Madamine
SU per il corso Garibaldi tornano i carri dal Verziere, con le ceste vuote che ballano: vengono le bare
dei cavallari, con un chioccar di fruste, con un gran tintinnio di campanelli: vengono, lente, pesanti, le
botti dei pozzi neri;e più lenti, dimessi, con un odor deciso di campagna, i carrettini col proprietario che
sonnecchia a gambe spenzolate, e l'asinello che ogni tanto, a una cadenza meccanica di bastone,finge con
l'orecchie d'allungare il passo. Le prime corse mandano giù i campagnuoli con le valigie in mano, che
urtano a ogni momento nei secchi dei lattivendoli , nelle filze dei mercanti di trappole, nei fagotti delle
lavandaie. Le contadine,col vestito nuovo di percallo, il fazzoletto a gran colori intesta, il paniere delle uova
infilato al braccio, pian piano,col naso all'aria, si lasciano spingere dalla corrente, pigliandosi senz' ira gli
urtoni e le bestemmie che li commentano. Passano cantarellando frotte di marmocchi coi grembiali rossi e
turchini, il panierino tondo al braccio; passano brigatelle di bambini ben vestiti, capitanati da una servotta, e i
più piccoli allungano militarmente il passo, con le cartelle che batton loro allegramente le natiche, e la
baraonda va a finir tra le gambe di qualche capo d'ufficio, che se ne vien
passo con le mani in tasca, ritardando più che può l' ora d'andarsi a rinchiudere.
E in mezzo a quel viavai alla buona, in quella specie di terreno neutro, dove la campagna muore nella
città, dove la casa ha ancor qua e là qualcosa della capanna nelle forme rozze, irregolari, di come-dio-
vuole, guizzano, ogni tanto, a una, a due, a tre, delle figurine del più schietto sapore cittadino, apparizioni
che vi spalancano d'un tratto alla fantasia spettacoli confusi di quartieri ricchi ed eleganti. Strette nel taglio
svelto dei loro vestiti di lana scura, nei veli che scendono dalla testa su le spalle, con una certa squisita
petulanza d'ultima moda, paiono fuor di posto in quei luoghi. Le vetrine splendenti, piene di drappi, di pizzi,
d'ori, di profumi, il romor balzante delle carrozze, il selciato sonoro, la folla oziosa, vi fanno, con la loro
visione bruscamente svegliata, parer più sucido il suolo, più sbrandellate le case, più rozzo il tramestio di
quella strada plebea. Vi sentite dinanzi ad una specie di aristocrazia del popolo: trovate giusto quel loro
passar di volo, toccando appena la terra colla punta dei piedi. E, senz'aver studiato etimologia, vi par di
trovare il rapporto più naturale del mondo tra i vostri pensieri e quel nome di madamina - quel nome
che appartiene alle sartine, e più specialmente ancora alle crestaie, e in cui il milanese compendia tante
impressioni d'aspetto, di caratteri, di costumanze, tante vaghe intenzioni di simpatia, di satira, di pittura
umana.
La loro famiglia è povera. A sette od ott'anni, per pochi soldi al giorno, nella qualità di piscinina
scopavano la scuola, aprivano a ogni scampanellata, correvano le botteghe per le provviste, portavano
fagotti, facevano la via crucis delle clienti
restie, che ricevono dieci conti gridando come regine offese e pagano l'undecimo con una larghezza da
accattone. Ma il loro incubo era lo scatolone - quello scatolone alto più di mezza la loro personcina,
appoggiato all'anca e alla coscia, tenuto in equilibrio dal busto piegato a strapiombo dal lato opposto
trascinato su per venti scale, urtato alle gambe di cento passanti, tambussato da tutti i monelli, a cui la
fanciullina si trovava obbligata di rispondere apostrofi da far arrossire un facchino. Ah ! quéllo scatolone ! ...
Quanta invidia a quelle poche compagne tanto ricche da potersene esimere rintulciando a quei pochi soldi
per settimana!
Per rifarsi di quella condizione di paria, quanti piccoli soprusi si tramavano, quante malignità
s'inventavano! Non veniva avventore alla scuola, che non lo squadrassero ben bene da capo a piedi,
col garbo di un ispettore di confine, e non l'annunciavano alla maestra senz'attaccarvi i loro commenti,
che davano l'aire ai motteggi delle ragazze. E se un giovine si smarriva su per le scale, che scempio se ne
faceva ! La piccola, sempre all'erta, correva ad avvisare in furia le caporione, e fuori tutte, e il meglio che
potesse fare il malcapitato era di tornarsene dond' era venuto. Nelle botteghe poi bisognava vederle, quelle
piccole vespe! Pigiavano, strillavano, mettevano sossopra il banco, volevano esser servite prima e meglio,
capaci di far perdere la clientela della loro maestra a un negozio che non le trattasse coi debiti riguardi ...
Da quello stato infimo, su su, man mano che crebbero gli anni e l'abilità, sgobbando, vegliando,
divennero, giovani, e qualcuna capogiovane. E con l'età, quel fermento che nella
piscinina non era che curiosità , diventò bisogno di lusso,
d'amore, di piacere. Nelle settimane del carnevale , là, fra quegli oceani di trine, di velluti, di rasi, di
piume, di fiori, fra quei tessuti lindi e leggeri, in cui par già alitare l'odor calde delle carni e correre il fremito
del ballo, fra quel fuoco incrociato d'aneddoti raccolti nelle anticamere durante le lunghe attese fra gli
sbadigli e i pizzicotti dei servitori, la testa si monta, gli occhi s'accendono, le gambe sentono la febbre. E di
là sbucano, la sera, quelle schiere pazze, scoppiettanti di risa, aspettate da giovinetti e giovinotti, e vanno a
empir veglioni o ad animare quelle feste di società, dove l'invito disputato a una polca può anche
finire con quattro pugni fra cavalieri.
Ma la nota aristocratica in loro non manca mai. Avranno passato il giorno con un pugno di castagne
secche, ma le loro vesti sono pulite. Nelle loro famiglie sentiamo a ogni minuto parolacce da bettola, ma
amano i bei modi, vogliono esser trattate come si deve Il tormentar che fanno un uomo, quando capita
durante il giorno in mezzo a una scuola, è forse meno un sollievo della prigionia, che una rappresaglia
dell'esser là, sotto i suoi occhi, spettinate, disabbigliate, senza quel briciolo d'eleganza che le fa regine alla
sera. Nel loro parlare, si mescolano volgarità e frasi attillate, con un certo ticchio di parlar nobile che
talvolta, a mezzo una colazione, vi fa balenare la figura dimenticata del professor di grammatica. Il loro
spirito non s'aguzza mai tanto come quando son punte: e ciò che più le addolora, è, dopo qualche lieta
scappata, sentir non di rado la mamma, e molto spesso il padre, dar loro il bentornata con un vocabolario che
ha un sapore deciso di postribolo : oh ! meglio un pajo di schiaffi netti e schietti !
Del resto, amabilmente scettiche nel considerar la vita.
L'hanno conosciuta troppo presto per maravigliarsi delle sue bizzarrie. Tutto il giorno, nel ciarlìo generale e
confuso della scuola, nelle confidenze intime della magra colazione, è un leggersi la vita l'una
all'altra: si calunniano volontieri, si rubano senza molti scrupoli gli amanti : ma se appena si parla di andare a
un' allegria, i pettegolezzi si buttano dietro le spalle e non ci sono brigate più matte delle loro. E con
tutto il divertirsi, accanite al lavoro, capaci di ballare una notte intera, e di agucchiar poi e correre tutto il
giorno. Domeneddio, se c'è, fa il suo mestiere; noi bisogna che facciamo il nostro, e la salute e tanto da far
bella figura, basta per esser contente. Gli uomini poi li hanno sulle dita - dagli scappellotti e dai calci
precoci del babbo avvinazzato o a tasche vuote, ai madrigali stereotipati del damerino che le incontra per la
prima volta.
E non credete per questo che non credano a nulla. Anzi, siete voi un cinico perduto, se mettete in dubbio
che un capello dinanzi agli occhi non significhi lettere da ricevere, se mettete in dubbio che il sognar cavalli
neri o neve o soldati non voglia dir fortuna, e che il sognar paglia o cavalli bianchi non sia foriero d'una
disgrazia da rimanerne malinconici per una giornata intera.
I pronostici sono l'incubo della loro mente. Ciascuna vagheggia un proprio ideale. Chi sogna un uomo ,
un buon amico che paghi cappellini e vestiti - ideale che qualche volta conduce al matrimonio, più spesso a
qualcosa di molto diverso. Chi sposa, per amore o in mancanza d'altro, un popolano, fa figliuoli e perde ogni
abitudine d'eleganza, ogni velleità d'agiatezza. Qualcuna, passati i trent'anni, sospira il
tempo perduto nell'onestà: qualche altra mantiene per molto tempo l'eleganza giovanile, con una
maestrìa particolare di far bell'effetto con un nonnulla, e col cuore ipotecato, in aspettativa, a qualche
giovinotto che le ripaga poco più che di cuore. Ma il sogno del lusso non le abbandona che all'ultimo: l'hanno
troppo rasentato , sono entrate ne' suoi penetrali, l'hanno toccato con le loro mani!
E sogni e desiderî, guizzan loro dagli occhi, quando, a sera, sotto la luce torbida del gas, a una, a due, a
frotte tornano dalla scuola ai loro poveri quartieri. I carri scarichi salgono lentamente verso le porte : i
manovali tornano, fischiando e cantacchiando, ai sobborghi; gli omnibus si strascinano coi cavalli
zoppicanti, che hanno nel passo rassegnato la speranza dell'ultimo viaggio; la macellaia ben pasciuta fa
somme, il fornaio chiacchiera seduto placidamente sui sacchi, le cortine rosse trasparenti dei mercanti di vino
parlano di delizie. E dinanzi alle vetrine passano, in una fantasmagoria avvicendata di luce e d'ombra, schiere
di cappellini, di veli, di scialli, di ciocche svolazzanti, tra una folla di gingilloni che le attendono al varco e
ne raccolgono mille impressioni diverse - dallo sguardo timido, di sott'insù, delle fanciulle sole, alle occhiate
lunghe, provocanti delle giovinette, all'indifferenza affettata delle adulte, all'avido muover d'occhi delle
veterane. E la lunga processione s'assottiglia a poco a poco, si sbriciola, dilegua, e le regine scompaiono
dentro quelle porte buie, dove qualche uomo ben vestito aspetta quasi sempre nell'ombra dei lunghi androni,
su per quelle grommose scale, dove c' è sempre qualche bisbiglio negli angoli dei pianerottoli oscuri.