tratta di
scendere in campo a mano armata, di sfidare la mitraglia, di
guadagnare la posizione con sacrifizi di sangue. Faremmo al
maschio troppo buon giuoco; egli si è serbato in ogni tempo, e
serba ancora esclusivamente il monopolio delle mitragliatrici e
degli altri stromenti micidiali. La nostra lotta deve compendiarsi
in un monosillabo, in un No assoluto e irrevocabile. Ciò che
noi propugniamo, ciò che voi, consorelle, dovete esigere, è
l'abolizione del matrimonio. Dal matrimonio hanno origine tutte le
schiavitù, tutte le miserie, tutte le nefandità umane. Abbasso
l'unione forzosa! evviva il libero amore! viva la selezione!
Ottenuta l'abolizione del matrimonio, noi potremo rallegrarci di
aver raggiunto il massimo grado di felicità alla quale miriamo; la
nostra emancipazione non potrà dirsi completa, ma sarà spezzato
il più solido anello della nostra catena. Non si tratta, consorelle
amatissime, di redigere vane proteste. Conviene tradurre in azione
l'idea. Il matrimonio, nelle forzose repressioni degli istinti più
simpatici, era per noi l'unica valvola di salvezza. Gli uomini
legislatori ci avevano imposta la dura condizione di non poter
amare se non a patto di costringere i nostri affetti in un vincolo
assurdo. Essi han gridato ad ogni coppia di amanti: Voi non avete
diritto di amarvi oggi, se prima non vi obbligate ad amarvi
sempre. Illusoria parola il sempre degli innamorati; ma,
via! tanto dolce a profferirsi! Che due innamorati credano alla
eternità delle reciproche simpatie, è naturale, è conforme alle
esigenze della fantasia sovreccitata dal desiderio. Ciò che è
mostruoso, abbominevole, nefando, è che la forza delle leggi
intervenga per istabilire, sulla vanità di un'illusione, un contratto
indissolubile. Una coppia di amanti! quale spettacolo più bello,
più giocondo, più degno di rispetto e di ammirazione? Nel
ricambio di uno sguardo, di un sorriso, di una stretta di mano, si è
sviluppato da due esseri simpatici il fluido dell'attrazione. I cuori
sussultano, le labbra inumidite anelano di baciarsi, il sangue sì
agita, i due corpi vorrebbero confondersi. Alto là! grida un
bramino, un levita, un sindaco od un assessore del palazzo di
petizione: le vostre estasi deliziose sono un abbominio, se
io bramino, se io prete, se io sindaco, non intervengo a
legittimarle con una cerimonia religiosa, con un atto notarile.
Siete voi disposti ad impegnare la vostra fede per sempre, a
rendere obbligatoria fra voi la convivenza fino a quando la morte
dell'uno o dell'altra non abbia sciolto il vostro patto? - Sì! Sì!
rispondono ad una voce i due illusi. Sotto l'impero della passione,
quei due si lancierebbero abbracciati tra le fiamme di un rogo.
Orbene: quel sì, strappato dal prete o dal sindaco a due
creature innamorate, incoscienti dell'avvenire, non segna forse,
nella più parte dei casi, una condanna peggiore dei lavori forzati a
vita? Cosa accadrà? Ciò che deve necessariamente accadere.
Converrebbe disconoscere le leggi di evoluzione che governano il
cosmos ed ogni atomo vivente, per contare su altri risultati.
Ammettiamo pure, a consolazione degli ipocriti e dei casisti,
qualche eccezione; ma il fatto più costante sarà sempre codesto.
Dopo un lustro, dopo un anno, dopo un mese; qualche volta, più
spesso che non si creda, dopo una notte di godimenti coniugali, la
deliziosa attrazione reciproca andrà svanita. Comincieranno le
svogliatezze, più tardi le ripugnanze insormontabili. Via!
dissimulate! fatevi animo! Siete marito e moglie; a termini di
legge, dovete ricoricarvi sul talamo e ricambiarvi delle carezze.
Che importa se non vi amate? Forse più tardi vi abborrirete; la
vostra conversazione diverrà un ricambio di ingiurie e di minacce;
godetevela! è la porzione di felicità domestica che vi siete
assicurata per la vita segnando il grazioso contratto. L'amore vi ha
illusi, la legge vi ha gabbati; in nome della giustizia e della
moralità, voi dovete alla notte accoppiarvi detestandovi, per
trascinare durante il giorno la catena del forzato, imprecandovi
con tutte le energie della disperazione. Ma, questi matrimonii
creati dall'amore furono rari in ogni tempo. La fanciulla vessata
dalle leggi, dalle ipocrisie sociali, dalle volgari cupidigie dei
parenti, dalle imperiose necessità dell'esistenza, dalla astinenza
sessuale imposta alle nubili, si abbandonò, per un errore di
calcolo, alla china dell'abisso. Ella accettò il matrimonio
vagheggiando l'adulterio; si fece moglie per esercitare con minor
pericolo i suoi diritti di amante. Doveva essa, la martire derelitta,
abdicare completamente a' suoi istinti più imperiosi e geniali? Ed
ecco il sopravvento dei matrimonii di menzogna, ecco il primo
passo della schiava verso l'emancipazione: ingannare un uomo per
conquistare l'impunità nell'amore, ripararsi dietro un'istituzione
balorda e vessatoria, dalle ipocrisie sociali ugualmente stolide e
spietate. Vi sembra morale? Noi stesse ne conveniamo: è
abbominevole. Può mai scaturire da una impura sorgente la
limpida linfa? Lapidiamo l'adultera! gridarono i feroci legislatori.
Ma, sciagurati! non siete voi, non è ancora la barbara proscrizione
dell'amor libero, che ci ha trascinato su questa via obliqua dello
spergiuro e dell'inganno? Ci avete imposto di segnare un contratto
ripugnante alla umana natura, e poi fingeste inorridire ogni qual
volta noi fummo indotte a violarlo. Ma, infine, quali erano le
vostre pretese? Credevate schiacciarci rincarendo sulla nostra
colpabilità; otteneste, a forza di cavilli e di sofismi, di stabilire
una diversa misura di responsabilità fra le vostre turpitudini e i
nostri irresistibili bisogni. Mentre noi, trascinate dall'amore,
ansanti, inquiete, trepide del pericolo, correvamo furtivamente,
col velo sugli occhi, al convegno desiderato di chi potea darci
l'amore; che facevate voi, allora, o grotteschi Otelli da commedia,
per affermare la legittimità dei vostri furori gelosi, delle vostre
tiranniche rappresaglie? Ciò che voi facevate è scritto nelle
statistiche delle antiche e delle nuove Questure. Voi fornivate alle
case di tolleranza ed alle alcove delle Immolate il più grosso
contingente; voi spendevate dei patrimoni per alimentare il lusso
delle etére che vi sputavano in viso. Avete mai dato prova di
comprendere l'amore? La tirannia che esercitate su noi non è che
stupido orgoglio. Non permettete che si rechi onta al vostro nome,
e frattanto oltraggiate ogni giorno la donna che deve portarlo,
posponendola alle più vili meretrici. La società non vi disprezza
per questo. A voi è lecito menar vanto della vostra abbiettezza; vi
terreste piuttosto disonorati, temereste di apparire ridicoli
dichiarandovi fedeli al contratto coniugale. Ma non è tutto. Quali
furono, nel secolo scorso, quali sono oggi i criteri che vi dirigono
nella scelta di una sposa? Le attrattive della gioventù, della
bellezza, dello spirito, della bontà, non esercitano verun fascino
sui vostri sensi e sul vostro intelletto. Signorina: a quanto
ammonta la vostra dote? Mi occorrono trecentomila lussi
per riparare a' miei dissesti: li avete? In caso affermativo, mi
onorerò di darvi il mio nome, obbligandomi con atto notarile ad
amarvi per la vita. - Non li avete! Darò il mio nome ad un'altra
qualsiasi, meglio fornita di numerario, imponendomi di
abbracciarla con trasporto ad ogni scadenza di cambiale. È questa
la santità del vincolo indissolubile? Voi pagate le prostitute, e vi
fate pagare dalla moglie; questo si chiama pareggio!
Meravigliatevi poi se avviene che qualche povera fanciulla, uscita
dalle famiglie nullabbienti, riesca ad accalappiare un ricco merlo,
e a farsi pagare da lui tutte le agiatezze della vita, l'amante
compreso! Sotto qualunque aspetto lo si consideri, il matrimonio è
un'assurdità, un'ingiustizia, un fomite di corruzione, un incentivo
al delitto. Dalla disperazione non può generarsi che il male, e la
disperazione è in ogni casa dove convivono un marito ed una
moglie. I meno ottusi alla percezione del vero definirono il
matrimonio una calamità necessaria alla tutela della prole. Un
sofisma per giustificare una assurdità! Non sono i figli abbastanza
protetti da quella forza di amore che la natura ha posto nel cuore
dei parenti? Non è questa forza d'amore, il più nobile istinto di
ogni essere animato? Se la femmina dell'uomo ha mostrato
talvolta di ribellarsi, le ragioni del fatto mostruoso convien
ripeterle dal matrimonio. Ogni violazione della legge naturale
genera un mostro; i genitori che abbandonano i figli, che li
odiano, che gioiscono nel tormentarli, sono le orribili anomalie
prodotte dall'orribile istituzione. La madre che insevisce contro il
nato dalle sue viscere, è, nella più parte dei casi, una schiava
ribelle, la quale disfoga sul debole le sue rappresaglie contro il
forte che la opprime. Ella percuote il figlio, perché non le è dato
di sbranare il marito. Tutti gli affetti svaniscono, tutti i nobili
istinti si corrompono in quell'ambiente di tedio e di avversioni che
si suol formare nel così detto santuario domestico. Qui abbiamo le
vendette della madre legittima, come altrove, fuori dal consorzio
coniugale, si hanno gli infanticidii perpetrati, in un accesso di
disperazione o di demenza, dalle scomunicate, dalle maledette, le
quali osarono concepire senza autorizzazione del prete o del
sindaco. Ma, via! oggimai ogni scrupolo è soverchio. Non ci
hanno più diseredati, nè derelitti, sotto le leggi che ci governano.
Il diritto all'esistenza è sancito dai nuovi codici; dal giorno della
nascita sino all'ora di estinzione ogni cittadino dell'Unione è
nutrito, alloggiato, vestito a spese del Comune. Se oggidì
esistessero dei genitori capaci di abbandonare la prole, il governo,
questo padre legittimo di tutti, provvederebbe. Che più si tarda?
Affermiamo i nostri diritti, realizziamo il nostro splendido
programma! Non più riti religiosi! via le formalità che
intorpidiscono i sensi e mettono il ghiaccio nei cuori! Il Dio è in
noi quando amiamo; non è più mestieri di invocarlo. Fra due che
si amano nessuno ha diritto di intervenire. Cosa significa questa
legge di dilazione, che ci obbliga a discostarci quando il torrente
della passione irrompe da noi coll'impeto massimo? Ogni unione
generata dal libero amore è legittima; fuori di là, tutto è
prostituzione e delitto. Viva l'amore che giustifica ogni audacia,
che santifica ogni lussuria! Abbasso il matrimonio, che contrista,
che abbrutisce! Opponiamo ad ogni petizione civile un assoluto
diniego. Sciolte dalla servitù coniugale, qual freno potrà ancora
trattenerci dal marciare rapidamente alla meta? L'uguaglianza
morale e civile sarà in breve raggiunta dalla donna; chi oserà
resisterci? Accarezzato dall'amore spontaneo, il nostro maschio
diverrà arrendevole e mite, quanto ostinato e crudele fin qui lo
avean reso le nostre riluttanze di moglie e i nostri abborrimenti da
schiava. Egli dovrà comprendere che la infelicità da lui imposta al
nostro sesso si è mai sempre riflessa su lui. Questo insensato, che
dopo aver trascorsa metà della vita nel corrompere fanciulle,
nell'irridere ad ogni virtù d'amore, pretendeva, esausto e abbrutito,
di sposare una vergine per farne una schiava, dovrà alfine
riconoscere i propri torti. Egli griderà con meraviglia e dolore: noi
fummo stolti, noi fummo barbari! abbiamo creduto vincolare la
fedeltà, e abbiamo scatenato l'adulterio, ci siamo illusi di poter
combattere la natura con quattro articoli del codice; ma la natura
si è vendicata delle nostre repressioni, immergendoci in un abisso
di tenebre e di miserie; benediciamo al libero amore, che ci ha
rigenerati!»
Alla fine della calorosa allocuzione, un uragano di applausi
insorse dalla folla. I giovani coscritti e le donne gridarono ad una
voce:
- Viva Clara Michel! Viva la selezione! Viva l'uguaglianza
morale e civile!
- No! No! - rispondeva una debole minoranza di oppositori: -
Abbasso la cortigiana! Rispetto alle istituzioni! Viva il
matrimonio!
- Ah! vi sono ancora - riprese con impeto la bella
presidentessa delle emancipate; - vi sono ancora degli zotici, dei
bruti, che ardiscono ribellarsi alla evidenza della verità?
Vediamoli un poco alla prova della tentazione, questi falsi
apostoli della fedeltà obbligatoria e del vincolo santo! Alzate gli
occhi, o mamalucchi, e guardatemi bene!
Così parlando, la Michel aveva dato un balzo, e levandosi in
piedi sulla sella, aveva esposto all'attonita folla tutte le formosità
delle sue membra rigogliose, leggermente accarezzate da un velo
trasparentissìmo. Un urlo di entusiasmo maschile si sollevò
dall'area. Tutte le pupille si dilatarono per tuffarsi in quel bagliore
di bellezza.
- Orbene - ripigliò la Michel sempre più animata; - mi
vedete? vi paio bella? Io mi dono a quello di voi, che essendo
stretto ad una donna dal vincolo coniugale, nullameno salirà in
groppa del mio cavallo, e riuscirà pel primo a baciarmi la punta
d'uno stivaletto!
In un attimo quella immensa moltitudine di gente fu veduta
agitarsi come un mare in tempesta. Gli uomini si spingevano
innanzi, urlando, manovrando coi pugni e coi bastoni,
dilaniandosi l'un l'altro i vestimenti e le carni. Le sbarre che
difendevano il padiglione caddero rovesciate ed infrante in
quell'impeto erotico di maschio calore. L'eroina del congresso,
sgomentata, diede l'allarme alle compagne; i cavalli nitrirono
scalpitando ... Ma ... ecco ... il ruggito della folla echeggia più
gagliardo e minaccioso. Cos'è avvenuto? Un uomo contuso,
sanguinolento è riuscito a farsi innanzi ... ha sorpassato la barriera
frantumata ... si è spinto fino al proscenio del padiglione ... e salito
sul destriero della vezzosa cavalcatrice ... ha stretto al labbro il
profilato piedino ch'ella ha vibrato nell'aria ...
Clara Michel dà il segnale della partenza; la comitiva
equestre si slancia a briglia sciolta sullo stradone
sportheno(34)
Si chiamano sporthene le nuove strade esclusivamente destinate al passaggio dei cavalcatori, dei
velocipedisti, dei pattinatori e dei curricoli di svago
che conduce alla capitale dell'Olona ...
Il padiglione rimane sgombro.
Di là a pochi minuti, nell'agro circolava la notizia che il
fortunato quanto audace mortale, trascinato in groppa dalla
famosa emancipatrice, era un tal Settimio Crispani, già processato
per bigamia, padre di quattordici figli di ignota dimora.
CAPITOLO XXVII - Disordine anarchico.
Non era cessata sull'area massima l'agitazione suscitata dalla
Michel, quando una volante di alto cielo seguita da un centinaio di
gondolette venne ad attraversare gli spazii sovrastanti all'agro. Un
fragore come di tuono rimbombò nell'aria. Tutti gli occhi si
levarono al cielo, tutte le braccia si distesero. Il rombo delle
mitragliatrici pacifiche annunziava una scarica di
telegrammi. Chi poteva dubitarne? Quei cartoncini pioventi dalle
regioni eteree erano altrettanti elenchi di nomi, e quei nomi
rappresentavano il risultato delle ultime elezioni. Il silenzio e
l'immobilità regnavano nell'agro. Tutti leggevano con ansia,
avidamente, come si trattasse per ognuno di un proprio,
individuale interesse.
I duecentosessantacinque Comuni dell'Unione si erano
pronunziati. Il partito degli spiritualisti aveva subito uno
scacco completo; i naturalisti avevano guadagnato sessanta
voti; duecento cinque eletti rappresentavano la schiacciante
prevalenza del partito equilibrista.
I primi commenti della folla furono un mormorio di
approvazione. I coscritti dell'agro tripudiavano.
In ogni tempo i giovani si lasciarono inconsideratamente
trascinare dalle utopie esagerate.
Recava però meraviglia, anche a molti dei più enfatici
aderenti al programma degli equilibristi, che la colta ed onesta
famiglia di Milano avesse scelto a suo reggitore e rappresentante
uno degli uomini più scandalosamente famigerati della
Confederazione. Per succedere al compianto Berretta nella carica
di Gran Proposto i milanesi avevano eletto Antonio Casanova. Il
ragionamento degli elettori equilibristi era stato codesto:
«Casanova è un furfante, Casanova è un falsario, Casanova è un
barattiere da gioco; ma egli è il solo della triade che professi i
nostri principii, e noi dobbiamo concordi e compatti votare per lui.
Al disopra di tutto e di tutti, il trionfo del partito!»
L'Albani si sentiva umiliato.
- Se tu fossi riuscito - disse l'ingenuo quanto orgoglioso
Primate stendendo la mano al Virey - avrei provato una grande
soddisfazione. Tu sei migliore di me; nella tua elezione avrei
ammirato il senno de' miei concittadini e applaudito al trionfo
della giustizia. Ma lui! ... quel furfante! quel ladro! ...
Il Virey crollò la testa sorridendo.
- Ladro! furfante! Chi tien conto di queste inezie? Il
candidato non rappresenta che il congegno d'una locomotiva
politica; che importa se questo congegno sia di vile metallo e
lordato da ogni bruttura? Purché agisca sulle rotaie del partito,
non si chiede di più. Accordando una specie di impunità agli eletti
della nazione, i nostri sapienti legislatori hanno mostrato di saper
interpretare lo spirito delle masse. Credilo, amico: le masse,
analfabete od erudite, barbare o civili, saranno sempre cretine;
correranno sempre dietro il carro del ciarlatano che batterà più
forte la gran cassa. Ti fa meraviglia che un Antonio Casanova
abbia trionfato di noi?
Mentre i due primati discorrevano nel frastuono dei
commenti generali succeduti alla tacita sorpresa, da una torre di
sorveglianza partì un razzo color porpora. Era un segnale di
allarme. Tutti gli uffiziali e gli agenti di sicurezza pubblica si
chiamarono a raccolta a mezzo dei soffietti acustici, e riunendosi
in pelottone, si posero in marcia dirigendosi verso Broni. Una
ciurma di equilibristi impaziente e fatta audace dall'esito
delle elezioni, minacciava di realizzare immediatamente le utopie
del partito, invadendo e saccheggiando le case degli abbienti
privilegiati. Uno dei più reputati stabilimenti di pigiatura,
occupato dai convalescenti più doviziosi e dalle etère più
famigerate, era preso di assalto. I sopraintendenti e i subalterni
resistevano debolmente; le belle pigianti si sbandavano ignude e
rosseggianti di mosto pei vasti corridoi, invocando soccorso. Uno
dei capi della rivolta, entrato per la finestra di una cabina di
pigiatura, si dibatteva furiosamente sulla scaletta di una piscina
uvaria colla bella moglie di uno czarre, la quale con ceffate
e con graffi da pantera tentava di schermirsi.
Frattanto, al vedere gli agenti di sicurezza attrupparsi per
marciare verso il centro della sommossa, in altri punti
dell'agro si formavano degli assembramenti minacciosi. I
coscritti, affigliati per la più parte alle sètte anarchiche,
affiggevano ai berettoni solari le coccarde riottose. L'uragano
della sommossa si annunciava terribile e spietato. Le botteghe si
chiudevano; i merciaiuoli smontavano le baracche; le madri
paurose traevano i bambini fuor della folla; altre più audaci,
invase da un ardore di ribellione, coi pargoli in sulle braccia,
animavano all'azione i giovani esitanti. Ciò che accadeva in quel
momento nei due agri collegati di Stradella e di Broni non
era che un minimo episodio della grande rivoluzione, suscitata per
naturale coincidenza di passioni politiche, in ogni quartiere
popolato dei dipartimenti dell'Unione.
- Che si fa? - chiese il Virey all'Albani, traendosi in disparte
per dar passo ad un pelettone di sorveglianti i quali si avanzavano
intimando l'ammonito ad un gruppo di rivoltosi.
- Io sarei d'avviso che ci imbarcassimo bravamente in una
volante, e ci facessimo condurre a Milano, senza
preoccuparci dei nostri bagagli, i quali, c'è da scommetterlo, a
quest'ora devono aver già assaggiate le garbatezze dei nostri futuri
governanti.
- Credi tu che a Milano si abbia a godere maggior
sicurezza? ... Ma, via! Si può tentare ... Forse giungeremo in tempo
da poter assistere al saccheggio della mia villa. Vorrei che di
quell'edifizio maledetto, nel quale ho sommerso tutti i milioni da
me guadagnati coll'invenzione della pioggia artifiziale, non
rimanesse più vestigio. Oggimai è penetrata nel mio animo questa
convinzione, che ogni attentato violento fatto alla natura è opera
da pazzo, per non dire da scellerato, e che io, al par di altri
orgogliosi della mia specie, colla mia superba invenzione mi sono
reso complice dei più grandi disastri che affliggono il mondo.
- Tu, dunque, vorrai essere dei nostri? - chiese il Virey
radiante di gioia.
- Sì! per la vita dell'umanità! - rispose l'Albani con ardore
entusiastico. - Torniamo alla natura! Il vostro programma quindi
innanzi sarà il mio.
- Dunque? ... A Milano? ...
- A Milano! ...
- Presto! Facciamo calare una volante! ... Ecco là una aerea da
due posti, che pare fatta per noi. Diamo il segnale!
Il conduttore della volante, all'udire il fischio, lasciò calare il
veicolo a quattro metri dalla testa dei reclamanti.
- Più basso! - gridò il Virey; - si vuol partire
immediatamente.
- Più basso? - esclamò l'auriga di cielo in tono più beffardo. -
Io son disceso di quattro metri, ora spetta a voi di salire
altrettanto. Siamo, o non siamo equilibristi? Animo, dunque!
Salite!
- Bella pretesa davvero! - sclamò l'Albani irritato. - Via! non
son momenti di celie codeste! Vien giù! ... Sarai pagato
lautamente.
- Non potete salire? peggio per voi - rispose l'auriga di cielo;
- e nemmen io posso scendere. Sono uomo di principii. Il vostro
denaro non mi tenta ... Chi più ha, meno ha diritto di avere. Il
Bigino ha l'onore di augurarvi la buona notte. Viva Antonio
Casanova e l'abolizione della moneta! Viva l'equilibrio sociale!
E cantando una gaia ballata, l'auriga fece risalire la volante,
che andò a smarrirsi nelle brume vespertine.
Il tumulto cresceva nell'agro. Ai ribelli si aggiungevano i
curiosi; pochi atti di violenza si commettevano, ma lo strepito
saliva alle stelle. I rappresentanti del governo legale ripetevano
indarno le ammonizioni.
Plochiù, il generale comandante della spedizione eletta a
sedare la rivolta, prima di ricorrere ai mezzi estremi, esitava,
temporeggiava, attendendo rinforzi. Verso le cinque pomeridiane,
in luogo delle truppe arrivò un telegramma. Il generale lo lesse
esprimendo cogli accenni del capo la più viva soddisfazione:
Assemblea generale in seduta permanente delibera ed
ordina nessuna resistenza movimento anarchico generale - passi
la volontà del paese - passerà presto. Dato a Berlino, ore
quattro.
- A meraviglia! Lasciamo che si arrabattino fra loro. Se la
godano un paio di giorni la loro anarchia! Nessuno dei militi
volonterosi da me dipendenti rischierà una scalfittura per mettere
al dovere questi pazzi!
Di là a pochi minuti, i rappresentanti del potere legale si
ritiravano dai centri tumultuosi. Una grande aerostata governativa
e duemila volanti di seconda mole ancoravano alla stazione
centrale per accogliere e trasportare i ben pensanti Un
razzo fosforescente proiettò sull'agro una luce azzurrognola, che
subito si spense. Era un segnale ben noto ai ribelli; un segnale che
voleva dire: il governo si dichiara nolente o impotente a
resistere: si salvi chi può
L'Albani e il Virey si gettarono nella corrente dei fuggenti,
incalzati dagli urli, o piuttosto dai ruggiti di quella belva capace di
tutti gli orrori, che è un popolo scatenato.
A Stradella ed a Broni si saccheggiava impunemente, e,
diciamolo ad onore del vero, con ordine, con garbatezza, coi più
delicati riguardi alle suscettibilità dei saccheggiati. Sulle aree, la
ripartizione e l'equilibrio dei beni faceva le sue prime prove
gaiamente. Ad un cittadino che aveva nel portafoglio diecimila
lussi, si accosta un nullabbiente per esigere la metà del suo
avere.
- Presto fatto! Eccovi cinquemila lussi, e buona notte ... per
ora!
La ripartizione amichevole è approvata dall'applauso
popolare; ma ecco i due equilibristi son presi in mezzo da
altri equilibristi che esigono la metà della metà toccata a
ciascuno.
- È troppo giusto. A ciascuno duemila e cinquecento lussi -
siete soddisfatti? - Ma non è finita, convien ripartire anche i
duemila cinquecento; e così via, via. di ripartizione in ripartizione,
i capitali vanno siffattamente assottigliandosi, che all'ultima fase
dell'equilibrio generale ciascuno risulta possessore di circa dieci
centesimi.
Ci vorrebbero dei volumi per riprodurre gli episodi tragi-
comici di quel breve trabordo di anarchiche utopie. Basti dire che
ad un lacero nullabbiente il quale si era fatto cedere il
paletot dal droghiere Pirotta, toccò indi a poco di dover
dividere le sue spoglie con un correligionario sprovveduto di
giubba. E ciascuno dovette andarsene mezzo vestito, con un solo
braccio insaccato in una manica e un frammento di bavero attorno
al collo.
Malgrado le irritazioni inevitabili in ogni attrito di popolo, la
giornata prometteva di chiudersi con un allegro chiasso di canti e
di balli. Un fratellevole accordo si produceva dalla comunanza
degli interessi; dall'uguaglianza nella miseria tutti si attendevano
l'età dell'oro; dal deprezzamento delle intelligenze, l'uniformità
del sapere e lo schianto di ogni supremazia.
Ma sul far della notte, le cose mutarono aspetto.
I caporioni della sommossa, che pei primi si erano slanciati
all'assalto degli stabilimenti di pigiatura, non riflettendo al
pericolo, dopo essersi immersi nel mosto fino alla gola e aver
tracannato a larghe fauci il licore effervescente, avean levate le
spine alle botti. Il vino inondava gli appartamenti e scorreva a
rigagnoli per le scale. L'esalazione alcoolica saliva ai cervelli; i
bevitori quasi asfissiati si avvoltolavano come giumenti in una
melma rossiccia; i meno briachi, per uscire da quell'afa
irrespirabile, si aprivano il varco rompendo la folla coi pugni.
Frattanto, irrompevano altri bevitori. I fanciulli camminavano
carponi leccando i pavimenti; le donne succhiavano dalle spine le
ultime sgocciolature. Nelle cantine dei ricchi proprietari, i coscritti
stappavano bottiglie di vecchio barbera; decapitavano l'Asti
spumoso e trincavano senza freno. La fede equilibrista era
scossa; non vi era più alcuno in Stradella ed in Broni che fosse in
grado di tenersi in equilibrio. Si vedevano dei vecchi avvinazzati
strappar le gonnelle alle donne, affermando il diritto
all'uguaglianza dei sessi; le donne, a loro volta, pretendevano
all'onore dei calzoni. Rotolavano come botti, sul pendio dello
stradone curricolare, delle coppie di ubbriachi, strettamente
collegate. L'agro era invaso dalla follia contagiosa;
abbracciamenti e ceffate, lacrime di tenerezza e invettive, danze a
suono di calci, baci e morsi di lussuria impotente, tutte le maniere
di amplessi imaginate dall'Aretino e dal Carnicci; l'orgia del
sabbato antico coi raffinamenti e gli orrori della sensualità
alcoolizzata.
Chi porrà fine a questo orrendo scompiglio? ...
Udite! Udite!
Un muggito reboante, che par quello di cento tori riuniti, ha
percosso l'aria con spaventose vibrazioni. Dalla via De-Pretis è
uscito un gran fragore di terremoto; un padiglione è crollato, è un
fuggi fuggi di gente che urla come fosse pigiata.
Cos'è avvenuto? Pressoché nulla: un leggerissimo errore di
calcolo nella mente di un grande scienziato. Chi farà la storia delle
infinite sciagure derivate alla famiglia umana dalle lievi
abberrazioni dei forti intelletti! L'illustre primate Piria avea
perfettamente costruito il suo gigante automatico-chimico-vitale.
La macchina umana era riuscita; tutti gli elementi essenziali che la
chimica poteva prestare alla formazione dell'ossatura, dei muscoli,
dei condotti, delle parti viscerali, dei glutini nervei, erano stati da
Piria impiegati e coordinati sapientemente. Un gigante dell'altezza
di trenta metri, proporzionatamente sviluppato nelle singole
membra, giaceva disteso nel padiglione di via De-Pretis. Verso le
cinque pomeridiane, in presenza di un centinaio di spettatori,
l'illustre scienziato aveva operato la trasmissione del sangue e del
movimento. Incisa la carotide del mostro inanimato e messala in
comunicazione, a mezzo di un tubo elastico, con quella di un toro
parimenti svenato, l'illustre creatore dell'uomo colossale avea
veduto realizzarsi con rapidità l'assorbimento e la dejezione. Si
volle il sangue di dieci tori per fornire al vasto cuore ed ai grandi
condotti arteriosi del gigante il liquido vitale occorrente. L'azione
simultanea di due pile elettriche di quadrupla potenza diede
impulso alla circolazione, suscitò l'irritazione nervosa e il
movimento dei muscoli. La materia inerte si scosse ... Due grandi
occhi si spalancarono assorbendo la luce, le nari si gonfiarono, il
petto parve scoppiare pei forti aneliti di aria ossigenata, le braccia
si agitarono, le mani si distesero per afferrare l'ignoto; e
finalmente ...
Chi poteva prevedere un tal impeto di vita? Dalle fauci del
gigante elettrizzato proruppe un muggito spaventoso. L'immane
corpo si sollevò, atterrò con un calcio poderoso l'enorme banco
sul quale stava adagiato, e lanciandosi colla violenza di un toro
inferocito verso la porta di uscita, si diede a percorrere la via,
sorpassando ogni barriera. Trecento baracche di merciaiuoli
andarono capovolte; quattro olmi secolari, urtati da lui, si
rovesciarono sradicati. Egli cozzava, rompeva, abbatteva ogni
ostacolo, impiegando a tal uopo, con istinto taurino, la catapulta di
un cranio resistente ad ogni urto.
Imaginate il terrore di quella apparizione, in una folla esaltata
dagli entusiasmi politici e dai fumi del vino! Dove la gente non
era lesta a sgombrare, il gigante si faceva largo coll'impeto della
persona, colle irruzioni del capo, colla violenza dei calci. I più
accorti tentavano schermirsi da lui passandogli fra le cosce o
saltandogli sul capo per scivolare al suolo tra le curve della
schiena interminabile; ma i fortunati ai quali riusciva di salvarsi,
se la davano poi a gambe esterrefatti, annunziando il finimondo e
la comparsa dell'anticristo. Quello sgomento generale aveva fatto
passare la generale ubbriacatura; in meno d'un'ora il vasto agro di
Stradella e di Broni si era mutato in un deserto.
La popolazione che prendeva il largo, sbandandosi pei
vigneti e cercando rifugio nei letti dei fiumi, verso le otto della
sera fu colpita da un nuovo terrore. Nell'impeto bestiale della
corsa, il gigante aveva dato il capo in un campanile, quattro metri
più alto di lui. La torre era crollata, ma anche il grosso cranio, con
tanta sapienza di mezzi chimici confezionato dal Piria. si era
spezzato nell'urto. Slanciando il suo uomo chimico-meccanico, il
dabben Piria non aveva riflettuto che in ogni essere animato la
percezione sensuale non può svilupparsi che gradatamente. Per la
conservazione di quel mostruoso fenomeno vitale si esigeva un
trattamento di neonato; supponendo in lui ingenita quella facoltà
di discernimento che può formarsi soltanto nell'adulto per una
successione di esperienze, l'illustre primate vide sfasciarsi in un
attimo la più ardita creazione che mai fosse concepita e realizzata
dal genio umano.
Coll'ultimo muggito del gigante chimico-meccanico, e col
fragore di un campanile in rovina, a Stradella ed a Broni ebbe fine
in quella notte il baccanale rivoluzionario degli equilibristi.
A dieci ore l'ordine più perfetto regnava nell'acro.
CAPITOLO XXVIII - Malthus.
Negli altri dipartimenti dell'Unione la rivolta
assumeva proporzioni spaventevoli, ma i rappresentanti
governativi adunati in permanenza a Berlino non si davano la
pena di prendere verun provvedimento. Gli equilibristi,
inferociti da parziali resistenze, avevano perpetrato in parecchi
comuni le più feroci rappresaglie contro i facoltosi, abbattendo e
incendiando edifizii, violentando persone. Negli ultimi bollettini
del 22 ottobre, il numero delle vittime si faceva ascendere a due
milioni cinquemila e ottocento.
Il Presidente temporario del Consiglio, nel rilevare questa
cifra, si fregò le mani esclamando: «Il nostro sistema di non
repressione ha dato ottimi risultati. Lasciar passare la volontà dei
pazzi è il migliore stratagemma per ricondurre alla ragione le
maggioranze. La violenza e l'eccesso generano mai sempre la
reazione. Fra una ventina di giorni il partito equilibrista
sarà schiacciato, nè si udrà più riparlarne in Europa, nè anche a
Manicopoli.
Le previsioni dell'arguto presidente si avverarono. Di là ad
un mese, quel moto rivoluzionario che aveva scompigliato tante
proprietà e distrutte tante vite, era appena ricordato come una
sfuriata ridicola di pochi imbecilli. I nuovi rappresentanti della
nazione protestarono contro gli abberramenti dei loro elettori; e lo
stesso Casanova, l'Acclamato di Milano, il Redentore del popolo,
il Messia dell'uguaglianza universale, nella adunanza del 30
Novembre dichiarava in pieno Parlamento che i suoi elettori,
prendendo sul serio il programma da lui pubblicato per scroccare
un milione di voti, aveano mostrato di essere una mandra di
ciuchi. Un secolo addietro, i ciarlatani della politica non
giudicavano altrimenti il criterio dei pecoroni che si affidavano
alle loro ciance; ma non eran abbastanza civilizzati per dichiarare
alla Camera i loro apprezzamenti.
Mentre il fascio degli equilibristi si andava
scomponendo, i naturalisti guadagnavano aderenti. Nei centri più
popolosi e più illuminati si aprivano nuovi Circoli. I recenti
affigliati si prestavano con fervore da neofiti alla propaganda del
principio. Nelle alte sfere governative, questa diversione dello
spirito pubblico verso una riforma comparativamente retriva, era
veduta di buon occhio.
Pel giorno quindici dicembre i naturalisti furono
invitati ad un solenne comizio nella capitale della gioia(35).
Così era chiamata la città di Napoli.
L'importanza di quel convegno era rilevata dai giornali coi più
strani commenti. Non uno degli illustri capi del partito sarebbe
mancato all'appello; si trattava di deliberare intorno al modo ed al
tempo dell'azione, si volevano discutere le controversie dei
dissidenti, stabilire il credo unico ed universale della
prossima rigenerazione europea.
Si parlava di un misterioso personaggio, di un antico profeta
e legislatore che sarebbe uscito prodigiosamente dalla tomba per
affermare nel comizio i principii divini, per dissipare molte
erronee credenze relative agli istinti dell'uomo ed alle leggi
dell'universo. I cronisti meglio informati pretendevano sapere che
quell'uomo straordinario era vissuto cinquant'anni sulla sommità
di una montagna coperta di gelo, orando e meditando; che la
parola di Dio era scesa nel suo spirito; che, infine, le più sublimi
rivelazioni erano da attendersi da lui. L'Albani, recentemente
convertito alla fede naturalista e già iscritto negli ordini
superiori del partito non poteva mancare all'appello. Nel giorno
fissato per la solenne adunanza, egli giunse a Napoli in compagnia
del Virey, e all'ora di mezzodì, indicata per l'apertura del comizio,
andò col collega a prender posto in una galleria del teatro
massimo.
Non si è ancora perduta a quest'epoca la consuetudine di
adunare il popolo a discutere di politica nei luoghi ordinariamente
destinati agli spettacoli dell'opera e della commedia; vi è sempre
qualche cosa di teatrale, di spettacoloso e di comico in ogni
assembramento di politicanti; l'ambiente, in ogni caso, risponde al
carattere dei personaggi e consuona coll'enfasi dei discorsi.
La folla si pigiava nella platea; gli uomini del governo, i
rappresentanti della nazione, i primati, le etére, le dame di
capriccio, le Immolate, le mogli emerite prendevan posto nelle
sedie riservate o salivano ad occupare le logge.
Una impazienza febbrile agitava quel pubblico di trentamila
persone. Quando la sfera del grande orologio elettrico sovrastante
al palco scenico toccò il mezzodì, il sipario si alzò rapidamente e
gli occhi della folla furon paghi.
Un applauso fragoroso ma breve salutò i capi della
assemblea, assisi in atteggiamento grave attorno ad un tavolo
coperto di nero tappeto. Il presidente si levò in piedi, diè una
scossa al campanello e parlò nel generale silenzio:
«Io vi ammonisco, o cittadini, che le sorti del nostro partito,
l'avvenire della umanità, il coronamento del benessere pubblico al
quale mirarono sempre i nostri studii e le opere nostre, dipendono
dal presente comizio. Aspettatevi delle grandi sorprese;
preparatevi gli orecchi e la mente a rivelazioni inaudite. Le
indiscrezioni della stampa vi hanno prevenuti, ma ciò che qui
vedrete, ciò che udrete fra pochi istanti, sorpasserà ogni esigenza
della vostra aspettativa. Non è il caso di ripigliare le viete
questioni, sulle quali tutti gli argomenti vennero già esauriti.
Oggimai i criterii fondamentali sono stabiliti; ulteriori ciance a
nulla approderebbero. Noi ci troviamo in presenza di un grande
mistero; dobbiamo constatare un fatto nuovo, quasi inverosimile,
ed avvisare al miglior partito che da noi si possa trarne a benefizio
dell'umanità e ad onore dei nostri principii. I dilettanti di rettorica
inutile si tengano per questa volta in disparte; l'avvenimento che
qui vedranno compiersi porgerà ad essi materia di cicalare per
dieci anni.
Ciò detto, il Presidente si volse ad uno dei volonterosi di
cappa magna e gli ordinò di introdurre il Venerando
Fabbristol.
L'apparizione del nuovo personaggio fu salutata da triplice
acclamazione.
Il Venerando si avanzò fino al proscenio, sedette sopra il
tripode di onore, e con voce sonora espose la seguente relazione:
- Io mi chiamo Arnaldo Fabbristol; ho fatto da parecchi anni
adesione al vangelo dei naturalisti, e, grazie alle
circostanze che ora sto per esporvi, venni dal Consiglio supremo
dell'ordine incaricato di una delle più importanti missioni che ad
uomo fosse mai dato di compiere.
«Or fanno cinquant'anni vivea sulla terra un grande
scienziato, un uomo di forte intelletto e di straordinaria energia
morale, chiamato Malthus. Era nipote di un altro filosofo vissuto
in epoca avversa ad ogni lume di verità, un banditore di sapienti
teorie mal comprese e peggio apprezzate da' suoi contemporanei.
«Quelle teorie racchiudevano i germi dei principii
indiscutibili che formano oggi la base della nostra fede politica. Il
Malthus che oggi ricomparisce sulla scena del mondo, avendo
raccolta e fatta sua la splendida eredità di idee lasciate dallo zio,
pensò di istituire un'associazione la quale si incaricasse di
diffonderle. Gli apostoli delle dottrine Malthusiane si prestarono
allo scopo con zelo entusiastico, ma incontrarono un'opposizione
accanita e pertinace. I tempi non erano maturi. La nuova
generazione, invasa da un fervido spiritualismo, chiudeva
l'orecchio alle nostre dottrine. Il prete riformato, poetizzando gli
antichi dogmi, avea riconquistata la donna, questo essere volubile
e fantastico, sempre mai allettato dalle parvenze, sempre facile ad
esaltarsi per ogni sentimentalismo insensato. Tutte le nuove
istituzioni, tutte le leggi dello stato si ispiravano alle tendenze
dell'epoca; nei nostri codici si riflessero tutte le stravaganze e le
follie di un popolo abberrato. Correva l'anno 1932. Il nostro
Malthus, che allora toccava appena i trent'anni, si lasciò prendere
dallo scoramento, e disperando di riuscire ne' suoi alti disegni, un
bel giorno, adunati i suoi apostoli più fedeli, annunziò ad essi il
suo proposito di abbandonare la vita. Sì: quel grand'uomo voleva
morire nel fiore dell'età; voleva fuggire da un mondo che, a suo
vedere, non sarebbe mai stato capace di comprenderlo.
Perdoniamo al genio un istante di debolezza; le più alte
intelligenze, le nature più energiche subiscono delle prostrazioni
inesplicabili. Le esortazioni, i conforti, le preghiere degli amici,
nulla valeva a smuovere quello scorato dalla nefasta risoluzione.
Se non che, all'ordine naturale del cosmos era necessaria
quella esistenza. Malthus e il trionfo delle sue teorie non
potevano esimersi dall'entrare e dal compiere la loro parabola
ascendente nel moto provvidenziale di rotazione imposto dalla
legge fisica universale,
«Fra gli apostoli del principio che in quel giorno stavano
adunati intorno al Capo, c'era uno scienziato, o, come allora si
diceva, un utopista di zoologia, chiamato Gorini, discendente per
linea indiretta da quell'illustre diseredato che già aveva fatto nel
secolo precedente delle meravigliose scoperte sulla origine del
mondo, e riuniti gli elementi chimici più atti alla pietrificazione
dei cadaveri. Al momento in cui Malthus, nel suo implacabile
desiderio di finirla, colla vita, portava alla bocca una pillola
asfissiante, un grido imperioso risuonò nell'aula: fermate! Malthus
guardò fissamente l'apostolo che si era alzato per accorrere a lui;
l'altro con piglio più assoluto, ripetè l'intimazione: fermate! In
quel grido c'era una potenza irresistibile. - Che hai tu a dire ad un
moribondo? - domandò Malthus, trattenendo la pillola sospesa fra
l'indice e il pollice. - Due logiche e serie parole - rispose il Gorini:
- voi volete morire, perché avete riconosciuto, come noi
riconosciamo, non essere l'epoca attuale matura alla realizzazione
delle nostre sublimi teorie. Orbene, se qualcuno venisse a
proporvi di sostituire alla morte un lunghissimo sonno, un sonno
di dieci, di vent'anni, di mezzo secolo, persistereste voi ancora nel
proposito disperato? - Ho piena fede nell'avvenire - rispose
Malthus; - ma un mezzo secolo dovrà trascorrere prima che
l'umanità riconosca erroneo e rovinoso il principio da cui oggi è
trascinata, - Ebbene! - replicò il Gorini; - dormite per mezzo
secolo, e il vostro risveglio segnerà l'epoca delle nostre vittorie.
Voi mi guardate con stupore, come se le mie parole uscissero
dalla bocca di un pazzo. No! io non sono pazzo, io non posso
ingannarmi ne' miei calcoli; mi tengo sicuro della riuscita. Quello
che nella rigida stagione avviene dei serpenti e d'altri animali
soggetti al torpore, deve necessariamente riprodursi nell'uomo a
mezzo di una ben praticata assiderazione. Nell'uomo assiderato la
vitalità può durare parecchi secoli, fino a quando, per una
accidentale combinazione o per effetto del volere altrui, non
venga ad operarsi il disgelo. Volete voi, illustre pontefice
dell'avvenire, sottomettervi alla prova? Io vi ho additata la via; io
metterò a vostra disposizione i miei trovati scientifici. Voi
prescriverete la durata ed il termine del vostro assopimento. Nel
giorno e nell'ora da voi prefissi, i discepoli, istruiti per tradizione
dei vostri voleri, verranno a ridestarvi dal lungo sonno, e voi
potrete, uomo antico e precursore dell'evo felice, gioire delle
mondiali acclamazioni e dirigere l'umanità verso la meta altissima
infino ad oggi inutilmente vagheggiata da voi.
«All'udire tale risposta, Malthus stette un istante silenzioso;
ma i suoi occhi sfavillanti esprimevano soddisfazione ed assenso.
I due scienziati si erano compresi. Di là a quattro ore, il Malthus,
il Gorini e gli apostoli seniori, a mezzo della ferrovia funicolare
Agudio, salivano alle alture nevose del Moncenisio. Inutile che vi
riferisca e descriva di qual maniera si compiesse lassù, per opera
dell'immaginoso zoologo, la prova non mai tentata
dell'assideramento umano. Ciò che importa sapere, ciò che io sono
impaziente di annunziarvi, è che il Malthus, il sapiente Malthus, il
divino Malthus, il nostro legislatore, il nostro profeta, or fanno tre
giorni, dopo mezzo secolo di torpore, si è ridestato alla vita attiva.
La volontà dell'illustre sopito è compiuta. I depositarii della
tradizione Malthusiana, consapevoli di ogni patto, penetrarono,
nel giorno e nell'ora stabilita, dentro la cavità granitica, dove il
profeta dormiva da cinquant'anni in una temperatura di sessanta
gradi sotto zero. Seguendo le istruzioni lasciate dal Gorini, in
meno di due ore quei prudenti operatori ottennero gradatamente il
disgelo: il corpo irrigidito si riscosse, si riapersero gli occhi, la
favella si sciolse ... Gli apostoli si gettarono a terra adorando,
inneggiando al redivivo.
- Sospendete, o fratelli, quei plausi; imponete al vostro
entusiasmo! Serbate gli osanna a lui solo. Fra pochi istanti, allo
squillar dei due tocchi pomeridiani, il gran Malthus sarà qui. Egli
lo ha promesso, egli mi ha incaricato di recarvi la buona novella.
Sì, fra dieci minuti ... egli sarà in mezzo a noi ... Egli avrà preso il
mio posto su questa tribuna per rivelarvi l'ultimo verbo del suo
genio divino. Che se mai ...
- Da Manicopoli! - gridò un volonteroso di alto grado,
avanzandosi verso il proscenio e presentando un dispaccio al
Presidente del Comizio.
- Leggete! leggete! - gridarono dal teatro trentamila voci.
Il Presidente sciolse il piego, gettò uno sguardo sulle cifre, e
pallido, con voce tremante, lesse quanto segue:
«Malthus redivivo suicidatosi ignote cause, attendonsi
schiarimenti.
«Il seniore SAFFUS».
- Impossibile! assurdo! - urlò il Relatore con accento irritato;
maledetta la Stefani!
- Maledetta la Stefani! - rispose la folla con sdegno.
- Silenzio! ... Un secondo telegramma!
Il Presidente si fece innanzi, e lesse:
«Suicidio Malthus avvenuto nel palazzo marchesa Sara
Jobart sua antica amante. Giornali pubblicano lettera autografa.
Pare che forti disinganni spingessero illustre uomo a procacciarsi
sonno più duro.
«Seniore KEMPIS».
- Assurdità! assurdità! - si mormorava da ogni parte; -
attendiamo una formale smentita.
Ma ecco, nel mormorio generale, spiccano delle grida più
acute; i folletti di città guizzano tra le panche, saltano sui
parapetti dei palchi, inondano il teatro di giornali.
Di là a pochi minuti, in un tetro silenzio, quelle trentamila
persone adunate pel Comizio leggevano la lettera lasciate da
Malthus:
«Correligionarii e fratelli,
«È stato un errore; tanto più illogico e imperdonabile a noi,
che, professando i principii del naturalismo, pur nullameno
abbiamo tentato di violentare la natura. Quando io mi sottoposi
alla prova dell'assideramento, mi ero lasciato vincere da un
orgoglio insensato. Ho creduto che la mia esistenza fosse
necessaria al bene comune; non ho riflettuto che l'individuo conta
per nulla, che i progressi della umanità si compiono pel concorso
simultaneo di tutte le forze viventi. È necessario, perché ognuno
mi comprenda, che io esponga la diagnosi delle mie impressioni.
Lo farò sinceramente e colla maggior brevità possibile. Quando i
fratelli, esecutori fedeli del patto tradizionale, vennero or fanno tre
giorni a risvegliarmi dall'assopimento, al mio primo risveglio io
provai un senso di melanconica sorpresa. Mi si affollarono nella
mente le idee colle quali mi ero addormentato mezzo secolo
addietro; mi meravigliai grandemente nel vedere intorno al mio
letto di granito delle figure a me ignote; domandai che fosse
avvenuto dei fratelli i quali la sera innanzi mi avevano aiutato a
coricarmi.
«- Avete dormito cinquant'anni, - risposero ad una voce gli
astanti.
«- È vero! è vero! - risposi io raccapezzando le confuse
memorie: - infatti ... quella sera ... i fratelli ... gli apostoli ... Ma, voi!
voi, chi siete? Perché quegli altri non sono al mio fianco?
«- Quegli altri - mi risposero - sono morti; e noi, eredi della
tradizione, li abbiamo sostituiti.
«Io guardava con meraviglia e tristezza quei sembianti
sconosciuti. Essi mi parlavano dei grandi progressi sociali
avvenuti nel corso di mezzo secolo, mi annunziavano il prossimo
trionfo della riforma naturalista, mi promettevano ovazioni,
glorificazioni, quali nessun orgoglio umano avrebbe osato
sognare. Io li ascoltava attonito, quasi svogliato. Portai la mano
sul petto e ne trassi un medaglione sul quale era impressa l'effigie
di una giovane marchesa da me adorata. Mi sovvenni che gli
antichi fratelli si erano opposti al mio desiderio di metter a parte
quella impareggiabile donna della misteriosa operazione che
doveva per tanti anni tenermi disgiunto da lei. Si voleva che il
segreto della mia assiderazione rimanesse esclusivamente affidato
ai pochi apostoli; temevano che ella, per impeto di dolore e di
amore, potesse tradirci. Con quali palpiti di gioia ribaciai quel
ritratto!
«- Orbene! - esclamai; - prima di rientrare nel campo delle
agitazioni politiche, prima di abbandonarmi alle glorificazioni da
voi promesse, io mi debbo a colei che occupava tanto posto nel
mio cuore, che forse mi avrà pianto per morto, che forse non avrà
mai cessato di attendermi. Sapete voi se esista ancora a Parigi quel
portento di bellezza, di grazia e di spirito, che si chiamava la
marchesa Sara Jobard?
«Gli apostoli si scambiarono uno sguardo di sorpresa e per
poco non scoppiarono in una risata. Uno dei seniori, che penava
molto a serbarsi serio, si volse ai fratelli dicendo:
«- È giusto che ogni sua volontà venga da noi soddisfatta;
rimanderemo il Comizio a sabato prossimo, e frattanto
accompagneremo a Parigi l'illustre redivivo, e lo aiuteremo a
raccogliere le informazioni che tanto lo preoccupano.
«Ciò convenuto, uscimmo dalla cava granitica, e ci
trovammo dinanzi ad una carrozza sormontata da un pallone
aereostatico.
«- Cos'è questo? - domandai.
«- Una volante di seconda portata, il veicolo che in meno di
un'ora ci condurrà sulla piazza massima di Parigi.
«- E voi pretendereste che io salissi in quel cassone? -
esclamai arretrando; - ma dunque ... non vi son più ferrovie? ... non
vi sono locomotive elettriche?
«- Tali mezzi di trasporto - rispose il seniore, scambiando
cogli altri apostoli un'occhiata di meraviglia - oggimai fanno
esclusivamente il servizio pei nullabbienti.
«- Ebbene! trattatemi pure da nullabbiente, - gridai io - ma in
quella baracca sospesa nell'aria, io, Malthus, vi prometto che non
sarò mai per ficcarci il mio nobile individuo.
«- Con tutto il rispetto che da noi si professa al vostro nobile
individuo - rispose il seniore dopo essersi consultato coi fratelli, -
noi non possiamo dimenticare il mandato perentorio del Gran
Maestro dell'ordine; le ore sono contate, il tempo vuol essere
misurato; vi abbiamo accordato una proroga di tre giorni; ora
conviene affrettarsi.
«E prima che io potessi muovere due passi per discostarmi,
quattro fratelli mi afferrarono pel torso, mi sollevarono, mi
immersero nella cabina della volante.
«Che dirvi di quel viaggio? Non impiegammo che un'ora per
tragittare dal Moncenisio a Parigi, ma quell'ora è bastata a
svelarmi l'orrore della mia situazione. Il linguaggio di quegli
apostoli che mi parlavano dei loro disegni, che mi interrogavano,
per prender consiglio, il più delle volte mi riusciva
incomprensibile. Basta dunque un mezzo secolo a corrompere
ogni idioma, ad alterare perfino le inflessioni della pronunzia?
Essi accennavano ad istituzioni, alludevano ad avvenimenti a me
ignoti; nominavano scrittori e scienziati vissuti nell'ultima metà
del secolo; citavano libri usciti recentemente e già quasi obliati da'
contemporanei, e parevano meravigliati ad ogni tratto della mia
ignoranza, d'altronde naturalissima in chi aveva dormito pel corso
di cinquant'anni. Quand'io ricordava i miei tempi, essi
sbadigliavano o sorridevano con ironia. Dopo avermi quasi
idolatrato, erano, in meno di un'ora, passati dalla adorazione
all'indifferenza sprezzante. Arrivando a Parigi, al momento in cui
si scendeva dalla volante, uno dei seniori disse all'altro
sommessamente:
«- Mi pare che l'assideramento abbia imbecillito il Profeta.
«E l'altro:
«- È a credere che egli già fosse imbecille prima di
intorpidirsi; a que' tempi la fama di illustre si acquistava a buon
mercato.
«Quanti disinganni mi attendevano a Parigi! Invano io
cercava nella folla dei balovardi qualche sembianza nota. In quella
città ch'era stata il teatro dei miei primi trionfi; in quella vasta
metropoli, dove un tempo ero additato e salutato da tutti, io non
vedeva che sconosciuti, non incontrava che occhiate indifferenti o
beffarde. Il mio modo di parlare, il mio contegno imbarazzato
attiravano l'attenzione e provocavano le risa. Nuovo agli usi della
società moderna, attonito, sbalordito, io somigliava ad uno di quei
gaglioffi montanari, che dopo aver vissuto quarant'anni fra le
capre, si trovano balzati in una splendida capitale, nel faragginoso
brulichio della attività cittadina. Urtava nella gente; mi pareva
strana ogni foggia di vestito; mi arrestava istupidito dinanzi alle
statue che rappresentavano personaggi divenuti famosi negli
ultimi tempi. Gli edifizii recenti, gli spazii aperti dalle
demolizioni, i nuovi nomi delle vie sostituiti agli antichi, mi
imbarazzavano siffattamente, che io mi stringevo colla mano alla
zimarra dei colleghi per paura di smarrirmi. Fui condotto ad un
albergo. I fratelli incaricandosi di andare al palazzo di città per
attingere informazioni sul conto della marchesa, mi lasciarono
solo. Allora io trassi dal petto l'effige della mia Sara, e
contemplando, ribaciando mille volte le angeliche sembianze di
quella tanto cara, diedi in uno scoppio di lacrime. - Avrò io la
consolazione di rivederti, o creatura adorata? - E dopo questo, mi
sentii assalito da una tetra melanconia. Le più amare riflessioni si
succedevano nel mio spirito. - Perché son venuti a ridestarmi? Di
qual modo potrò io riannodare la mia alla esistenza di questa
generazione? Non si vive bene che fra i contemporanei; la gente
che ora mi brulica dattorno rappresenta la mia posterità. Nulla
oggimai vi può essere di comune fra me e costoro. Io non li
comprendo; essi dovranno deridermi. In un mezzo secolo si
rinnovano le idee, le tendenze, le istituzioni. Chi non ha preso
parte alla graduale metamorfosi, non può essere capace di
apprezzarla.
«Che diverrò io il giorno in cui mi toccherà presentarmi al
Comizio per dichiarare la mia dottrina? Potrò io dire cosa che già
non sia stata le mille volte ripetuta, con linguaggio più eletto, dai
miei correligionarii? Non ho veduto i miei dieci apostoli
sogghignare sotto i baffi ogni volta che io dirigeva ad essi una
domanda? Io era un dotto, io era un illustre or fanno
Cinquant'anni, nell'ambiente formato da me e dai miei
contemporanei. Trasferito nel nuovo ambiente, in una epoca sulla
quale è trascorso lo spirito e l'attività di due generazioni, io debbo
necessariamente rappresentare la figura dell'idiota. - Dio ... Che
vedo? Due figure umane che volano rasenti ai tetti del palazzo di
faccia! Sta a vedere che è comparsa nel mondo una specie di
uomini alati!
«I fratelli non rientrarono all'albergo quella notte, nè a me diè
l'animo d'uscire. All'indomani, verso le 10 del mattino, li vidi
entrare nella mia stanza e salutarmi con espressione sì beffarda
che fui sul punto di prenderli a schiaffi. Mi annunziarono che la
marchesa Sara era in vita, che abitava un sontuoso palazzo in via
dei Lunatici, ch'essi l'avevano prevenuta della mia prossima visita.
Balzai dal letto: come il cuore mi batteva! Di là a pochi minuti, io
saliva le scale del palazzo indicato; i miei apostoli erano rimasti
ad attendermi in un salotto al piano terreno. Una giovane e bella
cameriera m'introdusse in un gabinetto elegantissimo, mi pregò di
sedere e corse ad avvertire la signora.
«Imaginate con quali ansie io invocava l'amplesso di quella
donna, che già si era data a me coi voluttuosi abbandoni
dell'amante! Sventurato! Io dimenticava di aver dormito mezzo
secolo, poiché quel mezzo secolo per me era stato breve come una
notte. Potevo io figurarmi quella donna altrimenti, che vestita
delle sue forme giovanili, della sua splendida bellezza?
«La porticella del gabinetto si dischiuse. Il fruscio di una
veste di seta mi annunziò che ella entrava.
«- Angelo mio! - gridai gettandomi a terra per abbracciarle la
tunica che sporgeva dai cortinaggi.
«- Tu! il mio caro Eugenietto! - rispose una voce rantolosa da
vecchia decrepita; - qua dunque un bel bacio! Dio! come sei ben
conservato! ... Lascia dunque ...
«E mentre al mio orecchio ringhiava quella voce da nonna,
due labbra di cartapecora si imposero con violenza alle mie, e mi
inchiodarono sulla lingua un paio di denti posticci ... Io balzai in
piedi esterrefatto ... Sputai sul pavimento i due corpi eterogenei ... e
dopo aver guardato fissamente quella scarna figura di
ottuagenaria, mi lasciai cadere sul divano come tramortito.
«Era dessa - era proprio dessa - la mia Sara - la mia marchesa
- quella che un mezzo secolo addietro mi aveva dato un paradiso
di ebbrezze! ... Non riferirò tutto quello che avvenne in appresso
fra me e quella donna. Noi conversammo due buone ore senza mai
comprenderci; quello strano dialogo terminò con una scarica di
singhiozzi. Allora la pregai perché mi fornisse l'occorrente per
scrivere. E mentre io, dopo aver scritto poche linee, tornava a lei
per congedarmi con un supremo e disperato addio, mi accorsi,
all'immobilità del suo corpo, al pallore del suo volto, alla
rigidezza della sua mano, ch'ella era morta di sincope ...
«La cameriera, che entrerà fra poco nel gabinetto, troverà qui
due cadaveri. A lei commetto l'incarico di consegnare ai fratelli il
mio ultimo autografo, perché venga letto al Comizio. Un uomo,
per quanto nobile e grande, non ha più il diritto di vivere, dacchè
il suo spirito, il suo cuore, la sua esperienza son diventati un
anacronismo.
«MALTHUS».
- Che ne dite? - chiese l'Albani al Virey, dopo aver letto.
- Io dico che quell'uomo ha dato, togliendosi la vita, una
prova di gran senno. Il suicidio è una delle manifestazioni più
evidenti della superiorità dell'intelligenza umana. È nullameno
deplorabile che la nostra razza sia tanto percossa dalla infelicità
che in molti casi ci convenga invocare la morte quale unico
rimedio alle angosce della nostra travagliata esistenza.
Il teatro si andava spopolando, e la gente si disperdeva
lentamente, in preda ad una profonda mestizia.
L'Albani, svolgendo il giornale per gettare gli occhi sulla
quarta pagina, nella rubrica dei Reclami privati lesse le
seguenti righe a lui indirizzate:
«In nome della umanità e della religione divina, il Primate
Redento Albani è invitato a recarsi immediatamente a Milano
nella casa a lui ben nota del sottoscritto per ricevere
comunicazione di un importante avvenimento che lo riguarda.
«FRATELLO CONSOLATORE».
- Perché così turbato? - chiese il Virey al fratello.
- Io parto per Milano - rispose l'Albani; - volete profittare
della mia volante e tenermi compagnia?
- Impossibile. Devo trovarmi a Pietroburgo questa sera per
prender parte ad un Consulto finale36)
Nell'Unione Europea le leggi permettono ai parenti di uccidere l'ammalato, allorquando la malattia venga
dichiarata incurabile da sei primati consulenti
al letto dello Czarre,
gravemente tormentato dai calcoli. Con dolore mi separo
dai voi.
- Ci rivedremo?
- Ne dubito. Ho l'anima percossa da sinistri presentimenti. La
lettera dello sfortunato Malthus ha scosso la mia fede ... Temo che
ogni sforzo della scienza per migliorare le sorti dell'umanità sia
opera vana. Forse provvederà la ... natura.
I due primati si separarano, e ciascuno prese la sua via negli
spazii dell'aria.
CAPITOLO XXIX - Il segreto di Cardano.
- Eccomi a te - disse l'Albani entrando nel vestibolo dove lo
attendeva il compagno de' suoi giorni di espiazione.
Fratello Consolatore gli stese la mano e lo introdusse nel
parlatorio.
- Dio ti riconduce - disse il Levita; - Dio vuol darti un'altra
prova della sua misericordia infinita ...
- Mettiamo da parte questo tuo fantasima invisibile, creato
dall'immaginazione, fors'anco dalla furfanteria umana - interruppe
l'Albani con impazienza; - da oltre un mese ho abbracciato la
religione dei naturalisti. Il vostro Dio non lo comprendo; io credo
nella natura.
- Dio e natura sono due potenze del pari inesplicabili ...
- Mi hai tu richiamato per farmi subire una lezione di
catechismo?
- No, fratello. Io debbo comunicarti delle notizie importanti.
Vedi tu là (e così parlando il Levita accennava ad un letticciuolo),
vedi tu là quel bambino di cinque anni che sporge dalle coltrici
bianche la sua testolina coronata di ricci biondi?
- Bello come un amore ...
- Bello, dovresti dire, come tutti i bimbi generati da una forza
di carità sublime. Ah! tu lo abbracci ... lo accarezzi ... ed egli ti
sorride ... vorrebbe parlarti ... E a sua madre non sarà dunque più
concesso di baciarlo!
- Orfano ... forse?
- Non può chiamarsi orfano un bimbo che gioisce nelle
carezze d'un padre ...
- Mio figlio ...
- Sì: tuo figlio, nato da quella santa, che un tempo, nel suo
umile paesello, si chiamava Maria; nato da colei, che or fanno sei
anni, co' suoi vergini baci ...
- Maria! - esclamò l'Albani coll'accento della più viva
commozione; - ma tu ... poco dianzi ... dicevi ...
- Calmati, fratello! coll'aiuto di Dio e colla forza dell'amore è
da sperarsi che noi riusciamo a salvarla. Leggi questo scritto
ch'ella ti ha indirizzato. In altra lettera a me diretta quella infelice
aggiunge delle spiegazioni che io non tralascerò di comunicarti, se
ciò mi parrà utile ...
L'Albani spiegò il foglio, lo scorse rapidamente coll'occhio;
poi, ricoricato il bimbo sul letticciuolo, esclamava:
- In nome del tuo Dio, in nome della natura, del Padre
Eterno, di tutti i diavoli ... dell'antecristo ... qui bisogna agire ...
bisogna accorrere ... dar l'avviso ai Capi di Sorveglianza ... mandar
sul luogo dei militi ...
- Non affannarti - disse il Levita trattenendo il desolato che
correva dall'un all'altro capo della stanza come uscito di senno; - il
Consiglio di sorveglianza è informato, i militi sono in marcia.
Quello stesso messaggiero che ieri a notte mi consegnò il bambino
e le lettere, si è incaricato di far appello agli esecutori di giustizia
e di comunicare ai giornali la notizia di un fatto al quale si
annodano tanti interessi.
Mentre il Levita parlava, si udì nel vestibolo un rumore
somigliante a quello di due grandi parapioggia che si chiudono.
- Eccoli di ritorno! - esclamò con gioia fratello Consolatore.
E uscito per un istante, rientrò nell'aula in compagnia di due
gentili figure di giovinetto e di fanciulla, entrambi ravvolti in due
grandi ali, che proteggevano, a guisa di manto, le rosee
delicatezze dei corpi leggiadri.
Quelle due figure, che in forma plastica e vivente
traducevano l'angelo dei cristiani, si chiamavano Rondine e
Lucarino. Noi abbiam veduto questi due alati portentosi scendere
a volo e sostare sulla guglia maggiore della cattedrale di Milano, il
giorno in cui l'Albani produceva il miracolo della pioggia
artificiale. L'opera di Fourrier, perfettamente riuscita, consolidata
dall'esercizio, prometteva alla specie umana una trasformazione
stupenda.
- I due che ti stanno dinanzi - disse il Levita presentando
all'Albani quella coppia di alati, - potranno informarti di ciò che
ora si sta operando in favore della buona Maria. Dopo averti
restituito il figlio, è giusto che essi ti riferiscano sulle sorti della
madre.
Lucarino prese la parola:
- Ieri, al cader del giorno, noi traversavamo di volo gli spazii
sovrastanti a quel monte gigantesco, sempre coperto di nevi, che
si chiama il Gottardo. Essendoci di molto abbassati per sottrarci
alle punture dell'aria rigidissima, giunsero al nostro orecchio dei
suoni che parevano strida da pappagalli, misti ad ululati da jena.
«Sostammo, e raccogliendo il volo sovra una superficie
lucente, che da lungi ci era parsa un enorme ammasso di ghiaccio,
il nostro piede avvertì una gradita esalazione di tepore.
Immaginate la nostra meraviglia! Noi passeggiavamo sovra una
tettoia di cristallo leggermente riscaldato, e sotto i nostri piedi si
sprofondavano le muraglie di un vasto palazzo popolato di esseri
viventi. Che mistero è codesto? quali saranno gli abitatori di
questo immenso edilizio fabbricato sulle alture di una montagna
oggimai divenuta inaccessibile?
«Aggirandoci intorno al quadrilatero, osservando,
ascoltando, ci avvenne di scorgere una giovane donna che
correva, invocando soccorso, fra gli scoscendimenti di una valle
poco discosta. Quel grido ci trafisse l'anima; accorremmo, e in
meno ch'io ve lo dico, ci trovammo al fianco di quella donna.
«- Se voi siete due angeli - esclamò ella con accento desolato
- prendete sotto la vostra custodia questa mia creatura innocente; è
un figlio dell'amore, del primo, dell'unico amore che abbia fatto
trasalire le mie viscere.
«Così parlando, la tapina ci sporse un paniere, dove tra
bianchi pannilini giacea sopito il grazioso bimbo che ora posa su
quel letto.
«- Io sono inseguita - riprese ella con terrore; - inseguita da
un uomo potente e feroce. Presto! esaudite il voto di una povera
madre. Prendete quel fanciullo, dirigetevi su Milano e fate di
scendere alla casa di quel santo che si chiama il fratello
Consolatore. Nel paniere vi hanno due lettere, dirette l'una al buon
Levita, l'altra a colui:..
«Ma la tapina non potè proseguire, sgomentata da uno
strepito di passi.
«Chi avrebbe esitato? Noi afferrammo il paniere dai due lati,
e ansanti, desolati di non poter alla misera donna giovare
altrimenti, con rapido volo ci allontanammo dal luogo nefasto.
- Povera Maria! - sciamò l'Albani; - quel Cardano ... quel
mostro ... l'avrà uccisa.
- Egli l'amava troppo per ucciderla - disse il Levita. - Fui io
stesso, che consigliai alla povera immolata il più grande dei
sacrifizi, inducendola a seguire quell'uomo. Ed ecco, per mezzo di
lei, alla provvidenza è piaciuto svelarmi l'autore della misteriosa
disparizione di tanti neonati. Sì; avete ragione; Cardano è un
mostro; ma egli è uno di quei mostri generati dall'orgoglio e della
manìa di sapere, che in tanta copia si producono all'età nostra.
Volendo conoscere le prime espressioni della favella umana e
studiare gli istinti ingeniti della nostra specie, quello scienziato
abbominevole esercitava la tratta dei neonati. Le piccole creature
rapite alle madri venivano accolte e allattate da mute nutrici nel
vasto edifizio destinato alle atroci esperienze. Parecchie centinaia
di fanciulli d'ambo i sessi erano là da parecchi anni a stridere, ad
ululare come animali selvaggi, avvoltolandosi nella terra,
commettendo tutte le stranezze e gli abbominii suggeriti
dall'istinto sfrenato ...
- Orrore! orrore! - gridava l'Albani percorrendo la stanza a
passi concitati.
- Il dolore delle madri è salito al cielo! - disse il Levita.
- E la giustizia umana compirà l'opera sua - soggiunse
Lucarino. - Il fatto è segnalato. A quest'ora, sulle alture del
Gottardo, migliaia e migliaia di cuori gridano: morte a Cardano.
- E noi siamo ancora qui?
Ciò detto, l'Albani con ardore paterno baciò in fronte il
bambino, e ricoricatolo sul letticciuolo, uscì a passi precipitati
dalla casa del Levita.
CAPITOLO XXX - Deladromo.
In quel giorno all'Assemblea della Unione si discutevano dei
nuovi articoli di legge.
Una sensibile trasformazione di partiti si era prodotta nella
Camera elettiva, in seguito ai moti anarchici avvenuti
recentemente. Gli equilibristi transigevano, e una notevole
maggioranza si dichiarava favorevole ad ogni proposta del partito
naturalista.
I seguenti ordini del giorno erano stati approvati per
acclamazione:
I. Considerando che le esagerazioni della viabilità hanno
negli Stati d'Europa usurpato all'agricoltura tanta superficie di
terreno quanta basterebbe ad alimentare annualmente due milioni
di famiglie; visto che al trasporto delle derrate e delle merci
possono oggidì largamente provvedere le navi aereostatiche e le
volanti di cielo; il Governo decreta la immediata soppressione di
un milione e ottocentomila chilometri di ferrovia, di strade rotabili
e sphortene; ordinando al medesimo tempo una leva
straordinaria di trecentomila coscritti agricoli, acciò le dette aree
improduttive vengano, nel termine di un anno, ridotte a
coltivazione;
II. Considerando che al cane ed all'uomo occorrono per
sostentarsi degli identici alimenti; visto che ad alimentare ogni
individuo canino si richiede la spesa di mezzo lusso al giorno;
visto che negli Stati d'Europa esistono attualmente sessanta
milioni di cani, il cui mantenimento esige una spesa quotidiana di
trenta milioni all'incirca e un relativo consumo di commestibili,
evidentemente detratti alla nutrizione della famiglia umana; il
Governo decreta l'immediata e totale distruzione della razza
canina, da effettuarsi e compirsi spontaneamente dai singoli
cittadini, o altrimenti, con ogni mezzo coercitivo, dagli agenti di
ordine pubblico.
Perché un Governo ricorra a tali misure è d'uopo che il
malessere generale sia giunto al colmo. E già il rappresentante
Cavalloni sorgeva a protestare contro il secondo articolo di legge,
dichiarandolo pericoloso alla sicurezza dei cantanti, quando dalla
valvula di salute pubblica venne ad irrompere sulla testa
del presidente una pioggia di foglietti.
- Dio ci scampi! - esclamò il Presidente; - abbiamo duemila
telegrammi. Leggiamo il primo che ci viene tra le mani; degli altri
si incaricheranno i posteri:
«Assembramento minaccioso sulle alture del Gottardo,
grande avvenimento politico-scientifico, imminente guerra
civile».
- È tempo di finirla! - grida il Casanova levandosi in piedi; -
il Governo, colla sua longanimità, non ha fatto che incoraggiare
l'anarchia. Io propongo di nominare una Commissione di
inchiesta.
- Una Commissione! Una Commissione! - risposero mille
voci. - L'onorevole Casanova, si incarichi di comporla e si rechi
immediatamente con quella sul campo del disordine.
In meno ch'io ve lo dica, la Commissione era costituita, e gli
onorevoli potevano, di là a pochi istanti, contemplare da una
volante di prima classe, uno spettacolo non più veduto; il più
vasto ondulamento di massi nevosi che immaginare si possa,
popolato e stipato di gente come nol fu mai un teatro di capitale in
una serata di prima rappresentazione.
Perché si era adunata quella gente?
Di qua si gridava: morte a Cardano! morte al rapitore di
faciulli!
Di là si muggiva: viva Cardano! viva la libera scienza!
Chi sviscera i gruppi, chi riproduce gli episodi di quella
scena tumultuosa e fantastica?
Ciò che a noi preme, è di raggiungere i principali personaggi
del nostro dramma e di assistere alle estreme peripezie (ohimè!
estreme per essi e per tutti) della loro travagliata esistenza.
Eccoli! L'Albani giungendo sul luogo, è riuscito, seguendo le
indicazioni di Rondine e Lucarino, a calare sulla tettoia del
palazzo di cristallo. Altri padri, esasperati dalla disparizione de'
figli, erano accorsi ad abbattere con martelli e picconi l'infame
edilizio.
Una breccia era aperta ...
Cardano, vedendosi perduto, si disponeva a fuggire traendo
seco l'immolata. Quell'uomo amava Glicinia disperatamente,
come il mostro soltanto può amare ciò che è bello e perfetto.
Mentre egli stava per sciogliere la slitta, dove aveva collocata la
sua donna, l'Albani gli fu sopra, gli spaccò il cranio con un colpo
di mazza, e stesa la mano a Glicinia, se la attirò al petto per
abbracciarla e coprirla di baci.
Sul corpo quasi esanime di Cardano si curvò un uomo
esclamando: sventura! sventura! il martello della vendetta ha
spezzato un cranio che racchiudeva i più importanti segreti della
scienza. Io spenderò un milione di lussi per possedere questa
meravigliosa scatola di intelligenza e di sapere.
Quegli che così parlava era il Virey.
Frattanto, l'Albani colla sua donna al braccio tentava
allontanarsi da quel luogo facendosi largo colla voce e col manico
della mazza.
Il palazzo di cristallo era quasi demolito. Un migliaio di
essere umani si agitavano ignudi fra le rovine di quel piccolo
mondo sotterraneo, spauriti dalla folla, rifuggenti da ogni carezza,
emettendo grida selvaggie. Taluni, i più adulti, mordevano i
pietosi che a loro si accostavano. Si vedevano delle ignude
fanciulle ancora impuberi avvinghiarsi ai garzonetti parimenti
nudi, invocando protezione con gemiti strazianti, con
gesticolazioni che parevano licenziose ed erano ingenue. Il monte
era letteralmente coperto di persone. I curiosi serrati in battaglione
urtavano la massa degli inerti. Tutti miravano ad un punto,
anelavano di vedere l'ignoto. Le grida di viva e di morte
formavano un tal frastuono che le creste del monte ne oscillavano.
Le nevi smosse precipitavano dai culmini più elevati, formando
delle valanghe. Nessuno parea preoccuparsi di un singolare
fenomeno atmosferico che si andava sviluppando; nessuno pareva
accorgersi che il cielo si copriva di nuvole sinistre, che l'aria tratto
tratto era scossa da nn cupo rombo di tuono.
Eppure lo scioglimento era prossimo, e quale! ... Una voce
che parlava da un immane tubo saxopelitto echeggiò
improvvisamente di vetta in vetta.
- Deladromo! Deladromo! - gridò la folla convergendosi ad
una delle creste più elevate del monte, dov'era apparso un
personaggio a tutti noto.
A quel grido di moltitudine succedette un silenzio da deserto.
Deladromo (poiché era ben desso, il celebre primate di
astronomia, l'uomo acclamato dalla moltitudine) tuffò la bocca
nello stromento fonico che centuplicava la sonorità della sua voce,
e parlò di tal guisa:
- Mentecatti, buffoni e bricconi della razza superiore, alla
quale non mi son mai gloriato di appartenere, ascoltate bene ciò
che sta per dirvi chi non vi ha mai ingannati. Questa mattina, alle
ore sette antimeridiane precise, il pianeta Osiride ha cominciato la
sua corsa di precipitazione verso il nostro globo. Questa corsa
periodica, che suole effettuarsi ad ogni scadenza di diecimila anni,
si compie inevitabilmente nello spazio di quindici giorni. La qual
cosa significa, badate bene, o mamalucchi, che allo spirare di
quindici giorni, tutta la superficie del nostro globo sarà sconvolta
e rinnovata dalle acque. Io vi annunzio il fenomeno; voi, se le
forze vi bastano, provvedete! Ohimè! le vostre forze non
basteranno. La superficie terrestre esige di rinnovarsi ad epoche
fisse; ciò è nell'ordine indeclinabile della natura. Quali
trasformazioni subirà la razza umana nella nuova genesi che sta
per iniziarsi? Mistero. Questo solo apparisce evidente, che
l'umanità vissuta sin qui, perisce nella completa ignoranza della
sua missione fisica ed intellettuale, perisce attestando la sua
incapacità a migliorarsi. Tutti i nostri sforzi per giungere al
meglio hanno sempre abortito; qualche cosa di abberrato era in
noi per condurci costantemente sul cammino dell'errore e della
infelicità. Consoliamoci! Fra quindici giorni la nostra generazione
sarà spenta, e i nostri successori dovranno ignorare che noi
abbiamo esistito, come noi ignorammo la vita delle epoche a noi
precedenti. E sarà pel loro meglio; poiché almeno i venturi non
erediteranno i nostri errori, le nostre follie, e forse ...
Ma una scossa di terremoto che fece traballare il gran monte,
impose un termine alle parole dell'astronomo.
Degli enormi crepacci si apersero come voragini sotto i piedi
degli uditori. Alcune vette crollarono.
Dio! quante grida di dolore e di imprecazione! E quanti vuoti
in quella folla poco dianzi sì compatta! I superstiti non osavano
più muoversi, e l'uno all'altro si addossavano per sorreggersi.
L'Albani, uscito incolume da quella scossa, nella slitta del
Cardano scivolava dal monte, abbracciato a Glicinia tramortita di
spavento.
Fratello Consolatore predicava da un masso: «Cristiani!
maceratevi le membra! cingetevi i lombi di cilizii! invocate
l'Altissimo! Egli solo è grande ... egli è buono».
- Tante grazie della bontà sua! - bestemmiavano i
naturalisti.
Antonio Casanova, nella sua gondola aerea vertiginosamente
sbattuta dal vento, esilarava, ebbro di sciampagna, i membri
infrolliti della Commissione di inchiesta, esponendo la sincera
diagnosi della sua vita. «Dal canto mio ho sempre pigliato il
mondo come vuol essere preso da ogni persona che abbia senno:
ho sempre mangiato e bevuto lautamente; ho goduto quanto si può
godere, ho gabbato il prossimo quanto il prossìmo avrebbe voluto
gabbarmi; ho vissuto da gran signore rasentando la galera; e i miei
concittadini mandandomi alla camera elettiva, hanno dichiarato
che ero degno di rappresentarli. Viva dunque il pianeta Osiride!
Era ben tempo di farla finita con questa generazione di imbecilli!»
Di là a quindici giorni, giusta la profezia del Deladromo, la
superficie del globo terrestre era sparita sotto uno strato di acque.
E al sedicesimo giorno, il pianeta Osiride ricominciò il suo
moto ascendente, e le piogge cessarono, e uno splendido sole
sfolgorò sulla muta solitudine.
E in appresso spuntarono dalle acque le cime dei nuovi
monti; e due esseri umani, forniti di ali, uscendo dall'ultimo
battello di scampo, dove l'Albani, fratello Consolatore e Glicinia
erano periti, drizzarono il volo ad uno scoglio ...
E su quello scoglio, i due alati, che si chiamavano Rondine e
Lucarino, con assicelle e fogliami depositati dalle acque
edificarono la loro capanna e vissero parecchi mesi di pescagione.
E Rondine, di là a un anno, concepì ...
E Lucarino si rallegrava pensando: nostro figlio avrà le ali
come noi, e così sarà dei nostri discendenti,
E il figlio di Rondine nacque senza ali, perché l'uomo alato
sarebbe un mostro; e Lucarino, turbato da gravi sospetti, pianse
amaramente.
E in seguito, Rondine e Lucarino ebbero degli altri figliuoli
d'ambo i sessi, i quali crebbero e si moltiplicarono sulla faccia
della terra, per rinnovare le stravaganze e le follie delle
generazioni ignorate che li avevano preceduti.
FINE.