Il razionalismo
Il nemico che a' nostri tempi insidia più pericolosamente
la Chiesa cattolica si è il RAZIONALISMO. Chi lo definisce un
falso metodo di ragionare ne dà una definizione assai vaga,
e non addita la precisa sede di questo error desolante.
Tutti gli errori umani procedono o dall' ammissione gratuita
di un principio falso, o dalla deduzione errata di conseguenze
false da un principio vero. Nè quelli, nè questi sono
effetti necessarii di un metodo difettoso, nascendo i primi dal
pregiudizio o giudizio temerario, e i secondi dallo sragionamento ;
due fonti di sbagli che in ogni metodo, anche per sè
buono, può aprire a se stessa l' umana fallacia.
Il difetto proprio de' metodi si è l' impotenza . Datemi qualsiasi
metodo: se io ragiono bene, eviterò l' errore, ma non
giugnerò a dimostrare tutte le verità che io vorrò; anzi sol
confessando questa insufficienza della via, per la qual m' incammino,
potrò dall' errore salvarmi. Che se superbamente io rifuggo
da una sì umile confessione, se non m' arresto là dove il metodo
cessa per sè di condurmi, l' errore ivi m' attende; ma di tale
errore non è cagione il metodo, sì quell' infelice sragionare a
cui mi travolse gratuitamente l' orgoglio.
Vero è, che se l' impotenza del metodo non conduce di
necessità all' errore; l' errore al contrario conduce di necessità
a' metodi impotenti; e questo è appunto il caso del razionalismo.
Il razionalismo è un principio il quale si riduce a questa
proposizione: « L' uomo non dee ammettere se non quello che
gli dice d' ammettere la sua sola ragion naturale, escluso ogni
lume soprannaturale. »L' esclusione d' ogni altro lume fuori
del naturale, chi ben considera, non può che dedursi sragionando ,
oppure ammettersi di persuasione gratuita , alla guisa
appunto che s' ammettono i pregiudizi. Poichè lo stesso natural
lume, che si vuol guida dell' uomo, lungi d' escludere il lume
soprannaturale, ne riconosce anzi la possibilità e la necessità (1);
e, offertogli, spontaneamente l' abbraccia come suo proprio
compimento e perfezionamento (2). Laonde colui che d' una
parte dichiara voler ammettere tutto ciò che gli dice d' ammettere
la ragion naturale, e dall' altra pretende, prima ancora
di averla ben consultata, d' escludere ogni altro lume superiore
che s' associa colla ragione e la rinforza, manifestamente si
contraddice. Perocchè egli non dimostrerà mai che la ragione
naturale ricusi d' essere illuminata, o che sia cosa assurda l' esistenza
d' un lume divino che la illumini. Sono le passioni disordinate
quelle che aman le tenebre; la ragione cerca sempre la
luce, e n' accoglie, se la si lascia al suo movimento spontaneo,
come cosa lietissima, ogni raggio, ondechessia le risplenda.
Ma or posciachè l' uomo ebbe accolto nell' animo quell' erroneo
principio , in cui tutto intero consiste il sistema del
razionalismo, conseguente cosa è, che ne deduca un metodo
di ragionare affatto impotente a dimostrare le cose soprannaturali
e divine; perocchè queste sono già dallo stesso principio
messe da parte. E così accade, che non da un metodo difettoso
proceda il razionalismo, ma dal razionalismo proceda un metodo
difettoso, cioè povero, e inefficace a guidar l' uomo alla
vera scienza, venendogli recisi i nervi dal primo errore che
l' ebbe ingenerato.
Altro è dunque il razionalismo , altro il metodo che
ne deriva, e che razionalistico si può chiamare. Ed ella non
è cosa rada che gli uomini ne' loro ragionari seguano cotesto
metodo che dal razionalismo procede, senza confessare espressamente
d' ammetterne il principio generatore.
Quindi io altrove distinsi i razionalisti in due classi, che
chiamai l' una de' razionalisti pratici , l' altra de' razionalisti
teoretici (1).
Questi ultimi ammettono espressamente il principio erroneo,
dove giace il razionalismo: laddove i primi ammettono
anch' essi, ma tacitamente; e talor anco senz' averne coscienza,
il combattono; perocchè non è l' uomo consapevole di tutto
quello ch' egli si fa.
E di vero, ammette tacitamente il razionalismo colui che
ragiona in modo, da supporne vero il principio. Poichè tutti
i ragionamenti umani, eccetto quelli che ascendono alle prime
ragioni, suppongono per dati innanzi a sè de' principii di cui
non si fa parola, onde pure incominciano; a tal che que' ragionamenti
sarebbero nulli, se non ricevessero ogni lor forza
dai sott' intesi principii. E chi dà per vero un ragionamento,
s' obbliga, per le stesse leggi del ragionare, ad ammetter per
veri altresì que' principii, benchè non espressi, onde il ragionamento
trae la sua forza, ed a' quali secretamente si riferisce.
Veduto che cosa sia il razionalismo, e come egli prenda
due forme successive, l' una pratica e segreta, l' altra teoretica
e palese; veggiamo com' egli s' introduca nel pensare degli uomini,
anche in mezzo a popoli cristiani.
E` mestieri osservare, che in que' tempi ne' quali viene scemando
la fede, appariscono incontanente chiari segni di razionalismo.
Pure, acciocchè il razionalismo sia formulato ed eretto
in sistema; acciocchè egli da pratico diventi teoretico , è
necessario che l' incredulità giunga al suo colmo. Conciassiachè
il razionalismo teoretico non è in fine, che l' incredulità stessa
scientificamente enunciata. Laonde, prima ch' esso, pigliando
quest' ultima forma, deponga ogni velo, e mostri in faccia quello
che è, ebbe già lunga vita nel mondo, ma occulta; serpeggiò
ne' pensieri degli uomini, nelle dottrine, ne' sistemi, nelle volontà;
esercitò a lungo la sua tendenza di constituirsi in sistema;
e dopo sforzi replicati e prove fallitegli, cresciuto di forza e
pigliata audacia in ragion de' progressi della incredulità, insieme
con questa si pronuncia e si manifesta in un sistema ordinato.
Laonde furono in ogni tempo le eresie madri di razionalismo
pratico dapprima, e in fine teoretico, quando queste, sviluppando
il germe di distruzione che nel proprio seno racchiudono
finiscono tutte in una universale incredulità .
Vedemmo noi pur troppo cogli occhi nostri assolversi
questa consumazione delle eresie nella incredulità, e fu sagacemente
detto che il razionalismo è l' eresia del secol nostro.
Il che è tanto vero, che gli uomini più sagaci scorgono un
cotale spirito di razionalismo penetrare oggidì tutta quanta la
società umana, i costumi, le scienze e la stessa teologia cattolica
sentirne l' infausta influenza. Il quale sembrami un fatto
degnissimo d' accertare, e di ben constatare. Perocchè quantunque
alla cattolica Chiesa sia sicurata la perennità dal suo
divin Fondatore, non sono infallibili i singoli teologi, e grave
danno posson recare all' anime trattando i dogmi con quello
spirito razionalistico che li va limitando e corrodendo, per così
dire, e in fin li distrugge. Al qual fine di constatare un tal
fatto, ci gioverà risalire alla fonte, e discuoprire l' occasione,
nella quale cominciò a insinuarsi per sottil modo in alcuni maestri
e scrittori di cattolica teologia, quella tendenza razionalistica,
che tanto oggidì s' accorda colla tendenza universale, e delle
simpatie di questa s' avvalora, e minaccia da vicino la fede.
Si rifletta adunque che, sebbene nelle eresie del secolo
decimosesto fosse inserito il germe del razionalismo; tuttavia
nelle più d' esse quel principio pestifero s' occultava sì fattamente,
che pareano inclinar anzi nell' eccesso contrario. Quindi
noi veggiamo le eresie di Lutero e di Calvino, di cui fur propaggini
posteriori il Bajanismo ed il Giansenismo, tutte intese
ad abbassare soverchiamente la natura col pretesto di onorare
il Creatore, ad avvilir la ragione col pretesto di magnificare
la rivelazione, a distruggere la libertà dell' uomo col pretesto
d' esaltare la grazia del Salvatore (1).
Erano questi errori gravissimi, ma formavano tuttavia le
sole forme esterne del protestantismo , che appariva in tal
modo peccante per eccesso in magnificare l' ordine soprannaturale
a distruzione dell' ordine naturale. Ma il vero spirito
del protestantismo era altra cosa; era anzi uno spirito di
distruzione lenta, ma indeclinabile della rivelazione, della grazia,
e, in una parola, di tutto l' ordine soprannaturale. Poichè
egli è questo, come dicevamo, lo spirito, la tendenza comune
di tutte le eresie che insorsero, o insorgeranno a turbare la
Chiesa.
Gli eretici a lei ribelli scuotono il giogo della sua autorità,
e rifiutandosi di credere alcune verità da lei proposte,
diminuiscono da prima il deposito della fede. Incominciano così
a non credere, e stabilendo il giudizio particolare qual supremo
tribunale nelle cose di fede, sottomettono la fede alla
ragione di ciascheduno; sicchè quelle verità che ciascuno
di essi ancor crede, le crede unicamente, perchè alla sua propria
ragione in quel momento che le crede, sembrano rivelate.
Ora, sottomettere la fede alla ragione particolare, sottomettere
a questa le divine Scritture e gli altri documenti, ne' quali
le verità rivelate contengonsi, viene ad essere il medesimo che
attribuire alla ragione naturale il potere di annientare la divina
rivelazione. Perocchè colui che, avendo debole e traviata
la ragione, non sapesse intendere, poniamo, gli argomenti che
dimostrano contenersi nella tradizione alcune verità rivelate,
costui rigetterà la tradizione; e così fecero i protestanti. Quegli
poi che non intendesse le prove dell' autenticità e dell' ispirazione
delle divine Scritture, rigetterà le Scritture stesse. Ognuno
dunque, se alla sola ragion propria s' affida, potrà quando che
sia distruggere tutti i fonti della rivelata verità, e con ciò
abolire l' ordine delle soprannaturali credenze. Potrà anche in
altro modo distruggere ad una ad una queste credenze, secondo
che la sua ragion naturale ricusa di vederle nel deposito della
fede. Nè vale il dire che alcuni degli eretici affidano il giudizio
non alla ragion naturale, ma alla ispirazione; perocchè
chi è poi che giudica dell' ispirazione stessa di questi fanatici,
se non ciascuno della propria? Laonde in fine è sempre la
ragion naturale che giudica della stessa ispirazione; e la
sua fallacità si dimostra qui appunto, ch' ella comincia dal
supporre gratuitamente, comunicarsi lo Spirito santo a chi rinunzia
a quella Chiesa che lo Spirito santo stesso già dichiarò
la colonna e il firmamento della verità. Possono adunque gli
eretici credere quel che vogliono, possono credere ad un ordine
soprannaturale, possono celebrarlo fino a distruggere quello
della natura, come i primi protestanti ostentaron di fare, possono
mostrarsi zelantissimi dell' autorità della Bibbia, o chiamarsi
evangelici , o con altro bel nome qualsiasi; rimane
sempre vero, che le verità che ancor credono, come pure gli
errori particolari che canonizzano, formano un oggetto meramente
accidentale e transitorio della loro credenza; potendosi,
anzi dovendosi cangiare l' oggetto della fede di ciascun d' essi,
come cangiano ogni dì ed ogn' ora i risultamenti di loro individuale
ragione.
Così avvenne, che il protestantismo che al suo nascimento
trovava la natura umana talmente depravata da non
poter altro che peccare, dopo tre secoli di variazioni la trovò
immune da ogni disordine originale; e mentre in principio
sosteneva, la sola rivelazione poter determinare che cosa sia
vizio da fuggirsi, e che cosa virtù da seguirsi; ora per opposto
dichiari legislatrice unica nell' ordine morale la ragione; ed
avendo incominciato col negare il libero arbitrio tutto accordando
alle forze della grazia, finisca adesso il suo corso negando
la grazia e facendo dipendere ogni perfezione morale dell' uomo
dal suo solo libero arbitrio. Così appunto si svolse il seme del
razionalismo contenuto nelle eresie del secolo decimosesto; e
trovando circostanze più favorevoli, più ampiamente si svolse
che non facesse mai nelle eresie precedenti. Così finì il secreto
lavoro del razionalismo pratico fino a dare alla luce quel
suo parto maturo, che è il razionalismo teoretico, il sistema
filosofico del razionalismo .
Ora, si noti ancora, che il protestantismo fu combattuto
da prima nelle sue forme , come dovea essere: furono anatematizzati
dalla Chiesa gli errori speciali che produceva; e
da' teologi cattolici con dotte fatiche fur confutati. Ma queste
forme , essendo quelle che dicevamo, un eccesso in esagerare
la corruzione originale, e in deprimere le forze morali dell' uomo
fin a volere in lui distrutto il libero arbitrio; naturalmente
i teologi che combattevano così fatte stravaganze,
dovettero porsi dall' altra parte, pigliando le difese della natura
umana e dell' umana libertà, e patrocinando la causa della
ragione. E così facendo, mantennero con valore la verità della
cattolica fede. Ma egli non dee far maraviglia, nè detrae punto
al merito di que' valenti difensori della fede, se talun di essi,
per izelo indiscreto contro l' eccesso in cui i protestanti cadevano,
massime trattandosi di sottili questioni in cui è difficile
cogliere quel giusto mezzo dove fermarsi, cominciò ad eccedere
dalla parte contraria, esaltando soverchiamente l' umana natura
fino ad annientare la corruzione ch' ella trae dall' origine, ed
esagerando le forze della libertà a scapito di quelle della grazia
del Salvatore (1). E ben se n' accorsero e ne concepiron timore
gli uomini più sagaci e più santi della Chiesa, fra i
quali il venerabile cardinal Baronio ne' suoi « Annali » non mancò
di avvertire que' troppo arditi controversisti d' attenersi alla
sicura guida di sant' Agostino se non volean traboccare nell' eccesso
opposto, così scrivendo, [...OMISSIS...] .
E gli stessi timori manifestava
pure il cardinal Bona, anzi questi deplorava avvenuto quel
che il Baronio temeva (3). Nulladimeno venendo que' teologi
cattolici mossi da zelo, e a tutta la Chiesa altamente importando
che fossero abbattute intieramente quelle mostruose
eresie che strappavano dall' ovile di Cristo milioni d' anime e
minacciavano stragi sempre maggiori, era ben naturale, che
non eccitassero gran fatto l' attenzione le esagerazioni da prima
non gravi di que' campioni che combattevano l' eresia ne' campi
della fede. Ma così si venne gradatamente a formarsi una,
non so se io mi dica, scuola o fazione di teologi cattolici, la cui
pendenza era già pronunciata verso il razionalismo (1). Egli
era un leggero razionalismo pratico che senza trarre ancora
l' osservazione comune, venia dominando e alterando tutte le
dottrine che professavano. Ma che? Niun principio insinuato
una volta nelle menti e nelle opinioni degli uomini, può
giacersi a lungo inoperoso ed inerte; anzi egli ubbidisce alla
legge universale che l' obbliga a svilupparsi, a completarsi, a
farsi conoscere, mettendo fuori suoi tralci, e fiori e frutti. La
tendenza dunque che inclinò i teologi suaccennati a scemare
il guasto originale dell' umanità ed a crescere le forze del
libero arbitrio, gli recò bel bello a pronunciare tali dottrine,
che riscossero finalmente l' attenzione degli altri teologi della
Chiesa cattolica, i quali non mancarono di censurare l' eccesso
de' primi (2); e la stessa santa Sede più e più volte li riprese,
condannando diverse loro proposizioni, e diversi loro libri.
Avvenne ancora un altro sconcio da questo inconsiderato
trasporto della parte buona, e fu che per esso rincrudì l' eresia.
Si volevano distruggere gli errori di Lutero e di Calvino, e
si diede occasione al Bajanismo ed al Giansenismo; tanto è
vero che da niun eccesso si vantaggia mai la Chiesa cattolica.
Così un distinto teologo comincia la notizia che dà del Bajanismo:
[...OMISSIS...] .
Da
questa spinta adunque fu precipitato Giansenio a' suoi errori, che
tanto danno alla Chiesa apportarono. Laonde nella bolla « In
Eminenti » (6 marzo 1642), con cui Urbano VIII condannò
l' « Augustinus », proscrisse parimenti le tesi e gli opuscoli che
pro e contra erano usciti, essendovi eccesso da una parte e
dall' altra, affine di restituire alle cattoliche scuole ed alla
Chiesa la pace per que' dissidii miseramente turbata.
E quanto mai sarebbe stato desiderabile, che tutti i
cattolici, ammoniti dalla sapienza di questa decisione dogmatica
del sommo Pontefice, si fossero uniti unicamente a combattere
l' eresia, conservando, insieme colla mansuetudine dell' animo,
la via media nella dottrina, dove sta il vero, evitando fino
l' apparenze di scostarsi da quella! Ma i semi di razionalismo
erano sparsi, e sotterra, in vece di spegnersi, fermentavano.
Perocchè costa pure assai all' umano amor proprio il ritornare
indietro, dopo essersi a lungo e non senza passione inoltrato
per un cammino. Laonde si preferì di coprire gli errori già
pronunciati con espressioni cattoliche, e d' acconciarli con
posticcie dichiarazioni, continuandosi intanto a riprodurli, mutata
lor solo d' intorno la veste; s' assottogliarono gl' ingegni
a difenderli cavillosamente, traendo i testi delle divine Scritture,
de' Concili e de' Padri, a dire il contrario di quel che
dicono; sotto il qual lavoro assiduo svanirono i dogmi più
fondamentali della cattolica fede, salve le convenienze e le
apparenze in contrario; fra' quali dogmi rimase nella sostanza
annientato quello del peccato d' origine, che oggimai non pone
più gli uomini in istato di riprovazione, nè impedisce agl' infedeli,
anche colla sola legge naturale, il salvarsi come in
proprie parole sostenne il P. Gius. M. Gravina, condannato
perciò con decreto dell' apostolica Sede il 22 maggio 1772.
Ed ella è pur cosa indubitata essere il dogma del
peccato originale fondamento di tutto il cristianesimo. Distrutto
quel dogma è resa inutile la redenzione di Gesù Cristo: ella
almen cessa di essere redenzione. Quindi è tolta la cagion
massima dell' Incarnazione del Verbo. Caduto il dogma dell' Incarnazione,
che si rimane Gesù Cristo, se non un puro uomo,
un personaggio storico e nulla più? (1) Per tali gradi si perviene
alla distruzione del Cristianesimo, all' abolizione di tutto
l' ordine soprannaturale, allo stabilimento del perfetto razionalismo.
Deh considerino bene per qual via si sono messi, a
qual termine sono rivolti que' teologi, che si dicono cattolici,
e che pur si vanno limando il cervello per distruggere il
peccato d' origine, e per negare la corruzione pur troppo intima
e profonda che ne venne all' umana natura. Pazienza, che il
facessero avanti due secoli, quando lo spirito d' errore ad altra
parte conduceva gli uomini; ma come non tremar di farlo in
questa nostra età, in cui il bisogno della Chiesa richiederebbe
pure il contrario; richiederebbe che si mettesse anzi in piena
luce l' importantissimo dogma dell' originale infezione, che
umilia sì salutarmente l' uomo, contro il quale tutto il secol
superbo alza la fronte; e sentesi qua un Lamennais rigettarlo,
colà un Libri accagionare la credenza in quel dogma d' avere
rattenuti i seguaci del Cristianesimo nella barbarie; (1) e altrove
i protestanti biblici, di cui un cattolico fu precursore,
il P. Arduino, discepolo anch' egli alla sua volta de' Sociniani,
(2) già non più trovarlo nelle Scritture; mentre i filosofi
più avanzati di strada, il considerano solo come una di quelle
opinioni umanitarie, che si producono nel comun delle menti,
in virtù delle leggi soggettive e necessarie dell' umano pensiero?
(3) Pur troppo tutti gli empii del secol nostro, figli
legittimi delle eresie del settentrione tendono incessantemente
a constituirsi in una società meramente umana e naturale,
rinunziando al Cristianesimo ed alla Chiesa, come hanno testè
pubblicamente dichiarato alcuni filosofi, o, a vero dire, sofisti,
di Berlino. Ella è dunque singolar cosa a vedere, che quei
teologi cattolici, che aveano a principio preso a combattere
le eresie dominanti nella loro forma accidentale, vadano ora
approssimandosi a gran passi a quello stesso risultamento a
cui le eresie stesse pervennero, e si trovino ben presto essi
ed i protestanti venuti ad un termine per due strade contrarie,
cioè a quel sistema di razionalismo, che è l' ultimo e più maturo
frutto delle spirito ereticale.
E l' origine di questo sottil errore, in cui si sono implicati
alcuni de' nostri teologi, spiega altresì i loro costumi.
Conciossiachè essi presero tal direzione per un riscaldo di zelo
contro le eresie, prima di Lutero e di Calvino, e poscia di
Bajo e di Giansenio; onde non è maraviglia, se nelle loro operazioni
tengano l' avventatezza propria dello zelo disordinato.
S' aggiunge, che essendosi creati quel sistema di dottrine che
dicevamo per opporlo alle eresie, il loro impegno acquistò da
quell' ora due oggetti in vece di un solo: cioè, oltre l' abbattimento
dell' eresia, anche lo stabilimento del loro proprio sistema
dottrinale; e quest' ultimo divenne presto il principale.
Or poi, quanto più s' impegnavano nell' abbracciato sistema,
tanto più cresceva in essi la persuasione che la loro
dottrina fosse la sola contradditoria dell' eresia, e però la
sola vera, la sola cattolica. Colla qual intima persuasione dovette
ingenerarsi ne' loro animi l' intolleranza di tutte le teologiche
scuole, benchè difese ed onorate dalla Chiesa; come
ancora l' estrema facilità di credere e d' affermare che cogli
eretici consentano necessariamente i teologi cattolici, che da
essi dissentono. E tanto più dovea infiammarsi loro l' animo,
perchè a tutti gli altri teologi cattolici dispiacevano le loro
novità, e riprendevano quella tendenza a sottilizzare col discorso
dell' umana ragione più tosto che attenersi semplicemente
alla parola divina rivelata e tramandata; fecer anco
condannare a quando a quando dalla Sede apostolica proposizioni
estratte da' loro libri, o insegnate da loro in sulle cattedre.
Così la fazione si trovò avvolta in una lotta accanita
contro tutti; e nell' abbassamento di tutti osò da quell' ora sperare
il proprio trionfo.
Ed ecco ond' avvenne, che ne' due secoli, che precedettero
a questo, quasi tutti i maggiori teologi della Chiesa
si videro ingiustamente tacciati d' eresia, cioè di luteranismo,
di calvinismo, di bajanismo e di giansenismo con infinito scandalo
de' fedeli. Il venerabile Cardinal Bona n' andava dolentissimo
veggendo il suo tempo pieno di sì orribili imputazioni;
[...OMISSIS...] .
Tanto più che la fazione, ad infamare
e deprimere i più grandi uomini usava allora di tutti
i mezzi, benchè indiretti, ch' ella avesse alle mani, massime
dell' influenza che godea nelle corti. Onde avendole dato favore
il P. Tellier, confessore di Luigi XIV, e non sano in
tutte le sue opinioni egli stesso (2), fece proibire in tutta la
Francia lo spaccio e la ristampa di un' opera d' uno de' più
grandi e sani teologi di que' tempi, al quale il citato venerabile
cardinal Bona persuase il silenzio, prevalendo negli avversarii
della verità il potere. [...OMISSIS...] .
E qual maraviglia
che l' insigne porporato desse questo consiglio in un tempo
in cui tutti potevano nel regno i confessori del re di Francia?
E che a un bisogno sapean dire, come il P. La Chaise
disse nel consiglio reale, [...OMISSIS...]
era lodevole certamente che il re accordasse
tanta confidenza a' direttori di sua coscienza: ciò mostrava la
fede, e la religion sua; e dovea riuscire utilissimo alla Chiesa.
Perocchè qual bene non avrebbero arrecato alla Chiesa
que' direttori, se della loro potenza, che era acquisto legittimo
de' grandi meriti di quella società religiosa a cui essi
appartenevano, lasciati da parte i partiti, si fossero giovati solo
in prò della Chiesa, e della pietà, e in estinzione delle eresie?
Ma l' essersi essi dati in quella vece a favorire la fazione
de' teologi, che, sgraziatamente eccedendo, avea nella sacra
dottrina introdotte le sottigliezze dell' umano discorso, a queste
affidandosi più che all' autorità dei maggiori, quanti mali
non cagionarono; il minore de' quali fu la discordia sparsa
nel seno della Chiesa!
Poichè, chi era mai quest' uomo, che, come eretico
giansenista, si perseguitava sì crudelmente? Non altri che
quell' Enrico Noris, che non avea temuto di offendere i giansenisti
per proclamare la dottrina insegnata dall' apostolica
Sede (1) e che tuttavia prevedeva la persecuzione che l' aspettava
(2); quel Noris che, denunziato più volte per eretico alla
santa Sede, se n' era uscito sempre pienamente giustificato (3);
quegli che avea risposto agli avversari, a giudizio di tutti i
savj, in modo il più irrepugnabile (4); quegli, la cui opera
erasi pubblicata coll' approvazione della suprema romana Inquisizione,
e che da Clemente X era stato eletto qualificatore
del sant' uffizio, era stato desiderato e chiamato a Roma da
più altri Pontefici, in varii e delicati uffizi adoperato, e finalmente
da Innocenzo XII, a scorno de' suoi calunniatori, della
sacra porpora rivestito. Ma che? Nè pur tutto questo impedì
che fin dopo morte fosse perseguitato dall' ostinata fazione dei
teologi di cui parliamo; il che gli aggiunse la gloria di esser
difeso dal sommo pontefice Benedetto XIV col suo famoso
breve de' 31 luglio 174. all' Inquisitore maggiore di Spagna,
col quale, narrando quel dottissimo Papa tutti i replicati e
calunniosi assalti dati alla dottrina Norisiana, e come [...OMISSIS...]
e annoverato altresì
fra' presidenti della suprema romana InquisizŒone; riprende
quell' Inquisitore per averne proibite le opere; e
dimostra a tutto il mondo, qual sicuro rifugio e difesa ebbero
mai sempre trovato appresso la Sede apostolica non solo le
verità cattoliche di cui ella è maestra e custode; ma altresì
i cattolici dottori calunniati, de' quali ella è madre, protettrice,
condottiera.
Le stesse calunnie di Bajanismo e di Giansenismo colle
quali fu il Noris perseguitato, ricompariscono ogni istante nel
secolo XVII: niun uomo grande, che non fosse della fazione,
ne andava salvo; e accennerò due soli, ma solenni esempi,
l' uno de' quali sarà Cristiano Lupo (1), lume chiarissimo
dell' Agostiniana famiglia, e l' altro Pietro Soto, non minor
gloria della domenicana (2): a' quali non valse nè la santità
della vita, nè la eccellenza della dottrina, nè lo zelo ardentissimo
per la purità della fede, nè i travagli per essa sostenuti,
nè la benevolenza e la protezion de' Pontefici, non valse,
dico, a far sì, che come Luterani e come Giansenisti non fossero
iniquissimamente dilacerati.
Continuò questo spirito nella fazione dei teologi di
cui parliamo a produr fuori i suoi attossicati germogli, turbando
la pace e la salutare concordia delle cattoliche scuole
nel secolo susseguente XVIII, e l' illustre card. Giuseppe
Agostino Orsi, ne mena alti lamenti nel volume XX della
sua « Istoria Ecclesiastica (3) », osservando che quegli incessanti
calunniatori sono spesso ignoranti a segno da non saper
ben dire che cosa sia quel Giansenismo, del cui nome si valgono
a denigrar l' altrui fama, onde si può dir loro con s. Gregorio,
« Tacete igitur nec tam ignorantes, alios judicare velitis ».
Troppo sono note le accuse date in cotesto secolo al
Bellelli ed al Berti (4), dalla santa Sede giustificati e protetti,
e ad innumerevoli altri illustri teologi (1). Si composero ben
anco delle « Biblioteche (2) » e de' « Dizionarj , (3) » per infamare,
quasi direi in corpo, quelli che era troppo lungo infamare
per singulo. Delle quali calunnie, niuna ve n' ha più strana
e più caratteristica di quella data dall' Arduino a tanti scrittori
cattolici della Francia alieni dalla sua fazione, dei quali
egli pretese avere scoperto e disvelato al pubblico niente
meno che L' ATEISMO! (4). Nè le riprensioni e le condanne
frequenti a cui soggiacquero questi infaticabili calunniatori,
castigati dalla santa Sede apostolica, imparziale mantenitrice
della verità, e insinuatrice di carità e di concordia, giovarono
ad emendarli; parendo loro di conseguire colle acri loro censure
fama di zelanti avversarii dell' eresia; e di potere più
facilmente sotto un tal manto, diffondere il sistema loro, senza
che nel fervor de' partiti se ne scorga il veleno; sia perchè
le menti quinci e quindi appassionate non veggon chiaro, sia
perchè rimane indebolita l' autorità de' pochi chiaro veggenti
dal sospetto che facilmente s' ingenera nella moltitudine, non
forse anch' essi sieno partigiani dell' errore.
Erano già trascorsi più di sessant' anni senza che apparissero
nella Chiesa di quelle accuse apertamente false e
calunniose, che avevano sì rattristati i due secoli precedenti.
La qual dolce tranquillità delle cattoliche scuole in gran
parte dovevasi alla sapientissima bolla, con cui la santa Sede
avea repressi i funesti attentati di Pistoia. Perocchè, determinando
quella Bolla , sempre mai memorabile, in che precisamente
consistesse l' errore, avea tagliate dalla radice le dispute
che fossero potute insorgere in fra i cattolici; nè poteanvi
essere più che due sole parti, quella de' figliuoli docili alla
Chiesa, e quella de' manifesti refrattari alla sua parola. Che
se l' incredulità del secolo, e le gelose sue pretensioni non
avessero dato mano a' ribelli, questi si sarebbero spersi come
la polvere al vento. Perocchè, ritrovavano tutti i cattolici di
buona fede uniti fra sè, e certi di quello che dovean fare;
ed incontro al corpo de' fedeli e de' pastori così ammaestrati
e concordi, niun errore, che sempre è di pochi a principio,
può mantenersi. Laonde le antiche discordie e calunnie cadevano
in obblivione. Nè io avrei avuto mai necessità di rammentarle,
non avrei avuto occasione di far sì dolorose riflessioni,
e di pronunciare sì dure benchè amiche parole, se
improvvisamente non si fossero veduti girare nel pubblico
quegli opuscoli troppo oggimai conosciuti, ne' quali si mostrò
di nuovo, teologicamente acconciato, lo spirito di razionalismo,
insidiante, s' io non erro, alle più importanti verità di nostra
fede, sotto coperta di difender la fede. Ed egli si mostrò
coll' antico vezzo, che sol basta a farlo conoscere, dell' aperta
calunnia. Perocchè piacque alla Provvidenza il permettere alla
fazion di teologi che trovavasi così trascorsa nelle opinioni,
e che non fu spenta giammai, che ella scegliesse l' umile mia
persona a segno dell' ira sua, assalendomi; della qual nuova
eruzione l' occasione fu questa.
La sana dottrina della Chiesa insegna (1), avervi due
forme di moralità, l' una libera , e l' altra necessaria : alla
prima appartenere la nozione di lodevole e di meritoria, di
colpevole e di demeritoria; alla seconda, soltanto quella di
bene morale, di perfezione, di difetto e di peccato: coll' avvertenza
però, che quanto all' immoralità necessaria, ella trae
sempre l' origine da una causa libera sia nella persona stessa
a cui aderisce, sia in altra persona; giacchè nè Iddio, nè il
demonio, nè la natura sola creata buona da Dio, può mai esser
causa necessaria d' una immoralità nell' uomo (1).
La qual dottrina d' una parte dà al libero arbitrio quel
che gli spetta, e dall' altra dà pure quello che le spetta alla
grazia del Salvatore; e in pari tempo rende possibile il dogma
del peccato originale consistente in una deordinazione della
volontà umana, necessaria nel soggetto a cui aderisce, benchè
libera nella prima sua causa, Adamo. Ancora, s' ella d' una
parte abbatte intieramente gli errori degli antichi protestanti,
dei Bajani e de' Gianseniani, che riconoscon nell' uomo solo
un operar necessario, attribuendo a questo lode e colpa, merito
e demerito, onde giustamente furono dalla Chiesa anatematizzati;
dall' altra abbatte pure i contrarii errori de' Pelagiani e
de' Razionalisti, che rifiutano di riconoscere qualsiasi moralità
non proveniente dal libero arbitrio dell' uomo in cui ella si
trova, e negano per necessaria conseguenza il peccato d' origine,
benchè alcuni simulatamente il confessino; nè ammettono
in modo alcuno, che l' uomo possa mai per sè soggiacere
alla necessità del male, ma danno all' umana libertà, senza la
grazia, il potere di evitare tutti quanti i peccati e di vincere
tutte le tentazioni de' peccati, così rendendo superflua, non
necessaria almeno, la sesta petizione dell' orazione domenicale;
[...OMISSIS...]
Or questo appunto cuoceva a' nostri teologi, l' ammetter
noi una moralità necessaria, benchè da essa segreghiamo ogni
nozion di lode e di colpa, di merito e di demerito. Essi all' incontro
opinano, non avervi alcun atto umano che non sia essenzialmente
libero (1), e poichè ogni atto morale dee essere
umano, quindi non avervi moralità senza libertà. Dicono per
conseguente, che il peccato originale ne' bambini non è peccato
simpliciter (2), ma solo secundum quid; ed aggiungono
ch' esso non suppone già alcun disordine nella volontà dell' uomo,
ma che consiste semplicemente nella mancanza della
grazia santificante in quanto ell' è dovuta alla natura umana
secondo il primitivo ordine di Dio, e della quale essa natura
riman privata per la colpa del primo padre (3). Nella quale loro
dottrina mescolano più equivoci e contraddizioni che malamente
nascondono il marcio che occultan sotto.
Perocchè, se allorquando essi ricorrono all' atto umano
e libero per ispiegare l' esistenza del peccato, intendessero semplicemente
che ogni peccato, ogni disordine morale della volontà
si rifonde in un atto libero, perchè da un atto libero
dee esser sempre prodotto come da causa, e ad un atto libero
si riduce ogni colpabilità di quel disordine; essi non direbbero
altro, se non quello che noi pure diciamo; nè avrebber cagione
di montare in sulle furie, siccome fanno sì sconciamente,
contro la dottrina della Chiesa da noi esposta; avendo noi
sempre detto, che ogni inordinazione necessaria della volontà
ebbe una libera causa, e solo in causa, colpa s' appella (4).
Quando poi sostengono che non si dà verun atto
umano che non sia libero , errano sì sformatamente contro
le prime nozioni della teologia, che vengono con ciò a negare
la qualità di atti umani agli atti de' celesti comprensori, e
dell' umanità sacratissima di Cristo e della Vergine assunta
in cielo, che per essere necessariamente buoni non cessano
dall' essere umani, e giunti anzi alla loro ultima perfezione.
Il negar poi che fanno qualsivoglia moralità necessitata,
trae dopo sè le più gravi conseguenze. Poichè o si parla di
stato o di atto morale, e, per restringerci al male, su cui cade
principalmente il discorso, o trattasi di uno stato, ovvero di
un atto peccaminoso. Che v' abbia uno stato peccaminoso non
possibile ad evitarsi dal libero arbitrio dell' uomo, è tanto di
fede, quant' è di fede che sia uno stato peccaminoso quel dei
bambini che non rinacquero nel battesimo, o quel de' dannati.
Che poi vi possano essere degli atti peccaminosi di
necessità, che sieno in sè colpevoli e demeritorii; questo da
noi al tutto si nega. Quanto poi ad atti peccaminosi in sè
(cioè involgenti un disordine nella volontà che li produce), e
colpevoli e demeritorii in causa; questi s' ammetton da tutti
i maestri in divinità.
Di più, si distingua: o s' intende che tali atti sieno necessitati
per modo che non abbiano mai avuto una causa libera
almen fuori del soggetto che li pone, di maniera che non sia
stato mai possibile alla natura umana l' evitarli; e tali atti
non si danno certamente, poichè, come abbiamo detto le tante
volte, anche il peccato originale fu evitabile un tempo dalla
natura umana, cioè non dai bambini che lo ricevono, ma da
Adamo che lo commise. Ovvero s' intende parlare di tali atti,
che erano una volta evitabili nella loro causa rimota, ma accade
che nol siano più all' istante in cui opera la causa prossima,
cioè la volontà in certe circostanze e tentazioni così
disposta a produrli; e questi da noi sono ammessi, sempre che
se ne rifonda la colpabilità nella causa libera (1). E i nostri
teologi fan le viste almeno di negare i peccati necessarii anche
in questo senso. Ma quante ree conseguenze indeclinabilmente
procedono da una tale loro dottrina?
Per sostenerla essi debbono dire, che il libero arbitrio
può sempre da sè solo, senza la grazia, evitare tutti i peccati;
e questo sembra marcio pelagianismo.
Poichè se accordassero che il libero arbitrio senza la grazia
non può talora evitare il peccato, accorderebbero in pari tempo
quel che voglion negare, darsi il caso di peccati necessarii.
Vero è che ricorrono a dire, che quando sono necessarii,
già non sono più peccati. Ma se non sono peccati, dunque
l' uomo non è obbligato d' evitarli, dunque non ha bisogno della
grazia, perchè senza la grazia è già interamente difeso dal
peccato col solo libero arbitrio; giacchè tutto ciò che supera
le forze del libero arbitrio non è peccato. Noi diciamo che tali
azioni sono in sè stesse inordinazioni della volontà , e quindi
peccati, benchè non sieno colpe se non nella loro rimota libera
causa. Ma essi non riconoscono alcun male morale nella inordinazione
di fatto della volontà , e riducono la nozion del
peccato stesso a quella della colpa. E perciò non posson dirci,
se voglion essere coerenti, che si diano peccati in causa; che
sia un peccato in causa, a ragion d' esempio, quello di colui
che pecca necessariamente perchè trascura per sua libera volontà
l' orazione che gli darebbe forza ad evitare il peccato,
perchè in tal caso riconoscerebbero che l' atto peccaminoso
nella sua causa prossima è necessitato; e quindi che si danno
de' peccati attuali in questo senso necessarii, il che essi mostran
negarci. Oltredichè, se quando opero necessariamente
non fo alcun male morale, perchè avrò il debito di pregare?
perchè di cercare quelle forze che non ho, e senza le quali
non pecco? Che si dia l' obbligazione di usare tutti i mezzi
possibili per evitare ciò che è male, s' intende; ma per evitare
ciò che non è male, non s' intende. Chi riconosce una inordinazione
della volontà , un male morale in un' azione contraria
alla legge, può ammettere l' obbligo di evitarla con tutti
i mezzi, pena il rendersi COLPEVOLE se non gli adopera; ma
chi non vede in tale azione alcun male, non può riconoscere
nè pur COLPA in colui che li trascura. Laonde la loro dottrina
rende gli uomini inerti e pigri a cercare coll' orazione
e con altri mezzi gli aiuti divini, potendo essi sempre dire a
propria scusa, che se fanno qualche azione opposta alla legge
per impotenza dell' opposto, non è finalmente male alcuno,
onde niun dee prendersene scupolo; che anzi, non essendo
male alcuno ciò che non si può colle proprie forze evitare,
nè pure dee dirsi dalla legge vietato. Il qual principio fu certamente,
chi ben considera, una delle funeste cagioni da cui
nacque il lassismo, fu cagione, segreta o palese non importa,
di quella morale che tanto facilmente dispensa gli uomini dall' adoperare
i mezzi necessarii a preservarsi da' peccati, massimamente
se costano qualche grave o anche piccolo incomodo (1),
o, com' aggiungono disonore, condannata più volte da' Pontefici,
e raccolta tuttavia dal P. Giumenio (2) in quel libro, che
fu pure condannato col breve d' Innocenzo XI del 16 settembre
16.0.
Quando poi pretendono che l' uomo, qual nasce presentemente,
non rechi seco corruzione alcuna nè nella volontà,
nè in altra potenza, distruggono manifestamente il dogma del
peccato originale, e, a mio parere, di nuovo convengono co' Pelagiani;
onde, scavando il fondamento della fede, gettano quello
del razionalismo.
Nè giova loro cosa alcuna il tenere tenacemente le
frasi cattoliche (benchè non sono sempre sì vigilanti che non
si tradiscano in favellando), essendo la Chiesa nelle sue difinizioni
assai più sollecita del senso che non delle parole; perchè,
[...OMISSIS...] , come
dice sant' Ilario, [...OMISSIS...] .
Questa medesima dottrina poi che dichiara la natura
umana sana in tutte le sue potenze, ottimamente armoneggia
colla precedente nelle perniciose conseguenze morali ed
infausti effetti. Perocchè anch' essa non distrugge solamente il
dogma, ma anco la buona morale che col dogma è intimamente
connessa, ed eccovi per qual via.
Non riconoscendo cotesti teologi difetto alcuno nelle facoltà
e tendenze dell' umana natura, essi giustificano e coonestano
anche la concupiscenza tale quale ella si trova presentemente
nell' uomo. Di che consegue, che tutti gli atti suoi sieno naturalmente
buoni e per sè onesti. Quindi una seconda ed ampia
cagione di quel lassismo, che pur troppo provocò la reazione
del non meno pernicioso rigorismo. Da tal fonte in fatti provenne,
che si giustificò il mangiare ed il bere pel solo fine del
diletto, argomentandosi che essendo buono l' appetito naturale,
si poteva ben godere de' suoi atti; onde il papa Innocenzo XI
fu costretto di condannare la proposizione [...OMISSIS...]
che è l' ottava di quelle dannate
con suo decreto del 2 marzo 1679. Lo stesso si sostenne
dell' uso del matrimonio, in cui non si volle riconoscere neppur
venialità, se al fine del solo piacere rivolto; sentenza condannata
nella proposizione 9 dallo stesso Pontefice, [...OMISSIS...] .
Era conseguente ad una tale dottrina, che
la fornicazione stessa, e fin anco la ributtante mollizie, fosse
dichiarata per sè stessa onesta da cotali teologi patrocinatori
della natura incorrotta, e proibita solo dalla legge positiva,
senza la quale, essi giunsero a tale amenza, da dichiararla
alcuna volta obbligatoria, sotto pena di peccato mortale, quasi
che la legge positiva di Dio potesse vietare ciò che fosse, secondo
la natural legge, così obbligatorio, come essi s' esprimono
nelle due seguenti orrende proposizioni condannate collo stesso
decreto: [...OMISSIS...] .
Chi non sa che ad eguali cause rispondono eguali effetti,
e che da uguali principii nascono uguali conseguenze? Chi
non vede, che come dall' antico pelagianismo venìa la licenza
de' costumi, così ella venne pure dal nuovo; muovendo tanto
Pelagio, quanto i moderni teologi di cui parliamo, dallo stesso
principio, che la concupiscenza con cui or nasce l' uomo non
abbia in sè niente di reo, per esser ella un mero appetito
naturale non punto disordinato, e che [...OMISSIS...] ?
Chi non s' accorge che a tali
teologi si possono giustamente rivolgere, senza far loro torto,
le stesse parole che sant' Agostino rivolgea ai Pelagiani dei
tempi suoi: [...OMISSIS...]
Senonchè, hanno forse mai gli antichi Pelagiani cavate
tante ree conseguenze sovversive de' costumi e di ogni umana
società dal principio che la concupiscenza è un appetito naturale
che non ha in sè alcun disordine, e dall' altro, che
« licite potest appetitus naturalis suis actibus frui », quante ne
cavarono i moderni teologi sotto coperta sempre di far guerra
all' odiosissimo Giansenismo? L' amore delle ricchezze, delle
comodità, dell' onore e d' ogni altro oggetto della concupiscenza,
divenne cosa onesta anche eccedendo i confini della legge naturale
e divina, perchè l' appetito naturale può di sua natura
lecitamente soddisfarsi. Quindi tali teologi disobbligarono gli
uomini dagli atti delle virtù teologali costando essi qualche
cosa alla concupiscenza (2); li disobbligarono dall' amare il
prossimo, purchè fingessero d' amarlo con atti esterni (3); che
anzi, per cagione di qualche eredità o altro bene temporale,
permisero loro di desiderar l' altrui morte, foss' anche de' proprii
genitori, e fin di godere d' averli uccisi nell' ubbriachezza
(essendo necessitati in tal caso e però ottenendosi l' intento
senza peccato (4)) per raccoglierne le grandi ricchezze, giacchè
l' appetir queste è naturalmente onesto (1); e per l' appetito
di esse o de' beni che seco adducono, non dubitarono disobbligarli
ancora dall' elemosina (2); permisero loro altresì, per
soddisfare la naturale e innocente tendenza al ben temporale,
di mentire, d' usare restrizioni mentali, di spergiurare, di simulare
l' amministrazione de' sacramenti (3), di uccidere (4), di
calunniare (5), di procurare l' aborto (6), di rubare (7), di
commettere simonia (1), di tener mano all' altrui libidini (2),
e di commettere in una parola ogni specie di furfanterie e di
scelleraggini, con infinito scandalo degli eretici stessi, e degli
empii.
Non vi sono più oggimai, io voglio credere, teologi che
osino apertamente sostenere queste turpissime conseguenze dai
sommi Pontefici fulminate; ma perchè dunque non si abbandonano
altresì i principii ond' esse derivano? perchè un Eusebio
Cristiano e i suoi seguaci e difensori insegnandoli ne menan
vanto e trionfo, ed osano applicare il titol d' eretici a quanti
da loro discordano?
Ella è cosa deplorabile a veder la maniera colla quale
tali teologi sostengono le proprie dottrine e si fanno a refutare
le altrui. Vi si ravvisano riprodotte pur troppo le maniere
orgogliose de' loro predecessori, e l' imitazione dell' arti degli
eretici. A questo segno si può ben conoscere qual sia lo spirito
loro; e noi crediamo necessario di chiamare anche su di ciò
l' attenzione del pubblico.
Abbiamo accennato, che molte eresie nacquero dallo
zelo indiscreto ed amaro, con cui alcuni uomini, per lo più
di chiostro o almen di chiesa, tolsero a combattere altre eresie,
cadendo nell' eccesso opposto. Così Ario pretese di far guerra
a Sabellio, e rovesciò nell' error contrario; così Eutiche presalasi
indiscretamente con Nestorio, si fece autore dell' opposta
empietà; così Pelagio vantavasi di far fronte col suo perverso
sistema al Manicheismo. Può essere, che a principio vi avesse
in alcuni dello zelo, vi avesse della buona fede; ma non era
in tali uomini carità; quindi caduti in errore, vi s' indurarono,
e l' errore suggellato dalla caparbietà contro le decisioni della
Chiesa, divenne nuova eresia, non men funesta al mondo di
quelle che prendevano ad impugnare. Laonde qual maraviglia,
se la fazione de' teologi di cui parliamo nata da buon zelo
d' opporsi alle novità protestantiche, degenerato poscia il suo
zelo in accanimento e superbia, e rimescolate tante passioni,
si veda ora, dopo tre secoli, uscita alquanto dal giusto confine?
Certo, che a quel modo che gli Ariani calunniavano i cattolici
di Sabellianismo, ed Eutiche li dicea Nestoriani, e Pelagio
gli accusava d' essere Manichei (1); così que' teologi moderni
continuano a pigliare per loro caval di battaglia, come i loro
predecessori, il Protestantismo, il Bajanismo e 'l Giansenismo,
ed ella è dolorosa cosa a vedere, come, senza rispetto alla
verità od alla carità, ne appongano altrui la colpa, o se non
posson di più, ne faccian rumore, ne diffondan sospetti.
Il che ben dimostra altresì quanto sieno alieni dalla
vera ubbidienza alle leggi della Chiesa. Perocchè quante volte
i sommi Pontefici non s' opposero alla temerità, colla quale i
teologi inclinati al razionalismo accusavano di Bajanismo e
di Giansenismo tutti quelli che non andavano loro al verso,
non solo pigliando le difese de' calunniati, come vedemmo, e
astringendo i calunniatori a ritrattarsi (2); ma ben anco divietando
con solenni decreti di dare appellazioni così ingiuriose
a chi non tiene le proposizioni da lor condannate! Così fece
Innocenzo XI con Decreto de' 2 marzo 1679. Così fece Innocenzo
XII col suo Breve de' 6 febbraio 1694 ai Vescovi del Belgio
ordinando loro, [...OMISSIS...] .
Ma,
non essendo state sufficienti tali ordinazioni a contenere i falsi
zelanti, Clemente XI dovette pubblicare la sua Bolla, che
incomincia « Pastoralis », de' 2. agosto 171., nella qual dice,
[...OMISSIS...] .
Le quali parole gravissime
che valsero? Hanno forse obbedito almeno a sì minaccevole
Bolla i teologi inclinati al razionalismo? Hanno deposto quel
loro « consuetum calumniandi modum », di cui parla il Pontefice?
Non vel crediate. Onde Clemente XII si vide di nuovo costretto
a pubblicare contro di essi un' altra costituzione, che incomincia
« Apostolicae providentiae officio » del 2 ottobre 1773,
nella quale deplorando le loro tenebre dice: [...OMISSIS...] ,
e passa a reprimere
le calunnie, imponendo pene a' calunniatori. I quali non cessarono
perciò di vessare colle nere tacce di Bajanismo e di
Giansenismo le due preclarissime scuole Tomistica e Agostiniana;
di che Benedetto XIII colle sue lettere in forma Brevis ,
che incominciano « Demissas preces » a tutti i Frati dell' ordine
de' predicatori, scrivea confortandoli, [...OMISSIS...] .
Ed ora, in questo nostro secolo, questi figliuoli di dissensione ,
secondo la frase di Clemente XII; questi diffonditori di tenebre,
tenendo sè stessi nelle tenebre, mandano pure alla luce
nuove calunnie, ripigliando il gioco de' loro antenati, e nella
piena pace della Chiesa, seminano altre discordie; nel che sono
tanto più riprensibili, quanto che non ne fu loro data nessuna,
nè pure apparente, cagione. Conciossiachè quelle sentenze che
essi dichiarano infette degli errori proscritti, non hanno nè
pure qualche analogia coi sistemi di Bajo e di Giansenio. [...OMISSIS...]
(1).
Si osservi dopo di ciò che lo stesso riprovevole artifizio
che movea gli eretici ad opporre a' cattolici la taccia d' eresia,
li conducea pure a spacciare per soli cattolici sè medesimi. Ed
anche di questo mal costume veggonsi deplorabili imitazioni
nel recente attentato de' nostri teologi anonimi.
E in vero asserendo il finto Eusebio Cristiano che tutti
i cattolici sostengono la sua opinione (2), egli già dichiara con
ciò accatolici quanti rifiutano d' opinare con lui. Collo stesso
tuono insolente e temerario vanno scritti i libricciattoli che
ogni dì si moltiplicano de' suoi seguaci.
Specialmente pretendono di formar essi soli il corpo
de' teologi italiani; e fra i colpi di mano che provano la loro
miserabile destrezza, accennerò quello con cui, sorpresa la
buona fede di un giornalista oltramontano, gli fecero inserire
un articolo che incomincia con queste parole: [...OMISSIS...]
(1). Più tardi questo giornale,
l' « Union », avvertito della sorpresa che gli si fece corresse il
suo articolo (2). Ma quell' articolo si rimarrà tuttavia un monumento
di più dell' arti infami della fazione de' teologi nostri
razionalistici. Questi dunque parlano in quell' articolo com' essi
fossero tutta l' Italia, e come altri teologi non v' avessero fuori
del loro numero. Ma qual è questo numero? Nessuno lo sa
in Italia. Quali sono almeno i loro nomi? di grazia, si pronuncino;
udiremo le cime della teologia italiana. Non è così;
nessuno in Italia li può nominare, perchè han vergogna di
manifestarsi, [...OMISSIS...] . Alcuni ANONIMI
diffondono in secreto de' libercoli, de' quali gli spropositi
furon messi supini alla luce del sole: eccovi tutti i teologi
d' Italia di cui parlò l' « Union » senza conoscerli, o, per dir meglio,
che parlarono nell' Unione!
E qui, giacchè me ne si dà l' occasione, e men cade
la necessità, farò quello che altramente parrebbe offendere la
modestia: invierò cioè i miei pubblici ringraziamenti al chiarissimo
sig. Federigo Del7Rosso, professore di pandette nella
regia università di Pisa, e al signor dottore in teologia abate
Gio. Fantozzi, i quali poco fa s' aggiunsero difensori alla santa
causa del vero e della divina religion nostra (1). E che la causa
presa a difendersi contro gli sconosciuti teologi, dopo che da
tant' altri (2), da questi due valent' uomini, non sia la mia personale,
ma quella della verità e della sana dottrina, provalo
anche il non esser io a lor conosciuto di volto, nè di letteraria
corrispondenza; e il non aver essi temuto d' affrontare quella
sottilissima maldicenza (parlo di cosa pubblica), che non pur
si pratica colle stampe, ma ancora, a guisa di lubrico serpe,
s' insinua per le rime e per gli pertugi, nelle case de' grandi
del secolo che più professan pietà, e in quelle dei religiosi e
fin delle religiose, e le contamina di suo veleno. Imperocchè
quegli uomini dotti, e di soda religione forniti, non occultarono
già al pubblico vilmente i loro nomi; chè il difensore
della verità non ha cagion di vergogna; e la verità stessa,
massimamente poi la cattolica verità, conforta siffattamente il
suo campione, che gli fa piacere l' obbrobrio che dovesse per
lei sostenere. Gli stessi ringraziamenti poi e le stesse lodi da
me si debbono al chiarissimo sig. canonico e teologo don Lorenzo
Gastaldi (3), e all' ottimo mio confratello e missionario
apostolico don Gio. Battista Pagani (4), i quali, animati dallo
stesso zelo purissimo per la sana dottrina, negli opuscoli coi
quali la difesero, impugnando l' error contrario, esposero pure
lealmente i loro nomi, e quasi le loro fronti agli insulti di
quelli occulti, che di soppiatto coi mezzi più illegittimi le
fanno guerra.
Se dunque si dovessero allegare i teologi italiani , questi
per fermo potrebbero addursi in mezzo per italiani teologi, ed
altri che scrissero nella stessa sentenza, di cui si conoscono i
nomi onorati e la dottrina; nè parrà mai ragionevole che
s' arroghino di essere soli rappresentanti de' teologi italiani
alcuni pochi, di cui s' occulta il nome, si sentono i vanti, si
ammira l' ignoranza, si abborriscon gli errori tali da far credere,
che piuttosto che de' teologi, degli increduli beffardi sotto
le loro maschere si nascondano (1). Conciossiachè cotestoro,
benchè invitati replicatamente a manifestarsi, continuano a tenersi
carissime le loro tenebre, e a mandar fuori i loro scritti
senza data di luogo e di tempo (2), e senza nome, ovvero con
nome finto e vanaglorioso, o con nome segnato a sole iniziali,
le quali, giudicandosi dallo spirito d' errore da cui sono raggirati,
si dovrebbe credere che mentiscano anch' esse.
Nel qual loro procedere continuano a dimostrare la falsità
dello zelo che ostentano per la religione, imitando nuovamente
gli eretici nel disprezzo delle leggi della Chiesa e de' sommi
Pontefici, giacchè Clemente VIII, e di nuovo ultimamente
Leone XII, ebbero decretato che non si stampi alcun libro,
il quale non porti in fronte il nome, il cognome e la patria
dell' autore, o, se vi è giusta ragion di tacerlo, il nome almeno
del censore ecclesiastico che abbia esaminato il libro ed approvatolo
(1). Ed or, a malgrado che noi, rispondendo ad Eusebio,
l' abbiamo di tale disubbidienza alla Chiesa ammonito (2),
i suoi seguaci e discepoli non per tanto vanno innanzi dello
stesso tenore, facendo così conoscere se sia la Chiesa che stia
loro in sul cuore, le cui leggi conculcano ad occhi aperti; o
più tosto quel reo partito in cui si sono ostinatamente collegati,
da alcuni sostenuto, il confesso, sol per cieca consuetudine, e,
per passion presa, a corpo morto difeso.
Ma quello che è più singolare si è, che, quantunque
incogniti, menan alti clamori, che io non tratti con esso lor
dolcemente. Che significato ha mai questo lamento in bocca
di persone occulte? Chè, appunto da ciò stesso che stanno
celati, ogni discreto può ben convincersi, che a disvelare quel
veleno di razionalismo pratico che fa lor dire tanti errori, non
mi muove animosità personale; e che se talora adopero, traendolo
in aperto, delle maniere forti di dire (entro i confini però
del giusto e del vero), queste non feriscono persone determinate,
ma sono v“lte ad eccitare gl' incogniti, qualunque sieno,
ed a scuoterli, acciocchè veggano, se non traviarono ancora
del tutto, quanto irreligioso, quanto deforme e pernicioso a sè
stessi sia il loro procedere, quanto erronea la loro dottrina, e
salutarmente se ne vergognino.
Certo non potevo io credere al cominciamento di questa
lizza, nè l' avrei creduto giammai quand' anco me l' avesser
giurato egregie persone, che ci covasse sotto un impegno di
molti congiurati alla diffusione d' un irreligioso sistema: alla
possibilità di questo fatto non ci avevo pensato mai. Laonde,
allorchè a' miei orecchi pervenne il rumore d' un opuscolo che
censurava un' opera mia, non avendolo io ancor veduto, diffidai
grandemente di me medesimo, conscio d' essere troppo
fallibile, e mi consolai insieme colla mia fede; mi consolai
pensando che il cuor mio e l' anima mia non avea professato,
nè professava altra dottrina da quella in fuori della Sede apostolica,
quand' anco mi potesse essere sfuggita dovecchessia
qualche espressione od opinione inesatta per ignoranza od inavvertenza
(1), ed ero troppo disposto a dir loro con sant' Agostino,
[...OMISSIS...]
(2). Ma
veduto poscia il libello del finto Eusebio, insiem col pubblico
che ne portava simil giudizio, nè pur io vi scorsi altro che
un meschinello che s' era riscaldato non poco il capo. Nella
Risposta adunque e gli additai gli errori contro la sana teologia
ch' egli evidentemente prendeva, e gli mostrai che tutti
i dottori ch' egli citava, probabilmente sull' altrui fede, dicevano
espressamente il contrario di quello ch' egli loro metteva
in bocca, e sopra tutto mi lamentai com' egli avesse addotti
tanti brani delle mie opere tronchi, alterati, evidentemente
male interpretati ed intesi, lasciandogli poscia aperto il campo
ad una ritrattazione, qualora fosse di buona fede; la quale, se
sempre è onorevole e doverosa a quelli che sbagliansi a pubblico
danno, niente poi dovea costare ad uno incognito. E però
io speravo ch' egli avrebbe dato al mondo questa prova, che
ciò ch' egli avea scritto in un modo cotanto alieno dal vero e
dal convenevole, non era stata l' opera dell' impostura, nè ci
covava alcun reo disegno. Ma andò fallita la mia speranza.
In quella vece ammutolì ben egli, ed una sola scusa non fece
o alle dottrine falsamente attribuitemi, o agli altri suoi propri
sbagli. Del che, pazienza; chè il suo silenzio potea valere in
vece di parole di pentimento. Ma quale fu poi il mio stupore
e il mio disinganno al vedere uscire ben presto in pubblico
uno sciame di altri anonimi, i quali, dissimulando in tutto o
nella maggior parte, e più sostanzial delle cose, le ragioni
evidentissime colle quali io avea convinto Eusebio d' innumerevoli
falsità di fatto e di dogma, si fecero a ricantare le
stesse menzogne, e ad inserire gli stessi semi, alla cattolica
fede sì funesti, di pelagianismo e di razionalismo? Questo avvenimento
m' aperse gli occhi, e mi spiegò tanti altri fatti
della teologica storia degli ultimi secoli, di cui io non avevo
mai c“lto bene il segreto. Certo nè io conobbi allora, nè conosco
adesso chi sia l' uomo che si ascose sotto il finto nome
di Eusebio Cristiano, nè di conoscerlo nutro vaghezza. Quanto
poi agli altri anonimi, che gli sottentrarono nel tristo arringo
da lui aperto, e dov' egli cadde, niuno d' essi conosco, almeno
con certezza, non prestando io intiera fede alle voci che pur
ne corsero. Anzi, troppo persuaso a mie spese, che i calunniatori
non mancano, quanta non ho io ragion di temere, che
anche le persone additate siccome autrici di quegli indegni
libercoli, sieno segno di scellerata calunnia? Comecchessia la
cosa, che lascio al giudizio di Dio, e vorrei nasconderla, se
per me si potesse, a quel degli uomini, egli è troppo chiaro
che non trattasi più di un individuo accidentalmente ingannato;
trattasi di molti associati nei medesimi sentimenti, collaboranti
al medesimo fine; trattasi di una fazione non surta
adesso, di un sistema di dottrine tradizionali, il cui effetto, se
prevalesse, sarebbe quello (ne abbiano essi coscienza o no),
di scavare, come accennammo, il fondamento alla religion rivelata,
qual è il dogma del peccato d' origine, di render vana
la morte di Cristo, vani i sacramenti da lui istituiti, il che è
quanto dire di rovesciare il Cristianesimo, la cattolica Chiesa,
e quella stessa pietra, su cui ella è fondata. Non dirò io esser
questo lo scopo conosciuto e voluto dagli scrittori anonimi di
cui parlo, ma dirò che questo è l' effetto inevitabile di loro
dottrine; ed egli è oggimai necessario che sia pienamente conosciuto
al pubblico: nell' avvenuto scorgo la Provvidenza che
il vuole. Scrivo adunque, ubbidendole; scrivo, rispondendo a
degli scrittori inetti che non meriterebbero ch' altri entrasse
con essi a tenzone, mentre taccio con altri, benchè dotti, che
mi onorano di loro osservazioni in altri argomenti scientifici,
perchè coi primi pericola la causa della fede e non co' secondi;
scrivo senza aspettazione di lode che in altre materie potrei
forse raccogliere; scrivo, interrompendo il corso d' altre mie
doverose occupazioni, e privando a tempo il pubblico di quello
che da me aspetta e che gli promisi: scrivo, a malgrado dell' indifferenza
di questo secolo in opera di religione, che, penetrata
ne' buoni stessi alla loro insaputa, son presti a darvi
biasimo dell' entrar che facciate in questioni teologiche, per
quantunque importanti, importanza che essi non veggono; scrivo
a malgrado di que' prudenti, che temon sempre, e consiglianvi
o fuggir tali brighe, più solleciti d' una falsa pace, che della
madre della pace vera, la verità; scrivo, non ignaro delle
persecuzioni che tale scrivere seco adduce, rassegnato a patir
quelle che mi s' aggiungeranno, come a Dio piacerà, alle patite
sin qui; scrivo, conoscendo quanti sieno per farsi a me giudici
colla leggerezza che è il carattere dei tempi, senza precedente
dottrina, senza usare di bastevole studio, senza ponderare le
mie parole, senza intenderle; scrivo in somma ripugnandomi
l' inclinazione, il dover comandandomelo, non per odio d' altrui,
non per amor di me stesso, se ben m' intendo; ma solo per
la causa di Cristo, della sua croce, della sua Chiesa, de' suoi
sacramenti, a cui l' uomo inimico sempre fe' guerra, ed ora la
trama più sottil forse e più insidiosa che mai coll' insinuare
il più cavilloso razionalismo nel seno stesso della Chiesa.
Chi avrà letto la « Dottrina del peccato originale » contro
il finto Eusebio, e le « Nozioni di peccato e di colpa », contro
il primo articolo dell' « Esame critico7teologico », ed avrà meditato
le osservazioni che que' due miei scritti contengono, già
si sarà pienamente convinto che pur troppo oggidì si spacciano
presso di noi delle dottrine razionalistiche, corrodenti i visceri
del Cristianesimo. Laonde intenderà agevolmente la cagione, il
bisogno di questo terzo opuscolo, che continuandosi a que' primi
apertamente le sveli, e quasi le denunzi a' pastori della Chiesa.
Ci danno poi occasione d' innalzare questo terzo grido ai custodi
d' Israello, i nuovi articoli usciti, che senza saper replicar
cos' alcuna a quello che noi abbiamo risposto, seminano gli
stessi errori, tenendosene sempre occulti gli autori. Uno di essi,
che si mantella sotto le lettere iniziali C. B. P., ne stampò
due a Firenze (non avendoli potuti stampare in Roma) all' insegna
di Clio (1.41) contro i teologi piemontesi compilatori
del « Propagatore religioso », che avean reso al finto Eusebio
quella giustizia che si meritava. Fu risposto al primo vittoriosamente
dal signor teologo Gastaldi. Mi giunse or solo alle
mani il secondo, benchè stampato da più d' un anno; chè l' autore,
o quelli che il fecero per lui stampare, secondo la tattica
loro propria di operar sempre per vie segrete, ne ritrassero
tutti gli esemplari in Roma; ed ivi solo, per quanto io so, cautamente
il diffusero, sperando che, non essendo ivi io presente
potessero farvi qualche breccia, prima che ne pervenisse a me
la notizia, quasichè nella capitale del mondo cattolico si potessero
con tutta facilità vendere i pruni per melaranci. A' quali
articoli di C. B. P. uscì compagno l' articolo secondo (1) dell' « Esame
critico7teologico », non so se anteriore, posteriore o
contemporaneo, perchè l' autor di questo, più pudico ancora
del suo confratello, nascose col proprio nome anche il luogo
e il tempo fin della stampa. Ed a questi pubblici attacchi non
si cessa mai d' accompagnare i privati, secondo il costume anche
qui delle sette ereticali: lettere artificiose, maldicenti parole,
[...OMISSIS...] , per usare le parole che s. Girolamo
rivolse ad Elvidio, [...OMISSIS...] ;
non
finendo poi di amplificare con aria di religiosa riverenza i grandi
uomini, che sono quelli che, sotto coperta di straziar me, strazian
la Chiesa; i quali per pura modestia si turano il viso; chè forse
non li offenda del sol la luce. Ma deh che mai fanno con tali
vanti di grandezza, se non invitare gli occhi del pubblico a
misurarne la piccolezza? e in vece di crescer credito alle ree
dottrine, discreditarle? Perocchè, di che statura sien quelli che
le seminano, fingendosi miei oppositori, ognuno il può ben vedere,
anche ignorandone i nomi, giacchè non occultan perciò
nè l' intrinseca erroneità delle loro scritture, nè i difetti accessorii,
la triviale erudizione, il tuon magistrale con cui pronunciano
tante inezie, e quelle stiracchiate argomentazioni, su
cui C. B. P. specialmente (che per brevità d' or innanzi citeremo
colla sua prima lettera C) sospende quasi sull' eculeo il
lettore; che da vero, volendo io celiare, se me ne restasse vaghezza
in tanta gravità di cose, direi che quel mio gaio parente
di Girolamo Tartarotti, aggiungerebbe, vivendo, qualche ottava
per celebrarle, al suo famoso poemetto delle « Conclusioni ». Il
signor C. poi va sì d' accordo coll' Anonimo autore dell' « Esame
critico7teologico », che lo ricopia, se non è ricopiato, ne' sofismi,
negli sbagli, nei bassi costumi, nelle frasi pedantesche del dire;
sicchè rifiutato l' uno, è rifiutato anche l' altro; nè gli errori
e i costumi d' entrambi differiscono poi da quelli del finto Eusebio,
di cui prendono a sostenere la causa perduta, quantunque
insieme l' onorino del titolo di linguacciuto (1), e con gravità
l' esortino « « ad adoprare più blandamente »(2) ».
Esaminando adunque tali opuscoli e le loro accuse,
darò un nuovo saggio del rincrescevole fatto, che giova avverare,
cioè che anco nelle scuole teologiche, anche in questa
nostra Italia, le razionalistiche dottrine, se non s' accorre al
riparo, vanno dannosamente introducendosi. Ma prima d' additare
al pubblico questi nuovi documenti di fatto, prima di dimostrare
come i recenti teologi accusino di bajana e di gianseniana la
dottrina stessa cattolica, affine di far prevalere il razionalismo
nelle scuole della sacra teologia; io debbo scaltrire il pubblico,
di nuovo, contro la lor mala fede, che è il principale, anzi
l' unico nostro avversario, alle seguenti cautele richiamando
tutti quelli che bramano conoscere il vero.
1 Che ogni qual volta gli occulti teologi espongono le
nostre opinioni, essi non sono degni di fede; ed io rigetto tutte
in fascio quelle ch' essi ci appongono, perchè non ve n' ha
forse una sola che non sia da essi inventata, o alterata, tale
quale la producono:
2 Che io chiedo all' equità pubblica di essere giudicato
sui miei proprii scritti e non sui laceri brani ch' essi n' adducono
e commentano con suprema malizia:
3 Che venga osservata la dissimulazione che essi fanno
degli argomenti irrepugnabili da me addotti contro di loro
negli scritti precedenti, ai quali essi mai niente risposero.
Dopo di ciò merita, che si osservi la cavillosità del loro
argomentare, massime quando maneggiano quell' arma che
dicevamo così favorita agli eretici, d' apporre altrui falsamente
la taccia o il sospetto dell' eresia contraria a quella a cui essi
pendono: un esempio schiarirà meglio quanto vo' dire.
Alla faccia 361 dell' « Antropologia », io scrivea, che [...OMISSIS...]
Nella « Risposta poi ad Eusebio », faccia 253 scrivea pure:
[...OMISSIS...]
Or il C. sente in questi due brani odore di Giansenismo!
Perocchè nota, ecco il cavillo, che con inesattezza di parlare
io adopero le parole contrario e contraria , in luogo di contraddittorio
e contraddittoria , come appunto pure fecero i
Giansenisti, di che conchiude altresì, che io confondo una
cosa coll' altra: [...OMISSIS...] .
Ma dove riesce questa sì frivola cavillazione? Ad accusare
non più me, che i santi dottori della Chiesa, e i Concilii ecumenici,
che han fatto sempre lo stesso uso della parola contrario .
S. Tommaso in un luogo de' molti dice: [...OMISSIS...] ;
e il sacro Concilio di Trento
adopera il medesimo modo di favellare ogni qual volta scrive,
[...OMISSIS...] .
Onde applicando le parole con cui tosto appresso il C.
riprende una maniera, a suo parere, sì impropria, dovrebbesi
dire: [...OMISSIS...]
Siamo adunque nuovamente ridotti a difendere s. Tommaso
e il sacro Concilio di Trento contro il C., come li abbiamo
dovuti difendere contro il finto Eusebio, e gli altri innominati,
senza alcun pro finora per essi, ma con qualche pro, io voglio
sperare, pe' fedeli, a cui vantaggio scriviamo.
Quanto dunque al « « confondersi l' una cosa coll' altra, » »
io dimando, se ne' luoghi citati del sacro Concilio, di s. Tommaso,
e del minimo discepolo e figliuolo della Chiesa, il
Rosmini, la parola contrario abbia dell' equivoco, ovvero
esprima men chiaramente un sentimento cattolico?
Non vi può essere nessuno che ne dubiti; giacchè la parola
contrario negli addotti luoghi non ammette che un solo senso,
e questo cattolicissimo. Dunque il finto Eusebio ed il C. non
possono accusare di confondere una cosa coll' altra nè il Concilio
di Trento, nè il Dottore angelico, nè quanti usano delle
loro maniere di favellare.
Ma se non v' ha confusione d' idee nell' uso che della
parola contrario fanno il sacro Concilio ed i dottori della
Chiesa, tuttavia, insiste il signor C., vi ha [...OMISSIS...] .
Prima di rispondere, farò osservare che qualora ciò fosse
(e non gliel accordiamo certamente), non tratterebbesi più
d' inesattezza che abbia odore di giansenismo, ma di difetto
grammaticale; poichè, riuscendo la proposizione chiara e vera,
cessa ogni possibile censura sulle cose, e non restan inesatte
che le parole. Così il C. confonderebbe la teologia colla
grammatica.
Ma non si può conoscere a pieno la frivolezza de' cavilli
che usano i recenti nostri teologi, se non rivedendo tutto per
disteso il processo che il C. fa addosso a quelli che ad imitazione
dei Giansenisti, usano la parola contrario nel senso
dell' Angelico e del sacrosanto Concilio; i quali tutti, nella
povera persona mia, compariscono per rei convenuti.
Egli comincia assai bene; perocchè stabilisce, che [...OMISSIS...] .
- Che è questo che dite su? Potrebbe egli essere un
artificio ereticale quello di seguire una regola sicurissima ,
ed un canone ricevuto da tutte le scuole? L' imputar questo
agli eretici, è egli un confutarli, o non più tosto uno sgagliardire
la causa cattolica esponendola alla derisione? Sarebb' egli forse
questo il vero vostro scopo, mio signor teologo? Chi vuole
abbattere efficacemente i gianseniani e gli altri eretici, non
dee riprenderli di seguire una regola sicurissima e da tutte
le scuole cattoliche ammessa, anzi dee mostrar loro che se
n' allontanano, anche dove fanno le viste di seguitarla.
Ma che ha poi da fare questo colle colpe che il C.
trova nell' uso della parola contrario fatta da me, non sull' esempio
de' Giansenisti, ma su quel della Chiesa? - Non
manca la relazione. Acciocchè il peccato, di cui mi vuol reo,
d' aver seguita la Chiesa nell' uso della parola contrario ,
appaia più smisurato, egli osserva, che quand' anco in vece di
contrario , io avessi usato contraddittorio , non gli sarei sfuggito
di mano. Perocchè avrei sempre usato d' un miserabile
artificio de' Gianseniani che in perfidia e in mala fede non
hanno pari; i quali, per eludere le bolle pontificie, prendono
spesso a far uso di una regola sicurissima , e di un canone
ricevuto da tutte le scuole!
Per più sicurezza adunque, che non gli sguizziamo, ci
fa sapere, che quand' anco noi avessimo parlato, com' egli
stesso c' indetta, e la santa Chiesa avesse usato il suo barbaro
contradictorium , in vece del latino contrarium che sempre
usò; saremmo gianseniani egualmente. Ma veniamo più alle
strette. - Che inesattezza di parlare è ella l' adoperare contrario
in vece di contraddittorio , in que' luoghi ne' quali l' una
e l' altra parola vale il medesimo?
- Ve lo dirà il C.. Se è un primo artificio de' Gianseniani
l' argomentare che una proposizione è vera, quand' è contraddittoria
ad un' altra condannata, regola però sicurissima , e
canone ricevuto da tutte le scuole; quegli eretici hanno poi
un secondo artificio che il C. così sagacemente disvela: [...OMISSIS...] .
- Gli resterebbe adesso a provare che noi abbiamo scambiata
qualche proposizion contraria , con qualche proposizione
contraddittoria alle condannate; ma questo è quello che egli
si dimentica di fare. Se nelle proposizioni del sacro Concilio,
di s. Tommaso, e nelle mie, alla parola contrario si sostituisca
contraddittorio , diventan forse altre proposizioni di senso diverso?
Mai no. Dunque non è il caso, in cui una proposizione
venga all' altra sostituita.
Egli non dissente dall' accordarcelo; anzi perciò appunto
conchiude, dopo sì lunghe premesse, che la colpa nostra non
è che una inesattezza di espressione sfuggitaci (2).
- Ma se voleva dir questo solo, a che trar fuori i maligni
artifizii degli eretici? Se la conclusione del suo discorso dovea
essere, che noi abbiamo commessa un' inesattezza grammaticale,
con che logica conseguenza deduce, che noi, cioè il sacro
Concilio e gli altri miei socii, siamo sospetti d' eresia?
- Doh? acutezza d' ingegno! Sillogizza egli così: Voi altri
siete inesatti nell' uso delle parole, senza alterazione però della
dottrina. Ma quella inesattezza di parole fu adoperata altre
volte dagli eretici. Dunque sembra che voi altri vogliate stabilire
quella inesattezza, acciocchè poi gli eretici se ne prevalgano
contro le verità definite.
- Possibile tanta stiracchiatura?
- S' ascoltin di nuovo le proprie parole, colle quali conchiude:
[...OMISSIS...] .
Il sospetto
è grave. Ma via, che poche linee appresso, ci fa grazia soggiungendo
che è affatto improbabile che noi abbiamo voluto
stabilire una regola sì rea (2). Ma non essendo però certo il
contrario, rimaniamo tutti sospetti.
Ma via, avvi almeno qualche inesattezza grammaticale
nell' usare contrario per contraddittorio?
- Nessunissima. A parte la giovanile pedanteria, che in qualche
testo di scuola va rinvergando le arbitrarie distinzioni del
senso delle parole. Ecco qual è la differenza vera e primaria
tra la voce contrario e la voce contraddittorio . L' etimologia
della voce contraddittorio dimostra che ella s' istituì a significare
un detto contrario ad un altro detto . La voce poi contrario ,
non ha questa limitazione di significar solo la contrarietà
dei detti o delle proposizioni; ma stendesi ad esprimere
egualmente la contrarietà che hanno fra loro e i detti, o l' altre
cose. Quindi dirassi acconciamente, che il caldo è contrario
al freddo; ma non così, che il caldo è contraddittorio al freddo.
All' incontro di due proposizioni contrarie si dice con egual
proprietà che sono contrarie, ovvero contraddittorie, poichè contraddizione
non significa altro che la contrarietà appunto di
due proposizioni. E` questa la prima ed original differenza che
corre tra le due voci contrario e contraddittorio; e da essa
si posson dedurre tutte le altre, di cui qui noi non abbisogniamo.
La conclusione adunque si è, che qualora si tratta di proposizioni
contrario e contraddittorio valgono il medesimo; là
dove quando si tratta di cose, impropriamente s' adopera la
voce contraddittorio ma si dee adoperare la voce contrario .
Ora noi parlavamo di proposizioni.
Dunque l' osservazione del C. è vana. Conciossiachè non si
possono dare proposizioni che veramente sieno contrarie fra
loro (il che significa tutt' altro dall' esser diverse e dall' esser
opposte ) (1), come sono quelle che io adducevo, le quali non
sieno medesimamente contradditorie: poichè la loro contrarietà
consiste appunto nell' avere contraddizione a differenza
della contrarietà che aver posson le cose, la quale si chiama
semplicemente contrarietà. Finiamola adunque con un verso
del Petrarca,
[...OMISSIS...]
A tali cavilli sono astretti di ricorrere i teologi che
hanno preso inclinazione al razionalismo: innumerevoli conferme
se n' avranno in quanto diremo in appresso. Ma oltracciò
hanno bisogno d' aggiungere a' cavilli un' altr' arma, nel maneggio
della quale sperano assai, voglio dire, le falsità. Prendiamone
intanto un esempio dal recente articolo del signor C..
Tratta innanzi la proposizione XLVI (2) di Bajo (giacchè
a queste sempre ricorrono, siccome a quelle, di cui non essendo
definito il senso preciso dalla bolla di condanna, possono facilmente
abusare), così egli scrive:
[...OMISSIS...] .
Ma il vero si è, che nè il Propagatore nè il Rosmini
ha mai insegnato nulla di simile. Dunque con questa falsità non
fa il C. che accrescere il numero di quelle innumerevoli, che
abbiamo notate ne' suoi predecessori e maestri co' due scritti
a questo precedenti, invitandoli a giustificarsi, senza che abbiano
più osato zittirne.
Dando adunque il suo luogo alla verità, il « Propagatore »
dimostrò, che tanto se la parola volontario nella citata
proposizione di Bajo si prende in senso di volontario semplice ,
quanto se si prende in senso di volontario libero; quella proposizione
non può mai applicarsi a condannare la dottrina
della Chiesa da noi seguita. Questo non è certamente un insegnare,
che quella parola si debba prendere in senso di volontario
semplice, come asserisce il C..
Scoperta la bugia; egli è uopo che si vegga anche
com' essa venga manipolata strada facendo moltiplicandosi, e
da sè medesima fecondandosi.
Da prima il teologo nostro, in vece di esporre la indicata
alternativa, FINGE che i due membri di essa sieno due argomenti
diversi adoperati successivamente dal Propagatore; e lo
riconviene di contraddizione. E certo, che l' uno di quegli argomenti
non può stare insieme coll' altro. Poichè se il voluntarium
della proposizione di Bajo vuol dire volontario semplice ,
esso non può voler dire libero , e viceversa. Compiacendosi
quindi di questa sua bell' INVENZIONE, scorrazza e trionfa
a sua posta per molte faccie del suo articolo! (2)
Dopo aver così finto, che il Propagatore rechi due
argomenti successivi, nell' un de' quali supponga che il voluntarium
significhi volontario semplice , e nell' altro che significhi
volontario libero , sopprime quest' ultimo membro dell' alternativa,
e dichiara avere il Propagatore INSEGNATO doversi
prendere il voluntarium in senso di volontario semplice! (3)
Per quello che riguarda a me, sono trattato colla stessa
onestà. Dice che anch' io insegno , doversi prendere in senso
di volontario semplice la parola voluntarium nella proposizione
di Bajo (1). Se non che il suo mentire riesce più sguaiato;
poichè
1 lungi dall' aver io insegnato, che il voluntarium di
Bajo si debba prendere per volontario semplice , ho dichiarato
espressamente il contrario. Mi si permetta di riprodurre le mie
parole: [...OMISSIS...] .
2 Perchè il dire che io ho insegnato doversi prendere il
voluntarium della proposizione per volontario semplice, cozza
con quello ch' egli stesso poche faccie innanzi avea confessato,
scrivendo, [...OMISSIS...] .
Ecco adunque dimostrata in pratica quale sia la morale del
razionalismo , quella morale che fu condannata in teoria da
Innocenzo XI e da altri sommi Pontefici: si può mentire e calunniare
ogni qual volta sembri necessario a sostenere il proprio
partito.
Ma ond' avviene poi, che i teologi nostri tanto si sdegnino
al solo immaginare (ed è tutta loro immaginazione, come
vedemmo), che a talun piaccia intendere la proposizione di
Bajo, [...OMISSIS...]
d' un volontario semplice? Sarebbe forse un
assurdo, l' intenderla così? Sarebb' egli un cadere nel Bajanismo?
Direbbe forse un errore colui che dicesse, che alla definizione
del peccato appartiene il volontario in genere? quasichè
coloro che esigono alla ragion del peccato il libero ,
possano poi negarle, senza contraddirsi, il volontario semplice
già compreso nel libero?
No, che il dir questo non è errore, se pur non si vuole
tacciar d' errore sant' Agostino, che, prendendo così appunto la
parola volontario , tolse nel libro I delle sue « Ritrattazioni »,
cioè nell' opera che sopra tutte l' altre del santo Dottore dee
fare autorità, a dimostrare, che [...OMISSIS...] .
Perocchè ivi egli dice, che tanto chi pecca
con volontà libera, quanto chi pecca con volontà necessitata,
sempre pecca con volontà , soggiacendo questi secondi alla
necessità in pena d' altri peccati liberi che precedettero.
Dimostra dunque prima, che peccano con volontà quelli che
peccano liberamente dicendo: [...OMISSIS...] .
Dimostra poscia, che peccano con
volontà quelli che peccano necessitati così soggiungendo: [...OMISSIS...] .
Di che si raccoglie contro
l' assunto del nostro nuovo teologo 1 che la parola volontà ,
e di conseguente volontario , non ha il solo senso di libero,
com' egli pretende; 2 che la proposizione di Bajo merita di
essere condannata ugualmente anco se colla parola volontario
in essa adoperata s' intenda esprimersi il volontario in genere;
3 che l' intenderla così, e l' averla per condannata anche
in questo senso, può essere un errore d' interpretazione,
non mai un errore contro la sana dottrina; se pure non si
dimostra prima, che sant' Agostino erri in tali materie.
E ciò posto, perchè dunque, noi torniamo a chiedere,
i nuovi teologi tanto s' allarmano solo immaginando, che il volontario
di quella proposizione si voglia intendere per volontario
in genere?
N' hanno la loro ragione; ed è perchè, così intesa, ella ferisce
nel cuore il loro erroneo sistema, tendente ad esaltare
indebitamente la natura umana, pretendendola immune da qualsiasi
vizio originale (2); sicchè e la libertà non abbia un assoluto
bisogno della grazia del Salvatore, almeno per osservare
compiutamente la legge naturale, e la ragione non abbia
un assoluto bisogno della rivelazione, acciocchè possa l' uomo
ottenere il suo fine: alle quali dottrine conduce lo spirito razionalistico,
che hanno preso a loro guida.
E veramente se colla condanna di quella proposizione
è stato solamente deciso, che a costituire un peccato è necessario
il libero , essi si credono licenziati ad affermare, che l' atto
di libera volontà che pose Adamo peccando è tutto quanto il
volontario che entra a formare il peccato originale de' posteri,
senza che rimanga un bisogno al mondo di riconoscere un
vizio intrinseco nella volontà di questi, ne' quali non può essere
certamente il libero. Ma se s' intende in quella vece essersi
deciso, che a costituire un peccato è necessario il volontario
(libero o no); in tal caso non possono più dire che quella
proposizione non riguarda menomamente il vizio naturale inerente
alla volontà de' bambini. Conciossiachè ella potrebbe benissimo
riferirsi alla volontà viziosa di questi; e tanto più che
rimarrebbe facile a chicchessia d' argomentare in questo modo.
Egli è di fede, che il peccato originale in Adamo, e il
peccato originale ne' suoi discendenti, sono peccati numericamente
distinti (1). Se dunque sono distinti numericamente i
peccati, devono esser distinti del pari gli elementi che li compongono
e li costituiscono. Ma il volontario è un elemento costituente
il peccato per la proposizione XLVI di Bajo condannata.
Dunque dee esservi un volontario distinto che costituisce
il peccato di Adamo, e un altro volontario numericamente distinto
dal primo, che costituisce il peccato del bambino da lui
discendente.
La quale argomentazione irrepugnabile vale, si noti
bene, pel solo peccato , non per la colpabilità del peccato , che
tutta si dee desumere dalla libertà del primo padre che lo
commise.
Sebbene noi qui non abbiamo veramente bisogno d' insistere
sul senso del voluntarium , che trovasi nella proposizione
di Bajo; giacchè ad ogni modo sembra chiaro, che, come
in ogni discendente di Adamo, ci ha un peccato proprio , così
dee esserci un volontario proprio , cioè uno stato della volontà
peccaminoso ed empio; non potendo la volontà di un
uomo, per esempio di Adamo, essere nè l' elemento costitutivo,
nè il soggetto del peccato originale, in quant' è proprio del suo
discendente, e però distinto di numero da quel di esso Adamo.
Come adunque Eusebio e i suoi compagni possono confessare
sinceramente la fede cattolica che riconosce un proprio peccato
ne' posteri, quand' essi escludono ogni infezione ed ogni
vizio dalla volontà di questi, e però riducono il peccato (pel
quale non intendono che un atto libero ) alla mera imputazione
estrinseca dell' atto libero e colpevole di Adamo?
A cansare ogni rimprovero, pongono essi mano a due
spedienti. Col primo cercano di tranquillare i teologi, facendo
lor credere essere intieramente alieno dalla loro dottrina il
distruggere il dogma del peccato originale; e consiste in dichiarare,
che ammettono per elemento volontario costitutivo
del peccato proprio del bambino la stessa volontà libera di
Adamo; e però che ben riconoscono essere il volontario un
elemento necessario a costituire il peccato, e anzi si lagnano
come il Rosmini creda ch' essi gliel voglian negare (1). Ma
essendo tuttavia impossibile il non riconoscere un manifesto
assurdo nell' ammettere che il peccato proprio d' un individuo,
per esempio d' un bambino, abbia per suo elemento costitutivo
il volontario proprio di un altro individuo, per esempio di
Adamo: ed il Cristianesimo ammettendo sì de' misteri, non mai
degli assurdi (2), essi ricorrono al secondo spediente, col quale
credono di tranquillare i filosofi, confessando loro, che la voce
peccato, quand' essi parlano dell' originale, la pigliano in tutt' altro
significato, [...OMISSIS...]
(3).
Così realmente essi distruggono il peccato originale,
confessandolo nelle scuole teologiche , ma rendendolo un assurdo;
e poi correggonsi nelle scuole filosofiche , cioè dichiarando
che la parola peccato applicata all' originale de' bambini
non significa più peccato. Ma badisi bene, che quando un
dogma è reso un assurdo, egli è bello ed annullato in tutte
le intelligenze umane; e quand' esso è ridotto ad una parola,
basta un frego sulla carta ed è cancellato. No; i dogmi della
Chiesa non consistono in meri vocaboli; sono ciò che i vocaboli
significano, e costituiscono l' oggetto della nostra credenza: la
Chiesa colle sue parole non cerca di illudere gli uomini.
Laonde, come S. Gregorio Nazianzeno diceva, che [...OMISSIS...] ;
così noi
possiam dire, che la verità cattolica al tutto manca ne' nostri
teologi, perchè manca « in eorum sententiis », quantunque si
studino ad ogni possa di far apparire che ella vi sia « in sono
verborum ».
E dee parere pure, a chi un poco riflette, la strana
cosa, che si diano degli uomini i quali vogliano far credere,
che un peccato proprio possa esistere senza una volontà
propria peccaminosa . Certo, il profondo Estio non solo parlava
cattolicamente, ma in modo conforme al senso comune, dicendo
che a stabilire il dogma del peccato d' origine ne' bambini non
basta nè il solo volontario in Adamo, nè il solo volontario
ne' bambini; ma che entrambi questi volontarii s' esigono; quel
d' Adamo che è libero esigendosi a spiegarne l' imputazione
ossia la colpabilità , quel de' bambini a spiegare la sostanza
del peccato che viene imputato (2). Quindi egli è più chiaro
del sole, che « Ad rationem et definitionem peccati requiritur
voluntarium », non solo inteso il voluntarium per libero , qual
fu in Adamo, ma inteso anche per volontario semplice e non
libero, qual ora è ne' bambini che nascono, checchè altri si
cianci. E s' abbia qui il lettore, se ancor ne dubita, una
sopraggiunta d' altri argomenti, acciocchè nessuno più s' ostini
a negare una sì preziosa verità del cattolico insegnamento, o
se la nega, sia inescusabile. Cominciamo dalla Scrittura.
La Scrittura dice non solo che, [...OMISSIS...] ;
ma ella usa altresì come
formola solenne, quest' altra: [...OMISSIS...] ,
formola consacrata anche dal Concilio di Trento e da tutta
l' ecclesiastica tradizione (3). Ora i teologi nostri, che non
riconoscono altro costitutivo del peccato originale de' bambini
se non il volontario libero di Adamo, debbono di conseguente
negare all' Apostolo ed alla Chiesa che i bambini sieno [...OMISSIS...] ,
e in quella vece sostenere che sieno [...OMISSIS...] .
Ma
or che cosa dicevano altro gli antichi Pelagiani? Non era
questa appunto nel fondo la loro dottrina? Uno de' loro primi
padri, Teodoro vescovo di Mopsuesta, non ebbe scritto appositamente
un' opera in cinque libri partita « contra asserentes
peccare homines NATURA non VOLUNTATE? (4). » E chi mai
erano questi « asserentes peccare homines natura »? Secondo
Teodoro, erano certi eretici dell' Occidente, che andavano
contaminando la Chiesa, uno de' quali, da lui chiamato Aram
( imprecatio, maledictio , se pure il nome non è storpiato dai
copisti) si prende da lui direttamente a impugnare. Nè, a dir
vero, la franchezza di Teodoro, d' onorare del titol d' eretici
quelli occidentali ch' egli impugnava, andò senza effetto; perocchè
ne fu gabbato lo stesso Fozio quattro secoli dopo, che
veramente si persuase, scrivesse Teodoro « adversus Occidentales
hac labe infectos », com' egli s' esprime dando conto di quell' opera
(5). E che perciò? Non ha egli la calunnia, come
si suol dire, sempre corte le gambe? E qual altro frutto raccolse
Teodoro dalla sua, fuor di quel dell' infamia? qual altro
frutto raccolse dall' aver egli, eretico, chiamati eretici i cattolici,
e nominato imprecazione o maledizione ( «ara») il dottor
massimo della Chiesa, s. Girolamo? Erano adunque i cattolici
che sostenevano, come dice Teodoro, [...OMISSIS...] .
Così Teodoro duramente alquanto
esponeva il sentir de' cattolici, siccome eretici da lui
tradotti al giudizio pubblico e combattuti. Nè egli fa maraviglia,
se esponesse i loro sentimenti con espressioni un po' dure
solendo così fare tutti quelli che tolgono ad impugnarli, sperando
di riuscirvi più facilmente, più che infedelmente gli
espongono. Per altro egli era vero, che la cattolica Chiesa
insegnava [...OMISSIS...] (2).
In questo trovava l' assurdità Teodoro, e in questo la trovano
i nostri teologi; i quali, per evitarla, vengono a dire che gli
uomini non sono improbi per natura (la quale anzi è sana,
sanissima), ma solo per la volontà libera del primo padre
ben inteso, così essi aggiungono poi, che non trattasi d' un
peccato secondo tutto il valore della parola, ma secundum
quid , e quadamtenus (1), il che, a parlar chiaro, significa
un peccato per cotal maniera di dire usitata, non già un
peccato reale ed effettivo; del che rimarrebbe più che contento
Zuinglio, che insegnava del pari, il peccato originale
ne' bambini dirsi solo peccato per metonimia (2).
Per altro, l' obbiezione di Teodoro precursore de' Pelagiani,
di cui questi poscia fecero si grand' uso, che il peccato
si debba sempre porre in essere dalla VOLONTA`, e non possa
dalla NATURA; nasceva, a mio parere, dalla poca meditazione
sulla umana natura. Quell' obbiezione in fatti rimane confutata
assai facilmente, benchè di tanta apparenza, rispondendo loro
in questo modo: « Sì, egli è vero quello che voi altri dite,
che il peccato dee sempre essere costituito dalla volontà di
colui nel quale si trova, perocchè, essendo il peccato proprio,
anche la volontà che lo costituisce dee esser propria. Ma voi
errate nel tirare da questo principio la conseguenza, che dunque
l' uomo non possa essere peccatore PER NATURA. Vi avviene di
cadere in questo errore, perchè non avete osservato con estensione
bastevole la condizione della umana volontà: voi vi persuadete,
che tutta la volontà si riduca agli atti di essa, ma la
cosa non è così. Innanzi agli atti suoi vi ha la potenza stessa
della volontà, la quale forma parte della umana NATURA. Se
dunque questa potenza riceve una QUALITA` E DISPOSIZIONE IMMORALE,
l' uomo è improbo ad un tempo PER VOLONTA` e PER
NATURA, poichè, come si diceva, quella è parte di questa. Che
poi questa disposizione immorale possa dirsi peccato (abituale);
egli è facile a provarsi quando si consideri, che il peccato è
un' inordinazione della persona umana , e che la volontà immoralmente
disposta è quella che costituisce propriamente la
persona dell' uomo. »Tutto questo discorso è coerente; e con
esso riman dileguato quell' apparente assurdo, che gli eretici
rinfacciano all' insegnamento della Chiesa circa il peccato originale;
e giustificato appieno questo insegnamento. All' incontro
i moderni teologi razionalisti, per isfuggire da quell' assurdo,
fanno una transazione cogli eretici, colla quale, abbandonando
loro la sostanza del dogma, si contentano di salvare alcune
frasi, come coloro che, dando i denari a' ladroni, salvan la
borsa (1).
Ora l' accennata risposta, che, ben intesa, chiude la bocca
agli eretici, chi ne considera il fondo, non è mia; ma è de' Padri
e de' Dottori ond' io la trassi. Per non essere infinito, mi limiterò
a mostrare com' ella si trovi, argomentando da' principii di
S. Tommaso.
S. Tommaso rassomiglia il peccato originale de' posteri al
peccato della mano dell' omicida. La mano è mossa al peccato
dall' omicida stesso; e così i posteri, motione generationis , sono
mossi al peccato dalla natura peccatrice di Adamo generante (2).
Il movimento peccaminoso della mano è come una continuazione
del movimento peccaminoso dell' anima dell' omicida; e
lo stato peccaminoso de' posteri è come una continuazione, mediante
l' abito rimasto nell' uomo che ebbe peccato, del movimento
peccaminoso di Adamo prevaricatore. Ma qui nasce
una grave difficoltà. La mano non è veramente peccatrice; ma
si dice tale per sineddoche, o per metonimia come direbbe
Zuinglio, o quadamtenus come dicono i nostri anonimi. Nè pure
i posteri adunque, secondo tale esempio, saranno in senso proprio
e vero peccatori. Tale difficoltà si vince benissimo argomentando
dai principii di S. Tommaso. Il principio fondamentale,
che egli pone è questo, [...OMISSIS...]
Ritengasi bene
questo principio, che è il fondo dell' argomentazione dell' Angelico,
e non badisi materialmente alle parole. Argomentando
da un sì chiaro e fecondo principio, che si deduce? Si deduce,
che la similitudine della mano dell' omicida, benchè in sè stessa
opportuna a illustrare il concetto, per accidente poi in qualche
cosa non calza, come accade sempre colle similitudini. Ma il
principio riman generale: « Il peccato è ricevuto secondo che
quello a cui si comunica può essere o no soggetto di peccato. »
Resta a dimandarsi: la mano può ella esser soggetto di peccato?
Rispondesi: propriamente parlando no; ma per un cotal
traslato può essere considerata come tale, a preferenza dell' asta
e della spada (1). All' incontro poi, la volontà personale de' posteri
è indubitatamente soggetto di peccato assai meglio della
mano, perchè ella non è tale in linguaggio figurato, ma in
senso proprio. L' infezione morale adunque, trovando nelle persone
umane a cui si comunica, veri soggetti distinti di bene
e di male morale, vi è ricevuta come tale e diviene in essi un
vero peccato.
Tutta questa dottrina dell' Angelico, intorno all' essenza
ed alla comunicazione del peccato dimostra, 1 ch' egli considera
i bambini come riceventi dalla mozione del generante l' atteggiamento
peccaminoso; 2 che ricevono quell' atteggiamento
come la mano riceve il movimento peccaminoso dall' omicida;
ma che in essi è peccato più proprio che non possa essere nella
mano; perchè essi sono veri soggetti idonei di peccato distinti
dal generante; mentre la mano non è soggetto di peccato distinto
dall' omicida, ma dicesi tale per un parlar figurato; 3 che
i bambini sono soggetti di peccato, perchè hanno una volontà
personale, onde a questa è comunicata l' inordinazione in cui
il peccato consiste. Dalla qual maniera, che usa l' Angelico a
spiegare, in che guisa i posteri sieno peccatori per natura , si
può agevolmente dedurre, che se il loro peccato vien messo
in essere dalla natura , è ad un tempo la loro natura morale
quella che, essendo suscettibile di peccato, propriamente ne
rimane affetta, la qual natura morale è la loro propria volontà
personale: onde essi sono costituiti peccatori per volontà;
e quindi cessa l' assurdo obbiettato dagli eretici. Nel che sta
la sostanza della risposta nostra a Teodoro.
Ma ora passiamo a vedere come i recenti teologi scavano
sotto anche le fondamenta al dogma del peccato originale,
e ad altri molti ad un tempo, distruggendo il concetto della
volontà semplice , e altra volontà non riconoscendo nell' uomo
che la volontà libera: quindi escludendo ogni altra specie di
moralità, fuor di quella che dall' uso della libertà si produce.
Il C. prende a far tutto ciò in un lunghissimo tratto
del suo libro (1), nel quale, senza un bisogno al mondo, travaglia
e suda a dimostrare, che nella citata proposizione di
Bajo la parola volontario non significa altro che libero .
Per riuscire a tale dimostrazione, bastava ch' egli avesse
recate a confronto le tre proposizioni condannate 46, 47, 4.;
nell' ultima delle quali si afferma, che [...OMISSIS...] ;
dove dichiarasi volontario il peccato originale
ne' bambini, perchè questi nol disdicono e non l' impugnano col
loro libero arbitrio . Bajo ricorreva adunque al (preteso) arbitrio
de' fanciulli per ispiegare come il peccato in essi fosse
volontario; e però il volontario che Bajo esigeva nel peccato
de' bambini era un libero7negativo , cioè era il non fare della
loro libertà. All' incontro, egli non vedea necessario a costituire
il peccato de' bambini il libero7positivo , che solo nella
libertà di Adamo autore del peccato si rinviene, e quindi le
proposizioni: [...OMISSIS...] .
Così sarebbe rimasto
dimostrato, che la parola volontarium ne' detti articoli intesa,
ha il valore di libero; avvertendo però, che in generale quella
parola, secondo la mente di Bajo, talora significa un libero7positivo ,
un atto, vera causa dell' azione peccaminosa [...OMISSIS...] ;
e talora significa un libero7negativo , un
non7atto della volontà, pel quale il peccato domina nell' uomo
[...OMISSIS...] .
Con tale confronto, egli avrebbe pur conosciuto in che
stia precisamente l' errore bajano; cioè nel costituire l' essenza
del peccato originale de' bambini nel non7atto del loro libero
arbitrio, quasichè fossero obbligati di far quello che è loro
impossibile; e perchè nol fanno, incolpar si dovessero; il che è
ad un tempo un errore contro la fede, ed un assurdo contro
la ragione.
Ma il C., in vece di mettersi per la via piana e facile
a dimostrare il suo intento, piglia un' ampia girata con iscialacquo
di volgarissima erudizione, tutt' a risparmio di logica.
S' impegna egli a provare, che il voluntarium negli articoli
citati di Bajo significa libero; perchè la parola voluntarium
correva nell' uso comune de' teologi in senso di libero .
Acciocchè un tale argomento avesse forza da stringere,
dovrebb' essere dimostrato pienamente, non già che la parola
voluntarium si usasse molte volte per significare libero , ma
che così si usasse sempre; di maniera che non vi fossero
esempii di scrittori filosofici e teologici, ne' quali ella s' adoperasse
in senso di volontario semplicemente o in genere, prescindendo
dalla effettiva libertà. Certo non ci vuole una gran
testa a capire, che se non si fa ciò, non si stringe che aria.
Tuttavia egli s' appaga di trar fuori una cinquantina
forse di testi, ne' quali, secondo il suo giudizio, la parola volontario
vale altrettanto che libero; conchiudendo poi, che
dunque anche negli articoli di Bajo ella dee aver avuto questa
medesima significazione!
Il fatto però si è, che la parola volontario non significa
altro che volontario , cioè cosa voluta, cosa appartenente alla
volontà. Tale è il suo primitivo significato, come l' origine e
la formazione della parola dimostra.
Ora ciò che è volontario , ciò che è voluto, può esser voluto
in due modi, perchè la volontà opera in due modi, cioè
necessariamente , e liberamente (1). La parola volontario
esprime il genere , il necessariamente e il liberamente esprimono
due differenze specifiche di questo genere; sicchè vi è
un volontario necessario ed un volontario libero; e la parola
volontario s' accomoda egualmente bene ad esprimere l' uno
e l' altro; perchè il genere giustamente si predica di tutte le
specie.
In pari tempo si vuol notare, che gli atti che fa la
volontà necessitata , sfuggono più facilmente alla osservazione
ed alla riflession nostra; ed all' incontro si osservano in noi
con assai più di facilità gli atti liberi, ne' quali sentiamo di
collocare manifestamente la nostra propria energia personale (1).
Di più, gli atti volontarii7liberi diventano la materia ordinaria
de' nostri discorsi, perchè, essendo essi in nostra balía, possiamo
e dobbiamo governarli secondo le leggi e i precetti
morali, e mettiamo in essi somma importanza, dipendendo
appunto da essi tutta quella prosperità e felicità che noi ci
possiamo procacciar da noi stessi (aiutati da Dio) in questa e
nell' altra vita. Dalle quali due cagioni procede, che quando
noi parliamo di atti volontarii , intendiamo spessissimo favellare
di atti volontarii7liberi; e non ci apponiamo questa
parola liberi per brevità, contentandoci di dirli semplicemente
volontarii . Conciossiachè il contesto del discorso fa già intendere
da sè che noi intendiamo parlare di quelli.
Questo che accade nel parlar comune quanto all' uso
della parola volontario, accade simigliantemente quant' all' uso
della parola peccato , che esprime il genere delle immoralità7personali,
e però tanto la specie del peccato necessario7incolpevole ,
quanto la specie del peccato libero7colpevole; ma nel
parlare ordinario tuttavia la si prende a significare il peccato7colpevole ,
per le stesse ragioni onde si usurpa la parola volontario
significante il genere ad indicare la specie del volontario7libero,
cioè perchè il peccato colpevole attrae di lunga
mano più l' attenzione degli uomini, ed è l' oggetto de' comuni
discorsi (1).
Ma quando trattasi di scienza, e si vuol tornare alla
rigorosa esattezza delle parole, affine di non confondere insieme
perniciosamente i concetti affini; allora si dee restituire
a quelle il proprio significato, usando le parole che segnano
il genere come peccato e volontario , a significare il genere;
e le parole che segnano le specie, come colpa e libero , a significare
le specie e non altramente.
Indi non è maraviglia, se, a malgrado delle citazioni
del C., s' incontri bene spesso ne' filosofi e ne' teologi questa
proprietà di parlare; e quanto alla parola volontario , che egli
pretende usarsi per libero, è pure un fatto innegabile ch' ella
si trova spesso adoperata per volontario semplice e generico.
Mi si perdoni se discendo a cose assai comuni. Certo
niuno che abbia a fior di labbra saggiata la teologica scienza
può ignorare, che quando si tratta scientificamente del volontario ,
esso si suol prima definire in generale, senza farvi entrare
esclusivamente la libertà; e poi lo si divide nelle sue
due specie di necessario e di libero .
Il qual metodo logico di procedere tiene al suo solito
S. Tommaso (1); onde a principio definisce il volontario in
modo, che si possa applicare tanto al necessario quanto al
libero, dicendo così: [...OMISSIS...] .
Nelle quali parole è chiaro, che volontario si
chiama tanto l' atto necessario, quanto l' atto libero della volontà,
perchè l' uno e l' altro est a propria inclinatione , e
tende in un fine conosciuto. Ma di poi passa il santo Dottore
a distinguere il volontario necessario , come sarebbe l' atto
con cui l' uomo tende al fine e al bene universale (6), dal
volontario libero , a cui spettano gli altri atti posti in balia
dell' uomo.
Non si puó adunque dubitare, che il primo e proprio
significato della parola volontario sia quella di volontario in
genere, non essendo la necessità e la libertà che due suoi
modi accidentali. Tale significato si fa manifesto dalla ragione
stessa e dall' etimologia della parola, dalla definizione de' citati
Padri della Chiesa, e dall' autorità del Dottore angelico, a cui
consentono tutti i teologi.
De' quali in cosa così nota recherò due soli, in aiuto degl' imperiti,
il Busembaum e il Viva.
Il primo scrive: [...OMISSIS...] .
Domenico Viva egualmente, lungi dal confondere il volontario
col libero , ne dà due definizioni distinte, e ne mostra
a lungo la differenza, e la definizione che dà del volontario
in opposizione del libero è appunto questa, [...OMISSIS...] ,
che è quella stessa di
S. Tommaso, che il nostro C. pretende doversi applicare non
alla semplice volontà, ma alla libertà (5).
E tuttavia, digiuno come si mostra delle nozioni elementari
della sacra teologia, egli non dubita d' impegnarsi a
dimostrare, che voluntarium non significa altro che libero;
e si persuade che la sua dimostrazione sia pienissima coll' arrecare
qualche dozzina di testi, in cui egli dice senza provarlo,
che vi sta dentro la parola volontario usata in senso
di libero!
Riesce tanto più inconcepibile quella sicurezza di affermare
che volontario si usi sempre per libero , se si osserva
che più volte gli viene in sulla penna la proposizione 39 di
Bajo, [...OMISSIS...] ;
nella quale si contiene l' errore, che il voluntarie
significhi liberamente sempre, anche congiunto colla necessità:
il qual solo esempio rende inutile affatto la sua fatica materiale
di razzolare da' teologi e fin dagli eretici tanti passi,
ne' quali si trova la parola volontario .
Anzi egli avrebbe dovuto ben imparare da quella proposizione,
che è insegnamento della Chiesa avervi due volontarii,
l' uno necessario e l' altro libero; e che l' errore condannato
in Bajo nasceva appunto dal confondere que' due volontarii in
un solo, pretendendo egli che si potesse chiamar libero anche
quello che era necessario .
Laonde la sola differenza fra Bajo e il C. consiste in
questo, che Bajo non riconosceva nella volontà dell' uomo
caduto, se non il modo dell' operar necessario che falsamente
chiamava libero col pretesto che non era violentato; laddove
il C. non riconosce (se dee aver senso il suo discorso) che un
operar solo volontario mai necessitato e sempre libero; sicchè
la parola volontario non possa ammettere che quest' ultimo
significato (1).
Ma l' inettitudine del ragionare che fa il nostro C., vedesi
ancor più se si esaminano i molti testi che egli reca a
provare il suo falso assunto. Dal qual esame, che ognun può
fare da sè, manifestamente risulta,
1 che a dimostrare che la parola voluntarium ebbe
sempre il significato di libero, egli reca più testi, ne' quali si
parla di azioni libere ed imputabili, quasi che alcuno avesse
mai negato, che le azioni libere si possano chiamare volontarie ,
dicendosi anzi da noi, che la parola volontario conviene ugualmente
ai due modi di operare della volontà, il libero ed il
necessario; e per esempio, tanto all' amore che portano a Dio
i celesti comprensori, quanto a quello che gli portano i terreni
viatori; benchè quelli il facciano attratti necessariamente, e a
un tempo spontaneamente, dalla vista del sommo Bene; e questi
mossi dalla loro libera elezione:
2 Reca alcuni testi ne' quali, così precisi dal contesto,
non si potrebbe definire se il voluntarium si prenda per libero,
o solamente per volontario in genere abbracciante i due modi
di operare della umana volontà (1):
3 Reca alcuni testi, ne' quali si suppone che i bambini
non facciano atti di volontà, e ciò perchè si suppone che non
facciano atti di ragione.
E qui si noti, non doverci noi far maraviglia, che alcuni
autori non sieno giunti ad osservare, che i bambini quasi appena
ch' esistono comincino ad usare di loro ragione e di loro
volontà, benchè non possano nè riflettere, nè liberamente operare.
L' osservazione continuata a farsi sull' umana natura per
tanti secoli, ha finalmente fatto conoscere ciò che non si conosceva
in altri tempi. Egli è ora certo, secondo ch' io stimo,
che il bambino fino da' primi tempi di sua esistenza conosce e
vuole la madre, conosce e vuole il cibo; e però non manca
in lui il volontario , sebbene non siavi ancora il libero . Se
adunque alcuni autori argomentavano che i bambini non facessero
nessuna maniera d' atti volontarii, dalla supposizione
che non avessero alcun uso di ragione; egli è facile il rispondere,
che, trovata falsa quella supposizione, rimane parimente
falsa la conseguenza che essi ne deducevano.
4 Reca alcuni passi, ne' quali si dice, o sembra che si
dica, che ogni atto umano è un atto libero . Ma se per atto
umano s' intenda un atto proprio del solo uomo, e non comune
alle bestie, egli è chiaro che atto umano si dee dire ogni atto
della volontà (difinita questa per la facoltà che opera dietro
la cognizione) (1), sia esso libero o necessario. Così l' atto, onde
la volontà tende al bene in comune, necessario , a giudizio
d' ogni dottore; l' atto col quale i beati amano Dio, ed i dannati
lo odiano; gli atti della volontà che precedono la riflessione
e seguono la cognizione diretta , sono certamente atti
umani. Che anzi è umano anche ogni atto d' intelligenza, non
solo ogni atto di volontà (2). Qualora dunque S. Tommaso restringe
l' atto umano all' atto libero, si dee conciliarlo seco
stesso, che pur ammette indubitatamente degli atti della volontà
umana necessitati, ed egli è facile il farlo, osservando,
ch' egli definisce que' soli atti umani, su' quali si fonda il merito
ed il demerito, ad essi riferendosi tutta la legge morale
obbligatoria, scopo della sua trattazione (3).
5 Reca alcuni passi di Luterani, Calvinisti ecc. senza
accorgersi che cotesti eretici negavano l' operar libero dell' umana
volontà, e che quindi tant' è lungi, che la parola
voluntarium in loro bocca valesse il libero , che anzi la stessa
parola libero da loro si abusa a significare il semplice volontario,
o spontaneo!
6 Finalmente, se questo C. sa poco il latino e l' italiano,
non vuol pretendersi che sappia di greco; nè dee far maraviglia
che, sbagliando nell' assegnare alla parola voluntarium
il suo vero valore, molto più la sbagli, quando presume di
assegnarla alla parola greca «ekusion», sostenendo che altro
non significhi che libero! (4) Non credo io dover essere inutile
il metter qui sotto gli occhi del lettore un brano del Petavio,
nel quale questo teologo, 1 dà il vero valore della parola
«ekusion», 2 e espone la dottrina di S. Tommaso sui due
valori della parola volontario, valendo ora un volontario libero
detto anco volontario perfetto , ed a un volontario non7libero,
detto volontario7imperfetto . Il brano di cui parliamo è questo:
[...OMISSIS...] .
Or vada il C., e veda se gli conviene
attribuire il suo volontario libero alle bestie!
La conclusione si è, essere un errore tanto il dire con
Calvino, Giansenio e Bajo, che la volontà dell' uomo nel presente
stato di natura scaduta non opera mai in altro modo
che per necessità, quanto il dire, ciò che cercano insinuare i
moderni teologi tendenti al razionalismo, che la volontà non
opera mai in altro modo che per libertà. La Chiesa, con tutti
i teologi suoi, tenendo la verità che sta nel mezzo, se da una
parte insegna, che l' uomo al presente opera bene spesso con
libertà, dall' altra riconosce altresì ed insegna, che talora egli
soggiace alla necessità, dichiarando però che in quest' ultimo
caso nè merita nè demerita.
Al numero XLV del suo articolo (3) il C., desideroso
di far credere che il Pelagianismo abbia il merito di distruggere
l' orribile mostro del Bajanismo, ne parla come se quella
dottrina fosse la contraddittoria appunto di quest' ultimo errore,
quella nè più nè meno a cui Bajo fè guerra.
Ma il vero si è, non essere già il Bajanismo quello che
abbatte legittimamente il Pelagianismo, ma esser la dottrina
cattolica che abbatte e sterpa l' uno e l' altro errore.
[...OMISSIS...] .
Sul qual passo chiamo il lettore ad osservare,
1 Che, acciocchè il santo Dottor della grazia mescolato
a Calvino e a Giansenio vada più uniforme in tal compagnia;
piace al C. di chiamarlo Agostino, in vece di seguir l' uso
comune, che il chiama sant' Agostino; il che non meriterebbe
di essere osservato, se il contesto e lo spirito dell' autore non
dimostrasse un' affettata mancanza di rispetto al santo Dottore;
2 Che, opponendo egli i Pelagiani alla dottrina di Bajo,
che tanto detesta, non aggiunge nè pure una mezza parola
di disapprovazione della dottrina di quegli eretici;
3 Che, essendo verissimo che i Pelagiani non a Bajo,
com' egli vuol supporre, ma alla dottrina cattolica, contrapponeano
il principio, che « « ogni peccato dee esser libero » »; il
nostro C. subdolosamente asserisce [...OMISSIS...] ,
volendo così far credere, che
quella sia un' obbiezione che ponea loro in bocca Bajo, quasi
che dei Pelagiani non fosse veramente; sperando così di cessare
da sè l' odiosità dell' eresia pelagiana nell' uso continuo
che egli fa di quella loro cara obbiezione, siccome fanno
altresì i suoi compagni, affine di poter distrugger sotterra il
dogma del peccato originale, come facevano quegli eretici;
4 Che, dicendo egli che Bajo [...OMISSIS...] ,
senz' aggiungere alcuna spiegazione,
viene ad insinuare, che la dottrina di Agostino sia
appunto quella di Bajo, con ingiuria gravissima a questo santo
Dottore.
La quale ingiuria viene da lui ripetuta più sotto,
dove, volendo dimostrare come Bajo erroneamente risponda
alla detta obbiezion pelagiana, egli non fa altro che riportare
per risposta di Bajo le stesse precise parole di sant' Agostino,
e queste, quasi fossero di Bajo, e contenessero la stessa dottrina
di quel condannato dottore, interpolandole anche di sue
chiose, e riprendendo il Rosmini perchè anch' egli consenta
in quella medesima dottrina che è di sant' Agostino e di Bajo!
Ecco questo brano singolare (avvertasi che le parole che
cominciano, « Frustra putas, etc. » sono di sant' Agostino (1), e
le parole italiane sono del nostro C.):
[...OMISSIS...] .
Questo brano comincia così: [...OMISSIS...]
Ascrive adunque a Bajo quanto vi si contiene.
Ma nel brano non si contiene altro che la soluzione che dà
sant' Agostino ad una obbiezione di Giuliano pelagiano. Dunque
il C. attribuisce a sant' Agostino, che scrive contro i Pelagiani
la precisa dottrina di Bajo; dando torto a sant' Agostino
e di conseguenza ragione ai Pelagiani! (2).
Di poi nelle sue chiose, apposte alle parole di sant' Agostino,
come se fosser parole di Bajo stesso, egli attribuisce
a Rosmini il Bajanismo, perchè egli fa la stessa distinzione
che fece e fa sant' Agostino colla Chiesa cattolica contro gli
eretici pelagiani, la distinzione cioè contenuta, a sentenza del
nostro C., nelle citate parole di sant' Agostino, fra i peccati
liberi, unde liberum est abstinere , e i peccati non liberi, unde
liberum non est abstinere; venendo così a dichiarare infetta
di Bajanismo quella distinzione con cui il campione più grande
della cattolica Chiesa, da tutta la Chiesa seguito in tale materia,
combatte il pelagianismo; e con cui solamente quest' eresia
può essere trionfalmente combattuta! Ora, che cosa è egli
questo, se non un favorire sott' acqua, e difendere l' eresia più
di tutte l' altre terribile a' tempi nostri, il pelagianismo cioè, e
la sua necessaria prole, il razionalismo?
Certo il pretendere o l' insinuare destramente che la
dottrina di sant' Agostino sia quella di Bajo, è quanto un pretendere
che la Chiesa romana, cioè la cattolica, abbia condannato
sè stessa (1). Non poche volte i romani Pontefici dichiararono
solennemente che la santa Sede non tiene altra dottrina
circa il libero arbitrio e la grazia, che quella dell' aquila fra i
dottori. Lo dichiarò il pontefice Ormisda, scrivendo al vescovo
Possessore: [...OMISSIS...] ;
lo dichiarò il pontefice Giovanni II,
scrivendo: [...OMISSIS...] .
Lo dichiarò Clemente VIII quando alle celebri Congregazioni
de auxiliis non prescrisse altra norma, a cui dovessero
riscontrare la sanità della dottrina moliniana, se non quella
della dottrina di sant' Agostino, rendendone per ragioni che da
tal DUCE capitanata ebbe già combattuto e vinto la Chiesa, e
che alla dottrina di lui niente mancava di ciò in cui versavano
le suscitate questioni e finalmente [...OMISSIS...] .
Lo dichiarò infine più recentemente Innocenzo XII
nel celebre suo breve del 6 febbraio 1694 ai dottori di Lovanio,
simigliantemente dicendo di sant' Agostino, che [...OMISSIS...] .
Lo stesso attesta il venerabile cardinal Baronio
circa il professare che fa la Chiesa Romana la dottrina
di sant' Agostino intorno la grazia e il libero arbitrio che lodando
il decreto con cui Clemente VIII prescrive che non si
debba partire dalla dottrina di sant' Agostino: [...OMISSIS...] .
Lo stesso della santa Sede
attesta il Petavio, [...OMISSIS...] .
Lo Suarez finalmente non
dubita di confessare: [...OMISSIS...] .
Onde a ragione dice il Bossuet, che
[...OMISSIS...] .
Ora chi è dunque costui, che, rinnovando gli sfregi
fatti in altri tempi dagli eretici al santo Dottore (3), osa dargli
posto a lato di Calvino e di Giansenio, e affermare mendacemente
parole di Bajo, e in Bajo dannate, quelle che sono d' un
sì grande splendor della Chiesa? Chi è costui, che ingiuria
sfacciato la Sede apostolica nel suo Dottore! Conciossiachè
ella, maestra costante di verità, condannando Bajo, continuò
sempre, giusta la tradizione antichissima in quella prima cattedra
conservata, ad aver Agostino a maestro. Ella se ne dichiarò
altamente, noi n' abbiamo portate altrove le ripetute
dichiarazioni. Deh, che mai possono fare cotesti cozzi contro
la pietra? Che posson fare questi attacchi contro la gloria di
colui, che, vinto dalla grazia un dì, ne glorificò la possanza,
e ne divenne l' umile banditore e a tutto il mondo il maestro?
Del quale ora, dopo quattordici secoli, così Iddio compensando
l' umil suo servo, rinverdiscono l' ossa, e dall' Africa ridimandate
all' Italia vi approdano portate in solenne trionfo a ribenedire
quella terra; e la pastorale sua verga inaridita, rigermogliando,
di freschi fiori, con bel prodigio, si copre (4).
Ma torniamo allo scopo a cui mirano i Teologi razionalisti
in deprimere S. Agostino, e in escludere l' operare
necessitato dell' umana volontà, lasciandole solo l' operar libero,
che è sempre quello d' esaltare indebitamente l' umana natura;
escludendo da lei ogni infezione o vizio originale, vediamo
com' essi frammischiano alla dottrina cattolica diversi errori.
Al C. dà grandissima noia che si chiami co' Padri e coi
teologi della Chiesa, il vizio originale: « una colpa naturale, »
un peccato che s' imputa alla natura umana (1). Le traduce
egli per bajane, e decreta loro il bando come a quelle che
troppo bene esprimono il dogma che si vuole distrutto.
Or che a ciò tenda questo sbandeggiamento delle maniere
più comuni ed efficaci della cattolica teologia, si fa più aperto
da ciò che scrive il nostro C. dal numero XC sino alla fin
del suo Articolo. Quivi si può ravvisare uno studio incessante
d' intessere a sottil trama insieme cogli errori di Bajo le cattoliche
verità intorno all' originale peccato, acciocchè queste
sieno ravvolte, se esser potesse nella stessa condanna di quelli.
Da prima reca in mezzo un brano di Bajo, che contiene
veramente l' errore di riconoscere imputazion ne' bambini,
non perchè il peccato originale era libero in causa, ma perchè
da essi non è contrariato con un atto di loro propria volontà,
[...OMISSIS...] .
Ma incontanente soggiunge a questo un altro brano di
Bajo; [...OMISSIS...] .
Ora qui l' errore trovasi
colla cattolica verità mescolato: questa si contiene nelle
parole di S. Agostino quello nell' abuso, che Bajo ne fa. Separiamo
dunque la cattolica verità annunziata dal S. Dottore,
dall' errore di Bajo, provvedendoci così contro il malizioso artificio
di chi vuol confondere insieme tali cose, per dannarle
entrambi.
La cattolica verità da S. Agostino annunziata si è, che
il male della concupiscenza tiene il fanciullo non battezzato
nella morte dell' anima; e ve lo terrebbe sempre s' egli non
ricevesse il battesimo: [...OMISSIS...] .
La qual dottrina è
insegnata da S. Agostino e ripetuta le mille volte, [...OMISSIS...] .
E la dottrina stessa si contiene nelle parole del sacrosanto
concilio di Trento. [...OMISSIS...] .
Ora se questa è la dottrina cattolica, qual' è poi l' errore
di Bajo? quale l' abuso che Bajo fece delle parole del santo
dottore?
L' errore è indicato in quel QUAPROPTER, col quale comincia
il brano arrecato. S. Agostino dice, il bambino dannato pel suo
proprio peccato: questa è verità. Ma Bajo dice, il bambino
dannato, perchè gli viene imputato a colpa il suo peccato e
gli viene imputato a colpa, perchè quel peccato aderente a lui,
domina in lui senza ch' egli s' opponga al medesimo con un atto
di sua volontà: quest' è l' error condannato. E` sempre l' errore
dell' imputazione , sempre il pretendere, che ogni peccato anche
necessitato sia colpa, è un volere sostituire la colpa al peccato,
un dire che alla COLPA non è necessario il LIBERO: [...OMISSIS...] .
Ora teniamo conto di questa distinzione tra la dannazione
ammessa da S. Agostino e dalla Chiesa, come aderente
al peccato del bambino, e l' imputazione ammessa da Bajo
come aderente allo stesso peccato e non proveniente dalla libertà
d' Adamo che lo commise, e seguitiamo ad analizzare il
ragionamento del nostro C. il quale aggiunge anche un terzo
brano di Bajo, in cui è riprodotta la stessa confusione tra la
verità cattolica della dannazione de' bambini, e l' errore bajano
della imputazione a un principio non libero.
Perduta dunque di vista la distinzione tra la parte
vera e la parte falsa insieme tramischiata dice, che il Rosmini
non sembra veramente appaciarsi con Bajo perchè [...OMISSIS...] .
E certo, quando non si voglia dire altro che questo,
il Rosmini non s' astiene dall' affermarlo; perchè quelle parole,
che [...OMISSIS...]
sono parole non di
Bajo, ma del dottor della grazia; a cui il Signor C. si mostra
tanto nemico da confonderlo sempre cogli eretici. Il dottor
della grazia non altro esprime con quelle parole che un dogma
infallibile della Chiesa.
Sotto il nome di Bajanismo dunque i teologi razionalisti
combattono anche il dogma dell' originale peccato, pel quale
i cattolici credono, che il peccato d' origine detiene in istato
di morte, come dicono le parole di S. Agostino, il fanciullo, e
lo terrebbero nella morte eterna, se non venisse a salvarnelo
il santo battesimo. E` dunque manifesto il reo effetto di stabilire
il Pelagianismo col pretesto di confutare il Bajanismo.
Adesso si vede perchè i teologi razionalisti si perdano in tanti
andirivieni di parole, ed in tante contraddizioni: la coscienza
gli inquieta. Sono arditi perchè non sono soli. Il signor C. è
una cosa col finto Eusebio, di cui si fa patrocinatore, uomo
tanto addentro ne' segreti dell' eterno, da potere scrivere: [...OMISSIS...]
che è appunto l' argomento
di Pelagio contro il peccato d' origine tante volte
ribattuto da quell' Agostino, che con Bajo si vuol confuso (2).
E` una cosa coll' altro anonimo stampato alla macchia di cui
dice, che il libro meriterebbe per avventura di essere più divulgato
e conosciuto (3), anonimo che osa mettere in bocca a
S. Tommaso queste parole: [...OMISSIS...]
colle quali parole viene negato
anche espressamente il peccato originale. Tutti questi, ed
altri ancora vi hanno preceduto, o signor C., a distruggere il
peccato d' origine: e perchè la Chiesa non gli ha ancora repressi
con ispeciale decreto, voi credete che l' abbiano fatto impunemente,
e n' avete assunto, più audace e di lor più maligno,
il patrocinio. Certamente che voi troverete delle simpatie nei
biblici della Germania, e in tutti i razionalisti de' tempi nostri, di
questi tempi orgogliosi che non fanno che esagerare le forze
dell' uomo fino a disconoscere il bisogno ch' egli ha della redenzione,
e del battesimo; troverete delle simpatie ne' deisti e in
tutti gli empi che aspettano, che l' uman genere vada avanti
per la via del progresso, senza Dio, senza battesimo, senza bisogno
di grazia, ma con tutte queste simpatie, da qualsiasi parte
ve le pensiate riscuotere, non giungerete però al fine di contraffare
la parola immutabil di Dio, che affidata specialmente
a Pietro dee conservarsi intatta sin alla fine dei secoli. Or
questa parola è stata quella che ha detto, [...OMISSIS...] ,
e però il peccato d' origine [...OMISSIS...] ,
come dice non Bajo, ma la Chiesa. [...OMISSIS...]
le parole son dette allo stesso proposito da
S. Agostino, [...OMISSIS...] .
Prosegue quindi collo stesso argomento ad investire
non noi, ma la Chiesa, perchè ammetta, che sieno detenuti
nella morte del peccato i bambini non battezzati, in questo
modo:
[...OMISSIS...] .
Che accusa è questa? Il dire « a seguitare Bajo anche nel
materiale delle parole »suppone già provato per innanzi, che
Bajo sia stato seguito nel formale, cioè ne' suoi sentimenti. E
in quella da voi fu provato, che il Rosmini ammette colla
Chiesa, che [...OMISSIS...] ,
che gli attribuì la dannazione, anche
eterna se non vengono redenti dal Salvator col battesimo. Dobbiamo
dunque dirgli di nuovo, come S. Agostino a' Pelagiani.
[...OMISSIS...]
(2).
Ma se il teologo che esaminiamo come un tipo dei
teologi razionalisti, attaccò questo dogma, sotto specie, che
contenga il formale della bajana eresia, ora quali argomenti
adduce poi a provare, che il Rosmini abbracciandolo, seguita
Bajo anche nel materiale delle parole?
Primo argomento: che egli cita, è il testo « regnavit mors » di
S. Paolo. Anche con S. Paolo se la prendono. Anche S. Paolo
pute di bajanismo?
Secondo argomento: che [...OMISSIS...]
Il che suppone che sia un seguitar Bajo lo
spiegare S. Paolo con S. Agostino dalla santa sede seguito. E
quello che il Rosmini ha mostrato con S. Agostino, l' ha egli
mostrato bene o male? Se male, perchè non lo dite accennando
dove stia il difetto? Se bene, perchè togliete a riprenderlo?
[...OMISSIS...]
quasichè il dire
coll' apostolo, che negli uomini tutti che nascono vi ha peccato
abituale e originale, vi ha dannazione, se il Salvator non
la toglie, sia un errore, a cui sia bisogno soggiungere un
correttivo, quand' egli è pure il dogma fondamentale del cristianesimo,
quello che voi in tutt' i modi vorreste distruggere.
Colla stessa astuzia dice poco appresso, che [...OMISSIS...] .
Nessuno, se è cristiano cattolico, dirà mai, come fingono costoro
di temere, che le cose da voi riprese come infette di
Bajanismo, sieno semplicemente innocue, quasichè indifferentemente
si potessero o ammettere o rifiutare; e molto meno
nessuno dirà, che sieno punto o poco malvagie; ma ogni cristiano
cattolico dirà, che sono di fede; che il dichiararle
malvage è un proscrivere ciò che crede la Chiesa; e il far
loro grazia di chiamarle innocue, è una maniera degna di
chi vuol seminare di coperto la rea dottrina. Pelagio appunto
soleva usar questa tattica, di far credere che fossero mere
opinioni quelle ch' erano punti di fede.
Nel numero, che viene appresso (1), pigliando a ricapitolarsi,
il C., riproduce la confusione tra la dannazione
annessa al peccato originale ne' posteri, per sentenza della
Chiesa, coll' imputazione , riferita al bambino in vece che al
libero autor del peccato, nel che sta l' errore di Bajo.
E dopo aver detto, come Bajo stabilì, che a costituire
l' essenza del peccato non è necessaria la libertà, senza
punto aggiungere, che la libertà è solo necessaria a costituire
il peccato7colpevole, e che per aver questo negato, Bajo incorse
nella condanna; dopo aver detto ancora, come Bajo
considerò la macchia d' origine per vero peccato, non riferendolo
alla volontà libera del primo padre, anche qui, senza
aggiungere, che Bajo errò perchè parlava di colpa, la quale
non può stare senza riferirsi alla sua causa, soggiunge:
[...OMISSIS...] .
Ecco attribuito di nuovo a Bajo, quel che è della Chiesa
cattolica. Sono i soli pelagiani quelli, che il negano. [...OMISSIS...] ,
così scriveva appunto contro i Pelagiani S. Agostino, [...OMISSIS...] .
Laonde
la Chiesa riconosce la necessità del battesimo de' bambini,
acciocchè evitino la condannazione del peccato e la morte
eterna, e però nel corpo stesso del D. Canonico trovasi registrato
questo luogo di S. Agostino, [...OMISSIS...]
e quell' altro ancora: [...OMISSIS...] .
Perchè dunque dichiarare bajana la dottrina, che fa i bambini
soggetti all' eterna condannazione se non vengono rigenerati?
perchè togliere così la necessità del battesimo? perchè
adulare in tal modo l' umana natura? perchè ingiuriare alla
redenzione, ed alla grazia di GESU` Cristo sotto coperta di
difendere la cattolica fede?
E veggasi inesausta astuzia! Dopo aver posta la
questione [...OMISSIS...]
quasichè
questa fosse la dottrina di Bajo e non della Chiesa, soggiunge
immediatamente: [...OMISSIS...] .
Egli vuol dunque far credere,
che l' Accademia della Sorbona, abbia involto nella riprovazione
la dottrina della Chiesa intorno alla condanna annessa
al peccato d' origine ne' bambini! Ma la frode riuscirà troppo
palese a ciascuno, che ponga mente alla connessione delle
sue parole e alla sconnessione dei sensi: quel perciò , col
quale egli passa ad annunziare la censura della Sorbona, non
attacca colle parole precedenti; e la conseguenza al tutto
discorda dalle premesse. Nelle premesse c' è la dottrina della
Chiesa intorno alla condanna, che trae dietro a sè necessariamente
l' originale infezione, e quindi la necessità del Battesimo
per la salute [...OMISSIS...] :
nella conseguenza c' è la condanna
della dottrina erronea intorno al poter demeritare nello stato
di natura decaduta con atti necessari [...OMISSIS...]
dottrina appartenente
all' imputazione, e non alla semplice dannazione: e
di più riguardante atti di peccato distinti dall' originale, nel
quale il bambino non peccat , nè egli è peccante, come dicono
i teologi, benchè sia peccatore. Costante è dunque la
mira, a cui collimano tutti i sofismi di cotesto occulto scrittore;
ed è perfettamente la stessa degli altri occulti dommatizzanti:
fingono d' assalire una persona particolare, per assalire
la fede di Cristo; la falsità, e le astutezze sono le medesime:
si vuol distrutto il dogma che tanto oggidì pesa alla superbia
degli uomini e che è la base della Cristiana umiltà, quello
dell' originale peccato.
Al qual tristo intendimento, affin di pescar sempre nel
torbido, confonde di nuovo sformatamente le idee. Poichè egli
espone l' errore di Bajo, dicendo che [...OMISSIS...] .
A cui la Chiesa risponde:
Siete voi stesso in errore, e in error gravissimo Signor C. così
ragionando.
Nella proposizione XLVI che voi citate [...OMISSIS...] ,
la chiesa decise
che è necessaria la libera volontà a costituire una COLPA;
nella proposizione XLVII, che [...OMISSIS...] ,
la Chiesa decise conseguentemente,
che il peccato de' bambini, non può essere considerato
come una COLPA, se non si riferisce alla libera volontà
d' Adamo che lo commise.
E perchè dunque confondete la colpa, il peccato, la pena
del peccato? perchè attribuite quel che disse la Chiesa della
colpa alla pena del peccato? Con questa vostra fallacia, venite
a proscrivere la dottrina della Chiesa coll' autorità della
Chiesa.
Se dunque debbo ripetere quel che ho già detto, sappiate
che nell' uom che nasce vi è la pena del peccato , ed il
peccato (che è insieme una pena) distinto numericamente da
quel d' Adamo. Il peccato poi essendo necessario e non libero
nel bambino appunto come una lepra od altro mal fisico, non
è colpa in se stesso, come voleva Bajo; ma la qualità di colpa
gli s' applica, considerandolo siccome effetto della libera volontà
d' Adamo « in quo omnes peccaverunt »: Questa è la riprovazione
della dottrina bajana, la quale riguarda la colpabilità,
e non il peccato ne' pargoli. Ma qual è poi la riprovazione
della dottrina della Chiesa che fate voi, Signor C.? Si è il
pretendere, che il peccato ricevuto da' bambini, benchè in essi
necessario e non libero, non tiri dietro a sè la conseguenza
penale della dannazione e della morte eterna. Vedete dunque,
che tra la dottrina che condannate voi per bajana, e la dottrina
che condanna la Chiesa, vi ha tanta distanza quanta ve
n' ha appunto tra la dottrina infallibile della Chiesa, e la dottrina
erronea di Bajo e di Pelagio.
Il che si vedrà ancor più chiaramente distinguendo
queste due questioni.
1 Prima questione riguardante la penalità (il male eudemonologico)
annessa al peccato:
Quale è la cagione prossima della dannazione de' bambini
non rinati? - E la Chiesa risponde: « non il peccato
d' Adamo, ma il peccato lor proprio ad essi inerente, il qual li
perde « tantummodo quod inest », come l' esprime non Bajo, ma
S. Agostino.
2 Seconda questione riguardante l' imputazione a colpa
del peccato de' bambini:
Come si può giustificare la divina giustizia pel peccato ereditario,
e per la pena che trae seco ne' fanciulli non rinati? -
E la Chiesa risponde: convien ricorrere alla colpa del primo
padre, da cui fu liberamente il primo fallo commesso, cagione
vera di tutto il resto.
Illustriamo l' una e l' altra risposta con delle ecclesiastiche
autorità.
Dice la prima che la pena a cui i bambini non rinati
soggiacciono è conseguenza del peccato loro inerente .
Quest' è ammesso da tutti universalmente i teologi della
cattolica Chiesa i quali per ispiegare la pena a cui soggiacciono
quanti individui dell' umana specie son generati, (eccettuata
sempre MARIA Santissima) non ricorre già di colpo al
peccato d' Adamo, ma al loro proprio peccato per vizio di generazione
da essi contratto (1): ed anzi dalle penalità, che essi
soffrono, traggono argomento a conchiudere, che in essi stessi
ci dee avere un peccato non certo commesso con libera volontà,
ma per necessità di natura ricevuto.
Il santo Dottore suscitato da Dio nella Chiesa ad umiliare
la pelagiana superbia, così appunto argomentava contro
questi eretici razionalisti: [...OMISSIS...] .
Trovava dunque giusto il gran Padre che conseguitasse
la penalità a quel peccato, che era ne' bambini, numericamente
distinto dal peccato di Adamo, a quel peccato che essi non
avevano commesso per proprio volere, ma nella propria volontà
per natura aveano ricevuto, e ciò perchè mal morale
e mal fisico, secondo l' ordine delle idee dell' eterna giustizia,
debbono sempre trovarsi insieme. Altra volta diceva, che sono
puniti i bambini pel peccato d' origine non in quanto è altrui
(e intanto è colpa), ma in quanto è proprio (e intanto è morale
infezione): [...OMISSIS...]
(dove sta la necessità). E se non fosse così, dic' egli, le penalità
a noi applicate non avrebbero la sua ragione, non
bastando che Adamo abbia peccato, se non abbiamo peccato
anche noi in lui, senza nostra volontà, cioè in quanto eravamo
individui che dovevamo germinare da lui per naturale
generazione. Onde prosegue: [...OMISSIS...] ,
ed altrove incalza
i Pelagiani nuovamente dicendo, [...OMISSIS...] .
La qual dottrina si ripete da S. Tommaso, il quale si
fa l' obbiezione, che se i bambini sono puniti pel peccato di
Adamo, il sarebbero pel peccato altrui, non per il proprio, e
così vi avrebbe ingiustizia. A cui risponde quello stesso, che
avea risposto prima il Dottor della grazia, esser essi puniti
pel peccato proprio, per quel peccato che in loro trasfuso per
generazione sta loro inerente (2). Onde gli autori dell' opera
intitolata « « Concordantiae dictorum et conclusionum D. Thomae
de Aquino » » vedendo che talora il santo dichiara il peccato
d' origine volontario in Adamo, ed è in que' luoghi nei
quali il considera come colpa , e talora il dichiara volontario
anche ne' posteri, ed è in que' luoghi ne' quali il considera
come semplice peccato, a togliere quest' apparente contraddizione,
ed a conciliare il Santo dottore seco medesimo, rispondono:
[...OMISSIS...] .
Il che premesso, tolgono via l' obbiezione dall' ingiustizia
della penalità soggiungendo: [...OMISSIS...] .
E nel vero, sarebbe inesplicabile, come per la sola
colpa d' Adamo potessero soggiacere i posteri al male fisico,
qualora essi stessi non ricevessero in sè il mal morale, posto
il quale, quello dee venir dietro come appendice. E non è
egli un assurdo manifesto il supporre che i bambini che nascono
non sieno corrotti, come vogliono gli scrittori, che rifiutiamo,
ne' guasti nella volontà (4); e voler che debbano
tuttavia scontar la pena, non già pel proprio peccato, ma
solamente per la colpa del primo padre a loro resa comune?
Che giustizia ci avrebbe qui? [...OMISSIS...] ,
dirò anch' io con S. Agostino, [...OMISSIS...] .
Se dunque viene imputata la colpa prima a' posteri,
ella non vien loro imputata, se non perchè in essi passa il
peccato, il morale disordine: [...OMISSIS...] , mi continuerò col
medesimo santo, [...OMISSIS...] .
Non
già che l' anime de' posteri fossero in Adamo peccante; ma vi
erano i semi carnali, che doveano poi, per la generazione,
infettare moralmente l' anime intellettive che avrebbero avvivati
i corpi separati da quel d' Adamo.
Quelli adunque i quali pretendono che le penalità a
cui soggiacciono gli uomini non sien sequele del loro proprio
peccato, ma sol della colpa Adamitica, e che, come fa il
nostro C., condannano, per erronea quella dottrina; mirano
direttamente a distruggere il peccato originale trasfuso nei
posteri; perchè lo rendono inutile a spiegare i mali, a cui gli
uomini vanno sommessi, riputandoli questi alla sola colpa di
Adamo, senza bisogno d' altro intermezzo (3). Egli è dunque
il Pelagianismo, che sordamente introducono cotestoro, quel
Pelagianismo che tentò di continuo introdurre nella casa di
Dio il serpentino suo capo, e che cercò d' entrar per ogni
fessura del tempio strisciandosi e contorcendosi; ma tutto
indarno fin qui.
Ecco a ragion d' esempio siccome Ugone Vittorino
descriveva a' suoi tempi la stessa rea opinione, che ora si riproduce
nel cuor d' Italia, [...OMISSIS...] .
- Anche il nostro C. confondeva poco
fa la dannazione che è la pena dovuta, col peccato a cui è
dovuta; e ciò che decise la Chiesa del peccato, l' applicava
alla dannazione pena di lui. Andiamo avanti, e sentiamoli a
parlare anche con un po' più di coerenza del nostro C. [...OMISSIS...]
Non possono
cioè, disconfessare, che questo è un distruggere il peccato
originale. Ne ammettono però l' imputazione posticcia e senza
base, come fanno i moderni razionalisti, e dicon con essi: [...OMISSIS...] ,
cioè
distruggono del tutto il peccato colla solita ragion pelagiana.
Nondimeno, non hanno essi coraggio d' escludere il nome del
peccato simili anche in ciò a' nostri. [...OMISSIS...]
Ma ne andrà ella soddisfatta la Cristiana
teologia? Il grand' uomo, che noi citiamo, giudica risolutamente
di no, e il giudica colla Chiesa: [...OMISSIS...] .
Laonde anche S. Paolo dice, che la morte entrò nel
mondo, perchè prima v' era entrato il peccato; sicchè quella
in ciascun uomo è effetto immediato di questo, non del peccato
originante, ma dell' originato; e il sacrosanto Concilio di
Trento, dopo altri Concili definì; che ne' posteri d' Adamo non
entrarono solo le penalità del peccato; ma il peccato stesso
fondamento di quelle (1); perchè quantunque il peccato passato
ne' bambini non sia libero; tuttavia è un morale disordine,
che trae naturalmente seco anche il fisico.
Aggiungerò una prova che ci somministra la ragione
teologica. S. Tommaso, e dopo lui un gran numero di teologi,
opinano, che i bambini che muoiono senza battesimo
sieno privi della pena del senso, soggiacendo solo alla pena
del danno. E, onde raccolgono questa lor conclusione? Se si
pon mente al modo del lor ragionare, non da altro, che dalla
condizione del bambino. Non gli attribuiscono cioè una pena
adeguata al peccato colpevole di Adamo, che sarebbe pena
di danno e di senso insieme, ma adeguata al peccato suo proprio.
E` dunque chiaro, che considerano la pena non come
un' immediata sequela della colpa del primo padre, ma del
peccato messo in essere nel fanciullo coll' atto della generazione.
Lo stesso si argomenta dal chiamarsi minima dai Dottori
e non già nulla, la malizia del peccato originale del bambino
(2); e dall' indurre che fa quindi S. Agostino, che dee
esser minima altresì la sua pena (3). Se al bambino fosse applicata
la colpa d' Adamo, nè minima la malizia sarebbe, nè
minima pur la pena. Nè si può dire, che glien' è applicata una
parte e non tutta; poichè o di tutta dovrebb' egli esser reo
o di nulla. Che se non c' è ragione d' applicargliela tutta, dunque
nè pure una parte. Il che conferma quanto sia falso il
sistema de' nostri Anonimi, che senza riconoscere nel bambino
alcuna inordinazione, pensano di ricorrere ad una semplice
relazione con Adamo (cosa d' altra parte al tutto mentale), ad
una estrinseca imputazione, la quale se valer potesse, o dovrebbe
aggravarlo di tutta la colpa Adamitica, o pure di nulla.
Ora veniamo all' altra questione - come si possa giustificare
la divina giustizia; della condizione dei bambini. In
quanto al mal penale, l' abbiamo veduto giustificato pel peccato
passato in essi. Rimane dunque la dimanda: come i fanciulli
senza atto di libera loro volontà debbano ricevere il
peccato? Rispondesi, che questo peccato passa per generazione,
e che [...OMISSIS...] , (così scrive Raimondo Sabunde),
[...OMISSIS...] .
E` dunque una
cotal legge della natura, che il corpo del generante corrotto,
generi un corpo corrotto, e che il corpo corrotto attragga a
se l' inclinazione della volontà essenziale, onde l' uomo da quell' ora
non è più atto a tener la bilancia della giustizia in molti
de' suoi giudizii, ne' quali il ben sensibile viene a collisione col
retto e col giusto; il che è mal morale, e peccato, se trovasi
così piegata la stessa punta dell' anima sede dell' umana persona.
Ma non poteva Iddio impedire questo effetto necessario
e dalle leggi stesse della natura e della generazione, procedente?
Potea, ma nol fece per giusto gastigo (oltre la gloria
della sua misericordia, che ne volea trarre per la redenzione).
Or qui ricorre l' imputazione, e la pena dovuta alla colpa. Era
dovuto al colpevole Adamo ch' egli fosse lasciato col guasto
di sua natura: questo guasto di sua natura, giustamente lasciatogli,
si propagò ne' posteri, non già per miracolo, ma da
se stesso, e così si propagò necessariamente, insieme la primitiva
giustissima punizione: e i posteri si trovarono ravvolti
nella pena del primo lor padre, la quale affettava giustamente
quella natura che il primo padre, e poscia i figliuoli di lui
di mano in mano per generazion propagavano. Onde si dicono
colpevoli [...OMISSIS...] , dice S. Tommaso, [...OMISSIS...] .
Dove si osservi bene, che la colpa personale d' Adamo
è già tolta interamente: non esiste più. Che cosa è dunque la
causa efficiente, che mette in essere il peccato ne' posteri? Non
la stessa colpa d' Adamo che operi immediatamente in essi, la
quale non può operar, non essendoci; ma è la pena d' Adamo,
effetto della sua colpa, che in lui generante rimase; cioè, è il
guasto fisico di sua natura, che comunicò generando alla stirpe
e con esso surse il guasto morale. Laonde non si trasfonde immediatamente
la colpa d' Adamo di padre in figlio, quasi che sia
la colpa come un liquore che travasar si possa di vaso in
vaso; ma sì la pena per dirlo di nuovo, è la natura guasta
che si travasa; ond' anco i giusti generano de' peccatori, perchè
in sè portano ancor la pena: [...OMISSIS...] , come dice
S. Agostino, [...OMISSIS...] :
il che
viene a dire: « Perciò il giusto genera de' peccatori perchè la
generazione non è già un atto della giustificata persona, ma
è un atto della corrotta cioè giustiziata natura. »Ma ereditando
la pena del peccato, cioè la natura guasta; questa mette
in essere il peccato nel nuovo individuo, l' inordinazione del
corpo traendo seco un' inordinazione nell' anima (3), nella stessa
volontà personale, dove ogni guasto è morte, e giustamente
s' appella dalla Chiesa peccato: colpa poi in quanto quella
inordinazione si considera come una cotal continuazione ed
estensione dell' atto libero, con cui Adamo prevaricò, del quale
è veramente effetto.
Ecco dunque come tutti i mali morali e fisici dei
posteri hanno veramente la prima loro ragione e giustificazione
nella libera colpa di Adamo, ma tenendo tuttavia tra loro
quell' ordine, che l' Apostolo nella sua lettera a' Romani accuratamente
descrive dicendo: [...OMISSIS...] ,
è il primo anello, la colpa di
Adamo, che introduce nel mondo il peccato, il quale così
passato ne' posteri forma il secondo anello: E viene a dire:
Non è più la colpa d' Adamo, ma è il peccato già introdotto
nel mondo per la colpa d' Adamo quello che introduce le
penalità a sè dovute, tra le quali principale è la morte: [...OMISSIS...] ,
le quali ultime parole ci richiamano all' origine,
cioè esprimono la congiunzione de' due estremi anelli la morte
e la colpa del primo padre, mediante l' anello di mezzo, il
peccato ne' posteri.
L' attribuire dunque al peccato inerente ne' bambini la
dannazione, non è mica un negare che il loro proprio peccato
sia una pena della colpa Adamitica, la quale riman sempre
come la suprema ragione di tutti i mali della misera
umanità (2).
E qui potrei cessarmi dal parlare di ciò che dicono
i nuovi teologi contro l' antica e costante dottrina della Chiesa
circa il peccato d' origine, se lo scopo di questo scritto, che è
di metter riparo, quanto per me si possa, o più tosto d' eccitare
altri maggiori di me per autorità e per dottrina a metterlo,
al pericolo del razionalismo che assai tempo minaccia
d' invadere le nostre scuole di teologia, non mi tirasse a fare
un cenno della più vicina origine ch' ebbe in Italia quel
sistema che agli occhi nostri distrugge l' originale peccato.
L' articolo, intorno al peccato originale inserito da
Alessandro Zorzi nel suo « Prodromo della nuova Enciclopedia
Italiana », Siena 1779, quando uscì riscosse l' attenzione, e
meritò la censura di gravi teologi. Ma sopravvenuta la morte
dell' autore, e le guerre, rimase dimenticato ai più. Ora si può
dire che i più moderni teologi razionalisti ritraggono da quell' articolo
del Zorzi senza però mai citarne il fonte, benchè
ne copiino le espressioni e le parole.
Dicevo, che de' gravi teologi ripresero quell' articolo
giudicandolo distruttivo del dogma, e n' accennerò in prova il
Zovetti ed il Cesari (1), il quale nella vita di Clementino Vannetti
amicissimo al Zorzi, di cui anche scrisse la vita, narra
questo fattarello col Vannetti appunto avvenutogli: [...OMISSIS...]
Abbiamo
qui dunque il giudizio uniforme di tre dottissimi uomini del
Cesari, del Zoretti, e del Vannetti: udiamone un quarto e
sarà Alfonso Muzzarelli (2).
Quest' uomo distinto scrisse un Opuscolo (3) a posta
per confutare il sistema de' nostri teologi intorno al peccato
d' origine, e vi s' introduce con queste parole: [...OMISSIS...]
Passa poi a provare l' erroneità della sentenza dei
nostri Anonimi, che il peccato originale non sia, se non « « una
pura privazione dei doni indebiti alla natura umana » » ed ecco
alcune delle sue ragioni:
1 Sparirebbe la difficoltà d' intenderne la natura, difficoltà
riconosciuta da tutti i padri: [...OMISSIS...] .
2 In quella definizione non si riscontra la nozione di
peccato e di colpa. Egli distingue queste due nozioni e prova
che il peccato originale ne' bambini dev' esser vero PECCATO;
poi passa a provare che dee esser vera COLPA; e che tal non
sarebbe con quella definizione.
[...OMISSIS...]
5 E` riprovata da' sommi teologi come eretica l' opinione
del Cattarino e del Pighio. Dunque anche quella degli anonimi
nostri [...OMISSIS...]
Con queste ed altre ragioni il Muzzarelli rifiutava
l' opinione del Zorzi e de' nostri più moderni, intorno al peccato
d' origine. La quale fu immaginata per buon fine a
principio, cioè per allontanarsi via più dal Giansenismo, da
cui gli autori di essa non vedeano come meglio proteggere
se stessi e gli altri, che inventando un nuovo sistema, e difendendol
poi con tutta la sottigliezza e lo zelo che ispira
l' odio dell' errore in chi crede. Ma a farli eccedere dall' opposto
lato contribuì: 1 il non cogliere essi il vero senso, in
cui furono proscritte alcune proposizioni di Bajo, e 2 il non
saper trovare risposta nell' antico sistema contro a ciò, che
era veramente in quelle proposizioni proscritto. Vediamo l' una
cosa e l' altra ad un tempo.
I Il Zorzi cita la proposizione LXXIX di Bajo, Falsa
est doctorum sententia primum hominem potuisse a Deo
creari et institui sine justitia naturali intendendola di una
giustizia veramente naturale, senza riflettere, che Bajo chiamava
naturale la giustizia soprannaturale e che per questo
fu condannata (1).
Il Zorzi del pari cita la proposizione LV di Bajo [...OMISSIS...] ,
intendendola materialmente, mentre egli è certo che
la Chiesa non altro proscrisse in essa, se non l' errore, che
Iddio non avesse potuto creare l' uomo nell' ordine meramente
naturale, come ho altrove mostrato. [...OMISSIS...]
II Il Zorzi teme, che ponendosi nel bambino, che
nasce una positiva avversione da Dio, che noi dichiariamo per
togliere ogni equivoco: « « un atteggiamento ritroso al bene ed
a Dio e pendente al male ». ( Tratt. della Coscienza f. 37) » il
che esprime meno di un' avversione positiva, frase usata da' teologi,
ne avverrebbe che giunto all' uso della ragione dovrebbe
odiare attualmente Iddio, che è la proposizione di Bajo: [...OMISSIS...] .
Ma la conseguenza
è falsa se « « l' avversion da Dio » » s' intenda, come la intendono
i teologi cattolici. Un « « atteggiamento ritroso al bene » »
è meno di un abito vizioso (1). E pure nè anche un abito
vizioso toglie il libero arbitrio, come ottimamente prova S. Tommaso
(1); quanto meno un semplice atteggiamento della volontà
verso il ben sensibile disordinato. Nè ell' era già sfuggita
all' angelico quell' obiezione (il che conferma, d' altra parte,
che per l' avversione che ponea nel peccato originale egli intendea
qualche cosa di positivo), ma se l' era sciolta dicendo,
che l' avversione in cui quel peccato consiste non necessita
di peccar sempre, ma sol qualche volta (2), se non soccorre
la grazia. Il Rosmini poi aggiunge un' altra risposta, poichè,
distinta prima la volontà dal libero arbitrio , dimostra che
questo può dominare su di quella, anche se quella è naturalmente
male atteggiata e disposta «( Antropol. L. III, c. ., e 10) ».
Si teme ancora, che col porsi il peccato d' origine in
una positiva avversione da Dio, sembri che esso si riponga
nella concupiscenza, la quale è di fede non esser peccato dopo
il battesimo. Ma perchè schifano tali teologi di definir chiaro
ciò che si deva intendere per concupiscenza? Certo se con tal
parola s' intende semplicemente « la facoltà d' appetire il bene
sensibile »; come talun d' essi la definisce; anzichè peccato,
ella è cosa buona e non solo potea essere nello stato di mera,
ma sana natura, ma vi fu anche nello stato di grazia, in cui
fu Adamo costituito. Se poi s' intende un vizio nella facoltà
d' appetire il bene sensibile, non ancora può stare in essa propriamente
il peccato, poichè la speciale facoltà d' appetire il
bene sensibile, non è la volontà e quindi non è la sede del
peccato. Se poi s' intende per concupiscenza un vizio inerente
alla facoltà d' appetire il bene in generale, in tal caso si dee
distinguere. O questa facoltà si considera nella suprema sua
parte; (cui per distinguere da ogni altra attività, il Rosmini
chiamò volontà personale ), o si considera nelle sue parti, inferiori
alla suprema.
In queste non può stare il peccato. Nella suprema poi è
ancora a distinguersi. Il vizio che la inclinava ad appetire
eccedentemente il bene sensibile, servendo così alle potenze
inferiori è ciò che S. Tommaso considera come la parte materiale
del peccato d' origine e tien luogo di conversione alla
creatura; ma questo stesso vizio in quanto è avversione da
Dio, cioè in quanto è alieno dall' ordine morale costituisce il
formale del peccato originale; e qui è dove S. Agostino ripone
il reato della concupiscenza, la quale avversione da Dio
viene tolta e annullata interamente dalla grazia battesimale,
che ricongiungendo l' uomo al Creatore, gli dà una nuova volontà
o potenza suprema di volere il bene soprannaturale e di
dominare sulle potenze inferiori.
Ma su questo torneremo più avanti.
Passiamo a vedere come il Zorzi si persuade di dimostrare
il nuovo sistema, e ciò che dico del maestro si può
applicare a' discepoli. Egli ci adopra autorità e ragioni.
Quanto alle autorità, egli ne ha tante, che dopo aver detto
che « « i buoni teologi dietro la scorta di S. Tommaso » » convengono
nell' accordare ai bambini morti senza battesimo una
natural beatitudine, e, dopo avere esposta questa natural beatitudine
in tre proposizioni, soggiunge: [...OMISSIS...] .
Queste sono le solite frasi de' teologi razionalisti, non certo
scrupolosi in punto di veracità.
Egli è vero, che giocano di sottigliezze affine di tirare
i testi del Concilio di Trento, e di S. Agostino principalmente,
ad un senso alienissimo dal vero, dall' ovvio, da
quello che ad ogni uomo di buona fede corre tosto alla mente.
Una di queste sottigliezze si è il pretendere, che quando il
sacro Concilio con S. Agostino parla d' un decadimento, e d' un
guasto dell' uomo che nasce, debbasi SEMPRE intendere d' un guasto
relativo allo stato soprannaturale in cui fu Adamo costituito,
non d' un vero guasto della natura umana in se stessa considerata.
A dar valore a tal sistema, recano in mezzo qualche parola
del Concilio, o qualche lineuzza di S. Agostino, che da sè sola
sarebbe suscettibile dell' una e dell' altra interpretazione, usando
poi la mala fede di dissimulare i passi più chiari, e di lasciar da
parte il contesto di ciò che precede e che sussegue ne' passi
dubbi, i quali, considerati nella serie de' concetti, cessan per lo
più di esser dubbi. Essi vi arrecheranno quelle parole del Concilio
in cui si definisce, che Adamo perdette per sè, e per noi,
l' innocenza, la giustizia, la santità; e tosto conchiuderanno:
[...OMISSIS...] .
Ma in primo
luogo, altro è l' innocenza e la giustizia e altro è la grazia
santificante: altro è la colpa e l' ingiustizia , ed altro la perdita
della grazia : questa è una conseguenza di quella, non più.
In secondo luogo, perchè tacere, che il Concilio dopo aver
detto d' Adamo [...OMISSIS...] .
Si dirà dopo di ciò, che l' uomo col primo peccato sia decaduto
solo rispetto all' ordine soprannaturale in cui fu costituito,
ma rispetto all' ordine naturale? E` ella dunque cosa conforme
alla natura dell' uomo, l' esser esso soggetto all' ira ed all' indegnazione
di Dio? Si dovrà considerar l' uomo in stato d' intatta
natura, benchè sia schiavo del demonio? O il demonio
lascerà intatti quelli che gli sono dati in balía come schiavi?
Apparterrà alla pura natura il servire al diavolo? O si potrà
dire che sia peggiorato tutto l' uomo (TOTUMQUE ADAM), se la
natura dell' uomo nulla ha sofferto, nulla perduto, non avendo
perduto nulla del suo, ma solo toltole il vestimento de' doni
a lei superiori?
Appresso, il Concilio dice che Adamo dopo il peccato (ancorchè
si sia convertito) l' uomo rimase macchiato, inquinatum
illum; ora, la natura umana per essere nuda e sola, è ella
per questo macchiata? Dichiara ancora, che Adamo trasmise
a' posteri non solo la pena, ma anche il proprio peccato. E
in Adamo, il peccato fu egli la sola perdita della grazia? Cessando
l' atto peccaminoso d' Adamo, non restò alcun altro male
in lui, se non tale privazione? Ma che è mai la privazione
della grazia se non una pena e conseguenza del peccato, e
non il peccato? Ora Adamo non trasfuse le pure pene; ma
il peccato stesso. M' andrei troppo a lungo, se volessi tutto analizzare
ciò che dice intorno a ciò il Concilio di Trento, che
quasi ad ogni parola fa intendere, quanto l' uomo sia rimasto
degradato sotto l' ordine naturale; non essendo cosa, che più
intacchi e guasti LA STESSA NATURA del peccato.
Quanto poi a S. Agostino, dice che NON SEMPRE parla
del decadimento dell' uomo in rispetto al suo stato soprannaturale;
spesso anzi parla di un decadimento e di un guasto
assoluto, che intacca la natura, e questo è indubitato. Quando
scriveva contro i Pelagiani, che ammettevano le divine scritture,
a convincerli dell' esistenza del peccato originale, egli
usava dell' uno e dell' altro argomento; cioè provava il peccato,
in cui l' uom nasce 1 sì dal confronto tra lo stato presente
dell' umanità, e quello in cui la divina scrittura ci dipinge
costituito l' uomo da Dio a principio; e 2 sì dal confronto
tra lo stato presente, e ciò che la natura stessa dell' uomo
addimanda per non esser monca e deforme, qual non potrebbe
mai uscire dalle mani di Dio. All' opposto qualora egli pugna
co' Manichei, che non ammettevano le scritture, usa solo questa
seconda maniera d' argomentare, come sola loro adattata. Quantunque
poi già nella « Dottrina del peccato originale » abbiamo
recati de' luoghi di S. Agostino attissimi a convincere chicchessia,
che il Santo dottore riguarda il presente stato dell' uomo
siccome guasto e corrotto anche rispetto all' ordine naturale,
tuttavia non sarà inutile che aggiungiamo due altri
argomenti, atti a finire ogni question sulla mente di S. Agostino
intorno alla qualità del guasto, che di presente trae seco
l' umana natura. Il primo si è che S. Agostino non crede che
si possa rispondere a' Manichei, i quali dimandano perchè l' uomo
nasca soggetto a tanti mali, cioè dimandano: [...OMISSIS...] ,
non crede, dico, potersi rispondere a queste domande de' Manichei,
se non ricorrendo al peccato originale (1). Il che mostra
chiaro, ch' egli giudicava che Iddio non avrebbe mai potuto
creare con un tal guasto la natura umana, come gl' Anonimi
nostri pur vogliono sostenere; e sfida i pelagiani di risponder
validamente, senza ricorrere al peccato d' origine, all' istanza
de' manichei, [...OMISSIS...]
I razionalisti
moderni più audaci degli antichi pelagiani, rispondono
a questa sfida dicendo, che tali cose non sono propriamente
mali, ma conseguenze necessarie della natura umana.
Ma S. Agostino non credeva possibile, che gli eretici del suo
tempo avesser fronte da rispondere così, esponendosi alle
fischiate di tutto il mondo, onde gli invita a produrla se ne hanno
l' animo, così loro dicendo: [...OMISSIS...] .
Il dire adunque che il guasto con cui nasce
al presente l' individuo umano potesse trovarsi in un uomo
creato così da Dio, ell' è cosa, secondo S. Agostino, da ghignate
di fanciulli e da sardelle; e tuttavia ell' è degna de' teologi
nostri, tanto men verecondi di quegli antichi pelagiani.
Il secondo argomento, io lo traggo da tutti que' luoghi, e sono
moltissimi, di S. Agostino, ne' quali egli prova l' esistenza del peccato
d' origine dal sentimento del pudore, costantemente affermando,
che ciò di cui l' uom si vergogna, non potrebbe mai
essere opera stessa di Dio (3); argomento che non avrebbe forza,
qualora fosse vero, come vogliono i nostri moderni teologi,
che Iddio avesse potuto creare l' uomo con tutto il guasto
ch' egli porta di presente dal suo nascimento. Questi due tra
gli altri argomenti moltissimi convincer possono della vera
mente di S. Agostino, a cui s' attiene la sede Apostolica, tutti
gli uomini di buona fede. Ciò nondimeno i teologi inclinati al
Razionalismo giunsero a mettere il pudore fin nel Paradiso
terrestre! Così fecero i P. P. Arduino, e Berruyer; e così fanno
ora dopo di loro, i razionalisti biblici della Germania, e così
fanno e devono fare tutti quelli che interpretano malamente
la condanna della proposizione 55 di Bajo; [...OMISSIS...] .
Le autorità di S. Tommaso (1), del Gaetano (2), del
Soto e del Bellarmino, ch' essi vanno non citando, ma rosicchiando,
furono esaminate nella « Dottrina del peccato originale »,
e trovate espressamente a loro contrarie (1).
Fra gli scolastici, si potrebbe trovar taluno nel primo
aspetto a lor favorevole, ma non così, se si considerano diligentemente.
Mi servirò qui nuovamente delle riflessioni che fa
intorno a ciò Alfonso Muzzarelli: [...OMISSIS...]
(2).
Il Zorzi ci rimanda ancora in fine del suo articolo all' opera
di Bernardo Maria De Rubeis, quasi che questo dottissimo
domenicano fosse tutto per lui, e n' adduce un breve
testo, in cui il De Rubeis nega, che ciò che v' ha d' aderente
all' anima del bambino nel peccato originale sia qualche pravo
giudizio o qualche prava conversione « in bonum « commutabile » »,
il che sarebbe un atto, perchè il giudizio è un atto
della mente e la conversione nel bene è un atto dell' affetto;
nè niuno di noi certo dirà che ci fu ne' bambini un atto compiuto
di tal sorte. E pure di quelle due linee tratte da un
buon volume in quarto, egli n' ha abbastanza per farlo passare
per suo! In queste simulazioni e dissimulazioni vedesi
la passione di un partito, e colla scorta della passione non si
trova la verità. Fatto sta, che il celebre De Rubeis è affatto
alieno dal moderno sistema intorno al peccato d' origine, che
ci vogliono vendere per antico, e a provarlo esporrò qui il suo
vero sentimento.
Prova il De Rubeis a principio, che ne' posteri vi ha
un peccato abituale, simile a quello che rimase in Adamo
dopo la sua prevaricazione. Affine dunque di conoscere qual
sia il peccato de' posteri si fa a ricercare qual sia il peccato
abituale d' Adamo, e prima lo riscontra col suo peccato attuale.
All' uno e all' altro conviene la definizione general del
peccato: « un pravo amore » [...OMISSIS...] .
Ma questo genere si divide nelle due specie così: [...OMISSIS...] .
Dove si noti, che nel peccato abituale qual è quello
d' Adamo e del bambino, il celebre teologo scorge « un affetto
permanente del peccato »; il quale, domanderò io a nostri teologi
moderni, se possono crederlo un elemento della natura
umana, da trovarsi altresì nello stato di quella pura natura,
in cui Iddio può crear l' uomo. Andiamo avanti. Questo affetto
pravo, che suscitò Adamo in se stesso e che rimase in lui fino
alla sua conversione, spogliò l' uomo della santità e della rettitudine,
e d' altri beni: [...OMISSIS...] .
E seguitando a dichiarare l' effetto che rimane
nell' anima dopo il peccato attuale, quell' effetto cioè che
peccato abituale si dice poco appresso soggiunge: [...OMISSIS...] .
Dopo di
che viene a dire con espressive parole in che fa egli consistere
il peccato abituale e di conseguente l' originale de' posteri, [...OMISSIS...] ;
e ne fa tosto appresso l' applicazione a' bambini, come pure dimostra
ampiamente esser questa la dottrina dell' Aquinate (2):
all' incontro nè la sottrazione che fa Iddio della grazia santificante,
nè la mera privazione di questa è peccato, come contendono
i teologi razionalisti, negandolo apertamente quel
teologo, che allegano essi medesimi come autorevole.
La sentenza dunque d' Alessandro Zorzi seguito dai
recenti è una novità nella Chiesa, e in vano si cercherebbero
gravi autorità a mantenerla. Nè hanno più polso le ragioni,
con cui si studiano sorreggerla: esaminiamole pigliandole dal
P. Perrone.
I ragione . Il Concilio di Trento definì il peccato
originale « morte dell' anima ». Ma la morte è la privazione
della vita, e la vita dell' anima è la grazia santificante. Dunque
il peccato non è altro, che la privazione della grazia santificante;
senza bisogno alcuno di supporre altro vizio nella
natura.
Risposta . La grazia è la vita soprannaturale dell' anima,
allo stesso modo, dice S. Agostino, come l' anima è la vita del
corpo. Ora quando si dice, che l' anima è la vita del corpo
non si vuol dir altro, se non che l' anima è la cagione formale
della vita del corpo. Per altro la vita del corpo non istà
meramente nell' anima considerata da sè sola; ma essa vita
è un effetto delle mutue azioni dell' anima da una parte sul
corpo, e del corpo dall' altra in sull' anima. Di più, trattandosi
qui di spiegare come il corpo sia vivo, e come sia morto,
trattandosi di definire che cosa voglia dire la vita del corpo,
e che cosa voglia dire la morte del corpo, è necessario riporre
la vita in un atto dello stesso corpo, onde S. Tommaso
sull' orme d' Aristotele definì propriamente la vita, dicendo, che
l' anima est ACTUS CORPORIS organici ; (1) [...OMISSIS...] .
Ciò posto, che cosa è la
morte del corpo? E` la cessazione di quel suo atto, onde mettendosi
in comunicazione coll' anima, vive. Ora la cessazione
di quest' atto è ella cosa meramente negativa? Mai no; perchè
il cessar da quell' atto che fa il corpo, è una intima disorganizzazione,
è per lui un vero interior disordine. Applichiamo
dunque la dottrina intorno alla morte del corpo a spiegare
la morte dell' anima, che è il peccato. Come la morte del
corpo è la cessazione dell' atto con cui il corpo vive in comunicazione
coll' anima; così la morte dell' anima è la cessazione
di quell' atto dell' anima, con cui questa vive in comunicazione
con Dio. E come la cessazione di quell' atto del
corpo è un disordine ed intima disorganizzazione del corpo
stesso; così la morte dell' anima importa un disordine ed una
intima disorganizzazione, per così dire, dell' anima, onde non
è più atta all' atto della vita, [...OMISSIS...]
cioè il peccato. Il
peccato adunque, che secondo il Concilio di Trento è « la
morte dell' anima »non si può far consistere nella semplice
privazione della grazia santificante, qual ella sarebbe quella
dell' uomo creato da Dio in istato di pura, ma sana ed intera
natura; ma si dee far consistere in un disordine inerente
all' anima, che la rende incapace ed indegna di comunicare
con Dio e viver di lui.
In secondo luogo, la morte importa un male dell' umano
individuo, cessandogli quella cosa che più di tutti è necessaria
alla sua costituzione. Ma non così può dirsi della mera privazione
della grazia santificante; questa non è necessaria alla
natura dell' anima; ma è una sopraggiunta, sicchè l' anima
anche priva della grazia, può avere tutto ciò che esige la sua
natura, ed altresì la vita sua propria e la perfezione naturale,
come decise la Chiesa contro Bajo (2). Dunque la semplice
privazione della grazia santificante non può ricevere il nome
di MORTE dell' anima, se non si suppone nell' anima stessa un
disordine che la renda incapace ed indegna di essa, come dice
Francesco Suarez, il Bellarmino, e tanti altri. L' ordinazione
ed il proposito fatto da Dio di elevare ad una sfera soprannaturale
la natura umana, non può già fare, che l' ordine
soprannaturale diventi perciò una parte della natura umana;
sicchè la natura umana senza la grazia sia mancante di una
cosa alla sua costituzione o natural vita e perfezione necessaria;
perocchè quell' ordine e quel proposito divino non muta
la natura delle cose, non cangia i costitutivi dell' anima e le
sue naturali esigenze. Vero è che quando l' anima ha già la
grazia, come l' aveva Adamo, l' atto con cui la grazia si perde
non è altro che il peccato, e in questo senso il rimaner privo
della grazia e l' essere in peccato cioè nella morte spirituale
è il medesimo. Ma riman sempre vero, che il peccato consiste
nell' atto dell' uomo con cui caccia da sè la grazia, atto che
rimane poi come abito, e non nella semplice mancanza della
grazia, che in tale condizione è solo l' effetto del peccato, non
il peccato medesimo.
In terzo luogo la grazia nel modo detto cagiona la
vita soprannaturale dell' anima , ma l' anima innocente nell' ordine
naturale, come sarebbe quella del bambino che nasce,
se fosse vero il sistema de' nostri teologi, non sarebbe mica
priva di ogni vita morale. Ell' avrebbe una vita morale nell' innocenza
e nella rettitudine naturale. Onde non si avvererebbe,
che ora l' anima del bambino avesse quel peccato che
è mors animae secondo il Concilio di Trento in senso semplice
e incondizionato.
In quarto luogo, riponendosi la definizione del peccato
che è morte dell' anima nella semplice privazione della
grazia santificante ne verrebbe, che colui che ha già perduta
la grazia santificante non potrebbe più peccare. E non varrebbe
il dire, che costui, peccando, mette un ostacolo maggiore
all' ottenimento della grazia; perchè in tal caso il peccato,
ostacolo all' ottenimento della grazia, non sarebbe più la semplice
privazione della grazia santificante, senza alcun difetto
realmente inerente alla natura dell' anima che la renda peccatrice;
verrebbero dunque con tale risposta a contraddirsi.
2 ragione . Col nuovo sistema si spiega con tutta facilità
come si propaghi il peccato di padre in figlio: [...OMISSIS...] .
Risposta , questa ragione non prova altro, se non che il
sistema è nuovo nella Chiesa, e perciò al tutto falso ». Perocchè
avendo sempre creduto tutti i Padri, i Dottori, i teologi,
i sommi Pontefici, i Concili che [...OMISSIS...] ;
avendo la stessa gran mente di S. Agostino confessato
che, [...OMISSIS...] ;
deve pur esser
falso un sistema, da cui risulterebbe tutt' il contrario di ciò,
che ha tenuto sempre la Chiesa (3). E onde nasce mai il Razionalismo,
se non dalla voglia di spiegar tutto colla ragione?
Che bisogno c' è che voi spiegate i dogmi della Chiesa, se le
vostre forze intellettive non ci arrivano? Non è ella forse
questa la ragione, per la quale i sociniani e razionalisti hanno
distrutti tutti i misteri?
3 ragione . Rimovendosi col nuovo sistema dal dogma
della propagazione del peccato tutto ciò che è opposto alla
retta ragione, rimangono sciolte le difficoltà degl' increduli e
de' filosofi.
Risposta . Le difficoltà che gl' increduli ed i filosofi contrappongono
ai dogmi della Chiesa si rendono certamente impossibili
colla distruzione de' medesimi dogmi; ma non è questo
uno sciogliere le loro difficoltà, ma un fare ch' esse trionfino
della rivelazione.
Certo, se voi siete da tanto da sciorre le difficoltà
de' filosofi contr' a' dogmi della chiesa, senza distrugger questi,
farete assai bene a darne la soluzione, facilitando loro il ritorno
all' ovile di Cristo col rimovere dalle loro menti gli
ostacoli. Ma se la vostra intelligenza non giunge fino a questo,
altro non vi resta che di creder voi, e di esortar pur essi a
CREDER CIECAMENTE alla parola di Dio che è per sè luce bastevole,
senza più. [...OMISSIS...] ,
dice S. Agostino (1).
In terzo luogo col sostituire ai dogmi da credersi dei
sistemi razionalistici, che li distruggono; voi non conciliate i
filosofi colla Chiesa, ma esponete la Chiesa a' loro dileggi. Poichè
essi si persuaderanno, che la Chiesa si contenti di ciance,
e che i suoi dogmi non sieno che baie di teologi accozzanti
insieme parole, e parole senza significato. E veramente la voce
peccato nel vostro sistema, non significa peccato. Vi sfideranno
dunque i filosofi a dar loro una definizione del peccato, che
sia universalmente ricevuta dagli uomini, e non foggiata da
voi stessi al vostro bisogno presente, a cui si possa ridurre il
preteso vostro peccato originale. E voi che farete? che risponderete?
Non potete applicare a cotesto vostro peccato originale
nè l' « actus humanus malus » di S. Tommaso, perchè questa definizione
conviene al peccato attuale d' Adamo, non a quel del
bambino; nè il « flagitiosus amor voluntatis » del Padre De Rubeis,
perchè voi negate al bambino ogni affetto disordinato;
nè il « mors animae » del Concilio di Trento, perchè la morte
è il maggior difetto positivo che aver possa la natura umana,
e voi negate a questa natura qualsiasi positivo difetto; nè altra
definizione insomma ricevuta nell' uso; perchè nessuna conviene
al vostro preteso peccato. I filosofi da voi istruiti dileggeranno
dunque la Chiesa, come poco sincera, poco verace,
anzi frivola e che cerca illudere il genere umano, quand' ella
fa suonare quelle grandi parole circa il peccato originale
chiamandolo [...OMISSIS...] ,
e quando vuole fino che un Dio sia morto per soddisfare
alla divina giustizia, e sanarne gli uomini tutti, quasi
che ella intenda d' atterrire gli uomini con istrepitose voci,
ma senza concetto. Così diran certamente all' udire, che il peccato
che infetta il mondo; pel quale morì l' uomo Dio, non è
in fine, che la mera mancanza dell' ordine soprannaturale, essendo
l' umana natura senza difetto alcuno, nè vizio di sorta.
Que' filosofi mondani che crederanno al vostro detto assai facilmente,
non si contenteranno essi della natura senza vizio
che voi loro promettete, e della beatitudine, a cui la natura
così sana come voi li assicurate ch' ella è, vien destinata? Che
diligenza avranno di fare amministrare il santo battesimo a
loro bambini? O come si persuaderanno, che vi sia qualche
obbligazione di dover cercare di più del ben naturale, avendo
già la natura umana tutto il suo, e di questo andando essi
contenti?
Oltre di che vi faranno essi ancora una piccola dimanda
tra le innumerevoli che farsi potrebbero, la quale di
nuovo v' impaccerà più che un poco, e sarà: « Il bambino che
nasce come voi dite, senza vizio nella natura e sol privo di
grazia, è egli si o no in possesso del Diavolo? »Che cosa risponderete
loro? Se direte di sì, essi resteranno stupiti, sentendo
che il demonio sia padrone di una natura che non ha
vizio, e che il bambino in braccio del demonio possa godersi
tuttavia, morendo, una sua natural beatitudine. Direte voi dunque
di no: non vi resta altro. Ma certamente in tal caso prenderete
il partito di dirlo loro in orecchi; acciocchè nessun vi
senta, e la Chiesa non conosca le vostre faccie; e S. Agostino
aggiungerebbe qui ancora, acciocchè la plebe cristiana non
vi sputacchi, e le donnicciuole di piazza scalzate non vi diano
per avventura delle loro pianelle in sulla bocca (1). Ed oltre
al pericolo che vi minaccia il Santo, di dover fiutare le donnesche
pianelle; i filosofi stessi all' ultimo vi daran dietro la
baia scorgendovi in tant' impiccio, vi loderanno poscia per gratitudine,
come Voltaire l' Abatino suo ammiratore di cui scrivea
ad un suo collega che era un bon diable per raccomandarglielo
(2).
Sarei troppo lungo se io volessi aggiungere un saggio
della maniera con cui poi si pensano di rispondere alle difficoltà
innumerevoli che contrappongono loro senza numero i
sacri teologi (1). Conchiuderò invece questo capitolo, notando
in qual maniera essi spogliano la Chiesa d' un bellissimo e
palmare argomento, che dimostra il peccato originale.
Tutti i più grandi filosofi dell' antichità, hanno riconosciuto
un guasto della natura l' hanno ben sovente appellata
matrigna (2) ed hanno inventato de' sistemi per ispiegare un
fenomeno così straniero a un ente ragionevole, così opposto
ai voti dell' umanità. Rispondono i nostri, che tali testimonianze
non provano il guasto originale, perchè gli antichi
scrittori, se talor deprimono l' uomo, talor anco l' innalzano
oltre il dovere (3). Quasichè non esistessero negli uomini veramente
le traccie di due estremi, di una piccolezza cioè, e
miseria infinita, e di una grandezza e ricchezza di doni maravigliosa.
D' altra parte che esagerassero gli antichi filosofi
la nobiltà ed eccellenza della natura umana, ella è cosa all' inclinazione
umana conforme (1); e non distrugge punto
l' altro fatto, che i mali a cui l' umanità soggiace secondo il
giudizio naturale degli antichi sono sì gravi e sì strani da
doversene almen sospettare un guasto primitivo.
Si cita qualche elogio fatto all' umana natura da
Platone e (lasciando anche stare che il passo diligentemente
esaminato non prova ciò che si vuole) si dimentica, che Platone
immaginava le anime preesistenti a' corpi, appunto per
dar loro un luogo, dove avesser peccato prima di nascere, e
così spiegare in qualche modo l' umana pravità e l' umana
miseria che gli saltava vivamente negli occhi. Si cita Galeno
che esalta la sapienza e la bontà divina in aver dato all' uom
tanti doni, quasichè anche dopo il peccato non ci si trovino
nella nostra natura le vestigia di un Creator ottimo e sapientissimo,
e si dimentica che insieme colle lodi che dà Galeno
al Creatore, sta benissimo senza contraddizione alcuna l' osservazione
d' Ipocrate che [...OMISSIS...] .
Non trattasi già di sapere se
l' uomo abbia ancora de' pregi: trattasi di sapere se insieme
co' pregi scorgasi mescolato un guasto così profondo da potersi
indurre colla sola ragione, che la natura stessa è vulnerata
per qualche antica caduta. E` questo il giudizio, che ha fatto
il buon senso di tutta l' antichità; e che sta fermo, qual testimonio
manifesto del vero, anche dopo l' osservazione de' nostri
teologi. Non ha dunque creduto il buon senso naturale dei
savii del paganesimo, che il guasto morale e fisico che ravvisasi
nel genere umano si potesse spiegare ricorrendo alla
natura dell' uomo, come potrebbe fare un ateo che non crede
in Dio; ma prestando essi fede ad un ottima e sapientissima
provvidenza, trovavano ripugnante, che Iddio avesse prodotto
l' uomo senza sapere o volere mettere in armonia le forze
della sua ragione con quelle del suo senso, da dover quelle
comandare senza fatica e molestia a queste seconde, come
esige il buon ordine dell' umana natura, e S. Tommaso, che
ha una testa alquanto più grande di quella de' nostri Teologi
dà loro piena ragione.
Egli prova che ragionavano bene nell' opera contra
i Gentili (1). Quivi dimostra, che dalla debolezza e dalla fallacità
della ragione, dalle forze de' bestiali appetiti che l' uomo
non vale talora a contenere, può benissimo indursi colla sola
ragion naturale, l' esistenza d' un antico peccato, di cui tali
mali sieno pene od effetti. Nè egli dimentica punto l' obbiezione
de' nostri teologi da lui ben preveduta. [...OMISSIS...]
e la va lungamente svolgendo;
ma poi la dichiara inetta a provar cos' alcuna, [...OMISSIS...] .
Onde conchiude,
che colla sola ragion naturale giustamente si può rilevare,
almen con probabile argomento, dalla lotta della ragione colla
concupiscenza, che così non dovesse un Dio ottimo e sapientissimo
averlo creato, [...OMISSIS...] .
Bene dunque argomentarono i savii del Paganesimo, e
male assai a detta dell' Aquinate, i nostri teologi che si sforzano
incessantemente a sostituire un sistema nuovo intorno al
peccato d' origine a quel della Chiesa.
Ed è per questo che S. Agostino chiama i pelagiani
al paragon de' pagani filosofi, che colla sola ragione avean
pur veduto nell' umane miserie la prova dell' antico delitto.
[...OMISSIS...] .
E adduce
quel bellissimo luogo di Cicerone, nel quale coll' autorità
degli antichi dagli errori e dalle miserie dell' umanità argomenta
che in qualche occulto reato sia involta l' umana natura.
Nè tuttavia dissimulo, che B. De Rossi giudica questa
prova de' filosofi non più che congetturale (2), ma giova fare
su di tale sentenza le seguenti riflessioni.
Le prove congetturali sono di due maniere, altre sono
tali in se stesse, quando si fondano sulla probabilità degli
eventi contingenti; altre sono congetturali solo inverso all' uomo
che non sa dar loro la piena sua persuasione pel
vacillare della riflessione e per debolezza della facoltà della
persuasione benchè in se stessa la prova sia concludente,
come dee esser se è prova, ed è fondata in un rapporto necessario
delle idee. Ora se la prova di cui parliamo, che dal
male eudemonologico, da cui è affetta l' umanità, induce un
male morale ad essa aderente è congetturale , a quale delle
due classi di prove congetturali crediamo noi che appartenga?
Certamente alla seconda, essendo fondata a parte sui in
un rapporto necessario d' idee; onde in se stessa considerata
o non val punto, o conchiude a certezza. E in vero ella fondasi
« sulla sconvenienza che l' umanità soffra tanto senza
reato. »Ora questa sconvenienza o c' è, o non c' è: mezzo non
ci ha. Se una tale sconvenienza c' è, la prova rigorosamente
stringe; se non c' è, il suo valore, è nullo. S' ella dunque è
congetturale, non è tale che relativamente a quell' uomo, che
non ha forza o coraggio di aggiungere ad essa, come a ragione
alta e spirituale, l' intera sua persuasione.
Ora le prove di tal indole riescono congetturali o
certe secondo la disposizione de' soggetti; il che spiega come,
mentre S. Tommaso si limita a dire [...OMISSIS...] ,
S. Agostino assai più francamente dica [...OMISSIS...] .
Ma io aggiungerò, che la detta prova in sè stessa
considerata non dee dirsi congetturale , ma certa secondo la
dottrina stessa di Francesco Bernardo de' Rossi. Eccone la
dimostrazione.
Essa prova è certa, se lo stato dell' umana natura presente
si conceda sì tristo, che tale non potesse uscire dalle
mani del Creatore; e perciò dimostri un decadimento morale
da quello stato, qualunque esso sia, nel quale un Dio sapiente
ed ottimo dee averla creata. Ora il De Rossi prova, che Iddio
potea crear l' uomo nello stato di natura pura e di natura
integra; ma trova in pari tempo un' immensa diversità tra lo
stato di natura pura od integra dallo stato presente. Supposto
l' uomo creato da Dio nello stato di natura pura o di natura
integra, Iddio l' avrebbe fornito altresì degli aiuti necessarii
co' quali potesse amar Iddio d' un amor naturale sopra ogni
cosa ed anche questo, io aggiungerò, facilmente. All' incontro
l' uomo nello stato presente dell' umanità non ha, senza la
grazia, quest' amor naturale di Dio così facile e perfetto; perchè
la sua volontà è moralmente piagata, [...OMISSIS...] .
Quindi la differenza immensa fra l' uomo caduto
e l' uomo che fosse creato da Dio in istato di pura od integra
natura, [...OMISSIS...] .
E quest' avversione
da Dio non è già una relazione mentale o esterna, come
pretendono i nostri teologi che mettono in campo l' arguzia
dell' uomo vestito e dell' uomo nudo; ma importa una vera e
grande differenza di forze morali nella volontà tra l' uomo
caduto che ha quell' avversione, e l' uomo supposto creato [...OMISSIS...] .
Onde prosegue il De Rossi: [...OMISSIS...] .
Così scrive quel teologo,
al quale appellano, come ad uno tutto lor favorevole, il Zorzi
e il P. Perrone! Dal che intanto si può raccoglier così:
L' umanità presente (non ristorata dalla grazia) si trova in
uno stato di deficienza di forze morali, e n' è prova manifesta
il mare delle iniquità che innonda e innondò sempre la terra.
Così non può essere stata da Dio creata, nè pure nell' ipotesi,
ch' egli l' avesse lasciata colla sola natura, egli l' avrebbe fornita
di maggiori forze morali che non sono quelle ch' essa
mostra aver di presente.
Non è dunque il presente stato dell' umanità quello di prima
istituzione, ma è uno stato di decadimento: giace sotto il fascio
di colpe antiche; è disordinata e infelice, dunque è rea.
Così i filosofi del Paganesimo (1); l' argomento è ridotto a dimostrazione.
Avean dunque ragione, e con essi il senso comune.
E con un testimonio del senso comune, a cui rinunziano
i nostri teologi, conchiuderò questo capitolo. Poichè qual
semplice testimonio del senso comune, chiedo io che mi valga
l' autorità dell' illustre autore delle « veglie di Pietroburgo ». Il
quale certo non era nè si inerudito da non conoscere, che
alcuni filosofi dell' antichità esaltarono indebitamente l' uomo,
nè sì piccol di testa da non saper conoscere, se tale esagerazione
potesse distruggere l' induzione che altri filosofi, o anche
gli stessi in altri luoghi delle loro opere facevano dallo
stato in cui si trova l' umanità, ad una colpa originale di
questo stato infelice cagione. A lui sembra evidente, che i
tanti mali morali e fisici del genere umano non sieno punto
limitazioni necessarie della umana natura, o difetti da queste
limitazioni di necessità provenienti; ma uno stravolgimento di
essa natura. Onde dando ragione a que' pagani filosofi, (ed egli
sarebbe pure strano che con un raziocinio falso, come vogliono
i nostri teologi, avesser colto sì giusto nel segno del
vero) favella in questo modo: [...OMISSIS...] .
Chi adunque sostiene, che la natura umana nello stato
in che al presente si trova, non ha vizio in sè stessa nè morale
nè fisico, ma solo è priva della grazia santificante; non
pure s' oppone all' ecclesiastica tradizione, ma alla filosofia e
al senso comune del genere umano.
Altri argomenti dimostrano il disordine contro natura
che è nella volontà dell' uomo che nasce, pertinacemente negato
da' moderni razionalisti.
Crediamo tanto più necessario comprimere coll' abbondanza
degli argomenti la loro baldanza, ch' ella è tanta, che giungono
ad attribuire il loro coperto Pelagianismo a tutti i cattolici
(1), ad asserirlo ammesso universalmente (2) a dichiararlo
dottrina di fede (3).
E cominciamo dal paragonare insieme i tre errori
de' giansenisti , de' razionalisti biblici della Germania, e dei
teologi nostri razionalisti pratici . Benchè l' error de' primi
sia opposto a quello degli altri due; tuttavia non sarà difficile
scorgere, che tutti e tre, questi errori, hanno una base, un
principio comune. Avviene quasi sempre, che si rinvenga un
elemento comune ne' contrari errori, come già osservammo.
Il principio, o la base comune consiste nel venire a riporre
il peccato originale in una LIMITAZIONE della natura umana;
anzichè in ciò che è guasto e disordine.
Tutti e tre gli accennati erronei sistemi si fondano
sopra questo primo sbaglio (1); ma spiegano poi diversamente
il modo, onde attribuiscano l' appellazione di peccato alla mera
limitazione della natura. Esponiamo la diversità di questa
spiegazione.
I giansenisti sulle tracce di Bajo dicono che la natura
umana lasciata sola, senza la grazia soprannaturale, è
imperfetta e monca, formando così della grazia un costitutivo
all' interezza e sanità dell' umana natura (2). Questa natura così
scema d' una sua parte, si dee chiamar viziata e peccatrice,
perchè non si solleva colla volontà a Dio soprannaturalmente
conosciuto (al che le mancano le forze), e in questa non elevazione
ch' essi dichiarano volontaria, fanno consistere l' original peccato
(3).
I biblici razionalisti della Germania pure accordano
a' giansenisti che il peccato originale consista nella limitazione
della natura; ma spiegano la cosa più filosoficamente. Questa
limitazione non è già peccato, come vogliono i giansenisti,
perchè l' uomo in essa costituito non si leva a Dio colla sua
volontà impotente; ma perchè è lontano dalla sua ultima
possibile perfezione alla quale non si solleva che a gradi. Onde
secondo il signor Baur il peccato è simultaneo colla natura
dell' uomo, come è simultanea con quella natura la limitazione
(1). Imperocchè l' uomo, in quanto è creato da Dio, [...OMISSIS...] .
I nostri teologi moderni (stando alla sostanza delle
loro dottrine, benchè colle parole si dichiaravano nemici di
tutte l' eresie) sono obbligati a parlare in questo modo, quando
vogliano esser sinceri: Avete ragione, o giansenisti e razionalisti
biblici, nel cercare nella LIMITAZIONE dell' umana natura
il peccato originale: anche noi facciamo lo stesso; ma spieghiamo
la cosa in modo diverso dal vostro. Noi diciamo che
la natura umana presentemente ha tutto il suo senza difetto
alcuno; ed aggiungiamo, che ha il peccato, unicamente perchè
le manca l' ordine soprannaturale, che ella dovrebbe avere;
quindi definiamo il reato di cui è presentemente l' uomo aggravato
[...OMISSIS...] .
Anche
noi dunque diciamo co' razionalisti biblici che l' uomo non ha
alcun difetto, ma aggiungiamo che gli manca la grazia, e in
questo sta il peccato. Diciamo anche co' giansenisti, che questa
grazia è dovuta all' uomo perchè la natura umana non sarebbe
intera senza di essa, ma unicamente perchè Iddio a principio
ha fatto liberamente il decreto di concederla all' umanità, e
in virtù di questo decreto le è dovuta. Or Adamo colla sua
prevaricazione spogliò la natura umana di questa grazia per
sè stessa non dovuta, e non fece alcun altro male all' umana
natura. Noi dunque, suoi figliuoli, nascendo senza grazia, siamo
peccatori, figliuoli dell' ira, inimici di Dio e almeno negativamente
avversi a Dio, [...OMISSIS...] .
Nell' uomo dunque che nasce non v' ha alcun difetto
morale, v' ha sola la limitazione naturale , che importa il non
aver la grazia soprannaturale; e questa è peccato formale,
perchè non dovrebbe esservi « juxta ordinem a Deo constitutum ».
La stessa limitazione, la stessa mancanza di ciò, senza
cui la natura può esser perfetta, è peccato, o non è peccato,
secondo il decreto di Dio. Se Iddio non avesse decretato di
dar al figliuolo di Adamo la grazia, non sarebbe per lui
peccato l' andarne privo; ma avendo decretato di dargliela, se
il padre la conservava; è un peccato del figliuolo l' andarne
privo a cagion del padre, che gliela perdette. Non dipende
dunque dalla cosa in sè, ma dal positivo decreto di Dio l' esser
peccato la nudità della grazia, che per se non è punto peccato;
ma Iddio il rese peccato col suo decreto!
Se non che ci sarebbe senso nel dire, che un decreto
con cui Dio decretò di dare agli uomini un dono, sia obbligatorio
anche per quegli uomini, a cui questo dono non è
dato? quel decreto di Dio poteva essere obbligatorio pel bambino
che nasce? ovvero, contribuì il bambino a invalidarlo?
Nulla di ciò. Tutto si fece all' insaputa del povero bambino.
Iddio fece il suo Decreto ab eterno senza consultarlo. Il padre
peccò pure senza farglielo sapere, nè il figliuolo che ancora
non esisteva acconsentì punto al peccato del padre. Nacque
nella sua persona innocente, senza difetto alcuno nella sua
natura; ma nacque privo di ciò che la sua natura non esigeva,
e che non dipendeva da lui l' avere o il non avere. Non
vale. Incontanente che viene al mondo gli si dice; « sappiate
che voi siete formalmente peccatore, inimico di Dio, figliuolo
d' ira, a Dio avverso! »Che stupore per una simile creatura
a tale intimazione! A riceverla cioè da persone, che l' assicurano
in pari tempo che la sua natura è in tutte le sue
parti perfetta ed immacolata, non punto obliqua la sua volontà,
che non ha altro in somma, che quella necessaria limitazione,
che esclude l' ordine soprannaturale! Deh, come crederà
sinceramente di portare in sè un vero peccato, unicamente
perchè Iddio aveva intenzione di dargli de' doni maggiori di
quelli che non esiga la sua natura, e non glieli diede a cagione
che suo padre impedì un sì liberale divino consiglio?
Ora che Iddio privi tutta l' umana stirpe de' suoi
gratuiti favori, pel peccato del suo capo, a cui gli avea largheggiati
acciocchè a tutta la stirpe si propagassero, niente
v' ha, che pugni colla ragione. Ma che questa semplice privazione,
acquisti in conseguenza del decreto divino, la ragione
di vero peccato formale in chi nasce da Adamo senz' alcun
difetto nella sua volontà naturale; questo non s' accorderà mai
colla ragione umana; che l' esser una cosa peccato non dipende
da un decreto positivo di Dio, come il fanno dipendere
i nostri teologi (1); nè tampoco dipende meramente da un fallo
altrui; dovendo essere ogni peccato vero e formale, un mal
morale personale (2); onde convien ricorrere a mutare la
significazione della parola peccato (1), o per dir meglio a distruggerne
affatto la nozione.
Veniamo ad esporre altre ragioni teologiche, che dimostrando
inammissibile il sistema de' nostri moderni razionalisti,
confermino la verità difesa, che il peccato originale cioè
non pure priva l' uomo della grazia santificante, ma guasta
di più la natura dell' uomo nella parte sua più eccellente, la
parte morale.
S. Tommaso dimanda, perchè passi di padre in figlio
il peccato originale, e non gli altri peccati (2), e risponde:
perchè il peccato originale offende la natura , non che la
persona; quando gli altri peccati non offendono che la persona .
Infatti trapassa per generazione solo quello che appartiene
alla natura, non quello che è meramente e strettamente
personale. [...OMISSIS...]
Conviene dunque cercare, che cosa S. Tommaso
intenda per giustizia originale . Sotto l' espressione di giustizia
originale S. Tommaso comprende più cose: 1 l' elevazione della
mente a Dio soprannaturalmente conosciuto: 2 la rettitudine
naturale della volontà, o giustizia naturale: 3 l' ubbidienza
delle parti inferiori e corporee alla volontà retta secondo la
natura, e secondo la grazia. [...OMISSIS...]
Di tutte queste cose si componeva
ciò che S. Tommaso intende per originale giustizia:
tutte erano annesse e legate per libero decreto di Dio, alla
natura umana; ma la prima parte di esse perfezionava essenzialmente
l' umana persona nella natura umana esistente.
Che cosa è l' umana persona? E` il più elevato principio,
che sia nell' uomo, la sua volontà suprema. Indi la prima parte
della giustizia originale cioè la sommissione della mente a
Dio, era per essenza sua personale. Egli è di qui che s' intende
ragione, perchè, restituita all' uomo nel battesimo questa
parte personale della giustizia; rimanga tuttavia l' uomo difettoso
e privo dell' altre parti di essa giustizia originale , cioè
della sommissione delle potenze inferiori alla ragione, e del
corpo all' anima. Il qual difetto spiega, dice S. Tommaso, perchè
anche l' uomo giustificato trasmetta generando il peccato
d' origine. [...OMISSIS...]
Ammessa
questa dottrina, si dee pure ammettere, che la parte inferiore
dell' uomo è guasta, ragione unica per la quale genera un
individuo guasto. Se nella parte inferiore non vi avesse natural
disordine, e il peccato consistesse, come vogliono gli
Anonimi nella semplice privazione della grazia santificante
che appartiene alla parte superiore dell' uomo; l' uomo giustificato,
rimastosi già senza difetto, dovrebbe generare del pari
individui immuni da ogni difetto, e da ogni peccato.
Lo stesso si può argomentare dall' altra dottrina di
S. Tommaso intorno ad un uomo formato altramente, che per
generazione: questi non avrebbe il peccato, perchè il principio
che lo formerebbe non essendo guasto, come è guasto il principio
generativo, non potrebbe mettere in lui il guasto del
peccato ancorchè avesse la sola natura perfetta priva di grazia
(2).
Nel che s' osservi attentamente, come S. Tommaso spieghi
in modo diverso la trasfusione del guasto originale in
quant' è COLPA, e in quant' è PECCATO.
Quando egli toglie a spiegare come si propaghi la colpa
sempre ricorre alla volontà peccatrice d' Adamo, perchè al
guasto originale de' posteri non può applicarsi il nome di colpa,
se non si considera nella causa libera che lo produsse. Laonde
dice: [...OMISSIS...] .
Da tutti i quali luoghi
apparisce, 1 che il santo dottore distingue nell' originale infezione
due cose, un difetto morale, che noi chiamiamo peccato,
ed una colpa; 2 che a spiegare come trapassi la colpa
sempre ricorre alla libera volontà d' Adamo, perchè niun difetto
benchè morale riceve la nozion di colpa, se non è prodotto da
una libera volontà. Resta a vedere come spieghi la trasfusion
del peccato ossia il difetto morale della natura.
Prima che ne esponiamo la maniera, vogliamo far
notare, che il peccato e la colpa originale passano ad un tempo
per generazione, perchè non si dà fra tali due cose DISGIUNZIONE
REALE; ma tuttavia diversa è la maniera di spiegarne la
trasfusione: cioè una diversa ragione è quella che fa passare
il difetto morale della natura , da quella che fa passar la
colpabilità di quel difetto.
Quando si tratta di spiegare la trasfusione di quello,
S. Tommaso non ricorre più alla volontà libera e prevaricatrice
d' Adamo, ma alla generazione . La caduta d' Adamo il
corruppe nella parte sua superiore che è la volontà, e nella
parte sua inferiore che è principalmente la facoltà generativa.
La corruzione della volontà libera d' Adamo è quella che
spiega la trasfuzione della colpa ne' posteri; la corruzione della
facoltà generativa è quella che spiega la trasfusione del peccato .
Udiamo adunque il Santo Dottore: [...OMISSIS...] .
Ora
questa vis activa in generatione , che S. Tommaso nomina
tante volte, come quella che trasmette il peccato, non è già la
volontà prevaricatrice d' Adamo, ma una facoltà tutto diversa.
E pure la COLPA non viene che dalla volontà prevaricatrice
d' Adamo; ma il peccato viene da quella forza attiva; benchè
essa non sia soggetto di colpa, nè di peccato; e l' uomo
possa adoperarla senza peccare (2). Ma pel guasto, che ha la
carne generante produce una carne che sconcerta l' ordine
morale dell' anima del generato, e così mette in essere il suo
proprio peccato, il quale però non riceve appellazione di colpa
se non riferito all' atto libero della disubbidienza adamitica (3).
E notisi che alla trasfusione del peccato non basta nè la volontà
prevaricatrice d' Adamo, nè tampoco l' esser formato della
sua carne: no, questo non basta; conviene che c' entri la forza
generativa , perchè [...OMISSIS...] .
Ora in costui formato
dalla carne d' Adamo prevaricatore perchè mai non passerebbe
il peccato? Forse perchè non ci sia in Adamo la volontà
prevaricatrice? No. Forse che la carne d' Adamo non
sarebbe priva de' doni gratuiti? Sarebbe priva certamente. Non
basta dunque che la carne sia priva de' doni gratuiti, e che
la carne che l' uom veste sia carne d' Adamo; ma si esige di
più, acciocchè sia messo in atto il peccato, la forza generativa ,
che non è un atto di volontà peccatrice, essendovi anco
ne' giusti. La ragione di ciò non si rinverrà mai nel sistema
de' nostri Anonimi; ma nel nostro si troverà luminosissima.
Così pure nel sistema de' nostri teologi moderni conviene
rinunziare affatto a quella ragione, che spiega sì bene
perchè il Signor GESU` Cristo, figliuolo di Adamo verissimo
secondo la carne, non ebbe tuttavia l' OBBLIGAZIONE di contrarre
il peccato originale. La tradizione tutta risponde con S. Agostino
(1) e con S. Tommaso (2), che non l' ebbe, perchè non
fu generato dal seme infetto, perchè ricevette bensì da Adamo
la carne, ma non per via di generazione. E alla natura umana,
che volle assumere il Verbo, non era dovuta la grazia; anzi
fu predestinata all' unione personale col Verbo, e il Cristo fu
unto per libero decreto del Padre. Se dunque non era dovuta
alla carne che il Verbo poi assunse la grazia, perchè tuttavia
l' umanità di Cristo non fu obnoxia al peccato? Se il peccato
non è che la mera privazione della grazia in relazione alla
volontà prevaricatrice del primo padre, la carne d' Adamo in
qualunque modo da lui si tragga sarà obnoxia peccato . Niente
di ciò: anzi benchè alla natura umana non sia dovuta la
grazia; pure insegna la dottrina cattolica, che il Nato dalla
Vergine non solo non contrasse, ma nè pure dovea contrarre
il peccato. Dunque il peccato non è la mera privazione della
grazia; ma esso è l' obice che impedisce la grazia, il quale
obice è posto dalla seminale generazione, la quale non fu
quella di Cristo operata per ispirito Santo.
Essendo dunque l' originale vizio ne' posteri e peccato
e colpa, due cose ci vogliono acciocchè trapassi coll' una e
l' altra qualità: 1 la generazione seminale, 2 la relazione
alla volontà di Adamo, che viziò la generazione, poichè [...OMISSIS...] .
Ma se si trattasse di trasmettere una mera privazione
de' doni soprannaturali, sarebbe vero quello che dicono i nostri
teologi, [...OMISSIS...] .
Ma questo appunto
dimostra l' erroneità del loro sistema. S. Tommaso, e
tutti i dottori, tutti i teologi, non hanno creduto inutile una
tale questione, anzi difficile, difficilissima. S. Tommaso ha creduto
di dover ricorrere ad una [...OMISSIS...]
ed ha creduto che non
ogni forza o virtù fosse atta a trasmettere il peccato, ma solo
quella che opera [...OMISSIS...] . Certo che per
trasfondere una privazione semplice non fa bisogno d' una forza,
o vita attiva, d' una mozione, e d' una mozione determinata. E`
dunque manifesto, che S. Tommaso (a cui non si può negare
il buon senso, nè attribuire che siasi abbandonato alla fantasia ,
o che siasi lambiccato inutilmente il cervello (4); non sarebbe
ricorso ad una forza, o virtù attiva di operare per ispiegare
la produzione del peccato ne' posteri, se avesse stimato che in
questo non ci avesse niente di positivo, ma fosse una mera
privazione de' soprannaturali favori (1).
Finalmente col sistema degli Anonimi pare almen che
si cozzi in un altro errore, quel della proposizione LVI di
Bajo, [...OMISSIS...] .
Imperocchè nel peccato original de' bambini battezzati
non v' ha più certamente l' atto del peccato, già trapassato in
Adamo, nè pure v' ha il reato tolto coll' acque battesimali. Che
cosa dunque resta, ci dicano, i nostri Anonimi? Nel loro sistema
non resta più niente, come dice Bajo, niente più che spieghi
veramente la trasfusione del peccato; mentre nel sistema della
Chiesa in vece d' una carne naturalmente sana che produce
una carne sana, rimane una carne inferma e guasta che
produce una carne del pari inferma e guasta, la qual trae la
volontà dell' anima dall' eguaglianza della giustizia (2).
Ma qui gli avversarii ci fanno un mondo di obbiezioni,
alle quali tutte noi vogliamo rispondere, registrandole
per ordine, e soggiungendo a ciascuna la sua risposta.
Obbiezione 1 E` vero che S. Tommaso dice che all' essere
del peccato d' origine concorrono due cose, 1 un difetto naturale ,
e 2 che questo difetto sia stato in potere della natura
mercè la libera volontà del suo corpo, nel che consiste la
ragione della colpa (1). Ma S. Tommaso chiama quel difetto
naturale , non lo chiama già peccato .
Risposta . Quel difetto è chiamato da S. Tommaso ugualmente
difetto naturale , o peccato naturale . Ecco le sue parole:
[...OMISSIS...]
(ecco la colpa), [...OMISSIS...]
(non si ferma alla colpa, c' è qualche altra cosa da aggiungere)
[...OMISSIS...]
(e non solo privata de' doni maggiori). [...OMISSIS...] ;
perchè, come disse altrove ne' posteri, il peccato originale
« deficit a ratione culpae ». Laonde S. Tommaso al peccato dei
posteri, astraendo dall' attual peccato d' Adamo, attribuisce
ugualmente le appellazioni or di « defectus naturalis », or di
« peccatum naturale ».
Obbiezione 2 S. Tommaso chiama l' accennato difetto
naturale [...OMISSIS...] .
E` dunque in se stesso una semplice limitazione
della natura, non un peccato.
Risposta . Ci sono de' difetti, cioè delle mancanze che conseguono
necessariamente alla natura umana, e questi sono
mere limitazioni della natura; ma vi sono de' difetti che
conseguono accidentalmente alla natura; e questi non sono
mere limitazioni. Che la natura umana sia fallibile , questo è
un difetto necessario, e solo per accidente ella può essere
difesa e premunita contro l' errore, e il peccato. Ma che la
natura erri, o pecchi realmente, questo è un difetto che consegue
a' suoi principii accidentalmente. Dato poi che sia venuto
in essa questo accidentale difetto, qual fu il peccato, ch' ebbe
luogo nel primo padre; esso difetto si rende necessario nella
natura: tale è il disordine abituale della volontà ne' posteri,
o il peccato originale. Onde il peccato originale originato è
un difetto naturale [...OMISSIS...] ;
perchè i principii della natura umana, che è quanto dire i suoi
essenziali costitutivi non esigono di necessità che la natura
umana sia senza peccato. Se dunque il peccato si considera in
Adamo che lo commise, egli è un difetto [...OMISSIS...] ;
se si considera trasmesso
ne' posteri dopo commesso, egli è un difetto [...OMISSIS...] .
Laonde
S. Tommaso dichiara, che l' inordinazione della volontà che
non può domare le potenze inferiori, [...OMISSIS...]
per mezzo della
colpa (1), non della natura umana semplicemente. Nel che egli
è uopo considerare, che S. Tommaso, come abbiamo già notato,
nella giustizia originale distingue una doppia rettitudine di
volontà , cioè una rettitudine di volontà soprannaturale , che
nasce essenzialmente dal dono della grazia santificante: e la
mancanza di questa è un difetto che consegue i principii della
natura umana necessariamente, è una limitazione; ed una
rettitudine di volontà naturale , che potrebbe esser nell' uomo
anco senza la grazia santificante, se Iddio l' avesse creato in
istato di natura integra, senza la grazia: e la mancanza di
questa rettitudine naturale è un difetto che consegue la natura
umana per accidente. Onde un suo interprete preclarissimo,
a cui appellano gli stessi nostri avversarii, dopo distinto l' amore
di Dio soprannaturale, e l' amor di Dio naturale che si conteneva
nell' originale giustizia, dice, [...OMISSIS...] .
Di che conchiude
che nel peccato originale rimase perduto non che l' amor di
Dio soprannaturale, ma anche il naturale: [...OMISSIS...] .
Di entrambi
questi amori rimasero dunque privi anche i posteri d' Adamo
spogli della originale giustizia. Ora il difetto dell' amore naturale
di Dio, l' impotenza di amarlo naturalmente , quanto
si conviene; è un difetto che consegue i principii della natura
umana corrotta; e non mai quelli della natura umana, nell' ipotesi
che fosse creata da Dio senza grazia, ma in pari
tempo senza vizio.
Obbiezione 3. Benchè S. Tommaso dica, che i difetti
naturali, che peccato originale si dicono, sieno [...OMISSIS...] ;
tuttavia dice
anco che questi difetti potrebbero trovarsi in una natura non
iscaduta per cagion di peccato, ma formata da Dio medesimo,
nel qual caso non avrebbero ragione di colpa . [...OMISSIS...]
Risposta . La conclusione che voi tirate dal testo addotto
di S. Tommaso non procede in modo alcuno, perchè in quel
testo S. Tommaso non parla del formale del peccato originale,
ma solo del materiale . A convincervene vi basti quest' altro
luogo di S. Tommaso medesimo: [...OMISSIS...] .
Ora rileggete il testo addotto, e vedrete se il S. Dottore ivi
parli dell' insubordinazione della volontà a Dio, che è il formale
del peccato; ovvero se parli solo dell' inordinazione delle
forze dell' anima, che è il materiale . Dell' insubordinazione
della volontà , voi scorgerete che non vi fa motto alcuno, non
dice se non che Iddio potea creare [...OMISSIS...]
(2). S. Tommaso
dunque non insegna nel testo addotto che Iddio avesse
potuto creare un uomo la cui volontà non fosse subordinata
a Dio, il che è il formale, l' essenziale del peccato; ma solo
che avrebbe potuto crearne uno passibile, mortale, concupiscibile;
il che forma nel presente ordine di cose la pena, l' effetto,
e il materiale del peccato; ma nell' ordine ipotetico in
cui Iddio l' avesse creato tale, sarebbe un difetto, a cui non
si potrebbero nè pure applicare tali appellazioni.
Laonde si dee conchiudere che dove S. Tommaso parla
del peccato intero, racchiudente tanto la parte formale, quanto
la materiale, egli nol dice difetto naturale, o conseguente i
principii della natura, se non intendendo della natura decaduta,
come ho detto nella risposta all' obbezione precedente;
dove poi parla della sola parte materiale del peccato, egli
concede che possa dirsi un difetto della natura stessa, e che
l' uomo potesse esser creato da Dio in tale stato, benchè anche
ciò per via di mera congettura, o con qualche limitazione,
come vedremo (1). E in fatti egli è troppo assurdo l' attribuire
a S. Tommaso l' insegnamento, che Iddio avesse potuto creare
un uomo avente un FORMALE PECCATO, quale egli dichiara essere
LA MANCANZA DI SUBORDINAZIONE A DIO DELLA VOLONTA` (2).
Obbiezione 4. Quel naturale difetto col quale Iddio
avrebbe potuto crear l' uomo, S. Tommaso lo chiama peccato
originale; onde per esso non intende, come voi dite, la sola
parte materiale del peccato.
Risposta . Può tirarne questa conclusione solo colui che
non conosce la maniera di parlare del Dottore angelico. Esponiamola,
e sarà tosto dissipata l' obbiezione. L' espressione giustizia
naturale , come l' usa S. Tommaso, comprende 1 la
subordinazione della volontà a Dio; 2 la subordinazione delle
potenze inferiori alla volontà buona. Il peccato originale poi
è la perdita dell' originale giustizia; e però sotto tale espressione
egli intende pure 1 l' insubordinazione della volontà a
Dio, che perdette per propria colpa la grazia santificante, e
così rimase abitualmente insubordinata e spossata, e 2 l' insubordinazione
delle potenze inferiori alla ragione. [...OMISSIS...] ,
dice Francesco de Sylvestris, [...OMISSIS...] .
Ora talvolta S. Tommaso dà il nome di peccato
originale alla sola parte materiale del peccato, come dà
il nome di giustizia originale alla sola seconda parte che si
può dir materiale di questa giustizia. Tutto ciò c' insegna l' accennato
interprete de Sylvestris, il quale, dopo esposta la dottrina
di S. Tommaso che, [...OMISSIS...] ;
si fa l' obbiezione:
in qual modo S. Tommaso possa dire che resta il peccato
originale dopo il battesimo, mentre la concupiscenza che rimane
non è peccato, perchè non è [...OMISSIS...] ;
e per rispondere a quest' obbiezione e spiegare in che
senso S. Tommaso dica che rimanga il peccato dopo il battesimo,
ricorre alla maniera di parlare da lui usata, mostrando
che secondo questa, la giustizia originale , come pure il peccato
originale ha due sensi: [...OMISSIS...] .
Onde quando S. Tommaso dice, che il peccato originale è [...OMISSIS...] .
Quando poi dice
che resta il peccato originale dopo il battesimo perchè resta
la concupiscenza, deesi intendere che manca solo la seconda
parte dell' originale giustizia, [...OMISSIS...] .
Ora si dee osservare, che la seconda parte della giustizia
originale non è essenzialmente cosa morale, ma è morale solo
in quanto dipende dalla prima parte; e così del pari la privazione
della seconda parte della giustizia originale non è
essenzialmente peccato, ma è peccato in quanto dipende e sta
unito colla privazione della prima parte della giustizia originale,
ed anche allora è ciò che forma la parte material del peccato.
Quando dunque nell' uomo non manca la prima parte, quando
non manca la RETTITUDINE DELLA VOLONTA` SUPREMA, allora
la mancanza della sola seconda parte di essa giustizia non è
più veramente peccato, e nè pure materia di peccato (cessandole
la qualità di materia col cessarle l' unione colla forma);
e tuttavia si suol dire ancora peccato per denominazione continuata,
cioè perchè fu prima tale, e così pure si dice materia
di peccato: dicesi poi reliquia del peccato, perchè inclina al
peccato; [...OMISSIS...] . Quando
dunque S. Tommaso dice peccato a quel difetto col quale
potrebbe Iddio creare l' uomo, lasciandolo alla sua condizione
naturale; egli parla al modo stesso come parlò l' Apostolo,
quando disse che [...OMISSIS...] . Ma il
Concilio di Trento dichiarò che non è quel peccato [...OMISSIS...] .
Onde noi
dicemmo che tale specie di peccati [...OMISSIS...] .
Così l' obbiezione che ci si faceva rimane annullata.
A conferma poi della stessa verità si osservi,
1 Che non si troverà mai un passo in S. Tommaso,
nel quale egli insegni che Iddio poteva crear l' uomo « con
una volontà a lui insubordinata ed avversa »; nel che sta il
formale del peccato originale; ma dove parla de' difetti naturali,
co' quali Iddio potea crear l' uomo, mostra d' intendere
costantemente dell' insubordinazione delle parti inferiori alla
ragione, cioè della concupiscenza presa in questo senso, o della
mortalità, della passibilità ecc.;
2 Che in quei luoghi, ne' quali si ferma il Santo a
mostrare, che que' difetti naturali non sarebbero COLPA se
l' uomo fosse stato creato con essi, parla di que' soli difetti che
non sono ESSENZIALMENTE morali, com' è l' insubordinazione
e l' avversione della volontà a Dio, ma di quelli soli che
acquistano la qualità di morali e di colpevoli da questo che
hanno proceduto in origine da un peccato colpevole, come
nel passo seguente: [...OMISSIS...] .
In questo brano si vedono distinti i DIFETTI
di cui si parla, 1 dal peccato libero di Adamo, 2 dalla
privazione della grazia, e si dicono effetti dell' uno e dell' altra.
Non sono adunque per se stessi il peccato, nè la privazione
della grazia, la privazione della grazia e il vero peccato
prese insieme sono cose che appartengono alla parte superiore
dell' anima, e mettono in essa un' inordinazione. Prova dunque
S. Tommaso, che meritano il nome di COLPA anche quei
naturali difetti, che non sarebbero da sè peccato, unicamente
perchè vennero dal libero peccato, e non si trasmettono soli,
ma si trasmette per generazione anche il peccato, e venendo
essi comunicati in tale compagnia pigliano anch' essi la natura
di peccato e di colpa in quanto sono effetti intimamente legati
col peccato. Così si debbono intendere tutti que' luoghi, nei
quali S. Tommaso si estende a provare che que' difetti non
hanno la nozione di peccato in sè stessi, ma la mutuano dal
peccato libero che fu loro causa; divenendo anco un male
fisico morale, se è prodotto dalla malizia della volontà.
Obbiezione 5. Conceduto anche, che i naturali difetti
di cui parla S. Tommaso quando dice, che Iddio avrebbe
potuto creare un uomo con essi, non sia ciò che v' ha di
formale nel peccato originale; ma solo ciò che presentemente
forma la parte materiale di esso peccato, cioè la pugna della
carne collo spirito, egli è da concedersi che con questa pugna
l' uomo privo di giustizia non può amare Iddio sopra tutte le
cose, nè naturalmente, nè soprannaturalmente. Dunque l' uomo
creato da Dio con questa pugna, benchè non potesse amare
Iddio sopra tutte le cose; tuttavia non avrebbe in sè peccato;
stantechè Iddio non può creare l' uomo in peccato. Dunque
nè pure l' anteporre la creatura al Creatore sarebbe peccato,
se non dipendesse dalla libera volontà. Quello dunque che
non è colpa, nè pure è peccato.
Risposta . I teologi inclinati al Razionalismo cercano di
descrivere la concupiscenza inferiore quale presentemente
esiste nell' uomo nel modo il più mite: e giungono a dire,
ch' ella non impedisce assolutamente l' uomo dall' eseguire tutta
la legge naturale, e quindi, dico io, nè pure il dee impedire
secondo essi, dall' amare naturalmente Iddio sopra tutte le cose
(che è certamente il primo precetto anche della legge naturale),
e questa a malgrado di tutte le più forti tentazioni;
benchè concedano, che ella renda all' uomo tale virtù ed innocenza
naturale assai difficile. Ma questo è il primo errore dei
teologi razionalisti apertamente confutato da S. Tommaso in
più luoghi.
Il S. Dottore dà alle forze della concupiscenza due gradi;
l' uno e il maggiore nell' uomo non battezzato, il quale è tale,
che l' uomo non può colle proprie forze resistere a tutti i suoi
assalti, ma dee cadere dopo qualche tempo di resistenza, almeno
nascendogli forti tentazioni, in peccato mortale; l' altro
e il minore nell' uomo battezzato; il quale è sempre vincibile
colle forze, che l' uomo ha acquistato dalla grazia battesimale,
usando i mezzi, che questa grazia gli presta, ma non sì, che
non gl' incontri di essere da quel grado di forza leggermente
ferito, cadendo ne' peccati veniali; da' quali nessun giusto,
senza special privilegio, interamente si libera «( Dottrina del
pecc. orig. XCVIII 7 CI) ».
Ora s' attribuirà forse a S. Tommaso l' opinione che Iddio
potesse crear l' uomo con quel grado di concupiscenza, col
quale ora nasce, di maniera che fosse necessitato a peccare
contro la legge naturale, e contro il Creatore? Qual torto non
si farebbe con ciò al santo Dottore? Si adduca un solo testo
dal quale apparisca ch' egli così la pensi, se si può: questo
testo non fu mai addotto, nè mai s' addurrà: se ne possono
all' incontro addurre molti che spiegano quant' egli sia lontano
da un tale assurdo.
Se S. Tommaso concede, che l' uomo lasciato alla natural
sua condizione sentirebbe la pugna della carne colla mente
[...OMISSIS...] , questo non
determina ancora il grado della pugna: non è un dire che
l' uomo creato da Dio nell' ordine naturale potesse avere quella
stessa terribil lotta che ha di presente, perocchè di presente,
[...OMISSIS...] .
Dove mai dice
questo S. Tommaso dell' uomo creato da Dio senza peccato e
lasciato da lui all' ordine della natura? Di presente l' uomo
che non può resistere alla molteplicità degli assalti della
concupiscenza, benchè resister potrebbe a ciascuno, quando
cade stretto in tali angustie ACCONSENTE, che senza qualche
consenso non si dà certamente peccato, all' incontro nell' uomo
creato da Dio senz' ordine soprannaturale non pone mai il
santo Dottore alcun NECESSARIO CONSENSO AL MALE, ma solo
un SENSO; perocchè dice [...OMISSIS...] .
Non intende adunque di dire che
Iddio potesse creare un uomo colla stessa lotta, colla quale
or nasce l' uomo caduto, l' uom peccatore; ma con un' altra
specie di lotta, che nè sarebbe peccato, nè l' indurrebbe mai
necessariamente a peccato alcuno. Dunque l' uomo presente,
secondo S. Tommaso, è moralmente guasto nella natura, a
differenza di quell' uomo, che Iddio potesse creare nell' ordine
naturale; il quale sarebbe sì limitato , ma non guasto .
E perchè splenda ancora più chiara la dottrina dell' Angelico,
si consideri, che l' obbiezione, che ci fa, parla d' una concupiscenza,
colla quale l' uomo non potrebbe sempre amare
Iddio sopra tutte le cose, nè pure naturalmente. Tale è certamente
la concupiscenza, che, secondo S. Tommaso, trae seco
uscendo alla luce l' uomo di presente. Ma si osservi, che una tale
concupiscenza non è meramente quella che abbiamo designato
come la seconda parte del peccato d' origine, e che
spesso concupiscenza si dice; ma ell' è una concupiscenza
che abbraccia tanto la prima (l' insubordinazione della volontà
a Dio) quanto la seconda parte di esso peccato (l' insubordinazione
delle potenze inferiori alla ragione). Poichè anche in
questo senso si usa spesso la parola concupiscenza da S. Agostino,
da S. Tommaso, e da tutta l' ecclesiastica tradizione. Ora,
quando sotto il nome di concupiscenza s' intende non solo la
semplice parte materiale del peccato d' origine, ma anche la
formale, allora si verifica, che la concupiscenza è il peccato
stesso originale, allora è una concupiscenza « cum privatione
originalis justitiae », presa l' originale giustizia per l' ordinazione
e la dirittura della volontà che è uno de' due sensi assegnatile.
E questa concupiscenza è quella che ha forze sì potenti
da captivare l' uomo sotto il peccato, e da trarlo nel
consenso del peccato, se lungamente senza grazia dimora. Che
alla concupiscenza vengano sì sformatamente accresciute le
forze dalla stortura della volontà superiore, dov' è il formale
del peccato d' origine, l' insegna espressamente S. Tommaso, e
lo spiega così: [...OMISSIS...] ,
parole che S. Tommaso dice per dimostrare che presentemente
l' uomo privo della grazia santificante non può rimanere a lungo
senza mortalmente peccare.
La concupiscenza adunque che impedisce l' uomo dall' amare
Iddio sopra tutte le cose è quella che è unita colla parte formale
del peccato, consistente nell' insubordinazione della volontà
a Dio. Ma abbiamo veduto rispondendo alla quarta obbiezione,
esser mente di S. Tommaso, che coll' insubordinazione
della volontà a Dio, Iddio non potrebbe costituire mai un uomo.
Dunque cade l' obbiezione quinta (1): dunque è falso che Iddio
potrebbe crear l' uomo con una tale concupiscenza; o che il
preferire qualche creatura al Creatore, l' amar più quella che
questo, potesse mai non esser peccato; o che la natura umana
presentemente sia solo spogliata de' doni gratuiti e non anco
ferita nelle parti sue naturali, non certo ne' principii essenziali,
ma quanto alle perfezioni accidentali (2).
Obbiezione 6. Almeno voi dovete accordare, che « il sentire
una qualche lotta della carne collo spirito »consegue dai
principii della natura umana, e quindi si troverebbe in un
uomo creato da Dio senza la grazia santificante.
Risposta . Questa obbiezione eccede i confini della questione.
Noi avevamo tolto a provare che l' uomo presentemente
non solo è spogliato della grazia, ma è ferito moralmente nella
sua stessa natura; e questo è provato coll' autorità di S. Tommaso,
disciolte tutte le obbiezioni che si potevano fare per eludere
l' autorità sua di tanto peso nella cristiana teologia. Ma
per soprappiù rispondo anche a questa sesta obbiezione, osservando,
che si possono distinguere tre necessità venienti dalle
potenze inferiori:
1 necessità, di meramente sentire, [...OMISSIS...] .
2 necessità, di provare tentazione nella volontà di guisa che
la volontà viene incitata ad amare qualche cosa contro l' ordine
morale, [...OMISSIS...] .
3 necessità, di consentire alla tentazione o tentazioni
moltiplicate, [...OMISSIS...] .
Quest' ultima è la trista necessità dell' uomo caduto, che
descrive S. Tommaso quando dice, che l' uomo, senza la grazia
divina, non può a lungo astenersi dal peccato mortale. Questa
necessità non indica solo la nudità della grazia santificante ,
indica una profonda mortal ferita nella stessa natura morale
dell' uomo. Fu provato, che a questa Iddio non potrebbe abbandonare
un uomo da lui creato, ciò sconvenendo alla sua
infinita bontà e santità.
La seconda necessità è quella che si trova nell' uomo caduto,
ma rigenerato, è la madre feconda delle venialità. Anche
questa è una trista necessità, un vero male morale. Nè pure
a questa, diciam noi, potrebbe Iddio abbandonare l' uomo che
uscisse senza grazia dalle sue mani (2).
Quanto poi alla prima necessità, quella di sentire meramente
ciò che è sensibile, senza che la volontà sia eccitata
a preferire il bene sensibile al suo dovere, non volendolo il
libero arbitrio (1): questo non è certamente un male morale,
nè un morale difetto. Dove la volontà non entra affatto con
atti disordinati, non ci può essere immoralità: ogni immoralità
supponendo qualche attività volontaria.
Ora, se questa necessità di sentire sia in qualche parte
condizione della natura umana lasciata a sè stessa ed eccellentemente
compaginata, questa non è questione teologica; ma
meramente filosofica. Si può opinare l' una e l' altra cosa senza
pregiudizio della fede. E però si può opinare che Iddio potesse
crear l' uomo nell' ordine della natura con questa necessità di
sentire, se si tiene ch' ella sia una necessaria limitazione della
natura, e si può opinare il contrario, se si tiene che l' uomo
anche naturalmente, supposta la natura sua perfetta nell' ordine
naturale, dovesse avere un libero arbitrio così signore
della volontà da impedire a questa, col suo imperio, anche i
primi spontanei movimenti, le prime tendenze attive verso il
bene sensibile, opposte all' ordine morale, o a prevenire l' atto
stesso del senso.
Aggiungerò due osservazioni:
1 Alcuni teologi avvisano, che l' uom primo costituito
in grazia non soggiaceva nè pure alla necessità di sentire,
[...OMISSIS...] dice il De Rubeis, [...OMISSIS...] .
Quello che è
certo si è, che la sensazione non avrebbe attratto e nè pur
cominciato ad attrarre necessariamente la buona volontà: questa
avrebbe potuto impedire ogni lusinga della sensazione sopra
di sè con un amore assoluto e non comparativo al proprio
dovere. Onde S. Agostino, [...OMISSIS...] .
2 Que' teologi i quali sostengono possibile lo stato di
natura pura , intendendo per esso una condizione, nella quale
l' uomo sentirebbe la pugna della concupiscenza colla volontà
buona, a tale che questa non potrebbe sempre resistere, ed
amare Iddio per lungo tempo sopra ogni cosa, questi teologi,
dico, nello stesso tempo che dichiarano possibile questo stato
dell' uomo, non intendono di lasciar veramente l' uomo ignudo
di aiuti gratuiti; ma anzi dicono, che Iddio supplirebbe al
bisogno con aiuti ordinarii e speciali, i quali però essendo
transeunti e non abituali non impedirebbero che si potesse
quello dire « stato di natura pura. »Così Tommaso di Lemos,
[...OMISSIS...] .
Aggiungiamo alle addotte, altre testimonianze ancora, le
quali dimostrino che il parlare di tutta la tradizione ecclesiastica
esprime continuamente non già solo uno spogliamento
de' doni gratuiti, ma un guasto profondo nella stessa natura.
1 Un gran numero di scrittori ecclesiastici antichi e
moderni dicono chiaramente, che la volontà dell' uomo che
nasce è curva verso il male, di guisa che convien ritorcerla
indietro affine d' addurla alla rettitudine della legge divina,
come appunto si farebbe d' un pallone storto. S. Ilario di Poitier
commentando quelle parole del salmo [...OMISSIS...] .
Si parlerebbe egli d' un vizio opposto alla legge
di Dio, da cui conviene togliere il cuore; per dire che il cuore
è naturalmente retto? Tanto più che trattasi d' un cuore che
già ha la grazia colla quale può staccarsi dal vizio della natura.
Che cosa sarebbe questo vizio nel sistema de' nostri Anonimi?
La natura spoglia della grazia? no. Che dunque?
2 Se la natura non fosse che spogliata della grazia,
basterebbe vestirla di questa, e sarebbe tolto il suo difetto. Ma
non così le scritture ed i padri descrivono la giustificazione
dell' uomo. S. Paolo parla della deposizione dell' uomo vecchio,
e della vestizione del nuovo. Che uomo vecchio ci sarebbe a
deporre, se la natura non ha alcun male in se stessa? Dovrebbe
bastare di rivestire l' uomo vecchio, senza deporlo, anzi conservandolo
tutt' intero. Al tenor dell' Apostolo consuonano i
padri. S. Ilario di Poitier così descrive la giustificazione: [...OMISSIS...] .
Se la natura umana è di presente senza
difetto, che cosa avrebbe ella da deporre? Nulla: avrebbe solo
da vestir la grazia. Medesimamente le Scritture, i Concili e
i Padri non dicono solo che diventa novo, ma prima dicono
che viene seppellito nella morte di Cristo, [...OMISSIS...] ,
dice S. Leone, [...OMISSIS...] ,
che è il costante insegnamento di S. Paolo, [...OMISSIS...]
(esprime
la remozione di ciò che v' ha di male nell' uomo), [...OMISSIS...]
(esprime il vestimento
della grazia di cui l' uomo viene coperto, deposta la reità del
peccato) (3).
3 I Padri non parlano solo de' doni che abbiamo perduto
col peccato di Adamo, parlano d' un male positivo, che
abbiamo ricevuto dentro di noi. Così S. Gregorio Nazianzeno:
[...OMISSIS...] .
Questa pravità, questa malvagità non può certo significare un
semplice spogliamento della grazia: è qualche cosa che si
riceve dentro di se, non qualche cosa che si lascia. Medesimamente
il mal dell' uomo si chiama da' Padri un veleno comunicatogli
dal serpente, e un veleno non indica una semplice
perdita del bene, ma un vero acquisto del male. Così
Origene nel commento sulla Cantica, esponendo le parole del
Salmo XLII, v. 1, [...OMISSIS...] .
La tradizione ebraica parla costantemente d' un veleno nascosto
nel frutto vietato, che guastò la costituzione intera dell' uomo (2).
4 Quindi anche il peccato originale si chiama costantemente
un morbo , un languore della natura, un contagio ,
una tabe: parole tutte non significanti un mero spogliamento
del vestimento soprannaturale, ma un vero guasto nella naturale
costituzione fisico7morale. Così S. Basilio: [...OMISSIS...] .
E S. Ambrogio di Cristo, [...OMISSIS...] .
S. Anselmo poi, [...OMISSIS...] .
5 I santi Padri di più distinguono espressamente fra lo
spogliamento de' doni supremi, e le ferite della natura, e attribuiscono
l' uno e l' altro effetto al peccato originale: applicandogli
la parabola del Samaritano non solo spogliato dai
ladri, ma ancor ferito. Così S. Ambrogio: [...OMISSIS...] ;
dove anche chiaro apparisce che S. Ambrogio
non mette la morte, l' uccisione dell' uomo nel semplice
dispogliamento della grazia, ma nella disorganizzazione morale
prodotta dalla ferita del peccato.
6 I padri e i dottori dicono oltracciò, che l' uomo nasce
lordo, macchiato (4), immondo, infetto, espressioni tutte che
lungi dall' esprimere una semplice privazione della grazia, indica
una positiva deformità rimasta nella natura umana. Così
il Venerabile Beda: [...OMISSIS...] .
E prima di lui
S. Ambrogio: [...OMISSIS...] .
Da' quai luoghi si vede, come il
gran vescovo milanese fissava l' occhio sulla corruzione annessa
alla generazione per ispiegare il contagio del peccato
astraendo dalla nozione di colpa. Prima però ancora di
S. Ambrogio, lo stesso Origene, quando parlò guidato dalle
parole della scrittura, descrisse il peccato originale come
una verissima sordidezza della natura umana non pur nuda,
ma sozza: [...OMISSIS...] .
7 Sono i santi Padri eloquentissimi a descrivere i mali
profondi, che il peccato d' origine produsse nella natura. Ecco
alcuni de' loro passi. S. Giovanni Grisostomo: [...OMISSIS...] ;
passo recato anche da S. Agostino
contro i Pelagiani (6). S. Atanasio: [...OMISSIS...] .
Ci si dica, quando volessero dire solamente
che nell' uomo ora è solo la privazione della grazia,
colla qual privazione Iddio potrebbe crearlo, non avrebbe potuto
dirlo schiettamente? E che di più facile? O avrebbe detto
in quella vece che tutte le cose sono ora contaminate, tutte
perturbate? Che il paradiso sia chiuso all' uomo senza grazia,
s' intende; ma perchè aperto l' inferno? perchè nemico il cielo?
Come si potrebbe significare più vivamente il guasto dell' umana
natura, che dicendo l' uomo corrotto, e divenuto simile
a' giumenti? potrebbe Iddio creare un uomo corrotto? e
a vili giumenti somigliante? o l' uomo che fosse senza la grazia,
ma colla natura del resto perfetta, potrebbe mai a' giumenti
paragonarsi? E se la natura fosse rimasa senza difetto e sol
priva dell' ordine soprannaturale, come potea dire S. Gregorio
di Nazianzo: [...OMISSIS...] .
Anzi dovea dire: « non son caduto che dall' ordine
soprannaturale: del resto ho tutto il mio: sto ancor
bene: sono ancor sano: non sono dannato ». E come Cristo
avrebbe salvato tutto l' uomo, se tutto non fosse perito? se
fosse perito solo quanto all' ordine soprannaturale, v' avea una
parte nell' uomo, che non avea bisogno di Cristo, e quest' era
tutta intera la natura umana, nella quale, secondo i nostri
teologi, non v' ha difetto alcuno. Ma il parlar della Chiesa è
ben altro: ella non si stanca di ripetere il concetto, che Tertulliano
così espresse: [...OMISSIS...] .
Del pari, potea esprimersi con più di chiarezza la corruzione
della natura umana ed il bisogno della ristorazione operata
da Cristo, di quel che facesse S. Cirillo di Gerusalemme in
quelle parole, [...OMISSIS...] .
. E non si contentano i Padri e i maestri in divinità
di esprimere con parole traslate il guasto intimo, che nell' ordine
naturale recò all' uomo il primo peccato: lo dichiarano
anche in parole proprie. L' esser privo meramente di grazia
non costituisce alcuna malizia; ma la tradizione tutta vede
nell' anima dell' uomo espressamente LA MALIZIA, il disordine
morale. S. Ilario di Poitier dice: [...OMISSIS...] .
La qual malizia
è così descritta da S. Bonaventura: [...OMISSIS...] ,
or non si ferma qui il santo, come
gli Anonimi fanno, ma seguita: [...OMISSIS...] .
Ora la natura umana senza alcun vizio contratto,
ma sol privata dell' ordine soprannaturale, sarà ella
d' indole così maligna, da dover esser priva dell' abito di tutte
le virtù, prona ad ogni genere di colpa, soggetta alla concupiscenza,
schiava e schiava del demonio? Il dirla tale per se
stessa, non sarebb' egli un rovesciare, non che altro, nel Manicheismo?
Questo appunto dicevano i manichei impugnati da
S. Agostino. Ma udiamo anche Gersone, com' egli descriva la
malizia, che col peccato d' origine l' uomo ha contratto: [...OMISSIS...] .
Tale è la definizione di Gersone. Ora la natura pura
avrà ella un' abituale avversione a Dio? quest' abito può egli
esser creato da Dio stesso colla natura? o l' abito non è sempre
cosa distinta dalla natura che lo riveste? La natura umana,
secondo Gersone, non solo ha deposto l' abito della grazia, ma
vestito altresì quello dell' avversione a Dio, il quale la rende
inchinevole a negare la giustizia a chi è dovuta. Pur seguitiamo
ad udire il Gersone. [...OMISSIS...]
Di che
poi conchiude così: [...OMISSIS...] .
Ora avrebbe potuto Iddio creare un uomo nel qual
fosse « carentia utriusque partis justitiae », secondo che s' esprime
Gersone? quei teologi cattolici che sostengono la possibilità
dello stato di pura natura, o come si potrebbe chiamare di
natura non intera, aggiungono, come vedemmo, che Iddio supplirebbe
al bisogno con degli aiuti speciali, ma in tal caso,
cessa la questione (2): questi aiuti speciali sono appunto quelli
che dimenticarono nella penna i nostri Anonimi; e così s' allontanarono
dalla sana e comune dottrina.
9 S. Giovanni Crisostomo rassomiglia la corruzione dell' anima
pel peccato alla corruzione e dissoluzione del corpo, e l' attribuisce
al primo peccato [...OMISSIS...] .
Questa somiglianza tra la corruzione dell' anima pel primo peccato
e la corruzione del corpo torna frequente negli scrittori
ecclesiastici; mi valga in esempio un brano di Raimondo Sabunde
[...OMISSIS...] .
Dalle quali maniere di parlare si scorge
1 che i dottori cattolici non ripongono la morte dell' anima
nella mera privazione della grazia, ma in un guasto simile a
quello della disorganizzazione del corpo; 2 che l' anima così
corrotta e macchiata dal peccato, com' è di presente, non poteva
uscire dalle mani del Creatore.
10 Sono del pari gli antichi maestri costantemente intesi
ad assegnare la sede dell' original peccato nella volontà, descrivendo
il disordine, e l' impotenza di questa al compiuto
bene. Così S. Gregorio Nisseno: [...OMISSIS...] .
S. Macario
d' Egitto (an. 370) distingue espressamente tra la perdita della
grazia che dà diritto alla visione beatifica, e il possesso della
propria natura che s' ha per la volontà ben ordinata; e dice
non solo quella perita pel peccato, ma ben anco questa: [...OMISSIS...] ,
che è la grazia santificante. Questa perdita della
possessione della propria natura fu oggetto d' una definizione
di Papa Celestino, il quale in uno de' celebri suoi capitoli dice:
[...OMISSIS...] .
Il che Teofilatto
ascrive agli affetti pravi, che opprimono l' uomo. [...OMISSIS...] .
Sarà ella questa la natura pura
dell' uomo? Sarà dunque l' uomo, per condizione di sua natura,
venduto al peccato, sotto il dominio del peccato oppresso
dagli affetti pravi in guisa da non potere rilevare il capo?
Se questo fosse natura, non sarebbe la natura per sè mala
de' manichei?
11 Quindi è anco, che si rassomiglia il peccato originale
ad un vincolo, che lega l' umana natura, il che è troppo più
che lasciarla nuda, ma libera. Così S. Ireneo: [...OMISSIS...] .
Così pure S. Gregorio Nazianzeno del Battesimo [...OMISSIS...] .
E Clemente Alessandrino usava la stessa maniera
di favellare: [...OMISSIS...] .
Al che s' accorda il
parlare di Teodoreto. [...OMISSIS...]
L' esser legata è ella cosa propria della natura umana? il legame
rappresenta qualche cosa di sopraggiunto alla natura,
non certo una condizione della natura stessa. Essendo dunque
di presente legata la natura dell' uomo, essa natura dovette
esser liberata e disciolta da Cristo, frase comune presso i
Padri, in esempio della quale bastino recare queste parole dello
stesso Teodoreto, [...OMISSIS...] ;
che ripetono quello
che avea insegnato Cristo di propria bocca, allorché disse. [...OMISSIS...] .
12 Un altro argomento validissimo, per conoscere intorno
a ciò la mente di S. Agostino, si è l' osservare com' egli rispose
ad una obbiezione di Giuliano. Abusando questi d' un
luogo di S. Basilio, argomentava così: [...OMISSIS...] .
Ora se
S. Agostino avesse tenuto il sistema de' nostri Anonimi, quanto
gli era facile rispondere a Giuliano, che nè la natura, nè la
volontá umana ritiene alcun male dalla prevaricazione d' Adamo,
ma solo è priva de' gratuiti favori? Ma non venne e non potea
venire nella mente d' Agostino una tale risposta, e in quella
vece rispose accordando che [...OMISSIS...] .
Ammetteva dunque tutta intera
l' antichità, ammetteva con essa S. Agostino, un vero
male annesso alla natura umana, che Iddio solo potea da essa
separare. Se questo male fosse un constitutivo della stessa
umana natura, di maniera che creata da Dio priva dell' ordine
soprannaturale, ella dovesse seco portarlo; già s' ammetterebbe
una natura subbietto essenzialmente del male: che
è appunto l' errore de' manichei.
13 Ora non solo dicesi la natura legata, e serva del peccato,
ma di conseguente anco schiava del demonio. S. Ottato
Milevitano: [...OMISSIS...] .
Nè
dicano già i nostri Anonimi, che questa è una maniera traslata
di favellare, perchè S. Agostino risponderebbe loro, ció
che rispose a Giuliano, che tentava di evadere per simili scappatoi,
[...OMISSIS...] .
Che anzi tanta si riputò
l' influenza del nemico sull' uomo peccatore, che allo stesso
peccato che porta in se si diede nome di serpente (3).
14 Finalmente anche dalle pene che trae seco il peccato
d' origine può inferirsi lo spogliamento della grazia e il guasto
della natura. Perocchè alla grazia compete il diritto della
visione divina, ed all' incontro, [...OMISSIS...] .
Ma colui, che muore col peccato
originale non solo perde la vision beatifica o il regno celeste;
ma ancora la vita dell' anima, perchè resta in lui il peccato
definito dal sacro Concilio di Trento mors animae . Onde il
Papa Siricio: [...OMISSIS...] , scrisse ad Imerio, [...OMISSIS...] .
Vero è che noi siamo altamente persuasi, che oltre la redenzione
di quegli uomini, a cui s' applicano per mezzo del
battesimo i meriti della passione di Cristo, anche gli altri uomini,
che muoiono senza colpa mortale partecipano della liberalità
del Salvatore, il che noi chiamamo donazione di Cristo.
E di questa sentenza molte autorità si potrebbero addurre,
non solo de' Padri, ma delle Scritture, tra gli altri il testo del
salmo citato dall' apostolo, che dice, non solo aver Gesù Cristo
condotta sua schiava la schiavitù, cioè gli schiavi del demonio
da lui redenti, ma ancora aver ricevuto dei doni da distribuire
agli uomini: [...OMISSIS...] .
Il che era figurato in Abramo, che fece Isacco
suo erede, e dimise con dei doni i figliuoli delle schiave. Ed
è d' altra parte di fede, che il beneficio della risurrezione è
un dono fatto da Cristo a tutti gli uomini, anche ai non redenti.
Onde noi già mostrammo, in un opuscolo su questo
argomento, che i bambini morti senza battesimo possono benissimo,
dopo la risurrezione, godere d' una naturale felicità,
ma non perchè questa si appartenga loro di diritto, ma perchè
è conveniente alla somma generosità di Cristo, ed alla sua
gloria. Questa felicità dunque gratuitamente loro largita non
può addursi a provare che il peccato originale non importi
alcun disordine nell' umana natura, come vogliono i nostri teologi
razionalisti, ma vale solo a provare la ricchezza e la bontà
e l' amore di Cristo verso gli uomini. Lasciato dunque da parte
quel che viene da Cristo come gratuito suo dono, e considerata
la natural pena del peccato originale ne' bambini, questa
è la morte, non pur del corpo, ma dell' anima, che nell' altra
vita consisterebbe in uno stato d' eterna inazione, conservata
solo all' anima intellettiva l' immota intuizione dell' essere, per
la quale esiste.
Il peccato originale dunque, cui l' uomo riceve coll' esser
generato, è un male morale , e questo necessario .
Dunque si danno de' mali morali necessarii.
Questo male morale necessario viene nella sua origine
rimota da un atto di libera volontà commesso dal primo padre:
dunque il male morale è necessario nella sua prossima
cagione, ma ha in pari tempo per cagione rimota anch' esso,
la libertà.
Che anzi la libertà umana dee essere sempre la cagion
rimota de' mali morali necessarii, perchè altrimenti si
farebbe autore di essi Iddio, o la natura mala, cadendo nel
Manicheismo.
Tali sono le dottrine della Chiesa: i teologi razionalisti
le accusano di Calvinismo e di Giansenismo: di cui sono
un documento gli ultimi opuscoli anonimi. Noi ci faremo ad
esaminare di nuovo la questione in tutta la sua generalità.
Due sono i principali errori de' calvinisti e de' giansenisti
intorno all' umana libertà: Essi sostengono
1 Che l' uomo nello stato di natura caduta abbia perduto
interamente ogni libertà, di maniera che egli al presente operi
sempre necessariamente; operando il bene quando prevale in
lui il peso della grazia, e operando il male quando prevale in
lui il peso della concupiscenza, senza poter fare altramente;
2 Che operando con una tale volontà necessitata, l' uomo
nello stato presente meriti, o demeriti.
Tutti gli errori essendo abbinati, come sono sempre abbinati
gli estremi, quali saranno gli errori opposti ai due errori
calviniani e gianseniani sopra enunciati?
I seguenti:
1 Che ogni atto dell' umana volontà sia essenzialmente
libero, e la parola volontario non abbia altro significato che
quello di libero , e che non sia nè pure atto umano quello
che non è libero; sicchè l' uomo operi sempre con una libertà
d' indifferenza;
2 Che perciò nella sfera delle cose morali non v' abbia
che il merito e il demerito; non potendosi dare moralità buona
o cattiva, che sia necessaria.
Questi dunque sono i due estremi. Che cosa sente la
Chiesa cattolica?
Ella cammina dirittamente nel mezzo, e decide contro i
primi:
1 Che la libertà d' indifferenza non è perita nell' uomo;
2 Che non si dà merito o demerito nello stato di natura
caduta se non allora che l' uomo opera colla detta libertà di
indifferenza.
Decide ancora contro i secondi:
1 Che l' uomo non opera sempre con libertà d' indifferenza,
ma che talora egli opera con una volontà priva di
coazione, ma non priva di necessità; senza però che allora
meriti nè demeriti;
2 Che quando la volontà umana soggiace alla necessità,
se tale necessità è moralmente buona, viene da Dio; se ella
è moralmente cattiva, viene da un abuso precedente della
libertà umana, fatto o dall' uomo stesso in cui quella trista
necessità si ritrova, ovvero dal primo padre; di maniera che
ogni qual volta vi è la necessità nella causa prossima (la volontà
istante), vi è o vi fu la libertà nella causa rimota (la
volontà che liberamente produsse quel malo stato della volontà).
Ora chi imprende a difendere la dottrina della Chiesa
cattolica, converrà, per ragion di chiarezza, che incominci a
distinguere due questioni. Poichè
1 Altro è il dimandare, se, considerata la sola natura
della volontà umana, questa abbia due maniere di esser disposta,
e di operare, l' una necessaria, e l' altra libera; e posto
che sì, se operando il male morale colla volontà libera in
causa, ma all' istante necessitata, o avendo allo stesso una
suprema propensione, ella contragga od abbia in sè qualche
specie di deformità morale; e
2 Altro è il domandare, se, posto il presente ordine di
cose e la caduta adamitica, Iddio permetta di fatto, che la
volontà umana soggiaccia talora alla necessità del male.
La prima è questione astratta e filosofica; la seconda è
questione di fatto e teologica, questa è legata con quella, non
è quella. Noi cominceremo dalla prima: considereremo la volontà
umana in sè stessa, e cercheremo se per sua natura
questa volontà abbia i detti due modi di operare e di esser
disposta, il necessario ed il libero; e se aderendo al male
morale necessariamente, ella contragga o no qualche deformità
morale.
La prima parte di questa questione si dee sciogliere affermativamente
per consenso di tutti i teologi cattolici e de' filosofi.
Che la volontà dunque di sua natura abbia i due detti
modi di operare il volontario ed il libero, non è a spenderci
altre parole. Resta solo che vediamo se, dato che la volontà
aderisca necessariamente al male, ella contragga da questa
adesione per ciò solo una deformità. S' avverta che qui si tratta
di un male morale che sia tale per essenza, com' è l' odio di
Dio o del prossimo, l' amore della menzogna, l' amore disordinato
di se stesso, e simili, e non che sia male solamente perchè
vietato dalla legge positiva; giacchè in quest' ultimo caso
non può aver luogo la questione, cessando ogni legge positiva
qualora la volontà non possa adempirla.
Sosteniamo dunque, che posta l' adesione al male morale
della volontà, questa, anche se come soggetto o causa prossima
di quell' adesione (1) soggiace alla necessità, dalla stessa
e sola adesione contrae una deformità morale. Ed eccone
brevemente le prove.
I E` di fede che l' anima volitiva contrae necessariamente
il peccato originale, e ne riceve una macchia, una deformità
(1). Dunque non si può negare, che il male morale che
aderisce all' anima, anche con necessità, perciò solo che le
aderisce, la deformi;
II Non vi sarebbe possibilità di precetto vetante il male ,
se il male non fosse tal cosa che deforma la volontà che in
qualunque modo le aderisce; poichè male , ossia « oggetto moralmente
cattivo (2) »altro non vuol dire, se non ciò che,
informando la volontà, la disordina; e senza un male, un
oggetto da fuggirsi, non può esservi precetto che ne ordini la
fuga. Distinguansi bene le varie maniere di concepire l' oggetto.
C' è l' oggetto materiale , che è la cosa considerata in
se, per esempio Dio e il prossimo in se stessi; non è questo,
a cui si riferisce prossimamente la legge vetante. C' è l' oggetto
intellettuale , per esempio Dio e il prossimo presenti meramente
all' intelletto; nè pur a questo si riferisce prossimamente
la detta legge. C' è finalmente l' oggetto morale , cioè
l' oggetto in quanto è amato ovver odiato: questo è l' oggetto
prossimo della legge vetante. La legge vieta l' odio di Dio e
del prossimo . L' oggetto prossimo della legge vetante è dunque
ciò che prossimamente produce la deformità della volontà: la
legge vieta quella mala adesione . L' odio di Dio e del prossimo
per sè ed assolutamente la deturpa. Il male morale dunque
è una deordinazione della volontà, la quale è tale in sè stessa,
senza bisogno di sapersi s' ella sia stata prodotta necessariamente
o liberamente. Essendo mala in se stessa, la legge la
proibisce: quella malvagità è anteriore alla legge o al precetto,
è fondata nella natura delle cose. Ella è quella che rende
possibile il precetto. Questo viene dopo, e non parla che alla
libertà , non obbliga che la libertà; la quale se obbedisce al
precetto merita, e se disubbidisce, demerita. Ma se la libertà
non esiste; se altro non vi ha nell' uomo che la volontà necessitata;
la deordinazione di fatto non può mancare, benchè
senza demerito, e quella deordinazione è una immoralità; perchè
risiede nella volontà; e se questa è suprema nell' uomo,
come accade nel bambino non battezzato, dicesi ed è peccato.
Egli è vero, che la volontà potrebbe disordinarsi anco in
quella sola parte che è libera. Questo è il caso del precetto
positivo che è dato alla sola libertà; ond' anco non ammette
che una specie sola d' immoralità, il demerito. E tuttavia, come
dicevamo, anch' egli si riferisce ad un male reale esistente
nella natura delle cose; qual' è l' inobbedienza , che si può
definire la deordinazione della libertà .
III Se mancasse il fondamento nella natura della cosa,
se mancasse il male oggettivo, la deordinazione della volontà ,
o necessitata, trattandosi di cose intrinsecamente cattive, o libera,
trattandosi anche di precetti positivi; se mancasse in una
parola l' oggetto prossimo del precetto, nè pure potrebbe esservi
colpa; appunto perchè come abbiamo detto al numero
precedente non si dà possibilità di precetto, senza un male
morale , oggetto del precetto. E però S. Tommaso dopo aver
parlato del peccato semplice e della sua deformità intrinseca
dicendo, che ella consiste nel deviare della volontà dal fine
ultimo dell' umana vita, [...OMISSIS...]
passa alla colpa, aggiungendo, ET
IDEO (cioè essendovi precedente il male morale da evitarsi
dall' umana libertà, che se non ci fosse, la colpa non sarebbe
possibile) [...OMISSIS...] ;
mostrando
così, che anteriormente alla colpa c' è il male morale; e che
perciò s' incolpa l' uomo che opera liberamente [...OMISSIS...] ,
perchè opera il male, perchè commette il peccato, che è l' oggetto
della colpa, e della stessa legge vetante.
IV Altra prova validissima io deduco dalle perniciose
conseguenze della dottrina opposta. Sia vero, come vogliono
i teologi razionalisti, che in quel tempo, nel quale l' uomo è
privo di libertà nel suo operare, non vi avesse male morale
di sorte alcuna. In tal caso quest' uomo non sarà obbligato a
cercare i mezzi di accrescere le sue forze morali, non sarà
obbligato neppure a domandare da Dio aiuto coll' orazione.
Poichè a qual fine lo dimanderebbe? per evitare un male
morale, no; chè egli non fa alcun male morale fin che è necessitato;
e quando non è necessitato, egli non ha bisogno
d' aiuto; può evitare il peccato colle sue forze: [...OMISSIS...]
dice S. Agostino, [...OMISSIS...] .
Nè vale il dire che il peccato, che commetterebbe
negligentando d' accrescere le sue forze, è libero nella causa
rimota; perocchè questa risposta supporrebbe quello che si
nega, cioè che ci fosse un male da evitare; mentre si sostiene,
che l' uomo costituito in necessità non fa alcun male, non ha
per questo peccato, checchè egli faccia. Nè pur questa necessità
è cosa cattiva, ch' egli debba cercar di evitarla, nel sistema
de' nostri teologi; perchè cattiva non può essere, se non
ha un oggetto cattivo, ma il suo oggetto cessa d' esser cattivo
in faccia ad essa: negandosi che una volontà necessitata abbia
un oggetto veramente cattivo che la deturpi.
V Ebbe torto dunque, secondo questi maestri, nostro
Signor GESU` Cristo, quando mise in bocca de' suoi fedeli quelle
parole, « Et ne nos inducas in tentationem », parole tutt' al più
utili, secondo il loro sistema, a renderci la fuga del male più
facile, ma non necessaria, perchè o possiamo evitarlo colle
nostre forze, o, se non possiamo, non è male; nè male è la
necessità di commetterlo; rimanendo anzi per essa distrutto il
male. Che anzi questa necessità in un tale sistema meriterebbe
di dirsi buona, e dovremmo procurarcela. Ebbe del pari torto
S. Paolo, quando consigliò a maritarsi coloro che non si potessero
contenere, dicendo che « melius est nubere quam uri »,
giacchè, secondo i nuovi maestri, o l' uomo si può sempre contenere,
o almeno chi non si può contenere, non fa male, se
non si contiene; e però è inutile cercare un mezzo d' evitare
ciò che non è male. Anche il sacro Concilio di Trento dee
aver dato una ragione mal fondata, per non isciogliere i cherici
costituiti negli ordini sacri, e tentati contro la castità,
dalla legge del celibato, dicendo, che colla preghiera essi poteano
bene ottener da Dio la grazia della continenza (1). I
nostri maestri avrebbero dato una risposta più facile: Chi non
può contenersi, non fa male ponendo l' opere della carne. In
somma la dottrina che non vuole riconoscere altro male morale
deformante la volontà e l' anima umana che il libero ,
distrugge la pietà ed apre l' adito ad ogni scostumatezza ed
empietà, e questa è appunto una gran causa del lassismo in
morale.
VI Qui ritorna ancora, chi ben considera la questione
circa i peccati d' ignoranza, che hanno una causa prossima
non libera. Pelagio e Celestio che negava furono condannati
dalla Chiesa (2). E condannati perchè il peccato originale si
contrae pure ignorantemente e necessariamente, e pur esso è
peccato, sicchè chi non riconosce peccato dove non v' è cognizione
attuale , viene a negare l' originale infezione quanto
colui, che non riconosce peccato dove non v' è libertà . Furono
dannati ancora perchè al peccato originale riduconsi
certi atti peccaminosi, in cui l' uomo, se non ha la grazia di
Cristo, necessariamente cade, notar dovendosi, che qui intendesi
per ignoranza non una mera nescienza , ma un errore
del giudizio affascinato nelle cose morali dalla passione. [...OMISSIS...] .
I quali atti, qualora del solo peccato
d' origine sono effetti, non hanno altra colpa diversa che quella
dello stesso originale peccato. In terzo luogo ancora furon
dannati perchè venivansi con ciò ad escludere i peccati commessi
per ignoranza invincibile , di quelle cose, di cui ha
l' uomo dover d' istruirsi: dovere che egli non punto avrebbe,
se non si desse un peccato, che non cessi d' esser peccato
anche in chi ignora che sia. Conciossiachè e come mai potre' io
avere obbligazione di conoscere i miei doveri, se, non conoscendoli,
già non pecco? Conciossiachè se non li conosco non
posso eseguirli, se non posso eseguirli, non sono più obbligato.
Laonde io farò anzi bene a conservare la mia ignoranza, che
mi lascia libero di far ciò che voglio senza però peccare!
Laonde nella Censura fatta da molti Vescovi dell' « Apologia
pe' Casisti (1) », già condannata anche dall' Apostolica sede
con suo decreto del 21 Agosto 1659, si proscrissero più proposizioni,
perchè [...OMISSIS...] .
S. Tommaso dunque
ha ragione, e han torto i moderni teologi che negano il
male morale in causa prossima necessario, quando dice, che
l' ignoranza vincibile non iscusa dal peccato, dando di ciò la
ragione seguente: [...OMISSIS...] .
VII Queste ultime parole mi conducono a por qui una
settima ragione che prova l' esistenza d' un male morale nella
sua causa attuale ed instante necessario, benchè libero nella
causa rimota. I teologi morali si propongono la questione: se
chi si mette nell' impossibilità di adempire alle sue obbligazioni
pecca poi col non eseguirle. Alcuni rispondono, che non
pecca in actu , ma solo in causa . Il Bolgeni si oppone, sostenendo,
che pecca in causa ed anche in actu . [...OMISSIS...] .
Se fosse vera
la sentenza di questo autore, avremmo qui de' peccati necessarii
in causa prossima. Io non di meno non posso acconsentirgli
(2), ma trovo di dover distinguere. O l' atto peccaminoso
che quest' uomo fa per necessità è un attuale deordinazione
della sua volontà; o no. Nel primo caso c' è un nuovo male
morale in lui; nel secondo, tutto il male morale sta nell' ommissione
o commissione libera, per la quale s' è messo nella
necessità di peccare. Poniamo il caso dell' uomo, che vinto dal
talento di bere s' ubbriaca a malgrado ch' egli prevegga che
nell' ubbriachezza commetterà molti altri peccati. L' ubbriacarsi
è un peccato che comprende tutti i peccati da lui preveduti,
li faccia o no; e in questo senso (in causa) è reo di tutti. Ma
sarà egli vero, che come vuole il Bolgeni, faccia altrettanti
peccati attuali, quant' egli ne farà di fatto? Ne verrebbe l' assurdo,
che se de' preveduti da lui ne facesse di più, sarebbe
più reo, se ne facesse di meno, sarebbe meno reo: ora il farne
di più o di meno, non dipende ormai più dal suo libero arbitrio.
Dico dunque, che una sola è la colpa che comprende
tutti i peccati preveduti, almeno in confuso, non tutti i peccati
realmente commessi nello stato di ubbriachezza. Ma poi
tra questi peccati che commette ubbriaco e di cui nella causa
è colpevole, ve ne posson essere di quelli che sono anche peccati
in atto, benchè non colpe; ed altri che in atto non sono
nè colpe nè peccati. Perocchè è solo peccato nuovo ciò che
pone una nuova inordinazione della volontà. Laonde se ubbriaco
facesse degli atti d' odio di Dio, e del prossimo; atti che
puó e conoscere e volere anche un ubbriaco; questi disordinerebbero
la sua volontà, benchè fosse trascinata a ciò dalla
passione, dall' abito, o dalla mala inclinazione. Così se s' immergesse
in carnalitá a cui l' eccitamento del vino il trascina,
conoscendo e volendo quello che fa, chè anche un ubbriaco
può conoscere e volere: la sua volontà riceverebbe un nuovo
male morale: e male morale sarebbe l' inclinazione contratta
a tali peccati, che in lui si rimarrebbe anche risanato dall' ubbriachezza.
Ma se i peccati che fa ubbriaco non sono atti
nè affetti disordinanti la volontà; come se dormendo ommettesse
d' udir la messa in giorno di festa, e mancasse ad altri
precetti positivi, che hanno per oggetto cose per sè indifferenti:
niuna nuova inordinazione o mal morale in lui avverrebbe;
eccetto quello che gli avvenne dall' atto libero, col quale
si pose in quella mala necessità. Ad ogni modo nell' una o nell' altra
sentenza, s' accorda ugualmente avervi un male morale,
nella sua causa prossima ed attuale necessario.
VIII Si dimostra la stessa tesi argomentando da diverse
decisioni della Chiesa. Io mi restringo ad accennare la condanna
della 2 proposizione condannata in Bajo, dalla quale si
puó chiaramente inferire, che vi ha un male morale disordinante
per se stesso la volontà, quando vi aderisce necessariamente
o no. Essa proposizione dice: [...OMISSIS...] .
Chi non intende
da questa proposizione, che, secondo la Chiesa cattolica
v' ha dunque un opus malum , il quale benchè ex natura sua
sia malvagio; tuttavia non è demeritorio, provenendo il demerito
dalla libertà e non dalla sola natura dell' opera; e che v' ha
medesimamente un opus bonum , il quale benchè ex natura sua
sia buono, tuttavia non è meritorio, provenendo di nuovo il merito
dalla libertà (supposta la grazia), e non dalla sola natura
dell' opera? E tuttavia quest' opera mala , e quest' opera buona ,
che se non è libera non demerita, ell' è un' opera volontaria;
perocchè trattasi qui d' opere umane, d' opere ex sua natura
buone e cattive moralmente, non già fisicamente: chè per essere
opere buone o cattive moralmente si suppongono volute; non
essendo nè buone, nè cattive nella loro entità puramente materiale
(1). Adunque per far sì che un' operazione sia moralmente
malvagia, basta ch' ella sia tale di sua natura; e perciò
volontaria; come a fare ch' ella sia moralmente buona, basta
che sia ancora tale di sua natura, e perciò all' uomo volontaria.
Ma non basta già questo solo perchè si possa attribuire
all' una ed all' altra il suo merito; giacchè questo ha bisogno
della condizione d' una libera volontà. La Chiesa dunque condannò
Bajo perchè egli distruggeva col suo sistema la distinzione
tra il semplice peccato , e la colpa; e si può dire, attenendosi
allo spirito ed al fondo d' una tale condanna, che contro quella
eresia, ella, al suo solito, rimettesse in vigore una sì importante
distinzione.
IX Se il male morale coll' esser necessario cessasse per
questo solo d' esser male, non sarebbe morto Cristo per salvare
il mondo dal peccato. Poichè l' uman genere avrebbe
potuto da se stesso esser giusto sol che adoperasse quelle forze,
che restavano al suo libero arbitrio, niente nuocendogli poi
il non adempire ciò che fosse superiore alle sue forze, nè lo
stesso peccato originale gli avrebbe nociuto, il quale già non
sarebbe stato più peccato nè male alcuno, perchè inevitabile.
Laonde come l' ammettere e il riconoscere un male morale
deordinante la volontà e perdente l' uomo, per se stesso, vincendo
altresì la volontà soggetto o causa prossima di esso, e
tenendola schiava del demonio, esalta immensamente la redenzione
di Cristo e la riformazione del mondo da esso operata,
e la dimostra opera d' un Dio fatto uomo; così il sistema, che
riduce ogni male morale alle libere azioni fa ingiuria gravissima
a Cristo, rende superflua o almeno non necessaria la
redenzione del mondo, e apre il cammino al socinianismo, e all' empietà
che la nega.
X Ma anche la ragione naturale basta a dimostrare,
che l' inordinazione della volontà è un male morale per se
stesso, indipendentemente dalla ricerca se la libertà l' abbia o
no come cagion prossima prodotto. Poichè la volontà è una
potenza come l' altre, è una natura anch' essa, che ha le sue
proprie leggi e condizioni necessarie, non dipendenti da se, o
dalla sua libertà. Onde S. Tommaso colla sua solita veduta
filosofica, applica al disordine della volontà, la stessa definizione,
e gli stessi principii, che valgono parlando del disordine
dell' altre potenze. Appunto per questa universalità di vedute,
egli attribuisce alla parola peccato un senso così generale,
che abbraccia anche i disordini non morali, cioè quelli che
accadono nella natura, o nell' esercizio dell' arte, dicendo, che,
[...OMISSIS...] .
Dalla qual definizione induce, esserci tre generi di peccati,
cioè peccati della natura , peccati dell' arte , e peccati della
volontà; in ciascuno de' quali si verifica la definizione, perocchè
ci ha peccato di natura quando la natura devia dal
suo fine, ci ha peccato di arte quando l' arte devia dal suo
fine, ci ha peccato di volontà quando la volontà devia dal suo
fine. Si può poi conoscere, se la natura, o l' arte, o la volontà
devia dal suo fine, osservando se queste potenze procedono o
no secondo quella regola , che al suo fine le scorge, [...OMISSIS...] .
Ora quale, dimanda egli, è la regola della volontà?
Risponde. [...OMISSIS...] .
Di che raccoglie quale sia il peccato della volontà
dicendo, [...OMISSIS...] .
Il peccato adunque della
volontà, secondo l' Angelico, c' è sempre, ogni qualvolta ella si
torca dalla rettitudine della legge morale, onde in universale,
senza che c' entri per nulla la libertà, [...OMISSIS...] .
Tutta la malvagità dell' atto volontario è
cavata unicamente dall' esser quell' atto conforme alla regola o
difforme da essa, ordinato o disordinato; allo stesso modo come
l' atto della natura e dell' arte, dove non ci può esser libertà,
è malo o buono secondo che è diritto o torto in verso alla
regola sua che lo dirige al fine. Non entra per nulla la libertà
prossima nel costituire il peccato, ma solo c' entra la
dirittura o stortura della volontà. Ma, stabilito così da S. Tommaso
in un articolo della sua « Somma », che il peccato della
volontà sta nella deordinazione della volontà in verso al suo
fine (5), passa nell' articolo che segue a parlare dell' accidente,
in cui questa deordinazione sia libera, mostrando con ciò la
differenza che passa tra il peccato della volontà di cui parla in
un articolo, e la colpa di cui parla in un altro, e di cui non
avrebbe parlato a parte, se avesse creduto che l' esser peccato
fosse un esatto sinonimo dell' esser colpa. Nell' articolo dunque,
dove egli parla di questa (1), pone per principio, che l' uomo può
esser signore de' suoi atti, cioè che tutti gli atti volontarii sono
in balía dell' uomo stesso, per quella forza che si giace nella
sua volontà come volontà, e la libertà; e non della volontà
come natura. Chè così e non altramente debbono intendersi le
parole dell' angelico, [...OMISSIS...] .
L' Angelico parla in generale di quello che compete agli atti
volontarii come volontarii, non degli atti volontarii come naturali,
essendo certo che tali atti hanno, per essenza loro,
questa ordinazione e relazione d' essere sommessi alla signoria
dell' uomo: il che non toglie, che per accidente avvenga poi
altrimenti, perdendo l' uomo la sua signoria e libertà, o mancandogli
le condizioni richieste per esercitarla, o in somma
operando la volontà come natura, non puramente come volontà.
L' attribuire a S. Tommaso un senso diverso, l' intendere le
sue parole così materialmente, da fargli dire, che ogni singolo
atto volontario è di fatto libero, è un mettere in un' aperta e
indissolvibile contraddizione S. Tommaso con se stesso, che
apertamente riconosce il movimento necessario della volontà (1).
Attenendoci dunque al genuino senso delle parole di S. Tommaso,
egli pone il principio, che [...OMISSIS...]
ossia soggetto alla sua
libertà. Ciò posto, raccoglie in questo modo: 1 l' atto volontario
è un disordine, un peccato, ogni qualvolta devia dal fine
comune dell' umana vita: [...OMISSIS...] ;
2 ma l' atto volontario
di sua natura è nato ad essere in potere dell' uomo, [...OMISSIS...] .
Dunque (ecco la
conclusione) col peccato libero ci sono due inordinazioni, l' una
quella della volontà , che è disordine dell' uomo, in quanto è
uomo, in quanto la sua volontà è una natura avente le sue
proprie leggi; l' altro quello della libertà , che è disordine
dell' uomo in quanto è morale , intesa questa parola per idonea
a dare a se stesso de' buoni o mali costumi . [...OMISSIS...]
(poichè
all' atto malo libero è deformata la libertà, e s' imputa perchè
la sua libertà n' è la causa) (2).
Si riconosce adunque e si dimostra col naturale discorso:
1 Che la volontà umana se fa un atto obliquo dal fine
suo, per esempio se odia Iddio, od ama la menzogna, contrae
un disordine, sia che ella aderisca così al male necessariamente,
come i reprobi nell' inferno, o che vi aderisca liberamente;
il qual disordine deforma e guasta la volontà umana,
allo stesso modo come qualsivoglia altra potenza fisica e non
libera rimane disordinata e guasta ogni qual volta ella erra
dal suo proprio fine, o come dice l' Angelico [...OMISSIS...] ;
2 Che questo disordine della volontà può dirsi morale
ogni qualvolta esso riguarda il fine comune della vita umana,
perchè [...OMISSIS...] dice lo stesso S. Dottore, [...OMISSIS...] ;
3 Che se la volontà guasta è la suprema potenza, il
supremo principio attivo dell' uomo, come accade nel peccato
originale; tutto l' uomo ne riman guasto; dipendendo
tutte le altre potenze di lor natura dalla prima e suprema;
la personalità stessa è infetta, trovasi in istato di peccato;
4 Che se l' uomo è disordinato e guasto nel suo principio
supremo, qual è la sua volontà personale, benchè ciò
non sia opera della sua stessa libertà, egli non può a meno
di averne qualche pena che lo impedisca dal godere una
piena felicità, se questa non gli è da Dio misericordiosamente
levata; perchè la piena felicità non si può dare, se non in
un uomo ordinato e in tutte le sue potenze perfetto; attesochè,
come dice S. Agostino, [...OMISSIS...] ;
5 Che sarebbe un manifesto assurdo l' immaginare, che
una volontà disordinata, aderente per necessità al male morale
fosse ricevuta in Cielo; dove tutto è ordine e bene; nulla vi
può esser di disordine e di male. Onde basta che la volontà
sia disordinata, eziandio che non sia libera, come accade nel
peccato originale, acciocchè ella venga naturalmente esclusa
dal Cielo. Di che S. Tommaso dice, che pel peccato originale
[...OMISSIS...] ,
cioè l' anima è
soggetta ad un male eudemonologico, che rispettivamente ad
Adamo, causa rimota e libera di quella inordinazione necessaria
della volontà, acquista il nome di poena , come il male
morale, o macchia nella stessa relazione, acquista il nome di
colpa.
XI Di più. Egli è di fede, che [...OMISSIS...] ,
cioè che non può più risorgere da se stesso, ma è
necessitato di starsi in istato di peccato, se Dio nol libera, quia
sponte , dice S. Agostino, [...OMISSIS...] .
Il qual dogma fu espresso dal Concilio
di Trento: [...OMISSIS...] .
Questo peccato,
sotto cui è servo ogni peccatore, e di cui per natura è servo
tutto il mondo, è egli necessario o libero? Fu libero prima di
commettersi; ma commesso, è già divenuto necessario, chè niuno
più colle sue forze [...OMISSIS...] .
E bene; ne vien
forse, che per esser soggetto l' uomo cosí necessariamente al
peccato, il peccato non sia più peccato, o non faccia più male
all' uomo, non gli deformi più l' anima? Il dirlo sarebbe manifesta
eresia. Dunque si deve considerare come eresia anche
il pretendere, come fanno i teologi razionalisti, che non ci sia
un male morale necessario, e che ogni male morale sia libero.
XII Gli abiti non meritano nè demeritano, per consenso
comune de' Teologi (4). Ma perchè non meritano gli abiti cattivi ,
non saranno essi perciò un male morale? E non sono
forse una morale inordinazione della volontà? Chi mai potrà
disconfessarlo? Ci ha dunque un male morale diverso dal demerito;
un male necessario, com' è l' abito; che colle sole
forze nostre non si può levare, almeno all' istante. Quantunque
però non possa io ammettere la dottrina dell' Estio sul demerito
degli abiti; tuttavia ci gioverà riportarla. Conciossiacchè
ella contiene una serie d' argomenti attissimi a provare queste
due cose, 1 che l' abito malvagio è male morale , ed a Dio
odioso, 2 che ha seco congiunto come naturale appendice il
mal fisico , che dal morale mai si scompagna. Odasi adunque
come l' Estio favella, tutto a confutazione della dottrina pelagiana,
tendente sempre a ridurre ogni male morale al solo
atto libero, affin di distruggere il peccato d' origine, e con esso
tutta le fede di Cristo.
[...OMISSIS...]
Non che meritino lode
o vitupero, ma che deformino la volontà umana si può mostrare
con gli argomenti che seguono, i quali noi esamineremo
ad uno ad uno:
[...OMISSIS...] .
Dall' abito non vengono
di necessità le azioni delle virtù e de' vizi; che se qualche volta
necessariamente venissero, non meriterebbero nè demeriterebbero
pur queste. Ma come queste azioni adornano o deformano
l' anima; così pure gli abiti; o sieno causa di tali azioni, o sieno
solo disposizioni a porle più facilmente, con meno libertà, ma
con più forza di volontà.
[...OMISSIS...]
La vita eterna va dietro alla giustizia infusa, e la dannazione
al peccato ricevuto come una natural sequela, per l' unione
intima fra il ben morale e il ben fisico, il mal morale e il
mal fisico. Ma come la giustizia infusa è meritoria riferita a
Cristo che per noi la meritò; così la dannazione dell' originale
peccato è demeritoria riferita ad Adamo che per noi demeritò.
[...OMISSIS...]
Il biasimo che si dà a quell' uomo si riferisce alle azioni
libere colle quali egli si pose in quello stato, ma niuno negherà
perciò che quello stato sia moralmente cattivo, benchè
nel dormiente almeno, necessario.
[...OMISSIS...]
Egli è vero che la dannazione consegue ad un' anima infetta
da' vizii anche considerata questa infezione in se stessa,
senza riferirla alla causa libera che la produsse; ma solo riferita
a questa causa, quella dannazione dicesi meritata, e ne
viene così giustificato Iddio, come ottimo autore di una natura
che da se stessa liberamente decadde. Quanto poi alla giustizia
ed alla santità, egli è certo che trae seco, per se stessa
considerata, nell' ordine eterno delle cose, la beatitudine; e
Iddio non ha bisogno di giustificazione se vuol donar questa
e quella, informando la volontà della sua creatura pienamente
di se, senza lasciargli nè pure la possibilità morale di contraddire
a sì generosa comunicazione di bene, onde lo Suarez
scrive: [...OMISSIS...] ,
e come fece con MARIA sua
madre. Il che tutto dimostra darsi una moralità necessaria
informante e attraente la volontà, e la volontà cooperante e
consenziente, senza l' esercizio della libertà d' indifferenza.
[...OMISSIS...]
Sulle quali parole si debbono fare le stesse osservazioni
che sulle precedenti; cioè che il PECCATO, ed il BENE MORALE
si trova indubitatamente anche nell' abito , che è cosa di natura
sua necessaria, e ha la sequela del male e del bene eudemonologico;
ma che, in quanto alla COLPA ed alla LODE, quella
si rifonde sempre in quegli atti liberi , che quegli abiti cagionarono.
Ma gli abiti son difficili ad osservarsi e a perscrutarne la
natura: onde sfuggono facilmente al pensiero degli uomini,
benchè non a quello di Dio. Questo non dissi io solo (1); ma
l' Estio ancora il vuol ben considerato, così concludendo il suo
ragionare. [...OMISSIS...]
Passiamo ora ad esaminare la seconda questione.
Da tutte le cose fin qui ragionate evidentemente si dee
conchiudere, che la risposta affermativa a questa questione,
in generale, è DI FEDE. Solamente può aver luogo l' opinione
teologica in determinare alcuni casi speciali, ne' quali s' avveri
o no quella necessità.
Che dunque sia di fede in generale, che v' abbia realmente
un male morale, nella sua causa prossima e nel suo soggetto
(la volontà), necessitato, si prova,
1 Dall' esser di fede, che i demoni ed i dannati sono in
istato di peccato, del qual peccato in cui perdurano la causa
prossima ed il soggetto è la loro perversa volontà;
2 Dall' esser di fede, che il bambino che nasce, prima
di ricevere il battesimo, ha in sè il peccato originale, male
morale, consistente in un' avversione a Dio della sua volontà,
la qual volontà si mette colla stessa generazione in quell' atteggiamento
per l' attraimento della carne; onde anche qui la
causa prossima è necessitata; e il soggetto necessitato.
Da questo poi avviene, che tutto il genere umano per se
stesso considerato, quale è costituito dalla generazione, dicesi
dall' Apostolo MASSA CORRUPTA, di corruzione non già fisica
solamente, ma anche morale; come pure vien provando
l' Apostolo, colle antiche Scritture che accennano gli effetti,
che provano la natural corruzione, [...OMISSIS...] .
Laonde S. Giovanni parlando della natura umana:
[...OMISSIS...] .
Tutto il genere umano dunque, di sua natura, e senza la
grazia di Cristo, soggiace ad un MALE MORALE NECESSARIO,
benchè libero nella causa remota (6); male che di sua natura
lo perde eternamente, se Cristo non entra a salvarlo: indi la
NECESSITA` ASSOLUTA DELLA REDENZIONE e della grazia per conseguir
la salute, secondo la definizione della Chiesa: [...OMISSIS...] .
Questo MALE MORALE NECESSARIO, a cui tutto l' uman genere
soggiace dall' origine sua, trae seco, di sua natura, cioè
prescindendo dalla virtù di Cristo che accorre a impedirlo,
delle REE CONSEGUENZE MORALI NECESSARIE. Anche questo è
di fede in generale parlando, e solamente entra l' opinione
teologica, quando trattasi di determinare i confini di queste
ree conseguenze necessarie .
Alla fede appartiene.
I Che l' uomo per se solo, senza l' aiuto della grazia di
Cristo, non può, assalito da gravi tentazioni, star lungamente
senza cadere in qualche peccato; ossia non può adempiere a
pieno, di continuo, e in ogni possibil cimento, la legge naturale.
[...OMISSIS...]
Di che
S. Paolo, non alludendo solo al peccato d' origine, ma anche
a' peccati attuali, dice: [...OMISSIS...] .
Poichè quantunque con tali peccati, se fossero
necessarie conseguenze dell' originale, l' uomo, non demeritasse,
come non demerita coll' originale; tuttavia ne contrarrebbe
deformità morale; e questi peccati insieme coll' originale,
di cui sarebbero un naturale sviluppo, lo terrebbero nello stato
d' ingiustizia e di perdizione.
II Che l' uomo colle forze sue naturali, nè colle opere
può acquistarsi la giustificazione in cospetto a Dio, o la salute
eterna (1), e nè pur muoversi colla sua sola libera volontà
verso quella giustizia che è tale agli occhi di Dio (2);
III Che l' uomo, anche così giustificato, non può perseverare
nella giustizia senza uno speciale aiuto di Dio (3).
Tanto impotente è l' uomo senza la grazia. Rimane a
parlare della distribuzione, che fa Iddio di questa grazia del
Salvatore sì necessaria agli uomini. Anche qui alcune cose
sono di fede, altre appartengono alle opinioni delle scuole teologiche.
Intanto egli è certo
I Che Iddio non è obbligato per titolo di giustizia a
dare la sua grazia a nessuno, sicchè qualor anco tutto il genere
umano fosse lasciato alla sorte che gli toccherebbe in
conseguenza del peccato del primo padre, e de' peccati che i
singoli uomini commettessero a imitazione di lui, niuna ingiustizia
vi sarebbe da parte di Dio;
II Che quindi Iddio è libero padrone di scegliere quelli
che vuole, a cui dare i suoi doni, e l' eterna gloria fra i perduti,
il che divinamente dimostra l' apostolo colla figura de' due
figliuoli d' Isacco dicendo, [...OMISSIS...] .
E soggiunge,
a mostrare quant' è libera e gratuita la divina chiamata;
[...OMISSIS...] .
Dice che la salute
non viene dal volere e dal correre degli uomini: perchè non
vi ha persona che senza l' aiuto di Dio, voglia e corra come
bisogna. Laonde giustamente rivolto all' uomo peccatore e impotente
l' Apostolo così favella: [...OMISSIS...] .
E su questa gratuita elezione egli è uopo aver presente,
come S. Agostino la discorre a confusione de' Pelagiani, discorso
pe' nuovi teologi opportunissimo.
Egli pone per primo fondamento, che qualunque essi sieno
i giudizi di Dio, sono giusti, anche se l' altezza di sua giustizia
fosse a noi del tutto inintelligibile, [...OMISSIS...] .
Pone per secondo fondamento, che qualor anco Iddio non
desse ad un uomo la sua grazia, e così costui perisse necessariamente,
o pel solo peccato originale, o anche per altri peccati
da questo fonte promananti, non avrebbe tuttavia ragione
di lagnarsi, anche unicamente [...OMISSIS...] .
E non deduce
questo vero dai corti giudizii dell' umano ragionamento, ma
dalle scritture, dalla fede della Chiesa cattolica, e dalla ragione
teologica. Poichè osserva, che dicendo il contrario ne
verrebbe l' assurdo, che la grazia fosse da Dio dovuta, e non
fosse quindi più grazia. Pongasi dunque l' ipotesi, che Iddio,
come potrebbe farlo, negasse ad un uomo discendente d' Adamo
e quindi peccator per natura, il dono della sua grazia. Questi
ed avrà l' originale infezione sopra di sè, e non potrà adempire
perfettamente i divini precetti, onde dovrà necessariamente
peccare (3). Ora potrà egli scusarsi al tribunale di Dio
dicendo che è condannato per necessità? Non potrebbe scusarsene,
per quantunque misterioso possa parer questo dogma
all' umana miopia, e ripugnante all' umana superbia, [...OMISSIS...] ,
e soggiunge con quella immobile
persuasione, che sola infonde la fede, e sol la parola dell' eterno
crea nell' animo de' fedeli, [...OMISSIS...]
(2).
Egli è dunque di fede, che Iddio potrebbe con giustizia
lasciare anche tutto il genere umano nella sua propria naturale
e NECESSARIA perdizione (benchè l' umano ragionamento
d' alcuni resti qui quale alocco esposto al raggio solare); ed è
pur di fede, ch' ella è sua pura GRATUITA MISERICORDIA, se
anco a un sol uomo accordi la grazia, colla quale egli viva
bene e pervenga alla salute. E nulla di meno, dopo di ciò,
III E` del pari di fede che tanta è la bontà di lui, ch' egli
colla volontà sua antecedente e condizionata, ma verissima
e sincerissima, [...OMISSIS...] . E l' efficacia
di questa bontà s' intende chiaramente, qualora si considerino
gl' innumerevoli mezzi ch' egli ha fornito di spontaneo
moto al genere umano, pe' quali se l' umanità non n' avesse
abusato colla più iniqua sconoscenza, potevano TUTTI I SINGOLI
UOMINI pervenire all' eterna salute. E primieramente,
avendo egli creati o costituiti i capi dell' umana stirpe in istato
d' originale giustizia, questo stato fortunatissimo dovea trapassare
in eredità a tutti i posteri, se non l' avessero que' primi,
di propria loro libera volontà, perduto. Onde a tutti i singoli
loro discendenti era destinato da Dio il mezzo sicuro e facile
d' esser sempre santi e felici; e se ora più non sono tali, non
a Dio, ma a' proprii padri, che hanno guasta l' umana natura,
il debbono imputare; nè Iddio va loro debitore perciò di cos' alcuna,
lasciandoli ad ogni modo con tutto il loro:
IV E oltracciò egli è certo, in quarto luogo, che essendo
Dio sommamente buono, nè pur avrebb' egli permesso il peccato
de' primi padri, se non avesse scorto e provveduto, quanto
indi dovea ricevere di splendore maggiore la sua misericordia,
e quanto dovea crescere nel cuore de' suoi eletti la riconoscenza
e la gratitudine di sua carità e la materia quindi alle
lodi che gli avrebbero in eterno cantato. Onde S. Paolo, [...OMISSIS...] .
V E` certo di più, che dopo il fatto adamitico, Iddio
offeso, lungi d' abbandonare l' umana natura a se stessa, gratuitamente
promise all' uomo disubbidiente un Riparatore, colla
fede alla qual promessa era annessa la grazia di salvarsi: e
questa fede nel Riparatore futuro doveva e poteva passare ai
posteri, venendo così dato di nuovo a TUTTI I SINGOLI UOMINI
un mezzo affatto gratuito di fuggire dal naufragio universale
dell' eterna perdizione. Ma essi liberamente rigettarono anche
questa seconda misericordia; e Iddio dovette con un castigo
esemplare, cioè col diluvio, distruggere le generazioni corrotte,
che avrebbero tramandato a' loro posteri non più ciò che avevano
da Dio ricevuto di salutare, ma ciò che da sè avean
contratto di vizioso e di pernizioso. Ora fino al diluvio non
può essere perita quella rivelazione del futuro Messia consegnata
a padri così longevi, che Noè era lungamente vissuto
con chi avea per lunghi anni conosciuto Adamo.
VI Iddio fece Noè, uomo giusto, nuovo capo della
stirpe umana, e a lui consegnò il prezioso deposito di quella
promessa, che conteneva la FEDE, mezzo di salute destinato di
nuovo a TUTTI I SINGOLI DISCENDENTI del nuovo patriarca.
Che però tutti i singoli uomini si sarebbero salvati, fino alla
venuta del Messia, secondo il gran disegno della divina bontà
e longanimità, se di quel dono s' avessero voluto prevalere.
Ma molti rigettarono per la terza volta col libero arbitrio la
profferta salvezza, facendo onta a quella infinita bontà che
pur volea tutti salvi, e alla salvezza di tutti, anche prima della
venuta del Messia, avea provveduto; onde, abbandonato Iddio,
caddero nell' idolatria, smarrendo il limpido lume della rivelazione
e della fede, e la grazia annessa. E come dice S. Paolo,
[...OMISSIS...] .
Ometto d' enumerare la vocazione d' Abramo, e i peculiari
mezzi di salute dati al popolo ebreo, ed altri mezzi non
mancati del tutto nè pure all' altre nazioni, benchè sien meno
conosciuti; e dico in quella vece, esser certo che
VII Iddio, considerata la sua potenza, poteva, senza trovar
ostacolo da parte degli uomini, far tutti gli uomini salvi; nè
tuttavia egli volle; ma preferì nella sua sapienza e bontà, di
salvare alcuni fra rei per gratuita elezione, permettendo che
altri perissero. [...OMISSIS...] .
Nè agli orecchi di
tutti pervenne dopo di ciò la parola di Dio; e nè pure dopo
Cristo a tutti fu applicato col battesimo il merito della sua
passione, come dichiarò il Concilio di Trento, [...OMISSIS...] .
VIII E` certo quindi ancora, che come non è contro
la giustizia e bontà di Dio, che egli permetta la morte de' bambini,
non battezzati, nulla togliendo con ciò ad essi, ma non
dando loro del suo quanto ad altri; così non si può provare
che sia contrario alla sua giustizia e alla sua bontà il lasciar
morire altresì degli adulti, a cui non sia stato annunziato il
vangelo, dato anche che non avessero aggiunti all' originale,
peccati attuali mortali, i quali in tal caso non riceverebbero
pena maggiore di quella de' bambini, [...OMISSIS...] .
Che se anco degli uomini adulti, a cui non fu annunziato il
Vangelo, non potendo colle proprie loro forze eseguire a pieno
la legge naturale, cadessero ne' peccati, in quanto ciò avvenisse
loro per necessità, non n' avrebbero colpa; ma que' peccati
sarebber pena dell' antica colpa, tralci dell' originale infezione.
Nè però sarebbe men vero, che le loro volontà fossero inordinate
e malvagie, ed essi conseguentemente dannati della dannazione
del peccato d' origine. Onde S. Agostino osserva, ch' essi
non potrebbero recar per iscusa, [...OMISSIS...] ;
perocchè ciò non distrugge il fatto, che vivon
male, cioè, per propria volontà, [...OMISSIS...] .
In somma coll' esser malvagia la volontà
per natura, non per una sua propria elezion precedente,
non è men vero ch' ella sia malvagia, e che vivendo male, «DE
SUO MALE VIVAT »; ma è vero in pari tempo, che tal morale malvagità
è pena, e sciagura, non colpa; e trae dietro a se un
male fisico minore di quello che è dovuto alla colpa. Il che
riesce difficile a intendere da certuni, i quali pongono il caso di
cui si parla in modo alieno dal vero: immaginano cioè quell' impotenza
di fare il bene in un uomo, che pur vorrebbe il bene, e
che si sforza di farlo, e non può, e perciò cade. Non trattasi, si
noti bene, di questo. Colui ha già una volontà incipiente buona:
e però s' egli brama, se seco combatte, se prega, sarà aiutato
certo da Dio. Chi ne può dubitare, essendo Iddio ottimo? Egli
acquisterà certamente tutte le forze che gli bisognano; niuno
Iddio abbandona di quelli che a lui ricorrono, e desiderano
sinceramente di potere quel che non possono. Ora il caso di cui
si parlava è tutt' altro. Trattavasi d' una volontà che non desidera
punto il bene, ma al male aderisce; onde di colui che
ha tal volontà si può dire col santo dottore: [...OMISSIS...]
Ora, se questo è lo stato
di un uomo, da qualunque cagione provenga, foss' anco dal
solo vizio « quod originaliter traxit », gli è chiusa, fino che
così rimane, la porta del cielo; e s' avvera sempre, che [...OMISSIS...] .
Di
che ognuno che ben intende conoscerà, che il mal morale e la
dannazione non vien che dall' uomo, avverandosi il [...OMISSIS...] ;
e la misericordia e la salvazione vien solo da Dio;
avverandosi il [...OMISSIS...] . E quantunque
GESU` Cristo sia morto per tutti affatto gli uomini, non
solo per gli eletti, come dissero gli eretici, e dalla sua morte
ricevano tutti qualche salutare influenza (3), e a tutti altresì
egli profferisca il lume e la grazia, come il sole che a tutti
universalmente risplende; tuttavia per proprio difetto, come
dicevamo, si perdon non pochi; nè il cieco può lamentarsi del
sole se nol rallegra, ma piangere piuttosto l' imperfezione e il
vizio della propria natura; quantunque le viziose volontà, di
cui favelliamo, nè pure compiangano se stesse per essere moralmente
cieche; ma solo si lagnino della fisica pena, che al
loro vizio morale s' aggiunge. E tuttavia non è da credere che
questo stesso male permetta la divina bontà, se non per cavarne
un ben maggiore. Poichè questa crediamo l' unica ragione per la
quale Iddio, o ritenga le sue grazie, o ne dia di minori, così esigendo
il bene maggiore e l' ordine della sua infinita sapienza (4).
IX E` certo del pari, che a tutti quelli che hanno pur
conseguita la giustificazione, non possono più mancare gli aiuti
senza lor colpa, all' eterna salute, assicurata loro da' meriti e
dall' orazione di Cristo (1), bastando la minima porzione di
grazia, come dice S. Tommaso, a vincere tutte le tentazioni (2),
e dicendo S. Giovanni, [...OMISSIS...] ,
il che si può spiegare: « non è mai necessitato
a peccare. »Laonde non è giammai impossibile ai
giustificati l' adempimento de' divini precetti, se pregano, secondo
il canone del sacro Concilio, [...OMISSIS...] .
X Dee ancora affermarsi, che tutti quelli che dopo giustificati
pel battesimo, caddero in colpa mortale, possono di
nuovo ricever la grazia, ricorrendo al sacramento della penitenza,
fonte di nuova grazia aperto sempre per essi da Cristo.
Oltre di che coll' orazione possono impetrare la grazia loro
necessaria, quantunque non possano meritarla. La fazione però
di Teologi, i cui errori in questo scritto vogliam mostrare,
eccedettero anche in questo fino a sostenere cosa probabile,
che la sola attrizion naturale basti a giustificar l' uomo, in
manifesta opposizione al Concilio di Trento (6), onde anche tale
dottrina razionalistica fu dannata dal Papa Innocenzo XI (7).
XI Di più, è ancor certo non pugnare nè colla giustizia
nè colla bontà divina, che il numero delle grazie, ch' egli conferisce
a' peccatori ostinati, sia limitato, e determinato in modo,
che scorso quel numero, egli permetta, o che sieno sorpresi
dalla morte, o indurati, non [...OMISSIS...] .
Dove si noti bene, che tutti
quelli che vogliono o sperano, possono sempre salvarsi; non
verificandosi l' induramento se non in quelli che più non vogliono
e che disperano, sicchè nessuno può dire veramente:
io voglio, e non posso.
XII E del pari, è certo non opporsi nè alla giustizia
nè alla bontà di Dio, che ad alcuni non sia annunziato sufficientemente
il vangelo, avvenendo ciò di fatto; come poniamo
rispetto agli abitanti d' America e d' altre isole, che vissero
in esse prima che fossero scoperte, o in altre ancor da scuoprirsi;
giacchè la provvidenza divina, nella sua infinita sapienza
e bontà, predispose i tempi e i momenti, ne' quali a
ciascuna nazione sia annunziato il vangelo; forse acciocchè
abbian prima una cotal preparazione rimota, come pare dal
detto di Cristo agli Apostoli: [...OMISSIS...] ,
prevedendo
forse, che non sarebbe ben ricevuta da essi la parola di Dio,
e che quindi non servirebbe che ad aggravare le colpe di
quelli, a cui fosse annunziata, e da cui fosse ripulsa.
XIII Indubitato è pure, che quelli, che non giungono
alla giustificazione e alla fede, periscono, perciocchè, [...OMISSIS...] ;
non quasichè l' infedeltà loro negativa
sia colpa; ma pel peccato originale, e pe' loro peccati attuali.
Laonde la fede soprannaturale è di necessità di mezzo,
necessaria alla salvazione, [...OMISSIS...] .
Ed anche qui la fazione de' nostri teologi
detraendo alla grazia divina, soverchiamente attribuirono alla
natura, ed alla libertà, volendo che basti a giustificar l' uomo
questo solo, ch' egli creda di quella fede che aver si può
dal testimonio delle creature, ed alla sola esistenza di Dio,
senza la fede esplicita in Dio come rimuneratore del bene e
del male (3); dottrina razionalistica, e giustamente anch' essa
da Innocenzo XI proscritta.
XIV Nè meno si può dubitare, che a tutti quelli, a' quali
è proposto sufficientemente il Vangelo, sia data altresì la grazia
con cui possano credervi; giacchè le parole di Cristo: [...OMISSIS...] ,
indicano sufficientemente
quella giudiciale condanna, che suppone la colpa, la
quale aver non potrebbero, se rimanesser privi della grazia
sufficiente per credere. Di più, a tutti quegl' infedeli, a cui Iddio
dà delle grazie attuali disponitive alla giustificazione, non può
pensarsi che lasci poi mancare i mezzi necessarii di pervenire
effettivamente fino alla giustificazione, foss' anco bisogno di
mandar loro per miracolo un Apostolo, o un Angelo ad annunziare
loro il vangelo, acciocchè [...OMISSIS...] ,
e così pervengano a ricevere, almeno in voto,
quel battesimo che è [...OMISSIS...] .
Oltre di che, anche l' orazione
d' un infedele, benchè meritar non possa, può però impetrare;
ed egli può altresì dimandare nella sua orazione la naturale
giustizia, sentendosi rispetto a questa in quella condizione che
descrive l' apostolo, dicendo, [...OMISSIS...] .
Poichè non supera le forze della
natura il volere la naturale giustizia, con una volontà universale,
cioè ancor piccola, e priva di forza pratica a perfezionare
tutto il bene che l' umana ragione dimostra. Ed una
tale volontà, ossia volizione attuale, benchè inefficace ad operare
pienamente il ben naturale, può però guidare l' orazione
della creatura al suo Creatore naturalmente conosciuto; il
quale in tal caso non mancherebbe d' aggiungere per sua pura
misericordia i suoi aiuti, implicitamente in quell' orazione dimandati.
Se dunque gli atti della volontà (3) d' un infedele
fossero naturalmente sì buoni, da desiderare la naturale giustizia,
da dimandarla, ed isforzarsi, quanto può, ad adempirla,
sarebbe costui, non punto io ne dubito, da Dio soccorso. Perocchè,
come dice S. Agostino, [...OMISSIS...] .
Ma dubito però assai, che,
senza la grazia, possa la mente d' un uomo sollevarsi a sì alto
pensiero di domandare al Creatore il dono della giustizia,
benchè naturale. Se questo è possibile, sarà possibile a ben
pochi; poichè naturalmente l' uom si persuade, essere la virtù
riposta nel proprio arbitrio: e pare che solo un raggio superno
ci abbia insegnato a conoscere il segretissimo e copiosissimo
fonte di ogni giustizia e di ogni santità.
Che se via più addentro meditar volessimo nelle divine
giustificazioni, dandoci Iddio lume a ciò sufficiente, ci convinceremmo
di più, che Iddio sempre mosso dalla sua essenziale
bontà, ottimo ugualmente si trova e nel dare che fa le sue
grazie, e nel negarle altresì; non negandole egli mai, se non
per trarne un bene maggiore alle sue stesse creature; il qual
bene, per le limitazioni necessariamente inerenti a tutto ciò
ch' ebbe principio nel tempo, non si può ottenere senza permettere
il male (1), salva almeno la legge di parsimonia, parte
essenziale della divina sapienza. Le quali cose tutte rendono
in fin manifesto, come alla giustizia contempera Iddio un' ineffabile,
pienissima misericordia. [...OMISSIS...] , per usare ancora
le parole di S. Agostino, [...OMISSIS...] .
Che si dia adunque un male morale nell' uomo, necessario
nel suo soggetto (l' uomo), e nella sua causa prossima (la
volontà istante), benchè in origine veniente da un pravo esercizio
della libera volontà, egli è un vero innegabile, dalla rivelazione
insegnato, dall' esperienza e dalla ragion confermato;
il qual vero nè offende la divina giustizia, nè ne impedisce
la misericordia, a cui apre un campo amplissimo e gloriosissimo.
Ma noia tuttavia un vero così luminoso alle pupille di
quelli, che più che d' esaltare la bontà divina, si curano di
celebrare la umana; onde strillano al vocabolo necessità ,
come se il solo pronunciarlo, fosse un distruggere quel libero
arbitrio, che se in nulla fosse necessitato, certo potrebbe ogni
cosa, e non avrebbe più bisogno di Dio.
Oltre questo assurdo teologico, in cui s' urterebbe escludendo
ogni necessità dai movimenti della volontà, s' incorrerebbe
anche nell' errore filosofico (prolifico di gravi ed erronee
conseguenze anche in teologia), che la natura non operasse
con leggi fisse sue proprie, o che la volontà non fosse anch' essa
una natura, come insegna così apertamente S. Tommaso.
Una di queste leggi della volontà e dell' intendimento,
come natura, fu da me espressa in queste parole, che dispiacquero
a' nostri teologi inclinati al Razionalismo:
[...OMISSIS...]
Nelle quali parole ogni uomo, che un po' si conosca di
filosofia, intende chiaramente, che si dichiara la legge della
spontaneità della volontà, e che non vi si parla della libertà;
ma della volontà , la quale viene ivi definita per la potenza di
operare in conseguenza di ciò che s' intende.
Le persone poi che non ignorano le dottrine da me premesse
sulla semplice libertà, sanno ancora, che la libertà , è
una forza dell' anima DOMINATRICE E DETERMINATRICE DELLA
VOLONTA`, avendo io definita la libertà per [...OMISSIS...] .
Coll' esporre dunque le leggi psicologiche, secondo le quali
si move la volontà lasciata a se medesima, non si nega, nè
si distrugge quella potenza superiore ad essa che LIBERTA` si
chiama, e che è nata a dominare la volontà modificandone ed
infrenandone gli spontanei movimenti.
Quindi dopo aver noi parlato di questi spontanei movimenti
della volontà semplice , passammo a parlare della libertà,
definendo quando ella possa impedire que' moti spontanei, e
quando non possa.
Dicemmo poi, che essa può sempre farlo, qualora abbia
tempo d' accorrere, e la rapidezza de' movimenti inferiori
spontanei della volontà semplice eccitata non la prevengano,
e così esprimendoci: [...OMISSIS...] .
Il sig. C. all' intendere che la volontà si muova per
una legge fisica dietro i bisogni pronuncia questa sentenza:
[...OMISSIS...] .
Ma, con sua pace, fa piuttosto meraviglia
che egli non sappia, o non abbia imparato dalla lettura
dello stesso libro che censura, che le leggi fisiche a cui
obbedisce la volontà possono dalla libertà esser dominate,
purchè non manchino le condizioni necessarie all' operazione
di questa potenza, che tiene in sua balía gli atti stessi della
volontà spontanea.
E fa meraviglia ancor maggiore, che lo stesso nostro censore
confessi poco appresso in altre parole, quel vero, che riprende
in noi così acerbamente. Poichè alla facciata .4 del suo
opuscolo, nota ( i ) dice così: [...OMISSIS...] .
Dove in prima convien notare ch' egli traduce
il praecipue di S. Tommaso per, al più . Siamo qui obbligati
di mandare il teologo a consultare il Dizionario. S. Tommaso
dicendo, che la consuetudine produce necessità PRINCIPALMENTE
negli atti repentini, riconosce poter intervenire una
necessità di operare anche in qualche altro caso non repentino ,
e così dice più di quello che diciamo noi, attribuendo noi
sempre la necessità alla fretta con cui opera la spontaneità,
quando tal fretta non lascia tempo alla ragione od alla libertà
di accorrere e sovvenire all' uomo.
In secondo luogo con ciò ritratta quello che avea
detto prima, quando parlando del passo di S. Agostino che
S. Tommaso interpreta della necessità in repentinis praecipue
scrivea con una piena generalità di parole così: [...OMISSIS...] .
Convien dire che S. Tommaso
non sia un Dottore cattolico , secondo il nostro C., giacchè,
per sua confessione interpreta quel passo diversamente da quel
che fanno i dottori cattolici.
Finalmente ognuno può vedere, se la dottrina di
S. Tommaso d' accordo con quella di S. Agostino, che [...OMISSIS...]
sia o non
sia uguale a quella da noi esposta ne' passi surriferiti, ne' quali
si riconosce necessità là dove [...OMISSIS...] .
Se non che il C. con tuono quanto insultante, altrettanto
menzognero continua così: [...OMISSIS...] .
Io dimando compatimento al lettore cortese, se in
questo e in altri scritti vo dicendo delle cose trite e soverchiamente
comuni. Ma egli consideri (di nuovo il protesto) che
la carità mi spinge a scrivere a mio mal cuore, ed a ripetermi
e a diffondermi; ben sapendo che gli scrittori razionalisti non
possono nuocere colle loro perniciose dottrine agli uomini pienamente
istruiti; ma a quelli soli (e ne' nostri tempi sono troppi)
pe' quali scrivono e di cui allettano, favellando religiosamente
gli orecchi. A questi che nè sono teologi, nè sanno il loro giudizio
sospendere, oppure lo sospendono a prò dell' errore e a
danno del vero, vuole la carità di Cristo che si sovvenga
quanto si può per me, e perciò adduco in questo e negli altri
scritti copiose prove di quelle primarie verità che s' impugnano
da' contrarii. L' una delle quali è questa appunto, che la passione
giugne a legare in certi istanti l' umana libertà, e a trascinar
seco la spontaneità del volere; benchè a nessuno di
quelli che fedeli a Dio, vivono sotto la sua protezione avvenga
giammai che sieno quinci condotti a peccati mortali tanto da
essi odiati. A provar questo vero adunque, oltre l' autorità di
S. Agostino, e di S. Tommaso, che il nostro C. questa volta
volle accompagnar della sua, aggiungerò quella d' un solo Teologo
pregiato da tutti senza eccezione, voglio dire di Domenico
Viva della Compagnia di Gesù. Il quale scrive appunto
nella nostra sentenza così: [...OMISSIS...] .
Il nostro teologo dunque C. P., dopo molti andirivieni,
è obbligato a concederci finalmente che esiste un modo necessario
d' operare della volontà umana, e concede che questa
sia dottrina de' dottori cattolici. Ma tempera poi questa concessione
dicendo: [...OMISSIS...] .
Le quali parole richiedono nel caso nostro diverse
osservazioni.
Primieramente è da ricordare, che già prima lo stesso nostro
autore avea riconosciuto darsi un volontario necessario
non solo nella perdita totale della ragione nell' ubbriachezza
e nella mania; ma ancora ne' moti repentini.
Avea confessato che S. Tommaso insegna, che [...OMISSIS...] .
Di poi è da considerarsi, che le parole di S. Tommaso da
lui addotte per provar le sua tesi, [...OMISSIS...]
non
riguardano lo stato di pazzia o di ubbriachezza, nel quale la
ragione è perturbata per un eccitamento fisico, come falsamente
pretende il nostro teologo. S. Tommaso parla di un eccesso
momentaneo di passione veemente d' amore, o d' ira, o
d' altra simile perturbazione, volendosi dire in fatto che l' uomo
nel momento della passione venuta all' estremo, diviene siccome
pazzo, secondo il detto che [...OMISSIS...] ; onde Cicerone
del furore afferma, che [...OMISSIS...] ,
e in generale i latini scrittori usano la parola insanire
per esprimere l' effetto d' ogni veemente passione (3).
In terzo luogo qual è il valore e la forza di quell' espressione
dell' angelico [...OMISSIS...] ; espressione
ripetuta poi da' teologi? Nel brano stesso del « Trattato della
Coscienza » citato dal Signor C. se ne dà la spiegazione e l' analisi;
pure, dopo averlo riferito, egli si fa dimandare: [...OMISSIS...] .
Rispondiamo che non vi si ravvisa
certamente, nel senso, che pretende il Signor C., perchè non
vi si dee ravvisare; ma vi si ravvisa nel senso di S. Tommaso,
e della comune de' teologi. Poichè nè S. Tommaso, nè i teologi
parlano, come egli suppone, di un uomo, che « sia interamente
uscito di senno »qual è colui che si manda all' ospizio de' pazzarelli;
ma parlano d' un uomo, che nell' istante che opera non
può far uso di sua ragione all' intento di vincere l' impetuosa
passione.
E nè pure è da credere, ch' essi parlino d' un uomo « in
cui cessi da ogni suo ufficio la ragione »; poichè anzi essi parlano
solamente d' un uomo, in cui la ragione cessa dal suo
ufficio di deliberare; parlano di un uomo a cui la passione
ha tolto intieramente l' uso morale della ragione, o, in altre
parole, in cui è sospeso quest' uso della ragione morale , com' io
più spesso mi esprimo, chè così dee spiegarsi sanamente
il [...OMISSIS...] di S. Tommaso. Poichè
egli è certo che basta che la ragione non possa accorrere, e
in tempo utile deliberare, acciocchè l' uso della ragione sia
interamente tolto, quanto fa al caso, benchè la ragione non
cessi da ogni altra sua funzione. Laonde [...OMISSIS...] ,
come dice S. Tommaso, [...OMISSIS...] ,
dal qual passo
si vede chiaramente che S. Tommaso parla della ragione Deliberante ,
non della ragione presa in universale quando dice,
[...OMISSIS...] , le quali perciò si debbon
tradurre « che impedisce affatto all' uomo di deliberare a favore
della giustizia. »
E per vero niuno dica mai che pecchi colui (prescindendo
dalla reità che può avere in causa) che non può coll' uso
di sua ragione venire in soccorso alla volontà soprafatta
dalla passione. Ora che quest' uso morale della ragione possa
mancare, senza che perciò venga meno necessariamente ogni
altro uso di essa, scorgesi osservando quant' accade negli stessi
ubbriachi e negli stessi pazzarelli come pure ne' bambini.
E` un pregiudizio volgare e crudele (e dovrebbe una
volta cessare) il credere, che gli ubbriachi, i pazzi ed i bambini
non facciano alcun uso affatto della loro ragione, e lo
chiamo un pregiudizio non solo volgare ma anche crudele;
perocchè ad esso si devono pur troppo imputare i barbari trattamenti
che s' usavano una volta verso i miseri pazzarelli,
de' quali non riguardati oggimai più come esseri ragionevoli,
si faceva impunemente ogni strazio, ed ogni abuso: e lo stesso
press' a poco è a dirsi degli ubbriachi. Non v' era nè pure chi
pensasse seriamente all' educazione de' bambinelli, salve le sole
madri che contraddicendo col provvido loro istinto alla comune
ignoranza e barbarie; credevasi inutile studiarsi a dirigere
e sviluppare le loro razionali facoltà che si negavano
in essi o senza attività si credevano, e dovea solo forse allo
scoccar de' sett' anni incominciare tutto improvviso l' uso della
ragione . Il che era vero, presso a poco, se per uso della ragione
si fosse inteso l' uso della discrezione del bene e del
male , come pur dicevano i savi teologi, il che è quanto dire
l' uso della riflessione e della libertà, l' epoca quinci del merito
e del demerito. All' incontro l' uso della ragione in universale
presa come potenza a cui appartengono le funzioni del
percepire, dell' universalizzare, del giudicare, dell' analizzare,
del sintesizzare ed altri tali, incomincia, vel crediate o no, nei
bambini pure col primo riso, con cui salutan la madre. Negli
ubbriachi parimente e ne' pazzarelli, sieno maniaci o monomaniaci,
l' uso della ragione non è mai tolto del tutto, anzi v' è
egli attivissimo; ma per isventura non regolato nelle cose necessarie
al vivere e non preceduto da una sufficientemente
ponderata deliberazione: percepiscono dunque, universalizzano,
fanno de' giudizii e de' raziocinii e talora anco giusti; ma
spesso anco sbagliati: e quando riescono troppo di frequente
sbagliati in quelle cose ordinarie, nelle quali non falla il comune
degli uomini, allora si hanno per pazzi.
Che se si dimanda di più la causa onde avviene che
l' uso della ragione proceda in essi così sregolato, l' osservazione
di un tal fenomeno e la meditazion vi dirà che i loro
giudizi sono traviati dalla loro propria volontà, la quale è la
potenza che d' ordinario muove e conduce il ragionamento; vi
dirà ancora che quella loro volontà poi che travia in essi il
ragionamento è fieramente predominata e tiranneggiata dalla
attuosità delle immagini, dalla potenza degl' istinti, dalla forza
delle opinioni fisse, e dalle abitudini e dalla urgenza seduttrice
delle passioni. Sotto alla qual crudele tirannide dell' animalità
esaltata, irritata e prevalente la luce liberatrice della giustizia
manda ancora i suoi raggi: e talora consiglia quegli infelici,
talor li consola (1). La maniera poi onde la passione del sensitivo
istinto domina cotanto e trascina la volontà ce l' insegna
S. Tommaso, che insegna che non può la passione muovere
la volontà direttamente, ma sì indirettamente (2), ed ella fa
ciò sottraendo alla libertà le forze dell' anima; perchè dall' anima,
come da loro radice, traggono la loro attività tutte
le potenze; e l' anima ha una virtù unica e limitata; ond' avviene
che se questa virtù sia distratta parte o tutta da una
sola potenza, poniamo da quella del senso e dell' istinto animale,
si rimane meno od anche nulla all' altre potenze, poniamo
alla libertà, allora questa si dimostra indebolita, sfibrata,
inerte, ed oppressa dalla veemenza dell' istinto sensitivo cresciuto
a tal grado di vigorìa da rapire a se tutta l' anima. [...OMISSIS...] .
Di più la passione sensitiva,
dice S. Tommaso, trae la mente a fare de' torti giudizii sul
valore delle cose, e quindi s' ha un altro modo, pel quale si
sregola la volontà, [...OMISSIS...] .
Ma qui si deve osservare, che se, dopo che l' uomo
ha fatto un giudizio falso sul bene, dopo che, poniamo, ha
giudicato che un oggetto sia più buono ch' egli non è, la volontà
l' ama di più che non dovrebbe; la volontà stessa però
aveva già prima fatto un altro atto col quale avea determinato
quel falso giudizio, e quella falsa stima dell' oggetto.
Perocchè sebbene la prima apprensione delle cose (percezione,
sintesi primitiva) si faccia istintivamente, il giudizio però del
loro valore morale ed eudemonologico, si fa sempre per un
giudizio diretto dalla volontà, la quale perciò è la causa di
tali giudizii (3); e sono sani e retti quando la volontà è sana
e retta, e immune dalla violenza di quella passione che, come
dice l' Angelico, talora trae a sè sola tutta la forza dell' anima.
La mancanza adunque dell' uso della ragione, di cui
parla S. Tommaso, che rende l' azione involontaria e, come
noi diciamo, non libera, e quindi inetta a meritare, si è quella,
per la quale la ragione legata dalla passione non può piú accorrere
a deliberare in favore della legge, il qual fatto psicologico
da noi viene descritto nelle parole non intese, ma
censurate dal C., le quali furono queste: [...OMISSIS...] .
La
ragione del qual ultimo fatto è quella appunto data da S. Tommaso
là dove con tanta sapienza scrive, [...OMISSIS...] .
Nel brano arrecato io enumero i varii aiuti, che
rendono l' uomo possente a vincere la seduzione di sue passioni
ed istinti; e tra questi pongo la meditazione del proprio
dovere, e l' animo ben disposto . Da questo il Sig. C. induce
che io dunque insegno tutte le azioni essere necessarie, quando
si fanno senza meditazione e senz' animo ben disposto! All' incontro
le azioni necessarie sono da me descritte così: [...OMISSIS...] .
Nelle quali parole si
pone a prima condizione dell' atto necessario , che [...OMISSIS...]
come accade ne' primi moti. Ma posciachè, quando l' uomo
già ottenne il dominio della propria volontà col grand' uso
e coll' abito della virtù; l' uomo previene anche i primi moti
e gl' insulti impetuosi delle passioni e degl' istinti tenendo
questi abitualmente infrenati; perciò non mi sono contentato
d' esigere universalmente a costituire un' azione necessaria, che
la passione sia urgentissima e repentina, ma ho soggiunto di
più ch' ella non sarebbe ancor necessaria, ch' ella potrebbe
essere tuttavia libera, qualora si trattasse d' un uomo abituato
al bene sì fattamente, da aver già conseguito una piena signoria
di sè stesso. Coll' aggiunta di questa seconda condizione
si rende ancora più difficile ad avverarsi il caso dell' azione
necessaria; e mentre il comune de' teologi si limita a riconoscerla
tale dove una passione si renda eccessiva, io feci di più
osservare, che la violenza della passione inducente necessità
non si dee misurare dal grado assoluto della sua forza, ma
dal grado relativo alla virtù dell' uomo in cui ella opera;
poichè un uom virtuosissimo dominatore di sè, giunge in tempo
a domare eziandio la passione urgente ed al sommo pressante.
Ora quelle condizioni, che io posi acciocchè una azione si
possa credere necessaria , il sig. C. asserisce che furono apposte
acciocchè l' azione si possa dir libera, capovolgendo
tutto il mio sentimento. Sicchè mentre io dico, che l' azione non
è mai necessaria, se la passione non sia urgentissima d' una
parte e dall' altra se l' anima dell' uomo non sia sgagliardita (1);
egli mi fa dire all' opposto che [...OMISSIS...] .
Egli dunque
non intese che l' abito buono non fu da me posto qual condizione
dell' azione libera, ma quale aiuto, pel quale l' azione
diviene libera anche quando ella tale non sarebbe per l' urgenza
della passione: nè intese pure che l' avere uno spazio
di tempo nel quale poter sospendere il giudizio pratico, in
considerazione della legge che la proibisce, sono condizioni
che indubitatamente avverare si debbono in tutte le azioni
libere, essendo assurdo il dichiarar libera un' azione, se chi
la fa non ha tempo da sospendere il subito giudizio pratico
che la produce, nè da considerar la forza e l' autorità della
legge che la divieta. Scorgesi in fine che il nostro teologo
dimenticò nell' enumerare le condizioni da me richieste, acciocchè
un' azione possa credersi necessaria, la principale di
tutte, senza la quale sono nulle le altre, la condizione espressa
in quelle parole: [...OMISSIS...] .
Dopo aver dunque il nostro teologo fatto supporre,
che le condizioni da me richieste, acciocchè un atto sia necessario,
sieno in quella vece da me richieste, acciocchè un
atto sia libero, e dopo aver taciuta la principale o la sostanziale
di queste condizioni, che cosa fa egli? Come rivenisse
allora dal mondo nuovo, continua così: [...OMISSIS...] .
Ma non solo non è
da omettersi; ma lo si doveva dire prima; perocchè se fosse
stato detto era resa impossibile la censura. Ma il lasciar fuori
da una sentenza la parte principale e così renderla erronea
e inveire contro di essa come erronea; e finita l' invettiva
uscir fuori colla parte taciuta fino allora, e trovarvi un nuovo
errore cioè trovare che la parte taciuta contraddice al sentimento
precedente falsamente supposto; ella non è questa
l' opera d' un uomo amico del vero, ma d' un cavilloso sofista,
che tende a stabilire una dottrina erronea sullo scredito della
vera (2).
I teologi razionalisti per far prevalere il loro sistema
falsificano dunque continuamente l' altrui. Il sig. C. giunge a
scrivere così: [...OMISSIS...] .
In questo passo il nostro teologo
nasconde nel silenzio il preciso caso di cui si tratta. Non si
tratta già in universale dell' uomo che opera dietro la concupiscenza
e l' altre passioni, com' egli fa credere; ma unicamente
e precisamente dell' uomo stretto dalla necessità che
gli toglie la facoltà di deliberare a favor della legge. Cangiando
la questione fa comparir Bajo un lassista, mentre
finqui fu tenuto per rigorista, e dichiara il Rosmini ancora
più lassista di Bajo! Affine di restituire la verità, metterò
sotto gli occhi de' lettori un solo degli innumerevoli passi dal
nostro teologo taciuti, e sarà quel che trovasi alla faccia 169
del « Trattato della Coscienza », che così dice: [...OMISSIS...] .
I teologi razionalisti impegnati a dimostrare, che la
dottrina cattolica sia l' eretica di Giansenio, e che l' eretica
de' Pelagiani sia la cattolica, usano anche un altro artifizio.
Solleciti di occultare le vere differenze che distinguono la
dottrina eretica dalla cattolica, qualora s' abbattono ad alcuna
di quelle differenze per confondere la mente de' suoi lettori
s' accendono di zelo e con una cotal piega di artificiose parole
togliono a far credere, che quella differenza che caratterizza
la sana dottrina, sia un errore così sformato, a cui nè pure
giunsero gli eretici fin qui conosciuti.
Diamone un chiaro esempio. Uno degli errori di Bajo si
fu che i moti della concupiscenza, intesa come un mero istinto
animale, meritino in senso proprio l' appellazion di peccato, e
si riducano al peccato d' origine anche nascendo CONTRO IL
CONSENSO DELLA VOLONTA`. [...OMISSIS...] .
La dottrina all' incontro della Chiesa
Cattolica non conosce peccato di nessuna guisa, fin che la
volontà dell' uomo ripugna; perocchè il peccato è « una declinazione
(attuale, ovvero abituale) della volontà personale
dalla legge. »Onde, se la volontà dell' uomo ripugna positivamente,
e ripelle i moti carnali, egli è chiaro, che non può
averci peccato , nè dopo, nè tampoco avanti il battesimo;
perchè la volontà potenza superiore al senso è qui personale;
e però quella, onde si dee desumere la condizione morale
dell' uomo. Ma il Bajo disconosciuta questa dottrina, cadde
nell' errore, che, avanti il battesimo, sieno peccato anche i
movimenti disvoluti e disdetti dalla volontà, anche [...OMISSIS...] ,
errore che si contiene, almeno esplicitamente, nella condanna
fatta dalla Chiesa del Bajanismo. La Chiesa, in pari tempo,
non disconosce o nega alcuno de' fatti antropologici; e però
nè pur quello che la volontà talora, ridotta a certe angustie
e non soccorsa dalla ragione deliberante, sia tratta a consentire
spontaneamente a' movimenti istintivi del senso, senza che le
sia possibile ripugnare. Ma questo fatto non può già accadere
in quelli, che trovandosi in istato di grazia, sono da questa
sempre ne' lor bisogni fedelmente soccorsi, com' io ho dimostrato
(nel « Trattato della Coscienza » facc. 165 e segg.). Laonde
nell' uomo giustificato non ha mai luogo un necessario acconsentimento
della volontà a un male conosciuto, perchè trattasi
d' una volontà, come dice S. Agostino, dalla grazia liberata.
All' incontro in quelli, che o non sono ancora rinati nell' acque
battesimali, o mediante le volontarie loro colpe contrassero
un abito di peccare, rimangono in istato di peccato, può accadere
quel caso funesto, pel quale l' impeto delle passioni e
di più tentazioni quinci e quindi assalitrici, tolgano il tempo
all' arbitrio di venire in soccorso, onde vinti rimangono. I
quali atti non essendo liberi sono peccati in causa, o che
questa causa sia il peccato d' origine in essi non ancora rimesso,
come S. Agostino tante volte ripete, o che sieno altre
colpe nelle quali essi liberamente s' immersero, indebolendo
così la propria libertà; con questa differenza però, che se la
necessità venne dalla originale infezione, questi atti disordinati,
al peccato originale si riducono, e sono uno con questo,
e quindi non si possono dir colpe se non riferendole alla libera
prevaricazione di Adamo, là dove, se la necessità fu figliuola
delle loro proprie libere colpe che ingenerarono la consuetudine;
le conseguenti cadute partecipano dalle dette colpe
precedenti la denominazione pure di colpe, e diconsi colpe in
causa. Tale è la sana dottrina, ed ognuno intende quanto
differisca da quella di Bajo, il quale attribuisce la nozione
di peccato anche a ciò che nasce contro la stessa volontà;
quando la sana dottrina non attribuisce tale denominazione,
se non a ciò, a cui la volontà consente, quantunque necessariamente,
se questa necessità fu libera in causa. Ma i nostri
teologi introducendo la maggior confusione d' idee, fanno in
quello scambio, credere che la dottrina cattolica da noi professata,
sia peggiore della bajana. Dopo avere il C. recato
quel passo, dove noi descrivevamo il fatto della volontà affascinata
dalla passione, alla qual cede miseramente, dicendo:
[...OMISSIS...] .
Per restituire la verità così
violata è necessario fare le seguenti osservazioni:
1 Bajo disse, che non s' imputavano i moti della concupiscenza
a' battezzati che non consentono, ma aggiunse che
s' imputano insieme col peccato di origine a' non battezzati
benchè non consentano; e la Chiesa Cattolica dice, che
quando la volontà è contraria non s' imputano que' moti mai
nè a' battezzati, nè a' non battezzati;
2 Bajo trova un' imputazione a colpa anche negli atti
necessarii, e noi all' opposto diciamo che non si dà imputazione
a colpa, se non là dove si dà libertà, e però, se si avvera il
caso, che la volontà sia tratta a consentire necessariamente
non si dà colpa, se non nella causa libera di questo disordine.
E` ella questa dottrina peggiore della bajana?
Il nostro teologo alla facc. 136, dopo citato quel passo
di Bajo [...OMISSIS...] ,
ripete
la stessa accusa così: [...OMISSIS...] .
Non è il Rosmini, ma è la Chiesa,
che senza il consenso non riconosce peccato alcuno, e che
quando la volontà è necessitata a consentire a' subitanei movimenti
non riconosce tuttavia colpa, se non nella causa libera
che l' ebbe addotta a sì trista necessità.
Ma qui a proposito del consenso il nostro teologo
crede di ravvisare una contraddizione tra ciò che si trova
scritto intorno al consenso nella « Risposta ad Eusebio » e ciò
che si dice di esso nel « Trattato della Coscienza ». Ma questa
pretesa contraddizione non è altro che un suo novo abbaglio.
Egli asserisce che nella « Risposta ad Eusebio » si dichiari, che
il consenso sia sempre un atto personale, quando all' opposto
nel « Trattato della Coscienza » si ammette una volontà, che
stretta dagl' impulsi istintivi, consente necessariamente alla
passione, onde dice: [...OMISSIS...] .
Ma o non ha osservato, o dissimula
che nella « Risposta ad Eusebio » non si parla d' ogni maniera
di consenso, ma di un consenso libero , leggendovisi: [...OMISSIS...]
nel « Trattato della
Coscienza » all' incontro si parla di un consentire necessario
della volontà, il che toglie ogni contraddizione (2).
E per vero tra lo spontaneo consentire della non
anco libera volontà, di cui si parla nel « Trattato della Coscienza »
e il libero consenso, di cui si parla nella « Risposta
ad Eusebio », vi ha un immenso divario. La LIBERTA` è una
facoltà superiore alla VOLONTA`, poichè è « la potenza di eleggere
fra le volizioni. »Qualora adunque la volontà da se sola
opera senza la direzione superiore, che consiste nella libertà
che elegge, ella si lascia andare spontaneamente dietro alle
sensazioni, e si dice che a queste consente , secondo l' etimologia
della parola, che viene a dire sente con esse, si adatta ad
esse. Ma il consenso della libertà è tutt' altro; questa facoltà
non consente immediatamente ALLE SENSAZIONI, ma consente
ALL' UNA DELLE DUE VOLIZIONI buone e cattive, fra cui elegge,
e questo è appunto il consenso sempre personale, di cui
parla S. Tommaso, e di cui noi, attenendoci alla sua guida,
parlammo nella « Risposta al finto Eusebio ». Ma nella stessa
« Risposta » fu distinto un cotal consentire necessario della volontà,
e non della libertà, mostrando ivi esser questa maniera
di dire usata da' teologi colla testimonianza dell' Estio (3): il
che tutto dissimula il nostro censore.
I teologi razionalisti diminuiscono col loro sistema la
virtù e l' efficacia della grazia del santo battesimo. Questo si
vede anche nell' opuscolo che abbiamo preso ad esaminare,
come un recente esempio della dottrina teologica razionalistica.
In un luogo si attribuisce ai dottori cattolici (questo è
il perpetuo loro stile d' attribuire ai dottori cattolici in corpo
i propri sensi) la sentenza, che non pone alcuna distinzione
tra ciò che può la concupiscenza originale nel non battezzato,
e ciò che può nel battezzato.
Questo è manifestamente un diminuire l' effetto salutare del
battesimo, per voglia d' esaltare l' umana natura, incorrotta,
com' ei la crede, che, secondo la sostanza del suo discorso,
non ha di questa medicina del battesimale lavacro bisogno
assoluto e solo gli bisogna il battesimo, come diceva Giuliano
d' Eclana, per ricuperare i soprannaturali ornamenti (1). Ecco
quali sono le sue parole: [...OMISSIS...] .
Il nostro teologo dunque attribuisce ai dottori cattolici la
sentenza, che non ci sia differenza alcuna tra gli uomini battezzati
e non battezzati circa il potere che hanno gli uni e
gli altri contro gli assalti della concupiscenza, di maniera che,
rispetto a questi, l' effetto del santo battesimo sia del tutto
nullo. Ma è ella veramente questa la dottrina cattolica? Non
è anzi un calunniare i dottori cattolici l' affibbiarla loro? Vediamolo
diligentemente.
Se dunque fosse vero, che i Dottori cattolici, (il che è
quanto dire la Chiesa, perchè si prendono tutti i dottori in
corpo senza eccezione), non riconoscessero alcuna differenza
tra i battezzati e i non battezzati, quanto alla vigoria dell' umana
volontà e libertà in vincere le passioni della concupiscenza;
a che si ridurrebbero gli effetti del santo battesimo?
A che vogliono ridurli i teologi razionalisti?
Alla remissione del peccato originale? Ma questo peccato
che essi diconlo peccato secundum quid e quadamtenus non
è nel loro sistema che un peccato di mero nome, ed erano
più conseguenti i pelagiani che schiettamente negavano il nome
di peccato alla semplice privazione della grazia.
All' infusione della grazia soprannaturale? - Ma che cosa
è questa grazia, in bocca de' teologi razionalistici, i quali negano
ch' ella abbia virtù di attenuare le forze della concupiscenza,
e d' accrescere quelle del libero arbitrio, non facendo
riguardo essi a questo distinzione alcuna tra battezzati e non
battezzati?
Il sacrosanto Concilio di Trento decise quanto segue: [...OMISSIS...] .
Ora i cuori di quelli, ne' quali è diffusa la carità dallo
Spirito Santo e a' quali questa caritƒ diffusa in essi è aderente
( illis inhaeret ), questi cuori che sentono in se stessi la figliuolanza
di Dio, e, come dice l' Apostolo, chiamano, animati dallo
Spirito Santo: Abba Pater , saranno essi egualmente deboli e
fiacchi contro l' ingenita concupiscenza, come quelli che non
hanno punto ricevuto col santo battesimo il dono di Dio? Io
me ne appello a tutti i fedeli di Cristo, alle anime che amano
Iddio; e sono certo, che s' ottureranno gli orecchi come a bestemmie
ingiuriose a Cristo ed al Santo Spirito, udendo tali
parole del nostro teologo anonimo, e de' suoi confratelli «(V. la
mia Risposta al finto Eusebio n. 106) ».
Ne' celebri capitoli intitolati: [...OMISSIS...]
leggesi tra le altre cose della grazia santificante
così: [...OMISSIS...] .
Ed ora da che può esser liberato il libero arbitrio, in virtù
della grazia, se non da' suoi nemici, che si riducono in fine
sotto il nome di concupiscenza? Con qual verità dunque i
teologi razionalisti asseriscono che i dottori cattolici insegnino,
che circa il potere di astenersi dalle azioni peccaminose non
v' ha differenza tra battezzati e non battezzati? Non è questo
un passare da un estremo all' altro, e per evitare l' errore di
quelli che distruggono nell' uomo, o prima che sia rigenerato, o
prima e dopo, il libero arbitrio, cadere nell' errore di quegli altri,
che spogliano dalla sua virtù liberatrice e santificatrice la
grazia di GESU` Cristo, la qual viene infusa nel santo battesimo?
Facciamo un semplice e spassionato paragone tra la dottrina
di tali teologi e quella già condannata dalla Chiesa
ne' pelagiani, e apparirà manifesto il loro inganno ed il loro
errore.
I pelagiani dicevano, che la natura umana nasce presentemente
senza vizio alcuno e colla sola privazione de' doni gratuiti
(1): e il medesimo dicono i nostri teologi moderni. Ma
come si salvano dunque, cioè credon salvarsi, dalla condanna
di questi antichi eretici? Ritenendo la stessa loro sentenza, ma
vestendola d' altre parole. Gli uni e gli altri convengono, che
la natura umana nasce senza vizio, con tutti i suoi pregi naturali,
e solo priva dei doni gratuiti. Questa è la sentenza
comune, ora viene la differenza nelle parole. Quegli antichi
confessavano ingenuamente, che nè la privazione de' doni gratuiti,
nè le naturali limitazioni, nè i difetti naturali procedenti
da quelle, erano peccato , e in questo dicevano bene. Furono
adunque condannati, perchè negavano il peccato originale.
Questi moderni, tementi la condanna stessa, dicono che quella
privazione de' doni gratuiti è peccato, e in ciò dicono male.
Ma col dire in tal modo un errore di più, saranno dunque assolti
dalla condanna antica? Non credo io. Similmente s' osservi
quanto agli effetti del battesimo. Sì gli antichi pelagiani
che i moderni teologi dicono, che l' effetto del battesimo consiste
solamente nel restituire alla natura buona l' ordine migliore
della grazia [...OMISSIS...]
questa è la sentenza comune. Ma gli antichi
eretici confessano ingenuamente, che l' innalzare semplicemente
la natura umana all' ordine soprannaturale, non è lo stesso che
assolverla dal peccato; e dicevano bene. Furono adunque dannati
perchè negavano che i bambini si battezzassero « in remissionem
peccatorum ». I moderni teologi dicono all' opposto, che
innalzare la natura all' ordine soprannaturale, è lo stesso che
rimetterle il peccato originale; e dicono male. Ora di nuovo,
eviteranno questi la condanna, solo col dire un errore di più
di quelli? L' eresia consiste in semplici parole o nel senso e
nella dottrina, qualunque sieno le parole che si adoperano per
esprimerla, o per coprirla? Non verrebbe esposta la nostra
santa fede al dileggio degli increduli qualora ella si facesse
consistere in puri giochi di parole? Non sarebbe esposta al
ridicolo la sacra teologia, qualora potessero dire con qualche
verosimiglianza, che i teologi ritenendo le parole sanno di
mano in mano modificare e cangiare con sottigliezze e vocaboli,
le più essenziali e fondamentali dottrine del cristianesimo?
Se si cerca, qual sia la dottrina sana della Chiesa intorno
alla naturale possibilità dell' uomo, ed a quella possibilità di
viver bene che egli acquista coll' infusione della grazia, conviene
indubitatamente rispondere, che la Chiesa decise: [...OMISSIS...] ,
cioè aver tutti gli uomini perdute
due cose, 1 l' innocenza e giustizia, e 2 la possibilità naturale
di viver bene; onde S. Innocenzo papa rispetto a questa
seconda perdita, così s' esprime: [...OMISSIS...] .
Contro alla qual dottrina della cattolica Chiesa offendono
apertamente coloro che al battesimo negano la virtù
di ristorare le forze del libero arbitrio infiacchite contro la
concupiscenza e dichiarano, esser queste uguali nel battezzato
e nel non battezzato, come fanno i recenti teologi. Dopo di
ciò la Chiesa ancora decise, che [...OMISSIS...] .
Fin
qui va la questione della dottrina generale.
Dopo questa, viene poi la questione del fatto, la quale
dimanda: « quando si verifichi, che l' uomo operi il male
senza libertà e però senza demerito. »
La possibilità intanto di questo fatto la Chiesa l' ammette
e suppone pur colla condanna delle proposizioni di Bajo:
[...OMISSIS...] ,
dalle quali e da altre somiglianti, scorgesi,
come abbiam provato innanzi, che la Chiesa riconosce
ed ammette un operare volontario, ma necessitato, di modochè
la parola voluntarium , giusta tali decisioni della Chiesa,
non sempre significa liberum , come contende il nuovo Teologo.
Questo dunque appartiene ancor alla dottrina della
Chiesa cattolica.
Ma per venire alla questione di fatto: « quando si verifichi
che l' uomo operi senza libertà e però senza merito nè demerito, »
oltre il sapere in generale che qualche volta si verifica,
il che, come dicevamo, è già parte del cattolico insegnamento;
conviene di più determinarne per quanto si può i
casi precisi. Al che ottenere vi hanno due lavori a farsi.
Poichè altro è determinare i casi, ne' quali l' uomo opera
necessariamente in generale, descrivendo le condizioni e le
circostanze, sotto l' influenza delle quali egli procede colla
necessità; ed altro è poi nel fatto reale accertarsi che tali
condizioni e circostanze abbiano luogo in questa o quell' azione
particolare.
A ragion d' esempio alcuno dirà, che la passione può in
alcun istante pigliar tant' impeto ed una così veemente uscita,
ch' ella tolga all' uomo la libertà. Ma il dir questo non è mica
un dire che in un dato fatto particolare di Tizio o di Cajo
siasi avverata questa condizione, non è un dire, che la passione
in Tizio od in Cajo sia stata realmente così urgente e
così pressante in una data azione da trascinare la spontaneità
ed impedire l' arbitrio della volontà. Anzi ella è cosa difficilissima
o piuttosto impossibile il definirsi questo con piena
certezza nel caso reale, e a Dio solo suol essere pienamente
noto. Laonde l' uomo che opera con passione, grandemente
s' illuderebbe s' egli leggermente credesse d' aver operato con
necessità, anzi in luogo di scusarsi dee certamente condannare
se stesso, non solo per le colpe attuali, che gli cagionarono
quella torbida e violenta passione, non solo per le
occasioni, a cui probabilmente s' espose, e per gli irritamenti
a lei conceduti, non solo per non esser ricorso bastevolmente
agli ajuti, co' quali avrebbe dovuto e potuto prevenire la sua
caduta, ma ben anco per l' atto posto quando essa passione
irruente in lui, videsi traboccata nel precipizio: e ciò perchè
se da una parte questo gli mostra che tutto è disordinato in lui
fin la stessa sua volontà, che è egli stesso; dall' altra perchè
egli ha sempre troppa ragione di temere che la stessa sua
libertà non fosse legata del tutto, essendo questo, come dicevamo,
oltre modo difficile, se non impossibile a definirsi. Dal
che apparisce, che lo stabilire semplicemente colla Chiesa
cattolica che la passione aiutata dalla consuetudine delle
colpe e lasciata andare innanzi ne' suoi riscaldi senza la debita
vigilanza, possa talora addur l' uomo a sì stretto passo, al
quale egli sdrucciola necessariamente; non è già un dare
ansa e sicurtà agli uomini appassionati od abituati a peccare;
ma è piuttosto un ammonirli di non confidare nelle forze
proprie, ma di ricorrere a G. Cristo liberatore, di cui hanno
un bisogno assoluto, per andar salvi dalla crudele tirannide
del demonio e dalla loro propria concupiscenza.
A torto dunque i teologi di cui parliamo sostengono, che
le forze del battezzato, e del non battezzato sono ugualmente
capaci di resistere al male; scagliando acri invettive contro
quelli che dicono il contrario, asserendo che coll' ammettere
una necessitá di cader ne' peccati, senza la grazia di Cristo,
aprano la porta alla dissolutezza, con troppo basse parole
dicendo, che questa è [...OMISSIS...] .
L' estenuare gli effetti del sacramento del battesimo, col
quale gli uomini s' incorporano a Cristo, e sono sollevati dalla
condizione della natura guasta, all' ordine delle cose soprannaturali,
e al regno di Dio favorisce oltremodo la tendenza
di questo secolo d' incredulità e di diserzione dalla fede cattolica.
La filosofia divisa dalla religione indefessamente lavora
a introdurre nel mondo un sistema di Razionalismo che tenga
luogo d' ogni religione positiva. Il protestantismo che non può
resistere a' suoi assalti si associa ogni dì più con esso allo
stesso intento, e rifondendosi in una pretesa religion naturale
va cessando d' esistere come credente ad una positiva rivelazione.
Predicatori inspirati dall' umana superbia scuotono la
fede delle plebi stesse, e già, nelle nazioni protestanti, si
trascura l' amministrazione del battesimo, se ne altera la materia
e la forma, non considerandosi oggimai questo principal
sacramento che come un semplice rito, onde si trovano già
moltissimi adulti non battezzati, e degli altri si dee giustamente
temere, non forse sieno stati battezzati invalidamente.
I filosofi del protestantismo, ed i razionalisti biblici della Germania,
con migliaia di libri e d' opuscoli diffondono per ogni
canto d' Europa lo stesso spirito freddo, falso, per essenza
miscredente, lusingatore dell' orgoglio umano e lo comunicano
di nazione in nazione. Nella Francia cattolica entrò legalmente
sotto il titolo di Scuola Normale di Filosofia. E sarà
ora una dottrina indifferente, e degna di trascurarsi a' nostri
giorni quella de' nostri teologi, che insinuano apertamente che
il battesimo non accresce le forze dell' uomo ad evitare il
peccato? Alla quale, nello spirito razionalistico, consuona pur
quella filosofica, che da' sensi, a' quali s' attribuisce la conoscenza,
o che dalla forza subbiettiva dell' anima fa venire
all' uomo le idee, onde la verità, che nelle idee si contiene, è
fatta con ciò figlia anch' essa dell' uomo, non più eterna, non
più divina, quand' anco con una perpetua incoerenza si protesti
il contrario.
Così accade che il Razionalismo corrompa ogni dì più
l' educazione della gioventù cristiana, rendendola vana e superba;
insegnandole che dalla sua ragione viene la verità,
dal suo libero arbitrio la virtù: la rivelazione non esserle
necessaria assolutamente; anche senza il battesimo poter essa
volere e vincere le proprie passioni. Questo tentativo benchè
ne' nostri Anonimi s' appalesi più manifesto, non è per avventura
nuovo ma antico, essendosi insinuato già, lentamente,
come dicevamo, da più di due secoli; egli non è accidentale,
non è momentaneo; ma è concertato in sistema, replicato,
incessante. Si è taciuto finora, o almen parlato sommessamente
per non rinfrescare la memoria di scandali quasi obliati.
Ma io credo, che Iddio già più non voglia che si nasconda
la radice del male che occultamente serpeggia: la provvidenza
divina ha permesso che quello spirito infausto di Razionalismo
e di Pelagianismo, che segretamente corrode i visceri del
cristianesimo, toglie la virtù a' sacramenti, ed anco la passione
e la morte di GESU` Cristo, scoppiasse più aperto negli opuscoli
di alcuni teologi cattolici, fors' anco in buona fede da
parte loro, ma con dottrina non sana. Abbandoniamo ogni
causa o disputa personale, e siamo solo solleciti della purità
della fede, della causa di G. C. e della sua Chiesa. Nessuno
che consideri le cose spassionatamente potrà dubitare che i
nostri Anonimi in sostanza rinnovano insieme uniti, e sotto
color di pietà un assalto alla dottrina della Chiesa ed alla
grazia del Redentore; de' quali negli scorsi secoli s' ebbero
tanti esempi e basti accennare solo quello celeberrimo dei
PP. Arduino e Berruyer. La « Storia del popolo di Dio » di
quest' ultimo, di cui s' era promessa la correzione, uscì alle
stampe ancor tale, che dovette condannarsi in Roma stessa
nel 1734, e poi due volte di novo da Benedetto XIV (1) ed
una terza da Clemente XIII (2) dandosi così una prova di più
che lo spirito razionalista e pelagiano non teme i replicati
fulmini della Chiesa. Ora si raffrontino i sentimenti de' nostri
teologi con quelli del Commentario sopra S. Paolo dell' Arduino
e della « Storia del popolo di Dio » del suo confratello, e si
riscontrino agli originali proscritti dalla Chiesa, le copie. Lo
stesso esaltamento della forza della natura, la stessa depressione
della grazia di Cristo; un estenuare gli effetti del battesimo,
un disconoscerne la virtù salutifera di mitigare i moti
della concupiscenza, un diminuire la necessità della redenzione:
niuna grazia veramente medicinale, giacchè non può
esservi medicina dove non ci ha malattia; una sufficienza, una
integrità, una beatitudine all' uomo dovuta senza il lavacro
del Redentore. E sogliono costoro attribuire tutti gli errori
che seminano, a' dottori della Chiesa, ed alla stessa Chiesa.
Laonde ci dicono francamente, che, quando si tratta passar
dai primi moti ad azioni peccaminose, dicono TUTTI (i Dottori
cattolici) [...OMISSIS...] Ed IN
TUTTO QUESTO NON RICONOSCONO DIFFERENZA TRA BATTEZZATI
O NON BATTEZZATI.
Tanta ingiuria che si fa al battesimo del Salvatore, mi
sprona a insistere in questo argomento, che d' altra parte può
esser utile a confortare la fede de' cristiani. Pur troppo questi
sono bene spesso male istruiti circa gli effetti del santo battesimo,
e, attesa la materialità e l' incredulità de' tempi, ripugnano
sovente a credere fedelmente a quello, che v' ha di più
prezioso e di più divino in tali effetti qual è la riformazione
e il miglioramento dell' anima umana, di cui l' uomo non ha
coscienza, benchè poscia ne sperimenti i vantaggi. Sia dunque
messo in più chiara luce il medicinale effetto che viene impugnato
del santo battesimo.
Nella « Dottrina del peccato originale (n. XCIII 7 CI) »
fu dimostrato come si conciliano le opinioni apparentemente
diverse de' teologi cattolici che ripongono l' essenza del peccato
originale nella privazione dell' originale giustizia , di
quelli che la ripongono nella stortura della volontà, e di quelli
che la fanno consistere nella concupiscenza de' non rinati:
riprendiamo la descrizione e le prove dell' esistenza della malattia,
a cui egli, il battesimo, è soprannaturale rimedio.
Fu dimostrato,
che ritorna in fondo sempre la stessa dottrina sotto
diverse espressioni; e questa unica e consentanea a se stessa è
la dottrina della Chiesa dichiarata così sapientemente dal Tridentino.
L' identità sostanziale della dottrina insegnata da quei
teologi, con varie maniere di parlare, risulta chiara tosto che
si definiscano nel debito modo le tre espressioni usate di giustizia
originale , di stortura della volontà , e di concupiscenza
de' non rinati . Appigliamoci anche qui alla guida di S. Tommaso.
Egli distingue la giustizia originale dalla grazia
santificante , benchè quella in Adamo dipendesse da questa,
stantechè la giustizia originale d' Adamo non era solamente
naturale, ma anche soprannaturale, e perchè perdendo egli
la giustizia rendevasi anche indegno della grazia, in cui era
stato da Dio costituito.
La giustizia originale in generale è riposta da S. Tommaso
nell' ordine delle umane potenze, pel quale le inferiori
ubbidiscono docili alla volontà e la volontà ubbidisce al lume
della ragione ed a Dio (1). Egli è chiaro, che supponendo
l' uomo creato senza la grazia santificante l' ordine delle sue
potenze non sarebbe mancato in un essere opera di Dio, e
la natura umana sarebbe stata intera , come acconciamente
la chiamano i teologi. Ma in tal caso Iddio sarebbe stato conosciuto
dall' uomo col solo lume naturale; e la sua volontà
sarebbe stata sommessa a lui così conosciuto: le inferiori potenze
poi avrebbero tuttavia ubbidito alla sua buona libera
volontà. La giustizia originale dunque in una tale ipotesi,
non potea esser più che una giustizia naturale quanto alla
sostanza, risiedente necessariamente nella volontà; perchè la
sola volontà è per se stessa la potenza morale, non appartenendo
alla moralità le potenze inferiori, se non in quanto contribuiscono
o sono da lei mosse (1) a disporre bene o male la volontà.
Laonde la giustizia originale in qualsivoglia caso riducesi
alla rettitudine della volontà , che non si lascia distorre
dall' ordine di ragione, per niuna lusinga di bene sensibile o
soggettivo.
Conseguentemente S. Tommaso mette l' essenza del peccato
originale ora nella privazione dell' originale giustizia, or nella
stortura della volontà, rientrando queste due cose l' una nell' altra;
poichè, definito in che cosa consiste il disordine della
volontà [...OMISSIS...] ,
applica questa definizione al primo
peccato così: [...OMISSIS...] .
Il qual medesimo disordine
nella volontà è pure ne' discendenti del primo padre, che il
ricevono insieme colla natura: [...OMISSIS...] .
E nondimeno non si dee già credere che quest' avversione
della volontà personale sia un positivo odio di Dio, o un' inclinazione
che rechi la volontà ad odiare direttamente il
sommo bene come pazzamente vollero i bajani (1). Ella consiste
bensì in un lasciarsi andare facilmente e in certe circostanze
irresistibilmente al dolce del sentimento della natura, in vece
di starsi eretta e fissa in quel lume di ragione, dal quale essa
dee prendere l' ordine dell' operare e la misura del godere (2).
Laonde la ragione prossima di questa deviazione abituale della
volontà dall' ordine di ragione, è attribuita all' animalità che
agisce con insolente violenza e trae a sè e quasi lega l' anima
intellettiva; e questa efficacia dell' animalità assorbente per così
dire la miglior attività dell' anima umana si origina, a quanto
sembra, dall' attuosità del seme, chiamato per ciò appunto da
Innocenzo III ed altri dottori infetto e corrotto. Laonde benchè
solo l' anima intellettiva e volitiva sia il subietto del peccato
originale, tuttavia, [...OMISSIS...] .
E tuttavia è ancor da notarsi, che questo attraimento soverchio
che fa la carne dell' anima intellettiva a sè non è
ancor propriamente il peccato originale; ma il peccato originale
è l' immediato effetto. Poichè a cagione di quell' attraimento,
avviene, che l' anima intellettiva sia alquanto ottenebrata
(e quest' appartiene alla piaga dell' ignoranza), e alquanto
sgagliardita (e quest' appartiene alla piaga della difficoltà) e
così sia st“lta dall' ordine di ragione e però da Dio, non rimanendole
più forze sufficienti a mantenere costantemente in
tutti gli atti suoi ad un tempo quell' ordine di ragione, come
quella la cui attività è perduta in parte nell' animalità, il che
GESU` Cristo espresse colle parole, [...OMISSIS...] .
Ora la naturale applicazione di tanta attività
dell' anima intellettiva al sentimento della vita animale, è ciò
che i teologi chiamano, conversione alla creatura ; e il conseguente
languore dell' anima rimasta debole all' ordine di ragione,
e priva della cognizione soprannaturale di Dio, è ciò che
chiamano avversione da Dio . Essi insegnano adunque che la
piega o conversione alla creatura che l' uomo riceve nell' essere
generato, è la causa prossima dell' avversione da Dio; nella
quale sta propriamente la ragion formale del peccato, [...OMISSIS...] ,
dice S. Tommaso, [...OMISSIS...] ;
di che deduce, che il concetto del peccato attuale e
dell' originale non è dissimile, contro i teologi razionalisti, che
a quest' ultimo negano l' esser peccato semplicemente (2). [...OMISSIS...] ;
la
qual privazione della giustizia, come abbiamo veduto, consiste
nel non esser più la volontà aderente all' ordine di ragione.
Di che conclude l' Angelico: [...OMISSIS...] .
Nella volontà de' bambini adunque (ancora immersa
nell' essenza dell' anima) ha sua propria sede il peccato originale,
perchè [...OMISSIS...] .
E noi pure dimostrammo, che il peccato suppone sempre
qualche attualità e solo un principio attivo può avere per suo
subbietto.
Dalle quali cose s' intende, come anche si dica, che
il peccato originale consista nella concupiscenza de' non rinati ,
e in che senso il dir questo ritorni in fine allo stesso,
che a riporre il peccato d' origine nella privazione della giustizia,
ovvero nella stortura della volontà.
La concupiscenza propriamente definita in un modo
generale può dirsi l' inclinazione dell' anima intellettiva verso
l' animalità e il bene subbiettivo. A torto i nostri Anonimi la
restringono alle sole parti inferiori dell' uomo, nelle quali è
l' appetito animale, che non ha per sè solo come è nelle bestie
alcuna ragione di difetto morale (1). All' incontro S. Paolo
attribuisce alla concupiscenza «phronema» e «nun» (2), e il catechismo
del sacro Concilio chiama la concupiscenza ANIMI
APPETITIO, e non appetitio carnis; acconciamente così definendola,
[...OMISSIS...] .
L' Angelico poi dice, [...OMISSIS...] .
Si prende dunque acconciamente la parola concupiscenza
anche a significare tutta la facoltà di appetire dell' animo umano
la volontà stessa spontanea inclinata a fermarsi nel sentimento
animale e nel bene subbiettivo; ed è in questo senso, che nella
concupiscenza de' non rinati si può collocare il peccato di origine.
All' incontro se per concupiscenza s' intendesse quell' attuosità
della vita e del sentimento animale che tira a sè l' anima
intellettiva, ella è più tosto la causa prossima del peccato originale,
cioè della mala inclinazione della volontà anzi che
peccato ella stessa (1).
L' anima razionale dunque ed appetitiva dell' uomo,
quando l' uomo è generato « si precipita, quasi direi nella
carne; e il dolce della vita animale la diletta, senza il riguardo
debito a quell' ordine di ragione, che a lei essenzialmente intelligente
sta pur davanti almeno implicito nel lume della ragione. »
Ma si devono distinguere tre cose in questa condizione
dell' anima:
1 La potenza razionale di appetire ancor immersa nell' essenza
dell' anima, non pur distinguibile colla mente nostra
dall' altre potenze;
2 La stessa potenza che già esce e realmente si separa
colla sua azione quando emette le sue appetizioni, o volizioni;
3 E questi stessi atti speciali, che si dicono volizioni.
Queste tre attività vengono l' una dall' altra, come
dalla radice d' un albero vien fuori il tronco; e da' tronchi
escono i rami. Gli atti particolari, le volizioni dunque sono
produzioni della potenza di volere; la potenza di volere è quasi
direbbesi produzione dell' essenza dell' anima, si che consegue,
che, se si tratta di atti spontanei della volontà, questi sogliono
trarre la qualità loro dalla potenza, ed esser buoni se la potenza
è ben disposta, non buoni se la potenza è male disposta.
Medesimamente la volontà come facoltà spontanea di operare,
tiene la sua disposizione buona o cattiva, cioè ben ordinata o
no, che prima aveva quando si giaceva quiescente nell' essenza
dell' anima.
di che si deduce, che l' essenza del peccato originale
quant' alla macchia non si può riporre negli atti particolari
della volontà; e nè pure nella volontà come potenza; ma
nell' essenza dell' anima volitiva e appetitiva; onde incomincia
quel male che si propaga poscia alla potenza ed agli spontanei
suoi atti e però il male di quella e di questi si riduce in fine alla
mala disposizione dell' anima che è lo stesso peccato originale.
Ma che l' anima stessa, l' essenza dell' anima abbia
questa mala disposizione in sè riesce difficile a intendersi per
cagione, che quella disposizione immorale sfugge alla coscienza.
Ma la fede, rivelandoci il peccato originale che tutti i cristiani
credono sulla parola di Dio rivelante proposta loro dalla santa
Chiesa, c' insegna indirettamente una verità così profonda; e
prevenendo la scienza umana, presta un argomento della sua
divinità. La scienza dell' uomo fatta per pochi, viene in appresso
e discopre, dopo ricerche di molti secoli, quei veri che
erano già supposti dalla fede con divoto stupore degli stessi
scienziati (1).
Ell' era un' arma de' Pelagiani, negare il peccato d' origine,
perchè l' uomo non ne ha immediata coscienza. E S. Agostino
accordava loro che il reato della concupiscenza si toglie
alla consapevolezza dell' uomo; anzi volea che si distinguesse
diligentissimamente tra il sentimento della carne, di cui si ha
coscienza, e quella mala qualità e disposizione dell' anima di
cui la coscienza ci manca e in cui il peccato originale risiede;
stringendo quegli eretici a credere a quanto dice la fede,
eziandio che nol dica la coscienza diretta ed immediata. In fatti
delle cose che giaciono in fondo all' anima, dove sta quel peccato,
o è soprammodo difficilissimo, o al tutto impossibile, l' essere consapevole. [...OMISSIS...] .
Il perchè
accorda a Giuliano, che l' argomento di cui egli si serviva a negare
il peccato d' origine (il non averne cioè noi coscienza) era
tale da illudere gli uomini grossi e carnali, ma tanto più in ciò
stesso offensivo della cattolica fede; [...OMISSIS...] .
Ed avverte,
che il male originale non istà nella volontà del fanciullo, presa
questa volontà come potenza della quale, operando noi, siam
consapevoli; ma è consopito nel fondo dell' anima, dove la coscienza
non giunge, e tuttavia viene il tempo che quel peccato
occulto si appalesi anche di fuori, colle sue male tendenze, e
colle male sue operazioni; [...OMISSIS...] .
Dove si scorge, secondo il parlare di
S. Agostino, che il peccato originale prima è nascosto in fondo
dell' anima ed ivi quiescente, poi operante al di fuori ed in
battaglia colla libera volontà, che o il vince corroborata dalla
grazia di GESU` Cristo e allora l' uomo è salvo; o si lascia
vincere e allora l' uomo è perduto. Ma non si creda perciò
soggiunge il Santo, che quel peccato non nuoccia, anche prima
di mandar fuori i suoi tralci delle male operazioni, nuoce
sempre, se non è sciolto dal Redentore. [...OMISSIS...]
Invano adunque Pelagio sosteneva, come fanno i moderni
teologi razionalisti, che la concupiscenza non fosse altro
che il sentimento carnale (2). S. Agostino rispondeva, che il
sentimento è quello che ci rende consapevoli della concupiscenza;
ma non è la concupiscenza di cui si parla, occulta
madre di quel sentimento. La concupiscenza, quella concupiscenza
cioè in cui l' essenza del peccato originale consiste, è
una mala disposizione dell' anima occulta in essa, una mala
qualità (3). [...OMISSIS...]
Ed illustra questo
concetto con un esempio che mostra lo spirito veramente filosofico
del grand' uomo, [...OMISSIS...] .
Riassumendo dunque in poco ciò che abbiamo detto
finqui intorno alla concupiscenza ed a' suoi vari significati,
1 Se la concupiscenza si prende per quell' impeto, per
così dire, onde l' anima del bambino che si concepisce s' immerge
nella viva carne, che l' attira all' atto della concezione,
una tale concupiscenza è la causa prossima del peccato d' origine
[...OMISSIS...]
e non lo stesso peccato d' origine (3);
2 L' animalità così prevalendo trae seco la parte razionale
dell' anima, la volontà, che tende da quell' ora spontanea
a secondare i movimenti piacevoli della carne; e soddisfarsi
nel bene della natura umana come se altro non ci fosse al
di là, e a questa tendenza originaria, a questa volontà, o attività
razionale dell' anima prona a riporre il suo finale compiacimento
nella natura, si dà pure il nome di concupiscenza;
ed è in questa, che ha sede quella mala qualità , quella
macola , quel reato , in che consiste il peccato d' origine:
mala qualità che cessa in virtù del battesimo, benchè rimanga
la tendenza alle passioni del senso, ma minuita e che
non s' acquieta in questa, perchè la parte suprema dell' anima
è sostenuta dall' infusion della grazia. Quella tendenza dunque
che rimane specificamente diversa dalla precedente allora
dicesi fomite della concupiscenza (1);
3 Dalla detta concupiscenza, o che abbia congiunta la
macchia , come ne' non rinati; o che non l' abbia come nei
rinati, vengono i movimenti disordinati della volontà prona
al senso, che si riducono al peccato originale, se questo vige,
o si riducono al fomite, se il peccato originale è pel battesimo
estinto.
Acciocchè dunque chiaramente s' intenda questa
espressione consacrata dalla tradizione, che il peccato originale
è il reato della concupiscenza; non dee prendersi la
parola concupiscenza per l' atto dell' animalità che attira a sè
l' anima razionale nel primo momento dell' esistenza dell' uomo,
atto che poi permane; non per gli atti spontanei della volontà,
che alle speciali sensazioni abbandonasi; ma per la mera
disposizione viziosa a questi atti, posta in essere nella congiunzione
dell' anima col corpo; che in noi è quiescente e a
noi stessi ignota fin a tanto che non erompe a' suoi atti.
E quella disposizione in cui consiste il peccato non è già
la semplice tendenza al bene sensibile (la mera concupiscenza
senza determinazione di grado) ma ella è la mala qualità ,
come dicemmo con S. Agostino, che trovasi in quella concupiscenza,
quale è a noi innata e dura avanti il battesimo, e
che col battesimo cessa.
Che cosa è dunque la mala qualità della concupiscenza
innata che forma il peccato? Consiste in questo, per dirlo di
nuovo, che quella tendenza al diletto animale e al bene subbiettivo
della natura rapendo a sè tutta quasi l' attività dell' uomo,
rapisce a sè e lega anche la parte suprema dell' uomo
la cima dell' anima, nella quale sta la base dell' umana persona,
che pure di natura sua dee conformarsi all' ordine di
ragione, e sta pure il subbietto di ogni vero peccato. Il lume
adunque della ragione, benchè non cessi di risplendere nell' uomo,
non è più la costante guida dell' uomo in tale stato;
esso lume ha troppo poca influenza sopra un essere così propenso
in verso l' animalesca e subbiettiva dilettazione. Poichè
quel lume è fatto di natura sua per dirigere a Dio, e già
l' uomo non si lascia più da lui liberamente dirigere; quindi
dicesi che v' ha in lui mancanza di giustizia consistente nell' inordinazione
della volontà, o sia nell' avversione a Dio.
Quindi la definizione che dà S. Tommaso dell' originale peccato.
[...OMISSIS...] (e non
in Adamo, giacchè altro è il peccato considerato in Adamo,
altro è il peccato considerato ne' posteri, checchè ne dicano
i nostri Anonimi, che menano piedi e mani per confonderli
insieme) [...OMISSIS...] ;
non la concupiscenza sola, in astratto
presa, ma colla mala qualità della privazione della giustizia
originale, la qual mala qualità non è meramente l' assenza
della grazia, come vogliono i nostri Anonimi (2) (nè l' assenza
della grazia è una qualità ); ma è l' indebolimento morale
della volontà dell' uomo, pel quale ella non ha più virtù di
viver bene, come dice S. Agostino (1), non ha più virtù di
muoversi liberamente verso il bene oggettivo (2), il che pur
è un disordine morale; e questa virtù non l' ha più, perchè
le è sottratta l' attività dell' anima già soverchiamente attratta
e legata nell' animalità.
L' attività radicale dell' anima è dunque unica, perchè
unica è l' anima, ed ella si comparte a diverse potenze (3).
Laonde se qualche potenza attrae a sè un soverchio di quell' attività,
l' altre ne provan difetto rimanendosi indebolite e
torpide a muoversi. Indi accade che la facoltà di seguire il
bene oggettivo, che costituisce la volontà buona , sia fiacca
nell' uomo, perchè l' animalità oggimai tira a sè troppo dell' attività
dell' anima. Rimane potente all' incontro la volontà della
carne , cioè quella che segue il bene soggettivo e sensibile,
volontà che ha la qualità cattiva in quanto non dà l' attenzione
e l' importanza debita al bene oggettivo. Di che riceve gran
luce la definizione che dà del peccato d' origine Ugone di
S. Vittore, che il dice [...OMISSIS...] .
La mala qualità che costituisce
il peccato è quella « mortalis infirmitas » della facoltà
di volere il bene oggettivo. Questa facoltà di volere il bene
è debole perchè l' animalità trae soverchiamente a sè l' attività
dell' anima, la quale attività diviene così potente solo a
volere il bene soggettivo e sensibile, onde ne consegue quella
che Ugone dice « concupiscendi necessitas ». Questa è la dottrina
stessa di S. Agostino: [...OMISSIS...] .
- Quest' è la dottrina stessa
di S. Bonaventura: [...OMISSIS...] :
questa in somma è la dottrina tramandataci da tutta
l' ecclesiastica tradizione.
Forte è dunque la volontà dell' uomo che nasce per
volere il bene subbiettivo e sensibile; debole è la volontà di
lui per volere il bene oggettivo e morale. Questa debolezza
della volontà pel bene è quel languor naturae (3), in cui
S. Agostino cogli altri Padri ripongono l' originale peccato;
perchè in conseguenza di essa nasce una infelice concupiscendi
necessitas contro l' ordine di ragione (4).
Poste le quali dottrine innegabili della costante tradizione
della Chiesa si può ben far giustizia delle parole, colle
quali il moderno Teologo, detraendo alla virtù del battesimo,
mette alla medesima condizione i non battezzati, ed i battezzati,
dando a quelli una libera volontà capace di viver bene
coll' evitare le azioni peccaminose, quant' a quest' ultimi; benchè
S. Agostino con tutta la Chiesa chiami il peccato originale,
[...OMISSIS...] . Poichè tutto ciò
asserisce il nostro C. e parla, in nome di tutti i dottori cattolici:
[...OMISSIS...] .
Si pesino
bene queste ultime parole principalmente. Se, anche l' uomo
non battezzato può sempre come il battezzato SENZA DIFFERENZA
ALCUNA astenersi dalle azioni peccaminose, non ha dunque
necessità per viver bene del santo battesimo; anzi, secondo
il nostro autore, nè pure della grazia di Cristo, perchè
egli sostiene che la ragione dell' uomo (non la grazia) può
sempre accorrere e vincere la passione abusando delle parole
dell' Angelico: [...OMISSIS...] .
Non è ella questa la genuina sostanza dell' eresia pelagiana,
coperta ora più, ora meno, di artificiose parole, ma
costituente il fondo di tutti gli scritti de' nostri teologi razionalisti?
Non ho io ragione di rispondere a quelli, che non
fanno differenza fra battezzati e non battezzati quanto alla
forza del libero arbitrio per bene operare, e che attribuiscono
all' uno e all' altro un egual potere di reprimere le passioni,
ed evitare le azioni peccaminose, quello stesso che S. Agostino
rispondeva a quegli eretici che del pari estollevano il
libero arbitrio de' non battezzati (e in ciò Agostino era bocca
della cattolica Chiesa) [...OMISSIS...] .
Laonde se la cattolica Chiesa condannò quelli che
dicono impossibili i divini precetti a' giustificati, i quali hanno
l' aiuto della grazia, facendo così differenza fra le forze del
giustificato, e quelle del non giustificato. [...OMISSIS...] ;
d' altra parte condannò altresì quelli che li dissero possibili
a' non giustificati operanti colle naturali loro forze. Onde ne' capitoli
di S. Celestino Papa si legge (4), [...OMISSIS...] .
Che anzi la Chiesa, lungi d' ammettere
che il non battezzato che non opera colla grazia possa
egualmente che il battezzato astenersi dalle azioni peccaminose,
come insegnano i moderni nostri teologi; Ella dichiara incapace
di ciò il battezzato stesso, se non riceve ognora nuovo aiuto
di Cristo, il quale lo dà a chi lo domanda. [...OMISSIS...] è il
terzo capitolo di Celestino, [...OMISSIS...] .
Laonde i nostri recenti teologi razionalisti danno più
forze al non battezzato, che non dia la Chiesa cattolica allo
stesso battezzato.
Certo, se io scrivessi pe' soli teologi tali cose, mi darei
una cura superflua, essendo loro troppo noto, appartenere alla
fede, che le forze del libero arbitrio in un uomo giustificato
e incorporato a Cristo pel battesimo, sono di gran lunga
maggiori pel bene, di quelle che dalla mera natura abbia un
altro non battezzato; e d' altra parte ho già dimostrato ampiamente
nella « Risposta ad Eusebio », che passano tre ragguardevolissime
differenze fra il potere d' operare il bene che
ha l' uomo battezzato e quello che ha il non battezzato e
privo di grazia, nel quale scorgesi
1 incapacità di eseguire a pieno i divini comandamenti;
2 cedevolezza al peccato;
3 incapacità di meritare la vita eterna (1), e le contrarie
doti sono nel battezzato; tutte le quali dottrine vengono affatto
dissimulate dal C., come se da me non fossero state nè manco
accennate, non che provate con irrefragabili autorità, scrivendo
io dunque piuttosto pe' fedeli non teologi, che si cerca ingannare
sotto specie di zelo per la pura dottrina, seguiterò a dir quello,
che il loro vantaggio mi sembra richiedere.
E questo sarà dimostrare, deducendolo dall' intima
natura del peccato originale e della liberazione da esso che
si fa pel battesimo, che un effetto di questo sacramento è
altresì la mitigazione delle forze della mala concupiscenza e
che perciò erra dannosamente colui che non vuol riconoscere
differenza alcuna fra battezzati e non battezzati quanto alle
forze della libertà umana in evitare le azioni peccaminose,
alle quali incita la mala concupiscenza.
Egli è di fede,
1 che nel battesimo si ottiene la giustificazione de' peccati;
2 che questa giustificazione non consiste nella sola
remissione de' peccati;
3 che ella consegue ad un' operazione della grazia
divina, che si diffonde nei cuori per lo Spirito Santo, [...OMISSIS...] .
Del
sentimento diffuso in noi di questa grazia così parla S. Paolo,
[...OMISSIS...] .
Dal qual sentimento
interiore nasce l' istinto dello Spirito Santo, e la facoltà di
operare il bene soprannaturale meritorio di vita eterna.
L' uomo battezzato è dunque congiunto con Dio, che
a sè solleva l' attività dell' anima, come il senso animale
dall' altra parte a sè la deprime. L' attività dunque suprema
dell' anima, mediante la grazia, viene innalzata dalle cose
terrene, ella è ingrandita, rinnovata, una nuova potenza comparisce
nell' uomo superiore per dignità e per potere a tutte
l' altre, essa diventa la cima dell' uomo, la base della sua
personalità. Per questo le divine Scritture esprimono l' operazione
che fa il battesimo dicendo che, l' uomo viene rigenerato;
[...OMISSIS...] ; e
la distruzione del peccato che ne consegue l' esprimono dicendo,
che l' uomo nel battesimo muore al peccato (4), [...OMISSIS...]
dove risiede la nova
personalità dell' uomo; rimanendo l' attività prima, la precedente
volontà, ma scaduta di posto (1), a cui perciò compete più
l' appellazione di persona, onde la precedente persona infetta
dal peccato è morta, cessando così dall' essere persona subbietto
capace di peccato. In questa maniera la facoltà di volere e
di fare il bene oggettivo è divenuta quella che S. Agostino
colla tradizione chiama il libero arbitrio liberato (2).
Messa adunque nell' uomo una volontà suprema retta,
anche la giustizia è in lui restituita, che nella rettitudine della
personale volontà si ripone; quindi è tolta la macchia del
peccato, che sta nell' inordinazione, e nel languore della volontà
suprema, e che è la deformità propria della volontà;
quindi rimesso il reato, perchè il reato o sia il debito della
pena segue la macchia del peccato, e questa tolta, è tolto
quello altresì (3).
Vero è che continua l' animalità ad operare sull' anima
e a tirarne a sè quanto può l' attività; ma essa non la trova
più così mobile e fiacca come prima; poichè, se essa la tira
al basso; dall' altra banda havvi già Iddio nell' uomo che colla
sua grazia la tira all' alto, e di tutto peso, per così dire, la sostiene.
Quindi l' attività dell' anima è divisa, non più al solo senso
lasciata andar col suo peso; anzi la miglior parte di lei, quella
in cui l' uomo personalmente esiste è nella mano di Dio che se
l' ha presa; e la guarda; se pure il libero arbitrio dell' uomo, che
sempre ad peccandum valet , non gliela sottrae nuovamente.
Di che si fa manifesto, che quella, che Ugone di
S. Vittore e S. Bonaventura e dopo lui tant' altri, chiamano
concupiscendi necessitas , dee nel battezzato di gran lunga
mano diminuirsi di grado, e cangiar anco di specie; in una
parola dee mitigarsi lo stesso fomite della concupiscenza; benchè
la coscienza nol dica all' uomo immediatamente; bastando che
gliel dica la fede, e l' esperienza.
E in quanto al grado non può negarsi, che la tendenza
dell' anima al bene soggettivo e sensibile deva riuscir
minore dopo il battesimo, se una parte dell' attività dell' anima
e la migliore è attratta dalla grazia che avvalora il libero
arbitrio, e lo spirito vi diffonde l' affetto della carità, e dalla
soavità di questo, tutta opposta alla carnale dilettazione, si
trova occupata.
Quanto poi alla specie; la concupiscenza dopo il battesimo
varia certo specificamente dalla concupiscenza anteriore
al battesimo in questo; che dopo il battesimo, non occupa più
la parte superiore dell' uomo; e però non è più concupiscenza
personale , ma è solo concupiscenza naturale; non è più
concupiscenza con macchia e reato; ma toltole via l' una e
l' altro; non è più peccato, ma solo fomite; non perde più
l' uomo, ma gli dà occasion di combattere col suo libero arbitrio
liberato, di vincere e di meritare.
Le quali cose tutte mi si permetta di suggellare colle
autorità del Maestro delle sentenze, e dell' Aquinate suo
commentatore.
Pietro Lombardo così scrive al nostro proposito, [...OMISSIS...] .
E tosto passa a provare, che gli effetti del battesimo
sono due principali, cioè 1 la soluzione del reato della concupiscenza,
e 2 la diminuzione del fomite, e che nell' uno e
nell' altro modo si suol dire, che il peccato originale nel battesimo
si rimette.
[...OMISSIS...] .
E prova che la remissione del peccato
originale nel battesimo suol dirsi, che si fa anche per la diminuzione
della concupiscenza colla testimonianza di S. Agostino,
di cui adduce questo testimonio: [...OMISSIS...] .
Sulle quali parole aggiunge il Maestro delle Sentenze, [...OMISSIS...] .
L' Angelico commentatore di Pietro Lombardo ammette
pienamente i due effetti del battesimo, la soluzione del reato
della concupiscenza e la diminuzione del fomite della stessa,
e dopo aver insegnato, che ogni peccato reca due mali effetti
nell' anima, l' avversione a Dio (macchia e reato), e l' inclinazione
ad un simile atto (1); mostra come la giustificazione
toglie l' uno e l' altro effetto (2). La qual dottrina egli applica
in questo modo alla grazia del battesimo, [...OMISSIS...] .
Questo è il primo effetto
della grazia battesimale; il secondo poi è la diminuzione del
fomite, e così viene descritto dal Santo Dottore, [...OMISSIS...] .
E` dunque ingiurioso alla grazia di
Cristo, è ingiurioso ai dottori cattolici, è ingiurioso alla cattolica
religione il dire, che [...OMISSIS...] ,
di maniera che la ragione de' primi e quella de' secondi sia egualmente
forte contro le lusinghe de' sensi, e possa sempre ugualmente
[...OMISSIS...] : in tal caso la
sola naturale ragione e libertà basterebbe da se stessa, senza la
grazia, ad evitare tutti i peccati, e però a vivere giustamente,
il che la Chiesa riprova (2). Convien dunque riconoscere da
chi vuol tenersi nella dottrina della Chiesa cattolica; che la
liberazione che Cristo fece della schiavitù del peccato, secondo
la sua promessa (3) non ha un effetto solo, come voleva
Giuliano d' Eclana; ma sì, ne ha due, come colla Chiesa
cattolica volle Agostino d' Ippona: il quale dopo aver recate
le parole del figliuol di Dio, [...OMISSIS...] .
Dalle quali dottrine si può conoscere differenza immensa,
che i dottori cattolici fanno tra i battezzati e i non
battezzati relativamente al potere di operare il bene e di
vincere il male.
Perocchè nell' uomo non rinato
1 vi è una concupiscenza che è peccato (reatus concupiscentiae),
perchè tiene captivata la umana persona, quando
una concupiscenza con sì mala qualità , che è il peccato, non
esiste più nel battezzato;
2 vi è una concupiscenza che è più intensa nel tirare
l' uomo al male (fomes concupiscentiae), perchè ella sola tira
quasi tutto l' uomo, anche la persona senza che abbia in opposizione
a lei sufficientemente altra forza efficace, che attiri
l' uomo, eccetto il troppo debole lume della ragione naturale;
quando nel battezzato se da una parte vi è l' animalità che
continua ad attrarre a' suoi istinti l' anima; dall' altra vi è la
grazia, che possiede la parte suprema dell' uomo e avvalora
il suo libero arbitrio, e però nol lascia più abbandonato alle
forze della concupiscenza.
Concludasi adunque, la concupiscenza dell' uomo rinato
differisce di specie e di grado dalla concupiscenza dell' uomo
non rinato; e quindi in quello è doppiamente accresciuta la
potenza di resistere al male e di operare il bene.
Consideriamo ancora la doppia serie di effetti, che ne
scaturiscono.
In quanto all' operare il bene, il battezzato ha ricevuto una
potenza affatto nuova, cioè la potenza che riguarda il bene
soprannaturale, colla quale fa le azioni de' figliuoli di Dio, che
meritano la vita eterna.
Questa potenza soprannaturale è ciò che rende la sua
concupiscenza di specie diversa da quella dell' uomo non battezzato,
e che gli dà forza di resistere al male. In fatti il non
battezzato, come insegna l' Angelico (1), non può colle sue sole
forze naturali astenersi per lungo tempo dal peccato mortale
ove gravi tentazioni gli si presentino (2).
E qui sono da distinguersi più questioni.
Primieramente dico, che nel caso in cui il fomite della
concupiscenza tragga l' uomo a seguire spontaneamente colla
volontà sua il bene sensibile e subiettivo, dimenticato l' oggettivo
e morale; senza che la libertà possa intervenire a dominare la
volontà obbediente alle leggi piscologiche della spontaneità, il
che indubitatamente accade ne' bambini, ne' pazzi, negli ubbriachi,
e in tutti quelli in cui la forza dell' imaginativa esaltata
e della passione antecede la libertà, togliendole il tempo di
considerare colla ragione e di provvedersi di forza pratica; in
questo caso dico, ne' non battezzati quella volontà che riman
così vinta, suol essere quella stessa volontà, che è rea e macchiata;
cioè che ha in sè l' originale peccato, e però gli atti
d' una tale volontà cedevoli agl' istinti, riduconsi al peccato
d' origine tuttora esistente e regnante, come a sua causa immediata
e radice. Queste scorse della volontà quasi trascinata
dagl' istinti appartengono in tal caso non già alla forma, ma alla
materia dell' originale peccato, la qual materia, come egregiamente
dice S. Tommaso, tien luogo della conversione al bene
sensibile e soggettivo; senza che il formale del peccato d' origine,
nè la colpa perciò si accresca. Laonde nè pure la colpa o il reato,
riceve aumento ma s' accresce bensì nell' uomo per sì fatte passioni
la disposizione al male, la quale nè anche colla morte si
distrugge, ma solo colla liberazione e salvazione di Cristo.
Ma ne' battezzati non accade così fino che colla loro
libera volontà non hanno di novo perduta la grazia di Dio,
essi non possono mai esser necessitati ad alcun atto di peccato,
per quantunque forti sieno le naturali inclinazioni. Que' movimenti
poi che si suscitano verso i beni sensibili nell' uomo,
che è in possesso della grazia santificante, nell' età infantile,
e in istato d' alienazione mentale non procedono mai da una
concupiscenza macchiata e rea e personale; ma possono procedere
dal mero fomite che rimane privo della macchia e del
peccato personale o sia che non tocca la persona. Laonde
questi sono allora figli di un' altra madre, e non si può più
dire che in essi operi il peccato in senso vero e proprio, ma
solamente che sieno effetti mediati e lontani di quel peccato,
che non è più, ma che partendosi lasciò in essi il tristo legato
del fomite che tenta, ma non distacca l' uomo da Dio. Onde
nel « Trattato della Coscienza » noi spiegavamo il parlare
dell' Apostolo seguendo i Padri e gl' Interpreti, dicendo che
quelli, che l' Apostolo chiama peccati, sono peccati senza dannazione
e senza imputazione (mentre ne' non battezzati hanno
la stessa condizione del peccato d' origine), e il dire peccato
senza dannazione e senza imputazione, è manifestamente un
dire non peccato nel senso proprio del Tridentino, che il definisce
acconcissimamente: « morte dell' anima. »Di che consegue
che se ne' non battezzati sono propagini immediate di quel
peccato che vige e regna e però possono insieme con lui
ricevere la denominazion di peccato, ne' battezzati all' incontro
sono meri effetti del fomite, che non è peccato; e al fomite
si riducono, e però dal padre loro non possono ricevere la
denominazione di vero peccato; nè lasciano dopo morte alcuna
mala disposizione od altro malo effetto nell' uomo; perchè
distrutto colla morte il fomite con tutte le sue conseguenze,
l' anima del giusto rimane del tutto pura e viva in Cristo, che
è « la risurrezione e la vita », eccettuate sempre le colpe
veniali, a cui anche i battezzati soggiaciono.
Oltre di ciò se ne' battezzati tali movimenti cangiano
di natura, perchè nascono da una concupiscenza, che è diversa
di specie da quella de' non battezzati; essi sono poi anche
minori di numero, e meno impetuosi, come quelli che procedono
da una concupiscenza diminuita ancora di grado .
Ma un' altra differenza ancora, a mio parere, s' incontra
fra il battezzato e il non battezzato.
Talora il mero istinto animale opera da se solo, come suole
avvenir nel sonno, o quando l' uomo si trova in uno stato
convulsivo, a ragion d' esempio, perchè colto da idrofobia. A
queste operazioni della mera animalità possono essere soggetti
anche i giusti, non appartenendo esse all' ordine morale.
Ma lasciando da parte questi mali della natura e venendo
all' ordine morale la volontà allettata dal bene sensibile e
soggettivo può lasciarsi muovere spontaneamente e necessariamente,
trovandosi l' uomo in due condizioni diverse. E parlo
ora dell' uomo in generale, astrazion fatta dal battezzato e dal
non battezzato. Ella può esser rapita e mossa semplicemente
e istantaneamente da bene sensibile, senza che l' uomo abbia
tempo a considerar la legge e a confrontare l' azione oggettivamente
malvagia con essa, e questo accade ne' primi moti,
nel qual caso, la volontà umana opera disordinatamente, perchè
in modo contrario alla sua natura che è di essere un
ragionevole e morale appetito; ma questo disordine più tosto
negativo che positivo non è che venial peccato.
Può l' uomo in secondo luogo (sempre in generale prescindendo
ora dalla grazia) vedere il bene oggettivo e morale,
ma poi, attesa la forza della tentazione, essere addotto al bene
subbiettivo7immorale, sottratta la forza pratica alla sua volontà,
dalla seducentissima dilettazione giunta all' estremo suo termine;
di che cade non perchè sia rimasta prevenuta la sua
ragione e resa inetta a mostrargli il dovere; ma perchè è
rimasta prevenuta e legata la sua libertà, la quale non potè
aiutarlo contro lo spontaneo volere, ed a ciò che la ragione
gli mostrava, attenersi.
Nell' uno e nell' altro di questi casi vi può esser colpa in
causa, se questa fu libera; ma in tali atti in sè considerati e
prescindendo dalla causa libera, non vi è colpa; poichè si
suppone in entrambi, operar l' uomo attualmente privo di libertà,
benchè siavi peccato, che in relazione alla causa libera dicesi
colpa.
Ora sì nell' uomo battezzato che nel non battezzato,
il primo caso può aver luogo indubitatamente, non però egualmente;
ma più in questo e meno in quello.
Quanto poi al secondo, reputo, che possa aver luogo solo
nel non battezzato; e reputo che di questo caso intenda dir
S. Tommaso, quando parla de' peccati mortali, a cui il non
battezzato necessariamente soggiace (1).
Egli dice, che quantunque l' uomo non giustificato possa
evitare i singoli peccati, tuttavia, « quod diu maneat absque
peccato mortali esse non potest », e il prova coll' autorità di
S. Gregorio Magno (2), dandone questa ragione, [...OMISSIS...] .
Dopo di che si
fa l' obbiezione, che l' uomo può anche operare contro il fine
preconcepito e contro l' abito, purchè ricorra alla meditazione;
ma risponde, che [...OMISSIS...] .
Di che conchiude che l' uomo non giustificato non
può a lungo astenersi da ogni peccato mortale, perchè [...OMISSIS...] .
La cosa però non procede egualmente nel battezzato;
e se ne può dare questa ragione filosofica.
Fino a tanto che la ragione non può accorrere, confrontando
il bene soggettivo e istintivo col bene oggettivo e morale; la volontà
va dietro al bene sensibile naturalmente; non gli è proposto
veramente ancora un oggetto morale; né l' uomo conosce, nè
sente l' obbligazione; e perciò l' operazione non viene dalla
volontà personale e morale; o quel barlume che n' ha non
basta a costituire una grave inordinazione, un peccato mortale.
Ma qualora la ragione gli mostri attualmente e chiaramente
ciò che dee fare, egli sente l' obbligazione di operare
secondo il bene oggettivo e morale, che scorge. Laonde in
questo caso se l' uomo non potesse resistere, sarebbe segno
manifesto che v' avrebbe un languore nella stessa persona
dell' uomo, non solo nella natura . Ma la persona non ha più
languore dopo il battesimo, ma solo la natura. Dunque, come
dissi nel « Trattato della Coscienza », non possono mai mancare
all' uomo battezzato le forze, colle quali adempire alle obbligazioni
da lui conosciute, purchè si giovi degli aiuti che sono
in sua mano, fra i quali quello dell' orazione, dicendo il Concilio
di Trento, colle parole di S. Agostino, de' giustificati,
[...OMISSIS...] ,
alle quali consuona il Canone XXII. [...OMISSIS...] .
Che se pur si avverasse che l' uomo giustificato e
faciente quel ch' egli può cedesse necessariamente a qualche
lusinga, ciò non potrebbe essere, che ne' primi moti, o in uno
stato di ragione turbata, e ciò non farà mai con tutta l' attività
voluta dal peccato mortale, a costituire il quale non basta
che intervenga l' azione personale o la libera, ma si esige che
l' oggetto stesso dell' azione sia personale , e però che abbia
ragione di fine ultimo. Di che il cedere non sarà mai che
parziale nel detto caso, da parte dell' attivitá umana, non totale:
e dato che intervenga qualche disordine nell' azione personale
non sarà tale da staccar la persona dall' oggetto buono
e morale a cui aderisce. Onde non vi sarà che colpa veniale
di cui rimane la miniera anche ne' battezzati, per usare una
frase del Cardinal Pallavicino che è il fomite della concupiscenza
(1).
Possono adunque i giustificati, colla divina grazia,
adempire tutte le obbligazioni da essi conosciute, se fanno
quello che sta in loro, nè mai sono addotti dalla tentazione
senza il consenso della loro libera volontà in tale strettezza
e deficienza di forze da dovere arrendersi ad essa in modo
da peccare gravemente; là dove a' non giustificati non è assicurata
un' egual forza; quantunque sia vero, come dicevamo,
che quando essi cadano sotto il fardello delle proprie obbligazioni
per assoluta impotenza, non demeritano con ciò se
manchi in essi al tutto la forza di evitare il peccato (1).
Ma nella loro volontà, se questa è soccombuta rimane una
maggior piega ed adesione al male commesso. Nè con questo
è mio pensiero di negar loro la possibilità di pregare, eccitati
dalla grazia. Reputo ancora, che una orazion naturale, che
niente certamente può meritare, possa non di meno essere
ordinata a domandare nell' ordine della giustizia naturale aiuti
morali da Dio naturalmente conosciuto, ed impetrarli ancorchè
non dovuti. S' aggiungono le grazie attuali, che dispongono
l' uomo non giustificato, alla giustificazione; le quali Iddio certamente
dona a chi vuole, secondo l' altissimo suo beneplacito,
secondo quello che insegna il sacrosanto Concilio di Trento.
E qui sembrami poter giovare a chiarire le idee (giacchè
per questo appunto mi allungo in tali ragionamenti), l' esporre
l' origine logica del Giansenismo; cioè il dimostrare, per quali
passi sbagliati, l' intendimento degli autori di questa eresia
traboccasse in essa miseramente.
Lo sbaglio primo si fu l' aver confuso la volontà colla
libertà; e il non avere avvertito che queste due facoltà operano
con leggi diverse; e formano due sfere di operare; delle
quali quella della libertà è superiore a quella della semplice
volontà.
Il moderno teologo precipita nello stesso sbaglio,
quando vuol confuso il mero volontario col libero; e quando
incontrandosi in alcuni luoghi in cui noi parliamo della volontà
e delle leggi che ad essa presiedono; egli ci accusa (1) di
negare la libertà , che pure in tanti luoghi dichiariamo essere
una forza superiore alla volontà che perturba e modifica le
leggi a cui la volontà da sè sola ubbidirebbe.
Ora quali sono le leggi della volontà , quando quella
facoltà (diversa dalla libertà) che dicesi, un appetito razionale ,
rimane abbandonata a se stessa? La legge si è che ella inclina
a tutti quanti i beni dall' uom conosciuti, e si lascia
muovere dalla loro azione; e acconsente di preferenza al
maggiore, se non può aderire a tutti.
E questo è infatti lo stato dell' uomo, prima ch' egli
possa esercitare la sua libertà, lo stato del bambino, non pervenuto
ancora all' esercizio della sua libertà bilaterale. In un
tale stato la volontà è dolcemente attratta da ogni bene, perchè
è la potenza del bene, ella è mossa da ogni stimolo per
piccolo che si voglia perchè è mobilissima e soprammodo delicata;
e per quella legge che dicesi anche spontaneità , se
due agenti allettevoli contemporanei l' attirano, tende verso
ad entrambi, ma a quello, che esercita su di lei una maggior
forza, si volge più ardente, o con preferenza.
Ora se il bambino non è battezzato, egli è attratto
debolmente dal lume di sua ragione, che per se solo non
esercita un' azione su di lui realmente sensibile (cioè al modo
che è sensibile l' azione delle cose reali di cui ha percezione);
ed è attratto fortemente dalla dilettazione del senso animale.
Laonde quantunque l' intelletto umano aderisca per sua natura
all' essere ideale , e quindi la volontà sia volta naturalmente
anche al bene oggettivo universale, onde s' origina nell' uomo
la facoltà di operare il bene morale, la quale non può in lui
cessare giammai, e con essa si origina pure il libero arbitrio;
tuttavia l' animalità e il bene soggettivo predomina nell' uomo
in tale stato, essendo questo bene il solo agente reale che
sull' anima influisca e che può a sè prevalentemente attirarla.
Se dunque avvenga in progresso, che fra il bene morale e il
bene subbiettivo nasca forte collisione, e la libertà non trovi
in quello forze bastevoli contro questo, l' uomo seguita a veder
quel primo, e ad approvarlo; ma s' appiglia coll' opera a questo
secondo, [...OMISSIS...] .
Nell' uomo battezzato incorporato realmente a Cristo
la condizione delle cose è ben altra. Se da una parte v' ha
l' azione reale del bene animale, che a sè l' attira, dall' altra
v' ha un altro bene reale assai maggiore che pur l' attira o
per meglio dire lo tiene; e questo è Dio, che si comunica
all' anima, comunicandole la grazia e diffondendovi la dilettazione
della carità e così avvalorando poi il libero arbitrio che
può sempre vincere. Laonde nell' uomo in tale stato costituito
accade che quantunque l' animalità da parte sua seguiti ad
allettare a sè l' anima volitiva ed attiva dell' uomo anche dopo
il Battesimo siccome prima, onde il fomite; tuttavia quest' anima
stessa nella sua parte più eccellente è contemporaneamente
tenuta e posseduta da Dio; e così il bene infinito risiede
nell' anima non solo idealmente ma anche realmente. L' azione
del qual bene, che è Dio, di sua natura (se il libero arbitrio non
si oppone) prevale a quella della carne: prevale dico per due
guise, l' una perchè Iddio occupando la parte superiore dell' uomo,
la punta dell' anima, che è nata a comandare all' altre
potenze, sana e santifica il principio personale dell' uomo
che in quella punta risiede; ed altresì perchè l' operazione
divina è più forte di sua natura di quella della carne, ed ella
è sì forte che niente può separare Iddio dall' anima volitiva
se non sopravviene la libertà dell' uomo stesso, la quale peccando,
per sè medesima si stolga e separi da lui, che per
usare le parole di S. Agostino consacrate dal sacrosanto Concilio,
[...OMISSIS...] .
Egli è dunque chiaro, che qualora si parli della sola
volontà dell' uomo, considerandola in separato dalla sua
libertà , che è la potenza nata a dirigerla, ma che sempre non
si trova in esercizio, come accade ne' bambini, od è legata, o
prevenuta dagl' impeti focosi dell' immaginazione e dagl' istinti
de' nervi eccitati, come ne' pazzi, o in quelli che sono da
veemente accesso di passioni sorpresi; in tal caso la volontà
dell' uomo ubbidisce spontaneamente alle dilettazioni che la
dileticano, e più a quella che la diletica maggiormente; e se
un bene l' occupa nella più alta sua parte, le operazioni che
da questa parte incominciano sono personali, e buone o cattive,
secondo che quel bene che informa la persona dell' uomo
è onesto o disonesto, e la dilettazione che da esso viene onde
procedono le azioni, secondo la legge della spontaneità, è
buona o cattiva ella stessa.
Quindi l' aiuto che riceve il bambino col sacramento del
salutare lavacro appartiene a quel genere, che S. Agostino
chiama « adjutorium quo »; il qual aiuto è da S. Agostino negato
ad Adamo, accordatogli il solo « adjutorium sine quo ». E così
dovea essere. Poichè la volontà del bambino essendo rea e
non avendo in sè il potere di giustificarsi da se stessa e di
rettificarsi; nè potendo come rea che era usar bene nè del
proprio arbitrio, come dicono i Capitoli di S. Celestino, nè degli
aiuti superni, se non fossero tali che prima la giustificassero
o alla giustificazione la disponessero; perciò conveniva, che
Dio stesso operasse quasi una creazione novella e colla sua
onnipotente grazia sanando e avvalorando l' anima, cangiandola
cioè di mala in buona, onde di questa grazia acconciamente
dice S. Agostino [...OMISSIS...] .
All' incontro la volontà d' Adamo era già naturalmente retta,
e però non facea mestieri di essere liberata dal male, bastando
che fosse aiutata a fare il bene con quella grazia, «SINE QUA »,
non si può operare il bene perfetto, appartenente all' ordine
soprannaturale (2). E quantunque all' « auxilium quo » di S. Agostino
si riferiscano anche le grazie attuali, e sono tali per la
loro interna efficacia, e per la certezza con cui realizzano
l' eterna predestinazione (1): tuttavia egli prima di tutto lo fa
consistere nella grazia [...OMISSIS...] ;
al che è consentanea la definizione del sacro Concilio di
Trento, il quale insegna che della giustificazione dell' uomo
[...OMISSIS...] .
Ora egli è certo, che con questa potentissima grazia
del Salvatore, l' uomo non può da niuna cosa esser vinto, se
liberamente non consente al male; e perciò il bambino battezzato
o altri santificati nelle acque del battesimo, in cui il
libero arbitrio sia impedito o legato, è in istato di certa salute;
perchè prevale in lui la grazia e la carità di Cristo alla
tentazione della carne e del demonio, in tanto che questa non
può più distaccar l' uomo da Dio. Nè si dee credere, che non
operando nel bambino la libertà , sia perciò straniera la volontà
all' opera della salvazione; perocchè anzi la volontà è
quella che viene santificata e informata dalla carità di Cristo,
e quella che poi opera coll' aiuto di questa grazia e dell' attuale
(2).
Restringendoci adunque entro all' ordine della volontà,
e prescindendo dall' ordine della libertà per un' astrazione,
ovvero perchè si suppone la libertà inattiva come nel bambino,
ha luogo il sistema delle due dilettazioni relativamente prevalenti.
Nell' uomo non giustificato prevale la dilettazione della
carne e lo perde; nell' uomo giustificato prevale di dilettazione
della grazia di Cristo e lo salva. La volontà è tirata ed aderisce
a chi l' attrae maggiormente e più altamente: tale è la
legge della volontà; non quella della libertà che domina sopra
la volontà.
E alla volontà sgraziatamente si fermarono i giansenisti.
Essi racchiusero tutti i loro pensieri entro la sfera
della volontà che si definisce: « un appetito razionale; »entro
la quale sfera, prescindendo da quella forza superiore che si
definisce coll' Apostolo « « potere sulla volontà »(1) » e dicesi libertà;
trova luogo il sistema delle due dilettazioni contrarie,
che, secondo il grado di forza prevalente, esercitano successivamente,
o alternativamente il dominio sull' umano appetito.
Ma ella era una veduta ristretta ed esclusiva la loro. Essi
errarono dunque per non avere osservato che al di sopra della
sfera della volontà sta nell' uomo un' altra sfera, quella della
libertà , nata ad essere signora della volontà, che è una facoltà
inferiore relativamente a quella; e questo errore nacque
nelle menti perchè non erano in allora ben distinte queste due
attività dell' anima razionale, cioè quella di volere , e quella
di eleggere fra le volizioni , la volontà e la libertà.
Per la quale confusione medesima i pelagiani dall' altra
parte coi nostri teologi disconoscendo le leggi della volontà ,
e attribuendo ogni potere alla libertà , fecero onta alla grazia
ed alla salvazione di Cristo, insegnando, che anche ne' non
giustificati [...OMISSIS...] .
Il che è un manifesto
abuso di alcune parole di S. Tommaso, le quali si riferiscono
alla potenza rimota , e non alla potenza prossima , secondo
la distinzione giustissima del Gaetano (2), nessuno negando che
di natura sua la libertà possa accorrere, per se sola considerata;
ma negandosi che possa sempre accorrere nelle circostanze
dell' uomo caduto e non giustificato, [...OMISSIS...]
come dichiara
S. Tommaso medesimo, qual si richiede ad evitare il peccato (3).
Onde vi ha la potenza, ma non la potenza propria e in assetto
a produr fuori l' atto: vi ha la potenza , ma non la possibilità
di operare . Di che i Padri del Concilio Diospolitano obbligarono
i pelagiani a confessare, fra gli altri capi questo:
[...OMISSIS...] .
Là dove il nostro teologo
viene a sostenere in quella vece che la vittoria contro alle
illecite concupiscenze può sempre venire ex propria voluntate ,
che di conseguente alle forze naturali dell' uomo (battezzato
o no è il medesimo) se ne deve dare la gloria! Iddio ci preservi
da dottrine che cotanto alimentano l' umana superbia, e
così rendono irrimediabile l' umana impotenza.
Il vangelo in fatti è tutto nell' umiltà: dove non si semina
questa, non si sparge il seme di Cristo. Il vangelo è nella
virtù di Dio: ma la virtù di Dio non soccorre all' infermità
dell' uomo, se l' uomo ricusa di sentire la sua infermità, non vuol
riconoscerla nè confessarla. Il dire, che l' uomo può esser giusto
da sè secondo la natura senza bisogno della grazia di Dio (1)
non è un confessare la propria infermità; ma stabilire una
giustizia dell' uomo contro la giustizia di Dio. [...OMISSIS...]
Il Razionalismo introdotto nella Teologia trae seco
l' umanismo nell' ecclesiastico ministero . Intendo per Umanismo
quello spirito, che, senza dimettere le apparenze della pietà, propende
sempre a giudicare in favore dell' esaltamento dell' uomo:
sempre intende ad attenuarne la malizia e coprirne le piaghe,
a dissimularne o negarne l' impotenza, a secondarne le naturali
inclinazioni, ad adularne e giustificarne sottilissimamente
le passioni ne' trovati dell' umano ingegno, e ne' mezzi dell' umana
potenza, anche trattandosi d' imprese spirituali, a perdere di
veduta la povertà e la virtù della croce, a dispregiare la
semplicità evangelica, a modificare in mille guise le parole di
GESU` Cristo, a interpretarle a voler della carne, quasi per
giuoco d' ingegno, ad obliare le promesse del Principe dei
Pastori, a non vivere oggimai più di fede ma d' artifizi e di
maneggi, non più traendo seco forza dalla sola speranza riposta
negli aiuti superni, fuori della quale speranza il più industrioso
e costante ecclesiastico in vece della pace di Cristo reca da
per tutto dove va la discordia, e in vece di stabilire tra popoli
il regno di Dio, vi pone senza saper come impedimento;
o fors' anco dopo un frutto momentaneo lascia il campo del
Signore ingombro di triboli e di spine da lui stesso seminate.
Coloro i quali conoscono la storia delle missioni straniere
e n' hanno meditato le vicende potranno dire, quale altro
spirito, se non uno spirito tutto particolare ed umano, sia stato
quello che fece una sì sottile e sì costante opposizione allo stabilimento
dell' Episcopato e della gerarchia in molte missioni
straniere, onde avvenne, che appena nate perirono tante cristianità
nell' Oriente, e specialmente nel Ton7King, nella Cocincina
e nel Giappone? GESU` Cristo mandò degli Apostoli
Vescovi ad annunziare il Vangelo. Così fece sempre la Chiesa.
A' Vescovi prestarono aiuto grandissimo de' sacerdoti e
de' laici. Ma successe un tempo, in cui alcuni religiosi, credendosi
aver trovato de' mezzi migliori di propagare e di fondare
il regno di Dio, esclusero l' episcopato quant' era da loro e la
gerarchia, o le fecero quella guerra lunga or diretta ora indiretta
che poteron maggiore (1). Qui basti di rammentare i
viaggi, gli stenti, le afflizioni, gli anni ch' ebbe a patire e a spendere
il P. Rhodes della Compagnia di Gesù per riuscire, avendo
pure i Pontefici alla sua impresa favorevoli, ad ottenere, quanto
l' esperienza gli aveva dimostrato sì necessario alla stabilità
del Cristianesimo, che de' Vescovadi ed un clero indigeno fossero
in quelle infelici e pereunti missioni stabiliti.
Lo spirito di Razionalismo nella mente, d' Umanismo nel
cuore e nella condotta, è quel sottil veleno, pura essenza, etere
invisibile dell' amor proprio, che penetra ben anco in uomini
molto innanzi nella virtù; i quali da esso insensibilmente condotti
s' allontanano dalla verità e s' affezionano e parteggiano
e quasi a sè ed altrui mentiscono lusingati di poter così far
del bene e giovare alla pietà. E che altro mai se non questo
umano e fallibile ragionare fu quello che in occasione de' riti
Cinesi gettò fra i missionari quella sempre mai lacrimevol discordia,
che tanto danno recò alle missioni della China, e cagionò
la perdita di tante anime, impedì l' acquisto alla Chiesa
di tante popolazioni? Che altro se non la propensione a giudicare
con troppo favore della naturale sapienza ed a scusare
poscia, se non anco lodare quelle debolezze che ad essa natural
sapienza conseguitano fu la cagion vera di quegli errori
che difesi ostinatamente (1) dovettero pur condannarsi con
tante bolle de' Sommi Pontefici, e ultimamente con quella del
dottissimo Benedetto XIV degli 11 Luglio 1742?
Lasciamo parlare un recente scrittore lodevolissimo per
lo spirito d' imparzialità, colla quale narra i principii di sì famosa
questione. [...OMISSIS...]
Quali funeste conseguenze traessero i nemici della
religione cristiana contr' essa dalle accennate esagerazioni
a favore della sapienza naturale de' Cinesi, e della giustificazione
de' superstiziosi loro riti, con somma equità e moderazione
si narra nelle belle lettere del Sig. Luquet che abbiamo
citato. A noi rincresce troppo di trattenerci più a lungo in un
argomento sì tristo, come quel de' riti cinesi; e ci basta avere
solo accennato di nuovo quale sia la prole amara e funesta
di quello spirito umano e razionalistico, che par talora servire
alla pietà, ma in ver la distrugge.
E qui egli è già tempo di chiudere il nostro ragionamento.
Prima però debbo dichiarare, che tutto ció ch' io dissi in quest' opera,
nol dissi coll' animo di definire, che a me non s' aspetta,
ma sol per teologico raziocinio, che a ognuno è permesso. Del
resto alla Chiesa, di cui mi glorio essere figliuolo e discepolo
ogni mio sentimento sommetto. La Chiesa giudichi se i miei
timori sono fondati: ella giudichi il mio giudizio. A me parve,
e pare, per ritornare a ciò che dissi al principio, che il maggior
pericolo, che or le sovrasti, sia in quel pratico Razionalismo
che s' insinua per tutto, sotto apparenze di pietà, e
che insensibilmente, come ruggine, la stessa sana dottrina rode
e consuma. E questo pericolo è grave principalmente per due
ragioni; la prima, che i ragionamenti de' razionalisti sono intesi
e favoriti facilmente dal comune degli uomini, quando le
verità della fede che quelli corrodono sono all' opposto profonde,
arcane, talora all' umane menti ripugnanti: l' altra, che il
Razionalismo teologico è sempre in sul far credere, che niun' altra
via di mezzo si trovi, ma convenga seguitar lui, o cadere
nell' odiosissima e rigidissima eresia del Giansenismo. E queste
due cagioni, la somma difficoltà d' intendere in modo non ripugnante
alla ragione il dogma profondissimo della grazia conciliandolo
col libero arbitrio e colla bontà di Dio che vuol
tutti salvi; e il gran timore di cadere nell' eresia de' predestinaziani
(1) e de' gianseniani, eresia desolante e inducente a
disperazione; ebbero tanta possa di spingere talor anche uomini
santissimi sulla via apparentemente piana e fiorita che
loro addittava il pratico Razionalismo (2). Indi è che vinto
appena il Pelagianismo antico, surse nella Chiesa il Semi7Pelagianismo
(3) a cui diedero il loro nome anche uomini, che
onoriam sugli altari, o quando la chiesa non avea ancor dannata
quell' eresia sottilissima o dopo dannatala, ma ritrattandosi
essi innanzi morire. E tanti ebbe seguaci quell' errore seducentissimo,
che S. Prospero lamentavasi [...OMISSIS...] .
Benchè poi i sommi
Pontefici con la Chiesa tutta decapitassero appena risorta in
nuove fogge l' antica empietà, con tutto ciò qual idra andò rimettendo
di tempo in tempo novelle teste. E allo stesso errore
vestito di forme novelle, che non pareva il precedente già
escluso, e di nuovi lenocinii provveduto, s' accostavano alcuni
e dotti e pii, che altra via non vedevano di salvare a tutti
gli uomini que' due beni oltremodo preziosissimi e necessarii
la libertà e la speranza della salute. Laonde non è a stupirsi,
se dopo le ultime eresie del secol XVI, avutane da esse occasione,
lo spirito razionalistico e pelagiano ricominciasse l' antico
lavoro più industrioso e più costante di quello che avea
fatto o tentato ne' secoli precedenti, scaltrito dalle sconfitte
avute, di migliori armi fornito d' erudizione, di dottrina, di
astuzia, e di potenza ed influenza sociale, le quali a lui fabbricava
la condizione de' tempi, il risorgimento delle lettere,
l' incivilimento, la filosofia, la politica. Benchè queste due ultime,
chi sottilmente e spassionatamente pensi la storia d' Europa
de' tre ultimi secoli, s' accorgerà, che sono più tosto che
sue madri, o nutrici, sue legittime figliuole, ed allieve. Poichè
in questi ultimi secoli, il Razionalismo pratico introdotto
prima nella teologia fu applicato all' educazione della gioventù,
e recò pur troppo i suoi frutti amari alla civil società, in cui
i fanciulli educati rifondonsi. Invano sperossi di neutralizzarne
per così dire, il potente veleno coll' associarlo negli animi giovanili
alla divozione. Fino che l' uomo è fanciullo stanno ben
uniti in lui Razionalismo e divozione; perocchè ne' fanciulli
anche il Razionalismo è fanciullo. Ma questo diviene adulto
insieme coll' uomo, e con esso crescono la dottrina, sua prole
immanchevole, l' orgoglio e l' immoralità; le quali spegnono
la divozione; e spenta questa introducono l' incredulità, che
perturba poi, a suo tempo, l' ordine pubblico massime fra genti
cristiane. Vero è ch' ella non chiamasi da prima incredulità
ma filosofia. Ma che è questo? Il falso nome sol giova ad illudere:
e le masse ancora credenti onorano ingannate i filosofi,
che loro promettono mari e monti di felicità, e si nutrono
in seno gli increduli.
Conviene persuadersi: l' educazione fu per lungo tempo
in Europa e in Francia massimamente un misto di Razionalismo
teologico e di devozione. Ma i principii della mente prevalgono
alle abitudini della vita; e cresciuti quelli alla lunga
ne cacciano queste, se sono loro contrarie, e se ne formano
di omogenee. Così avvenne. I devoti giovani si cangiarono ben
presto in filosofi; i filosofi in increduli; gl' increduli in rivoluzionari;
i rivoluzionari in sanculotti, terroristi, cannibali:
non si puó rompere la serie delle cause, perchè è in natura.
Dai collegi adunque uscì la rivoluzione. Chi ben ha penetrazione,
m' intenderà. Dove fu mai educata quella gioventù francese,
che diede al mondo il più sanguinoso spettacolo che fosse
mai? Dove i padri di essa? e dove gli avi? Ne' collegi a maximo
usque ad minimum . Ma non instillavasi ne' collegi d' allora
la pietà, la divozione? Qual dubbio? E nella divozione
non si può certo trovar la causa del male atroce. Altrove
dunque si vuol cercare il vizio d' un' educazione che si fece
tanto conoscere da' suoi effetti. - Si mediti e si scoprirà il
vizioso elemento, il seme funesto depositato negli animi de' giovani
essere stato lo spirito razionalistico . Con tal compagno
violento la divozione di collegio non potè a lungo reggere;
egli spense crudelmente la sua compagna d' educazione: ed
ingrato spense altresì in odio di lei i collegi stessi di cui molti
buoni piansero la rovina; veggendo perire così i focolari della
giovanil divozione. Ma veggendo la divozione uscire da' collegi,
perchè le pratiche divote si veggon cogli occhi, non vedevano
poi essi chi usciva con lei, perchè quel suo compagno
feroce del Razionalismo non vedesi che colla mente, essendo
un principio, un pensiero che nella mente risiede. Le quali
riflessioni potrebbero per avventura riuscire salutari oltremodo
ai nostri moderni teologi, se da esse apprendessero, che carezzando
il Razionalismo teologico, com' essi fanno, s' accarezzano
il più fiero nemico che aver possano essi stessi, non che la
Chiesa, sì la fazione de' teologi razionalisti scava la fossa a se
medesima, scavandola alla cattolica teologia.
Perocchè, questa non può cadere, e però tutto il danno
è suo proprio. Dunque parlo io così a suo favore; quanto ho
scritto in quest' opuscolo a suo vero vantaggio ridonda. La
fazione de' nostri teologi non pecca solo contro la sana dottrina
col deplorabile impegno in cui ella è entrata, pecca ancora
contro la savia politica. Deh non ne attenda gli effetti!
Quanti mali avrebbe evitati, quanti guai risparmiati alla Chiesa,
se avesse uditi docilmente i consigli de' due venerabili Cardinali
Baronio e Bona, che scorgeano pure colle loro menti,
da lontano i danni del Pelagianismo irruente! Non mancavano
certo i veggenti in Israello, e se si vuole alle previsioni di
que' due santissimi porporati aggiungere la previsione di un
terzo splendore del sacro Collegio, nominerò il Contarini. Non
avea questi ammonito certi teologi del suo tempo che indiscretamente
pugnavano contro le nuove eresie, di procedere
cautamente per non isdrucciolar forse nell' errore contrario?
Non avea egli anche scritto: [...OMISSIS...] .
Non era loro stato dato in tempo un avviso sì autorevole
e savio, cioè prima ancora della metà del secolo XVI?
Perchè dunque non approfittarsene?
Quanto poi agli uomini di buona fede che non penetrano
il fondo di questa lotta; io loro dirò così: Abborrite il Giansenismo,
ma guardatevi altresì dal Pelagianismo, non credete
mai questo necessario a fuggir quello. Abborrite pure da tutte
quelle opinioni teologiche, che scoraggiano gli uomini a fare
il bene, e ingiuriano la divina bontà; ma non appigliatevi
perciò a quelle che fanno presumere gli uomini delle forze
della loro natura, e li rendono negligenti a procacciarsi quelle
della grazia, che attenuano la causa e il frutto della Redenzione
di Cristo e scemano la virtù a' sacramenti, ed il bisogno
che n' ha l' uomo figlio del peccatore. Sia pur questo il criterio
che guidi la vostra scelta delle opinioni, quelle sien preferite
che servon meglio a condurre le anime alla salute. La carità
vi conduce pure alla verità. La morale che ne uscirà da tale
scelta sarà dolce, come è dolce il giogo del Signore, ma non
lassa. Chè una lassa morale non salva; sì, perde le anime. E
che mai giovano alla salute dell' anima certi nuovi dogmi, non
della divina Rivelazione, ma dell' umana corruzione? Che
giova insegnare che l' uomo reca al mondo la natura incorrotta,
e senza bisogno alcun di Battesimo, morendo bambino,
l' attende al di là una beatitudine naturale, abitatore di un
terzo luogo fra il cielo e l' inferno, come dicevano i pelagiani,
se non a render gli uomini ingrati verso di Cristo e negligenti
in procurarsi i sacramenti della Chiesa? Che giova insegnare
che può l' uomo senza la grazia reprimere le sue passioni,
resistere a tutte le tentazioni benchè con difficoltà, sicchè la
grazia sia solo utile a ciò ma non necessaria, che giova dico
se non a render la grazia meno preziosa e gli uomini men
curanti di procacciarsela? Che falsa benignità non è ella
questa, o piuttosto benignità crudelissima verso l' umana natura?
Che giova il dire, che l' uomo, benchè senza la grazia,
non è mai necessitato a peccare, e che peccando in tal caso
con necessità niun mal gliene viene, niun peccato commette,
se non ad aprire un fonte ampissimo d' immorali azioni, soffocata
la voce della coscienza, e l' uomo reso piuttosto amante
di rimanere nell' ignoranza e nella schiavitù degli abiti peccaminosi,
che non di liberarsene? Che giova dichiarare la
concupiscenza effetto naturale e non punto vizioso se non a
levare dall' anima l' errore de' suoi disordini? « e ad exscusandas
exscusationes in peccatis »? Esaltate adunque la bontà di Dio
che vuol tutti salvi, e ne dà i mezzi a tutti quelli che li desiderano,
e anche a molti di quelli che non li desiderano, facendo
che li desiderino; ma nello stesso tempo non dimenticate,
che quella bontà è santità essenziale: e che Dio è buono
perchè vuol santi gli uomini, prima ancor che felici, e a ciò
li aiuta, non perchè loro permetta di andare per una via
larga e lubrica in Paradiso. Deh piaccia a Dio, che anche i
nostri avversarii vogliano finalmente intendere con noi uniti
queste santissime verità, e cessino dall' imbizzarrire sì sconciamente
« sufflantes in pulverem », per usare delle parole di
S. Agostino, « et excitantes terram in oculos suos! (1) ».