Epistolario ascetico Vol.I
[...OMISSIS...]
1.16 Poichè non posso venirvi a trovare essendo anch' io mezzo
malato, vi scriverò. E così un malato favellando coll' altro,
ci conforteremo a vicenda. Io vedrò di dirvi brevemente
quelle cose che sian di consolazione a tutti e due. I nostri
mali, chi ben li considera, non sono mali, ma beni. Ah! per
chi ama Iddio, come noi procuriamo di fare, i mali di questa
vita altro non sono che grazie. Oh! quanti debiti scontiamo
a questo mondo con pochi momenti d' afflizione sopportati
con rassegnazione, con umiltà, con amore di Dio! Quante
pene e quante angoscie ci risparmiano nella vita a venire!
I santi poi le desideravano, le sospiravano, e ne pregavano
Dio colle lagrime sugli occhi, come io ho letto nelle lor
vite, non potendo trattenermi dal piangere io medesimo.
Quando poi le avevano, pareva loro di essere più umili col
loro Dio, pareva loro di sentirselo appresso, e che ivi stesse
dolcemente consolandoli, e parlando loro come amico, come
fratello. E oh le soavissime consolazioni, che sortono dalla
mano di Dio! Se poi essi portavano il pensiero a Gesù
Cristo loro maestro, loro esemplare, loro modello; di quali
e quante dolcezze non si sentivano innondato il cuore, al
vederlo sì grande, sì umile, sì paziente nelle afflizioni!
al vedere che le miserie loro non erano altro che un saggio,
un' ombra di quelle del loro Redentore e Fratello! Onde
se ne gloriavano anzi in Gesù Cristo e tanto più pareva
loro d' imitarlo, e d' avvicinarglisi, quanto più era gravosa
e aspra la loro croce. Io ho letto di una povera donna, molestata
da un orrido cancro, che, essendo per alcun tempo
angustiata e infelice, venne un giorno un sant' uomo a parlarle
di Gesù Cristo: e tanta virtù e consolazione trasse da
una tale visita, che, essendo poverissima, mancante di tutto,
inchiodata in un letto da trent' anni (a capo de' quali morì),
con tormenti atrocissimi, essa era sempre serena di animo,
allegria, e diceva che essa non si poteva persuadere, che
verun grande e felice della terra avesse goduto più di lei.
E` vero, noi non siamo santi; ma a me dispiace quando alcuno
mi fa questa obbiezione, ed io fidatamente loro rispondo,
che Iddio ci può far santi, e che io lo spero in
Gesù Cristo, e che tutti ne abbiamo il diritto, e tutti abbiamo
aperta la strada ad uguale virtù, e gloria. Sì, lo spero e
l' otterremo, se noi pregheremo senza intermissione e se ci
raccomanderemo a Dio, a Gesù Cristo, alla sua Madre, e a
tutti i Santi. Voi pregate per me, ed io farò similmente per
voi. Vi prego di non mostrare questa mia a nessuno di quelli,
i quali potrebbero essere di sentimenti differenti, perchè
non facciano ingiuria alla verità.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.1. Non v' ho scritto prima d' ora, perchè in parte fui occupato
negli studi teologici, e in parte altre occupazioni
mi tennero sempre legato, e mi furarono tutto il tempo che
da quelli mi sarebbe avanzato. Tuttavia di ciò assai mi
confido che voi non avrete punto dubitato dell' amor che
vi porto, sebbene non vel dimostrassi con lettere, e se qualche
legger dubbio vi potesse esser nato, mandovi adesso
questa mia appositamente acciò ne lo scacci da voi, e in
me riguardiate sempre il più amoroso fratello, il più tenero
amico che mai trovar vi possiate. Ma di che vi ragionerà
dunque la presente? come vi potrà dare questa sicuro segnale
d' una vera e fraterna amicizia? Caro fratello, e in
che altro si conosce l' amor verace d' alcuno, se non se nel
desiderio che ci mostra coll' opere e colle parole di giovare
al suo amico? Con questa lettera adunque sospiro altamente
d' apportarvi giovamento, acciocchè voi avanziate sempre
nella virtù maggiormente: e la virtù vostra col soave suo
odore che spanderà, ai vostri maggiori rechi diletto e letizia,
ai vostri eguali esempio ed istruzione. Ah quanto è bella
la virtù! quant' è amabile! Essa è amata da tutti i buoni,
i cattivi stessi la stimano; apporta una interna pace e consolazione
in coloro in cui abita: felice quella famiglia che
è composta di persone sagge e virtuose! E parlo, caro fratello,
delle virtù cristiane, perchè non ve ne son altre di
vere. Vero è che queste mie parole altro non fanno che
percuoter le orecchie, e Iddio solamente parla nel cuore
degli uomini: ma altamente confido, o caro fratello, che le
orazioni dei buoni, nei quali prega lo Spirito Santo con gemiti
inenarrabili, dieno invitta forza ai miei detti. E voi
pure innalzate al Padre dei lumi la vostra voce per noi,
acciocchè apra le menti e i cuor nostri alla verità, la quale
in noi discendendo dalle bocche dei santi uomini come
pioggia fecondatrice, sviluppi i semi della virtù, sicchè
crescano e si maturino i frutti. Perciocchè, o caro fratello,
e come comparte Iddio le sue grazie? Voi bene il sapete;
non sempre con opere miracolose e straordinarie, non tutto
in una volta; e quanto rari e pochi esempi non sono quelli
in cui Iddio ha tutto in un tratto cavate altrui le spoglie
dell' uomo vecchio, e vestitegli quelle dell' uomo nuovo, rinato
cioè e rinnovellato in Gesù Cristo? E se qualche volta ha
fatto qualche prodigio, come sarebbe con Saulo, non ha però
anche con lui usato di poi dei mezzi ordinari ed umani?
Non ha egli voluto che ricevesse la vista e lo Spirito Santo
per l' imposizione delle mani di Anania che gliel mandò a
questo fine? Sì, il Signore usa le più volte i mezzi umani:
e quanti non ne usa egli? Egli ci parla amorevolmente per
mezzo delle prosperità e delle disgrazie; per mezzo degli
avvenimenti che secondano la nostra volontà e per quelli
che ce la impediscono e rompono; per mezzo di quelle persone
che ci amano e di quelle che ci odiano. Tutto dunque
viene a noi da quel nostro buon Padre che sta nei Cieli;
egli non ci dà se non cose utili, amandoci come fratelli del
suo primogenito Gesù Cristo; i suoi castighi medesimi son
doni e chiamate preziose. Che cosa adunque ci dovrà amareggiare
nelle vicende di questa vita? Nulla, salvo i nostri
peccati. E di questo dolor santo medesimo, onde egli ci debbe
affliggere, l' immensa bontà di Dio ci conforta, le braccia
allargando per raccoglierci e stringerci a lui ritornanti, e
il seno aprendo ed il proprio cuore, onde in quel pelago
di misericordia e letizia ogni nostra infermità ed amaritudine
insieme da noi laviamo e cancelliamo. Nulla adunque
ci turbi, o caro fratello, nulla ci confonda ed opprima in
questa vita; nè pure i nostri errori. Ma questo è da guardar
sommamente, che poniamo cioè ogni cura di amar quelle
cose che ama questo nostro buon Padre celeste, la nostra
utilità cioè, la salvezza dell' anima nostra, la letizia che in
questa misera valle ne è concessa, e la piena beatitudine
della eterna vita ed incommutabile. Oh Dio! e quale ingratitudine
e qual pazzia sarebbe egli otturare le orecchie alle
voci di sì buon Padre, voci che altro non c' insegnano che
di esser felici? anzi quale odio non mostrerebbesi contro di
noi stessi? Io vi confesso, o fratello, che sento questa voce in
tutti i miei casi buoni od avversi, in tutti gl' incontri, in tutti i
discorsi che mi si fanno; quando mi parla il mio maggiore,
quando mi parla l' inferiore, quando mi parla l' eguale: quando
mi parla il dotto e quando mi discorre l' indotto: anche per
bocca d' una abietta servetta Iddio ci parla talvolta. Nè questo
mel dico io: quel vaso d' elezione, quel tesoro di sapienza divina
ed umana, quel Paolo, cui solo il nominarlo supera qualunque
elogio, egli non arrossiva di dire ingenuamente: « « Io
son debitore ai sapienti ed agli insipienti » » [...OMISSIS...] .
E arrossirò dunque di dirlo io? e
mi vergognerò d' ascoltare la verità dalla bocca di quelli
eziandio che sanno meno di me? e ricuserò un' istruzione
che mi dà Iddio per la bocca eziandio degli ignoranti? anzi
non è questa istruzione molteplice, perchè insieme Iddio mi
istilla l' umiltà, quella virtù che forma lo spirito del nostro
maestro Gesù Cristo e della sua religione?
Questo, questo, o fratel caro, si è il segnale di verace
amore ch' io vi do, di volere sempre più aprire le orecchie
ed il cuore alle istruzioni continue che ci porge Iddio per
mezzo di ogni uomo. Voi percorrerete per questi mezzi una
via luminosa e sicura, sarete l' ammirazione e lo specchio
de' vostri cittadini, la confusione e il rimprovero de' cattivi,
la delizia di tutti i buoni. I nostri amorosissimi genitori
spargeranno lagrime d' allegrezza sopra di voi. Noi vostri
fratelli mesceremo con le loro le nostre, e insieme con noi
tutti gli amici. E quante buone persone non avete che vi
aman di cuore? quanti virtuosi uomini non vi hanno ciò
dimostrato colle loro cure e premure per voi? E per chi
si può aver premura e usare sollecitudini se non per quelli
che si amano? Coloro che non sono reputati degni di qualche
amore e stima, si trascurano, si negligentano e si lasciano
senza badare ravvolgersi nel loro fango. Ma non così è di
voi, caro fratello: se fate bene, io veggo che tutti s' allegrano:
se fate male, tutti se ne dolgono, se ne amareggiano, e sen
lagnano altamente. E pur tutto questo è amore, è tenerezza
per voi. Ah! no, caro fratello, non vogliate mai nascondere
a voi medesimo chi vi ama, anzi vogliate conoscerli, e, conosciuti,
riamateli. A me certamente nulla è più dolce che
di amare gli amici, anzi gli uomini tutti, corrispondere e
assecondare li sforzi che da altrui si fan per giovarmi, e
dirò anche, se volete, nulla mi è più dolce che sopportare
i difetti degli altri. Imperciocchè qual uomo è senza difetto?
E se io sopporto gli altrui, godo di adempire la legge che
ci dà Iddio per bocca di S. Paolo: « Alter alterius onera portate , »
e di più concepisco speranza di farmi degno in qualche
maniera che gli altri pure sopportino in pace i miei. Anzi,
portandomi innanzi col pensiero, grandemente confido, che
Iddio medesimo sopporterà e perdonerà questi miei difetti,
e dico con confidenza: « Dimitte nobis debita nostra, sicut et
nos dimittimus debitoribus nostris »; altrimenti dovrei con
queste parole condannare me stesso.
Ah! parmi già che riconoscerete in questi miei ragionamenti
la favella dell' amore; e se la riconoscete, qual cosa
non mi debbo io promettere? Voi da capo ai piedi reso più
perfetto e più saggio; imperciocchè io credo che non siavi
uomo che resister possa alla violenza dell' amore. Dirovvi
anche di più: v' indicherò la strada per adempiere le mie
brame. Pregate Iddio che diavi lume; molto e caldamente
pregatelo, e poi scegliete un amico dotto e fedele che vi
diriga; allora assicuratevi quello esser l' organo per cui Iddio
vi vuol ricolmare delle sue grazie: allora mettetevi intieramente
nelle sue braccia, confidategli tutto voi stesso, ponete
ogni cura nell' informarlo bene di tutta la vostra situazione,
di tutto quello che avviene in voi: non sia luogo
alcuno sì rimoto e picciolo nel vostro cuore che voi non ricerchiate,
e poi non ne facciate partecipe il vostro Direttore : i
suoi consigli poi ed i suoi precetti seguite fino all' ultima esattezza,
e camminerete una via facile e sicura. Questo non vel
dico di mio capriccio: ho consultato gli uomini più sapienti,
ho letto i libri più istruttivi: tutti dicon lo stesso. I più gran
maestri di spirito e più discreti, alla testa dei quali sta quell' amabile
Francesco di Sales, tutti convengono che la strada
più sicura della virtù e che Iddio da molti richiede, è quella
dell' ubbidienza al proprio Direttore.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.21 Sento che a Lei non ispiacerebbe stampare quel libricciuolo
latino in uso degli ecclesiastici. Io per me credo
che sia un libro eccellente, e che avrà smercio, un po' più
conosciuto che e' sia; per altro la conforterei a stamparlo
latino, che agevolmente s' intende. E poi questa è la lingua
degli ecclesiastici, sino che la Chiesa l' adopera nelle sacre
funzioni e nei decreti. Noi dobbiamo cercare di sostenerla
quanto si possa il più, secondo l' intenzione del Concilio
Trentino, che a chi non la sa, nega persino i Minori. Oltrechè,
assuefatti come siamo a sentire le espressioni della
sacra Scrittura e delle pubbliche preci, di cui per poco è
composto il libro, e che hanno tanto d' unzione e di forza;
ci parrebbe, se l' avessimo italiano (ancorchè ben tradotto),
d' averlo assai raffreddito ed illanguidito.
Sommamente mi rallegro del vedere come Ella ami sempre
giovare alla religione e alla virtù coll' arte intrapresa.
Rivolte le cose a questo naturale loro fine, acquistano un
pregio vero e ci danno de' veri guadagni. Segua a nutrire
e ampliare questi magnanimi sentimenti. Il pensiero della
« Società cattolica di Torino » potrebbe essere per lei un bel
campo da seminare grandi azioni e c“rre grandi frutti. Lo
stesso disegno era venuto anche in capo a me, per l' esperienza
che aveva della forza ch' hanno i libri sugli uomini
se cattivi, di nocere; se buoni, di giovare. A' nostri tempi
questa è per avventura la forza maggiore, e che abbia una
attività più estesa. Se l' hanno veduto gli empi, e l' hanno
usata con un guasto orribile. Perchè, diceva fra me stesso,
non potranno i fedeli cattolici opporre armi ad armi e ciò
di che altri si serve a ruina, adoperare a edificazione? Ci
lascieremo noi vincere in accortezza, in sagacità, in energia
da nostri nimici? Lascieremo che facciano essi più pel demonio,
che noi per Iddio? e che l' amore al vizio si mostri
più ingegnoso che l' amore alla virtù? Quindi moltissime
volte veniva pensando al modo di rivolgere contro ad essi
quei mezzi che essi usano contro a noi; e fra questi più
volte mi occorse al pensiero l' idea d' una stamperia sostenuta
da generosi amici, colla quale si divolgassero le più
salubri e cristiane dottrine. L' anima di questa Società tipografica
dovrebbe essere il solo amore alla religione: e
quindi in essa risplendere il disinteresse, l' attività, il buon
gusto, la puntualità, l' esattezza, e la perfezione in tutte le
cose. Ben costituita questa sacra unione, e dati di lei chiari
argomenti, dovrebbe per fermo essere favoreggiata dai Prelati,
dal governo, e da tutti i buoni cristiani. Questi, quando
si sapesse farla conoscere, tutti quasi di loro natura dovrebbero
essere cooperatori della medesima. Chi colle cure
dello smercio e diffusione de' libri, chi coll' opera nella composizione,
correzione, e ornamento de' medesimi, e tale ancora
co' danari. La bisogna bene maneggiata mi parrebbe
sicura, essendo sicuro che non mancano persone rette nè
pure a' nostri tempi. Ma ogni cosa starebbe nel senno e avvedimento
di chi da principio la governasse. Io che ho avuto
il singolare contento di avere conosciuta la sua egregia persona,
il suo nobile e religioso pensare, la sua attività e le
sue cognizioni, già mi sento venire in cotale speranza che
quanto io modellava in capo, altri in opera eseguisca. Non
conosco bastevolmente da vicino la società Torinese, nè so
quali vicende possa avere sofferto per gli ultimi tumulti civili.
Ella mi dice che una simile sia piantata a Roma. Buona
cosa sarebbe che n' avessimo minuto ragguaglio. Se ella intraprendesse
la stessa cosa nel Regno Veneto; e se le altre
due fossero solidamente fondate e prudentemente dirette, le
tre potrebbero formare tra loro sì fatta federazione, che,
come è uno il fine che le stringe, così fosse una l' amicizia
e il consenso dell' operare loro; sicchè, quasi tre rami di
una sola unione, ciascuno influisse e cooperasse alla prosperità
degli altri. La cosa acquisterebbe grandezza. Intravengono
difficoltà e ci vorrebbe in vero una direzione assai
meditata. Ad ogni modo Ella ci pensi, e me ne scriva. Alle
cose buone è lodevole il solo pensare. Le ho scritto, Ella
vede, con tutta confidenza e alla buona, come sono solito
cogli amici; se ella ha da lagnarsi, si lagni con se medesimo,
che si è mostrata con me affabilissimo. Io pensai di
fare il mio conto, e di prendere per ciò con questo possesso
a dirittura della carissima sua amicizia.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.21 Io stesso voglio procacciarmi il piacere di scriverle alcuna
cosa intorno al Piano da Lei tracciato de' Figli della
Carità , e comunicatomi, per sua singolare gentilezza, col
mezzo di mia sorella Margherita. La posso assicurare, signora
Marchesa, che io l' ho letto e riletto più volte, non
solo con grande piacere, ma ben anche con ammirazione
della saviezza, di cui Dio l' ha fornita. Mi pare di entrare
perfettamente nelle sue idee, e veggo la cosa di sommo vantaggio
pei nostri tempi. Le dirò di più, che ho pensato un
pezzo per vedere come si potesse avviare il principio. Rivolgendo
però intorno il guardo su tutto il clero che io conosco,
ed esaminando i mezzi necessari per sì fatto negozio,
specialmente per quello che spetta le persone, ho trovato
(e qual maraviglia!) grandissima difficoltà, e sono stato recato
a non pochi riflessi intorno a simile affare. Da per
tutto ho rilevato una scarsezza grande di ecclesiastici, parrocchie
senza pastori, pastori senza assistenza di cooperatori,
nella nostra Diocesi, sono moltissimi. Quindi si fa conto
d' ogni prete, ognuno s' impiega in qualche ufficio o ecclesiastico,
o di pubbliche scuole. S' aggiunge una grande freddezza
in molti, o nessun gusto almeno a Comunità religiose.
Per questo io non potrei trovare, per quanto cercassi, nè
pure un prete solo, su cui io potessi fondare speranza di
averlo come membro. Questo bisogno di ecclesiastici nella
massima scarsezza, m' ha condotto in sul pensiero che l' Instituto
potrebbe essere formato di laici , i quali però potrebbero
avere un ecclesiastico che avesse cura di loro. Nel
qual caso però mi parrebbe difficilmente combinabile che
questo sacerdote formasse propriamente parte dello Istituto;
ma solo gli fosse aggiunto coll' officio di Padre spirituale .
Di laici, com' Ella sa, erano formate le comunità dei regolari
più antichi: come anche quelle poi di S. Francesco e
di tutti i contemplativi a principio. Molti hanno esclamato
(sebbene in complesso a torto), perchè queste comunità di
laici si sono, coll' andare del tempo, cangiate in comunità
di sacerdoti, e a questo hanno in parte attribuito la mutazione
dello spirito antico di questi ordini e della disciplina
e del sistema loro. Quand' anche in nessuna parte queste
accuse fossero vere, tuttavia resterebbe però certo, che abbiamo
rispettabilissimi esempi di fiorite Comunità religiose,
formate intieramente di laici. Oltre a questo, allorquando
si esamina il corso degli studi prescritti in questi tempi ai
sacerdoti, si intende agevolmente la difficoltà grandissima
che si formi un numero grande di essi. Andrebbe adunque
per mio parere benissimo, che in questi tempi supplissero
alla scarsezza de' preti, dei laici bene istruiti e dabbene,
il che difficilmente si può fare, se non si uniscono in una
religiosa società. Così questi sarebbero un corpo di sussidio
alla Chiesa molto, non v' ha dubbio, vantaggioso: questi dovrebbero
venire educati a un di presso come si educavano
anticamente i preti, nella lettura, nella spiegazione delle
sacre carte per quello che riguarda la vita, e nella pratica
delle virtù. Ben istruiti così, non in scienze di curiosità, ma
nella religione e nella morale, la loro arte e professione
dovrebbe propriamente consistere nell' esercitare la carità
verso gli altri, congiungendo (come Ella dice benissimo) la
propria santificazione. Oh quanto non sarebbe utile una
unione così d' illuminati cristiani che professassero di giovare
il prossimo in quei rami di carità che Ella accenna!
Che facessero presso gli uomini, quanto presso le donne
fanno le sue Figlie della Carità! e che con perfetto accordo
prestassero degli aiuti ai Parroci ed ai Curati nella cura
delle anime! Io sono vivamente tocco da questo pensiero,
sebbene molte difficoltà prevegga nella esecuzione. Osservando
fra i secolari, non mi parve impossibile rinvenirne
forse alcuno, de' buoni non ne mancano; ma bisognerebbe
che questi buoni avessero una educazione che a comunità
religiosa si confacesse, o almeno che avessero una qualche
idea di vita comune. Per fare questo io credo che gioveranno
moltissimo gli Oratorii; specialmente de' Padri dell' Oratorio.
In questi si educano molti non solo alla pietà,
ma ben anche a una certa regolarità ed all' esercizio dell' opere
caritatevoli. Persuaso della cosa, ho procurato d' introdurlo:
ma fino ad ora indarno. Pure, se Dio vorrà, gli
ostacoli saranno nulla. Preghiamo intanto, e se Ella ha
qualche buon lume, qualche soggetto, e qualche mezzo opportuno,
si degni di comunicarmelo, perchè, se non altro,
mi sarà di sommo piacere.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.21 Eccomi ad usare di quella libertà che con dolcissimo
suo comando m' impone. Lasciamo pure le formole che sogliono
mettere certa separazione fra gli uomini. Tanto più
a ciò acconsento, quanto credo che, anche senza di queste,
Ella sia persuasa della mia profonda venerazione; e tanto
è più bello che i cristiani si ravvicinino e santamente si
agguaglino, quanto più sono i titoli esteriori che trova il
mondo da differenziarli.
Io la posso assicurare, egregio sig. Marchese, o come la
chiamerò con maggior gusto, egregio amico, che anche qui
ci sono dei buoni cristiani e zelanti; anzi di questi ne abbiamo
da per tutto, la nostra famiglia è veramente universale,
la nostra fratellanza abbraccia tutta la terra, noi siamo
i veri cosmopoliti, dacchè non solo una città sola è per noi
tutto il mondo, ma anzi una sola casa, una sola fraternità,
un solo corpo. Che può dirsi non solo di più grande, ma di
più vero? non solo di più meraviglioso, ma di più dolce?
non solo di più intimo, ma di più divino?
Quando però penso ai primi tempi apostolici e di mano
in mano considero l' ingrandimento e l' assodamento della
società cattolica, parmi di ravvisare (essendo anche questa
composta d' uomini) ciò che avviene nell' ingrandirsi delle
altre società, cioè che quanto maggiormente alcuna si aumenta,
tanto meno è coerente e stretta fra le sue parti. Oh
quale unione invidiabile ed intima non avevano i fedeli nei
primi tempi! quando non vasti tempii, ma le case loro bastavano
a raccogliersi per le unanimi preghiere! Con che
confidenza, con che amore fraterno, con che uguaglianza
non si trattavano! Ingrandita, di lei è avvenuto quello che
erasi già prefigurato. Per l' abbondanza dei pesci la rete
evangelica si venne rompendo: nel che vede primieramente
sant' Agostino gli eretici che, rompendo, fuggono dalla rete:
e poi veder si possono quei cristiani che, colla tepidezza
che hanno, poco o nulla aderiscono al loro corpo ed al loro
capo.
Non è già che io non sappia che pii e santissimi uomini
risplendono anche ai nostri tempi, intimamente congiunti,
in un solo spirito, e in un solo corpo, con tutta la comunione
de' santi a Cristo e al suo Vicario in terra, il Romano
Pontefice; nè parimenti ignoro che è proprio solo di quelli
che appunto sono fuori della Chiesa, sono staccati dalla vera
unità, il declamare eccessivamente contro i tempi nostri,
e dire in questi perduta l' antica virtù e santità. Conosco
anzi, come diceva, che sempre la Chiesa è santa, e che a
Dio solo sono noti gli infiniti ornamenti di cui tuttora a'
suoi occhi risplende: conosco che i buoni hanno continuamente
la consolazione di possedere e di trovare ad ogni ora
per tutto il mondo de' fratelli carissimi, degli amici fervorosi,
co' quali sono uniti intimamente in Dio, anche prima
di conoscersi. Oh quanto ben so tali cose, e quanta consolazione
non prestano al mio cuore, quanto sollievo anche
nei maggiori rammarichi! Quello però che io voglio dire
si è, che io vivamente amerei, che questi pii cristiani, dispersi
pel mondo e mescolati coi mondani, non solo in Dio
si amassero senza conoscersi, ma si conoscessero anche in
terra; e introdotta una santa conversazione fra loro, una
celeste famigliarità, una soave amicizia, con mutue prove
di quell' amore che è il segnale de' seguaci di Cristo e di
quell' opere che come frutti fanno conoscere l' albero buono
dal reo; così a vicenda si distinguessero dai figliuoli del
secolo, a vicenda si coltivassero, s' onorassero, s' aiutassero;
sicchè e fra di loro per l' unione fossero rinvigoriti e confortati
nelle tristezze, e nei pericoli, e dagli empi stessi profittevolmente
temuti. Quanti vincoli non potremmo avere
noi per istare uniti! Ma d' una unità pura, d' una unità santa,
d' una unità cristiana: non per motivi di questa terra, in
cui non aspettiamo nè cerchiamo requie, ma per le ragioni
dei beni celesti: per la carità di Gesù Cristo e per l' eterno
congiungimento con lui nel seno del Padre! Escluse le umane
limitazioni del sangue, della patria, degli affetti particolari,
e tuttavia conservato l' ordine della carità, mantenuti inviolabilmente
i doveri verso di tutti, oh quanto sarebbe
cosa desiderabile, quanto giovevole che ci trattassimo, e
uguagliassimo tutti, nel Signore nostro, di pari amore! E
sia lontano, sia vicino il fratello nostro, sia in dignità, sia
in bassezza, sia conosciuto, od ignoto, verso lui però con
eguale fervore, con eguale tenerezza usassimo gli atti amorevoli
che gli convengono, e da cui può ritrarre un vero
vantaggio! Introdotta questa comunione più fervorosa, più
estesa e più operativa fra i cristiani, non di un sol luogo,
ma di molti; io mi aspetterei facilmente di veder sorgere
vie più maestosa e più bella la religione di G. C., di vedere
quasi rifiorito il mondo, un' imagine de' primi secoli;
e in qualche parte anche (se si può dirlo) d' una certa maggiore
dignità e varietà, in quanto, che le comunicazioni e
le relazioni produrrebbero forse un maggior numero di effetti
più svariati, più inaspettati e mirabili. Si vaga idea
non mi sembra impossibile oggidì, colla facilità a cui sono
ridotte le comunicazioni vicendevoli e, per la qualità de'
tempi, parmi quasi necessaria; poichè o ci siamo già, o
procedendo in tal modo le cose, debbe venire l' epoca in
cui non solo al fervente cattolico, ma a quello stesso che
solo ritiene qualche naturale amore di probità, debba troppo
importare di non essere confuso colla masnada de' scellerati,
d' avere qualche marchio che lo distingua che lo garantisca,
e perciò che senta non solo un bisogno di unirsi
ai cattolici (come il sig. Haller), ma, essendovi anche fra'
cattolici del loglio e del grano, di stringersi a quelli, in
tutti i modi possibili, i quali per la loro luminosa e santa
vita non lasciano formare ragionevole dubbio sopra di loro.
Stabilita pertanto questa corresponsione, quanti beni non
ne caverebbero i buoni che ne partecipano! Ogni buon cristiano
in questo modo, come Ella stessa ben riflette, viaggiando
(il che oggidì è frequentissimo) avrebbe la sicurtà
e la tutela da' pericoli d' ogni maniera propri de' viaggiatori:
viaggerebbe sempre, si può dire, in casa sua, perchè
dovunque troverebbe appoggi, troverebbe de' suoi fratelli
cattolici, i quali per lui amorevolmente si presterebbero.
Qual conforto specialmente per quei buoni padri, i quali
costretti di consentire alle voglie dei figli che amano girare
il mondo, oltre all' avere il dolore di vederli andare
lontani, hanno di presente quello assai maggiore di non sapere
che cosa avverrà dell' anima loro, e quali ritorneranno!
Nei luoghi delle Università, sentine pur troppo ai tempi
nostri d' irreligione, di licenza, e di scostumatezza, quanto
non potrebbe essere proficua tal lega virtuosa! E dovunque,
oh quanti aiuti avrebbe ogni cattolico per innalzarsi nella
virtù, quanti esempi! I buoni si tengono più che esser
possa nascosti, specialmente agli occhi di coloro che più abbisognerebbero
di conoscere la loro vita! Si vive con diffidenza
di tutti i forestieri nelle famiglie migliori, così volendo
la prudenza. Ogni empio poi quanti stimoli non troverebbe
in questa virtuosa società, e quanti motivi per
ravvedersi? Quale presidio essa non sarebbe per la sicurezza
pubblica? Quanta vigilanza indi non ne verrebbe sopra
i più funesti attentati? Quanti intoppi non incontrerebbero
gli scellerati pell' eseguimento dei loro neri disegni? Ella
sarebbe una guardia vigilante, una barriera forte, una squadra
armata, terribile contro loro; mentre ciascun malvagio
non avrebbe mai da muovere guerra contro ad un solo
buono, ma contro la moltitudine dei buoni!
In somma desideriamo, mio egregio amico, e cooperiamo
altresì, acciocchè venga fatta tal cosa. Io mi sono aperto
con chi mi ha prevenuto: io non credo di avere fatto altro
in tutta questa lettera, che sviluppare i semi ed estendere
i pensieri da Lei sparsi nella sua pregiatissima. Sono entrato
nelle sue idee? Ho interpretato con verità i pii sentimenti,
di cui arde Ella, mio sig. Marchese, e ardono tutti
i buoni cattolici? Se l' ho fatto con troppa diffusione, o se
mi sono troppo avanzato in una materia sì bella, Ella e tutta
la società saprà condonarlo al mio cuore che sinceramente
e fermamente ama ciò che amano essi, cioè Gesù Cristo: e
il discorso dove entra questo nome adorabile, c' invesca
senza accorgersi, nè quasi si sa più distaccarsene.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.22 Mi è sommamente caro vedere come soavemente il Signore
disponga tutte le cose. Le diverse circostanze che Ella
mi espose mi fanno sempre più credere che il Signore voglia
che la cosa riesca, e che questa si consegua a poco a poco,
ma con tanta maggiore sicurezza e solidità. Sento che Ella
dice avere bisogno di me, ed io ben volentieri mi presto in
tutto quello che mai potessi, basta che mi venga accennato
il modo in cui io potrei giovare. Il tenore della mia vita
e le molte brighe da cui sono distratto, e per cui Dio sa
quanto stretto conto dovrò rendere, fa sì che io sia privo
di aderenze, e come solitario in mezzo agli uomini. Questo
mi rende inabile a trattare con effetto certi affari colle persone
collocate in qualche posto luminoso, colle quali avendo
famigliarità, o dalle quali almeno essendo conosciuto, si potrebbe
ricavare dei vantaggi e proporre con profitto quanto
si crederebbe utile. Non ostante io desidero solo, che Ella mi
comandi, perchè io adempirò fedelmente come posso quanto
mi incumbe. Se poi l' aiuto che Ella dice volere avere da
me fosse qualche sovvenzione in danaro, in assistenza di
quei buoni giovani che sento essere poveri e privi talora
del necessario, questo poi farò con sommo piacere, per quanto
portano le mie forze e gli altri miei impegni. Ella mi dica
pure di quanto ci sarebbe bisogno, ed io contribuirò quello
che potrò. Oh Dio renda perfetta una cosa tanto utile e per
li nostri tempi necessaria! Qui da noi sarebbero proprio necessari
degli uomini pieni di spirito caritatevole, perchè
manchiamo molto, e se non siamo freddi, c' è però una gran
tepidezza. La sola dottrina cristiana dei ragazzi, che potrebbe
essere migliorata e fatta con più metodo e con più spirito,
sarebbe un soggetto di estrema rilevanza. - Lo spirito da
Lei espresso nelle riflessioni sulle sette Commemorazioni, e
e le sette Commemorazioni stesse dello spargimento del prezioso
Sangue di N. S. dànno assai bene l' immagine della
carità che queste persone si propongono di professare, che
è quella appunto di Gesù Cristo che arriva fino al sangue,
e per cui S. Paolo diceva di essere crocifisso al mondo e il
mondo a lui. Questo è quel carattere veramente che debbe
formare specialmente i fratelli della carità, i quali si propongono
di spendere sè stessi nelle opere caritatevoli verso
gli altri. - Mi è stato grato ancora sentire la bella opera
della scuola di carità eretta in Bergamo dal signor Canonico
Benagli.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.22 Una lettera di amicizia da Lei sarebbe stata per me cosa
gratissima. Ma Ella, scrivendomi, ha congiunto all' amicizia
la religione, e così mi ha resa infinitamente più cara l' amicizia
medesima. Sì, egli è verissimo, non v' ha più dolce nè
più solida amicizia, di quella che nasce, si nudrisce, si perfeziona
e si santifica dalla religione. Oh quanto dovrebbe
sentirsi questa verità dai cristiani! Quanto non dovrebbero
essere mossi anche dalla dolcezza di questo purissimo sentimento
a collegarsi insieme con indisgiungibili nodi di una
santa corrispondenza ed amistà vicendevole! Questa gioverebbe
ad ogni cristiano per crescere in virtù; questa sarebbe
anche fatale agli increduli che non farebbero già tanti guasti,
se trovassero più unite le forze che combattono. Così molte
volte io pensava, invidiando quei primi tempi del cristianesimo,
in cui i fratelli , come si chiamavano, erano un solo
cuore ed un' anima sola ; e così rifletto di presente all' occasione
che da Lei mi è offerita una candida amicizia e
religiosa. Io la accetto, mio signore, di tutto cuore, anzi non
altro che quest' amicizia, che chiamerò sacra, mi prefiggeva,
quando ho osato pel consiglio del De Apollonia, di scriverle
quella prima mia lettera.
Ella mi espone i suoi pensieri intorno al modo di attaccare
con profitto i recenti increduli. Li ho letti con sommo
piacere. Mi sembrano tali che mostrino cognizione del cuore
umano, e degli avversari che si vogliono combattere. Io sono
bensì persuaso che vi siano molte classi diverse di uomini,
che l' incredulità stessa sia proteiforme, e che perciò si renda
necessaria varietà di libri e di modi di oppugnare salutarmente
la moderna incredulità. A me stesso, per quella poca
conoscenza che ho del mondo, pare avere trovati degli avversari
totalmente opposti di caratteri, di errori, e di modi
di pensare; per esempio, un tedesco si dovrebbe oppugnare
diversamente da un francese: un seguace di Kant, e un seguace
di Voltaire sono contrari nel loro pensare, come la
terra e la luna. A cui perciò giovano dei libricciuoli brevi,
ma calzanti ed eloquenti; a cui sono più utili delle opere
grandi e sistematiche. Malgrado di tutto questo, porto ferma
opinione, che uno dei modi più universalmente vantaggiosi
pe' tempi nostri sarebbe quello che Ella molto sagacemente
propone ed abbozza. Tutti i caratteri che Ella stabilisce dell' età
nostra, la necessità di un ragionare , ed io aggiungerò
di un ragionare non troppo speculativo e arido, ma facile,
chiaro, fornito di morali argomenti, e vestito d' uno stile
succinto, rapido e filosofico: il bisogno di una certa imparzialità,
discrezione, e generosità d' animo e ancora dolcezza,
e una cotale amicizia: queste cose ed altre tali sono bisognevoli,
io credo, in tutte l' opere che dirizzare si vogliano
non ad irritare maggiormente, ma a piegare e persuadere
gli increduli. E non è una certa carità, una certa civiltà
all' accortezza congiunta, quella che ci è suggerita dallo stesso
spirito del cristianesimo? Io dunque la conforto, quanto so
e posso, ad occuparsi nell' opere sì bene ideate, e da cui si
può certamente promettersi, colla grazia di Dio, del profitto.
Altri che Ella che le ha concepite non potrebbe convenevolmente
esporle. Ella si acquisterà con ciò un merito assai
rilevante presso il Signore. Io, quand' anche fossi capace di
sviluppare i suoi pensieri, non vorrei mettere la mano nella
messe altrui. Ma oltrecciò l' impotenza mia e l' occupazione
in moltissime altre sollecitudini, fra le quali anche la composizione
di qualche libro, in cui già mi sono inviluppato,
mi tolgono la possibilità d' imprendere quei lavori. Non dubiti
adunque di mettersi all' impresa, ed io me ne tengo
sicuro.
A proposito degli autori apologisti che Ella mi va nominando,
ha letto Ella l' opera grande del sig. Haller, « La
Restaurazione della scienza politica? » L' ebbi da qualche
giorno e vo leggendola come posso, essendo in un lingua pochissimo
da me conosciuta. Quantunque tratti in gran parte
di materie politiche, io non esito di annoverarla fra i nostri
apologisti e dei più grandi e dei più opportuni pei tempi
nostri. In quella vedrà assai bene usate tutte le sue sagge
avvertenze intorno al modo di ragionare cogli increduli. E`
opera maravigliosa; chi parla congiunge la speculazione all' esperienza,
la finezza alla solidità del raziocinio, e la umanità
ed eleganza dei filosofi antichi colla rapidità e prontezza
dei moderni. Quante belle cose non dice! e con che
evidenza di principii e di ragioni!...
Io termino colla speranza che questo nostro carteggio,
così felicemente cominciato, non terminerà più fra noi, se
non colla morte. Mi tratti con tutta la libertà, come fo io.
Mi ami e mi dia nuova dello stato della Religione e delle
lettere in codesta città, della libreria di cui Ella è custode,
delle sue occupazioni che sento essere diverse, e di ogni cosa
intorno alla sua cara persona, che tutto mi sarà graditissimo.
Si accinga all' eseguimento degli opportunissimi suoi pensieri,
e me ne comunichi di mano in mano i prospetti.
[...OMISSIS...] 1.22 Pensando io come potessi cooperare al nobile e cattolico
loro disegno dello spargimento de' buoni libri, e sentendo
che quelli che contribuiscono alcuna cosa alla società, talvolta
lo fanno in modo che da essa ricevono un equivalente
di libri, i quali poi li spargono gratuitamente, mi parve
adattato a me, ed utile insieme anche al nostro paese, dove
tale ottima società non è instituita, di cominciare a fare anch' io
così; al che mi sono offerito, e mi offerisco. Per altro
Iddio certo benedirà le sue fatiche e le sue cure. Oh come
sarebbe desiderabile, che questa sì utile società si dilatasse
in molti luoghi! Allora essa verrebbe a cogliere un infinito
numero di beni, che non si aveva proposti a principio, e
che quasi per accidente debbono uscire da sè medesimi.
Egli è ben facile vedere tutti i vantaggi che scambievolmente
si procaccierebbero i veri cristiani, quando con moltissimi
altri veri cristiani fossero congiunti in amicizia. Fra
gli altri uno di somma rilevanza mi sembra questo, che
ogni pia intenzione e ogni pio intraprendimento di uno sarebbe
favoreggiato da tutti gli altri. Per esempio il Signore
ispirò la buona Canossa, a introdurre in Italia le Figliuole
della carità. Essendo Ella congiunta in amicizia con moltissimi
uomini pii e di diversi luoghi e condizioni, quanto
non verrebbe Ella (e viene anche di fatto) aiutata e sostenuta
nella diffusione della sua santa opera! Così si può dire
di ognuno, a cui il Signore ispirasse l' esecuzione di qualche
disegno utile alla religione. Ma infiniti sarebbero i beni di
tale amicizia, e formerebbe questa come un corpo deputato
ai bisogni generali della Chiesa di Dio. Così da gran tempo
io me la ho ideata, prima che avessi l' onore di conoscere
Lei; e ne tengo scritto un piano da me formato allora, che
però conosco essere stata una vera temerità lo scriverlo da
me privo d' ogni lume e di ogni esperienza. Desidererei
moltissimo di avere l' onore di conoscere Lei anche di persona.
Se mai Ella avesse da viaggiare verso il Tirolo, io Le
offerisco la mia casa qualunque ella sia: e sarebbe mia
somma ventura se si degnasse di approfittarsene.
[...OMISSIS...] [...OMISSIS...]
1.22 Sebbene varie circostanze portino alcuna volta delle interruzioni
e delle lacune nel nostro carteggio, non è però
che si raffreddi da parte mia il desiderio di conversare con
Lei per lettera, e di parlare insieme di quelle cose che più
ci interessano, cioè di quelle in che ha parte la religione
e la edificazione del prossimo. In fatti la religiosissima sua
lettera, in cui traspira la sua bell' anima e il suo ardente
amore di giovare veramente altrui, non solo di lodare chi
giova, m' ha reso vie più bramoso ed avido d' intrattenermi
con Lei in religiosi argomenti, e di provocarla quasi a parlarmi
di quello che sommamente mi è gradevole, e di cui
Ella sa così bene e così caldamente parlare.
Il suo istituto de' giovanetti, che raccoglie ne' dì festivi
dallo svagamento e dalla dissipazione, e li trattiene fra le
istruzioni, le preghiere, e un po' di modesto ricreamento,
non può essere, senza dubbio, se non a Dio gratissimo, e
sommamente vantaggioso a quell' anime, le quali non solo
vengono tolte a' pericoli, ma condotte all' adempimento di
un importante precetto, quale è quello di santificare i giorni
di festa, e così ammaestrate e avviate nella pietà, e avviate
ancora per gli altri giorni feriali. Oh! io ben li credo quei
piaceri purissimi, e soavissimi, di cui mi dice Ella di godere
molte volte! Sono tali i piaceri che nascono dalle opere
cristiane, che nè pur si possono immaginare, non che gustare,
dai figliuoli del mondo! Lei avventurato! Lei felice!
Io so bene che talora anche, come scrive, Ella proverà
delle angustie e il dispiacere di veder qualche ragazzo che
non risponde col profitto alle assidue premure. Ma questo,
a dire vero, è il solito della carità che di rado si contenta
di se stessa; e non è da negare, che anche non sia difficile
l' adempirne gli offici con tutto l' accorgimento e la
perfezione. Di questo si lamenta anche spesso S. Agostino;
è un dono che Dio concede di solito gradatamente, come
sul fare di tutte le altre virtù, e lo concede a quelli che
gliel domandano con umiltà. E quelli glielo addimandano
comunemente, i quali, facendo bene, vorrebbero fare meglio;
e non si accontentano mai, e par loro un gran difetto non
potere toccare la perfezione. A questi illumina sempre più
Iddio gli occhi del cuore; e, come si vede ne' santi, essi
giungono ad una prudenza, mansuetudine, e desterità incredibile
nell' inescare le anime e a Dio soavemente condurle.
Onde abbia fiducia, e cosa alcuna non l' adombri nell' incominciata
carriera sì santa e meritoria. Quando poi Ella
mi dice, che qui non si rattengono le sue mire, i suoi pii
desiderii, Ella mi fa concepire ben molte speranze, perchè
so che la carità non ha limiti.
E mi dà maggiore fiducia a parlare di quell' altro progetto
della società Torinese. Non è tanto che l' egregio marchese
d' Azeglio mi scrisse una lunghissima e gentilissima
lettera, a nome della stessa società, e mi mandò un fardello
di libri stampati tutti, credo, per opera della medesima.
Veramente la cosa è bella e di gran vantaggio. Come
sa, ci eravamo accordati di parlarne al Provveditore Traversi,
mentre egli si trovasse qui a Rovereto. Per altro,
qualunque cosa tentiamo, fa d' uopo certamente, che il zelo
sia fervente, costante e saggio . Senza il fervore non faremo
mai nulla di molto pregio ed utilità: non condurremo niente
al suo fine, se una costante fortezza non ci fa superiori agli
ostacoli, senza dubbio grandissimi, che ci si attraverseranno
dalla parte e dei cattivi, e degli ignoranti, e dal mondo, e
dal demonio. Che se finalmente questa carità non fosse secondo
la scienza , ella non sarebbe nè a Dio gradevole, nè
giovevole agli uomini: nè infine sarebbe ella carità , ma
una presunzione, un vano nome, un inganno dell' inimico.
Se noi matureremo la cosa coll' orazione, e a seconda dei
lumi, che Dio si degnerà di manifestarci, sia per mezzo de'
buoni sensi che a noi stessi inspiri, sia per li suggerimenti
di savie persone; se noi verremo secondando, non prevenendo,
i divini disegni, e colla giusta umiltà saremo indifferenti
a tutto, fuorchè a fare la volontà di Dio; senza cercare
quelle cose che giovano ai nostri particolari interessi,
anzichè alla sua gloria: allora io mi confido che tanto faremo,
quanto basterà per renderci alla fine consolati. Ella
preghi, ella mediti: mi scriva poi i suoi sentimenti, e quando
a Lei paia a proposito, io scriverò al Provveditore; gli
esporrò la cosa, e sentiremo, qual consiglio ed aiuto sia per
darci quell' uomo pio ed illuminato.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.24 E` proprio del Signore e non di noi conoscere i tempi
ed i momenti: e per questo non mi faccio nessuna maraviglia,
se dopo avere fatto aspettare V. S. Ill.ma col suo pio
desiderio, ora sembri finalmente che voglia renderlo soddisfatto
circa la meditata istituzione de' Fratelli della Carità.
Il sentire il principio di questa santa sua impresa a me fu
d' incredibile consolazione, perchè ne spero ogni bene: e
sebbene questa radice sia ancora piccoletta, tuttavia veramente
confido, che il Signore le darà aumento, e la consolerà
a pieno. I suoi consigli mi sembrano prudentissimi per
quanto posso vedere io da lontano, e non dubito che avranno
buon effetto. D' una cosa sommamente mi duole, che io non
potrò dare a questa bell' opera quell' assistenza ch' io vorrei.
Ella si rammenterà, Ven.ma signora marchesa, come qualche
altra volta le ho manifestato il desiderio che nutriva di potere
anch' io contribuire all' opera con qualche somma.
Adesso però sono nella impossibilità di ciò fare, nè voglio
tacere a lei la ragione, ma pregandola però di secretezza,
aprirgliela. Ho disposto per qualche tempo di tutto quel
poco che mi avanzerà, e a dirgliela schiettamente, ho arbitrato
anche a fare qualche picciolo debito. Potrebbe però
avvenire che cessasse qualcheduna delle spese, e in questo
caso mi sarà carissimo potere adoperare quell' avanzo qualunque
fosse per essere in favore de' nuovi Fratelli della
Carità. Il Signore però non lascerà mancare de' mezzi necessari
quando a lui piaccia, ed io credo che gli piaccia.
Prosegua adunque con quella sua costanza che nè pure
ha bisogno di conforti. In quanto al luogo sarebbe certo
desiderabile che fosse presso un Vescovo che vi potesse
attendere. Non potrebbe forse essere a proposito Treviso?
E` vero che la città è piccola, ma in quanto all' animo del
Vescovo sarebbe favorevolissimo: ella stessa lo conosce: io
mi confido che non trascurerebbe nessuna cosa per poter
giovare l' opera. Qui da noi oh quanto sarebbe desiderabile
che si potesse introdurre questo Istituto! Ma è luogo troppo
freddo per cominciare. Oltre che il nostro futuro Vescovo,
sebbene d' ottimo cuore, è tutto nuovo, e i Vescovi nuovi,
com' ella sa, hanno infinite brighe e pensieri, fra i quali
difficilmente troverebbe luogo una nuova fondazione. Non
so quando mi verrà l' occasione di scrivergli, ma la prima
volta che ciò avvenga farò nella lettera qualche cenno
della sua venerata persona, della istituzione delle Sorelle
della Carità , e non ommetterò di dare un tocco anche
de' Fratelli della Carità . Rispetto a questi non posso tacere
che sommamente me ne piace lo spirito; nel che mi piacerebbe
però ancora una cosa, che le forme esteriori delle
loro divozioni fossero, per così dire, di uno stile il più
semplice, e, per quanto è possibile ne' nostri tempi, conformato
ai modi degli antichi cristiani e alle pubbliche funzioni
della santa Chiesa. Capisco bene che è cosa difficile,
che l' universale de' cristiani gusti il succo, per dir così,
di cui sono pieni gli uffici e le preghiere della santa Chiesa,
principalmente perchè sono latine, e perciò dalla maggior
parte non intese: ma non mi sembrerebbe però impossibile,
che una particolare comunità d' uomini dedicati a Dio non
potessero da esse trarne tutto il frutto, rivolgendo tutta la
loro divozione nel bene intendere e usare con profitto di
quelle preghiere pubbliche. Questo servirebbe anche loro,
mi pare, di uno studio per conoscere le nostre sante verità
più a fondo, e nelle espressioni, dirò così, originali: perchè
le pubbliche preci sono dotte, e di solito quanto sono più
antiche più dotte. Gioverebbe anche questo studio di perfezionare
in essi l' assistenza alle funzioni della Chiesa per
divolgarlo poi ad altri e tirare molti ad una divozione più
solida. Così parimenti, rispetto alla imitazione della antica
semplicità, ben comprendo che questa non si potrebbe universalmente
riprodurre nella Chiesa; perchè i cristiani sono
più materiali e più languidi di un tempo, e perciò più bisognevoli
di cose esterne per sollevarli a Dio. Ma ciò non
mi parrebbe però impossibile a farsi, quando ciò s' intenda
con discrezione, da una società d' uomini dedicati allo spirito.
Questo pensiero l' ho esposto in un libretto intitolato
della « Educazione cristiana », che mi prendo la libertà di
mandarle; e qui ho voluto toccarlo, perchè penso in ciò di
convenire cogli stessi suoi sentimenti circa le regole della
divozione dei Fratelli della Carità: nel che sentirò con
sommo piacere i suoi riflessi. Parmi forse d' averle dette cose
simili in qualche altra lettera: nel qual caso perdonerà la
smemorataggine di ripetere le cose stesse.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.24 Circa quella espressione, o piuttosto quel pensiero che
ho posto nell' ultima mia intorno alla forma esteriore della
divozione, non altro intendeva, se non che mi sarebbe
piaciuto infinitamente, che una congregazione di buone
persone dedicate al Signore, come verrebbero ad essere i
Fratelli della Carità , si uniformassero più che mai fosse
possibile, alle forme pubbliche della santa Chiesa. Mi spiegherò
meglio. La santa Chiesa ha registrate in alcuni libri
le sue preghiere e divozioni, e questi sono specialmente
il Messale, il Breviario, il Martirologio. In questi libri vi
è un tesoro infinito di sentimenti solidissimi di pietà e di
affetti tenerissimi. Ma per il comune degli uomini sono divenuti
quasi troppo sublimi e difficili. Le ragioni di ciò io
credo che sieno la lingua latina andata in disuso, la poca
istruzione che vi è nei cristiani, per cui difficilmente oggidì
gustano certe idee sostanziose, ma gravi e serie, e finalmente
anche il canto ecclesiastico che si ascolta per diletto, in
vece di penetrare ne' sentimenti che esprime. Ora a me
parrebbe la più utile cosa del mondo, se una società di
persone che può attendere a Dio, si occupasse nel praticar
bene ed assistere bene a queste santissime ed ubertosissime
pratiche della santa Chiesa. Per particolarizzare questo pensiero,
osserviamo quanti difetti pur ci siano fra i cristiani
nella sola assistenza alla santa Messa. E perchè? perchè comunemente
non si è abbastanza istruiti: 1 Nel misterio del
S. Sacrificio; 2 Nell' andamento di tutta questa augusta
funzione; 3 Nell' intelligenza delle parole che dice il sacerdote,
le quali le dice quasi sempre in plurale, cioè unito
col popolo assistente, supponendo, perchè questa sarebbe
l' intenzione della santa Chiesa, che tutto il popolo, non solo
intenda, ma accompagni que' medesimi sentimenti; 4 Nella
conoscenza di quanto significano gli indumenti e i vasi sacri,
e le cerimonie che accompagnano la S. Messa. Ora quanto
più utile non è una Messa ascoltata con queste cognizioni!
Quale unione più intima non nasce fra Gesù Cristo, il sacerdote
che sacrifica, e l' assistente che anch' egli insieme
offerisce la stessa vittima divina! Questa intelligenza retta
e fondata fu la divozione ferma e magnifica istituita dagli
Apostoli santi, e lasciata da loro alla santa Chiesa. Ma poichè,
per le cagioni dette, questa divozione si rese troppo difficile,
si cercarono delle altre divozioni, le quali sono state
buonissime ed hanno supplito al bisogno di que' fedeli che
non arrivavano, o per mancanza di mezzo o d' altro, alla
divozione grande e pubblica della Chiesa . Ma queste divozioni
buone sì, ma nuove di forma e diverse dalle divozioni
pubbliche della santa Chiesa, sono però un bene
minore per quelli che potrebbero usare, col loro studio,
di quelle altre fondamentali, poichè queste minori sviano
alquanto, per la umana limitazione, i cristiani dalla pubblica,
compiuta, ed esterna unione che nasce nella Chiesa,
quando il popolo prega allo stesso modo, cogli stessi sensi,
e colle parole stesse de' sacerdoti. Ora se questo non è sperabile
che ottener si possa rispetto al comun popolo, perchè,
dico io, non potrebbe proporselo per suo studio una congregazione
di persone buone e che si suppongono debbano
essere più istruite della moltitudine, e raccolte anzi per
diffondere negli altri un buono spirito? In una parola, sommamente
amerei che lo studio de' Fratelli della Carità ,
rispetto alle loro pratiche divote, consistesse nell' apprendere
il modo di usare col massimo profitto di quanto si
trova ne' libri che usa la Chiesa e delle sante funzioni che
essa pubblicamente eseguisce. Nel che però non intendo di
porre questo rigore, che ogni altra pratica si debba escludere,
che anche altre pratiche private possono essere e
buone e necessarie, specialmente in un ordine religioso:
ma intendo solo di aver accennato con questo lo spirito
in generale della divozione a me carissima.
La supplico di non credere che ciò abbia detto per dare
a lei qualche istruzione, ma solo per spiegarmi un po' meglio
circa quanto forse oscuramente, nella precedente ho toccato.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.24 Appena ridotto a questo mio tetto paterno, dal pellegrinaggio
modenese, è mio debito di scriverne a V. S. Illustrissima,
che sacro per me l' ha reso, non che dilettevole.
Infatti presso di Lei fu che ho conosciuto quella rara società
di personaggi e dotti e pii e gentili e congiunti per
la più soave amicizia, a cui Ella è capo.
Oh quanto è preziosa, massimamente ne' nostri tempi,
l' unione fra buoni, il consenso degli animi, ed anche il solo
conoscersi! Perchè basta veramente che i buoni si conoscano
fra di loro, perchè si amino. E come poi, senza conoscersi
ed amarsi, possono scambievolmente aiutarsi e far
comunanza di lumi e di mezzi e di forze, e ad uno scopo
ordinare le fatiche di molti, lavorando di consenso a qualche
grande edifizio? Certo ognuno non può fare che opera
piccola, e, se solo ne intraprende una grande, la debbe lasciare
incominciata: e oggidì, se v' ha mezzo perchè non sia
oppressa la virtù, altrove non si può oggimai sperare, che
nel consociamento delle buone volontà, nell' accomunamento
delle ottime intenzioni e delle forze de' singoli. Pur troppo
i cattivi, sempre in dissenzione fra loro, sono sempre, come
Ella diceva, uniti contro de' buoni, perchè « qui non est mecum,
contra me est ». La ragione è intrinseca. Tutto quello che è
fuori della virtù, a cui spetta l' unità in sommo grado, è
molteplice, e però fra sè diviso bensì, ma essenzialmente alla
virtù contrario, perchè essenzialmente s' oppone il molteplice
all' unico. Non vi può essere cuore cristiano che non senta
il bisogno che hanno i cristiani di unirsi in tutti i modi e
di fare causa comune: senza di questo, ognuno basta a se
stesso, ma non basta a pieno agli altri. Mi è avvenuto più
volte di scontrarmi nelle stesse idee con uomini savi, e di
rallegrarmi veggendo come nel loro segreto i cristiani,
anche di terre lontanissime, volgono gli stessi pensamenti
e gli affetti stessi; e questa occulta, ma verissima consensione
di animo fra me ed infiniti altri, che ancor non conosco,
sparsi per tutta la terra, oh quante volte non mi ha
dato conforto e speranza di più bei giorni per la santa
Chiesa! Le quali cose confido nell' animo suo, come in sicuro
luogo e fidissimo: e parmi di sentirmi corrispondere da' pii
affetti di que' virtuosi, che fanno una cosa con Lei. La prego
di salutarmeli tutti e ringraziarli in mio nome: sebbene
non mi potrò tenere dallo scrivere a quando a quando anche
ad essi, trasportandomi fra sì bella compagnia se non col
corpo, almeno coll' animo e colla penna.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.25 Ho ricevuto la cara vostra, sono già molti giorni; ma
fino ad ora non mi è mai riuscito di trovare alcun tempo
acconcio a rispondervi. Finalmente rispondovi oggi. La risoluzione
che voi mi manifestaste è cosa ben grave e importante.
Voi già sapete, come quello che siete istruito
nella nostra religione, come sia una grazia delle maggiori,
secondo Dio, l' essere chiamato a formar parte del ministerio
ecclesiastico. Sapete perciò come nessuno di noi può assumere
da se stesso questo onore, ma solamente colui che è
chiamato come Aronne. Sapete quali sieno i doveri di uno
che si sente novellamente chiamato a questa divina dignità;
vale a dire di temere, di diffidare, di permanere molto
tempo nella orazione, nella mortificazione di tutti i suoi
sensi, e nel ritiro per udire sempre più chiaramente la voce
di quello che chiama ora da lontano ed ora da vicino; e
finalmente dubitando di se stesso, di fare col più accurato
esame discutere la cosa dai superiori, per bocca dei quali
ordinariamente Iddio ci parla. In particolare poi quegli che
è chiamato debbe in vero dare un addio per sempre alla
vita ed ai pensieri secolareschi e colla più tenera divozione
e assiduità al divino servizio, colla più cauta fuga da ogni
ombra di pericolo e di distrazione, meritarsi dal Signore
che gli venga più e più confirmato il gran dono. Avrete poi
avvertito che ho detto, essere un tale stato una somma grazia
secondo Dio. Lo dissi, perchè non è certo tale secondo il
mondo; mentre il sacerdote ha rinunziato a tutti gli interessi
di quaggiù, e fino dal primo momento che il chierico
riceve la tonsura, proferisce queste memorabili parole:
«DOMINUS PARS HAEREDITATIS MEAE; il Signore è sola porzione
di mia eredità ». Onde non abbiamo nulla a sperare nel
mondo, se non fatiche e patimenti per amore di Gesù Cristo:
o se sperassimo qualche cos' altro, tradiressimo al tutto lo
spirito della nostra professione. Onde pensateci altamente,
prima che il Pontefice vi tagli la chioma, e la consacri a
Dio. Molto più poi per carità di voi stesso non v' ingannate,
operando così forse per qualche fine umano, come per poter
finire i vostri studi; perchè vi rendereste colpevole davanti
a Dio d' un gravissimo delitto, e non potreste ottenere in
nessun modo la sua benedizione. Guai a colui che gioca
colle cose sacrosante e non teme il Signore, che ne è geloso
e ne vendica il disprezzo. Non io, ma voi stesso dovete manifestare,
se veramente l' avete fatta questa grande risoluzione,
a vostro padre, che non dubito, la sentirà con piacere.
Ma se per caso vi foste lasciato tirare ad essa per un
falso fine, per carità emendatevi, e ritiratela prontamente,
perchè non vi tornerebbe conto in nessun modo nutrire sì
fatti pensieri.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.25 Vi parlerò con questa occasione dell' Offizio divino, solvendo
il debito che ho con voi, nè del poco che vi dirò vi
lagnerete che io il faccia avaramente, tenendo piuttosto
questa mia brevità per segno della mia opinione che non
abbisognereste neppure di questo poco.
In principio della Chiesa, non essendo ancora venuti al
mondo i Santi da festeggiare, non erano altre feste che la
Domenica, ma conoscendo i cristiani che tutti i giorni sono
santi, e che pel cristiano bisognava vacare sempre da tutte
le profane cose al Signore pensarono a santificarli tutti con
orazioni. Di qui ne venne che distribuirono il Salterio pei
sette giorni della settimana, aggiungendo in ciascun giorno
uno de' sette cantici che abbiamo nelle divine Scritture, ed
inni appositi, ed una lezione dell' antico testamento, o d' un' epistola
apostolica, ed una del Vangelo con altre loro preci.
Così fu composta la prima e la più antica parte del Breviario,
cioè quella che serve per le ferie. Dopo di ciò essendo
instituite molte solennità o per celebrare più distintamente
i misteri di Gesù Cristo, o in onore di Maria Santissima,
de' Martiri, e poi di altri Confessori, il primo de' quali a venerarsi
dalla chiesa fu, se ben mi ricorda, S. Martino di Tours,
crebbero al libro contenente le ore canoniche altre tre distinte
parti. Poichè primieramente si dovetter distinguere
le feste mobili e le stabili. Le mobili sono quelle che si
tengono in una certa relazione o distanza dalla Pasqua, la
quale essendo fissata coll' anno lunare, cioè cadendo sempre
la domenica prossima al giorno XIV della luna di marzo,
per la differenza che tiene il mese della luna di 2. giorni
con quello del sole che è di 30, nasce che quel giorno che
è sempre lo stesso nell' anno lunare non sia il medesimo
sempre nell' anno solare, che è quello che si adopera nella
comune vita. Cadendo adunque la Pasqua nel nostro comune
calendario ora in un giorno ora nell' altro, trasporta
con sè tutte quelle solennità che stanno a lei aderenti, o
in una stessa proporzione come tutte le domeniche dell' anno,
e le ferie in quanto da esse dipendono: cioè in quanto
hanno lezioni proprie adattate a quel tempo festivo in cui
cadono. Avvegnachè la Chiesa tutto l' anno celebra le sostanziali
verità e misteri della religione, e questo lo fa appunto
nelle feste mobili in cima alle quali sta la Pasqua:
in essa contenendosi tutta l' essenza del culto festivo, ed
universale della Chiesa; non essendo sostanziali le feste di
que' Santi che non sono congiunte strettamente coi santi
misteri. Laonde anche le feste che cadono fra queste feste
mobili hanno lezioni proprie adattate al tempo, che entrano
a formare questa seconda parte. La terza e quarta parte
contiene le feste de' Santi distribuite per l' anno ne' loro
giorni fissi. E non è differenza dall' una all' altra se non in
questo che la quarta parte, cioè quella che si trova ultima
ne' Breviarii, come noi gli abbiamo stampati, contiene la
divisione de' salmi da recitare per ciascun genere di Santi
cioè per gli apostoli, martiri, confessori pontefici e non pontefici,
vergini e non vergini, sia che se ne celebri uno solo
in quel giorno ovvero più: mentre la terza parte contiene
quello che ciascun Santo ha di proprio, come le lezioni
che narrano la sua vita, o qualche altra orrevole distinzione.
Sicchè riepilogando, troverete nel Breviario questo
ordine, che primo scontriate il comune delle ferie, cioè di
quei giorni in cui non si celebra alcun Santo: di poi le
feste mobili, e con esse il proprio delle ferie; in terzo luogo
le feste stabili, cioè i Santi, e di questi prima quello che
hanno di proprio, di poi quello che tengono di comune.
Ma che mai sto io pur qui a farvi la descrizione del
modo onde si succedono le parti del divino Officio, mentre
sono alcuni giorni, che già voi non solo le conoscete, ma
ben anche le recitate? Vi ho però ubbidito con questo; ciò
mi era debito. Voi beato adunque che già lo recitate! E
ben sento che recitando degnamente questa forma di prego,
che fu quella di tutti i Santi, e che è quella di tutta la
Chiesa, l' anima nostra si può al tutto consolare e santificare.
Nè solo tutta la Chiesa canta il divino Officio, ma tutte l' età
della Chiesa sono concorse a comporlo; poichè in esso ha
posta mano Mosè, Davide, i Profeti, Gesù Cristo, gli Apostoli,
i Pontefici, e tanto e sì mirabile e vario è il cibo che (dove
egli voglia) vi può trovare il nostro spirito, che qualunque
animo affamatissimo può di là ritorsi soprabbondantemente
satollato. Di che m' indegno di alcuni che nauseando tutti
i cibi spirituali, trovano scandalo per alcuni nèi, che sembra
loro di vedere in questo, che io non dubiterò di chiamare
divino volume. Noi teniamocelo al tutto caro, e leggiamolo
con gusto e divotamente, chè il nostro spirito ne anderà a
Dio; e impetrerà; e n' avranno l' anime nostre giovamento
infinito e ristoro. Perchè da vero, o mio caro Giulio, la ben
fatta celebrazione della Messa, e la pia recitazione del Breviario,
bastano a santificare tutti noi sacerdoti. V' abbraccio.
Comunicate questa lettera co' buoni ed ottimi nostri chierici
ed amici.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.25 Che cosa avrà mai detto di me la veneratissima signora
Marchesa, veggendo che io nulla rispondo, per ben un anno,
ad un gentilissimo suo foglio? Per farmela buona, almeno
che io debba essermi qualche solenne zoticone o bifolco di
prima riga. Ella non ha potuto risparmiarmela se non per
un atto della sua somma virtù. Ma le dirò (non già per sottrarmi
a quanto mi spetta) che se non ho scritto, ho sempre
desiderato di scrivere, e sperato di potere scrivere qualche
cosa di bene, o almeno di definito. Questa ingannevole speranza
di un dì all' altro m' ha tratto fin qua, e non s' è appagata
di ingannarmi, ma per soprassello volle farmi scomparire.
Vengo alla cosa che mi sta sommamente a cuore; ai
Figliuoli della Carità . Vostra signoria illustrissima non me
n' ha detto più nulla nell' ultima sua lettera, ma crede Ella
per questo che mi sieno usciti di mente? Li ho portati non
solo nella mente, ma ben ancora nel cuore, ho considerato
lungamente l' affare; l' ho raccomandato caldamente a Dio;
ho mutato pensiero circa la società di laici da me proposta:
sono venuto al tutto nella sua opinione: giova che sia
congregazione di sacerdoti. Ma nello stesso tempo è venuto
nel mio cuore un desiderio, che forse non abbandonerò più,
aspettando maggior lume dal Signore a riconoscere la sua
santa volontà. Io non posso a meno che aprire alla sua saviezza
e prudenza quanto ho considerato intorno a questa
cosa, e quanto trovo di dovere desiderare. Lo spirito immutabile
della Congregazione è quello da Lei stessa tracciato
nel Piano comunicatomi, e spirante dalle affettuose
Commemorazioni del Sangue sparso dal nostro adorabile Signore
Gesù Cristo: spirito di carità, carità di Dio e carità
del prossimo: santificazione interiore e propria, esteriore ed
altrui: contemplazione ed azione: i due perni della cristiana
virtù. Questo scopo comune dei santi in mille maniere risplendette
nella Chiesa, sempre adattato ai bisogni del mondo
nelle varie sue circostanze, secondo gli impulsi della ingegnosissima
carità infusa ne' pii dallo Spirito Santo, che spira
dove e come vuole, e uno divide i doni a molti: carità che
per ciò si fa tutto a tutti. Considerando per ciò il bisogno
della santa Chiesa ne' tempi nostri, mi sembrò quello principalmente
di un mezzo rivolto a unire il clero e condurlo,
educandolo, a quegli esercizi di carità, che Ella accenna,
e ad altri consimili. A questo parmi che non possan soccorrere
se non case regolari di Sacerdoti; quali sarebbero i
figliuoli da Lei concepiti della carità.
Le modificazioni perciò che io proporrei non consisterebbero
punto nel diminuire gli uffici da Lei enumerati;
ma, dirò piuttosto, nell' accrescerli. A questo proposito, la
prego di considerare quanto sia grande e sublime il ministero
della cura delle anime, istituito da nostro Signore
nella Chiesa. Il petto di un Vescovo e di un Parroco debbe
essere un mare di carità; perchè non v' ha caritatevole ufficio
che già non entri nel loro divino ministero. Questo
governo o reggimento, o amministrazione della santa Chiesa
adunque, come ama meglio di chiamarlo, racchiude già in
se stesso il germe, dirò così, di tutti gl' istituti tendenti alla
santificazione del mondo e allo spargimento dei lavori della
carità. Non parmi, veneratissima signora Marchesa, da abbandonare
questo sublime modello. Parmi che essendovi
tante eccellenti instituzioni, l' ottima sarebbe quella che fosse
fabbricata su quel fondamento: sul fondamento cioè del ministerio
ecclesiastico; questo ha la missione a tutte le opere
sante e caritative: estendiamoci e diamo il maggior ordine
o sistema possibile a quest' opere sante e di carità: ma ritenendo
più che sia possibile questa divina missione. Se
dunque si desse a questa Congregazione de' figliuoli della
Carità una cotale tendenza o inclinazione a incorporarsi nel
ministero posto nella sua Chiesa da Gesù Cristo; non le
pare che riceverebbe non so quale perfezionamento dalla
perfettissima instituzione di Gesù Cristo, a cui si avvicina?
In questo modo si otturerebbe maggiormente la bocca a
coloro che temono sempre di portare con nuove istituzioni
divisione invece di maggiore unità nella santa Chiesa, il
cui corpo veramente tanto è più bello e più forte, quanto
è più uno. Parlo, Ella ben lo vede, della bellezza esteriore
della santa Chiesa: l' interiore e radicale è perfetta: nulla
l' accresce, nulla la scema, perchè infinita in Gesù Cristo.
Quanto mi piace il concetto che ho sentito più volte dalla sua
bocca, che bisogna avere un cuore grande; che il nostro Signore
è grande; e che il Cristiano fa torto al suo Signore, impicciolendolo!
Veramente non è cosa sì vasta, che non sia angusta
al cuore del vero discepolo! Ella ha capito da tutto
questo, quale sarebbe il disegno, su cui (se a Dio piace) io
bramo ardentemente di vedere eretta una famiglia di Sacerdoti
regolari e con voti. Ecco il primo abbozzo.
Questi Sacerdoti uniti per la propria santificazione
hanno il doppio scopo della carità di Dio e del prossimo .
Gli esercizi della carità di Dio e della propria santificazione
li hanno per propria elezione: il loro desiderio è
quello di contemplare e lodare Iddio nella pace e nel gaudio
dello spirito. Gli esercizi della carità del prossimo li hanno
per le richieste che loro vengono fatte dal prossimo; alle
quali si debbono, potendo, prestare.
Essi dipendono dal loro Superiore totalmente , dal
quale ricevono l' ordine della Carità . Non sono adunque stabiliti
peculiari uffici a tutta la Congregazione, non sono limitati
a nulla. Quello che la Congregazione ha per assunto
è di esercitare la carità del prossimo , alle richieste, con l' ordine
della Carità . Questo tutto dipende dalla saviezza de' Superiori,
ai quali debbono essere portate le richieste di chi
ha bisogno dell' aiuto di questi Sacerdoti: ed i Superiori,
usando il consiglio di prudenti assistenti, determinano se vi
abbiano persone idonee all' ufficio; ed, in caso che le abbiano,
sono obbligati di darle.
Le Regole determinano quali uffici di carità si debbano
preferire dal Superiore nel caso di più richieste contemporanee,
alle quali tutte non si potesse soddisfare. La
principale di queste regole è quella di accettare, avanti
tutti gli altri uffici quelli del ministero ecclesiastico, come
quelli che contengono in sè la carità più estesa e fondamentale.
Quegli che viene destinato (in caso) parroco ecc.,
è anche il Superiore della Congregazione nella parrocchia.
Gli uffici perciò del ministero s' immedesimano sempre (dove
essi vi sono) cogli uffizi della Congregazione.
Da questo Vostra Signoria Illustrissima ben intende qual
preparazione convenga a questi Sacerdoti, qual noviziato:
certo lungo, rigoroso. Essi debbono aver fatto un sacrificio
continuo e totale di se stessi alla volontà dei Superiori: non
vivono che per la santa Chiesa, pronti per essa sempre a
morire. Questi diverrebbero in particolare i figliuoli della
carità da Lei descritti, ogni qual volta fossero richiesti di
ciò, e fossero provveduti di soggetti a ciò. Omnibus omnia .
La saviezza de' Superiori non potrebbe però ricevere altre
commissioni che quelle che può la Congregazione a pieno
e bene sostenere.
[...OMISSIS...] [...OMISSIS...]
1.26 L' ultima volta che le scrissi ho dovuto cominciare dalle
scuse della mia negligenza: questa volta dovrei forse cominciare
a scusarmi per questa mia troppa diligenza, per
cui vengo sì presto a disturbare V. S. Illustrissima, occupata
in mille affari, co' miei scartafacci dove si pena a trovare
il fine. La veneratissima signora Marchesa troverebbe,
non v' ha dubbio, da compatirmi, anche quando non meritassi
compatimento; e però non mi bisogna d' altro. Ma a dir
vero, non ho potuto trattenermi dall' essere così alcun poco
indiscreto, per l' interesse vivissimo che prendo all' Istituto
da Lei meditato, e per approfittare de' suoi lumi. Per questo
solo fine oso ancora fare presente alla signora Marchesa
quanto, dopo qualche attenta riflessione sopra le sue difficoltà,
mi trovo di poter dire.
Trattandosi di stabilire un Istituto religioso, a mio credere,
si possono fare due questioni: l' una consistente nel conoscere
la positiva volontà di Dio intorno al medesimo;
l' altra nel giudicare di lui secondo la dottrina teologica e
le vedute ordinarie dell' umana prudenza. Io ho in me stesso
una ferma credenza, che tutti i santi Institutori degli Ordini
Religiosi più grandi nella Chiesa, sieno stati uomini
ispirati, ai quali Iddio abbia, dirò così, mostrato come a
Mosè il modello dell' Ordine, a cui instituire erano preordinati.
Su questo fondamento appoggiato, io credo, senza alcun
dubbio, che S. Gaetano, S. Ignazio, e gli altri santi
Fondatori, che Ella m' accenna, abbiano fatto egregiamente
nel tenere lontanissime le dignità , o piuttosto io amerei dire
i pesi dell' ecclesiastico ministero, dal loro Istituto. Questo
prova che Iddio volle così; che in quei tempi, in quelle circostanze,
a quei fini pei quali furono istituiti, questa lontananza
del ministero pastorale da quegli Instituti era la cosa
migliore che fare si potesse. Al qual proposito, mi ricorda
aver letto, come Marcello II, prima di divenire Papa, disputò
a lungo con un valente gesuita per sostenere che sarebbe
stato meglio, se la Compagnia avesse accettato i posti
dell' ecclesiastico ministero; e che il Religioso non trovò per
quanto cercasse, ragioni valevoli per dimostrare il contrario
che convincessero il Cardinale; fino che gli addusse l' autorità
di S. Ignazio, alla quale pienamente si arrese. E questo
doveva essere; perchè non v' ha risposta a siffatte autorità,
le quali provano che Iddio ha voluto così; e che però era,
per quel caso, l' ottimo partito; ancorchè le regole della
umana scienza avessero forse suggerito e commendato il
contrario. E infatti abbiamo una grande istruzione in quelle
parole di nostro Signore, colle quali ci disse, che è proprio
solo del Padre conoscere i tempi ed i momenti ; e per questo,
fino che Iddio non ha parlato chiaro, non si può per quanto
io credo, diffinire da questo lato la cosa.
Discorrendo adunque umanamente, ed anche secondo
quello che l' intimo spirito mi suggerisce, io comprendo
bensì quanto sia ragionevole il suo timore, comprendo come
questa introduzione delle ecclesiastiche cariche sia cosa di
tanto pericolo, quanto forse nessun' altra, per un Ordine
religioso, nel quale è tanto facile ch' entri d' ogni lato il
rilassamento, per cui infine, come ella riflette benissimo, non
possa sussistere. A malgrado di questo però non vorrei che
facessimo torto alle infinite misericordie di Dio, e che ponessimo
un limite alle maraviglie che egli sa operare nei
servi suoi. Questa misericordia divina risplende tanto nella
carità de' servi del Signore, che l' Apostolo non dubitò di
dire che questa carità giunge a tale di farsi tutto a tutti ;
il quale elogio arriva, a dir vero, all' infinito, e pure non
lo si può creder punto esagerato. L' Apostolo ci mostra la
carità veramente onnipossente e trionfatrice di tutte le cose;
e per me credo fermamente, che Iddio vorrà procacciare
alla sua misericordia anche questa gloria, che, mediante
la carità che li anima, possano i servi suoi anche incontrare,
nel debito modo, tutte le dignità della terra, senza
restarne offesi dal fumo menomamente. Doveva anzi dire,
che questa insigne vittoria sopra ogni pericolo della secolare
e della ecclesiastica ambizione, è apparita già in innumerevoli
servi di Dio che sono vivuti nella dignità
coll' esterno della loro vita, e nella più profonda abbiezione
col loro spirito. Consideri, signora Marchesa, quanto sia
grande questa specie di virtù, sebbene meno appariscente
e pomposa di quella che si spoglia di tutto l' esterno splendore:
consideri quanto sia il merito di questa vittoria:
quanto debba essere cara negli occhi di Dio; quanto utile
agli uomini! Per me, lo credo forse l' atto della più perfetta
carità; e infatti l' atto della perfettissima carità il nostro
Signore lo fece essere caratteristico non d' altra professione,
ma di quella del Pastore, quando disse « il buon Pastore
pone la vita sua per le pecore »avendo già detto « che
nessuno ha maggior carità di quello che dà la vita sua per
gli amici ». La professione adunque del ministero pastorale
congiunge per tutti i lati, come proprio, l' atto della maggiore
carità. E per questo S. Tommaso d' Aquino nell' operetta,
che scrisse sulla perfezione della vita spirituale,
dimostra come lo stato del Vescovo sia il più perfetto di
tutti, anche dello stato de' religiosi, appunto per questa perfezione
di carità a cui stabilmente si trova astretto; e come
gli altri ecclesiastici che sono in cura di anime abbiano
un atto anch' essi di più perfetta carità che i religiosi,
quantunque non si possa dire che abbiano uno stato più
perfetto, perchè non sono astretti al pastorale ministero
perpetuamente. Nel pastorale ministero adunque Gesù Cristo
ha posto i semi di ogni perfezione; e non v' ha cosa che
tanto ben si convenga fra loro, quanto la professione religiosa
e il pastorale ufficio; professando l' uno e l' altro la
perfezione della vita, la quale non può in altro consistere
che nella carità.
Ella mi risponderà di non negare allo stato pastorale
la sua perfezione, ma di conoscerla sommamente difficile
a conseguire, e tale che fu da tutti i santi uomini a tutto
loro potere fuggita. - Alla prima difficoltà mi è facile di
rispondere, che dove il pastore sia entrato per l' uscio nell' ovile,
e non per la finestra, come il ladro, nel ministero
stesso si trovano abbondanti grazie divine per sostenere il
gran peso. Il gran Principe de' pastori è quegli che sostiene
i suoi cooperatori: altrimenti Gesù Cristo, piantando l' ecclesiastico
ministero avrebbe posto al mondo un baratro
dell' anime. Nel tempo stesso che dobbiamo temere il pericolo
della vanità o, in ogni modo, della responsabilità nelle
ecclesiastiche cariche, non dobbiamo però esagerarcelo tanto
che facciamo torto, diffidando, alla grazia di Colui che ci
manda. - Rispetto alla seconda difficoltà, io convengo benissimo
con Lei e con le sentenze e coi fatti di tutti i santi
uomini, che tali posti si debbano, non che non cercare, ma
fuggire da ciascuno in particolare, quanto da lui dipende.
Ma ella avrà considerato il secondo de' quattro articoli da
me propostile; nel quale apparisce che nell' Istituto concepito
nessun membro particolare può aspirare a cosa del
mondo, essendo obbligato alla più illimitata ubbidienza, chè
tutto debbe dipendere dal Senato, dirò così, del superiore,
da cui vengono le ubbidienze impreviste, tanto pei posti a
cui fosse aggiunto onore, come ignominia. La sola saviezza
di questo comitato, presieduto dal superiore, debbe giudicare
dell' opportunità de' membri, della loro maturanza, dirò
così, perchè possano essere esposti a sì fatti pericoli. E noti
che queste ponderate deliberazioni debbono essere liberissime,
per la costituzione stessa dell' Ordine, da ogni esteriore
risguardo. Nell' abbozzo da me posto ne' quattro articoli
non sono comprese naturalmente quelle precauzioni,
da cui tutto debbe essere munito. La prego oltracciò d' avvertire
che non tutti gli uomini santi hanno riputato la
religione incompatibile col pastoral ministero: anzi a congiungerli
insieme mirò S. Agostino, S. Eusebio, e nel cinquecento
S. Carlo coi suoi Oblati: e all' opera di questi tre
santi e loro imitatori è dovuta la riforma in vari tempi
avvenuta del clero, che è quanto dire della Chiesa di Dio.
Consideri, Marchesa, la cosa d' altra parte, e vedrà come
sarebbe adattato ai tempi presenti l' Istituto proposto. Questi
tempi richieggono persone ben munite contro tutti i pericoli:
non sono i tempi da fuggire, ma piuttosto da combattere.
Se si può fare alcun bene alla condizione de' nostri
tempi, si può colla santa azione, colla cristiana operosità;
bisogna combattere i nostri avversari colle loro armi. Mi
permetta ancora di dire, che se gli uomini in antico potevano
applicarsi esclusivamente a qualche virtù particolare,
ora bisogna che facciano, dirò così, mostra in se stessi di
tutte, e che non lascino nessun lato debile. La grazia che
s' innesta sulla natura, e che si serve sempre dei progressi
di questa per brillare di nuova luce, sembra anche che
renda più facile, nel presente sviluppo dell' uman genere,
una virtù soda e compiuta; e che perciò certi pericoli,
come quelli delle dignità, sieno minori che in altri tempi.
Le dignità esteriori, a ragion d' esempio, non possono colpire
tanto i sensi d' un uomo santamente dotto, quanto quelli
d' uno santamente idiota: il primo ha mille ragioni, anche
umane, per disprezzarle, il secondo debbe tutto aiutarsi con
uno spirito di pietà. D' altra parte il mondo è così sdegnoso
e dilicato presentemente, che per apprestare ad esso un vero
giovamento, bisogna, a mio credere, opporgli lo stesso ministero
di Gesù Cristo, perchè egli solo è veramente divino
e insuperabile.
Ma questo ministero, ella mi ripete, è pieno di pericoli. -
Appunto per questo, a me pare, ha bisogno di maggiori
aiuti e precauzioni. Quale carità è maggiore, quella che si
studia di assistere quegli stati dell' umana vita che sono,
per così dire, privi di pericoli, o più tosto quella che sottopone
degli amminicoli e dei puntelli ai più pericolosi? Se
si potesse torre via tutte le dignità del mondo, ben veggo
quanti pericoli all' umana fragilità sarebbero rimossi. Ma
se queste dignità vi debbono essere, se queste dignità sono
così necessarie che senz' esse non ci sarebbe nè pur la Chiesa
di Gesù Cristo, che altro resta a fare, se non pensare al
modo di santificarle? E come si potrebbero maggiormente
difenderle da' pericoli che seco congiungono, se non con
educare nella santità della professione religiosa, e di una
professione, dirò anche (giacchè questo sarebbe il nostro
caso) la più rigorosa e la più severa di tutte, le persone
che debbono sostenerle, educandole con quella lunga preparazione
che a ciò dovrebbesi stabilire, e non esponendole
al cimento, se non dopo le più replicate prove di vera
umiltà ed abbiezione di se stesse?
Ella replica, che a questo si può provvedere col fare
che l' Istituto assista bensì le persone destinate al ministero
pastorale, e coadiuvi a formare idonei ministri del santuario ;
senza però che la Congregazione assuma ella stessa il medesimo
ministero. - Signora Marchesa, per quanto io intendo,
lo spirito della superbia è molto fino, e s' innoltra dove meno
si crede. Se noi diamo a' semplici religiosi l' incombenza
d' insegnare a' pastori, di preparare degli acconci parrochi;
incorriamo nel pericolo che questi buoni religiosi si credano
qualche cosa di più di parrochi e di pastori, e che ritenuto
un esteriore d' umiltà, non penetri nell' interiore un sottilissimo
orgoglio, che a me fa più paura di tutte le esteriori
dignità. Non dico questo per una semplice previdenza, ma
mi è avvenuto di sperimentarlo anche di fatto. Conosco
qualche casa di eccellenti religiosi, che sono molto adoperati
nel dare esercizi a parrochi, nell' esaminarli, ecc., ma mi
è paruto (glielo confesso candidamente) che questa cosa era
molto pericolosa alla loro umiltà, che il demonio sapeva
assai bene mettere fra loro dei fumi di vanità e di compiacenza.
In fatti è un pericolo grave assai, secondo me, quello
di vedersi sotto, dirò così, una schiera di parrochi, o di
altre dignità, predicare loro, istruirli, essendo un semplice
fraticello. Se abbiamo reso l' animo così forte e perfetto da
non temere di queste interiori tentazioni, credo al tutto che
assai più facilmente si vincano le tentazioni esteriori. E
giacchè ho cominciato, mi permetta un' altra osservazione.
Questi semplici religiosi assai di rado conoscono le cose
come stanno, assai di rado sono bastevolmente dotti; per se
stessi intendo bene che basta una vita illibata; ma quando
si debbe istruire, bisogna assai dottrina e cognizione delle
cose umane. Ora questa non s' acquista solo co' libri, ma
colla pratica che si fa nell' esercizio degli uffici del ministerio.
Il ministero è una continua scuola, perchè è un continuo
studio di due cose, del cuore umano, e dello stato del
mondo a cui si cerca di giovare. Se non si conosce lo stato
del mondo, senza miracoli non si può giovargli, e non si
possono nè pure educare que' pastori che debbono ad esso
mondo giovare. La cosa più di tutte necessaria è la prudenza ,
con cui si debbe usare la carità . Ora questa non s' acquista
senza l' uso delle cose umane. Vorrei dunque santificare
questa prudenza, vorrei che i pastori, tutta l' arte de' quali
consiste in questa prudenza della carità , avessero il modo
di acquistarsela senza pericolo. Questa dote non può essere
comunicata loro da semplici religiosi. La mancanza ancora
di questa cognizione positiva delle cose fa sì, che nei semplici
religiosi si osservi un certo disprezzo, a ragion d' esempio,
di tutto quello che non entra nel loro circolo, e di
cui per ciò non intendono la importanza; e in conseguenza
altresì una certa zoticità, in tante parti, che allontana da
loro gli uomini del mondo. Io non negherò finalmente che
anche semplici religiosi non possano formare de' pastori,
ma quanto è più conveniente, quanto più conforme alla
base posta da Gesù Cristo che i pastori formino de' semplici
religiosi! Se la superbia, d' altra parte, consiste nell' elevarsi
colla stima di se stesso sopra il proprio grado, assai
più pericoloso a me pare che il religioso semplice insegni
al pastore che non sia il pastore insegni al religioso. E la
missione di Gesù Cristo, quanto non vogliamo credere che
debba essere d' aiuto contro a questo rischio?
Ella ha egregiamente osservato che le dignità ecclesiastiche
vogliono essere state più pericolose a questi Ordini,
i quali avevano per loro scopo di starne privi e nascosti,
che non ad un Ordine che per la sua natura ammettesse
anche queste dignità. Ma osservi oltre di ciò, che lo spirito
della instituzione che sommamente il mio cuore desidera,
(parendomi che questa sia la volontà del Signore), ha di
mira non solo l' umiltà de' singoli membri che non sanno
nulla di se stessi, nè di quello, che si dispone di loro dai
superiori, ma ben anche l' umiltà di tutto il corpo (il che
io credo della più alta importanza), dandoglisi un impianto
contemplativo e facendo, per elezione sua propria, i soli
uffici dell' orazione e dello studio, e tutto quello che risguarda
l' attiva carità assumendolo solo per istanze e per
preghiere che gli vengono fatte da chi è bisognoso di essi.
E questo mi sembrerebbe da sommamente provvedere, osservando
che quasi tutte le Comunità religiose vanno ben
presto acquistando quello che il mondo dice, spirito di corpo ,
e che noi chiamiamo una certa limitazione, figlia di un
occulto orgoglio, non già individuale, ma collettivo, che si
riversa però ne' membri; e scema in essi tanto di quella
carità che vorrebbe stretti tutti gli uomini in un solo corpo,
qualunque sieno i loro legami, le società particolari, e le
differenze loro d' ogni maniera. Attendendo a questo sentimento,
ella vedrà quanto a me piacciano quelle sue parole,
che la Congregazione, di cui è il discorso, « germogliasse
veramente sul Calvario tra Gesù Crocifisso, e Maria santissima
Addolorata », purchè non si dimentichi che quel Gesù
Crocifisso non patisce solo colà sul Calvario per una privata
divozione, ma adempie in quell' atto il sommo officio di
pastore, che è quello di dare la sua vita per le sue pecore,
esercita la maggiore dignità della Chiesa, o per meglio dire,
una dignità che congiunge nello stesso soggetto il sacerdote
e la vittima accetta al Padre, dignità che è l' origine
e la creazione di tutte le dignità e di tutto il gran ministero
della santa Chiesa.
Ah! signora marchesa, la prego di perdonare alla mia
libertà, se la supplico a meditare bene questo grande affare,
da cui potrà venire tanto bene alla santa Chiesa, quando
ciò sia scritto nei divini decreti. La mi creda, che anche
quel religioso che fugge il mondo per propria scelta, non
lo fuggirebbe con tutta la perfezione, se ricusasse insieme
di uscire dal dilettevole silenzio del chiostro all' aiuto dei
suoi fratelli quando ve lo chiami la carità: che la perfetta
fuga del mondo dobbiamo oggimai farla collo spirito come
la fecero i santi Apostoli, non dobbiamo contentarci d' una
fuga esteriore. Ben intendo che la vita più dolce è quella di
segregarsi intieramente da questo misero e pericoloso mondo:
ma non cerchiamo tuttavia quello che a noi riesce più
dolce e più caro, ma quello che è più caro a Dio, più utile
al suo santo regno. Viviamo dunque nella solitudine col
cuore, non ricusiamo d' uscirne col corpo, quando la voce
de' superiori, che è quella di Dio stesso, ce ne chiami. Perchè
quegli che manda, sostiene. Mi perdoni così lunghi discorsi e
li attribuisca al desiderio della gloria divina e mi creda A. R..
[...OMISSIS...]
1.26 Permetta la carità sua che venga anche con una lettera
da Lei, dopo essere stato colla persona forse a farle perdere
qualche prezioso momento. L' unica ragione che mi trae a
scriverle è di approfittare dei suoi lumi e dei suoi consigli.
Già in voce le ho aperto il vivissimo desiderio che porto
da qualche tempo nel mio cuore, e che vado sperando essermi
messo da Dio, di fare vita regolare con alcuni Sacerdoti.
A Lei ho esposto anche il pensiero generale, secondo
il quale mi parrebbe che vorrei ordinare questa
Comunità, ed Ella me ne ha incoraggiato. Ora, prima di
cominciare cosa alcuna, io penso di consultare il sentimento
del Santo Padre, acciocchè non sia tutto questo qualche mia
illusione da lasciare andare; il che però intimamente non
credo. Ho esposto adunque il pensiero generale, e lo mando
a Lei da vedere, acciocchè voglia avere anche questa carità
di farci sopra tutte quelle riflessioni che le parranno, e di
rimetterlo qui a Milano dove sto. Qualche difficoltà ci avrà
nel cominciare; ma non sarebbe necessario al principio di
attenersi strettamente a quella regola, che pongo per la
cosa quando sarà già avviata, dello stretto ritiro, e di esercitare
la carità alle richieste. Si potrebbe in principio (dove
Iddio mandasse dei buoni compagni) acconciarsi vicino a
qualche chiesa, e assumere in quella l' ufficiatura festiva,
la confessione, e fors' anche qualche scuola; il che onesterebbe
agli occhi del pubblico l' unione. Di tutto questo sentirò
con sommo piacere i suoi sentimenti, pregandola di
pensare a darci spalla, se le pare che ciò sia da Dio.
[...OMISSIS...] Questi vorrebbero essere alcuni Sacerdoti che, desiderando
ardentemente di santificare se stessi in quello stato,
nel quale la divina misericordia gli ha collocati, e di cooperare
con tutte le loro forze a sollevare i loro prossimi
dalle miserie sì spirituali che corporali, esercitando verso
di loro tutte le opere di carità; si uniscono insieme a questo
doppio fine, dedicando la loro unione al loro Redentore Gesù
Cristo, crocifisso per eccesso di carità, a Maria Santissima
Regina de' Martiri, e a tutti i Santi.
Essi credono bene però di proporsi da eseguire i due
sopraddetti scopi in un modo diverso. Perciocchè solamente
il primo, quale è quello della propria santificazione mediante
gli atti della carità verso Dio, l' interiore mortificazione
e totale sacrificio, assumono immediatamente per propria
elezione ed istituto. Essi adunque amano di costituirsi
in uno stato di profondo e continuo raccoglimento, annettendo
però all' orazione e alla contemplazione gli studi delle
cose divine ed umane.
A malgrado però di questo essi non pensano già a
solenne officiatura di coro per la ragione degli uffizi caritatevoli
che in appresso si diranno, ma bensì alla recitazione
comune, quanto mai sarà loro più possibile, dei divini
offizi.
Non credono bene di legarsi con voti solenni, ma
bensì con voti semplici, ed ai tre soliti voti aggiungono il
quarto di assoluta obbedienza al Sommo Pontefice.
Questo stato però di profondo raccoglimento lo prescelgono
poi non solo pel bene che contiene in se stesso,
ma altresì come uno stato di preparazione a tutti quegli
uffici di carità a cui Iddio li destinasse.
Come tutte le Società, così anche questo sodalizio di
Sacerdoti necessariamente è diviso in superiori ed inferiori.
Gli inferiori, stretti per voto d' ubbidire ai loro superiori,
debbono essere preparati alla intera obbedienza di tutti i
loro comandi, di qualunque maniera e natura sieno. E` necessario
adunque per verificare la vocazione di Sacerdote
della Carità, che la persona abbia veramente intenzione di
rendersi indifferente a tutto quello che possa essere ad essa
comandato, sia piacevole o spiacevole, sia orrevole o disorrevole,
sia utile o dannoso alle cose della vita presente:
ogni amore, ogni letizia debbe essere riserbata e locata in
ciò che è comandato. Questo annientamento della propria
volontà, o piuttosto questa trasformazione della propria volontà
nella volontà dei superiori, debbe estendersi ancora
alle opere tutte della carità; dovendo bensì desiderare ardentemente
in generale di esercitare tutta quanta la possibile
carità, e di dare anche il proprio sangue ad esempio
di Gesù Cristo crocifisso per la salute de' prossimi, ma questo
però secondo la legge di una perfetta obbedienza, fra tutte
le opere possibili della carità prediligendo e gustando
avanti a tutte le altre esclusivamente le comandate. Mediante
siffatta indifferenza che i Sacerdoti della Carità estendono
ancora a tutte le opere caritative, essi non si limitano
già per loro instituto a nissun ramo particolare di queste
opere , pronti ad esercitare qualunque di esse, per quanto
penosa ella sia, purchè venga comandata; ed è perciò il
solo giudizio o comando dei Superiori che determina queste
piuttosto che quelle opere di carità ne' diversi tempi, e le
limita o estende secondo i bisogni e le intenzioni della
Chiesa di G. C., la cui gloria solamente debbono avere continuamente
innanzi agli occhi e nei desideri del loro cuore.
Per la qual cosa la Congregazione di questi Sacerdoti
non debbe menomamente avere in vista se stessa , ma solamente
il general bene della Santa Chiesa , senza il minimo
interesse in simigliante collisione, non solo a favore
dei singoli suoi membri, ma nè pure di tutta se stessa; e
ad evitare ogni spirito più particolare che lo spirito di tutta
insieme la Chiesa, per quanto la divina grazia il concede
all' umana miseria, ha intenzione di rivolgere i suoi speciali
regolamenti.
Per ciò poi che spetta il corpo de' Superiori della Congregazione,
i quali sono incaricati di custodire l' interiore
disciplina e governo e di assegnare ai singoli membri le
opere della carità, questi si vogliono regolare nella forma
seguente: 1 Essi a tenore dello spirito di raccoglimento e
di preparazione, da cui vorrebbe essere animata questa
Congregazione, debbono provvedere che sia conservato il
costante ritiro, il silenzio, l' orazione e l' occupazione degli
studi, da determinarsi da essi al maggior bene della Santa
Chiesa. 2 A qualunque persona che chiegga di loro essi
debbono porgere orecchio per sentire, se qualche necessità
del prossimo richiedesse forse l' opera loro: debbono insomma
ricevere tutte le domande o richieste di loro carità , e così
richiesti debbono prestarsi, potendo, mediante i membri
della Congregazione a tutti i bisogni che in tal modo vengono
loro a manifestarsi. Possono però queste richieste essere
tali e tante, che tutte insieme non si possano sempre
soddisfare. I Superiori adunque in questi casi debbono con
sapienza determinare tutto secondo l' ordine della Carità .
Quest' ordine della Carità ammette principalmente tre riguardi;
cioè: 1 la perfezione con cui si possa eseguire l' opera
caritativa; 2 l' esistenza dell' Instituto; e 3 il bene intrinseco
dell' opera stessa. Quanto al primo riguardo non debbono
i Superiori assumere quelle opere di carità, le quali
non possono esercitare a dovere per mancanza di soggetti
o di forze, poichè quando l' opera è improporzionata ai
soggetti, oltre essere di poca o di nissuna carità o anche
di scandalo, è dannosa agli stessi soggetti, dei quali i Superiori
debbono diligentemente conoscere le forze, e secondo
le loro forze ed abilità anche dare loro i pesi. Quanto al
secondo riguardo dell' esistenza dell' Instituto, questo è sommamente
necessario, per quello che abbiamo già di sopra
detto, che egli non si limita a nessun ufficio di carità, ma
anzi che nessun officio di carità è dissonante dal suo scopo.
Perciò non è punto alieno da lui, che i suoi membri vengano
spediti fuori della casa comune per ragione di carità;
il che però conviene riflettere che potrebbe indebolire di
troppo la unione. Per questo appunto si pensa che al cominciamento
converrà andare molto adagio in ricevere fisse
incombenze di carità fuori di Congregazione, ma sarà da
cominciare con esercizi di carità che meno che sia possibile
indeboliscano la unione, alla quale è necessario, se a Dio
piacerà, lasciare mettere buone radici: tanto più che quanto
si comincia si debbe fondatamente potere sperare di non
dovere poscia intralasciare. Finalmente debbono i Superiori
che assumono e distribuiscono le opere della carità richieste
da' prossimi, avere riguardo al vantaggio intrinseco dell' opera
assunta; e intorno a questo avranno per loro lume
alcune regole fisse. La principale di tutte queste regole è
quella di anteporre a tutti gli altri uffizi della carità gli
uffizi del ministero instituito da Gesù Cristo nella sua Chiesa,
come quelli che contengono la carità più fondamentale di
tutte, o per dire meglio, il germe e la radice di tutti i possibili
offici della Cristiana Carità. Questi offici del ministero
ecclesiastico sono preferiti a tutti gli altri dai Superiori di
questa Congregazione (solo però quando i due riguardi sovraccennati
il comportino) altresì perchè, mediante questi
uffici del ministero, i Sacerdoti della Carità imitano più
da vicino Gesù Cristo loro Redentore e Sacerdote alla cui
imitazione sono consacrati; e perchè la Congregazione di
questi Sacerdoti della Carità desidera ardentemente di fondarsi
negli esercizi delle opere caritatevoli sulla divina
missione , sapendo bene quali sieno le grazie che Gesù Cristo
partecipa a coloro che egli manda a diffondere gli
effetti della divina sua carità fra gli uomini, e non volendo
fare nulla da sè, ma tutto a tenore della conosciuta volontà
divina.
Per ciò stesso poi il sistema, con cui l' unione dei Sacerdoti
della Carità pensa di regolarsi, si è quello di imitare
più che mai sia possibile la divina instituzione della Chiesa
fatta da Gesù Cristo, almeno da quel punto, in cui, venendo
alcuno di loro destinato alla cura delle anime, cominciasse
questa Congregazione ad uscire dal suo secreto, e dal ritiro
che ella si elegge. Poichè gli uffici della cura delle anime
si desidera che sieno sempre congiunti nella stessa persona
con quelli della Congregazione, sicchè se un sacerdote della
carità si mette in alcuna parrocchia, egli è parroco insieme
e superiore di quella Congregazione o che già esiste in
quella parrocchia, ovvero che in quella si viene erigendo
distinguendosi sempre i diritti delle due potestà: e i superiori
diversi delle case singole esistenti in varie parrocchie
(perciocchè due case indipendenti non possono mai essere
in una stessa parrocchia) dipendono dal Superiore residente
nella città vescovile e così via.
Questi Sacerdoti della Carità poi, sebbene rispetto a' loro
superiori sieno legati ad una totale povertà, tuttavia in faccia
alla legge civile posseggono del proprio, e hanno rappresentanza
individuale e non mai come membri di alcuna
Congregazione.
Avanti però di prendere qualunque disposizione per effettuare
questa unione, prima di ogni altra cosa, si conosce
essere assolutamente necessario di sottomettere al Sommo
Pontefice tale concetto, per sentire se mai ostasse alcuna
cosa, per cui il medesimo non dovesse essere eseguito,
ovvero anco per venire rassicurati e confortati dall' apostolica
benedizione, e procedere, quando l' occasione opportuna
si presenti, a dare mano all' opera secondo la divina
volontà.
La tendenza universale della Società della Carità è verso
il fine di unire più strettamente che sia possibile i buoni
cristiani fra di loro, di modo che, la Società, che essi formano
già coll' esser cristiani, sia da ciascuno di essi più
sentita, e quindi ancora un tal corpo di cristiani, sentendosi
associati strettamente insieme, abbiano più viva la coscienza
della loro dignità e grandezza, siano incoraggiati
da questa coscienza a formare un corpo fra loro e col loro
capo visibile, il Romano Pontefice, e col loro capo invisibile
Gesù Cristo; e in tal modo la società dei cristiani si renda
più forte, anche sopra la terra contro i figliuoli di questo
secolo: essendo persuaso chi scrive, che la Società cristiana
venga continuamente spinta ad un simile stato, sebbene
senza rumore, dallo spirito di Gesù Cristo che la anima e
la conduce.
Di più è persuaso il medesimo che qui scrive, che la
Società cristiana, tendendo all' acquisto di questa unione e
di questa forza, tenda e si avvicini a quel modello perfetto
che Gesù Cristo ebbe in animo, quando la stabilì, e che a
tal fine Egli la abbia organizzata in una siffatta maniera,
che, dietro all' organizzazione da Lui stabilita, debba anche
tutta la società degli uomini venirsi di continuo regolarizzando
e perfezionando anche in tutte le sue relazioni esteriori.
I vincoli dell' organizzazione, stabiliti da Gesù Cristo
a principio nella società cristiana da lui fondata, erano
certo perfetti, ma erano interamente spirituali: lasciando
che nel corso dei secoli successivi questi vincoli spirituali,
quasi come germi fecondi, portassero le loro infallibili conseguenze
anche su tutte le cose temporali, le ordinassero
e santificassero tutte, secondo ciò che egli aveva detto:
« Quando io sarò esaltato da terra, trarrò a me tutte le
cose ».
L' opera dunque della divina Provvidenza nel corso dei
secoli, nei quali milita sulla terra la Chiesa, consiste nel
sottoporre successivamente tutte le cose, anche appartenenti
alla società esterna degli uomini, a Gesù Cristo, nel farle
entrare nella società cristiana, nel far sì che prendano in
quella il loro posto, secondo il bell' ordine che va a compire
l' intera e perfetta organizzazione della Chiesa, cominciata,
come dicevamo, collo stabilimento dei vincoli spirituali,
germe e radice di quella pianta che si debbe estendere e
dilatare in tutti i suoi tronchi, e fino in tutti gli ultimi suoi
ramoscelli e più piccole foglie.
Ciò posto, per vedere come tutte le cose umane debbano
prender posto nella Chiesa, e in essa subordinarsi ai vincoli
spirituali stabiliti da Gesù Cristo, e così regolarizzarsi per
modo che in ultimo ne riesca la perfezione della società
umana, come l' effetto e lo scopo del Vangelo; conviene che
osserviamo quali sieno questi vincoli spirituali che formano
l' organizzazione della società cristiana, ossia della Chiesa
di Gesù Cristo.
Questi vincoli sono le potestà ecclesiastiche, e principalmente
il Papa, i Vescovi ed i Parrochi.
Quindi la Società della Carità rivolta a cooperare a
questo sviluppo, a cui tende la Chiesa di Gesù Cristo, non
ha in vista se non queste tre potestà centrali, e tutto ciò
che fa è rivolto a sottomettere alle medesime (nel debito
modo però e secondo la natura delle cose e non altramente)
tutte le altre istituzioni umane, le quali si possono comprendere
agevolmente sotto il titolo di opere di carità , dovendo
essere tutto ciò che fa l' uomo cristiano, carità verso Dio
e verso il prossimo, giacchè la divisa che ha dato Gesù Cristo
ai membri della società da lui istituita, fu quella di amarsi
scambievolmente.
Le istituzioni umane, crede lo scrivente, che non possano
avere se non un' esistenza precaria e accidentale, fino
che non vengono nel modo detto trasformate in vere opere
di carità, e di più incorporate regolarmente nella Chiesa,
cioè subordinate regolarmente ai tre gradi di potestà centrali,
il Papa, i Vescovi, ed i Parrochi.
Egli è per questo che la Società della Carità non ricusa
punto l' assunzione delle dette opere di carità, e che tutte
possono trovare in lei il giusto loro luogo, quando la unione
loro colla medesima sia ordinata nel debito modo allo scopo
di tutta la Società: e di più egli sembra che, ciò posto,
la detta assunzione non debba meno giovare alla Società
della Carità, che al maggiore consolidamento, estensione e
durazione delle opere stesse: e che quindi i buoni cristiani
che cooperano a questa unione, vengano nello stesso tempo
a dar mano alla stessa opera avuta in mira da Gesù Cristo,
di regolarizzare tutte le cose umane e mettere un ordine
perfetto nella umana società, e ciò sine observatione , quasi
come effetto, come conseguenza naturale dei principii spirituali
del Vangelo e della costituzione da Lui alla sua santa
Chiesa assegnata e stabilita.
E` stato detto nel piano de' Fratelli della Carità, che « l' ordine
della Carità (per riguardo all' oggetto presente) ammette
principalmente tre riguardi; cioè 1 la perfezione con
cui si possa eseguire l' opera caritativa; 2 l' esistenza dell' Instituto;
e 3 il bene intrinseco dell' opera stessa ». Quanto
a quest' ultimo riguardo fu detto che la principale regola
che ne risulta è quella di « anteporre a tutti gli altri uffizi
della carità gli uffizi del ministero instituito da Gesù Cristo
nella sua Chiesa, come quelli che contengono la carità più
fondamentale di tutte, o per dire meglio, il germe e la radice
di tutti i possibili uffizi della cristiana carità ».
Qui sembra bene di schiarire che cosa s' intenda pel bene
intrinseco dell' opera stessa . Desideriamo adunque che si
intenda pel bene intrinseco dell' opera stessa, non già solamente
il maggiore vantaggio che ne potrebbe venire con
quell' opera agli uomini, ma ben ancora la perfezione stessa
dell' opera in ordine a Dio, e con ciò anche in ordine allo
spirito della Congregazione, la quale si propone la propria
santificazione e la divina gloria. Per rispetto adunque agli
uffici del ministero ecclesiastico essi racchiudono in se medesimi
sì l' una che l' altra di queste due prerogative; mentre
nell' atto della pastorale carità d' una parte vi è il sacrificio
dell' Agnello immacolato, centro e fonte d' ogni perfetta divozione,
adorazione e glorificazione divina; dall' altra vi è
il sacrificio del pastore stesso per la salute delle sue pecore,
poichè il buon pastore pone la vita sua per le pecore sue;
sicchè vi è inchiuso altresì qualunque atto di carità che
in qualunque modo giovi alla salute del gregge: per cui
lo stato del pastore è stato perfettissimo.
Ma per quello che riguarda gli altri atti ed uffici di carità
da prescegliere fra tutti dopo quelli del ministero ecclesiastico,
pare che lo spirito della Congregazione debba
essere inclinato a dare prevalenza a quelli che sono rivolti
ad avere cura dei poverelli di Gesù Cristo, onorando in
essi la imagine del loro divino Maestro. Questa inclinazione
che debbe prendere la Congregazione a formare de' poverelli
le proprie delizie e le proprie tenere sollecitudini,
proviene primieramente dalla raccomandazione che ne ha
fatta Gesù Cristo con quelle fortissime parole: « era affamato,
e non mi deste da mangiare », le quali contengono il succo
e la conclusione di tutto il giudizio che sarà fatto de' cristiani
nell' estremo giudizio. Secondariamente questa cura
e sollecitudine dei poveri è necessario che sia con parzialità
presa dalla Congregazione dei Fratelli della Carità, perchè
lo spirito di questa Congregazione debbe pure essere spirito
di perfetta povertà; ed essendo i fratelli di questa Congregazione
veramente poveri di professione, conviene, e loro
debbe giovare moltissimo a mantenersi nello spirito di spogliamento,
di intertenersi, e conversare coi più bassi e poveri
loro simili. Lo stare molto e conversare fra poverelli tanto
più si fa vantaggioso a questa Congregazione, in quanto
che non essendo limitata a nulla, ma prestandosi quando
essa può a qualunque fatto che possa essere vantaggioso
ai prossimi; non sarà impossibile che essa, mediante i suoi
membri, venga ancora a ravvolgersi fra le più alte classi della
società, nelle quali pericola con sì grande facilità la povertà
dello spirito, e l' amore della vita spregevole e nuda degli
umani beni prescelta dal Redentore e dai perfetti discepoli
suoi. Sebbene adunque vi potesse avere qualche opera che
promettesse anche una estensione maggiore di utilità, non
pare che si debba sempre e incontanente riceverla, a preferenza
delle opere caritative che risguardano i poverelli;
ma solamente o dopo avere soddisfatto a tutte le sollecitudini
richieste in favore dei poveri, o almeno quando la
Congregazione abbia bastevoli opere di carità riguardanti
la classe mendica, perchè ella possa conservare una stretta
relazione con questa classe raccomandata dal Signore e la
più prossima di somiglianza alla Congregazione dei Fratelli
della Carità.
Ama poi in particolare la Congregazione, fra i poveri,
la classe dei giovanetti, raccomandata specialmente dal Signore,
con quelle parole: « Lasciate che i pargoletti vengano
a me », e dà un luogo distinto fra le opere caritative a quella
di attendere alla costoro educazione.
Nel dar cominciamento alla instituzione de' Figliuoli
della Carità colle modificazioni proposte dallo scrivente,
può nascere difficoltà per quell' articolo che vuole che i
sacerdoti che entrano in questa Congregazione, vivendo in
uno stato di profondo raccoglimento e di una continua preparazione
per essere idonei ad esercitare santamente gli
uffici della cristiana carità, non debbano però assumerli se
non venendo richiesti dai loro superiori.
Questa difficoltà riguarda il modo di operare dei Figliuoli
della Carità. Ora bisogna distinguere accuratamente in
questa instituzione due corpi di persone: vale a dire il
corpo di quelli che ubbidiscono e che operano, e il corpo
di quelli che dirigono e che comandano. Riguardo al corpo
di quelli che ubbidiscono e che operano, questo si può organizzare
senza difficoltà alcuna, purchè sieno ben educati
e disposti all' ubbidienza e alla carità . La loro educazione
e la loro disposizione virtuosa di animo, rispetto
al primo punto, debbe esser quella di una cieca ed assoluta
ubbidienza, alla quale necessariamente si stringono per voto;
mediante la quale essi debbono fare tutto ciò che i superiori
loro comandano sia piacevole o sia spiacevole, sia
glorioso od ignominioso, « per infamiam et per bonam famam ».
Riguardo al secondo punto essi debbono amare la carità del
prossimo per sè stessa, e non ammettere nell' esercitare le
opere della carità nissun capriccio o gusto proprio; ma con
egual ilarità ed efficacia eseguire qualunque delle opere
caritative: in somma costituirsi in uno stato di perfetta indifferenza
verso ogni particolare opera di carità, amando
a preferenza di tutte le altre quella che loro viene indicata
da superiori, godendo solo di somigliarsi quanto più loro
fia possibile a Gesù Cristo, che non altre, ma quelle cose
che udiva dal Padre suo faceva sempre. Questo stato dell' animo
non si può conseguire se non mediante l' avere
eccitato in se stessi un grande amor di Dio, e tenersi perpetuamente
nel più profondo raccoglimento. La difficoltà
proposta adunque di esercitare la carità alle richieste dei
fedeli non risguarda punto il corpo di quelli che operano
e che ubbidiscono, mentre questi non esercitano già le
opere di carità alle richieste dei fedeli, ma sempre ai comandi
dei superiori. Risguardando adunque tale difficoltà
il solo corpo di quelli che comandano e che dirigono, dico
che questo corpo potrà fare a principio, fino che l' Instituto
è bene avviato, delle eccezioni a questa regola; potrà cioè
assumere spontaneamente un discreto numero di uffizi caritatevoli
quanto basti perchè l' Instituto sia posto in moto.
Posto a questi un termine, dovranno prudentemente dar
luogo agli esercizi di preparazione, sicchè l' orazione continua
di questi Sacerdoti, e lo studio indefesso gli arricchisca
di meriti e di lumi, e possano gittare in se stessi que' fondamenti
sopra dei quali solamente potranno edificare l' edificio
della carità.
[...OMISSIS...]
1.26 Sebbene da qualche tempo io non m' abbia dato il singolar
piacere di trattenermi un poco con Lei, mio ottimo e
carissimo amico, per lettera; tuttavia ho avuto sempre presente
la sua stimabile persona, della cui amicizia mi compiaccio
come d' un vero tesoro. Da qualche tempo mi trovo
a Milano, dove mi sono recato principalmente per attendere
con un po' di quiete maggiore ai miei diletti studi: poichè
a casa Ella sa quanto è facile che intervengano frequenti
disturbi. Qui sono lontano da tutte le cure, si può dire, e
parmi di fare maggiormente la volontà del Signore, chè
finora sembra che egli voglia, che io mi occupi piuttosto
di questo che in altre opere. Della religione de' Milanesi io
sono molto contento, e La assicuro che ci trovo delle anime
al tutto singolari; e queste non solo nel clero, ma nelle principali
famiglie ancora della città. Di tutte le città dove mi
sono fermato qualche tempo sufficiente per portarne giudizio,
non mi è mai avvenuto di trovare tanta virtù e soda religione
sì come in questa. I due estremi della società sono
eccellenti; e se c' è del male (perchè Ella sa che dovunque
pur troppo alligna quest' erba) sta nella classe mezzana.
D' altra parte questa bontà vera io non posso attribuirla che
agli ottimi semi posti in questa terra fertile da San Carlo,
di cui per tutto si veggono non solamente le grandi opere
di cui ha ornato la città, ma ben ancora il vivo spirito. Il
culto interno e l' esterno si riproducono a vicenda, perchè
quando l' uomo è veramente pieno di spirito non può a meno
di manifestarlo anche al di fuori, come specialmente poi ha
ordinato il Fondatore della nostra religione: e in questa
esterna manifestazione della grazia interiore consiste veramente
il compimento e la perfezione della pietà, non arrossendo
di dare a Dio gloria per tutti i modi anche in
faccia al mondo, che stoltamente schernisce quanto ignora.
L' esterna confessione poi edifica tutti quelli che piamente
la osservano; perchè essendo noi fatti di sensi, dobbiamo
colle esterne cose animarci scambievolmente. E` ben vero
che l' imperfezione umana si acqueta nel solo esterno, ed
in questo caso nasce una religione alquanto materiale o
superficiale, e nasce ancora l' odiosissima ipocrisia. Ma
quelli che dall' osservare come vi sieno talora degli uomini
che esternamente sono devoti, e tuttavia commettono dei
gravi disordini, vogliono inferirne che dunque tutti gli aiuti
esteriori della pietà sono più dannosi che utili, cadono in
un deplorabile errore. Come mai giudicare le cose più tosto
dall' abuso loro che dall' uso? Certamente che se la religione
stessa non è perfetta e spirituale, come sono tutte le religioni
fuori della nostra, in questo caso le esteriorità nulla
far potranno; perchè non esiste nella religione quella forza
convertitrice che penetra e che muta il cuore dell' uomo.
Ma l' esterno della nostra religione partecipa di quella forza
divina di cui la nostra religione è fornita. Per comprendere
questo, bisogna riguardare in generale la cosa, e non fermarsi
al fatto di alcuni uomini che resistono con un cuore
duro alla forza che continuamente loro vien fatta. Ci persuadiamo
di questo quando, come a me è avvenuto più volte
in Italia, ci abbattiamo in alcune persone, che sono profondamente
cristiane, che uniscono nel loro spirito tutte le virtù,
e che dalle esterne pratiche traggono il più vivo e sostanziale
alimento alla loro eroica carità. Considerando queste
cose ed esaminando da vicino la cosa, mi sono convinto che
veramente l' Italia in generale è una terra pia; e non so
in quale altra terra possegga forse Iddio un maggior numero
di anime sublimi da lui elette e privilegiate. Il solo veder
le cose con una prevenzione contraria, o vero il giudicarne
gli accidenti particolari, ci può far conchiudere il contrario.
Da questo mi pare di poter conchiudere, che anche la facoltà
dell' imaginazione è un dono di Dio, di cui dobbiamo
essere molto grati, quando rivolgiamo l' imaginazione, non
già a cose false e chimeriche, ma bensì a cose vere e sante.
Ma molti profanano questa facoltà; perchè quando dicono
imaginazione e fantasia l' imaginano sempre un' officina di
falsità e di sogni: mentre dovrebbero più tosto considerare
in tale facoltà un mezzo per sentire con vivacità le cose
lontane, e raunarle insieme e affinarle come fossero presenti.
Mi sono compiaciuto in questi giorni leggendo una
bell' opera di Leibnitz, che Ella probabilmente conoscerà,
intitolata « Systema Theologicum », da pochi anni tratta alla
luce, in vedere come quel grande uomo espone e difende
i principii della nostra religione cattolica, e venendo a parlare
delle imagini anch' egli nota il buon uso dell' imaginazione
nel rappresentarci la verità per mezzo dei segni;
dove a questo proposito fra le altre cose degl' Italiani dice
così: [...OMISSIS...]
Ella però dirà che se io me ne vo di tal passo più tosto
Le mando un trattato che una lettera; ma mi perdoni, se
con un amico di sì vera religione come Lei, io trovo diletto
grandissimo a intertenermi degli argomenti che gli oggetti
più cari al nostro cuore interessano, cioè la stessa religione;
perchè parmi questo uno de' più bei vantaggi dell' amicizia
potere liberamente ragionare di quanto più si ama, e cavare
dall' amico il conforto ed il lume delle risposte.
[...OMISSIS...]
1.26 Nella cara vostra fra le molte cose che udii con piacere,
una fu che mi dolse, quel sentirvi sempre intonare i versi
«Solo e pensoso i più deserti campi
Vo misurando a passi tardi e lenti »
Deh! a voi non sia cagione di fuggire sempre la rena
pestata dagli uomini! Sieno anzi gli uomini a voi conforto,
ed essi vi alleggeriscano, se mai avete degli affanni e delle
gravezze. Dico che vi alleggeriscano coi conforti dei prudenti
consigli; non dico che vi distraggano col frastuono
dei loro stolti cicalecci che assordano non che gli orecchi,
ma l' animo. Ben altro è il sollievo, che pare all' uomo di
cavare dalla turbolenta agitazione delle esterne cose, la
quale lascia poi l' animo più confuso, misero e annuvolato
di prima, da quel sollievo che all' uomo porge il tranquillo
raggio della verità, il quale, mettendosi, quasi direi, nella
notte e dissipandone il buio, fa che prima riconosciamo pacatamente
quanto le cose sieno in esso agitate e confuse;
e poscia troviamo altresì bellamente il modo di ridurle al
loro ordine, e componiamo, quasi dir vorrei, gli ammontati
flutti in questo immenso mare burrascoso. Sì, lo intendo, a
voi non piace la vita che conducete. Le fatiche materiali,
a cui v' obbliga la scuola; le molte ore della giornata e le
più preziose che ad essa dovete immolare; il trovarvi poi
stanco e rilassato tutto il rimanente della giornata; l' avere
dei pensieri e non pochi pe' vostri congiunti; la salute medesima
spesse volte infermiccia o debole, tutte queste circostanze
vi rendono talora malcontento e turbato.
Ah sappiate tuttavia portare pazienza! Sappiate offerire
al Signore, e gli stessi mali torneranno in bene per voi.
Quanto è mai mirabile questa nostra Religione divina nei
conforti che presta a noi tristi mortali! quanto è ricca di
ragioni le più sublimi, di affetti i più commoventi, di mezzi
i più celesti e soprannaturali, per rendere il nostro fragilissimo
petto, di bronzo, per tramutarci quasi in Angeli impassibili,
noi omiciattoli pieni di infermità! Per me quanto
più la studio, caro amico, e più intimamente me ne persuado.
Ella è un' amica, ella è una madre pietosa che sparge
di fiori tutte le nostre spine, sparge di balsamo tutto l' assenzio
delle nostre sventure. Ella viene dentro di noi, ella
si asside nel mezzo del nostro cuore, e di là diffonde, come
un sole, immensa serenità in tutto l' uomo, trasformato in
un ampio cielo lucente; ella appunta l' uomo e lo affissa
nell' eternità. Oh Dio! quale oggetto di soda sapienza! Infatti
l' eternità sola bene meditata ci fa conoscere quanto
poco noi dobbiamo prezzare tutte le cose terrene; l' eternità
è quella che ci rimprovera e sgrida per gli affetti che abbiamo
volti a qualche oggetto momentaneo, mentre dovevamo
tutti riserbarli per un oggetto eterno; ella ci nota e
ci fa rincrescere per fino i momenti di tempo che abbiamo
perduto per l' eternità e che sono irreparabili. Ben questa
maestra mi fa capire quanto avessero ragione i santi di
chiamare pazzo il mondo, che tanto si affatica per cose che
debbe tosto irreparabilmente lasciare. Pazzo in vero, che
per queste cose muove guerre, nutre odii, cagiona stragi,
e suda, e gela, e si logora in continui stenti, in isforzi, e
sollecitudini, in angustie; per queste cose, ripeto, che l' uomo
ben presto lascierà per sempre, entrando nudo in quella
terra da cui è uscito e senza avere fatto nulla per l' ETERNITA`!
Se questa non è deplorabile pazzìa, qual mai sarà? Iddio
ci dà il tempo e il modo di raccogliere tesori che debbono
durare eterni; noi non ne facciamo nessun caso, lasciamo
che trascorra tutto il prezioso tempo della vita; e non abbiamo
ribrezzo di trovarci al capezzale della morte, poveri
di tanti meriti di cui potevamo arricchire; di comparire al
tribunale d' un Dio giustissimo e onnipotente, ignudi d' ogni
bene, a rendere conto rigorosissimo di tutte le grazie perdute,
di tutte le chiamate non ascoltate, di tutte le ingratitudini
verso quel Signore che ci prodigava le più copiose
misericordie. Sappiamo che la vita presente è il tempo assegnato
alla misericordia; sappiamo che la vita futura è
destinata alla giustizia; e, con sì poco riflesso, lasciamo
trascorrere tutta questa vita, il tempo da operare la nostra
salute, e freddamente andiamo di continuo incontro al tempo
della giustizia. Quale stupidità! quale pazzia inconcepibile,
se la esperienza non la mostrasse!
Caro Stofella, perdonatemi. Incominciata questa lettera
con tutt' altre intenzioni, mi è scorsa la penna a sfogare
con voi il mio cuore sopra l' umana deplorabile cecità. Pregate
che il Signore diradi questa cecità dall' anima mia. Noi
felici se, diventando stolti secondo il mondo, imparassimo
a diventare veri sapienti secondo il nostro Signor Gesù
Cristo. Egli sa che io lo desidero: ma quando n' avrò mai la
grazia imprezzabile? Ah! ottenetemela voi. Preghiamo insieme
pel fine, perchè quando abbiamo questo, abbiamo
tutto.
[...OMISSIS...]
1.26 Oggi ricevo la cara vostra senza data, ed oggi rispondo.
Mi dite in quella d' avermi scritto da Caldas; ma nulla io ne
vidi. Della vostra fermata io godo, poichè ritengo in animo
che voi dobbiate giovare al giovanetto, vostro allievo. Ah
fate ogni cosa, perchè egli senta la dignità d' essere membro
della Chiesa di G. C., di questa divina immensa società,
che merita tutto il nostro amore, ed alla quale è giusto che
sieno rivolti tutti i nostri pensieri! Bella è l' amicizia, ma
più bello è l' amore per la santa Chiesa! L' affetto alla società
domestica è pur lodevole: lodevole è l' affetto della
patria, o della nostra nazione. Ma deh che la famiglia nostra,
la patria, la nazione, non sieno che altrettanti mezzi onde la
gloria della Chiesa di Dio si promuova! Non sieno dal cristiano
considerate, che come parti di una maggiore e più
eccelsa società, della gran società della Chiesa, giacchè conseguimmo
grazia che le nostre famiglie, le nostre nazioni
sieno nella Chiesa di Gesù Cristo; e la parte non debbe che
servire al suo tutto. Questo cercate di imprimere profondamente
nell' animo del vostro giovane: lui felice se egli ne
riceverà l' impressione, e la porterà incancellabile seco tutta
la vita! Ma voi felice sempre all' incontro, quando ne avrete
fatti tutti gli sforzi, avvegnachè non ne cavaste verun effetto!
Rispetto al merito che avanti Dio conseguite, il solo
tentare è quanto formare alla Chiesa di Cristo un figlio devoto.
Così al giovanetto sarete utile; ma a voi stesso poi
sicuramente. Quando avrete passato qualche anno, se vorrete
venire da me, ah con quanto piacere vi stringerò al
mio seno! Ma vorrete poi allora venirci? assai ne temo pensando
al tempo avvenire. Chi sa in quale stato allora io mi
trovi! forse in uno stato da cui voi rifuggirete. Pregovi
perciò solo d' una cosa: di non fare altra risoluzione della
persona vostra senza comunicarmela. Io v' amo, e l' amore
mi dà questo diritto.
Da sei mesi sono a Milano. Quanto mi lega il cuore la
memoria del gran S. Carlo! quanto mi muovono i monumenti
di lui che da per tutto s' incontrano, le moli materiali
e quelle erette nei cuori de' cittadini, e venute a' posteri
per eredità! Malagevole cosa parmi di trovare altra città
più di questa pietosa.
In questi sei mesi molte cose ho fatte, di cui quanto diletto
avrei se potessi parlarne con voi a voce! Avvi speranza
che veniate in Italia? Se veniste a Genova, un solo avviso
basterebbe che me ne deste, perchè io volassi ad abbracciarvi.
Scrivetemi, ma ditemi ogni cosa più per minuto che
potete delle circostanze in cui vi trovate, e delle occupazioni
in cui dividete la vita. [...OMISSIS...]
1.27 Voi vorreste sapere ciò che io senta di quella questione;
« se sia peggio avere un ottimo ingegno accompagnato da
un cuore malvagissimo; ovvero un ingegno debolissimo accompagnato
da un cuore ottimo ». La risoluzione mia di tale
questione già sapete che è la vostra. Le ragioni principali
sembrammi le seguenti:
1 Il talento è un dono, e l' uso del talento è un fatto
nostro. Ora il talento per se stesso non ci aiuta ad adoperarlo
bene, anzi ci può tentare d' usarlo male. Il cuore all' incontro
ci inclina ad usar bene il talento che abbiamo.
E` adunque più pregevole la dote del cuore, perchè è quella
che dispone a fare bene le operazioni che sono nostre; la
virtù in somma, dalla quale sola può avvenire all' uomo
lode, come di cosa sua;
2 Il talento non ci fa felici, se è male usato; il cuore
all' incontro ci inclina alla virtù, e così ci aiuta pure ad
ottenere la felicità. L' esperienza ne somministra continue
prove e illustri nelle storie. Salomone, Origene, Tertulliano,
per lasciare l' orgoglio de' filosofi greci e di altre nazioni,
sono stati resi infelici dai loro talenti;
3 Gesù Cristo non lodò mai le doti dell' ingegno, ma
sempre quelle del cuore;
4 L' ingegno è proprio anche del demonio, cioè dell' essere
il più cattivo; non così il cuore;
5 Gli uomini amano più il bel cuore , che l' ingegno.
Quindi anche al mondo i grandi ingegni sono stimati come
pericolosi, e hanno di solito molti nemici: quelli che hanno
un bel cuore sono amati da tutti.
Satisfatto così alle vostre domande, chiudo anche questa
in fretta. Salutate tutti, specialmente il caro vostro fratello.
Io per grazia divina lavoro, parmi, più del solito. Veggo
chiaramente la volontà di Dio, che io debba essere ancora
lontano da voi. Prima che sia perfetta quest' opera, anderanno
quattro anni almeno. Mi cresce tutto sotto le mani.
Il Signore mi sparge di fiori veramente questi aspri sentieri,
in cui da per tutto trovo degli ingegni caduti, precipitati.
[...OMISSIS...]
1.27 Vidi la impresa dell' Appendice da voi assunta
appresso il Mazzetti, e molto ne godetti sì come di cosa utile
alla patria, ed a voi onorevole, o se più vi piace scambiar
gli epiteti. Io vi conforto certamente a corrispondervi con
quell' amore che sapete fare, volendo. Sopra tutto poi vi lodo
per li vostri sentimenti d' equità, di giustizia, di benevolenza,
di magnanimità ancora, che mostrar volete in essa
e nutrire. Questa è pur la via di confondere i vostri nemici,
anzi d' annichilarli. Il nimico non è distrutto, non è annichilato
quando, sparita ogni animosità, nella stessa persona
si è rimasto il solo amico? Ma senza di ciò, qual piacere
più grande che quello che si gode nell' amare illimitatamente
e fuori d' ogni passione, d' ogni pregiudizio, la verità,
la giustizia? Bella è la verità sia nelle bocche degl' inimici,
sia degli amici. Oserei quasi dire, che quand' essa si sa gustare
in una bocca inimica allor mandi fuori una fragranza
di nuovo genere, sia una voluttà più squisita ancora e più
cara! Ma quanti son quelli che sanno cogliere questo diletto
tanto squisito e tanto spirituale? Ciò non possono che
l' anime delicate e sublimi, che fornite di sensi dello spirito
sottili e potenti percepiscono ciò che è nulla per l' immensa
schiera volgare. Non solo vi farete onore seguendo questi
vostri pensieri, non solo appagherete voi stesso, ma ricoglierete
ancora di ciò un vero merito presso Dio.
[...OMISSIS...] [...OMISSIS...]
1.27 Ringrazio sommamente la bontà di V. E. Rev.ma per le
osservazioni che ha avuto la degnazione di comunicarmi
sul piano de' Sacerdoti della Carità. Avendo io tutta la fiducia
in Lei, a che la sua carità mi dà sempre nuovi conforti,
e non essendo ancora venuto il momento che io possa,
ciò che sommamente desidero, trasferirmi in cotesta capitale
del mondo cattolico ad ossequiarla in presenza e ricevere
a voce i suoi consigli; mi permetta di sottometterle
in iscritto degli schiarimenti sul piano de' Sacerdoti della
Carità relativi alle osservazioni ricevute.
Le osservazioni di quei degni soggetti, di cui l' E. V. ha
avuto la bontà di sentire il parere, spero che in gran parte
provengano dalla brevità onde si trovava esposta la idea
del progetto che Le ho spedito; per la quale brevità moltissime
cose rimanevano indeterminate, e forse non si poteva
nè pure intendere ben chiaro l' intenzione della progettata
instituzione.
L' intenzione immediata dell' Instituto ideato non è tanto
quella di spingere i fedeli che n' entrassero a parte a fare
cose nuove e grandi, quanto a fare bene tutto ciò che ogni
Cristiano è obbligato già precedentemente di fare dallo stato
in cui si trova: gli stessi voti religiosi, non solo di loro natura,
ma ben anco per particolare intenzione dell' Instituto
in discorso, non sono considerati che come aiuti a fare bene
gli obblighi che ciascuno si trova di avere; sicchè tutta la
instituzione non sarebbe, dirò così, che un sistema di mezzi
a fare bene ciò a cui si è precedentemente obbligato.
Ritenendo questa considerazione, che è, dirò così, l' ultima
espressione dello spirito dell' Instituto, aggiungo gli
schiarimenti a ciascuno dei quattro paragrafi nella veneratissima
sua lettera contenuti.
Il primo paragrafo riguarda la vastità del piano. E confesso
che è effettivamente molto vasto, considerato da un
lato; ma considerato dall' altro, ha il compenso della più
grande limitazione. La vastità dell' Instituto è di un genere
negativo: cioè a dire consiste nel non mettersi da sè stesso
verun limite ad operare quanto è di gloria di Dio e di salute
del prossimo: nel non mettersi nessun impedimento volontariamente
e per legge del suo impianto: e sotto questo
suo aspetto può sembrare vastissimo. Ma non consiste già
nell' assumere tutto ciò, nel cercare di fare tutto quello che
per la sua instituzione potrebbe fare, tutto quello che non
gli è impedito di fare. Anzi quando si tratta di intraprendere
realmente qualche opera che possa riguardare la gloria
divina, o la carità, egli è realmente più limitato e ristretto
di tutti gli altri instituti: perchè gli altri instituti ciò che
si propongono di fare cercano anche da sè stessi di farlo,
e senza esserne punto chiamati dal prossimo lo intraprendono;
mentre i Sacerdoti della Carità propriamente parlando
non si propongono, e non intraprendono nulla fuori
della propria santificazione, senza che vengano richiesti dal
loro prossimo di qualche servigio caritatevole: e in questo
caso lo assumono con quella prudenza che è necessaria, dovendo
già dalle loro costituzioni essere obbligati a farlo
sempre, ma solo quando le loro forze, secondo il giudizio
de' superiori, sono a quell' incarico proporzionate.
In tal modo i Sacerdoti della Carità sono nella stessa
condizione in cui si ritrova qualunque fedele desideroso di
santificarsi: egli non ha verun limite, e tutte le buone opere
gli sono possibili: ma tuttavia procede con giudizio nello
assumerle, e non lo fa che col giudizio del proprio direttore.
Tale si può dire è il membro della Congregazione dei
Sacerdoti della Carità, se pur si aggiunga questa differenza,
che il membro di simile Congregazione si esercita nella
formazione del suo spirito per essere atto ad estendere più
che gli sia possibile la sua carità, quando il Signore gliene
presenta occasione. Il perchè, si può dire, che sieno due a
questo proposito le cose particolari di tale Instituto: la prima
consiste, non già nel prescriversi ogni atto di carità verso
Dio e verso il prossimo nel senso di volerli immediatamente
assumere, ma bensì nel non mettersi alcuna limitazione in
questo proposito, e nel non impedirsi che venendo l' occasione
non possa assumere ciò a che mai potesse chiamare
il Signore; la seconda consiste nel non assumere positivamente
nulla della vita attiva, ma assumere per propria elezione
solamente ciò che spetta alla contemplativa, e passare
lentamente all' attiva mediante le particolari manifestazioni
della volontà divina, quando cioè si presentano le particolari
occasioni d' esercitare la carità in modo che, secondo
un prudente giudizio, è convenevole di abbracciarle.
Il secondo paragrafo contiene due difficoltà: la prima
riguarda la relazione delle due vite contemplativa e attiva,
perchè non vengano in collisione fra loro: la seconda riguarda
il voto di povertà.
Ciò che ho detto toglie forse, almeno in parte, la prima
di queste due difficoltà, giacchè l' ordine delle due vite dovrebbe
consistere in questo, che la contemplazione è scelta
per elezione indipendentemente dal prossimo; ma all' attiva
non si passa se non per le richieste del prossimo, abbandonando
in tal caso per motivo di carità in parte la vita
contemplativa, e così lasciando Iddio per Iddio. Il principio
poi regolatore, per dire così, delle due vite è la maggiore
salute spirituale dei membri stessi dell' Instituto, estimata secondo
il giudizio dei Superiori; per cui si vede che lo spirito
di questo Instituto porta, che il primo carattere de' Superiori
sia quello d' essere altrettanti padri spirituali dei loro
soggetti: di che ne viene, per dirlo di passaggio, che i Superiori
tanto è lungi che possano fare ad arbitrio ciò che
vogliono de' membri a loro soggetti, che anzi dalle costituzioni
debbono essere obbligati e ristretti di non comandare
nulla, se prima non giudicano che ciò che comandano
sia del maggior bene spirituale di quelli cui lo comandano;
poichè la carità verso di questi e la loro santificazione è
lo scopo principale ed immediato del loro magisterio. Aggiungo
qui a questo proposito la carta intitolata: « Brevis descriptio
societatis a caritate nuncupatae », perchè ne' primi
quattro paragrafi si trova forse anche meglio esposta questa
idea.
Riguardo poi al voto di povertà egli sarebbe così concepito,
che i religiosi ritenessero il radicale dominio dei
beni temporali (ciò che credo facciano anche i Gesuiti); ma
che rimettano nei Superiori l' attuale diritto di disporre a
a loro arbitrio dei medesimi. Ciò tuttavia che questo voto
avrebbe di non comune sarebbe di più questo, che la stessa
Congregazione fosse essenzialmente povera e non potesse
possedere nulla, nè realmente mai nulla possedesse. Dei
beni però necessari si partirebbe il dominio radicale dal diritto
di disporne: il primo apparterrebbe ai singoli religiosi,
il secondo ai Superiori. Il dominio radicale però vorrebbe
essere conservato tale che in faccia alla legge civile il
membro della Congregazione apparisse proprietario come
qualunque altro cittadino: ed il voto che lo obbliga di lasciare
al suo Superiore la disposizione de' propri beni sarebbe
semplice e privato, cioè cosa che non passa se non
fra lui e il Superiore; sicchè non sarebbe nè pure assurdo
che egli restasse secreto, come avviene di qualunque convenzione
privata, la quale non passa alla cognizione del
pubblico per sua natura ma per accidente. Lo spirito della
Congregazione poi è certamente quello di evitare più che
mai sia possibile le liti; ma quando ciò al tutto non si potesse,
dovrebbe certamente il membro possidente essere rappresentato
a quel modo che vengono rappresentate le Congregazioni
in corpo negli altri instituti, e la Chiesa stessa
per ciò che possiede; e la lite dovrebbe farsi a spese del
soggetto a cui spettano i beni di cui si tratta. Ciò che tal
cosa può avere di poco conveniente è compensato da altri
sconci che si pensa in tal modo di evitare negli Stati laicali,
come è facile riconoscere.
Il terzo paragrafo, oltre delle osservazioni intorno al
voto di povertà di che ho parlato, non approva che i Sacerdoti
si mantengano del proprio, perchè così la Congregazione
andrebbe ad essere sempre povera di soggetti,
quando per l' impresa di quasi immensa estensione che assume
fa mestieri che ne abbia un buon numero .
Apparisce che quest' osservazione è appoggiata sulla
opinione che la Congregazione voglia positivamente intraprendere
tutto ciò a cui non si limita: il che se fosse, bisognerebbero
dei soggetti all' infinito. Ma la Congregazione
all' incontro non intraprende nulla; ed essa non fa che costituirsi
in uno stato di profondo raccoglimento, di ritiro,
di orazione, di studio; le mansioni della vita attiva non sono
per essa, dirò così, che accidentali o almeno sopravvenienti,
e, sopravvenendo, essa non è obbligata ad assumere se non
quelle che trova alle proprie forze adattate. Se il Signore
le manderà molti soggetti, farà di più; se ne avrà pochi,
farà poco; e la sua legge sarà quella del buon Tobia; « quomodo
potueris, ita esto misericors ». E il Signore sarà contento
del servigio che gli si presterà con ilarità, anche essendo
poco, quando di più non si possa. D' altro lato, come
diceva, lo spirito e la intenzione della Congregazione non
è quello di fare molto, ma di fare bene. Tuttavia confido
che Iddio, quando lo voglia, non mancherà di provvederla:
ed a ciò osservo, che non essendo ripugnante allo spirito
di questa Congregazione il ministerio pastorale, ciò servirà
molto ad aiutarla temporalmente del necessario.
Nel quarto paragrafo, oltre notarsi l' estensione del piano,
di cui ho parlato, si nota l' estensione del voto dell' obbedienza,
e si riflette col paragone degli altri Instituti, che se
i santi Fondatori dei medesimi hanno creduto necessario di
aprire una scuola appositamente per ogni ramo di carità;
come starà bene un Istituto che li raccolga in sè tutti?
L' estensione del voto dell' ubbidienza potrebbe dare certamente
timore se i superiori potessero ad arbitrio comandare
tutto quello che volessero a' loro soggetti: ma ciò non
è. E se la potestà de' superiori è estesa a quel modo stesso
che è esteso l' Instituto, perchè non ammette esclusione di
oggetti intorno a cui si possa esercitare la carità; è anche
limitata a quel modo che è limitato l' Instituto, il quale non
intende di assumere nessun ufficio caritatevole se non sia
prima ponderato a tenore delle regole di prudenza: e questa
è la base delle costituzioni che si converrebbono estendere;
sicchè, come ho detto, il superiore ha per primo carattere
quello di essere il padre spirituale de' soggetti, ed ha per
primo suo incarico ed ufficio di esaminare le loro forze, e
non solo le loro abilità, ma specialmente il loro spirito, per
vedere ciò che possono portare. Oltre di questa limitazione
generale le Regole o Costituzioni dirigono il superiore stabilendo
i casi principali nella concorrenza degli uffici caritatevoli,
e determinando quali sieno preferibili. Il superiore
ancora viene aiutato da degli Assistenti, e viene
limitato dai suoi propri superiori; fino che supponendo l' Instituto
già esteso, si ascende al primo, la potestà del quale
non riuscirebbe più estesa di quella del Generale de' Gesuiti,
e finirebbe poi tutto nel Romano Pontefice, al quale
desidererebbe la Congregazione di avere la più stretta e speciale
unione che le fosse possibile. A tutto questo conviene
aggiungere tutto ciò che lo spirito dell' Instituto contrappone
di preparazione; giacchè il noviziato sarebbe lungo e
rigoroso, e la classificazione delle persone che lo compongono
darebbe luogo ad un grande apparecchio e a prove
di quelli che dovessero essere destinati ad essere nel medesimo
Superiori. La classificazione delle persone è esposta
nella carta « Brevis descriptio » ecc. dal paragrafo 5 al 16, che
anche per questo unisco alla presente; essendo necessario
che V. Eminenza la consideri. Si dirà forse che a malgrado
di tutte le prove, di tutti gli esercizi, del rigore del noviziato
e disciplina interna, della lunghezza degli studi, e di
tutti i mezzi di preparazione di cui l' Instituto intende di
non trascurare nessuno; a malgrado della severità nel ricevere
i membri aspiranti, e della facilità dell' escluderli;
l' Instituto non si può però giammai assicurare dell' umana
malizia e dell' umana debolezza, per cui delle persone che
avranno anche date tutte le prove e che avranno mostrato
per lungo tempo un' apparenza favorevole, potranno poi scoprirsi
come indocili e ricalcitranti, e turberanno l' armonia
dell' Istituto. Ma oltre che ciò è un difetto inevitabile ed è
proprio anche di qualunque altro instituto; l' Instituto presente
però verrebbe ad avere un provvedimento suo proprio,
mediante il quale si potrebbe sempre depurare e scaricare
di tutto ciò che ha dentro di nocivo senza dare nell' occhio,
senza offendere soverchiamente queste persone che non abbastanza
corrispondono alla perfezione dell' Instituto; giacchè
il superiore può trovare per esse un ufficio e collocamento
esterno; appunto perchè non è di essenza dell' Istituto, che
tutti i membri convivano stabilmente insieme, ma non ripugna
nè pure che qualche suo membro sia posto per giusto
titolo fuori dell' Instituto, senza che cessi per questo di appartenere
al medesimo. Non riguarda già questo discorso i
delinquenti e perversi (che sono una irregolarità d' altro genere)
ma bensì i membri che si trovassero non bastevolmente
fervorosi e perfetti, quali conviene che sieno quelli
pertinenti all' interna convivenza, e dai quali forse gl' instituti
generalmente hanno a temere di più. E tale esperienza
si rende maggiormente possibile, in quanto che ciascuno
ha onde mantenersi. Di che ne viene che sebbene l' Instituto
si prefigga di educare i suoi membri ad una grande
perfezione, ad una intera indifferenza e ad un continuo
sacrificio di sè stessi, e se ciò non creda di avere ottenuto
non gli ammetta nè nel numero de' preti della società , nè
nel numero di coadiutori : tuttavia quand' anche essa fosse
ingannata intorno a ciò e avesse ricevuto per errore in
questo numero di quelli che n' erano degni solo in apparenza;
essa avrebbe ancora un mezzo di rimediarvi collocandoli
in un posto esterno, nel quale non si esigesse quella
grande perfezione che essa ardentemente desidera in tutti
i suoi membri. Così il non mettersi appunto alcuna limitazione,
porta il vantaggio, che essa può più facilmente farsi
tutto a tutti, e rendersi il peso più o meno pesante secondo
le forze: giacchè le promesse di quelli che entrano in questa
società non si stendono più là della volontà del superiore,
che viene in tal modo diretta dai regolamenti.
Finalmente riguardo all' ultima difficoltà che è quella di
educare bene i membri della Congregazione in tanti rami
di carità; anch' essa procede dall' ipotesi che s' abbia in animo
di abbracciarne a dirittura molti; mentre è prescritto alla
Congregazione di fare solamente ciò che può, e di non accettare
incarico alcuno che non possa bene eseguire. Quindi
una delle sue principali regole debb' essere quella di stare
costante in quel primo ramo che intraprende, e di non passare
leggermente ad un altro; ma nella alternativa o di
cogliere la circostanza di migliorare ciò che ha cominciato,
o di cominciare una cosa nuova, debba sempre « caeteris paribus »
stare al primo partito.
Prego V. Em. di considerare tutto ciò, e di comunicarmi
i lumi che crede necessari. V. Em. è la sola persona, in
cui abbia piena confidenza: la natura del piano fa sì che
vada assai rilento ad aprirmi con altri, essendo tanto difficile
trovare persone atte a giudicarne.
Finalmente unisco altresì un libro scritto che può dare
qualche lume a giudicare dello spirito che dovrebbe animare
questa instituzione, se Iddio lo vorrà, col titolo di « Trasunto
delle massime principali » ecc..
Le bacio rispettosamente le mani, e raccomando il tutto
particolarmente alle sue orazioni; giacchè certamente, se
di ciò qualche cosa avviene non può essere che il frutto dell' orazione,
come ben dice V. Eminenza,
[...OMISSIS...] [...OMISSIS...]
1.27 La vostra lettera mi è apportatrice di cosa non già sorprendente,
ma carissima. E che sorpresa darmi poteva la
vostra risoluzione, quando m' era già noto il vostro cuore
ardente di amor di Dio e fatto per lui! A me non torna
più meraviglioso il vedere l' uomo di tai sentimenti fornito,
esser tirato alla Religione, di quello che vedere il pesce attratto
dall' esca, o l' uccello dalla pastura. « Confortare » adunque
« et esto robustus valde », perchè il Signore tanto v' ama che
vi crea nel cuore così santi desideri. Sì, sì, nulla più bello,
nulla più caro che fuggire di questo mondo e ripararsi dalle
procellose onde che tutto il sommergono, nel sicurissimo
porto della Religione: nulla più desiderabile che fare in essa
una consecrazione solenne di noi stessi al Signore. Allora
siamo entrati nel nostro talamo . Oh quanto sono dolci le
caste rose, di cui tutto è cosperso! oh quanto è magnifico
questo talamo agli occhi fedeli, e come perde al suo confronto
la magnificenza di quello di Salomone! Beato dunque
io vi credo di tale sposalizio, a cui il Signore vi vuole
elevato.
Ma vi potrò tacere, mio caro amico, vi potrò tacere quello
che serbo da molto tempo gelosamente chiuso nel cuore?
Non più, dopo la vostra amorevole confidenza. E bene, sappiate,
che anch' io ho fatto una consimile risoluzione; ho risoluto
cioè di fuggire di questo secolo e di entrare nella
Religione. Ma voi mi domanderete impaziente, se penso anche
io di vestire l' Ignaziane divise? Infinitamente amo queste
divise che stamperei di mille baci; queste divise che sono
pur quelle, se mi è lecito tanto dire, de' pretoriani di Cristo.
Tuttavia Iddio me chiama ad altro; e sapete quanto si debbano
attentamente ascoltarne le voci e seguirle con fedeltà.
Sono chiamato ad altro, come diceva, ma sono pur chiamato
alla Religione. Essendo voi di Ignazio, non cessate di
essere di Gesù, di cui sarò anch' io, lo spero, e perciò saremo
al servizio dello stesso Capitano, e ci ameremo in lui,
come commilitoni, sotto alle stesse bandiere. Forse vi piacerebbe
sapere di più: e io tutto vi dirò, quando potrò vedervi
e abbracciarvi: ma per ora vi basti il cenno che ve
n' ho fatto. Non è però che io sappia il tempo stabilito dal
Signore all' effetto di tale divisamento, come nè pure voi lo
sapete. Preghiamo adunque insieme, preghiamo incessantemente,
perchè da lui solo deve venire ogni cosa. Io vi abbraccio,
e dicovi di bel nuovo, pregate.
Voi volete sapere la mia opinione sul dovere di assoggettare
affatto i propri giudizi all' autorità altrui; ciò che si
fa nella Compagnia di Gesù. S. Ignazio conobbe la forza
che avrebbe la sua religione, introducendovi la maggiore
uniformità possibile in tutte le cose, e quindi anche il maggiore
consenso nelle dottrine. Non nego si possano dare dei
casi ardui a superare. Tuttavia, generalmente parlando, la
sottomissione della nostra mente è il primo requisito di un
buon religioso. Non gli varrebbero tutte le altre virtù, anche
eroiche, se non sapesse comandare a se stesso in questo
punto; e sacrificare i propri pensieri all' autorità dei Superiori.
Questo è ciò che conserva in un corpo di molti l' unità
e la bella armonia. D' altro lato ciò non è impossibile nei
casi comuni; perchè comunemente le cose che ci vengono
contradette, non hanno evidenza. Non avendo adunque evidenza,
diventa un effetto dell' amor proprio lo affermare
come certa la propria opinione, anzichè dubitarne. Tosto poi
che si dubita della propria opinione, non è più difficile abbracciare
l' altrui, anteponendo quel giudizio al proprio. Non
fa egli così naturalmente chi ha un sentimento veramente
basso di se stesso?
Confesso nondimeno avervi, in tal materia, grande difficoltà
in due casi (che mi sembrano però assai rari), e sono:
1 Se nella opinione da me abbracciata, dopo spogliato me
stesso dell' amor proprio, trovo che c' è l' evidenza , come sarebbe
in una dimostrazione matematica. 2 Se nella opinione ,
che mi si vuole fare abbracciare, trovo con evidenza
la falsità . In questi due casi è impossibile, ed anzi non si
deve prestare l' assenso interno, ma ritenere la propria opinione,
senza però disturbare la Comunità, quando non si
riesca di persuaderla ai superiori. Questi casi del resto, come
dicevo, sono assai rari, ed è quasi sempre il nostro amor
proprio quello che aggiunge alle nostre opinioni maggiore
grado di certezza che esse non abbiano. Un uomo che si è
reso vero umile e stolto per Gesù Cristo, trova rare volte
assai un tale caso; ma non è al tutto impossibile e confesso
che sarebbe alquanto imbarazzante. Ciò che facciano
presentemente i Gesuiti, a questo riguardo, io non so, spero
però che non vorranno obbligarsi a tenere le dottrine di
Molina, o di qualche rilassato moralista; nol credo al tutto;
anzi credo che procederanno in ciò con tutta prudenza.
Questo è ciò che posso solo dirvi in tal fatto. Il religioso
in somma debbe essere inclinatissimo a deporre il proprio
sentimento e ad assumere l' altrui; ma alla profonda umiltà
ed all' intero spregio di sè egli debbe congiungere un tenero
e incrollabile amore alla verità nell' ubbidienza e nella
carità.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
Vi ringrazio dell' ultima vostra tanto più quant' essa è
tutta fiorita, come la stagione in cui siamo, ed invita come
essa i nostri pensieri a sollevarsi alla bontà ineffabile del
Creatore, che dei suoi benefici continuamente ci ricolma.
Sì, siamogli grati: pensiamo continuamente a lui, siamo in
somma tutti suoi. Non è questa l' unica felicità del nostro
cuore? Così so che il vostro cuore dice: così sento che dice
il mio, per la grazia del Signore, a cui male rispondo. Non
v' ha nulla di più dolce di questa consensione di volontà e
di affetti, che spero sia in noi; e voi dubiterete, come sembra
da qualche tratto della vostra lettera, che io vi sia meno
amorevole? Nè pure se io volessi, non potrei non amarvi;
ed amarvi più che da fratello. Non vi porti sospetto alcuno
la radezza delle mie lettere; date ciò ai miei affari ed al
difetto che ho della negligenza in molte cose di seconda necessità:
per l' animo, credete pure che l' ho pieno d' affetto
per voi, che voi rammento spesso innanzi al Signore, che
m' è caro parlare di voi, sentire di voi nuove, e più di tutto
riceverle da voi stessa. Questo è in me naturale, ma spero
che sia radicato ancora nel Signore, come procuro di fare
di tutti gli affetti. Spero ancora che ciò vi sarà più caro,
il trovarci cioè nel Signore in perfetta unità di cuore:
questo è il vero centro del più grande amore, della più
grande congiunzione de' cuori; anzi questo è il solo centro,
questo è il mare dell' amore. Addio. Fate orazione per tanti
bisogni che mi aggravano; intendo dire in primissimo luogo
i miei peccati.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.27 Ottimamente parmi che voi diciate nella soluzione del
difficile caso, in cui si collidano insieme i doveri verso all' obbedienza
e quelli verso alla verità. Ma sopratutto è verissimo
quello che aggiungete, dovere noi sperare nel Signore,
che egli non permetterà simile scontro. Senza dubbio
questa è ragione ferma, e che non può dare in fallo. La
sola confidenza in Dio ci può assicurare in molte parti, nelle
quali, senza di essa, ci troveremo sempre vacillanti e sospesi.
Questo bisogno di rimetterci tutti in Dio, ce l' ha fatto
sentire Gesù Cristo, fra l' altre volte, allora che ci ha insegnato
di pregare con quella petizione: « Et ne nos inducas
in tentationem ». Iddio solo può tenerci lontani da quegli accidenti,
in cui la virtù più forte può essere messa a pericolo,
e che non si trovano solo nella Religione, ma più assai
nel mondo. Per questo abbiamo letto dello stesso Gesù Cristo
« Angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus
viis tuis »; ed è pure ciò di tutti quelli che sono una cosa
con Cristo, o sia che in lui pienamente confidano. Noi camminiamo
per questa terra, e non sappiamo dove andiamo,
se in luoghi di rischi e di difficoltà, o in luogo facile e
piano. La confidenza sola in Dio ci può a pieno tranquillare
nella perpetua incertezza de' pericoli, e questo debbe
dileguare, a mio credere, dall' animo ogni nebbia anche
sul dubbio proposto.
Per altro il precetto di S. Ignazio non è così assoluto
come forse s' imagina; perocchè egli vi aggiunge, dove lo
enuncia: « « quoad eius fieri poterit . » » Così nel cap. I della
parte III, parlando del conservare i Novizi nelle cose utili
all' anima e al profitto nelle virtù, così dice: [...OMISSIS...] .
Così pure nell' ultimo capo delle Costituzioni,
e dove insegna il modo di conservare ed accrescere tutto
il corpo della Società, tocca il consenso nelle dottrine, ma
sempre colla stessa clausola di fino a che è possibile . E`
bensì vero che tutta questa moderazione nulla varrebbe sotto
Superiori eccessivi; ma questi, ripetiamolo, non sono da temere
per la misericordia del Signore: e, se anche permettesse
il pericolo, è certo che egli darebbe a chi spera in
lui il modo d' escirne. In fine io credo, che non ci sia da
titubare circa il darsi alla Religione; essendo ciò atto
gratissimo a Dio, che non si lascia mai vincere in generosità.
Del pensiero vostro poi circa i Benedettini, nulla posso
ben dire, se non che maturiate la cosa con lunghe, lunghe
orazioni. Mi è piaciuto sommamente l' ultimo articolo della
seconda parte della Somma di S. Tommaso, il quale mi ha
dato il più gran conforto; poichè in esso prova che circa
l' andare o non andare in religione, non si debbe consultare
nè pure cogli amici; perchè è cosa da sè manifestamente
buona, che non ha bisogno di consiglio: ma che il
consiglio è necessario per sapere scegliere fra i vari Instituti
religiosi, qual meglio a noi convenga . Leggete quell' articolo,
che mi pare pieno di spirito di Dio, e che vi darà
consolazione, come l' ha data a me. Per altro non vi lasciate
prendere dall' inclinazione o dall' avversione a veruna cosa,
a verun ufficio. Non vi pare essere atto a predicare o a
confessare? Lasciatelo dire a' vostri Superiori, e voi ponetevi
coll' animo in una perfetta indifferenza a tutto; pronto
anche a predicare, a confessare, a fare tutto ciò, a cui siete
meno portato dalla natura, o meno inclinato dall' abitudine.
A me sembra che il primo e principale requisito per conoscere
la volontà di Dio e fare una buona scelta, sia il
costituirsi in uno stato di piena e perfetta indifferenza a
tutto . Oh bellissima indifferenza raccomandata tanto da'
Santi! Questa è quella virtù che rimuove gli impedimenti
a tutti i lumi divini. Solo con questa può il nostro cuore
sentire tutte le più delicate voci del Signore, nel quale amatemi,
e al quale raccomandatemi.
[...OMISSIS...]
1.27 Il vostro ardore, fratello carissimo in G. Cristo, mi consola
e conforta. Io lo tengo come una nuova prova della
volontà del Signore. Come v' ho scritto, io sono già pronto.
Non è però che all' istante ci possiamo unire. Debbono ancora
precedere più cose, e le due principali sono queste.
Prima, che proviamo ancora un poco il nostro spirito davanti
al Signore coll' orazione e fra di noi colla corrispondenza
letteraria, per accertarci se egli sia uniforme, se egli sia un
solo e medesimo spirito quello che ci chiama. Di poi, che
riceviamo la benedizione dal Santo Padre, perchè fino dai
primi passi noi siamo bene incorporati colla Chiesa, ciò che
è massimamente richiesto dalla particolare indole della instituzione.
Intanto dunque che queste cose si preparano, noi
ci terremo uniti collo spirito, se non col corpo, supplicando
il Dio delle misericordie che ci unisca egli ancora coi corpi,
se, quando, e come cade nell' adorabile suo beneplacito.
Proseguiamo intanto la nostra corrispondenza: essa preparerà
la strada alle costituzioni che formeremo assieme,
appena ci potremo unire di luogo nel Signore.
Le difficoltà che il paragrafo 12 presenta, e che voi avete
molto bene rilevate, sono principalmente due: 1 Il male
che ne verrebbe se il superiore della società, incaricato anche
dell' ufficio pastorale, si raffreddasse nella carità, e desse
de' mali esempi; 2 La facilità che ciò avvenga, dovendo il
suo amore dividersi fra la società e il gregge; per la quale
divisione s' espone al pericolo o di negligentare la società
stessa per l' amore del gregge, o di negligentare il gregge
per l' amore della società.
Spero che esprimendo più chiaramente ciò che io intendeva
dire col (1 2), tutte due queste difficoltà vadano a dileguarsi.
Riguardo alla prima , bisogna fare attenzione che un particolare
carattere della società nell' intraprendere gli uffici
caritatevoli, debb' essere la maturità della prudenza , e questa
prudenza debb' essere indicata ai superiori dalle stesse costituzioni.
Questa prudenza è un particolare carattere della società
in discorso, in quanto che essa non si limita a qualche ramo
particolare di carità, ma, senza limitarsi a nessuno, si determina
però ad uno, o ad un altro, secondo che i superiori
stimano meglio: per cui la prudenza dei superiori guidata
dalle regole stabilite è ciò sopra cui insiste tutto il buon
esito delle fatiche della società. La società adunque non si
obbliga già ad assumere regolarmente l' ufficio pastorale,
ma lo assume con maturità e circospezione in soli quei casi,
ne' quali la prudenza del superiore a cui spetta, giudica ciò
opportuno: cioè in quei casi, ne' quali la società abbia veramente
quella persona da fidarsi, a cui commettere senza
pericolo, e con morale certezza di buon riuscimento, il doppio
incarico di pastore e di superiore. Fino che questa persona
non l' ha, o fino che il superiore a cui spetta mandare, non
giudica in coscienza di averla, non è già obbligata la società
ad assumere l' incarico pastorale, anzi è obbligata a non
assumerlo. Osservate però, che egli non è già impossibile,
che la società venga ad avere di tali persone, stante la lunga
preparazione che fare debbono i membri della società, il
lungo noviziato, i lunghi studi; di poi la vita di raccoglimento,
di silenzio e di disciplina che condurre debbono nell' interno
della società; finalmente ancora la distinzione fra
i presbiteri della società ed i coadiutori; la quale distinzione
presta luogo a non ammettere in quella prima classe che
persone eccellenti, e quindi a stabilire nelle costituzioni,
che solamente dalla prima classe possano cavarsi i superiori
della società ed i pastori. Io propongo oltre di ciò, che nelle
costituzioni si stabilisca, non potersi assumere il carico pastorale
se non da una persona, che abbia cominciato l' anno
trentesimo della sua età. A quest' anno l' uomo, mediante le
discipline della società, può sperarsi ben formato, ed i migliori
di questi uomini formati e maturi possono sperarsi
capaci di sostenere il doppio incarico di superiori e pastori
coll' aiuto della divina misericordia. Da questa stessa maturità
e cautela voi conoscerete, che il governo della società
s' appoggia sopra due massime principali. La prima delle
quali si è: che i superiori della società operino con piena
libertà secondo le regole , come credono in coscienza davanti
al Signore, senza che influisca sopra di loro nessun' esterna
autorità, e nessun esterno motivo. La seconda si è: che la
società non debbe già essere avida di fare cose grandi, ma
di fare bene quel poco che fa : per ciò non debbe fare niente
con istento, e non debbe assumere se non quelle cose che
può fare con comodità; perchè, essendo il suo Signore liberale
e magnifico, debbe tenere per fermo che a fare ciò
che egli vuole, somministri ancora i mezzi con generosità
ed abbondanza, e se questi non ci sono, mostra che non
lo vuole.
Riguardo alla seconda difficoltà , che il superiore, essendo
ad un tempo pastore, venga messo in pericolo di essere negligente
verso la società o verso il gregge; ecco come rispondo.
Nell' amore, che il superiore di un religioso instituto porta
al medesimo, possono cadere due disordini opposti, cioè vi
può avere difetto ed eccesso . Vi può avere difetto: e questo
disordine s' impedisce, mediante tutte quelle regole che sono
rivolte a fare amare l' instituto, ad ottenere il qual fine non
c' è niente di più maraviglioso che le regole di S. Ignazio.
Il disordine poi che nasce per eccesso consiste non già nel
potersi amare troppo un religioso instituto di sua natura,
perchè egli nel suo ordine è infinitamente amabile, e il religioso
tanto è più perfetto, quanto più ama il suo instituto.
L' eccesso dunque, che deve riguardarsi come disordine, è
un eccesso relativo alla Chiesa; cioè il religioso ama troppo
il suo instituto, quando lo ama più della Chiesa, ovvero non
lo ama in ordine alla Chiesa. Ora questo disordine è facilissimo
introdursi, e s' introduce nel religioso, senza che egli
stesso se ne accorga; perchè è un vizio che viene sempre
coperto col manto di santità. Da ciò nasce che il mondo rinfacci
agli instituti religiosi ciò che si dice spirito di corpo ,
e che va a corromperli e a trasformarli, col progresso del
tempo, in altrettante sètte che, invece di studiare e procacciare
il bene generale della Chiesa anche col proprio sacrificio,
finiscono di procacciare prima di tutto i propri vantaggi.
Questo rimprovero viene esagerato dal mondo assai
più che egli non sia in realtà: ma non resta che non abbia
qualche parte di vero, e che non sia questo un disordine
su cui debbono gemere tutti quelli che amano sopra tutte
le cose la Chiesa di Gesù Cristo, e che « dominicis lucris
gaudent et damnis moerent ». La Chiesa di Gesù Cristo sola
è quella che non si può amare mai troppo, nè relativamente,
nè assolutamente; quest' ovile, queste pecore per cui l' Uomo7Dio
ha dato il sangue, e delle quali ha detto, che il buon
pastore dà la sua vita per le sue pecore! L' amore dunque,
che si porta alla Chiesa di Gesù Cristo, è il fine per cui il
religioso debbe amare il suo instituto; l' amore che il pastore
porta alle sue pecore, che sono le pecore dell' ovile
di Gesù Cristo, è la regola secondo la quale si debbe dirigere
l' amore verso il religioso instituto. Il religioso, che
tiene una tale regola, non amerà mai disordinatamente la
propria società religiosa, amando se stesso nella congregazione
a cui appartiene; non si dividerà dalla carità di Cristo
per cercare i propri interessi, ma incorporato al Re dei
pastori, amerà la Congregazione nella Chiesa di Cristo, nel
suo ovile, nelle sue pecore. Egli è per questo che nelle case
che hanno annesso l' ufficio pastorale, il superiore della società
deve essere insieme pastore: perchè egli è mediante
quest' unione di ufficii in una sola persona, che vengono
equilibrati i due amori verso la società e verso la Chiesa,
e che tutti e due tengono quell' ordine che loro conviene.
Il superiore della congregazione in tal modo è simile ad
Abramo, che riconosce Agar per serva, appunto perchè egli
ha per moglie anche Sara. E` stata la libera che ha condotto
al santo patriarca la serva per avere da esso figliuoli, non
è stato Abramo quello che abbia scelta la serva per sua
sposa. Se Abramo avesse sposato solamente Agar, questa
sarebbe diventata la padrona: ma avendo già Sara, Agar
viene tenuta nella sua naturale soggezione e servitù, e
viene anche licenziata, se Ismaele non può convivere insieme
con Isacco. Il pastore dunque che è insieme religioso,
riconosce nella Chiesa la sua sposa, e nella società la serva,
la quale viene sempre tenuta in soggezione dalla padrona.
Le instituzioni religiose debbono essere tutte serve della
Chiesa; fino che sono tali, cessano d' essere l' opera dell' uomo,
e sono l' opera di Dio, cioè di Cristo autore della Chiesa.
Questa debbe essere l' idea dominante particolarmente in
un' istituzione, che ha per iscopo la santificazione del clero,
sempre dipendentemente dall' autorità della Chiesa, acciocchè
non accada mai che la Sposa di Gesù Cristo abbia bisogno
di cosa che essa stessa non assume e non dirige.
Voi vi accorgerete che questo spirito non è già nuovo,
anzi che questo fu sempre lo spirito e il desiderio della
Chiesa. S. Agostino, che era vescovo, faceva vita comune ed
era superiore dei religiosi che egli aveva secondo questo
spirito instituiti. S. Eusebio di Vercelli eseguì pure una simile
instituzione nell' occidente, e di lui si legge, [...OMISSIS...] :
e voi sapete che i chierici
a quei tempi erano addetti alle chiese o come pastori,
o come assistenti ai pastori. Simigliante scopo ebbe poscia
più tardi il vescovo S. Norberto coll' instituzione de' suoi Canonici
premonstratensi; sicchè quest' opera fu più volte nella
Chiesa dagli uomini santi e in diversi luoghi instituita e ripristinata.
Confesso che egli è difficile sostenerla, allorquando
si stabilisce per regola generale, che tutti i pastori, senza
eccezione, debbano essere religiosi, o viceversa, che tutti i
superiori religiosi debbano essere pastori; e forse perchè la
disposizione fu troppo generale, essa non si potè giammai
mantenere a lungo nella Chiesa. Ma appunto per ciò, secondo
l' instituzione nostra, non si stabilisce alcuna necessità
di ciò conseguire per disposizione generale: anzi si stabilisce
che ciò non avvenga se non al presentarsi dei casi
particolari, in cui la prudenza dei superiori giudichi che
quel dato membro della società si possa deputare al doppio
ufficio con morale certezza di buon riuscimento. Così solo
gradatamente, e col tratto di tempo, a tenore della divina
volontà, alla quale spetta di mandare delle persone opportune
a sì difficili incombenze, si verrà effettuando quella
ristorazione nella Chiesa che pare a desiderarsi e si può solo
impetrare dal divino suo Capo.
Nè se l' amore dei religiosi viene in parte diviso dalla
società e dato al gregge di Cristo, verrà per questo la società
abbandonata; primieramente perchè il Signore stesso,
per le cui pecore si lavora, ci penserà: di poi perchè chi
ama il bene delle sue pecore non può non amare la società
fino ch' è un mezzo per la loro salute: finalmente perchè
nella società la scala degli inferiori e superiori anderà sempre
a finire in un superiore generale, il quale sarà servo anche
egli del supremo pastore della Chiesa: dal quale il bene
generale della società finalmente dipende.
In questo modo la società potrà ancora tenersi meglio
nell' umiltà, poichè dovendo succedere che una delle principali
sue occupazioni sia quella di dare gli esercizi al clero
secolare, che è quanto dire di fare in tale occasione la maestra
agli stessi pastori della Chiesa, se essa fosse tutta composta
di semplici sacerdoti, vi sarebbe gran pericolo di vanità;
mentre quando gl' inferiori sieno obbligati di dare insegnamenti
a' superiori, è sempre assai difficile che non sieno
tentati di superbia, ed anche privi della libertà di parlare,
perchè debbono temere sempre di passare i confini della
modestia. Non è già così, se quegli che parla abbia una
speciale missione di Gesù Cristo, e sia rivestito di una dignità
pastorale; e quando anche quelli che danno gli esercizi
non l' avessero, è tuttavia utile che sieno addetti ad un
corpo, in cui vi sieno tali dignità, e non sia un' aggregazione
di semplici preti.
Finalmente speriamo in Gesù Cristo: atteniamoci alla
sua missione: questa missione ci inspiri coraggio: da questa
missione aspettiamo la grazia e la robustezza. Questa missione
che è ciò che rende così augusti i pastori della Chiesa,
che li rende più che uomini, la negligenteremo noi? I religiosi
non avranno ragione di avere una maggiore confidenza
nel loro superiore, quando esso sia un mandato e un
pastore? Non esprimerà più al vivo in se stesso Gesù Cristo?
Non potrà la società confidare in una più intima unione col
suo Signore?
Scrivetemi, vi prego, su di ciò, dopo d' avere intimamente
consultato il Signore: vedete se questi argomenti
fanno quella impressione su di voi che fecero su di me. Comprenderete,
che l' unione dell' ufficio pastorale colla superiorità
della società, è cosa caratteristica dell' Instituto che
sta da tanto tempo nella mia mente: che se si prescindesse
da questo, non sarebbe più quell' Instituto in tutta la sua
perfezione, ma ne sarebbe un altro.
Mostro la lettera prima di spedirvela al conte nostro
eccellente amico, che vi saluta; in esso ho tutta la confidenza,
e di lui spero, come voi ben dite, che sarà, anzi
egli è già un istromento di bontà nelle mani del Signore.
Godo che abbiate trovato acconcio il monte di Domodossola;
dalla descrizione che io ne udii, a me pure sembra
così. Desidero di visitarlo, ma non ora.
Vi abbraccio, mio carissimo fratello ed amico in Gesù
Cristo, nel quale è dolce il morire: Maria ne impetri la grazia.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.27 Il vostro cuore, forse un po' troppo ardente, temo che vi
faccia osservare poco quella prudenza che vi ho tanto raccomandato,
e di cui abbiamo tanto bisogno. Mio caro amico,
lasciate che vi parli con libertà, che vi dica tutto. Ho saputo
che avete ecceduto un poco nel manifestare le vostre
speranze a qualche vostro amico , dicendo delle cose che
non hanno verun fondamento, e che se anche lo avessero
converrebbe diligentemente nascondere. Non già ch' io creda,
che voi abbiate voluto ingannare; conosco troppo la candidezza
dell' anima vostra; ma bensì io credo abbiate ingannato
voi stesso, cangiandovi in una realtà qualche bell' idolo
dell' immaginazione. Per carità siamo cauti e prudenti,
e diciamo piuttosto meno che più; specialmente riguardo
alle cose favorevoli all' opera nostra. Mio caro, questa è una
cosa essenziale: le parole dette o scritte con poco senno
possono essere d' un danno infinito all' opera che il Signore
sembra voglia da noi effettuarsi: noi avremmo da rendere
conto a lui di questo danno; ogni nostra imprudenza ci potrebbe
fare acquistare il titolo di servo infedele, « serve nequam , »
che Dio nol voglia.
Questa cosa mi sta tanto a cuore e la credo così rilevante,
non dico pel buon esito dell' opera nostra, ma per la
salute delle nostre anime, che io credo dovere esporvi meglio
quale sia lo spirito, secondo il quale io ho desiderato
sempre di regolarmi, e che dovrà essere quello della nostra
società, se a Dio piacerà di aggiungerci degli amici.
Questo consiste nell' essere profondamente persuasi, che
noi siamo un nulla, che non possiamo nulla, che tutte le
nostre forze naturali non hanno potenza di fare la più piccola
cosa che piaccia a Dio, e che possa essere di qualche
utilità alle anime nostre, a quelle dei nostri prossimi, e molto
meno poi all' incremento della Chiesa di Gesù Cristo. Gesù
solo, capo della Chiesa, è quello che fa tutto; egli non ha
bisogno di nessuno; e di più egli ha gelosia di questa sua
gloria, a segno che confonde indubitatamente quelli che credono
di fare qualche cosa di vantaggio alla sua gloria e
alla sua Chiesa, da se stessi. In conseguenza di quest' intima
persuasione l' uomo cristiano non solo non debbe credersi
necessario, ma debbe continuamente riguardarsi, com' è, per
un servo inutile . Non essendo egli adunque necessario, non
debbe nè pure avere alcuna ansietà o sollecitudine di fare
delle gran cose, nè fare nelle cose di Dio l' avventuriere e
l' ardito, come fa nelle cose del mondo quegli che cerca di
rendersi celebre e potente. Nelle cose di Dio si debbe fare
precisamente il contrario.
Sulle vicende poi della Chiesa bisogna rimanersi pienamente
tranquillo, persuaso che vive Gesù Cristo, che ha
ogni potestà in cielo e in terra, che fa tutto ciò che vuole,
e che nulla avviene senza che sia regolato alla sua maggiore
gloria, al suo più compiuto trionfo. Che dunque rimane
a fare all' uomo cristiano? Lavorare la propria santificazione,
purificare la propria coscienza, piangere le proprie
colpe, confessare la propria infermità, riconoscere il proprio
nulla, pregare, consumarsi al fuoco d' un intero amore. E
risguardo alle intraprese utili al prossimo, vantaggiose alla
Chiesa? Rimanersi tranquillo in aspettazione della divina
chiamata. L' uomo cristiano nel tempo stesso che sa di essere
un nulla ed impotente affatto per tali cose, sa altresì che
Iddio e Gesù Cristo si può servire egualmente del suo nulla
e fare ciò che gli piace. Egli debbe adunque aspettare se
mai la divina misericordia si degni di adoperarlo come istrumento
a qualche sua opera, acciocchè la gloria di Dio risplenda
nella sua infermità. Egli non sa dunque ancora
niente delle intenzioni e disposizioni divine da se stesso, e
debbe aspettare, ad imitazione di Maria Santissima, che gli
vengano manifestate: egli non debbe prevenire i decreti
di Dio. Può essere che Iddio non si voglia servire di lui,
e in tal caso vivrà nella quiete e nella oscurità del suo
stato naturale, in cui Dio l' ha posto, tranquillissimo, contentissimo.
Può essere che Iddio si voglia servire di lui, e in
tal caso, confondendosi sempre più in se stesso per la grandezza
della divina misericordia, si porgerà docile e flessibile
alla divina mozione, come una verga in mano dell' uomo.
Ma come conoscerà queste divine chiamate, questa divina
volontà? Primieramente dalle circostanze. La principale
regola per interpretarle si è il sapere che Dio dispone
tutte le cose con soavità . Secondo questa regola l' uomo cristiano,
che nulla cerca, nulla altresì ricusa; egli non ricusa
nessuna di tutte le circostanze che da sè gli si presentano
da fare il bene. In tal modo non c' è alcuno sforzo nel suo
operare, perchè da sè le circostanze lo conducono. Egli procura
di fare tutto ciò che fa, in un modo il più perfetto.
Del resto egli non si dà briga di fare più che le presenti
circostanze a lui offeriscono da fare, senza prendersi sollecitudine
del futuro. La sola cosa che studia, sempre, e con
tutta l' attività e le forze del suo spirito, e i desiderii del
suo cuore, si è la propria interiore santificazione: il costituirsi
interiormente in mano di Dio, senza mettere limite
alle sue grazie, lasciando in questo stato che egli faccia
di noi ciò che gli piace. Che risulta da questo spirito, mio
caro amico? Quali sono le massime della nostra condotta?
Eccole:
1 Che noi non abbiamo se non un desiderio solo assoluto,
che è quello di avere una coscienza pura, di portare
la giustizia in noi, e di vivere tranquilli e quieti costituiti
nelle mani di Dio.
2 Di operare il bene secondo le circostanze presenti
adorando in queste la divina misericordia che ce le presenta,
e non desiderando se non quelle che essa ci presenta:
mentre Dio solo conosce ciò che è bene, e ciò che è male
per noi.
3 Riguardo al futuro essere negativi; cioè non mettere
limite da parte nostra alla divina bontà: non impedirci
di fare quel bene, che forse Dio amerà che noi facciamo;
ma non fare calcoli da parte nostra sulle cose future, e disposizioni
colle quali preveniamo la volontà divina. Molto
meno poi dare luogo a delle imaginazioni che fossero esagerate,
anche secondo le conghietture dell' umana prudenza;
poichè in tal caso non opererebbe in noi lo spirito di verità ;
e ciò che non si conforma con questo spirito a malo
est . Siamo dunque semplici, siamo sinceri. La semplicità
ci faccia abbracciare il bene presente, senza pensare ad
altro. La sincerità non ci faccia parlare che di ciò che
noi sappiamo, e che il Signore ama che sappiamo. Non
vogliamo fare le gran cose, ma tutte quelle che piacciono
al Signore.
Per applicare questo discorso al nostro progetto, che facciamo
noi, mio caro? Null' altro che un ritiro di quaranta
giorni; null' altro che un digiuno in comune sull' esempio
del nostro divino Maestro. Questo lo sappiamo, o almeno ci
pare di saperlo, perchè è vicino, e perchè le circostanze
sembrano favorevoli. Sappiamo noi altro? Non già, da comunicare.
Stiamo adunque contenti, e non discorriamo che
di questo. Se noi morissimo anche domani, non lascieremmo
nulla d' imperfetto; perchè la volontà divina noi la compiamo
ogni momento. Se diremo di fare qualche cosa in
futuro, il Signore ce ne punirà, perchè avremo dimentiche
le sue parole. Ma la quaresima ci manifesterà qual cos' altro,
ed allora che sarà venuto il tempo da farlo, sarà pure il
tempo di parlarne; lungi dunque da noi ogni artificio umano,
ogni esagerazione: non vogliamo nulla con questi mezzi;
mentre non vogliamo se non far ciò, a cui il Signore ce
ne somministra degli altri: [...OMISSIS...] .
Non facciamo niente con violenza e per
proprio impulso; non ci lusinghino le speranze; non preveniamo
coi desideri il Signore, fuori che nel piacere a lui:
siamo abbandonati nelle mani della divina Provvidenza, non
per presumere, quasi che ella ci dovesse dare ciò che a lei
piacesse di darci. E` generosa: anzi vince ogni generosità;
ma non per ciò serve alle nostre opinioni, mentre le nostre
opinioni debbono essere regolate a seconda della sua misericordiosa
generosità.
Ecco lo spirito, mio caro, a cui ho desiderato e desidero
di conformarmi, e che sarà pure quello della nostra società,
giacchè è quello comune de' cristiani: spirito tranquillo, moderato,
veniente dalla carità, nella verità del nostro, ma
particolarmente del mio nulla.
Fratello carissimo, noi siamo restati d' accordo prima di
lasciarci nell' ultimo nostro abboccamento, di proporci scambievolmente
gli argomenti delle giornaliere nostre meditazioni .
Io vi propongo appunto questo spirito tanto importante
ad essere bene inteso: aspetto pure che voi proponiate
un argomento a me; se vi aggiungerete una correzione fraterna
sopra qualche difetto che avrete in me scoperto nel
tempo che siamo stati insieme, mi farete la più gran carità.
Voi intanto meditate ciò che vi scrivo, e siate cauto
nel parlare o nello scrivere ai vostri amici ; specialmente
riguardo a speranze future, prive di fondamento: perchè
tutto ciò è contrario allo spirito di verità, di semplicità e
di confidenza nella divina Provvidenza, e non ci fa verun
bene, ma molto male. Essendo io persuaso che voi avrete
la compiacenza di formare argomento delle vostre meditazioni
ciò che vi ho proposto; così spero pure che voi
vorrete comunicare a me tutto ciò che avrete pensato
sopra il detto argomento. Questo carteggio ci sarà utilissimo,
poichè farà sì che ci conosciamo scambievolmente,
ciò che è tanto necessario. Apritemi, vi prego, tutto il vostro
cuore. Voi non parlate che a persona che vi ama
e stima nel Signore sommamente. Non dubitate. Umiliamoci
nel Signore, e pregatelo pel vostro indegno d' esservi
amico A. R..
[...OMISSIS...]
1.27 Confidiamo nel Signore, mio caro, e teniamoci sulla
massima che vi ho esposta nell' ultima mia lettera; alla
quale, con ansietà, aspetto la vostra risposta. Non facciamo
nè pure il più piccolo passo, che non sia nella prudenza e
nella verità del Signore. Vi ripeto; non vogliamo fare gran
cose: nè ci imbarazziamo la mente nel futuro. Il Signore
sia quello che ci induca, anche che ci spinga, per dire così,
ad ogni passo, sicchè non muoviamo piede, senza potere
sperare che non è l' uomo che il muove, ma Gesù Cristo
nell' uomo. Oh noi felici se camminiamo con questa cautela!
Sicchè siamo morti a noi stessi, purchè la vita nostra sia
nascosta con Gesù Cristo, in Dio: [...OMISSIS...] .
V' amo sommamente, mio carissimo,
nel Signore; pace, pazienza e longanimità. Noi non
sappiamo quello che ci facciamo; nè pure quello che dimandiamo:
« Quid oremus, sicut oportet, nescimus ». Quale
debbe essere la nostra confidenza? Quella che segue: « Sed
ipse spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus ».
E ancora: « Qui autem scrutatur corda, scit quid desideret
spiritus; quia secundum Deum postulat pro sanctis ». Quest' è
perciò l' ufficio nostro, che lo Spirito preghi in noi secundum
Deum , dimandando ciò che spetta alla santità; perocchè il
resto farà Dio che scruta il profondo dei cuori, se li troverà
retti. Che farà egli dunque? Ci mostrerà ciò che far dobbiamo;
quanto, e come, e in che tempo e luogo esso vorrà.
Allora noi faremo con intelligenza ciò che faremo: perocchè
Dio ci avrà sparsa innanzi la luce, e nulla faremo più
da noi stessi, ma Dio farà tutto in noi.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.27 Rispondo a ciò che voi mi avete toccato nell' ultima
vostra circa l' estensione dell' Istituto. Voi dite benissimo,
ed io ho sempre riflettuto lo stesso. Ma per la grazia del
Signore, voi vedrete che l' Istituto ideato sarà provvisto di
tali mezzi per conservarsi nello spirito primitivo quanti
umanamente si possano divisare. Poichè questo venendo
più tardi di tutti gli altri, potrà approfittare dei lumi di
tutti, e ciò che lo Spirito Santo ha diviso fra i diversi corpi
religiosi intorno ai mezzi della loro conservazione, qui potrà
trovarsi unito: come è necessario, che chi ha più nemici
abbia altresì più forze, e che in tempi, nei quali la fede è
attaccata su tanti punti, sorga altresì un corpo che sia da
tutti i punti munito: sempre inteso, che la malizia umana
degli uomini, che il debbono comporre, non cessi mai di
essere temibile; giacchè non c' è uomo che possa assicurarsi
di se medesimo. A dimostrare la qual cosa Dio permise
che tutti gli Istituti religiosi deviassero, più o meno,
dal primitivo spirito; acciocchè nessuna carne si potesse
gloriare nel suo cospetto. Ogni corporazione d' uomini è
corruttibile, fuori che la Chiesa di Gesù Cristo; perchè Gesù
l' ottenne dal Padre per ispeciale favore con lacrime e con
clamore possente. Laonde questa è l' opera di Dio e non
dell' uomo, ed è la sola fondata sul Verbo divino che è il
firmamento dello spirituale universo, giusta quel detto che
« i cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno ».
Tolto ciò, perchè non fidiamo ne' consigli umani,
spero, mio caro, che il Signore ci dia tali lumi da formare
un Istituto forte quanto è necessario, e fornito di grandi
aiuti per conservarsi nel Signore e nel suo santo Spirito
quale a principio.
Non mi faccio meraviglia, se a voi sembra l' Instituto
alquanto indeterminato e sparso per la sua estensione, perchè
non ho avuto tempo di comunicarvi minutamente tutto,
come farò. Vedrete allora che l' indeterminazione non vi
sta, dirò così, che in teoria; in pratica si restringe da se
stessa, quanto è bastante per avere solidità. La sua definizione
sarebbe, dovendo ridursi a poche parole, la seguente:
« Un Instituto, nel quale i membri, specialmente sacerdoti,
attendono a fare colla maggiore perfezione tutti i doveri
del proprio stato per essere d' esempio agli altri, e perciò
attendono a pervenire al maggior grado possibile di santità.
E giacchè nella santità propria entra come parte la
carità verso gli altri, esercitata con prudenza evangelica,
essi attendono pure agli esercizi di carità, nell' ordine della
medesima; e perciò esercitano prima la carità spirituale
verso i Sacerdoti, come più eccellente, cercando prima
di tutto la santificazione di questi ». Per venire alla pratica
noi ci uniremo all' orazione e allo studio, che saranno
i due uffici assunti per elezione della vita interna. Lo studio
a che sarà rivolto? Secondo la prudenza de' Superiori, a
conoscere profondamente il nostro stato sacerdotale per poterne
comunicare la cognizione agli altri. Se il superiore
per esempio vede fra noi persone capaci di dare gli Esercizi
spirituali, comanderà a queste di prepararsi per tale
incarico; e così si realizzerà questo ramo della santificazione
del clero.
Ma egli è impossibile che io mi esprima chiaro in una
lettera senza fare un trattato. E` meglio dunque per ora che
stiamo con tranquillità d' animo perseveranti nell' orazione,
e rimessi interamente nelle mani della divina Provvidenza,
seguendo tutti que' lumi che ella ci darà. Non dubitate, mio
caro, anzi mio carissimo nel Signore. Attendete con piena
pace all' opera. Io sono impaziente di essere con voi. Quanto
è buono il Signore! Lodiamolo, esaltiamolo perpetuamente.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.27 Ella mi ha fatto un vero regalo coll' avermi procurata
la conoscenza de' suoi figliuoli. Quei pochi momenti che mi
sono potuto trattenere con essi, li ho goduti pei buoni loro
sentimenti, e specialmente per la stima e per l' amore manifestato
verso il loro padre. Io non posso che sperare, che
il Signore la benedirà nella buona riuscita de' medesimi. La
prego di salutarmeli caramente, e di fare loro sapere, che
hanno in me una persona che gli ama nel Signore, e che
prende tutto l' interesse alla loro felicità.
La tenerezza che Ella mi manifesta pe' medesimi è naturale,
ed essa diventerà un mezzo della loro buona riuscita:
giacchè i sentimenti che l' accompagnano dimostrano che
una tale tenerezza naturale è santificata da un amore superiore,
cioè dall' amore del nostro Dio Gesù crocifisso, nel
quale amiamo tutte le cose. Quest' amore di Gesù santifica
tutti gli affetti naturali, e li dirige, per cui non ci accecano,
ma anzi ci aiutano ad adempiere tutto ciò che troviamo essere
bene per gli altri: gli affetti solamente naturali ed
umani non conoscono ciò che è bene; ma gli affetti dominati
dall' amore di Gesù conoscono il vero bene, e si servono
delle cose umane in rendimento di grazie, per ottenere quel
vero bene, fuori di cui non c' è del bene che l' apparenza.
Quanto Ella fa ragionevolmente, proponendosi di deporre
ai piedi di Gesù crocifisso tutto se stesso! Egli è di qui che
riceverà forza per eseguire i doveri del suo stato presente,
e consumare la sua santa vocazione. Egli è di qui che riceverà
i lumi per bene dirigere i figliuoli, che il Signore
le ha dati, nella via della santificazione, fino che il Signore
stesso coroni l' opera sua, il quale non abbandona giammai
nessuno di quelli che confidano in lui.
Ella sente un non so quale timore in se medesimo nato
dalla coscienza della propria debolezza. Ed in vero è ragionevole
qualunque timore fin che non pensiamo che a noi
stessi. Povero l' uomo se a se stesso viene abbandonato! Ma
rendiamo grazie al Signore, perchè come Ella assai bene
riflette, quando noi ci abbandoniamo in Dio, allora egli ci
dà il suo coraggio e la sua stessa fortezza. Non posso che
confortarla a sempre più imprimersi questa verità. Tutto
lo studio della vita cristiana consiste in due punti: « nella
cognizione di noi stessi, e nella cognizione di Dio ». Questi
due punti bene conosciuti apportano nell' uomo cristiano due
effetti, opposti l' uno all' altro, ed ambidue grandi immensamente.
La cognizione di se stesso gli apporta un estremo
timore, un estremo scoraggiamento; la cognizione di Dio
all' opposto gli infonde una infinita speranza, un indescrivibile
coraggio. Guardiamo che giammai uno di questi due
affetti non sia scompagnato dall' altro nel nostro cuore. Però,
caro amico, temiamo, tremiamo, ma confidiamo insieme
assai. Ci ricorda che non facciamo solo torto a Dio colla
presunzione, ma ancora colla diffidenza: al cristiano non
disconviene solo la temerità, ma ancora la pusillanimità. Non
è questa nostra una felice condizione che non solo possiamo
avere coraggio in tutte le circostanze della vita, ma siamo
ben anco obbligati d' averlo in coscienza?
Oh bontà di Dio indicibile! Ella si adonta se noi ci perdiamo
di cuore; ella esige da noi coraggio tanto grande,
quanto (se potesse essere) è grande ella stessa: un coraggio
infinito. Chi potrebbe metterci questo obbligo se non Dio,
se non un Dio infinitamente buono, infinitamente potente a
soccorrerci? Diciamo dunque coll' Apostolo, nelle nostre angustie:
« Se Dio sta con noi, chi sarà contro di noi? »Ma come
si può sapere, soggiunge l' Apostolo, che Dio voglia stare per
noi? Come? Risponde: non avete un segno palese di ciò,
datoci dal celeste Padre, il quale non perdonò al suo proprio
Figlio, ma per noi tutti lo diede? Come adunque se ci
ha donato il suo Figlio, non ci ha donato insieme con lui
tutte le cose? Come se ci ha dato il più, non ci darà il meno?
Come non ci darà tutte le grazie necessarie alle circostanze
in cui ci troviamo? Egregiamente; dunque ai piedi del Crocifisso
ella deponga tutto se stesso; giacchè questo è il pegno,
come dice S. Paolo, che ci ha dato l' eterno Padre, e la certa
sicurtà, che egli è per darci altresì tutte le altre cose; questo
anzi è il fonte di tutte le grazie che ci abbisognano.
La conforto adunque a farsi un gran coraggio nel Signore,
e a nulla temere in tutto ciò che Ella va ad intraprendere;
scacci da sè ogni dubbio ed ogni trepidazione
con una sola occhiata nel Crocifisso, nostra robustezza e
nostra sapienza. Anzi se ne faccia un obbligo di coscienza,
del coraggio che deve avere; giacchè chi confida in Gesù,
e chi a lui abbandona la sua sorte, e tutte le cose sue, è
certo che Gesù fa per lui. Non ci sia fatto dunque il rimprovero
che Gesù faceva ai suoi discepoli, quando non erano
ancora confermati: « Uomini di poca fede, perchè dubitate? »
Tutto avviene a bene di chi s' abbandona nelle mani
di Quello che dispone tutte le cose. Non ci scandalizziamo
di nulla; non esitiamo; operiamo con franchezza, con libertà
di coscienza, con fede.
Quando Ella sarà a Roma, le scriverò qualche cosa di
più particolare. Ora basti, viviamo alla giornata, con ilarità,
in orazione e rendimento di grazie. Maria nostra madre
comune ci assista.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.27 Ella chiama assai bene correttivo le spine che si trovano
nelle cose umane. Felici quelli che se ne sentono pungere
ben bene le mani! La disgrazia è per coloro che non
ci trovano che le rose. Il senso insensibile a tali spine è
un senso morto, e segna un membro incancrenito. Userò il
suo detto, la religione converte in bene il male. Ringraziamone
il Signore, del bene come del male. Ho pensato
tante volte allorquando io più mi trovava in uno stato di
debolezza e di impotenza: « Questa stessa è una grazia del
Signore, che mi fa sentire il mio stato miserabile, che mi fa
conoscere sperimentalmente il mio nulla, che mi dà tanto motivo
di umiliarmi da fare quest' atto di giustizia, che mi mette
in sulla via di confidare in lui, di abbandonarmivi tutto;
giacchè nulla ora sento onde confidi in me stesso ». La stessa
trepidazione, la stessa mancanza di coraggio allo scontro della
vita perfetta diventa per noi salutare, se ci fa dire in cuore
sinceramente: ecco quanta è la nostra debilezza! se ci fa intendere
chiarissimo, che noi a nostra posta non ci possiamo
avanzare nè pure di un passo, piccolo quant' essere si voglia,
nella via della perfezione e del disprezzo de' beni umani;
perchè questa via è tutta d' un ordine soprannaturale, a cui
nulla valgono le forze naturali, ma solo quelle che vengono
dal Padre: [...OMISSIS...] .
Il che mi fa intendere, che non è nè
pur buono, che ce ne sforziamo noi stessi a vincere questo
ribrezzo, questa ritrosia della natura, perchè non ci riusciremo
mai; e non faremo dei nostri sforzi che cavarne una
certa inquietudine che a malo est . Egli è questo il tempo
in cui vuole il Signore persuaderci di una grande verità,
che egli solo fa tutto in noi, quanto spetta all' ordine soprannaturale:
riconosciamolo pienamente, tranquillamente,
giubilosamente. C' è tanto di gloria di Dio in questa nostra
prostrazione conosciuta, sentita! Che ci resta dunque a fare?
Concentrarci nell' unico desiderio di essere più giusti e di
avere in noi la giustizia nel sommo grado, senza imbarazzarci
del modo onde noi l' abbiamo, senza pensare, senza deliberare
sul nostro esterno. In mano di Dio, in tal modo umiliati,
assetati di giustizia, certi che egli può darci questa giustizia
in tutti i modi, certi che egli ce la darà perchè infinitamente
buono, perchè l' ha detto; viviamo in perfettissima tranquillità
e pace di spirito, indifferenti a ciò che egli dispone di
noi, indifferenti a tutti i mezzi che egli creda d' adoperare
a santificarci, desiderosi solo di essere santificati. Eh sì, il
Dio della consolazione e della pace tira soavemente a sè
questi in lui abbandonati; soavemente, dico, quando e come
a lui piace; tosto, e nel più perfetto modo, quando la resistenza
da parte nostra è veramente cessata, quando siamo
veramente passivi, veramente morti a noi stessi, veramente
persuasi dell' inutilità di tutti i nostri sforzi e di tutti i nostri
provvedimenti. Egli è così, che nell' uomo il quale ha
cessato per amore di Cristo di pensare colla sua mente,
pensa Cristo; e in quello che ha cessato di agire colle sue
forze, agisce Cristo. Beata stoltezza! felice inerzia! E fino
a questo non pensare, a questo non fare l' uomo tanto affatica!
Non può fare nulla, e il cessare di fare così gli costa!
Veramente pare che sia l' apice della nostra virtù il non
fare male, l' essere inutili! In quali abissi di umiliazioni
dobbiamo approfondarci! Quanto io desidererei che il Signore
me li facesse penetrare tutti, perchè colaggiù manderei un
prego potente, onnipotente! Parmi che Ella converrà in
questi miei sentimenti: parmi che quanto dico non sia che
un commentario alla cara sua lettera. Finirò con S. Paolo:
« gaudium et pax »: quiete e tranquillità nel nostro Signore,
a cui mi raccomandi. Io pure il fo indegnamente.
Mentre scriveva questa, ricevo la sua de' 19, nella quale
trovo qualche pensiero simile a quello che io dico sopra...
Quanto mi è dolce il potere essere rammentato nel mezzo
di loro, come Ella mi scrive che faranno! Io sento tanto più
il pregio di questa loro bontà, quanto meno è il mio diritto
d' aspettarmela. Mille cose ai Padulli, ai Somaglia, al
Polidori.
[...OMISSIS...]
1.27 La ringrazio della cara memoria che di me conserva,
e così pure ringrazio il nostro amico nel Signore Francesco.
Egli mi scrive d' essere tutto nell' oro e nelle gioie quasi
per farmi un gradevole contrapposto dello stato del suo corpo
a quello del suo spirito, di cui ben conosco qual sia il segno
diletto: è di legno anzichè d' oro la croce. Ella è ne' medesimi
sentimenti come intendo dalla cara sua. Ah quanto
è grande questo tesoro, quanto è prezioso questo legno!
faccia il Signore che ne comprendiamo la ricchezza inesausta;
nel che avremo ogni sapienza, ogni perfezione, ogni
bene, ogni gaudio, ogni pienezza nel gaudio, ogni stabilità
nella pienezza. E se questo nol potremo avere tosto nel fatto,
l' avremo in isperanza; in una speranza che non confonde,
che vale meglio del fatto; giacchè si fonda nella fede, e
questa ha il merito tanto migliore del premio: se questo da
quello fosse intieramente disgiunto.
Ciò che mi dice dell' imperfezione nel praticare i piccoli
nostri esercizi, ci umilii senza atterrirci, e anzi incoraggiandoci.
Il Signore permette quest' effetto del nostro nulla per
questo stesso, perchè tocchiamo con mano che non ci vale
la possa a sollevare una paglia: giacchè sono veramente
una paglia que' nostri esercizi, e meno ancora, se li confrontiamo
con quello che hanno fatto i santi uomini coll' aiuto
del Signore. Io più imperfetto infinitamente di tutti,
lo veggo, lo sento appieno: e mi suggerisce il cuore, che
sempre farà così con noi la Bontà di Dio, fino che a questa
scuola avremo imparato a disprezzarci, in una parola a conoscerci.
Ah preghiamo il Signore, che egli ci dia questa
preziosa conoscenza di noi stessi congiungendola alla conoscenza
della sua bontà, perchè al tutto non ci atterrisca,
non ci istupidisca dallo spavento! Gesù può vibrare in noi
questi due raggi che collustrino la nostra mente, e le mostrino
i due perni di ogni sapere: il nostro nulla, il suo tutto.
Ciò ci condurrà al pieno sacrificio di tutti noi; giacchè conoscendoci
per nulla, non vorremo più nulla arrogarci, ma
tutto a Gesù consacrare. Allora avremo ogni tranquillità;
nè le cose esterne avranno forza di recarci alcuna agitazione,
perchè saremo fondati nella verità; perchè il nulla
non può ricevere agitazione, nè mortificazione dagli uomini.
Il nulla non può fare nulla, ed il tutto non può avere bisogno
del nulla. Quando saremo nulla a noi stessi, sarà
cessata in noi ogni agitazione ed ansietà, ogni affrettamento
e soverchio desiderio; ma lascieremo che Dio tragga dal
nostro nulla ciò che egli vuole, ubbidendo solo al suo cenno
creatore prontissimi, come ubbidiscono le cose tutte. Impariamo
da queste a conoscere quella voce, a non resistere.
Oh beata passività dell' uomo che come la cera viene maneggiato
ed informato dallo spirito del Signore! Io parlo
queste cose, perchè mi accusa qualche poco di simiglianti
difetti; e parlo sperando nella misericondia del Signore che
mi perdonerà; giacchè tanto io ne sono più pieno di tutti.
Io finisco supplicandolo di pregare costantemente il Signore
per la Santa Chiesa acciocchè provegga a' suoi bisogni, e
dia al suo divino Figliuolo una gloria infinitamente infinita,
facendolo regnare in tutti gli uomini e in tutte le cose.
Orazione, orazione, orazione: ecco il nostro bisogno: noi
sappiamo il mezzo. Gesù ce lo disse. Se non ne usiamo, di
chi mai è la colpa?
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.2. Ieri sera quando Ella mi ha favorito della sua conversazione,
io ho manifestata la massima, « che quando si leggono
libri anche macchiati d' errore (s' intende sempre da
chi ne ha la debita licenza), con uno spirito pio e retto, essi
non sono perniciosi ». Avendo riflettuto a queste mie parole,
trovo, che la massima non è universale, e non mi pare potersi
applicare al caso, che me l' ha fatta profferire.
La mia coscienza e l' amicizia congiunta colla più sincera
stima che ho per lei, mi obbliga questa mattina a farle ingenuamente
questa dichiarazione.
La nostra fede è la base di tutto l' edificio religioso, e
ogni fedele è obbligato ad osservare tutte le cautele per conservarla
pura ed incontaminata.
Gli errori contro la fede dobbiamo evitare che entrino
nella nostra mente, anche solo materialmente; il che può
nascere senza nostra attuale malizia, leggendo un libro contaminato.
Questo è più pericoloso, trattandosi di errori sottili e difficili
a conoscersi, come quelli del libro indicatomi da lei.
L' essere scritto con sentimenti di pietà nol rende che più
pericoloso; perchè l' errore sembra anche egli qualche cosa
pietosa, e vi diventa caro e impercettibile se mescolato in
parole divote. Intanto egli può rimanersi nella mente, e portare
col tempo in noi stessi delle funeste conseguenze. E` la
zizzania seminata insieme col buon grano dall' inimico.
Caro Visconti, io non sono niente scrupoloso per quanto
spero: ma in materia di fede il lassismo è fatale.
Potrebbe venire un giorno che le letture presenti le arrecassero
grande inquietudine: e noi tutti, ed Ella in particolare,
ha bisogno di tranquillità.
Se Ella presentemente che è, come la sua umiltà suole
dire, al principio dell' istruzione religiosa, si appiglia senza
averne un bisogno e un dovere alla lettura di autori che
abbiano in se stessi delle buone cose mescolate colle cattive,
delle verità mescolate cogli errori, che cosa ne seguirà? Ne
seguirà che, proseguendo nello studio della religione, verrà
un momento, in cui riconoscerà il bisogno di mettere a prova
le idee ricevute. Allora trovandosi nel suo spirito mescolati
insieme errori e verità, Ella per separarle sarà necessitato
ad entrare in questioni teologiche che le saranno per apportare
il più grande disturbo. Quanto non sarebbe meglio evitare
di formarsi adesso una necessità d' essere un giorno
spinto in dispute rincrescevoli e pericolose!
Mi permetta, caro Visconti, anche di pregarla e di scongiurarla,
per quell' alta stima e per quella sincera affezione
che nutro per lei, di tenersi lontano specialmente in questi
primi tempi dai partiti, e di non cercare altro che la dottrina
sana della Chiesa cattolica. Questa è la dottrina di Dio,
ed il resto sono le dottrine degli uomini. Che cosa cerchiamo
studiando la nostra religione, di conseguire la salute, o di
appagare la curiosità? La salute si trova nella dottrina immacolata
della Chiesa: la curiosità e anche l' amor proprio,
si appaga colle dottrine dei partiti.
La dottrina di un partito è sempre mescolata co' vizi
degli uomini che formano quel partito: e la dottrina della
Chiesa cattolica è tutta innocente e non fa sentire in noi
nulla di quel torbido e di quell' angustioso delle umane passioni.
Non abbiamo forse dei pii scrittori che hanno meritato
il suffragio di tutta la Chiesa e che sono considerati come
irriprovabili? E perchè adunque imbarazzarsi cogli scrittori,
il cui dettato non viene da Dio, sebbene abbiano un' apparente
unzione nello stile? Non hanno sempre avuto dell' apparente
unzione i libri degli eretici di tutti i tempi? Anzi
come hanno questi ingannato molti fedeli, se non con un
tono pio e rigoroso?
La scongiuro, caro Visconti, a dare attenzione a questi
riflessi che sottometto alla sua saviezza. Io mi sono creduto
in dovere di coscienza di fare ciò, e desidero ancora che
Ella voglia accettare il candore, con cui le parlo, quale pegno
del più grande interesse che prendo per il suo vero bene:
giacchè, considero, come assai rilevante al medesimo il presente
argomento.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.2. Oggi solo ho ricevuto la cara vostra de' 24 dicembre
prossimo passato, e non tardo un sol giorno a rispondere.
Mio carissimo nel Signore, è egli possibile che voi crediate
che io vi potessi lasciare senza risposta, perchè io avessi
mutate intenzioni rispetto a voi? Se ciò fosse avvenuto, ve
l' avrei tostamente scritto, e non vi avrei mai lasciato titubare
in un dubbio, egualmente molesto, che dannoso.
In quanto ai vostri incomodi, ho inteso quali sieno, giacchè
voi me li avete esposti con tutta chiarezza. Ma consolatevi,
mio carissimo, confortatevi. Io pure in mezzo al dolore
che provo pe' medesimi, giacchè è impossibile non partecipare
degli incomodi degli amici, ricevo una grande consolazione
pel modo nel quale me li narrate. Voi ne benedite
il Signore e non desiderate che di fare la sua adorabile
volontà. Voi siete disposto a sopportare tutte le sofferenze
e le umiliazioni che il Signore vi manda, quando pur dovessero
durare tutta la vita. Ah! grazie adunque sieno rese
al Signore di questa bella disposizione, suo dono! Non ci
stanchiamo di rendere grazie a lui in tutte le cose: non ci
stanchiamo di dire: « Bonum mihi, quia humiliasti me ». Offeriamo
a lui tutti noi stessi; ma specialmente offeriamogli
tutti i nostri pensieri e progetti, acciocchè egli incenerisca
e disperda tutto ciò che v' ha in essi di nostro, d' umano:
siamo bene contenti, se così a lui ne piace, d' essere stupidi
e insensati tutta la nostra vita e non capaci nè di pensare
più nulla, nè di agire. Purchè possiamo fargli volontariamente
questo sacrificio di tutte le nostre potenze, siamone
pur contenti; giacchè la nostra immobilità e impotenza è
già santificata e a lui cara per questo primo sacrificio.
Quanto c' è bisogno, nel caso nostro, che nulla faccia
l' uomo, e tutto faccia nell' uomo il dito di Dio! Quanto c' è
bisogno che egli annichili, e disfaccia tutti i nostri progetti,
per ricostruire, per ricreare egli in noi o in altri suoi servi
ciò che egli vuole! Ah che non v' è nulla più dolce, che
sentire in sè venir meno tutto ciò che di grande e di stimato
può avervi secondo il giudizio della mente umana, perchè
nella intera nostra abbiezione, nel nostro annientamento compiuto,
nella nostra stoltezza possa entrare la virtù di Gesù
Cristo, e rinnovare essa sola tutte le cose! Mio caro, l' estremo
scoraggiamento che provate in alcuni momenti, il vacillare
della vostra testa (la più umiliante delle tribolazioni dopo
il peccato) è una esperienza di voi stesso: voi non dubiterete
più quinci innanzi che vani sono i pensieri degli uomini e
tutti i loro consigli fallaci: voi deporrete tutta quella confidenza
menzognera, che la corrotta nostra natura è sempre
pronta a risuscitare in noi, e che pure debbe essere prostrata,
morta; perchè in noi risplenda la gloria della grazia, e viva
Gesù e non più noi in noi stessi. La predizione che v' hanno
fatto i medici di Parigi concorre vie più a scoraggiarci santamente,
perchè siamo più atti a ricevere i santi incoraggiamenti
dal Signore. Mio caro, voi siete ammalato. Sappiate
che anch' io sono egualmente, sebbene ora sto meglio. Non
sarebbe egli degno di Dio, non sarebbe conforme a' suoi antichi
giudizii, alle sue antiche misericordie, che egli ad eseguire
qualche suo disegno avesse destinato due uomini,
l' un dei quali avesse perduto la testa, e l' altro la voce? In
questo caso, se mi è lecito introdurre un' imagine bassa
in un discorso così alto, voi sareste il cieco che porta lo
storpio.
Che cosa adunque conchiudiamo? Che voi preghiate instantemente
il Signore per iscoprire se il vostro sentimento
è simile al mio. Il mio sentimento sarebbe questo, « che noi
ci trovassimo insieme la prossima quaresima a Domodossola,
e che in essa, facendo insieme orazione e conferendo insieme,
dimandassimo al Signore i lumi necessari per le ulteriori
deliberazioni da farsi da noi, non secondo la nostra, ma secondo
la sua adorabile volontà ». Mio caro, io spero che
l' aria del santo Monte Calvario vi gioverà; e poi non si tratta
di uno stabile collocamento, ma di una prova di quaranta
o cinquanta giorni. Nè crediate, mio caro, che vorremo passare
questi giorni in troppa austerità e mestizia: ce la faremo
da malati: il Signore accetterà i nostri incomodi in luogo
d' altre gravi penitenze. Oh quanto egli è buono! quanto è
tenero! una madre nol sarebbe certo più di lui: anzi egli
è infinitamente più tenero di una tenerissima madre. Venite
adunque, se così credete, se così vi inspira il vostro spirito,
per il 20 di febbraio; io desidero di abbracciarvi in quel
giorno. Non dubitate dell' amore mio, io desidererei di potervi
sollevare, di poter dare qualche conforto al vostro
spirito; io non mancherò, se il Signore mi assiste, di usare
con voi tutte le sollecitudini della carità. La dolcezza che
le nostre infermità ci costringeranno ad usarci scambievolmente,
sarà un avviso per noi della dolcezza che dovremo
usare verso degli altri, e della discrezione santa, nella quale
dovremo stabilire i regolamenti di quella Società che il Signore
potrebbe volere per noi formare.
Io finisco abbracciandovi caramente nel Signore, a cui
solo sia gloria per tutti i secoli, amen . Maria nostra Madre
ci interceda di dare la massima gloria al Signore. Scrivetemi
un cenno subito che abbiate ricevuta la presente; perchè
sono desideroso di sapere che vi sia giunta.
[...OMISSIS...]
1.2. Su questo bel monte, dove sono già fino dal primo giorno
della santa quaresima, ho ricevuto la cara e pregiata sua
lettera. La ho ricevuta oggi, sebbene porti la data de' trenta
gennaio, e non tardo maggiormente a me stesso il piacere
di rispondere, e rispondendo d' essere con lei. Oh mio caro
amico! Quanto è grande la bontà del Signore! Io che dovrei
essere morto mille volte, perchè fosse tolto via un vituperio
della Chiesa di Gesù Cristo, sono pure sano, e son
qui su questo caro monte, dove sospirava d' essere, e a
quel tempo che d' esservi desiderava! Che sarà di me, se
non metterò a profitto questo tempo che mi concede il Signore,
perchè mi converta? se non piangerò compunto dei
miei eccessi in queste piaghe di Gesù? se non mi vorrò purificare
in questo sangue adorabile, e nelle lagrime della
nostra tenera madre Maria? Io tremo a questo pensiero;
quale orrore m' incute! quale abisso mi apre dinanzi!
Un conforto, un sollievo mi dà bensì in questo pericolo,
in questo spavento la carità degli amici; la sua carità in
particolare, quel suo sacrificio. Ah il Signore, che guarda
il cuore, lo ha certo ricevuto: il sacrificio accettevole è
ben consumato nella umiliazione e nella contrizione. Parlo
così per rendere la gloria al Signore, che delle nostre miserie
si compiace, e fa in quelle risplendere la sua pietà.
Per altro quanto non è pure pericolosa questa vita, nella
quale possiamo d' un momento all' altro cadere, e quanto sarebbe
più sicura la morte in un momento di grazia, dopo
la quale solo ci potremo gloriare nel Signore! Ma la stessa
incertezza in cui viviamo di noi stessi e della nostra giustizia,
la maggiore delle nostre miserie, ci tornerà a lucro
per la bontà di Gesù che non lascia che sia confusa la nostra
speranza. Perchè i cieli e la terra passeranno, ma le
sue parole non trapasseranno. E queste sono che « qualunque
cosa noi domanderemo al suo Padre, in nome suo, egli
ce la darà ». Domandiamogli adunque ogni cosa; non abbia
limiti, non abbia misura la nostra petizione, perchè non ha
limiti, non ha misura alcuna la sua potenza. Domandiamogli
la nostra perseveranza; domandiamogli la nostra perfezione;
voglio dire la nostra consumazione nella carità del Padre,
nel quale, quasi mescolati ed assunti, abbiamo una vita piena,
comune con Gesù Cristo. Che dolce cosa non avere una
vita propria, ma avere per vita nostra la vita di Gesù!
quella sempiterna incorruzione! quella luce pura! quel gaudio
pieno!
Mio caro! Io le descrivo con questo ciò che Ella mi
chiede circa questa santa quaresima, ciò che vorrei che facessimo
in essa unitamente: pregare nel digiuno dalla santa
Chiesa prescritto, pregare di consenso a tutti i Cristiani che
pregano e digiunano in tutto il mondo, pregare senza limiti,
e senza intermissione: pregare con semplicità e con
abbandono: pregare senza individuare cosa alcuna, ma solo
che sia santificato il nome del Padre, perchè accada tutto
alla maggiore gloria della sua grazia; che avvenga il suo
regno di cui Cristo è il Re, quel regno preordinato dalla
costituzione del mondo, quella Chiesa che deve distendersi
in tutte le genti, farsi serve tutte le cose; che sia fatta la
sua volontà come ne' cieli, cioè ne' suoi santi, così sulla
terra, cioè negli uomini ancora terreni, perchè in questi
altresì si compia quella salute di cui Iddio si compiace.
Godo moltissimo che si sia ascritto alla Congregazione
di Maria presso cotesti Padri Gesuiti. Sarà essa questa nostra
cara Madre che le suggerirà di più intorno a ciò che
è da fare in questa santa quaresima: faccia ciò che essa le
suggerirà: la supplichi che suggerisca anche a me ogni cosa,
che voglio fare tutto ciò che essa mi suggerirà: se pur col
suggerimento, mi intercederà anche la grazia di farlo.
Io sono qui come, Le diceva, fino da martedì precedente
alle Ceneri: di tutto sono contento fuorchè di me stesso. Ho
un compagno meco, ma non ancora il Loewenbruck: questi
mi scrisse bensì d' avere ultimati felicemente i suoi affari:
e fra i tratti della divina Provvidenza trovo certamente
questo, che egli abbia potuto finire bene le sue cose prima
d' essere con me. Io lo attendo con ansietà, e spero che verrà
presto: le sue lettere sono di una sincerità e di una umiltà
incredibile, e mi danno tanto a sperare. Io ho estremo bisogno
di lui, della sua attività, del suo zelo. Io sono inerte,
indeciso nelle minime cose. Per questo non ho ancora rimesso
mano alla fabbrica, ma aspetto per tutte queste cose
il Francese. Non oso nè pure accettare de' compagni per
ora, perchè non ci sarebbe chi tenesse bene la disciplina:
io non sarei buono che di dare loro de' mali esempi per
la mia poltronaggine e mollezza. Ma se viene il buon Francese
ne accetterò: io pregherò tanto Iddio che mi conceda
allora di scandalezzare il meno possibile, e di conservare
presso i compagni in qualche modo, il buon nome. Senta,
se il Signore vuole da noi questa unione, essa è preordinata
da tutti i secoli. Preghiamo adunque null' altro, se non
che ci santifichi secondo l' eterna sua preordinazione: così
nella sua volontà ci adageremo interamente. Il suo cuore
lo rivolga solo alla perfezione, e non determini nulla; la
sola perfezione è il nostro desiderio, le forme sono indifferenti:
il Signore la consolerà certamente.
Io spero di venire, non però prima dell' autunno; allora
solo potrò avere disposte qui le cose, per quello che mi pare
ora. Allora solo potrò essere preparato a ciò che verrei a
fare costà. Spero di venire, e spero di non venirci solo. Sa
di chi voglio intendere? Glielo dirò: del nostro caro Mellerio.
Non le posso dire la unanimità de' nostri cuori, e da
poco in qua anche con Giulio suo: egli m' ha scritto pur
ora una lettera che mi confonde. Oh che il Signore lo empia
di sè! Egli è certo sulla strada della perfezione. Mellerio
non sa niente di ciò che dissi di lui; sono io che presento
ciò che sarà, se a Dio ne piace. Tante e poi tante cose ai
suoi buoni figli, a cui voglio tanto bene, e sono tanto obbligato
della consolazione che danno a Lei. Se vede il Cardinale
Cappellari, gli baci le mani per me, e gli dica, se
crede, dove io sono. Mi saluti tanto il Brunati. Mio caro
amico, la abbraccio nel Signore. Noi siamo intesi: perseveriamo
questa quaresima in memoria di quella fatta dal
Signore, aspettando la sua parola e la sua venuta.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.2. La volontà del Signore è che ci perfezioniamo: il resto
è indifferente. Attendiamo a questo e stiamo tranquilli. La
voce di lui è soave, ed i suoi impulsi sono senza sforzo e
senza ansietà. Nessuna cosa della terra ci trattenga dal dargli
ascolto, perchè non perdiamo la vita nostra, volendola salvare.
Perseveri pure a lavorare il campo, dove l' ha messo
il Signore. Il suo cuore, spoglio da tutti gli umani affetti,
sentirà bene l' ora di mutare lato nel campo stesso, quando
il Signore la farà battere. Non dobbiamo fare nulla da noi
stessi; ma, purificandoci, renderci atti perchè il Signore possa
fare ciò che vuole con noi. Questo lo sappiamo di certo che il
Signore lo vuole: perchè non vuole perderci, ma salvarci: il
resto non lo sappiamo, fino che non ce lo dice. Viviamo
adunque tranquilli e fermi, fino che egli non ci muova. Io
sono qui fino dal principio della quaresima: la famigliuola
è di quattro: ma non è ancora venuto l' amico, a cui Ella
manda i saluti: lo aspetto però, sebbene delle dure prove,
come sembra, gli fa sostenere il Signore. E` coi patimenti
che egli ci prepara; ne sia ringraziato. Non ci rincresca
d' essere generosi con tanta bontà. O potremo noi esserlo?
A me pare una parola molto vana parlare di generosità con
Dio; ma noi diciamo d' essere generosi, quando ci sembra
evitare una viltà senza nome.
[...OMISSIS...]
1.2. Giacchè non possiamo vederci, come facevamo a Milano,
troviamoci almeno insieme qualche volta per lettera. Questo
desiderio mi fa essere più sollecito questa volta a scrivervi,
che non fu la prima, dandomene anco argomento alcune
cose della carissima vostra. Io voglio certo, come voi
dite, che siamo tutti parti d' una medesima madre, la carità:
questo è stato sempre il mio vivo desiderio, come v' ho detto
quando era con voi. « E` pure necessario, soggiungete, fissare
la strada da percorrere, acciò chi domandasse: quid
faciam ? abbia a vedere se in questa od in altra è chiamato ».
Appunto, non per altro fine ho eletto questo ritiro,
non per altro fine ho fatto su questo monte, dedicato alla
passione del Redentore, la quaresima, se non per consultare
il Signore, acciocchè egli manifesti la sua adorabile volontà.
E certo Egli non ci lascia all' oscuro. Mio carissimo, vi dico
il vero, io per me non ne dubito, e spero nella sua infinita
misericordia che, facendo ciò che fo, io faccia ciò che egli
vuole. Voi mi direte, che è questo? Egli è impossibile scriverlo,
perchè se io dicessi in generale, che è unicamente
di abbandonarsi alla divina Provvidenza, di vivere nella
umiltà e nella pace, senza desideri, fuorchè della giustizia,
senza inquietudine, ma costantemente e attivamente, sembrerebbe
che non vi dicessi ancor niente. In quanto a quel
che dite, che nelle opere di carità, quando vi sia luogo alla
scelta è prudente che si elegga il più basso, io sono intieramente
con voi, purchè vi sia luogo alla scelta, purchè il
Signore non dimostri essere diversa la sua volontà, purchè
non ci attacchiamo nè al basso nè all' alto, e non ci gloriamo
nè pure d' essere bassi, purchè in fine veramente impariamo
che nel mondo non c' è nè basso nè alto. Ciò che io
sento per me, che vuole il Signore, si è che non cerchi nulla,
e nulla, in quanto io possa, ricusi, offerendomi a lui intieramente,
senza prevenire il suo divino volere, e mettergli
quasi legge: a lui essere totalmente mancipato e schiavo.
Oh me felice, se potessi infinitamente a questo suo volere
unirmi! Io dunque, vi dico il vero: chi mi domandasse, se
voglio fare i mestieri bassi della carità, non oserei di dire
tosto di sì, se non gli aggiungessi anche: purchè io non li
cerchi, ma la divina Provvidenza, colle circostanze esterne,
me li offerisca. Chi mi domandasse poi, se io voglio ricusare
i mestieri alti di carità, quando la divina Provvidenza,
per le circostanze esterne, me li offerisse, io non oserei parimenti
rispondere di sì: ma non vorrei nè pur quelli ricusare.
Così la carità non solo, ma la carità nella volontà
divina, è quella che io sommamente desidero, acciocchè
non faccia il mio volere, col pretesto della carità, ma faccia
quello di Dio che è carità.
Ma io non posso, come diceva, in una lettera darvi una
chiara idea di quanto io intendo; sebbene in questo poco,
che ho detto, c' è tutto ciò che intendo. Nè per questo sarà
meno vero che si ritengano, come voi dite, i lineamenti
stessi delle Figlie della Carità: fatta però la differenza da
donne ad uomini, e da uomini laici a sacerdoti. La carità
che esercitano le donne è meno estesa necessariamente della
carità che possono esercitare gli uomini; e la carità che esercitano
gli uomini laici è meno estesa di quella che possono esercitare
i sacerdoti. Gesù Cristo dimostra a tutti la sua volontà:
ognuno l' adempia: la donna, l' uomo, il Sacerdote:
ognuno ha la sua periferia; nessuno la restringa a se stesso,
ma sia indifferente. Iddio poi la restringe a tutti; e non
sieno più indifferenti quando Iddio ha loro parlato. Voi conchiudete
adunque benissimo: « stiamo ai piedi del Crocifisso,
e non permetterà inganno ». Ognuno nella pace, nel
gaudio, e nelle opere buone aspettiamo il Signore, contenti
e longanimi. Godo che proseguiate nella vostra conversazioncella:
infiammatevi pure scambievolmente, specialmente
nella divozione del Redentore e di Maria Addolorata.
Continuiamo per quanto possiamo le nostre piccole pratiche.
Non so se abbiate trascritto quel « Trasunto delle
Massime », che vi avrà lasciato, credo, il Mezzanotte: se mai
lo avete trascritto, rimandatemi, vi prego l' originale.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.2. Il vostro desiderio, di trovarvi nella chiesa in presenza
del nostro Amore, è pur ragionevole, e a chi riprenderlo
volesse, si potrebbe rispondere con Giobbe « L' orecchio è
che le parole distingue, e le fauci che giudicano del sapore ».
E` impossibile a chi è fornito di questi sensi non sentire le
sensazioni loro proprie; e così a chi ha un senso interiore,
un senso più raro e sublime, come è quello che hanno i
cristiani, a cui è caro Gesù, egli è impossibile che non senta
il suo allontanamento e la sua privazione. Egli è vero che
co' piedi del cuore, anzichè con quelli del corpo, si va a
trovare Gesù dovunque; ma il nostro Signore, che ci conosceva
perchè ci aveva fatti, volle darci modo d' essere
con lui non pur colla nostra parte invisibile, ma con questo
visibile corpo medesimo; e tanto giudicò ciò conveniente,
che volle avere anch' egli un corpo per avvicinarlo al nostro,
e perchè il nostro morto si ravvivasse al contatto del
suo vivo, e che non può più perdere la vita. Ed egli v' ha
un senso che solo i cristiani posseggono, pel quale si percepisce
questa nuova felicità, e avidamente s' attende quando
è lontana: e questo è il senso, pel quale è impossibile a voi
il non desiderare ora l' essere nella chiesa, avanti il tabernacolo
del Signore, ed il fare seco i colloqui che facevate!
Ma presto vi tornerete, se pur a quest' ora che scrivo non
ci siate tornato già a rendere grazie e pregare per voi e
per gli amici. State di buon animo, mio carissimo, e con ogni
diligenza attendete a guarire.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.2. Voi avete detto una parola preziosa nella cara vostra,
che l' umiltà modera ed avvalora i veri credenti : così è pure;
beati quelli che il sentono! L' intima consapevolezza del nostro
nulla ci fa sentire il bisogno dell' Onnipotente, e ci avvia
sulla strada che ci conduce a lui, nostra fortezza e valore.
Questa confidenza che sorge nel seno della umiltà è di un
vigore infinito, ed è quella onde le cose più spregevoli della
terra sono diventate le più possenti, quella onde gli umili
sono esaltati al di sopra degli orgogliosi. Io vi conforto di
leggere e rendervi famigliari le divine Scritture con quell' animo
inclinato all' umiltà ed alla generosità cristiana che
vi ha donato il Signore. Le Scritture sono una lezione continua
d' umiltà: la insegnano in tutti i modi colle cose, collo stile,
colle parole. S. Agostino accostandosi ad esse, tumido ancora
dello spirito del secolo, le trovò basse e spregevoli. Io non
sapeva, egli dice, che quelle Scritture prendono diverse figure,
e che ai grandi si fanno piccole, e coi piccoli crescono
insieme con essi ad immisurabile grandezza. [...OMISSIS...]
1.2. Adoriamo il Signore in tutte le sue vie. Riguardo a quello
che dite che desiderereste d' essere qui subito dopo la solennità
della Pentecoste, non so dirvi altro che quanto
altre volte vi dissi. Io non posso chiamarvi, perchè ho
bisogno io stesso di essere chiamato. Non sono chi chiama,
ma chi è chiamato. Se voi siete chiamato insieme
con me, venite. Quegli che chiama è quegli che garantisce
i passi del chiamato che risponde alla chiamata.
Se fossi io che chiamassi, dovrei garantirli io, e sarei un
menzognero se lo promettessi. Se è Dio che chiama, debbe
garantirli egli, ed è fedele e verace. Alla sua voce ubbidiamo
e prestiamo fede alla sua misericordia.
Circa quello che dite delle sostanze temporali e dei mezzi
di sussistenza, non dubitate punto; ripeto lo stesso, abbandoniamoci
alla Provvidenza. Se è poco quello che offerite
a Dio, sarà sempre gradito, se sarà tutto ciò che avete! Era
poco anche ciò che offerse la vedova, ma i suoi due minuti
erano accetti, perchè era tutto ciò che aveva. San Pietro,
lasciando le reti e la barca, lasciò poco, ma potè però confidare,
perchè aveva lasciato tutto, e dire al Signore: reliquimus
omnia . Pensiamo però che nel tutto c' entra non
solo il presente, ma il futuro ancora, e tutto ciò che aver
potessimo, non che ciò che abbiamo. Se questa è la vostra
offerta, confidate nella Provvidenza. Del resto, di nuovo lo
dico: imaginate d' essere al mondo voi solo e Dio; e deliberate
in sua presenza: così non confiderete negli uomini
e molto meno in me. Il consiglio che vi do è di essere perfetto;
ma null' altro; perchè quello è di Gesù Cristo, ed il
resto pure venir debbe dallo spirito di Gesù Cristo diffuso
ne' nostri cuori, ne' quali chiama con fiducia: Padre nostro.
Se lo spirito di Gesù vi mandasse, mi sarebbe caro di celebrare
la Pentecoste insieme con voi, e con Francesco.
Se deliberate, la deliberazione non sia perpetua ma a
tempo, come a due o tre mesi in prova, o anche meno.
Il Signore vi dirà se dovrete prolungare il tempo. Così direte
anche la verità al sig. Rettore dicendo, che andate a
fare un ritiramento spirituale e null' altro. Di ciò Iddio non
si sdegnerà. Perchè la deliberazione che egli vuole da noi
perpetua, irrevocabile ed infinita si è di volere essere perfetti,
ma non altro. Del resto andiamo adagio; s' intende fino
che non siamo ben certi della sua volontà: così viviamo
alla giornata, ed insieme nella eternità: in questa, quanto
al desiderio della perfezione; e alla giornata, quanto ai mezzi;
essendo noi però indifferenti a tutti, e non rifiutandone nessuno,
giacchè tutto è buono quanto viene da Dio: [...OMISSIS...] .
Ora alcune parole al Bonetti. Non vi affannate per la
mancanza di sussistenza: il Signore provvederà. Ciò che ho
detto al Boselli, valga anche per voi: offerite tutto e basta.
Conferite col vostro padre spirituale, e fate ciò che vi dirà.
Se il signore vi manda qui, io vi abbraccio già da quest' ora
col cuore. Teniamoci raccomandati tutti a Gesù Cristo nostro
Redentore ed a Maria Addolorata, e con giovialità serviamo
al Signore. Umiliamoci senza fine. Purifichiamoci.
Siamo insaziabili della giustizia, e null' altro sia lo scopo
de' nostri desiderii. Ah il Signore la metta in noi questa
giustizia! ah ci faccia giusti! Egli solo il può; allora non
saremo più confusi, [...OMISSIS...]
Amiamoci: questa è l' insegna de'
discepoli del Signore. Che dolce insegna! che divisa beata!
Oh potessimo essere una sola cosa tutti con Gesù, in Dio
Padre, pel santo Spirito! a cui gloria in tutti i secoli. Amen.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.2. Non è dubbio, che la maggior grazia, come voi dite,
che il Signore ci possa fare, sia il farci patire qualche
cosa per suo amore. Senza di questi patimenti, saremmo
eternamente miseri, perchè attaccati a noi stessi ed alle
cose terrene, cioè a miserie, ciechi negli occhi dello spirito,
che non vedrebbero la vera felicità, e privi della vera
vita interiore. Perciò, certo delle misericordie che il Signore
mi fa, io debbo contare fra le somme, come voi
dite, e veramente conto, quei malucci corporali, co' quali
mi tiene accompagnato e svegliato, e rivela in parte me
stesso a me stesso. La rivelazione compiuta non vi sarà che
colla morte. Voi dite d' aver ricevuto grandi lezioni quest' anno
da quel solo che vi ama, e che a duri colpi vi vuol
perfetto. Io lo intendo dal vostro modo di parlare che mi
riesce tanto prezioso! Quel riconoscere così intimamente il
prezzo della vita perfetta, come dimostrate nella lettera vostra,
quel riconoscere che essa è una grazia del Signore
indicibile, una ricchezza inarrivabile, immensa, che non
v' ha misura quaggiù proporzionata alla medesima, quell' averne
una ardenza in voi stesso che va crescendo, anzichè
sminuirsi, mi fa credere che il Signore vi destini
nella sua misericordia a una vita di un servizio prestato
a lui più intimo, più perfetto, più assoluto, che quello della
vita secolaresca, come letterato forse unicamente o come
bibliotecario. Io me ne congratulo con voi. Maria Ss., Sant' Ignazio,
S. Luigi compiranno l' opera che sembrano aver
in voi cominciata. Pregate dunque anche per me, per me
povero peccatore.
Io passerò da Brescia sulla fine di luglio per recarmi a
bere le acque di Recoaro. Quanto mi sarebbe caro abbracciarvi
in quel tempo! ma Dio sa se voi ci sarete! Addio
mio carissimo. Non vi parlo degli studi perchè avremo tempo
da ciò. Avrete avuti gli « Opuscoli ».
[...OMISSIS...]
1.2. Il mio consiglio, relativamente alle cose contenute nella
carta comunicatami, è il seguente:
1 Circa la convulsione da cui Ella si trova assalita
del pianto e del riso ne' momenti di divozione e in altri,
è cosa di poco momento, e da non farne caso nè occuparsi
a ricercare se essa venga da Dio o dal demonio; il che è
superfluo il sapere, purchè non lasciamo nascere cattive
conseguenze. Il suo stato fisico un poco alterato, com' Ella
confessa, basta a spiegare una tal cosa: quando i nostri nervi
acquistano una mobilità più grande dell' ordinario sogliono
produrre di somiglianti effetti;
2 In quanto alla inclinazione che accusa di prevenire
il futuro, e dirlo agli altri, e poi se qualche cosa succede,
pensare di averla predetta, come Ella stessa si esprime, è
un difetto che fa bene a riconoscere, ed è buona la risoluzione
presa di tacere quando si sente inclinata a dire ciò
che succederà, anzi sarà meglio reprimere anche il pensiero
del futuro, quando la conghiettura non sia fondata sopra
ragioni solide ed esterne e non punto fantastiche e di sentimento;
ed anche allora non lo faccia con troppa sicurezza,
ma con timore di sbagliare nelle proprie conghietture, e
senza mescolarvi il pensiero che sieno predizioni.
In questa inclinazione di predire il futuro ci può essere
un' insidia dell' inimico di gran conseguenza, qual' è quella
di farla operare inconsideratamente e con precipizio, come
riconoscerà che fu tentata più volte di fare, e che qualche
volta anche cadde; come quando Ella si è messa in mente
che fossero venute lettere da Milano sul conto suo, e avendo
dato retta a un tal pensiero privo di solide ragioni, parlò
della cosa con me in modo risentito, e prese anche la risoluzione
da se stessa di recarsi ancora il giorno dietro a
Milano; che furono due passi falsi, com' Ella, per la grazia
del Signore, ha molto bene riconosciuto;
3 Per rispetto a quello che dice di essere oltremodo
facile a correggere gli altri , conviene pure che riconosca
che in ciò v' ha un difetto da emendare: specialmente se
la correzione fosse solita di farla repentinamente e senza
matura considerazione; e se fosse di cose in se stesse oneste,
ma da Lei riguardate come imperfette, e di materie dubbie
e che ammettessero una interpretazione buona: nel qual
caso la carità vuole di attenersi a questa. E in generale il
correggere gli altri, senza essere richiesto e senza che il
porti la propria condizione, è sempre pericoloso, perchè
suppone sempre d' avere fatto avanti un giudizio sul nostro
prossimo; il che dobbiamo temere, essendo difficilissimo
giudicare, e richiedendosi una gran scienza a ciò, nelle cose
che non sieno patenti peccati, e potendo nascere da una
occulta superbia. Per ciò cerchi di raffrenarsi; e quando
Le sembra di vedere un grave peccato del prossimo, se
non offende Lei direttamente, sarà meglio, se ha il modo,
che faccia fare la correzione da' superiori: ma se il peccato
non fosse grave, o fosse dubbio, o fosse una imperfezione,
o nè pure una imperfezione certa, in simili casi, avendo
l' opportunità di parlare col prossimo, in vece di fare la
correzione, dimandi al medesimo di essere instruito per
proprio vantaggio ed edificazione; per esempio dicendo:
« caro fratello, mi è nato dubbio sulla tal cosa; vi prego,
ditemi come la cosa sia »o in altro simile modo;
4 In quanto all' essere facile a ricevere nella fantasia
l' idea di successi miracolosi, come la scoperta che accenna
del crocifisso, è pur cosa nascente in gran parte dall' alterazione
nervosa, e che bisogna considerare come illusione;
5 In tutte queste cose è facile di riconoscere un inganno
dell' inimico ed è questo. Egli si sforza di stornare
la sua mente dal pensare e ben conoscere i propri difetti,
conducendola in vece a pensare a delle grazie soprannaturali,
e straordinarie, acciocchè Ella in tal modo nel maggiore
suo bisogno si addormenti sopra la cosa più importante,
non giunga a conoscere se stessa, e ad emendarsi. Ma Ella
stia pur fermo a non dare alcuna retta a simili pensieri,
e non si lasci illudere, nè si lasci mettere in testa che facendo
ciò si renda ingrato a Dio; mentre è anzi per Dio
che fa ciò e per non essere svagato dall' opera della sua
emendazione, e dal conformarsi alla sua santa legge. E si
vede l' illusione anche dai falsi argomenti che Le vengono
in capo, come quello di attribuire il maggiore concorso di
popolo alla santa Messa, alla consolazione avuta del pianto:
quasi che questo fosse qualche cosa di meritorio, mentre,
quando anche fosse stato da Dio, egli non sarebbe stato che
una grazia gratis data , la quale non è punto meritoria; e
come Ella dice, ciò che è avvenuto dopo ben mostra che
le conseguenze rispetto a Lei non furono buone, e perciò
molto meno poteva meritare per gli altri, se non ha meritato
per sè. Si arricordi in generale che il segno principale
per conoscere se lo spirito è buono, è la maggiore conformità
che succede in noi alla legge di Dio; alla quale solo
dobbiamo attendere; e tutto ciò che ci aliena da essa o ce
ne toglie il pensiero, è cattivo. La legge di Dio è il timone
della nave. Supponiamo che questa fosse anche carica di
gioie: se il piloto invece di guardare sempre al timone si
occupa a contemplare le gioie, è ben prevedibile che la
nave viene esposta a fare naufragio. Il nostro inimico ci
empie talora la nave di gioie false, acciocchè noi siamo
invaghiti a contemplarle, ed intanto abbandoniamo il timone;
6 Riguardo poi al pensiero di rinunciare alla cura
delle anime , vi rinunzi pure; ma in questo senso, di ritenersene
incapace, senza l' aiuto di Dio. Sia pur contento
d' avere cura dell' anima propria, che basta, e non desideri
nè voglia fare altro in quanto a sè. Non confonda però
questo pensiero coll' avvilimento o col pensiero di non fare
nulla per le anime anche se Dio volesse adoperarlo in ciò.
L' avvilimento succederà, se crederà che rinunziare alla
cura degli altri sia rinunziare a tutto: non è rinunziare a
tutto il bene: si ritiene il principale affare qual è la cura
di se stessi: se Iddio ci fa la grazia di mettere in salvo
l' anima nostra e di purificarla da' suoi peccati, ci deve bastare;
7 Dirò ancora una cosa. Se Ella sentisse difficoltà a
scacciare il pensiero dall' immaginazione delle cose soprannaturali
che mi accenna e dalla sollecitudine di ricercare
se sieno da un principio buono o cattivo; allora riconosca
di nuovo in se stesso un difetto e se ne umilii. Nello stesso
tempo diffidi ancor più di tutto, e rigetti tutto fuorchè il
pensiero de' propri difetti e della legge di Dio: perchè se
quelle cose venissero da un buon principio non resisterebbero,
operando sforzatamente; giacchè come dice S. Paolo,
gli spiriti buoni sono soggetti a noi, cioè alla nostra volontà
ed alla ragione. Il Signore la benedica e la renda forte
e capace di superare tutti i suoi nemici.
[...OMISSIS...] 1.2. Facciamoci una massima, e spero che voi pure la troverete
giusta, di non dire nulla di più che ciò che si vede
nel momento presente, senza prometter nulla pel tempo
futuro: e anche ciò che già esiste e che perciò possiamo
dirlo, diciamolo con semplicità, voglio dire senza nessuna
esagerazione, e piuttosto dicendo un poco di meno che un
poco di più: acciocchè l' evidenza del fatto venga in conferma
delle nostre parole, e non le snervi e indebolisca. In
quanto al non assicurarci del futuro, siamo tanto miserabili,
siamo tanto fallaci, che non possiamo comprometterci
di noi stessi, e similmente nè pure degli altri. Non dico ciò,
perchè non creda che anche voi la pensiate così; ma per
istabilire dei principii di nostra condotta uniformi, e da
tenersi da noi costantemente. Il non dover noi far promesse,
nè parlare assicuratamente del tempo futuro è una regola
di condotta che discende da tutto lo spirito che ci deve
animare, spirito di tranquillità e di fermezza. Le ragioni
che più intimamente dimostrano la necessità di questa regola
sono le seguenti, che quando sieno a pieno penetrate
sono potentissime, e possono mantenerci in una coerenza e
stabilità di operare con noi stessi:
1 Il rispetto profondo da noi dovuto alla divina
Provvidenza , i cui arcani non dobbiamo temerariamente
indagare; ma adorare costantemente, contenti di conoscerne
solo quella parte che Iddio ci viene successivamente manifestando,
e del resto appagarci dell' oscurità in piena quiete;
2 La certezza della bontà di Dio , che sebbene operi
in un modo recondito e spesso diverso al tutto da quello
del nostro pensare, tuttavia qualunque cosa faccia, la fa
sempre a nostro bene e maggior salute;
3 L' intima persuasione del nostro nulla , della nostra
fallacia, mobilità ed incostanza naturale; per la quale abbiamo
sempre ragione di operare la nostra salute in timore
e tremore, non potendoci mai e poi mai assicurare di noi
stessi fino che siamo a questo mondo;
4 La viva fede in Dio , cioè della sua grandezza, del
sommo bene, del tutto ch' egli è per noi; giacchè se noi
faremo tanta stima di Dio da giudicare che avendo lui solo,
tutto abbiamo e nulla ci manca, e se crediamo di poter
possedere Dio in tutti i luoghi, in tutte le circostanze della
vita nostra, ne verrà indubitatamente che noi staremo anche
sempre contenti in qualunque luogo e circostanza; e che
riconosceremo ogni nostra inquietudine come una nostra
imperfezione e mancanza di fede, e ricorreremo a Dio
stesso per vincerla, e per ottener la grazia che egli illumini
gli occhi del nostro cuore per vedere lui e conoscerlo,
e per averlo a nostro unico tesoro, riputando nulla tutte le
altre cose, e meno che sterco gli oggetti idonei a darci le
soddisfazioni momentanee volute dalla nostra natura inferiore.
Ah se il nostro tesoro fosse in Dio, in Dio solo sarebbe
altresì il nostro cuore! ma noi siamo inclinati a mutare;
perchè non vogliamo solo Dio, ma qualche altra cosa
insieme con Dio, confondendo così senza accorgerci nel nostro
amore la creatura col Creatore, per mancanza di uno
spirituale discernimento e di una viva fede. Una adunque
delle massime o regole fondamentali della nostra condotta
sia questa « di contentarci sempre del nostro stato presente ,
come quello nel quale possiamo possedere il Signore, cioè
il tutto nostro: e di non imbarazzarci punto del futuro ,
aspettandolo dal Signore senza farci sopra conti umani o
provvedimenti, e perciò senza osare di parlare assicuratamente
del medesimo ». Questa è una di quelle massime
che hanno grande influenza: direi, che è una delle nostre
massime di stato . L' operare in coerenza alla medesima richiede
una continua meditazione: giacchè ciò succede di
tutte le massime generali. Quanto le massime sono più generali
tanto sono più semplici e facili a percepirsi; ma nella
loro applicazione tanto sono più difficili, giacchè hanno una
sfera maggiore, ed esigono una continua vigilanza di mente.
Il tirarne le conseguenze pratiche è ciò che spiega la forza
della massima, e la mostra in tutto il suo possente splendore.
Voi mi farete un vero piacere se mi comunicherete
i vostri riflessi sopra la medesima.
Prima conseguenza della massima surriferita si è di corrispondere
colla più diligente cura alle incombenze dello
stato presente; stimandole anche quando sembrano piccole
agli occhi della nostra umanità. Nulla è piccolo agli occhi
della fede in ciò che si opera per Gesù Cristo Signor nostro:
tutto è grande, giacchè in tutto c' è Gesù Cristo. E` la
superbia umana quella che oscura il nostro vedere, e lo
rende inetto a percepire nelle cose Gesù Cristo: quando G. C.
nelle cose è reso invisibile ai nostri occhi, allora noi misuriamo
la grandezza delle cose e delle azioni nostre da
sè stesse, dal loro esterno apparato, dal loro numero, dalla
loro pomposità, in somma da una falsa apparenza che non
ci mostra nulla di realmente grande, perchè non c' è di
realmente grande che il nostro Signore Gesù Cristo. Ciò
posto, voi avete nel momento presente delle piccole occupazioni
in apparenza, ma tali che la vostra fede le saprà
stimare e conoscer grandi in realtà. Oltre il lavoro della casa,
avete l' educazione del Molinari forse a quest' ora incominciata.
Carlo pure un poco alla volta potrebbe riuscire un
cherico dabbene, e un esemplare ministro del Signore: fate
perciò di tutto per formare il suo spirito, riguardandolo
come un' anima a voi affidata dal Signore, e trattandolo
colla tenerezza di padre. Verso frate Pietro avrete pure
occasione di esercitare quei tratti di carità, di cui l' età
senile ha bisogno; e voi saprete gustare il piacere dell' alleviare
altrui la noia della vecchiaia. Vi raccomando pure
i vostri neofiti, e la giovane che istruite per ricongiungerla
alla Santa Chiesa.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.29 Ringrazio Iddio che, come vedo dalla cara vostra, le cose
costì seguitano bene. Il Cardinale Morozzo, da me veduto ier
l' altro, si mostrò contento delle cure che vi siete dato in
diverse opere buone, e specialmente per le prigioniere di
Pallanza. Mi disse d' avere veduto il luogo del Sacro Monte
ristaurato e d' esserne restato al tutto pago, e poi mi rivolse
queste parole: « E dunque pensa Ella di ritornare in Diocesi? »
Io gli risposi che « questo era appunto il mio desiderio: »gli
raccontai come il nostro piccolo affare era assai bene avviato,
e come il Sommo Pontefice Leone l' intendeva benissimo,
quando la divina Provvidenza il chiamò all' altra vita.
Gli aggiunsi che io attendeva l' elezione del nuovo Sommo
Pontefice per non moltiplicare i viaggi inutilmente e le
spese, e che desiderava di sottomettere al medesimo (qualunque
fosse quegli che ci donasse la Provvidenza) il nostro
piccolo progetto: perchè il Capo della Chiesa giudicasse
prima di tutto del medesimo, e noi nel suo giudizio avessimo
una norma sicura del nostro operare in avvenire. Parve
che egli ne restasse soddisfatto; e non sarebbe impossibile
che alla carità sua piacesse di dire forse qualche parola a
noi favorevole, e così sollecitasse l' esito del negozio.
Lasciamo pure le cose tutte nelle mani del Signore e
Redentore nostro Gesù, e di Maria Santissima sua madre,
rimanendoci da parte nostra tranquilli e costanti , con una
viva fede in lui, certi che egli disporrà ciò che è della sua
maggiore gloria, e che non ci lascierà senza guida, perchè
arriviamo sicuramente al nostro fine, la salute delle anime.
Io non posso in tutto questo tempo applicare la Messa per
altro fine che per noi, e pel nostro piccolo affare: acciocchè
Iddio ci salvi nel modo migliore, e provveda alla Chiesa
diletta sua sposa, acquistatasi col sangue suo. Vi prego di
fare anche voi, come certamente farete, le più fervorose
orazioni per lo stesso fine; e massimamente perchè io non
metta ostacolo alle divine misericordie colla enormità dei
miei peccati. Fate pur pregare i nostri tre cari fratelli nel
Signore, Antonio, Carlo ed Isaia. Oh quanto godo di sentire
che si perfezionano sempre più nella obbedienza e nell' amore
alle abitudini sante di una vita regolare e divota!
Chi sa che il Signore non li voglia tutti suoi nella Religione?
Io vi prego e supplico di considerarli come vostre
viscere, e di non risparmiare verso di loro alcuna delle
sollecitudini della materna carità del nostro divin Maestro:
perocchè in questo modo, se essi a suo tempo si consacreranno
a Dio, li potrete considerare come vostri parti nel
Signore! Vi assicuro, mio caro amico e fratello in Gesù carissimo,
che io sospiro il momento di trovarmi unito a voi.
Ma questo momento non lo vedo ancora così vicino. E giacchè
noi vogliamo vivere veramente alla Providenza, guardando
sempre in Dio che dispone tutte le cose per nostro
bene e per quello della sua Chiesa, dobbiamo altresì sofferire
con pazienza questa presente nostra separazione.
Immaginiamoci, mio caro, che noi siamo presentemente
i novizi , e Iddio è il nostro Maestro ; questi vuole assuefarci
alla mortificazione, e vuole renderci atti a trovarci
in tutti gli stati, in tutti gli uffici, ed in tutti i luoghi: per
questo egli permette che noi siamo alquanto divisi. Corrispondiamo
adunque alla disciplina del nostro maestro. Assuefacciamoci
a tutto ciò a cui egli ci vuole assuefare; e,
per non prendere un' impresa troppo ardua, seguiamo e non
preveniamo questo maestro buono e caritativo, il quale ci
prova, e purga, e mortifica un poco alla volta, e, se noi
siamo deboli, ci soccorre colla sua mano, quando noi non
operiamo di capo nostro, ma dietro la sua adorabile Provvidenza.
Io per me vi assicuro che ho vergogna a parlarvi;
perchè sento pur troppo di non fare nulla: ma tuttavia non
posso a meno di esprimere con voi questi sentimenti; perchè
non dubito che abbiate gusto a sentirli, e che ne sentiate
la verità nel vostro cuore, per la grazia che vi dà il
Signore. Certo, avanti che un uomo chiamato da Dio alla
religione sia religioso, deve essere novizio , e starsene novizio
qualche tempo. Certo, per voi almeno, questo è il
tempo del noviziato. Io non ne ho fatto che un poco l' anno
scorso, ma il Signore me lo farà finire quando a lui piacerà;
per altro da patire e nel corpo, e nello spirito massimamente,
non manca, nè può mancare: e ciò conto nelle
più grandi misericordie del Signore. Da parte mia dunque
vi dirò « perseverate e non uscite da voi stesso dal noviziato,
ma sia Gesù colla divina Provvidenza che vi tragga
o vi rimetta a suo beneplacito ». Alla fine che è questa
vita tutta intera se non un noviziato pel paradiso?
A proposito dei conti permettetemi, mio caro, un' osservazione
che può essere falsa e può essere vera, e che io
vi faccio per mostrarvi tutto il mio cuore aperto, e non
tacervi nulla di ciò che vi devo per fraterna carità. Se la
mia osservazione è vera, approfittatevene: se ella è falsa,
non curatela punto come non ve l' avessi fatta. Mi sembrò
adunque di osservare in tutti i conti preventivi dei quali
vi ho richiesto, un certo timore di mettere una somma così
forte, che mi potesse smarrire, e che, tratto da questo timore,
voi m' abbiate fatti dei fa7bisogno sempre più scarsi
d' assai di ciò che si richiedeva per l' affare di cui si trattava.
Ora permettetemi che io vi dica che, se la somma è
forte, io non me ne smarrisco, se ella è proporzionata alle
mie forze, e che è necessario sempre che io la sappia tutta,
per poter fare le mie ragioni, e disporre le cose in modo
che io possa avere pronti i danari al tempo che bisognano.
E` meglio adunque dire tutto ciò che realmente si crede
necessario fino sul principio, conservando tutta l' indifferenza
circa l' effetto che potrebbe produrre. Poichè in tal modo si
pratica una schiettezza che è al tutto necessaria all' uomo
cristiano: e dicendo in tal modo tutta intera la verità, si
confida in Dio e non nell' uomo, e si viene in tal modo ad
abbandonarsi alla divina Provvidenza. Possiamo noi ottenere
una cosa santa con tutta la schiettezza? E` voluta da Dio:
amiamo di ottenerla. Non possiamo noi ottenerla, se non
con qualche detrazione alla verità? Non è voluta da Dio:
dunque nè pur noi vogliamola. Il zelo adunque non ci renda
mai meno sinceri e piani in tutte le nostre vie. Io sarei
indegno di essere vostro compagno, mio caro, e voi dovreste
rigettarmi da voi, se forse per amore del danaro mi ritirassi
dal fare qualche cosa buona. Ma d' altronde sarei imprudente,
se sedendo , come dice il Vangelo, non computassi
sumptus qui necessarii sunt . Se però il mio dubbio non
avesse fondamento; e voi aveste fatto i fa7bisogno più bassi
per accidente o per isbaglio, io richiamo tutte queste parole,
e vi prego di perdonarmele per quel vivo desiderio
che ho, che camminiamo in piena luce e con un cuore solo
davanti al Signore.
Amatemi nel Signore, e compatitemi. State certo che io
vi porto sempre nel cuore, e massimamente all' altare. Abbracciate
nel Signore il Molinari, e gli altri due compagni
altresì. Al sig. Canonico Capis fate i miei più affettuosi saluti,
come pure al sig. Avvocato Chiossi, a Pietro, all' Arciprete,
e a tutti quelli che di me cercassero.
[...OMISSIS...]
1.29 Vi scrivo per notificarvi la mia presentazione al Papa
Pio VIII che fu ieri a otto giorni. Mi presentò un Cardinale
che ha della bontà per me. Io trovai il Papa benissimo
e graziosissimo. Dopo avergli baciato il piede, egli mi
parlò dei libri che gli presentai: mostrando già di conoscere
certe cose da me scritte, e di averle lette. Mi ingiunse
di continuare ad applicarmi nei lavori scientifici a cui sto
attendendo, con delle parole così gentili, che ho vergogna
a trascriverle.
Dopo di tutto ciò egli uscì a parlarmi del nostro comune
affare, di cui era stato prevenuto favorevolmente, massimamente
dal Cardinale Morozzo. Egli mi disse così (vi trascrivo
il suo sentimento, perchè ci serva di norma nella
nostra futura condotta): « Se Ella pensa di cominciare con
una piccola cosa e lasciar fare tutto il resto al Signore,
noi approviamo , e siamo bene contenti che ella faccia.
Ma se Ella credesse di cominciare con delle cose in grande,
noi non crediamo che andrebbe bene. Non parliamo già
come Vicari (indegni che siamo) di Gesù Cristo: ma anche
solo considerando i tempi nostri e le circostanze in cui
viviamo ».
Qui cominciò a parlare d' una Congregazione che, fino
a un certo tempo, aveva fatto di molto bene, perchè si
era tenuta nel poco, e non aveva voluto dilatarsi in troppe
cose; e che, dopo che aveva preso un altro andamento e
si era voluta rallargare e fare assai, non ha più corrisposto
all' aspettazione, come al principio. Il santo Padre si allungò
molto nel mostrarmi la necessità di questa umiltà e prudenza,
di questa necessità che v' ha in tali opere di cominciare
sempre da una piccola cosa, e lasciare che il Signore
dia quell' incremento, a tempo e luogo, che è del suo beneplacito,
senza che noi ci proponiamo di fare molto, ma
facendo unicamente quel pochetto che noi possiamo, vivendo
con ciò contenti e perfettamente soddisfatti. Tutto il discorso
che mi tenne il santo Padre fu un discorso pieno di spirito
di Dio, di una saviezza che viene dall' alto, e di una unzione
singolare. Egli mi ha estremamente consolato, perchè il
Papa parlando esprimeva, senza saperlo, il mio proprio
pensiero, quel pensiero che ho avuto sempre nel fondo del
mio cuore, e che forma la base principale del nostro piano.
Io gli risposi presso a poco così: « Santissimo Padre, io
non so come sia stata rappresentata la cosa a Vostra Santità,
ma La posso però assicurare di questo, che io non
ho mai inteso di cominciare con cose grandi, ma con cose
al tutto piccole: la mia non è una vocazione straordinaria,
come sarebbe quella di S. Ignazio, ma ordinaria; l' unica
ragione, per la quale ricorro a Vostra Santità, è per sapere
ed assicurarmi bene, se io, camminando per la via
per la quale sono, cammini diritto, o no; per potere o
avanzarmi per la stessa via, o abbandonarla ». Egli tornò
a dirmi « Ella è sulla buona strada; e continui pure pel
suo cammino, purchè proceda in quel modo che le abbiamo
detto, cioè cominciando tutto in piccolo, in piccolo:
e lasciando fare al Signore, perchè, se l' opera sarà da
Dio, non mancherà già egli di favorirla ». - Io qui gli
domandai la benedizione per voi e per tutti quelli che abitano
la casa di Domodossola, per altri amici e benefattori
dell' opera; ed egli me la diede con tutta l' espansione e l' allegrezza,
congedandomi in un modo pieno di apostolica
carità.
Ho voluto scrivervi tutto esattamente, perchè voi veggiate,
che noi sappiamo adesso, dalla bocca stessa del Vicario
di Gesù Cristo, qual norma noi dobbiamo tenere di
nostra condotta; cioè noi sappiamo: 1 Che noi siamo sulla
via retta e che facciamo la volontà di Dio, operando come
operiamo e come ci siamo proposti per l' avvenire. 2 Che
la nostra principale regola, indicataci da Dio stesso per
mezzo del suo Vicario, si è quella che ci eravamo proposti,
di mettere cioè sotto ai piedi ogni ambizione umana, ogni
zelo disordinato, di non dare punto luogo all' immaginazione
che ci può ingannare col proporci cose troppo grandi;
ma di non volere altro che servire il Signore nel nostro
piccolo, cioè con quei piccoli mezzi che egli ci ha dati,
vivendo contenti nella oscurità: pensando bensì seriamente
a santificare noi stessi, e apprezzando tutto ciò che
è servizio di Dio, sia ristretto o ampio, sia ignorato o conosciuto
dagli uomini. Costanza dunque, giacchè abbiamo
l' approvazione del Capo visibile della Chiesa; e nello stesso
tempo sodezza e gravità, giacchè lo stesso rappresentante
di Dio sopra la terra ci ha avvertiti del pericolo, nel quale
potremmo cadere, e della illusione dell' inimico, alla quale
potremmo soggiacere, se ci lasciassimo indurre nella tentazione
di volere da noi stessi estenderci a cose maggiori
del nostro povero stato. Questa fu la conferenza che ebbi
col Papa, e questo il profitto che noi dobbiamo cavarne.
Dopo questa conferenza col Papa, che mi lasciò una
grande allegrezza interiore e tranquillità, io dimandai al
Cardinale, mio più confidente, che cosa avessi a fare; se
doveva subito ritornarmi a Domo, o restarmi ancora qui.
Egli mi rispose che era necessario che io mi trattenessi,
che io facessi un compendio delle Costituzioni per presentarle
poi alla Congregazione dei Vescovi e Regolari da esaminare,
e, Dio volendo, anche da approvare. Io spero oltracciò
che ci saranno accordate delle Indulgenze per la
nostra chiesa di Domo, per noi, e anche per tutti quelli
che contribuissero, o direttamente o indirettamente, all' aumento
dell' opera pia. Io dunque mi tratterrò ancora qui;
lavorerò intanto delle opere, che ci saranno utili per la
riforma degli studi ecclesiastici. La composizione dei libri
il Papa me l' ha ingiunta espressamente: facendomi intendere
che quest' era la volontà di Dio, a mio riguardo, e
aggiungendomi « si ricordi che Ella non deve diffondersi
nelle opere della vita attiva, ma deve scrivere »; e confermando
ciò con parole piene di carità e di forza. Il farò
dunque, giacchè per ora tale è la volontà di Dio.
Godo di sentire che vi piacque il pensier mio di ristringerci
da principio nelle opere esterne agli Esercizi nei Seminari,
e altre cose attinenti alla educazione del clero, secondo
che ne saremo richiesti. Ho provveduto qualche libro
utile a ciò, e nè provvederò degli altri. Facciamo sopra tutto
orazione istantemente, e cerchiamo la santificazione delle
anime nostre per modo, che in essa riponiamo ogni nostro
desiderio, e che con quella sieno appagati tutti i nostri voti.
E` la via questa della vera tranquillità e della vera fermezza
in tutto ciò che si opera. Per carità raccomandate
me particolarmente al Signore, perchè sono un miserabile
in questo stesso che predico agli altri. Ma il Signore che
mi ha dato il desiderio ardente di santificarmi, coronerà
anche questo suo dono coll' effetto. Allora dirò con tutto il
mio cuore: nunc dimittis . Salutate nel Signore il Molinari,
che amo in Gesù, e gli altri due nostri fratelli. Dite mille
cose per me al nostro ottimo Canonico Capis; dite che ho
continua memoria di lui, e che sospiro il momento di rivederlo;
ditegli che lo ringrazio della bontà che ha per voi
e per gli altri compagni, e che preghi per me. A Dio. A Dio.
Siamo nel Signore cor unum et anima una .
[...OMISSIS...]
1.29 La vostra lettera, scritta in quel linguaggio che dovrebbe
essere comune di tutti quelli che hanno ricevuto una medesima
fede nel Signore e che è pur tanto di pochi a dì
nostri, mi fu un regalo doppiamente prezioso, e perchè un
monumento d' amicizia, e perchè un monumento di religione,
dirò tutto in una parola, perchè un monumento di
carità. Vi ringrazio pure delle nuove che mi date de' nostri
amici carissimi nel Signore: è pur bello essere così rannodati
nella unità. Io vedo la mano di Dio sopra N. N., e la
traccia di una sua grande misericordia. Qual dubbio che
questa temporanea tribolazione non gli sarà di grande aiuto
e lume all' anima sua? Egli perderà in faccia agli uomini,
forse; egli scapiterà secondo i poveri calcoli del mondo:
ma sarà un guadagno appresso Iddio, il quale suole fare
le ragioni bene in altro modo dall' uomo e dal mondo. Che
sappiamo mai noi, che cosa sia bene e che cosa sia male?
Noi non vediamo che apparenze. Quegli che vive in eterno,
e agli occhi del quale non vale ad occultare nulla la notte
più tenebrosa, è il solo che vede la realtà: lasciamo dunque
fare a lui: noi viviamo tementi e tranquilli, umiliati e quieti,
in orazione e in riposo di confidenza. Per quello che mi
dite di Mellerio, certo il Signore ha voluto prendere, come
noi diciamo, due colombi ad una fava, cioè fargli esercitare
a lui la pazienza e la carità, mentre dava a N. N. una
tiratina di orecchi; perchè si riscotesse meglio, se mai c' era
pericolo che egli facesse un sonnellino. Ma lasciamo dei
giudizi suoi, de' quali questo solo sappiamo che sono sempre
misericordiosi. - Lessi l' opera del La Mennais; e troppo
a ragione la censurate. Egli dà troppo ai liberali, perocchè
egli viene a porre per motivo dell' obbedienza la ragionevolezza
del comando: in tal caso è distrutta ogni ubbidienza
al mondo. Non si deve cercare se il comando sia ragionevole;
ma se sia ragionevole l' ubbidienza. Ciò che deve
bastarci circa il comando è di sapere: 1 che egli procede
d' un' autorità legittima; 2 che egli non impedisce l' ubbidienza
d' un altro comando superiore; e nel dubbio dee
presumersi in favore di chi comanda avendo la legittima
autorità. Di vero in qualunque sistema il Papa non è mai
infallibile nelle cose politiche. Onde dunque saprò io indubitatamente
che il suo comando è conforme in queste cose
alla ragione, condizione richiesta da La Mennais? Il La
Mennais stesso sentì questa difficoltà. Ma come vi rispose
egli? Nella prima lettera all' Arcivescovo di Parigi si contenta
di così rispondere: « Se poi è irragionevole o falso
il comando dell' autorità ecclesiastica, in tal caso l' autorità
stessa è nulla, perchè l' autorità ecclesiastica ha questo
di proprio di esistere fino che è conforme alla ragione ».
Grazie moltissime! Voi vedete: siamo di ritorno al senso
privato: e ad un tal senso privato, che quando bene gli
pare, dichiara nulla l' autorità ecclesiastica. In tal caso è
ubbidientissimo, come voi vedete: non è mica che egli non
ubbidisca: ubbidisce sempre: si riserva alcuni casi nei
quali dichiara che l' autorità che gli comanda non esiste.
Non è questa una ubbidienza perfettissima? Tanto è vero
che gli estremi si toccano, e che se voi vi movete in un
circolo in direzione opposta di un altro che parte con voi
dal punto stesso, brevemente vi scontrerete sulla via, e vi
unirete così di nuovo. Per altro ne' vostri studii io molto
mi conforto. So che il demonio mette il suo capo da per
tutto. Ma basta rispondergli quello che rispose S. Gregorio
alla tentazione che gli mosse il demonio, quando componeva
la grande opera de' Morali . Vedendo, che gli riusciva un
libro nobilissimo e meraviglioso, come è, e che la vanità
il sollucherava, ed il demonio gli metteva in pensiero « brucia
l' opera per vincere la vanità »; s' accorse che il consiglio
della distruzione veniva da colui che odia e non vuole
che disfare, e gli rispose, « per te non ho cominciato e per
te non finirò », e così proseguì il suo lavoro, liberato dalla
tentazione. Così dobbiamo fare noi: lavoriamo pure allegramente,
ma per Iddio, per Iddio solo. La sua santa legge
sia la lucerna de' nostri pensieri, le parole evangeliche il
termine delle nostre speculazioni, Gesù Cristo finalmente il
nostro maestro. Ah egli ha le parole della vita eterna! Ah!
beati coloro che le meditano, che le hanno nel cuore e nella
mente; e che non istudiano nè indagano cosa alcuna se
non per riuscire a quelle, e per conformare le cognizioni
loro a quelle, e come a certa norma paragonarle, e su
quelle emendarle e rettificarle, e con quelle avvivarle.
Tutto perchè Iddio sia glorificato in Gesù, nel quale vi desidero
che siate conformato in tutto, nè ho altro più bel
desiderio da fare a tutti quelli che amo in lui e per lui.
[...OMISSIS...]
1.29 La proposta di Mons. Scavini non intendo veramente
che cosa abbia in mira; e vi prego di informarmene accuratamente.
Qual fine ha egli nel mandare questi giovani?
quanto tempo conta di lasciarli? qual è il progetto suo
circa il loro mantenimento finchè restano al monte? ecc..
Per altro in questa cosa dobbiamo contenerci come nell' altre,
secondare la Provvidenza ed usare in ciò tutto quel
lume di prudenza che Iddio ci comunica: « in lumine ambulare ».
Io sentirò volentieri il vostro parere sopra ciò; e
a quello mi accomoderò. Consultate il Signore, l' incarico che
assumete, le forze vostre: e tutto preso in mira, decidete e
comunicatemi il vostro sentimento. E` necessario che ciò
facciate voi: poichè voi solo siete in caso di conoscere le
vostre forze, e vedere se il peso è ad esse proporzionato.
Io non vi dirò che una cosa sola: « che assumiate solamente
quello che vedete di poter fare: e che poi gli impegni presi
fino al più piccolo scrupolo gli eseguiate pienamente e costantemente ».
Infatti prima di assumere un impegno bisogna
considerarlo e pesarlo; assunto che sia, non si può
lasciarlo o negligentarlo, ma a qualunque altra cosa eventuale
preferirlo: la promessa è un laccio che ci facciamo
noi stessi: non possiamo più scapparci, quand' egli è fatto.
Così secondo le massime dell' onestà evangelica. Aspetto
adunque di sentire la vostra decisione, lo scopo di questo
affare, e il vostro piano di eseguirlo. - Veggo chiaramente
che Iddio vuole che mi trattenga qui fino che il nostro affare
almeno sia appianato. Intanto stampo un' opera, e
sembra che Iddio voglia servirsi di quest' opera per qualche
suo fine. Questo non ve lo dico per vanità, ma per incoraggiarvi
e consolarvi nel Signore. Sarà infine quello che
egli vorrà: e sia benedetto. Io vi dico sinceramente che
spasimo di venire nel mio caro ritiro, unito a voi: vi assicuro
che se ne sto lontano in questo bel tempo, è perchè
ne vedo il bisogno, perchè credo che così sia la volontà
divina: e voi stesso me n' avete consigliato saviamente. Lo
stesso mi consigliano quelle persone che proteggono il nostro
affare. Godo che facciate delle confessioni utili, e che di
Francia abbiate buone nuove rispetto alla vostra persona.
Per l' amicizia santa, che vuole che non vi taccia nulla,
non vi posso tenere nascosto che qui a Roma ci sono molti
Francesi; e fra gli altri de' missionari di Francia, i quali
hanno parlato di voi poco favorevolmente. Ma non temete per
questo: giacchè confidare si deve nel solo Iddio, e non negli
uomini: questa per altro è una città dove si sa tutto. Per
questo anche credo meglio che per ora non veniate a Roma:
ma spero in Dio che venererete anche voi il Vicario di
Gesù Cristo personalmente presente. A Dio, mio caro in
Gesù. Gesù v' innamori sempre più della sua croce, che è
il tesoro maggiore che abbiamo: umiliamo sotto di essa la
nostra povera umanità. A Dio di nuovo. Spero che riceverete
la mia confidenza come un tratto di quella amicizia
che vi debbe il vostro affezionatissimo ROSMINI.
[...OMISSIS...]
1.29 Mi parla spesso il buon Padulli della sua persona, delle
tribolazioni colle quali il Signore la visita, e della pazienza
ed ilarità, colla quale Ella le riceve e sopporta. Io non so
dirle, se non che questo è un fabbricarsi tale corona, che
io ben le invidio. La grazia del Signore fa pure le cose mirabili,
se cangia in tanto bene ciò che è tanto ripugnante
alla nostra natura, come è il patire. Come la parola di Gesù
Cristo smentisce dunque e confonde il nostro senso, la nostra
natura, e tutti gli elementi di questo secolo! Egli ha insegnato
che, per trovare la felicità e la grandezza, dobbiamo appunto
metterci per una strada che, secondo tutte le apparenze e secondo
il giudizio stolto della carne e del sangue, non presenta
che piccolezza ed infelicità. E Gesù ci ha persuasi di tutto
il contrario, ci ha fatto credere che i nostri occhi, le nostre
mani, i nostri orecchi, tutti i nostri sensi c' ingannino, quando
ci depongono sul pregio delle cose, che ci inganni il nostro
spirito, la nostra stessa natura! Un' altra natura, qualche
cosa di sopra alla natura, misteriosa, occulta, ma che ci si
rivelerà un giorno, è il ben nostro. La potenza di Gesù Cristo
si pare appunto in farci credere a questo unico bene, che
è finalmente il possesso di lui stesso, il Re della gloria. Noi
avremo una gloria simile a lui, ma se saremo umiliati in
modo simile a lui; noi saremo come lui felici e grandi, ma
se porteremo la croce come lui. Quanto è sublime questa
dottrina, e come si diparte da tutto ciò che poteva inventare
la sapienza umana, dirò anche l' umana immaginazione! Indarno
il mondo la rifiuta: perchè le tenebre non hanno mai
compresa la luce. Noi compiacciamocene pure, con una tenera
gratitudine verso chi ci ha recati gratuitamente in sì
ammiranda chiarezza di verità: ed egli ci conservi in essa
fino alla fine.
Il Signore ci ha dato ancora tutti i mezzi perchè, se noi
vogliamo, possiamo conservarci in essa, e mezzi sicuri. Qual
più sicuro e consolante mezzo della protezione di Maria
Vergine Santissima? Don Giovanni, il suo divoto, mi ordinò
espressamente di nominarle Maria Santissima, scrivendole:
e quanto mi è dolce il farlo! Non è questo caro nome di
Maria un balsamo a tutte le nostre piaghe? Io vorrei ben
sapere da Lei quante volte avrà sperimentato il conforto di
questo nome, l' aiuto di questa madre di tutti quelli che a
lei ricorrono: perocchè al solo pensare a questa genitrice
di Dio e nostra, l' animo si tranquilla e la mente si rasserena,
a parlarne si diffonde la letizia, e a invocarla si rintegra
il coraggio anche ne' momenti di maggiore lassezza
e battaglia, e si mettono in fuga i nemici dell' anima nostra;
e chi in lei confida non può perire. Egli è per questo che
Le parlo tanto più volontieri di questa Madre e Signora
nostra, in quanto che io spero che Ella vorrà dire, anche
per me, miserabile peccatore, un' Ave Maria , e mettermi
con tutti gli altri gran peccatori sotto il di Lei manto; poichè
non è nessuno che sotto quel manto tremare possa per quanto
sia misero. Oh conforto ineffabile, quello di poter tutti avere
il diritto di chiamare mamma, la Mamma di Dio! quella
che ce lo diede Redentore, che ne ebbe cura, che lo seguì
sulla croce! Ed è colassù, al piè della croce del Redentore
spirante, che ebbe principio il nostro diritto di dire mamma
a Maria, e che fu legalizzato, quasi direi, colle parole di
Gesù, ecco la Madre tua . Sicchè nel mezzo ai dolori dell' Esemplare
nostro, ed a quelli di Maria, nacque la nostra
adozione! Si può egli trovare un pensiero più consolante,
nel mezzo ai disgusti ed alle croci di questa misera vita,
di quello che è il pensare, come la Maternità di Maria verso
noi fu proclamata in mezzo alle pene? E` nelle pene nostre,
infatti, che la tenerezza di questa amorosissima Mamma nostra
trova un campo maggiore, ed è, quasi direi, nel suo
regno. Ah stiamoci dunque attaccati a quest' affabile, a quest' amorosa
consolatrice! Mettiamoci sempre nelle sue mani,
e, in quelle abbandonati, più nulla temiamo; e felici quelli
che il fanno davvero! Ella lo impetri ancora a me, che finisco
domandandole mille scuse di tanta libertà che mi sono preso
e dichiarandomele umil servo A. R..
[...OMISSIS...]
1.29 Ecco vi restituisco tre anime carissime che me abbandonano.
Quanto ne sento la separazione! Era veramente
tutto ciò che di più caro e di più dilettevole m' aveva qui.
Spesso insieme, e sempre in questi ultimi mesi, eravamo
divenuti un cuor solo ed una sola vita. E` solamente fuor
dello spazio e del tempo che può trovarsi l' immobilità del
diletto di amare, in quel punto che esclude ogni separazione,
ogni divisione. Oh beata unità! eterna beatitudine!
Don Giovanni vuole che vi scriva e vi scriva de' figliuoli
suoi; ve ne faccia il carattere, ve ne esponga l' avviamento.
Tutti e due hanno dato prove non dubbie di un bel cuore,
e di una volontà del bene. Tutti e due li ho sentiti a protestare
tante volte, che faranno di tutto per rendere consolato
l' amoroso padre, per corrispondere alle sue sollecitudini
ed alle sue assidue cure, delle quali apprezzano il
valore, e non si sentono in caso di ringraziarne Iddio bastevolmente.
Giovanetti così intelligenti e così decisi nel
bene, offerti ogni dì a Gesù ed a Maria dal loro buon genitore,
è impossibile che non sieno benedetti dal cielo, e
che non riescano a quel termine di virtù pel quale tutti
siamo nati. Nè nell' uno nè nell' altro ho notato la menoma
ambizione, e il menomo sentimento di baldanza sopra gli
altri uomini loro inferiori, rispetto al posto nella umana
società. Tutti e due meritano di essere incoraggiati alla
virtù, a cui sono rivolti, colla dolcezza e coll' affetto, mezzi
a' quali sicuramente rispondono. Converrebbe fare loro sentire
vie più profondamente l' importanza di un travaglio
forte: e infondere nelle loro anime una forte volontà. E`
questo il principio di ogni grande riuscimento. Il mondo ha
dei motivi co' quali la infonde a' suoi seguaci che non abbiamo
noi, l' orgoglio di soperchiare gli altri, l' avidità di
guadagno, tutti in somma gli attaccamenti ai beni della
terra. Noi per grandi motivi abbiamo l' amore della giustizia,
di Dio, dei beni del cielo: più sublimi, più efficaci
altresì, ove sieno fatti signori dell' uomo onnipotenti; ma non
cadono sotto i sensi. Indi la difficoltà d' infonderli massimamente
nella tenera età, tutta occupata e quasi istupidita
dalla folla delle impressioni de' sensi. Intanto non conviene
nulla ommettere per attemperare l' azione di queste, e dare
luogo all' azione di que' motivi. La grazia viene in soccorso:
ella fa sentire ciò che è insensibile ad un senso secreto dell' uomo:
le cose dello spirito, allora che la grazia le infonde,
acquistano dirò così un corpo spirituale per noi, e l' anima
nostra le vede, le palpa, le amoreggia e si mesce con esse.
Ah operi il Signore queste maraviglie di un universo che è
tutto celato all' uomo carnale, con abbondanza! A Raffaello
ancora darei a leggere le opere di S. Francesco di Sales, e
vorrei come si suol dire, che ne rinsanguasse: a Matteo una
scelta delle lettere di S. Girolamo, o qualche altro simile
forte scrittore, sebbene di sapor aspro pel suo palato. Circa
gli studi dissi già al padre suo, che quanto potrà farglieli
fare regolari e compiti, tanto più gioverà. Ecco quanto io
vi posso dire di questi due vostri nipoti, tanto a me cari
e preziosi. Il padre suo sta trepidante sull' avvenire, perchè
chi ama teme. Ma se v' ha ragione di temere sempre, ce
n' hanno mille tante più da sperare. Amatemi come fate,
salutate tutti quelli che di me si ricordassero; ed anche voi
pregatemi dal Signore la grazia, che unica desidero, di servirlo.
[...OMISSIS...]
1.29 Non camminiamo solamente puri davanti a Dio, ma anche
chiari e difesi davanti agli uomini. Usiamo tutta la sincerità
immaginabile, tutta la semplicità ed insieme tutta la
prudenza. La semplicità farà sì che noi saremo abbandonati
in Dio, e confidando in lui non temeremo mai d' essere pienamente
veraci, si trattasse anche di cose che ci dovessero
umiliare; accettiamo l' umiliazioni: Iddio accetterà la nostra
mortificazione. Ma la prudenza esige che rendiamo sempre
ragioni manifeste di tutto ciò che facciamo, acciocchè o gli
uomini non ci scherniscano giustamente, o non ci rimproverino
la nostra indiscrezione nel pretendere che essi credano
alla cieca quanto loro diciamo, o ci accusino non pure
di poca delicatezza, ma ancora di presunzione; quasi che
ciò che noi diciamo fosse giustificato dall' autorità di noi
che lo diciamo. Teniamo adunque sempre presente in questa
avvertenza, come in tutti gli altri nostri passi, il divin nostro
Maestro e Salvatore Gesù Cristo, il quale volle che le
sue parole fossero provate e confirmate dai miracoli, e da
tant' altre prove, e recò in testimonio il suo Padre celeste
che colle profezie e coi portenti giustificava e confirmava
quanto egli diceva. « Si non facio opera Patris mei, nolite
credere ». Ed io ho pensato molte volte qual fosse la ragione,
per la quale Maria santissima non raccontò a Giuseppe l' apparizione
dell' Angelo, ed io credo che fosse perchè non poteva
darne prova, ed era tanto umile che non esigeva che
fosse creduto alla sua sola parola. Questa adunque sia il
nostro modello e la nostra regola, mio caro. Non parliamo
mai agli uomini, se non ciò che noi possiamo provare loro
con delle prove manifeste, acciocchè non abbiano ragione
di rimproverarci; tanto più che Gesù Cristo ha detto « cavete
ab hominibus ».
Perdonatemi, mio caro, anzi carissimo amico e fratello,
se sono così lungo e così minuto in queste massime. Penso
che se mai Iddio ne' suoi arcani impenetrabili avesse destinato,
che ciò che noi facciamo portasse qualche consociazione
di persone in un corpo per servire a' suoi fini;
l' esito di tutto questo corpo dovrà dipendere dalle massime
che si stabiliscono a principio. Dunque io giudico di somma
importanza l' occuparci seriamente a conoscere e stabilire
quelle massime che si debbono abbracciare giusta lo spirito
di Dio. E trovo che una di queste massime nel trattare
cogli uomini dee essere quella di usare loro un sommo rispetto
ed una somma delicatezza, e non solo di trattare con
essi colla schiettezza e semplicità evangelica, cioè non solo
procedere con veracità in tutte la cose, ma ben ancora non
avanzare cosa, senza che la proviamo. Mio caro, andiamo
innanzi con purità di spirito e costanza, e riceviamo dalle
mani del Signore le umiliazioni senza temerle; perocchè le
umiliazioni sono quelle che ci aprono gli occhi dello spirito,
eccitano la fede, promuovono la speranza, ed accendono in
noi veramente l' amor di Dio, che è la sua grazia che si
comunica agli umiliati.
Sento che Molinari l' avremo presto Diacono: sia ringraziato
il Signore. Qui mi si è presentato qualche soggetto;
ma vi dirò tutto in voce. Dobbiamo avere pazienza e vivere
in pace, meditando sulle anime nostre. Io voleva partire
di qui già è molto. Vedo che fu assolutamente la divina
Provvidenza quella che mi trattenne, e mi tratterrà
qualche poco di tempo ancora, ma non molto. Sebbene io
sia sempre al monte Calvario col mio pensiero e nella cara
vostra conversazione, tuttavia di questo indugio ringrazio
Iddio, come di tutte le cose. Le vie del Signore sono elevate,
ed egli conduce da lontano i suoi disegni. Mio caro,
pregate, come fate, per me. Io non celebro il santo Sacrificio
che per voi, e per me indegnissimo peccatore, acciò
Iddio ci salvi, e ci faccia esecutori fedeli della sua volontà
che è la piena nostra santificazione. Le cose che ho qui
stampate sono tutte rivolte ad un solo scopo, perchè un solo
fine hanno tutti i miei pensieri e desiderii, la salute delle
nostre anime. Addio; vivete nella pace del Signore. Egli vi
empia di lume: e questo lume, lucerna a' nostri piedi, sia
la sua legge.
[...OMISSIS...]
1.30 Ciò che mi dite di sperimentare, o mio carissimo, dall' affetto
e dall' attaccamento a ciò che avea di visibile la
vostra figlia, è un argomento da conoscere sensibilmente
qual sia la lusinga di questi nostri sensi che si apprendono
istintivamente alle cose terrene senza guida di ragione, e da
queste è poi difficile lo staccarli per ragione, la quale pare
che non abbia, quasi direi, più diritto d' intervenire a disciogliere
que' legami, che non è intervenuta a formare. Ed è
per questo che io credo che S. Giovanni dicesse che tutto
ciò che è nel mondo è pericoloso; anche perchè il solo uso,
la sola consuetudine e famigliarità alle cose sensibili ci produce
l' effetto di avvincolarci ad esse, anche senza che noi
ce ne accorgiamo e senza che possiamo rimproverare a noi
stessi nessuna azione particolare gravemente peccaminosa;
e quindi diminuisce la libertà del nostro spirito, e lo spoglia
dell' interezza della sua forza, colla quale egli dovrebbe
tendere nel solo Dio e a Dio solo congiungersi. Ma tutta
la debolezza che noi veniamo sperimentando, tutta quella
infermità della carne che proviamo anche quando lo spirito
è pronto, qual bello e verissimo argomento di umiltà non
ci dev' essere! E quanto non è consolante per noi stessi il
compenso della nostra umiliazione, per ottenere la quale
Iddio permette la stessa nostra infermità! Poichè quando
siamo umiliati, allora abbiamo resa giustizia a Dio e lode alla
verità; e questo è lo stato dove la grazia non trova più impedimenti
e viene infusa nell' umile a ribocco. Amico carissimo,
dandomi voi presa colle vostre riflessioni di dir queste
cose, me la date ancora di considerare in me stesso e l' infermità
della carne e il debito della umiliazione; che mi
aiuterete ad ottenermi altresì da Dio, come caldamente ven
prego.
Qui mi dà gran conforto il trovare una evidente e copiosa
benedizione del Signore: l' affluenza a questa Chiesa
è grande; la dottrina cristiana sì per gli adulti che pe' fanciulli
è frequentata e sentita con avidità somma e con
manifesto profitto; al confessionale non si può supplire; le
comunioni sono molte, non solo i giorni festivi, ma anche
i giorni feriali. Tutto merito principalmente di D. Giovambattista,
il quale lavora tutto il giorno, e nè pure la notte
talora ha riposo, come la notte passata che spese ad assistere
un moribondo, dopo un giorno in cui non avea trovati
che pochi momenti da pranzare e cenare fuori d' ora.
La sua robustezza lo assiste, è vero, ma niente varrebbe
senza la grazia del Signore, da cui viene la vera fortezza.
A Dio. Tanti miei complimenti in casa Patrizi, ed alla vostra
Mariannina. Salutate pure D. Luigi, se è costà arrivato.
[...OMISSIS...]
1.30 Spero che l' aria di Napoli, i bagni e la distrazione gioveranno
a sollevare lo spirito, non solo il corpo della vostra
Mariannina, ed il vostro medesimo; giacchè dobbiamo aiutarci
anche di questi mezzi esteriori per ottenere quello
che la nostra infermità non ci concede di ottenere per puro
sforzo di virtù. Conviene però nello stesso tempo suscitare
in noi la fede, credendo fermamente che Gesù Cristo è onnipotente,
e che dopo poco tempo (giacchè questa vita e il
corso di questo mondo è breve) noi riaveremo per virtù
della sua onnipotenza quello che abbiamo perduto, o piuttosto
quello che si è nascosto ai nostri occhi. Ho perduto
anch' io il padre e dei cari amici, ma immagino che stieno
facendo un viaggio, dal quale aspetto che ritornino e che
io li possa di nuovo riabbracciare. Gran conforto mi dà il
pensare che verrà il giorno in cui li possederò vestiti delle
stesse carni e delle stesse fattezze che avevano quando mi
lasciarono, li vedrò e li toccherò e converserò con loro liberamente
fino che a me piace, perchè essi saranno la mia
delizia, senza che io li perda più mai. Tutta la rassegnazione
adunque nella perdita de' nostri cari, per noi cristiani,
se abbiamo fede, non si riduce se non ad un poco di aspettare
fin che Dio voglia; ma noi non abbiamo, veramente
parlando, perduto nulla, nulla è morto per noi: tutto vive,
o al più dorme. Ma conviene, come dico, fare atti di viva
fede, credendo che Dio è onnipotente, e che ci può pienamente
consolare.
[...OMISSIS...]
1.30 Vi ringrazio molto del giudizio vostro che mi comunicate
sulle carte consegnatevi che racchiudono la descrizione
della progettata istituzione. Voi avrete ben compreso da
quelle, come l' effetto che porterebbe una simile istituzione,
se a Dio piacesse che avesse luogo, sarebbe quello di mettere
in comunicazione tutte le buone persone fra di loro,
e, quasi direi, di organizzarle al bene, opponendole all' empietà
che si unisce con tanto ardore, tutte in un sol corpo.
Sembra che ciò sia reso necessario nei nostri tempi, giacchè
anche i buoni debbono avere il loro diritto di difesa. Questo
dico è l' effetto che ne verrebbe. Ma in quanto al piantare
una istituzione che porterebbe questo effetto, io sono intimamente
persuaso che non può essere opera di uomini, ma
di Dio solo: e che quindi si dee in questo affare tener lontanissimo
lo spirito d' intrapresa: spirito umano, e fallace,
col quale certamente nulla mai si farà che sia veramente
buono. Per questo tutto il nostro studio consiste nel non
mettere ostacoli alla divina Bontà: è un affare negativo:
e nel cooperare alle occasioni che la divina Provvidenza ci
manda senza punto cercarle da noi stessi; questo avrete
veduto che è una delle massime fondamentali esposte nelle
carte che avete in mano.
Ma si dee riflettere ancora un' altra cosa importante.
L' organizzazione dei buoni l' ha piantata già Gesù Cristo
nella sua Chiesa: non se ne può dunque creare un' altra:
si dee attenersi strettamente all' organizzazione della Chiesa,
che consiste nel Papa, Vescovi, Parrochi. Questi sono i centri,
i due primi certo d' istituzione di Gesù Cristo, ed il terzo
è posto dalla Chiesa, sulle traccie del suo Fondatore. Nulla
dunque dee essere staccato da questi centri. Io son d' avviso
che siamo venuti in tempi ne' quali nessuna istituzione può
più sostenersi se non per la forza di questi centri inconcussi,
su cui la Chiesa stessa è fondata. Esaminando voi la
carta che avete in mano, vi accorgerete ch' essa non descrive
se non un modo, onde si possa un poco alla volta rannodare,
stringere, sottomettere tutte le buone istituzioni a
quelle potestà costituite da Gesù Cristo, in un modo naturale
però; sicchè tutto nella società dei cristiani vada a
suo luogo. Considerate come gli ascritti ed i figlioli adottivi
sono legati coi superiori della società, i coadiutori
esterni secolari e laici sono pure avvincolati agli stessi
superiori, i quali col tratto del tempo vanno a cangiarsi
in altrettanti pastori della Chiesa, se Iddio a ciò li chiama.
Ora egli è evidente che tutte le altre istituzioni, a qualunque
buono scopo formate, potrebbero esser parti di questa
natura di società, e quindi potrebbero esser tutte incorporate
armoniosamente in un corpo, purchè però abbiano per
fine la vera gloria di Dio e la carità. Meditando questi
principii voi, signora Marchesa, colla vostra penetrazione
potrete conoscere assai bene la natura di una società di cui
non esiste che il piccolo seme, e potrete conoscere quanto
questo seme potrebbe esser fecondo nelle mani di Dio. Vi
prego però di non far uso di queste confidenze che con voi
faccio, Marchesa, per l' alta stima che m' avete ispirato, se
non colla massima circospezione. E` assai facile il non essere
intesi, quando si parla di cose che sono ancora puramente
possibili. Contentiamoci adunque di stare al fatto: io sono
veramente contentissimo di questo mio eremitaggio, e nulla
più cerco. Faccia poi il Signore, la cui grazia sola desidero.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.30 La cara vostra del 26 agosto mi ha dato molta afflizione
secondo la carne, sentendovi ammalato: ma molta consolazione
altresì secondo lo spirito, nel quale finalmente viviamo.
Ringrazio di cuore Iddio sentendo che voi dichiarate di riconoscere
come teneri segni dell' amore suo gli incomodi che
manda al vostro corpo; ed egli è pur così, mio caro; sono
pegni di un amor singolare, prezioso, sublime. Sebbene io
sia pur troppo insofferente, tuttavia ogni qual volta mi rammento
i miei abituali incomodi, li riconosco e li confesso
per tali, e so di non poterne abbastanza ringraziare Iddio.
Nessun miglior tempo per esercitare la pazienza e l' umiltà
che quello, nel quale siamo infermi. Quale aiuto per essere
compresi dell' altezza dei giudizi di Dio non è per noi il
sentire la dissoluzione del corpo nostro, e quanto essa ci sia
sempre imminente! e come possa riuscirci repentina! Cade
ogni vana presunzione a questo pensiero, e la menzogna
del nostro orgoglio fa luogo alla verità del nostro niente,
e qualunque piccola confidenza in noi stessi ci muore in
seno, dove sorge un abbandono ed una confidenza tenerissima
in Dio solo. Sì, mio caro, così è.
Per altro rendo grazie a Dio del sentirvi privo di febbre
ora, essendo egli che mortifica e vivifica; e spero che vantaggerete
nel corpo ogni dì. Ho gran desiderio poi che mi
teniate informato accuratamente del vostro stato, e se non
potete voi, pregate di ciò il caro Quin, a cui farete i miei
più teneri saluti. La morte della Marchesa Patrizi me l' avea
scritta già il Conte Mellerio da Albano. Anche qui c' è la
mano di Dio, e noi adoriamola. Spero che de' passi da voi
fatti per la partenza non ve ne verrà cosa alcuna di sinistro;
perchè non ci poteva esser nulla di dispiacevole, come a
me sembra, in una gita autunnale, anche venendo conosciuta:
di questa veramente si trattava, come eravamo restati
intesi, lasciando alla divina Provvidenza di fare il resto.
Oh! quanto è dolce abbandonarsi nelle sue mani, senza
curiosità sul futuro! Il vivere coll' incertezza del futuro, e
colla quiete perfetta nelle mani di Dio, era il desiderio dei
Santi, ed è una disposizione a Dio carissima. Questi sono
i vostri sentimenti, come raccolgo dalla cara vostra; e non
mi faccio maraviglia se in questa piena ed umile conformità
al volere divino, voi troviate, come mi dite, una gran
pace e la costanza nei buoni proponimenti. Mi è pure cosa
assai dolce il sentire come voi siate nel perfetto equilibrio
di volontà anche circa il presbiterato, e disposto a fare solo
quello che il vostro confessore e gli altri Superiori vi ordineranno.
Quanto dite poi del sentimento d' indegnità che
provate nel vestire gli abiti diaconali, è lume di Dio, che
vi fa vedere la verità; giacchè la sola corruzione nostra
originale, l' ignoranza nostra, la presunzione innata e la
concupiscenza ereditata ci mettono tanto in basso, e ci
rendono così vili e spregevoli per noi stessi, che non si può
esprimere nè concepirlo appieno; ed è la pura misericordia
di Dio quella che gratuitamente ci ha infusa la grazia nel
Battesimo ed ha vivificato il nostro spirito: sebbene la nostra
carne sia ancora morta, e fruttificante sempre morte. Laonde
quanto più ci abbassiamo, tanto più ci accostiamo alla verità.
Intanto v' abbraccio con tutto il mio cuore nel Signor
nostro, ed in Maria nostra tenera madre. Abbracciate pure
per me il signor Quin. Abbiate cura della vostra salute, e
rendetemene informato diligentemente.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.30 L' afflizione che voi dovete avere per la morte della
povera Giovannina Patrizi, e che io divido con voi, mi
stringe a scrivervi la presente per condolermi ad un tempo,
e sfogarmi con un tanto amico. Non è solo la mancanza
della Patrizi che mi accuora, ma il dolore che involontariamente
ella produce morendo a' suoi più stretti congiunti,
al nostro egregio Mellerio, ed a voi che vedete accresciuto
dolore colà appunto, onde vi consigliavate di attignere la
consolazione del primo dolore. Il Signore non senza misericordia
fa tutto, perchè egli è ottimo; e fosse ancor più
duro il caso, noi dobbiamo sempre vivere pronti e disposti
di piegar il capo, e dire: sia benedetto il suo nome. Qual
sicurtà possiamo mai avere in tutte le cose che ci circondano?
Nissuna; e se noi ne poniamo alcuna in esse, operiamo
da stolti; perchè non è motivo da dover credere
stabile ciò che di sua natura è mutabile e transitorio, e che
non dura alcun poco di tempo, che per puro accidente. Se
noi giudichiamo così delle cose umane, com' elle meritano,
noi ce le vedremo sottrarre anche tutte l' una dopo l' altra,
e non ci maraviglieremo, non ci turberemo di soverchio
dolore; giacchè vivremo apparecchiati a vederle sparire
ogni dì, ringraziando Iddio ogni momento che non ci sono
ancora sparite; giacchè è più maraviglia che esse persistano,
che non sia ch' esse ci sfuggano, e svaniscano. Ho scritto
anche al nostro Mellerio; ed attendo nuove di tutti voi con
impazienza. M' imagino già il ristoro che saprete derivar
alla tribolazione, in cui vi mette il Signore, dall' orazione
fatta al piè della croce, in compagnia della nostra addolorata
Madre, che tanto perdea più di noi, e che pure più di
noi era nel suo dolore rassegnata e costante. Salutatemi la
povera Mariannina con espansione. Spero di vedervi presto,
cioè in su la fine di questo mese, se altro indugio non
interviene. Abbracciate Mellerio e D. Giovanni. Voi siete
tutti meco nelle mie indegne orazioni. Addio.
[...OMISSIS...]
1.30 Vi ringrazio di avere consolata la mia carissima signora
Madre, nell' averle detto la verità del mio stato e della mia
posizione e abitazione. Aggiungete che sono ora in sul ripararmi
anche più dal freddo secondo i vostri consigli: faccio
chiuder le scale per modo, che andando in refettorio non si
debba toccar l' aria del cielo sereno, ed in refettorio stesso
colloco una buona stufa che può stare in prova colle tedesche.
Insomma si va migliorando, almeno pel corpo; così fosse per
l' anima, mio caro, che è poi l' unica cosa importante! Oh
qui sta il tutto! La vera sapienza è in quel piccolo e semplice
libro che si chiama Vangelo; là c' è tutta: e se non
fosse temerità la mia, vorrei pure consigliarvi che di questo
librettino voleste leggere non più che pochi versetti al giorno,
ma pensando che vengono fuori dalla bocca di Dio, e che
si debbono intendere con semplicità, e senza stiracchiature
interessate: poco tempo ci vuole, ma in quel poco tempo
s' odono le parole della vita. Io per me vi conforto a farlo
quanto so e posso, e spero che ci saranno di consolazione
al cuore che si riscalda con quelle parole, e si fa in noi
ardente mentre si ascoltano. Questo consiglio mi cade dalla
penna in contandovi dello star bene del mio corpo, cioè di
questo corpo che per quanto stia bene, si va però tuttavia
indubitatamente a perire fra poco tempo. Così è, e la verità
è una sola, immutabile. Amen , perchè mi è caro che così
sia, perchè amo la verità.
Addio mio caro: non più, se non che v' abbraccio insieme
con don Paolo strettamente. Al signor Arciprete i miei più
affettuosi saluti. Continuatemi l' amore, di cui mi fido; voi
pure fidatevi, che v' amo.
[...OMISSIS...]
1.30 La cara vostra lettera de' 22 ottobre, giuntami alquanto
tardi, mi ha consolato per le notizie che racchiude, nelle
quali vedo la misericordia di Dio.
Ciò che mi ha più di tutto consolato, si è la concordia
che regna fra di voi, e la perfetta sommissione di don Giulio
e dei giovani che mi accennate, ne' quali ponete molta speranza;
giacchè questa perfetta unione e sottomissione al
proprio superiore, non riguardando la persona ma ciò che
rappresenta, dee esser proprio il gran mezzo d' ottenere la
grazia e benedizione di nostro Signore Gesù Cristo, che è
piaciuto al Padre per la sua ubbidienza. Anche qui le mie
speranze si fondano nel sembrarmi che si vada guadagnando
nella virtù dell' ubbidienza; qui, dico, dove la virtù dell' ubbidienza
è più meritoria. Ah sì, è più meritoria perchè
colui che hanno eletto per Superiore è l' infimo di tutti!
l' hanno voluto eleggere a malgrado che egli prima volesse
far noto ad uno di loro tutte le iniquità della sua vita, e
dando a lui libertà di parlare cogli altri, perchè conoscendolo
tanto indegno mutassero pensiero. Si fece anche un
digiuno con orazioni per tre giorni pregando Iddio che rischiarasse
le menti, ma fu tutt' uno. In fine accettò di esser
capo provvisoriamente in fino a tanto che si potrà eleggere
un capo stabile secondo le Costituzioni. Io ho vergogna a
dirvi chi questi sia; ma la vostra carità sa bene già, con
questo solo che ho detto, per chi pregare.
Mi consolano pure le notizie che mi date del Collegio
e delle opportune persone che avete trovate per attendervi,
e spero un grande bene dalle Conferenze spirituali già incamminate.
Le « Massime di Perfezione », che avete scelte per
materia delle medesime, mi sembra che sieno fondamenti
da gittarsi, e stimo che non sieno mai intese abbastanza,
mai abbastanza discusse, meditate, sviscerate, ed in tutto
osservate. Come vi sarete accorto, esse formano la base di
tutte le Costituzioni. Noi abbiamo pure cominciato a farle
argomento delle nostre Conferenze secondo un piano regolare.
Fin qui per argomento delle Conferenze aveva dato
quelle materie che mi sembravano più urgenti pel buon
ordine e regolamento della Casa, come sarebbe: 1 dell' importanza
che le ore della giornata siano bene distribuite e
che sia mantenuto l' orario esattamente; 2 sul silenzio;
3 sull' impiego del tempo; 4 sul portare i difetti l' uno dell' altro;
5 sull' ubbidienza; 6 sull' abituale raccoglimento,
ed altri simili oggetti. Ma ora si comincierà a parlare della
perfezione, e a far sì che si convertano in succo e sangue
le « Massime »: perchè il giorno d' Ognissanti fu considerato
come il principio della Prima Prova , che si farà in tutto
quello che sarà possibile a tenore di ciò che prescrivono le
Costituzioni. Finite poi le « Massime », o si ripeteranno un' altra
volta, o si prenderanno per argomento le Regole comuni ,
di cui vi manderò copia, coll' intenzione di ripetere le Conferenze
sulle « Massime » in altro tempo: perchè tali Conferenze
sopra oggetti di capitale importanza vanno di quando
in quando ripetute.
Avete fatto bene, mi sembra, a diminuire le fatiche del
confessionale, giacchè troppo vi resta da fare nelle altre
occupazioni che non potete al presente abbandonare. Per
ciò che dite dello scoraggiamento che sentite nel vostro spirito,
io credo che ciò sia voluto da Dio per farvi sperimentare
l' umana miseria e farvi conoscere col fatto che avete
bisogno di Lui, ch' è il solo fonte della forza, e per farvi
incessantemente ricorrere ad un tal fonte e confidare in Lui
solo. Se noi sentissimo molto coraggio e molta forza nel nostro
spirito, forse ci dimenticheremmo di dimandare a Lui
continuamente aiuto e sostegno; ma sentendoci venir meno,
siamo ogni momento costretti a gridare: « Domine, salva nos,
perimus »: ed al Signore sono accettevoli le grida della nostra
umiltà e del sentimento della nostra impotenza. Che se poi
ciò nasce dalla poca vivezza della nostra fede, anche allora
l' esperienza che proviamo del nostro nulla può avere in
compenso il merito di ottenerne maggior dose coll' orazione.
In quanto all' altro impedimento che trovate in voi stesso
nel peso del vostro corpo che desidera una nutrizione confacente,
e cerca un riposo nel suo ben essere; io credo bensì
che sia un giusto motivo da conoscere in noi stessi una disarmonia
e deformità originaria, e per questo da piangere
e da sclamare: « quis me liberabit de corpore mortis huius? »
ma credo ancora che sia tale da non dovervene punto nè
poco turbare. E a questo proposito mi sembrano buone queste
due regole: 1 se siamo obbligati da' nostri doveri ad astinenze
ed altre privazioni e mortificazioni corporali, badar
bene di non darla vinta all' inclinazione del corpo, ma ad
ogni costo far che vinca lo spirito; 2 se poi si tratta di
astinenze e mortificazioni libere che imponiamo a noi stessi,
allora farne quello che si può con libertà di coscienza, e
quando si manca non turbarsene, o discoraggiarsene punto:
ma in quella vece fare un atto di sincera umiltà dicendo
a noi stessi: « qual maraviglia che non abbiam potuto mortificarci?
maraviglia è che non abbiamo fatto di peggio »;
e in quest' atto di sincera umiltà riconoscere la nostra estrema
debolezza, che pur troppo ci fa venir meno anche nelle più
piccole cose. Ciò ci servirà molto per allontanar da noi la
tentazione di essere un qualche cosa nella via dello spirito,
mentre pur nulla siamo. E questa regola di compensare con
un atto di umiltà quell' atto di mortificazione che non siamo
stati capaci di fare, mi disse una persona a cui l' ho insegnata,
che la trovò efficacissima per acquistare la pace del
cuore, giacchè prima di praticar questa regola s' inquietava
e disanimava quando mancava a qualche mortificazione prefissasi;
ma dopo nel riconoscimento della propria insufficenza
si tolse a tranquillare. In quanto poi a quel continuo
istinto di aspettare un riposo nel buono stato del nostro corpo,
e nel provare il senso troppo vivo della prosperità e buona
nutrizione del corpo, io confesso che è pure una gran pena
per lo spirito, un gran timore, una gran croce; ed io la provo
continuamente. Tuttavia è l' intenzione dello spirito quella
che si dee tener desta e diretta continuamente a Dio, e come
dicono i Santi Padri, è l' apice della mente. Ecco come dice
il Libro dell' Imitazione: [...OMISSIS...] ;
e questa è la via della santa libertà
di spirito, coll' occhio dell' intenzione mirar in Dio solo, ed
ivi finir con tutta la nostra libera volontà, e sopportar nel
resto noi stessi e la nostra infermità. Certo non siamo capaci
di grandi cose: persuasi di questo ci contenteremo di tutto,
e ringrazieremo Iddio di non far peggio: altro non possiamo
fare che riconoscer questo ed abbandonarci del resto in Dio.
Amiamoci in lui; giacchè la carità è il contrassegno dei
discepoli di Gesù Cristo: qui siamo un cuore e un' anima
sola. Ci si è aggiunto da pochi giorni un altro compagno,
di cui spero bene: fu la Provvidenza sola che ce lo mandò:
riceviamo ciò che ci dà, rendendo grazie. Preghiamo unanimemente.
Ogni sera nelle orazioni comuni qui preghiamo
anche per voi. Abbracciatemi il nostro caro Giulio. Il caro
don Giovanni vi fa tanti saluti nel Signore, come anche li
fa a Giulio.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.30 Voi mi chiamate Padre, e non sono che un figlio discolo:
ommettete quella espressione che mi fa tanto arrossire e
vergognare di me stesso, e chiamatemi fratello, se così vi
piace, che me ne trovo io anche troppo onorato: ma via,
per amore poi posso essere e vi sono fratello. Mi ha consolato
moltissimo la vostra lettera, come pure ha consolato
moltissimo il nostro caro fratello Don Giovanni, primieramente
per ciò che dite della vostra persona. Ringrazio il
Signore che vi accresca forza e che siate arrivato colla
meditazione ai tre quarti d' ora. Questo mezzo della meditazione
lo tengo molto importante: noi ne abbiamo un piccolo
metodo in iscritto cavato massimamente da S. Ignazio:
è buono che imparino tutti un buon metodo, e vorrei che
questa fosse una delle prime vostre cure circa i vostri compagni
di far sì che imparino bene il modo di meditare.
Questo del meditare, quello di esaminare la coscienza e
quello di pregare con intelligenza e attenzione, sono i tre
principali istrumenti della vita spirituale. Mi ha pure consolato
il pensiero che mi manifestate di far dare un piccolo
passo innanzi all' unione questo santo giorno di Natale prossimo.
- Ho poi qualche osservazione da farvi sul vostro
progetto, ed aprirvi quale sarebbe la mia intenzione. Primieramente
non vorrei che diceste: « Se il Signore aprirà il
cuore del nostro Sovrano », ecc. poichè io stimerei meglio
di non pensare a questa cosa: se l' opera è da Dio, avverrà
tutto ciò che è necessario, perchè abbia il suo esito: abbandoniamoci
più ciecamente alla Provvidenza: io stimo che
dobbiamo fare tutto quel bene che possiamo al presente con
ogni tranquillità e senza occuparci punto del futuro e dell' incerto:
il che è sempre un fonte d' inquietudini, colle quali
il nostro inimico vorrebbe sempre tenerci in moto la fantasia,
e toglierci la pace del cuore. « Nolite cogitare in crastinum ».
Direi dunque che con tutta semplicità faceste ai vostri compagni
il discorso da voi ideato, soggiungendo unicamente
di tenerci uniti nello spirito tutti e di dimandare maggiori
grazie e misericordie, purificando incessantemente le nostre
anime fino a quel tempo, se Iddio lo ha stabilito, nel quale
si potranno regolare meglio le cose, e con maggiori vincoli
anche esterni congiungerci. Intanto le nostre relazioni saranno
nell' unità del fine e de' mezzi, nell' uguale abbandono
alla Provvidenza, lasciandoci da essa muovere senza punto
prevenirla, nella carità scambievole e nella frequente comunicazione
epistolare, colla quale ci manifesteremo a vicenda
tutto ciò che la misericordia divina dispone circa di noi, sia
che siamo in un luogo o nell' altro. Vi dirò poi anche quale
intenzione io avrei. Non è già necessario di avere una positiva
approvazione dal Governo, come ho rilevato avendo consultato
sopra di ció persone bene informate; ma basta
che siamo in buona intelligenza col Vescovo, e mi sono state
mostrate anche in fatto diverse Congregazioni in Italia esistenti,
che non hanno mai dimandata approvazione politica,
ma essendo ben vedute dal Vescovo anche il Governo n' è
pienamente contento. Questa buona intelligenza poi col Vescovo
è necessaria in ogni modo, qualunque cosa si abbia
in animo di fare, ed io ho gran fiducia di ottenerla per alcuni
buoni indizi che n' ho avuti. D' altro lato è meglio andare
adagio, e fare in tal modo un piccolo passo alla volta,
senza parlare menomamente di approvazioni formali, e senza
presentarsi come veramente una società religiosa; giacchè
la vera natura di questa società è quella di essere una società
umile e privata, e l' unione consiste puramente nei vincoli
spirituali, che riguardano la coscienza, sicchè il Superiore
sia veramente un Padre e Direttore spirituale. Anche
il carissimo nostro Don Giovanni è dello stesso avviso; e
parmi che così ci uniformiamo meglio alla mente del Santo
Padre Pio VIII di santa memoria, che m' ha raccomandato
tanto di mantenere il proposito di seguire la Provvidenza
e non prevenirla, facendo un piccol passo alla volta. Cercate
dunque che i vostri compagni si uniscano pure, come
avete proposto, in una piccola congregazione coll' intenzione
di essere uniti di cuore con noi, e formare, se Dio vuole,
una cosa sola, prescrivendo loro intanto di pregare per i
loro confratelli che sono qui col corpo, ma insieme con loro
collo spirito nel Signore (come noi tutti preghiamo per tutti
voi altri anche in comune in ogni sera nelle orazioni domestiche)
e di fare con semplicità i loro doveri e le opere buone
incominciate, avendo un solo fine dinanzi agli occhi, Iddio
in tutto e il nostro Signore Gesù Cristo, a cui solo onore e
gloria ne' secoli de' secoli. Amen, amen .
La Domenica seconda di Avvento abbiamo avuto la consolazione
di ricevere nella nostra Chiesa un' altra abiura di
una protestante con qualche solennità e molto concorso di
popolo, che ne fu molto edificato. E` la settima abiura che riceviamo
per delegazione del Cardinale: ringraziamone Iddio.
Anche de' nostri cherici sono contento, e per misericordia
divina parmi che ogni dì s' acquisti nelle virtù religiose: io
solo me ne resto come uno scoglio resistente al mare delle
divine misericordie. Ah per carità pregate per me in particolare!
Saluti a Don Giulio in osculo sancto . Tutti qui vi
salutano con effusione d' amore santo. Viva il nostro Signore
Gesù Cristo e la sua santissima Madre Maria, viva, viva!
[...OMISSIS...]
1.31 Mi sta altamente fitto nell' animo, che dove si mettesse
fra gli Italiani vera concordia, stima reciproca, interesse
de' scambievoli lavori, e di proposito prendessero a trattare
le grandi questioni che interessano la Religione e l' umanità
collettivamente, e quasi direi nazionalmente, si vedrebbe ben
presto sorgere da tali discussioni una dottrina imponente e
di una dignità forse nuova, d' un vantaggio all' umanità incalcolabile.
Cotale stima ho io delle menti italiane! capaci
per mio avviso di tutta la celerità e chiarezza francese, di
tutta l' esattezza e solidità inglese, e di tutta la profondità
tedesca; ma oltracciò dotate di una nobile pacatezza, tutta
loro propria che conservano anche nel maggior fervore,
giacchè la stessa fantasia degli Italiani è ordinata e lascia
loro tempo di pervenire a tutta quella pienezza e perfezione
nella risoluzione delle questioni, dove solo la verità
riposa e la questione termina per cominciare la scienza.
Non si faccia meraviglia di questa grande stima che ho io
degli ingegni e degli animi de' miei connazionali, per non
vedere que' frutti che io accenno; perciocchè troppe cause
mettono fin' ora impedimento a quella unione che sola ingigantisce
gli ingegni individuali, i quali finchè stanno isolati
e solitari sono necessariamente fiacchi ed hanno una
potenza chiusa e invisibile: « paulum distat inertiae celata
virtus ». Ma ove gli animi di bell' ingegno, e sopra tutto di
animo gentile e religioso, entrassero in questo pensiero di
unirsi amicamente fra loro, cercando insieme quel bene, che
pure cercano concordemente, ma separati e senza quasi saperlo;
io vedrei in questa tendenza un seme di grandi beni,
e un principio della realizzazione di quella speranza che
porto nel mio seno, e ivi la alimento siccome la mia stessa
vita. E quando considero che la Provvidenza ha collocato
in questa nazione il magisterio supremo del Cristianesimo,
non posso non credere che ad essa sieno servati i più grandi
destini anche per quello che spetta alla diffusione delle
umane dottrine; giacchè queste non possono crescere, per
mio avviso, con istabilità e perfezione e con vera utilità del
genere umano, se non dalla radice divina del Vangelo.
Non è già ch' io ammetta miglioramenti successivi nell' essenza
del Cristianesimo, come nè pur Ella li ammette:
esso è la parola di Dio; ed è immutabile più dei cieli. Ma
il Cristianesimo, e più propriamente il Cattolicismo, è per
mio avviso idoneo a degli immensi sviluppamenti, che saranno
cagione a lui di glorie sempre più belle, inaspettate,
portentose. Su questo pensiero mi ha fermato non solo la
meditazione più attenta della natura infinitamente feconda
della parola evangelica, non solo gli effetti stupendamente
benefici ch' ella ha prodotto al mondo in questi diciotto secoli
che è annunziata, ma le stesse parole de' Profeti che
predicono le sue grandezze ed i suoi trionfi, i quali non sono
ancora alla lettera compiti. Questi sviluppamenti del Cattolicismo
non consistono in sostanza che in altrettante applicazioni
pratiche ai bisogni degli uomini, alle loro varie
circostanze, e massime ai loro diversi avvincolamenti nelle
varie società che fecero insieme e che faranno: il Cattolicismo
porterà il lume da per tutto, da per tutto metterà
l' ordine, la pace, l' amore; e tutti i beni che possono venire
agli uomini dall' amore della pace.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.31 Le rendo mille grazie della sua gentile lettera, che mi
fa certa fede, non essere io punto dimenticato da Lei, anzi,
ciò che io punto non merito, molto ben ricordato. Ma La ringrazio
poi particolarmente per l' allegrezza che mostra nelle
sue lettere e l' interesse che prende per questo piccolo Istituto,
che, nato unicamente per opera della divina Provvidenza,
viene soavemente da essa stessa consolidato ed ingrandito.
Più cose Le avrei da scrivere, in cui questa operazione mirabile
della mano di Dio si vede ogni giorno più manifesta; ma
mi contento di pregarla a volerne ringraziare di cuore il
Signore, come mi scrive che già fa, e a supplicarlo sempre
maggiormente che, per sua divina misericordia, non ci lasci
mettere piede in fallo, ma ci diriga tutti sicuramente « in
viam salutis aeternae ». E` coll' orazione che si può far tutto,
coll' orazione sola fatta in modo umile, confidente e perseverante ,
come dice sant' Alfonso.
Felici gli uomini d' orazione! E tale è la professione che
assume il sacerdote, il quale « constituitur in iis quae sunt
ad Deum, ut offerat dona et sacrificia pro peccatis ». Ecco
la professione propria sacerdotale, ecco tutta la vita del sacerdote.
Lei beata, perchè, indossando questa sacra divisa,
che tanto indegnamente io pure porto, entra in un ufficio
così consolante, così sicuro, così nobile e sublime, come è
quello di vivere in terra conversanti con Dio, e trattanti
con lui delle nostre miserie e di quelle de' nostri fratelli,
gli altri uomini! « Nostra autem conversatio in coelis est ». Non
v' ha certamente cosa di mezzo; e guai a quel sacerdote
che vuol transigere col mondo, coll' amor proprio, e co' capricci
irrequieti e indefinibili della propria volontà! « Dominus
pars haereditatis meae »: queste grandi parole che Ella pronunzierà
solennemente, quando passerà sul suo capo la forbice
del Vescovo, e ne taglierà tutte le superfluità, saranno
la legge, e la legge accettata, elettasi, di tutta intera la sua
vita. Guai a coloro che le pronunziano colle labbra, e col
cuore intanto ritengono un' altra eredità! mentiscono « non
hominibus, sed Deo ». Guai a tutti quelli altresì che si lasciano
scandalizzare dalla mala consuetudine di quei primi, e si
trascinano dietro il loro esempio! Grande pericolo, mio caro,
è questo dell' esempio, giacchè pur troppo è frequente nel
mondo. Ma chi si raccoglie a meditare la verità, chi ha il
vantaggio di respirare l' aura pura d' una solitudine sacra a
Dio, o chi non fa sua compagnia che pochissimi sacerdoti
santi ed esemplari; questi solo potrà difendersi e munirsi
contro quella mortifera indifferenza, freddezza e spensieratezza,
colla quale si vedono molti ricevere l' imposizione
delle mani, e, dopo ricevuta, viversi a loro grand' agio, come
se non l' avessero ricevuta, o peggio ancora.
Io sono entrato in questo discorso quasi senza avvedermene;
ma osservo ch' Ella nella sua lettera ha l' umiltà di
dimandarmi un parere su questa cosa e sul suo stato futuro;
perciò non me ne pento. E giacchè Ella così vuole, Le aggiungerò
liberamente, che, per la più vera amicizia che Le
professo, La scongiuro a non fare a Dio il sacrificio di se
stesso dimezzato, ma intero intero. E quindi di rimanersi
in una perfetta indifferenza circa qualunque ufficio di carità
che la divina Provvidenza Le presentasse di fare; perchè
questa bella indifferenza, credola io la disposizione migliore
per servire Iddio con sicurezza, secondo la sua santa volontà,
e per mettersi al sicuro degli artifici della volontà
nostra, che cerca sempre tradirci, proponendoci di seguire
perpetuamente le nostre inclinazioni per piacere a noi stessi,
ed anche i consigli vani del nostro amor proprio, di questo
grande imbroglione che tutto il bene guasta e perturba. Oh
se i sacerdoti, pensando di non servire a se stessi, ma a Dio
solo, e per Dio al bene de' prossimi, fossero indifferenti a
tutto il resto, come dovrebbero! comincierebbero allora appunto
ad essere veri sacerdoti di Cristo. E queste legioni
sacerdotali che vittorie non apporterebbero contro i nemici
dell' uman genere! che beneficŒ immortali non farebbero alla
umanità! che unione, che forza, che trionfi procaccerebbero
alla Chiesa! che meriti, che grandezza di premi celesti a
se stesse!
Ecco il mio consiglio, carissimo e stimatissimo mio conte
Giuliari; ecco tutto in poche ma cordiali parole: Ella non
se n' avrà certamente a male, se ho riversato il mio cuore
nel suo. Mi saluti tutti i carissimi amici nostri: in particolare
Besi suo, e Gentili, a cui dica che aspetto lettera. Tornando
dal Tirolo, mi sono trattenuto qualche giorno a Verona
col suo Vescovo, e abbiamo parlato di Lei. Ai Gesuiti
tante cose.
[...OMISSIS...]
1.31 Le notizie che mi date colla vostra lettera, ricevuta oggi,
della malattia del carissimo Matteo, potete ben pensare che
trafitture sianmi state al cuore, e quanto io senta l' amarezza
del caso, sì per l' amore che io porto a lui, sì per la tenera
amicizia che vi è fra di noi. Io ho raccomandato tosto a
Dio il caro infermo e voi stesso che, a ragione, siete immerso
nel dolore, pregando per l' uno e per l' altro tutto
quello, che per la vostra salute eterna è più confacevole,
e, se ciò fosse, la sanità al primo e la serenità e la calma
al secondo. I sentimenti di cui avete riempita la vostra lettera,
mi mostrano quel combattimento che fa la nostra natura
colla volontà superiore; ma tale però che non vedo
restare incerta la battaglia, ma sì trionfare manifestamente
la grazia di Dio. Tale è l' abbandono e rassegnazione nell' infinita
bontà del nostro Signore, che dirigono e dominano
le dolorose vostre espressioni. Ah sì, mio dolcissimo, il Signore
vi dà una forte prova, mediante la quale v' acquistate
una sublime corona! Diciamo pur adunque, cooperando alla
grazia, nel mezzo della maggiore desolazione e strazio del
nostro cuore « se mai è possibile, passi da noi il calice »:
e soggiungiamo poi fedelmente « ma non si faccia la nostra
volontà, ma la tua, o Padre ».
Questo nome di Padre, contemplato con una fede viva,
sia il balsamo delle nostre piaghe. Abbiamo un Padre amoroso
nel nostro Dio! E` egli possibile che non ci ascolti? E`
possibile che tutto ciò che ci dà non sia buono? Oh ripugni
pure alla nostra inclinazione, ripugni alla natura: non cesserà
per questo d' essere bene; sarà una medicina amara,
ma salutare e necessaria negli occhi di Dio, alla nostra infermità.
Viva fede! e saremo maggiori di noi stessi, checchè
disponga il Signore. Mio caro D. Giovanni, tutto è di Dio,
tutto sacrifichiamo a lui col cuore. Io spero che il Signore
ci salverà il caro Matteo, lo donerà alle orazioni vostre e
di tanti vostri buoni amici di costì. Ma, anche salvato, sia
però il nostro cuore pronto ad ogni sacrificio: è il momento
di mostrare che amiamo Iddio, e che il Paradiso lo contiamo
per qualche cosa. Dimani molte persone divote faranno
la via Crucis per voi e per Matteo. Noi tutti vi raccomanderemo
particolarmente nella Santa Messa come pure
tutta la famiglia vostra, che ben m' imagino quanto sarà
costernata, particolarmente le figlie e il caro Raffaello. Sono
interrotto e non posso scriver più altro. Finisco dunque.
Datemi pronto ragguaglio del corso che prende la malattia
e delle decisioni de' medici: io spero che il sangue lo salverà.
Noi, vi ripeto, pregheremo e faremo pregare; voi mostratevi
forte, abbandonatevi in Dio e non temete di nulla:
egli vi sosterrà, e la Madonna Santissima. V' abbraccio nel
Signore, fonte delle consolazioni.
[...OMISSIS...]
1.31 Permettetemi, in primo luogo, per quella carità di Gesù
Cristo che ci lega insieme, e che, ho grande fiducia nel Signore,
non ci slegherà più mai per tutta l' eternità, che vi
avverta che non ho potuto approvare il passo che voi avete
fatto col Vescovo, senza darmene avviso. No, mio caro, non
ci lasciamo trascinare mai dall' insofferenza d' aspettare,
giacchè questo va direttamente contro lo spirito che abbiamo
eletto e distruggerebbe fino dalla radice quell' Istituto, che
la sola misericordia di Dio e l' opera della sua Provvidenza
sembra che voglia produrre. Questa cosa mi sta sul cuore
assai, e mi ha grandemente addolorato il passo fatto di proprio
moto, che è un operare sempre estremamente pericoloso
e contro le regole comuni. Io vi supplico dunque caldissimamente
di non volere, di qui in avanti, far niente di
simile; ma riposarvi nella divina Provvidenza, avendo gran
fiducia in essa, e cercando di eseguire bene tutte le buone
opere presenti, senza darvi sollecitudine dell' avvenire, commettendolo
a Dio. E se vi viene in animo di fare qualche
passo, prima comunicatemelo, perchè possiamo maturarlo
bene insieme, per vedere se è veramente secondo lo spirito
giusto di prudenza, che è lo spirito di Dio, e che le nostre
Costituzioni prescrivono.
Conviene bene imprimersi, che una sola cosa è necessaria:
« porro unum est necessarium »; e questa è di salvare
l' anima nostra e di possedere in noi Dio. Che cerchiamo
di più? Se mai vorrà qualche cosa da noi Iddio, non ha
egli modo di parlarci, egli che ha fatto a noi la lingua? o
gli costa qualche cosa a farci sapere la sua volontà? o forse
ci terrà occulto ciò che sarà bene? Ah! no, perchè è ottimo:
e noi soli siamo mali. Ma egli è anche sapiente, ed
egli solo conosce i tempi ed i momenti, « quae Pater posuit
in sua potestate ». Abiti in noi la quiete nelle opere buone
che facciamo, senza più; la quiete nel possesso del nostro
Dio: la fede viva e la longanimità tanto lodata dalla Scrittura
ne' patriarchi: e quel « sustine Dominum », che è così frequente
ne' Salmi. Sì, sì, aspettiamo il Signore, egli verrà;
non preveniamolo; chè sarebbe presunzione la nostra e imperdonabile
stoltezza. Che sappiamo noi? Conosciamo noi
ciò che sia bene, e ciò che sia male alla sua Chiesa? No
certo: siamo poveri ignoranti. Che possiamo noi? Nulla,
giacchè siamo nulla. Che pensieri adunque possiamo avere
di fare qualche cosa? Non conviene a noi che di stare bassi
e quieti, quieti nel nostro proprio nulla, per non irritare
maggiormente il nostro Iddio; cercando anzi di placarlo
colle nostre umili preghiere. E` Iddio solo che si può servire
anche del nulla, se vuole, per fare qualche cosa, giacchè
egli chiama « ea quae non sunt, tamquam ea quae sunt ».
Per le viscere di Gesù Cristo vi prego adunque di meditare
questa massima che è il fondamento di questa unione,
che Iddio solo ha finora cominciata; e di raccomandarla
anche agli altri, acciocchè possiamo frenare la fantasia vana
che vuole sempre correre al futuro, e seguire in quella vece
la maturità del giudizio, col quale solo cammineremo nella
luce del Verbo . E` una pena certo raffrenare l' imaginazione
che vuole correre nel futuro e nelle cose grandi,
che vuol produrre in noi degli interminabili e fallaci desiderŒ.
Ma è questo un inimico, a cui dobbiamo fare una
implacabile guerra, giacchè, se l' avremo vinto appieno,
avremo insieme vinto la superbia, la durezza del nostro
cuore, e saremo chiamati « docibiles Dei ».
Perciò tutte le Costituzioni nostre, se ben le avete intese,
versano sopra di questo primo punto. Al presente adunque
pensiamo, e nelle nostre piccole case stiamo contenti.
Non pensiamo ad altre fondazioni per la Diocesi ed altrove,
fino che la volontà di Dio non si manifesti da se stessa.
Per quella di costì, giacchè il passo è fatto, lo considero
anch' esso come un mezzo della Provvidenza, la quale si
serve anche de' nostri falli a' suoi disegni. Questo è un gran
punto sostanziale d' intendere, che, sebbene non si vuol limitarsi
a niente, non si vuole però intraprendere niente di
spontaneo moto, ma solo secondare, quando il Signore presenta
l' opera da eseguire; e intanto viversi contento nel
proprio ritiro. Le Costituzioni non sono che regole di prudenza
pe' casi possibili: non conviene dunque pensare a tutto
quello sviluppo, di cui parlano le costituzioni. Noi non ci
dobbiamo pensare; è Iddio quello che, se vorrà, a tempo e
luogo lo farà. Dobbiamo pensare a quelle cose ed opere singole
che abbiamo alle mani: pensiamo dunque ora a queste
due case che sono qui cominciate, e a quella di costì che
dee cominciare, colle loro opere caritatevoli annesse: ma
nulla di più.
Bensì è necessario non lasciarsi limitare, nè mettere impedimenti:
questo è un articolo essenziale, di cui mi riservo
di parlarvi a voce. Noi non dobbiamo pensare ad approvazione
governativa; siamo un corpo di Sacerdoti privati, che
opera d' intelligenza co' Vescovi e superiori Ecclesiastici.
Tutto ciò che potrebbe limitarci, ripugna alla nostra società:
e dove non si può fare che ricevendo limitazioni ivi non
è la volontà di Dio che noi facciamo nulla. Non dubitiamo
punto: Gesù Cristo non ha limitata la sua Chiesa, ed è una
empietà protestantica il dire che la Chiesa sia nello Stato.
Stiamo con Gesù Cristo e con la sua Chiesa che si chiama
cattolica , e non temiamo punto, nè sottoponiamoci alle arbitrarie
limitazioni che si cerca pur troppo dagli uomini di
mettere alla Chiesa che è essenzialmente cattolica . Il Vescovo
nelle lettere che mi scrive, mi parla in questo senso,
dicendomi che non intende limitare le mie mire alla diocesi,
ma che è ben contento che il bene si diffonda alla
Chiesa universale.
Preghiamo tutti con un cuore solo: noi lo facciamo ogni
giorno in comune e in privato. Io dico sempre Messa per
l' anima mia e per quella di coloro che il Signore sembra
associarmi. E` l' orazione che dee tutto maturare; ma l' orazione,
intendendo bene, fatta per le anime nostre, non per
altri fini: qui c' è tutto. Se attenderemo tutti alle anime
nostre, non metteremo ostacoli ai disegni del Signore: non
possiamo fare di più, giacchè non siamo buoni a nulla. Il
Signore diffonde la sua bontà da per tutto, dove non trova
ostacoli; noi non pensiamo dunque, che a rimuovere questi
ostacoli e a conservare la pace. Certo, è quella sapienza
che descrive S. Giacomo, e che accennate nella vostra cara,
quella che ci conviene: « fructus autem iustitiae in pace seminatur ».
Ah! sì, ditelo, anche a mio nome, al caro compagno,
che raffreni il suo zelo, e che vada adagio adagio,
con passi sicuri e sempre con consiglio e secondo l' ubbidienza ,
in ogni minima cosa. Non siamo solleciti. Abbandoniamo
alla Provvidenza l' esito di quello che facciamo,
giacchè ella sola può fare tutto, e noi niente. Non operiamo
adunque con isforzo e travaglio, quasi che dai nostri sforzi
e dai nostri stentati travagli dipendesse l' accrescimento del
regno di Dio. E` Iddio solo che converte le anime, che sono
tutte in sue mani. Con quanta soavità non operava lo stesso
nostro Signor Gesù Cristo! niente di violento o di troppo
calcato nelle sue parole. Spargeva il seme e lasciava che
da sè mettesse, cioè mediante la sua secreta operazione.
Così a tempo e luogo facciamo noi, e abbiamo molta fiducia
nella operazione che fa Iddio nelle anime. Questi sono
tutti i prinlipii della società nostra, che dee formarsi per
se stessa, cioè non per la volontà dell' uomo, ma per quella
di Dio che influisce nella natura stessa di tutte le cose, e
perciò tocca da una estremità all' altra con forza e soavità:
« et disponit omnia fortiter et suaviter ».
Per lo stesso principio andiamo pur lenti ad ammettere
compagni; siamo contenti di essere quei pochi che siamo,
non pensando di più. Se Iddio ce ne manderà, ne riceveremo
con allegrezza; ma non preveniamo noi i disegni di
Dio, nè pure coi nostri desiderii. Di quelli che presentemente
abitano questa casa, non c' è alcuno che non sia stato
qui evidentemente mandato dalla Provvidenza. Mi riserbo a
voce di contarvi i progressi che la divina Provvidenza fa
fare ogni giorno soavemente all' Istituto. Noi siamo sempre
contenti: la nostra società in qualunque stato si trovi è
sempre compita e perfetta, nè desidera di più; tutti i desiderii
devono concentrarsi nell' avanzare giornalmente nella
virtù: pochi o molti che siamo, poco importa al nostro fine.
Il fine della società è semplice, non è che il fine degli individui
che la compongono: questo si può ottenere in ogni
stato, in cui ella si trovi; dunque è sempre contenta e perfetta.
Mio carissimo, questo è il gran travaglio, a cui si deve
pensare sul principio, a formare i membri della società!
Non importa quale sia il numero, ma la qualità. Al Noviziato
conviene che presentemente diamo tutti i nostri pensieri,
per procedere con vera maturità e sicurezza. V' abbraccio
tenerissimamente nel Signore, in cui sommamente
vi amo con tutti i nostri.
[...OMISSIS...]
1.31 Miei Reverendi e carissimi sacerdoti nel Signor nostro
Gesù Cristo, a cui solo sia onore e gloria, amen .
Per quanto io sia misero e nullo nel regno di Dio, non
ho potuto però a meno di giubilare interiormente leggendo
la lettera che hanno avuto la bontà di scrivermi, e di ringraziare
di cuore il Signore de' buoni sentimenti che loro
ispira, sollecitandoli al desiderio della perfezione. Oh questa
è una grande grazia che fa il Signore, mettere in cuore
a' sacerdoti il conoscimento della infinita dignità sacerdotale,
e il bisogno di corrispondere a quella dignità con altrettanta
bontà di vita; e, se questo non può essere compiutamente,
almeno con altrettanta umiltà! Un indegnissimo
adunque qual io mi sono, che non dovrebbe aprir bocca,
non può d' altra parte tacere, e gli incoraggia a farsi conto
d' una tal grazia, che sarà certamente per loro seme di felicità
eterna.
Per essere aiutati nel coltivare questo desiderio santissimo,
che dovrebbe nascere in tutti i nostri cuori colla
sacra Ordinazione, non v' ha mezzo più efficace che l' unione
fra sacerdoti e la mutua corrispondenza, tanto frequente
ne' primi tempi della Chiesa e tanto stretta, quanto
rilassata e rotta di poi per le passioni, e massime per l' egoismo,
per l' interesse, per la freddezza, per l' ignoranza, e
fin anche per la falsa prudenza di questo secolo, a cui noia
infinitamente l' unità della Chiesa, giacchè nell' unità sta la
sua forza. Quindi era certamente un pensiero santo e veramente
conforme allo spirito della Chiesa, spirito della massima
unità, quello del nostro Rev.mo Monsignor Vicario di
unirli in una piccola società sotto la protezione dell' Apostolo
S. Paolo; e per quanto essi me ne dicono nella loro
lettera, e Molinari a voce, non mi sembra improbabile che
questo pensiero sia venuto a Monsignor Scavini dal desiderio
di fare qualche cosa di simile all' associazione di
S. Paolo che c' è in Roma, approvata da' Sommi Pontefici,
e che fa un gran bene. Laonde non so qual uomo probo e
savio potesse vedere male simili società desiderate dalla
Chiesa, promosse ed approvate da' Sommi Pontefici: sicchè
è al tutto vero quello che essi scrivono, che è solo il nemico
dell' uman genere, il quale si trasforma talora in angelo
di luce, quello che odia queste sante congregazioni e
muove terra e cielo per distruggerle, se gli riesce; e se non
gli riesce, almeno per perseguitarle, inquietarle, e seminarvi
mille zizzanie e divisioni. Il che sapendo, è da tenerci forti,
e colla dovuta prudenza persistere costantemente nel divisamento
e nella tendenza generale di unione e santa amicizia
fra noi ecclesiastici. Per ciò io non posso che lodare
molto il loro pensiero di essersi stretti fra loro, anche dopo
la dissoluzione della Società di S. Paolo. Non so poi come
possa essere loro venuto in mente di ricorrere a me, come
fanno nella loro lettera; perchè io volessi servire loro di
centro e di capo nella loro santa corrispondenza. Iddio sa
chi io mi sono; un vero nulla, un peggiore del nulla, perchè
il nulla non ha mai offeso il Signore, come l' ho offeso
io, un ignorante che ha un po' d' impostura (per servirmi
d' una frase di una santa persona mia conoscente), uno che
ha un estremo bisogno di essere diretto e guidato a mano
invece che di guidare e dirigere. A mal grado di tutto questo,
e di quel più che taccio, perchè dalla loro bontà non
sarei creduto, mi trovo impegnato nell' ufficio di superiore
di questa piccola società del Calvario, nella quale non ci
è nessuno a cui io sia degno di allacciare le scarpe. E giacchè
tengo che sia Dio quello che mi ha fatto tale, mi confido
in lui, che suole spesso servirsi delle cose più spregiate,
e tiro innanzi; e veggo anche oggi giorno che Iddio vuole
fare egli tutte le cose, essendoci io piuttosto per figura che
per altro. Miei cari consacerdoti e fratelli nel Signor nostro
Gesù, è mia massima di non « ricusarmi a nulla di tutto
ciò che mi offre da fare la Provvidenza per gloria di Dio »:
abbandonandomi così nella stessa divina Provvidenza. E fu
questo il motivo che, dopo sottoposti i riflessi che credeva
a' miei compagni, ho poi ceduto alla loro volontà prendendo
la loro direzione e governo spirituale. Che posso dunque
dir loro circa la proposta che essi mi fanno? Io non mi
ricuserò neppure a loro, se persistono nel loro disegno; essi
si dichiarano miei figliuoli in Gesù Cristo, ed io li abbraccierò
per tali, se il Signore li conferma in questo volere.
Ma, prima di fare ciò, io voglio che esaminiamo meglio la
volontà di Dio, che è quella sola che noi desideriamo di
fare. A tal fine adunque io li prego caldamente di occupare
i tre ultimi giorni di carnevale in particolari orazioni rivolte
a questo fine di conoscere in ciò la volontà divina,
facendo anche in quei giorni qualche mortificazione di
bocca: e il medesimo farò anch' io volentieri con Loewenbruck
e con Molinari, che mi aiuteranno a impetrare da
Dio il suo lume. Così uniti insieme di spirito, otterremo
coll' unanime preghiera di operare giusta il voler divino.
Dopo ciò adunque essi mi scriveranno se si sentono nella
medesima determinazione e persuasione; e quando ciò fosse,
io non mi ricuserò punto di assumere nel Signore la loro
direzione, e considererò la loro unione come un' affigliazione
alla piccola società del sacro Monte Calvario, che Iddio,
come dicea, va benedicendo. In tal modo ci stringeremo
tutti alla croce, ed avremo in questa il vero centro d' unione,
la nostra àncora, il nostro libro, il nostro vessillo. Oh quanto
è luogo proprio de' sacerdoti il Calvario! è qui l' altare, il
sacrificio, la vittima, il pontefice. Dove tutto ciò si confermi
nei loro cuori dalla voce dello Spirito, io comincierò ben
volentieri a comunicare loro quelle regolette, che per ora
credo a proposito di osservare, e indispensabili; le quali
sul principio saranno ben poche e semplici; ma esigeranno
altrettanta più cura ed esattezza nel mantenerle. Ciò che
trovo per ora necessarissimo si è, che non comunichino al
presente con nessuno dei loro compagni la cosa fin dopo
l' orazione e la deliberazione matura; ed allora altresì è necessario
che non comunichino la cosa a nessuno, senza
prima averlo scritto a me. La sola persona a cui li prego
di comunicare tutto è il nostro stesso Monsignor Scavini;
giacchè vogliamo pendere intieramente dalla sua volontà:
non gli scrivano però, ma aspettino di parlargli in voce, e
gli mostrino tanto la lettera che essi hanno scritto a me,
quanto questa mia risposta. Non aggiungo altro. Amiamoci
nel Signore, a cui solo ogni onore e gloria. Non viviamo
che per lui, non respiriamo che per lui: le altre cose non
sono degne di un sacerdote nè di un cristiano: lui solo sappiamo,
lui solo pensiamo, a lui solo aspiriamo, in lui moriamo.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.31 Vi assicuro che mi fu una notizia sopra modo dolorosissima
il sentire che l' ubbidienza di D. G. sia molto imperfetta:
perchè sperava anzi che si rendesse molto forte
ed esemplare in questa virtù. Avrei volontà di scrivergli
una lettera; ma prima desidero sentir da voi, se farò bene
a farlo. Ditegli intanto da parte mia, che se vuol far la
volontà di Dio, faccia l' ubbidienza, altrimenti non gli riuscirà
bene nessuna cosa, e il suo merito andrà in fumo.
Non è il far molto all' esterno che conta Iddio; ma l' aver
un cuor umile, ubbidiente e diritto con Dio: « melior est
obedientia quam victimae ». Vorrei che leggesse, che meditasse
e che imparasse a memoria la lettera di S. Ignazio
sull' ubbidienza; quella lettera dobbiamo imaginare che sia
scritta a noi stessi. Se mai la nostra piccola unione potrà
fare qualche cosa, sarà coll' ubbidienza. Con questa sola santificheremo
noi stessi, che è il grande scopo ed unico della
nostra piccola unione, perchè più della nostra santificazione
non possiam desiderare. Circa il numero dei soggetti non
ci pensate punto: voi altri tre siete abbastanza: il tutto sta
a formarsi: non dubitate, Iddio aiuterà e ci condurrà con
soavità dovunque vuole: abbandoniamoci solo a lui, e non
abbiamo in vista altro fuorchè il piacergli e il riposar tranquilli
in lui, contenti sempre dello stato presente senza
voler di più, e riguardando sempre lo stato presente come
opera finita. Ciò in cui dobbiamo essere incontentabili, e
dobbiamo vederci andar ogni giorno avanti, è nell' amar
Iddio, e nel camminare nella sua giustizia. Non è dunque
nè pure il predicare, nè il fare grandi cose per gli altri ciò
che veramente dobbiam amare; ma il purificare noi stessi,
e l' osservare ogni dì più fedelmente la parola di Gesù Cristo,
che è verità e vita delle anime nostre. Stiamo meditando
questa parola ai piedi di Gesù con Maddalena. Se egli vorrà
poi farci pur fare qualche cosa, lo farà bene: ma noi non lo
desideriamo sollecitamente. Qui preghiamo ogni giorno
per voi: fate così anche voi altri, miei dilettissimi nel Signore,
per noi tutti.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.31 Mi scusino, se non ho risposto prima d' ora alla loro fervorosa
lettera, colla quale si mostrano costanti nel loro primo
divisamento, dopo fatta l' orazione, e anche nel pensiero di
volere la mia infinita nullità per loro padre spirituale. Le
mie occupazioni mi hanno impedito, in questi giorni passati,
di potere trattenermi con loro a mio agio, come desiderava
di poter fare; quest' oggi spero che mi sarà conceduto.
In primo luogo, io non mi rifiuto, nè pure ora, dopo essermi
raccomandato al Signore, di assecondare i loro desiderii,
che mi paiono santi e rivolti tutti alla gloria di Dio,
coll' aiutare la direzione che mi propongono, e considerare
le loro persone come una estensione di questa mia piccola
carissima famigliuola del Calvario. « Quam bonum et quam
incundum habitare fratres in unum! » dico io sempre; e
questa unità, per la quale è così dolce trovarsi fratelli, non
intendo che sia il luogo corporale, ma Iddio, che è come
il nostro luogo spirituale, nel quale è pur dolce trovarsi e
abitare insieme. Or io credo di non dover punto differire
a comunicar loro qualche cosa di ciò che credo indispensabile
per un buon effetto al loro santo desiderio. Vi ha una
massima, su cui tutta si regge la piccola società del Calvario,
e che n' è la pietra fondamentale; la quale massima
fino che si conserverà, non potrà mai essere altro che benedetta
la società e quelli che la osserveranno. Questa massima
è semplice, umile e comune; ma tuttavia noi non
abbiamo altro fondamento che questo, nè altro principio di
condotta, di maniera tale che tutti gli altri nostri regolamenti,
che sono al presente e che saranno introdotti nel futuro,
non hanno altra origine nè capo, se non questa massima,
verso alla quale sono ciò che le conseguenze verso il principio,
da cui derivano. Or questa massima è la seguente:
« di concentrarci in noi stessi seriamente, per fare unicamente
conto della salute e perfezione propria », non riguardando
tutto ciò che spetta al prossimo, se non come altrettanti
mezzi di piacere a Dio, o sia di santificare noi stessi.
Questa massima esclude il falso zelo, col quale l' uomo
è più inclinato ad essere sollecito della salute del suo prossimo
che di se stesso: frutto pur troppo di una secreta presunzione
che rifugge dal considerare i propri difetti, e,
quasi che le cose, per rispetto a sè, fossero tutte in buon
ordine, l' uomo presume di poter essere necessario alla salute
del prossimo suo. La quale maniera di operare è anche
segno di scarsezza di fede nella bontà e provvidenza di Dio,
quasi che Dio non pensasse e provvedesse da padre a tutti
gli uomini e alle anime tutte, anche senza bisogno di noi,
e senza l' opera nostra. Eh! chi conoscerà Dio e se stesso
si riputerà inutile, e starà basso e tutto occupato di se medesimo,
piangendo i propri peccati e travagliando giorno e
notte a conoscersi, correggersi, ed emendarsi. Questa è la
gran fatica che dobbiamo prendere a fare, miei carissimi
fratelli, e la faremo di certo, se saremo veramente umili,
e conosceremo che non conviene a noi altro stato e posto
che quello dispregievole ed abietto di penitenti; nè avverrà
mai, se saremo penetrati da queste grandi verità, che noi
di proprio moto assumiamo qualche incarico, dignità, od
altro, se non forzati dall' ubbidienza, o certo dal timore di
non opporci forse alla divina volontà, e così di non contraddire
a quel Dio, al cui possesso solo aspiriamo. Consideriamo
seriamente, miei carissimi, che, se abbiamo ottenuto l' emendazione
e purificazione delle anime nostre e quindi la giustizia
in noi e il possesso del nostro Dio, noi abbiamo
ottenuto tal cosa, che altro non ci resta più a desiderare;
noi abbiamo ottenuto il tutto, siamo pieni, siamo beati. A
che dunque altro pensare, se non a ciò che Gesù Cristo ci
ha insegnato in quelle parole: « porro unum est necessarium »?
Oh qui conviene che semplifichiamo, e sinceriamo la nostra
mente e il nostro cuore, poichè qui sta tutta la semplicità
della vita cristiana.
Pur troppo la nostra mente, vivendo noi in questo secolo,
s' empie d' una moltitudine d' idee false, sebbene apparentemente
pie; pur troppo il nostro cuore si empie di una moltitudine
di falsi ed inutili desiderii, sebbene apparentemente
religiosi! No, no, cacciamo dalla nostra mente tutto quell' ingombro,
cacciamo dal nostro cuore quelle vane frasche,
induciamoci alla semplicità del pensare e del sentire evangelico.
Uno sia l' oggetto della nostra mente, come pur quello
del nostro cuore: la purità della coscienza, il gusto della
parola di Gesù Cristo, il possesso di Dio. Oh quanto allora
saremo sgravati ed alleggeriti del fardello molesto, onde ci
carica e ci aggrava la secreta nostra presunzione e la scuola
sempre gonfia di questo secolo! « Venite ad me omnes », diceva
appunto per questo Gesù Cristo. In somma l' unico fine della
nostra unione sia la salvezza e la perfezione di noi stessi:
questo è l' unico fine della Società del Calvario; e dall' intendere
bene questo semplicissimo fine e dal toglierlo a praticare,
ne dipenderà tutto l' esito. Ora posto questo grande
fondamento, colla semplicità e unicità del quale si caratterizza
propriamente e contraddistingue questo Istituto, ecco
che cosa io suggerisco loro per ora.
Conviene che ciascuno si faccia un librettino col titolo
di « Regulae », nel quale scrivano successivamente quelle regolette
e que' mezzi che io un poco alla volta verrò loro
indicando secondo l' opportunità ed il bisogno. Intanto questa
sarebbe la prima: « Finis huius societatis est salus et perfectio
propriarum animarum ». Le altre poi che al momento
presente loro suggerisco, consistono tutte in alcuni esercizi
religiosi, rivolti alla purificazione dell' anima, e che conviene
intraprendere con coraggio, e mantenere con fedeltà.
Questi sono in primo luogo, una meditazione la mattina
(se è possibile questa dee essere fatta senza libro innanzi,
preparandone la materia colla lezione, o in altro modo, la
sera precedente), la quale converrebbe che durasse un' ora.
Questa pratica è fondamentale, ed è quella che col suo peso
tiene, per così dire, in equilibrio tutta la persona. In secondo
luogo, due brevi esami di coscienza avanti pranzo
e la sera. In terzo luogo gioverebbe che almeno una volta
la settimana si unissero loro due in una conferenza spirituale
sopra argomenti i più atti a compungere il cuore,
purificare l' anima, mantenere il raccoglimento e procedere
in tutte le cose con sacerdotale gravità e maturità. Questi
tre esercizi per ora io credo opportuni per incominciare;
e, se li trovano eseguibili, scrivano nel librettino quest' altra
regoletta, che sarà la seconda, colla quale vengono prescritti
i suddetti esercizi: [...OMISSIS...] .
Io spero che prendendo a fare con fervore
e soprattutto con fedeltà questi pochi esercizi, se ne
troveranno in breve molto contenti e consolati; poichè è
nella lunga e seria meditazione che s' impara a conoscere
se stessi e Dio, ed a stimare l' unione nostra col sommo
bene, nè far più conto alcuno di tutte l' altre cose.
Io adunque attendo che mi informino dopo qualche tempo
dell' esperienza che avranno fatto di questi esercizi, delle
difficoltà e degl' impedimenti che ci troveranno: (e il demonio
certo ne metterà in mezzo d' ogni sorte per iscoraggiarli,
al suo solito); e finalmente tutto ciò che mi comunicheranno
intorno alle loro carissime persone, il riceverò
con grande mio piacere. Una cosa, che anche loro molto
raccomando, è il leggere più volte e colla massima attenzione,
quel libretto che essi conoscono, intitolato « Massime
di perfezione »; il quale non può dare fuori il suo gusto, se
non venendo molto molto masticato e ruminato. Finalmente
siamo strettamente uniti tutti nell' amore di Gesù Cristo!
L' amore, che ci avremo scambievolmente, sarà il segnale
che saremo i suoi discepoli. Preghiamo senza intermissione;
e nell' orazione troviamoci tutti uniti; e, massime all' altare,
siamo un cuor solo ed un' anima sola, giacchè all' altare
spezziamo un solo pane che ci nutre tutti e ci vivifica d' una
stessa vita, e simboleggia la nostra ineffabile unità. Viva
dunque Gesù, di cui siamo tralci; viva Maria nostra madre
tenerissima e nostra speranza, che è il tralcio maggiore della
vite!
[...OMISSIS...]
1.31 Vi scrivo poche linee solamente, perchè mi stringe ora
il tempo, avendo assunto di fare il quaresimale in questa
città, ed alle prediche debbo prepararmi d' un giorno all' altro:
pensate voi! Vi ringrazio intanto di tutto quello
che avete fatto; i consigli di Monsignor di Cremona li seguiremo
fedelmente. Vi torno a raccomandare che con altri
punto non parliate, ma se avete qualche cosa da discutere
intendetevela con lui solo per l' affare nostro. Mi è anche
di somma consolazione il sentire, che vi sia penetrata bene
quella nostra massima fondamentale, di non occuparci che
dei nostri doveri presenti, troncando tutti i desideri nostri
con un sol colpo e lasciando fare a Dio in tutte le cose. Eh
se Iddio ci desse la grazia di essere suoi servi fedeli, di mantenere
la sua santa parola in noi, non basterebbe? che più
potremmo desiderare? così poco conto vogliamo fare della
sua grazia? Lungi da noi il zelo disordinato ed inquieto,
che viene dal falso spirito, e per la strada della fantasia
entra a turbarci l' animo. Teniamo ben fermo, che vogliamo
una cosa sola, salvare e perfezionare noi stessi: che quindi
la nostra Società sia grande o piccola, è sempre perfetta,
perchè può sempre ottenere il suo fine. Circa le conferenze
ve le raccomando: e vorrei che si ravvolgessero massimamente
sulla vita interiore e religiosa... Vi raccomando di
raffrenare Don Giulio dove eccede, perchè è molto importante
la prudenza e la semplicità. Calcategli ben in mente
che Iddio non ha punto bisogno di noi miserabili per fare
il bene, e che se noi saremo veramente umili e ci terremo
buoni da nulla, come siamo, ci terremo assai indietro, e non
assumeremo mai le cose di nostro moto, ma solo per ubbidienza;
e anche allora tremando. Oh è pur fina la nostra
presunzione! Ma sia Maria Santissima il nostro modello, e
la maestra di quella vita occulta, che era meglio che la conversione
del mondo intero. E` Iddio sopra di noi; è egli solo
che può qualche cosa. E siamo noi tali che non troviamo
da occuparci di noi stessi? non abbiamo più nulla a fare
in casa propria? tutto vi è in ordine? [...OMISSIS...]
Il libretto delle Massime conviene convertirlo
in succo e sangue, non basta averlo letto qualche volta; ed
io n' ho veduto degli ottimi effetti, non già alla prima lettura,
ma dopo essere molto meditato. Egli serve ancora di
testo per le nostre conferenze, e per ciascuna se ne dà una
piccola particella, la quale è anche il soggetto della meditazione
di quel giorno, nel quale si tiene la conferenza. Non
dubitiamo punto; abbandoniamoci interamente nel Signore,
mio carissimo. Pregate tutti per noi, noi qui preghiamo tutti
per voi. E` nell' orazione che si fanno le cose. Addio. Le poche
linee sono divenute molte senza accorgermi. Tenetemi informato
di tutto, abbracciatemi i compagni, ed amatemi nel
Signore, come io v' amo.
Ciò che potreste inculcare a Don Giulio si è che attenda
molto alla sua cattedra come all' affare principale. Questa è la
volontà di Dio: altre cose può esser dubbio se sieno: attendendo
bene allo studio della teologia, farà buon fondamento
che gli sarà utile assai: non lasci passare il tempo.
[...OMISSIS...]
1.31 Se il signor Prefetto non si unirà con noi non fa niente,
mio caro: non siamo punto solleciti; n' avremo abbastanza
se potremo migliorare le anime nostre. D' altro lato non vi
fidate di nessuno, se non della Provvidenza di Dio. Non si
può a principio dire chi entrerà o no. Talora quelli che parevano
i meglio disposti, venendosi al punto, « respiciunt retro »;
si trova all' incontro della generosità dove meno s' aspettava:
« Spiritus ubi vult spirat ». Di noi stessi in somma siamo unicamente
solleciti, e di conservare la pace interiore. Stiamo
quieti pensando all' edificio interiore; e sia la nostra divisa
quella dell' Ecclesiastico: « Humiliare Deo et expecta ». Godo che
le Conferenze sieno riprese e che pur vadano bene. Ciò che
molto giova si è il non passar leggermente sulle verità sante,
che si prendono per soggetto delle medesime; ma calcarle
molto molto nella mente, e cercar veramente l' edificazione
e la compunzione. Il gran lavoro è la perpetua purificazione
di noi stessi, la fame e la sete della giustizia. Null' altro
amiamo che la giustizia: ecco il tutto; qui sta la semplicità
della nostra vita. Vi prego di fare da parte mia ringraziamenti
e complimenti a monsignor Sardagna, che ho veduto
già preconizzato dal nostro Sommo Pontefice. Abbracciate
teneramente don Giulio, e tutti gli altri a cui posso estendere
questa affettuosa confidenza.
1.31 Ella mi fa cuore perchè io ponga mano alle teorie
sociali. M' invita ad un arringo pieno di passioni, e dove la
verità è come una pecora in mezzo ai lupi. Tuttavia, Le dirò
sinceramente e senza affettazione, il mio cuore non sa temere
nella causa della Verità, della Religione, dell' Umanità, che
è pure una causa medesima; e all' amor dell' unico bene che
io m' abbia, è ben poco qualunque sacrifizio; è il tesoro nel
campo, pel quale si vende anche tutto il suo. Perciò le passioni
ed i pregiudizi degli uomini non mi ritrarranno mai,
coll' aiuto di Dio, dalla manifestazione di questi principii,
che credo gli unici salutari per la Chiesa (che è la gran Società)
e per gli uomini tutti. Meno mi affido delle mie proprie
passioni e de' miei proprii pregiudizi. Perocchè finalmente
debbo sospirare e dire: se questi sono i pregiudizi comuni,
e chi mi scuopre quali siano i miei? Tuttavia l' intima persuasione
è sempre rispettabile, e quella che produce nell' uomo
la verità è tanto forte, che non l' agguaglia giammai
la persuasione dell' errore: e tale è quella persuasione che
si è creata in me, dopo lunga e paziente meditazione di
quella Teoria filosofica , di cui non ho finora messo in pubblico
che la radice. Io desidero che questa radice prenda;
se prende, apparirà potente e in un modo inaspettato feconda.
Ma perchè prenda ci vogliono delle menti forti, e
degli animi nobili e nuovi. Egli è inevitabile uno studio
grande e la più quieta meditazione. Questa, a dir vero, nuoce
al pronto sviluppo del mio disegno, perchè il carattere del
secolo è pur troppo l' impazienza e la fretta. Nulla di meno
io non m' arretro, e spero.
E` nell' ordine della divina Provvidenza che io pongo
molta fiducia ed in que' semi indistruttibili che l' Evangelo
ha seminati nell' umanità, e che in ogni secolo appunto
mandano de' frutti nuovi d' una radice vecchia, de' fiori d' una
bellezza incognita per addietro, e che conviene riconoscere
come spuntati dalla parola di Cristo, e con amore cristiano
coltivare. Guai, se, perchè il frutto ed il fiore è nuovo, per
questo si disconosce figlio dell' antica e onnipotente pianta!
Si fa contumelia a quella radice stessa divina; si fa onta a
quel tesoro, dal quale il padre di famiglia profert nova et
vetera . Ma si può essere tuttavia ingannati nel discernimento
di fiore da fiore, e di frutto da frutto: e può cogliersi il
frutto della scienza che porta la morte, credendosi di cogliere
il frutto della vita! Per evitare un sì deplorabile errore
non v' è altra via che l' umiltà e l' orazione, colla quale
si consulta il Padre stesso della verità e della vita.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.31 Mi duole di non avere trovato tempo fin ora da rispondere
alla loro lettera, che mi è riuscita cara anche più delle
altre, perchè piena di quel desiderio di arrivare ad una
perfetta emendazione dei propri difetti, che Iddio suol sempre
coronare coll' esito più felice. Sì al certo, miei cari fratelli,
è impossibile che a lungo andare Iddio non conceda
la grazia della emendazione dei nostri tanti difetti, della
guarigione delle nostre tante infermità a chi la vuole questa
grazia, a chi la domanda, a chi con vera semplicità cerca
di conoscere se stesso, cerca di conoscere l' abisso della propria
originale corruzione inviscerata pur troppo con noi, a
chi la manifesta con candore, con pienezza, con costanza ai
padri spirituali, per mezzo dei quali suole Iddio operare comunemente
la purificazione delle anime. Siccome adunque
i nostri nemici, e le nostre male inclinazioni, la nostra superbia,
la nostra pigrizia, la nostra leggerezza non cessano
di farci guerra e di tentare la nostra ruina; così anche noi
non dobbiamo cessare mai di penetrare sempre più a fondo
nella cognizione della nostra malizia e impotenza infinita,
di confessarla, di domandarne aiuto, di umiliarci sotto tutte
le creature, di rinnovare ogni giorno i nostri proponimenti
con viva fede nella divina misericordia, e di acquistarci ciò
che ci manca, sodezza, risoluzione, ordine fermo, interiore
ed esteriore raccoglimento. Pur troppo il demonio si scatena
più fiero allorquando noi facciamo la risoluzione di darci a
Dio solo, a Dio interamente: lo dice la Santa Scrittura: [...OMISSIS...]
Ma egli è certo ancora
che col seguitare a combattere senza ristarcene mai, noi
siamo sicuri della vittoria, che Iddio ci ha destinata. [...OMISSIS...]
Oh è pur questa sicurezza
nella misericordia di Dio di riuscire bene ne' nostri combattimenti
colla sofferenza e con la perseveranza un dolce
conforto, un incoraggiamento il più efficace! Gli sforzi, le
fatiche, le pene nostre non sono mai perdute, nè pure allorquando
ci sembra di non potere fare alcun passo innanzi,
e di essere freddi e pesanti nella via del Signore, anche allorquando
il Signore medesimo sembra sordo alle nostre
querele, e pare che ci abbandoni, anche allorquando ci lascia
cadere sventuratamente in peccato. Allora è il tempo più
che altro mai di vivere di fede, allora è il tempo di ricorrere
con più umiltà all' abbandono in Dio, che si compiace tanto
dei peccatori che sperano da lui la salute e che contra la
sua giustizia nella sua misericordia si rifuggono, cercando
in lui protezione contro di lui. Ah sì, « humilia respicit »! e
le nostre cadute non sono bene spesso permesse se non per
deprimere la nostra superbia; giacchè fino che siamo superbi,
egli non può esercitare quella misericordia che pure
vuole con noi esercitare. Perciò non umiliandoci noi abbastanza,
egli rompe la nostra presunzione stolta coll' abbandonarci
a noi stessi, e mostrarci col fatto, che d' altro non
siamo capaci se non di male. Copriamoci adunque di vergogna
per la nostra tanta presunzione, di cui portiamo la
radice nel peccato originale, e che sempre resta in noi; ed
ogni cosa facciamo, tanto internamente quanto esternamente,
che più ci abbassi e valga a procacciarci un disprezzo infinito
di noi stessi. Perciò nel doppio esame di coscienza,
che noi facciamo a mezzo giorno e la sera, esaminiamoci
particolarmente sulla rettitudine d' intenzione nelle nostre
operazioni. Spiamole per vedere se si mescolano nel nostro
operare fini di amor proprio e di vanità; se cerchiamo l' approvazione
degli uomini, e non ci contentiamo di quella di
Dio; se lodiamo direttamente o indirettamente noi stessi nei
nostri discorsi, se aspettiamo lode dagli altri. Guerra implacabile
a questi vizi! Discendiamo alla pratica, ed ogni
volta che ci troviamo colpevoli, consideriamo le cagioni che
ci hanno condotti in queste miserie, le occasioni nelle quali
siamo caduti, i compagni, la natura della conversazione forse
troppo leggera ed oziosa, ecc.. Consideriamo ancora i mezzi
necessari per correggerci di un tale difetto, le ammonizioni
scambievoli, le aperizioni di coscienza frequenti, le domande
a Dio particolari rivolte ad ottenere la grazia della vigilanza
e forza nella tentazione, le umiliazioni esterne, le penitenze,
i proponimenti ripetuti sovente, le proteste ed assicurazioni
a Dio, riconoscendolo come unico nostro bene, unico amore,
unica felicità, fuori di cui niente vogliamo, ecc.. Così partiremo
dall' esame rinforzati, massimamente se metteremo poi
di mezzo la nostra cara Madre Maria Santissima che tutto
ci otterrà dal suo divin Figliuolo. Lo stesso facciamo anche
nella meditazione, giacchè la guerra contro la superbia deve
essere continuata e perpetua. E facendo così, non dubitiamo
punto: il Signore ci renderà poverelli di cuore e semplici,
scopo dei nostri voti. A questi progressi contribuirà il conservare
il maggior possibile raccoglimento esterno, evitando
il troppo parlare, il ridere e la disoccupazione, e custodendo
in quella vece più che si possa il silenzio, un' amabile serietà,
e un continuo lavoro alla presenza di Dio e con
aspirazioni. Credo poi necessario prendere un solo libro per
la materia della meditazione, il Da Ponte stampato dal Marietti
a Torino. La conferenza gioverebbe che fosse stabilita
in giorni fissi; facendo tutti e due la stessa meditazione, essa
potrebbe servire anche per materia della conferenza, come
si fa al Calvario. Mi riserbo ad aggiungere qualche altra regoletta
da scrivere in sul libretto in un' altra mia. Intanto qui
finisco. Supplico la loro bontà di orazioni per tutti noi: io
celebro ogni giorno messa unicamente per me e per gli miei
cari compagni. Li ringrazio della nota de' soggetti atti allo
scopo. Qualcheduno di essi mi ha già scritto. Faccia il Signore,
che pare voglia accrescere la nostra piccola società:
egli sia lodato in eterno. Io me ne devo restare qui qualche
poco per affari appunto della piccola società del Calvario. Mi
possono scrivere qui direttamente dove le lettere mi vengono
sicure. Io sono pur sempre al Calvario col cuore e in
mezzo di loro.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.31 Aveva già sentore dell' afflizione vostra, pel male ripetutosi
ed incalzatosi del buon Matteo, e gran dolore aveva
provato del dolor vostro e suo. Ora me lo confermate e con
più vivi colori. Io non so se non ripetervi quello che vi sapete,
e che è pure un sommo conforto a chi l' intende, che
noi non siamo fatti per questo misero luogo, ma per un altro
migliore: che poniamo in codesto altro luogo migliore
tutti gli affetti nostri, perchè non saremo allora più turbati,
nè ingannati nella nostra aspettazione. Ah! solo il cielo è
il luogo nostro, il luogo sicuro, ove riporre ogni nostro tesoro:
colassù il tesoro nostro non può perdersi nè logorarsi.
Ogni cosa cara all' incontro, fin che l' avremo quaggiù in
terra, ci sarà sempre cagione di affanno, perchè sempre in
cimento di esserci tolta, e in una sicurezza che in ogni modo
ci sarà tolta. Viviamo dunque coll' anima nostra nel cielo,
in Dio: ecco l' unica via di giungere alla pace ed alla consolazione.
Il cielo, il nostro Dio non ci sarà tolto giammai;
e con questo solo avremo tutto, in questo troveremo tutto,
anche ciò che avremo perduto. Così fece Gesù Cristo, nostro
esemplare, così fecero i Santi: e coll' affetto del gaudio
tollerarono e sostennero ogni temporale sciagura, e si poterono
perfettamente conformare alla volontà del celeste
Padre, anzi in essa giubilare. Io non vi dico altro, se non
che tutte queste cose che già sapete, e che me pure confortano,
riusciranno di tanto maggiore alleviamento al vostro
dolore, quanto più, raccomandando voi e i vostri cari alla nostra
cara madre Maria Santissima, ella vi otterrà il soccorso
al di fuori, ed il conforto al di dentro. Consolatevi ancora
nell' amicizia fraterna che dimostra il caro Raffaello, e nella
bontà e pietà delle figlie che ben vi compensano con tanta
loro virtù e col loro affetto...
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.31 Ciò che mi scrivete della gragnuola mi ha passato il
cuore. Non c' è che mirare alla mano in cui sta la verga
per consolarci, e son ben certo, e il veggo già dalla vostra
lettera, che dalla meditazione della bontà paterna di chi
percuote voi sapete derivare consolazione e per voi stesso
abbondante e per altrui. Ah mio caro è pure una grande
stretta al cuore il vedere una famiglia così prostrata in un
istante nelle fortune, e la famiglia propria o quella d' un
caro amico! Ma via, anche in tanta desolazione la fede non
vede che un decreto di bontà! viviamo dunque di fede; e
quel Dio che umilia innalzerà, quel Dio che mortifica vivificherà.
Io non mancherò di aggiungere le mie povere orazioni
raccomandando voi e l' afflitta vostra famiglia al Signore
che dà abbondanza, « et non improperat ».
Nell' altra parte della vostra lettera voi dite di sentire
degli stimoli di vocazione divina, ma mettete un ostacolo
fra gli altri nel vostro stomaco debole, il che m' avete toccato
più volte. Vi risponderò ora, che non c' è nessuna
regola fra di noi che obblighi ad avere uno stomaco forte,
che pur troppo e la fatica e l' età non risparmia nè privilegia
la complessione di quelli che sono ascritti in questo
piccolo Istituto, ma siamo soggetti alle stesse miserie degli
altri; che non avendo l' Istituto per fine essenziale se non
la propria santificazione, per sua natura riceve anche i vecchi,
anche gli infermi (quando però i superiori per non impedire
un maggiore bene non reputassero talora di non riceverli);
che non ci sono regole fisse che determinino il cibo
e le altre cose occorrenti, se non quella dei primitivi cristiani,
che avendo messo tutto in comune, si distribuiva poi
come si legge negli atti degli Apostoli « prout unicuique opus
erat ». Una cosa vi è da osservarsi, che in quanto ai propri
bisogni corporali, come pure nelle altre cose, nessuno è giudice
in causa propria, nè pure il superiore, a cui viene
assegnato chi pensa per lui; che tutto viene regolato e
dispensato dall' ubbidienza; che quindi può avvenire talvolta
che alcuno abbia da soffrire, ma chi non ha da soffrire a
questo mondo? e questo caso deve ben essere raro in una
società, in cui nulla è più raccomandato che la dolcezza
verso gli altri (si chiama della carità) e il rigore per sè.
Più frequente deve essere quel caso, nel quale uomini ferventi
dimenticherebbero sè stessi, se il proprio superiore
non provvedesse loro; ed è questa la principale ragione per
la quale si attribuisce a tutti chi abbia cura della sua salute,
e dei suoi bisogni. Finalmente è indispensabile, che chi si
dà a Dio si abbandoni anche a Dio ed alla sua provvidenza,
e si prepari un animo contento di ciò che è sufficiente:
[...OMISSIS...] .
Per altro tutto questo affare versatelo con Dio in una
orazione umile e generosa, colla quale non dimandiate che
la sua gloria e la vostra salute; ed egli vi esaudirà. Aggiungete
in questa orazione anche il miserabilissimo vostro amico.
[...OMISSIS...]
1.31 La lettera, che avete avuto la bontà di scrivermi nella
festa della nostra Mamma assunta in cielo, mi apportò una
grandissima consolazione spirituale, perchè mi ha dato notizie
vostre che molto desiderava, nè sperava così presto d' avere,
e molto più perchè la trovai piena di quei sentimenti, coi
quali vivendo voi, non potrete, per la grazia di Dio, che
menare una vita piena della pace del Signore e assicurare
la vostra eterna salute. Oh sì che non vi è altro, mio caro
signor Phillipps, che ci possa dar vera e soda e inesausta
consolazione, se non il vivere distaccati dalle cose terrene,
e coll' anima in cielo, aventi sempre la memoria di Dio e
del nostro Signor Gesù Cristo, non meno che della sua
amatissima Madre, nostra gloria e letizia. Io me ne congratulo
con voi, io ne ringrazio il cielo, io vi scongiuro a
perseverare su questa via sino alla fine, ed a mettere ad
effetto, colla grazia del Signore e colle sue sante ispirazioni,
tutti i vostri proponimenti pii e salutari.
Vi ringrazio ancora della confidenza che mi usate aprendomi
il vostro cuore, il più bel segno di cristiana amicizia
che mi poteste dare, e raccontandomi il combattimento che
sentite in voi stesso, necessario per vincere la miseria
umana, e conseguire quella perfezione a cui vi sentite
chiamato. Ah! mio caro sig. Phillipps, è questa pur troppo
la condizione della nostra natura, guasta radicalmente: il
germe della superbia, innato con noi, è pur troppo il più
profondo dei nostri mali, è una fistola che incancrenisce
irrimediabilmente, se il miracolo della grazia divina, cooperando
gli sforzi della nostra volontà, non la sana in noi.
Perciò io vi consiglio e conforto a cercare tutti i mezzi
possibili per umiliarvi e acquistare il santo disprezzo di
voi stesso, mettendovi l' ultimo fra tutte le creature, e colla
carità la più effusa verso tutti gli uomini e massime i più
poveri, bassi, abietti ed afflitti, rendendovi servo di tutti
per Cristo: in essi onorando Cristo, e imitando Cristo che
venne per servire e non per essere servito. Ed a voi è più necessario
operare tutto ciò che fate, con questo sentimento, in
quanto che, avendovi Iddio posto in alto grado nella società
e dato dei beni temporali, più facilmente potete essere offuscato
dalle vanità del mondo, e d' altro lato più facilmente
servire Dio ne' vostri prossimi con grande merito vostro.
Ed è questa umiliazione e carità e dolcezza che renderà
efficace poi il vostro zelo per la salute delle anime, se Iddio,
come credo, in ciò vi ha eletto, per la sua grande misericordia,
suo strumento, e pel bene che ne ridonderà a cotesta
vostra patria, tanto degna d' affetto, a cui non posso pensare,
senza sentirmi intenerire e piangere il cuore, quando penso
che ella era una volta l' Isola de' Santi, e che poi il demonio
così la pervertì e travolse miserabilmente; nè avrebbe trovato
come fare ciò, se non avesse trovato negli uomini già
entrato miseramente l' attacco disordinato ai beni temporali,
che è il principio d' ogni sciagura, e agli interessi di questa
misera vita, e la superbia. E` dunque una grazia grande quello
che Dio vi fa col darvi lume a conoscere la perfezione a
cui vi chiama, e voglia di conseguirla: ed è un obbligo
questo che dovete adempire.
E per venire alla minima nostra società, non so se sappiate
che appunto il fondamento di essa è la perfezione
dell' anima propria; e che tutto il grande scopo di essa si
è di aiutarci insieme a conseguire un tanto fine. Laonde
per sua natura ammette in sè tutti quelli che desiderano
ardentemente la perfezione; ancorchè la divina Provvidenza
li voglia nel secolo, come voi, che sento dalla lettera vostra
in trattato di presto sposarvi: nel che vi prego ogni benedizione,
acciocchè la compagna che Dio vi destina, sia una
cosa con voi nel Signore, e vi sia non solo di aiuto in questa
vita, ma d' aiuto anche per l' altra. Dico che nella minima
società nostra possono entrare anche persone che sono nel
secolo (purchè non pensino co' principii del secolo), quando il
vogliano; poichè ai Religiosi propriamente detti sono congiunti
e affratellati di quelli che si dicono ascritti e che,
vivendo nel secolo, hanno però tutta la congiunzione possibile
di carità e partecipazione di opere buone coi nostri,
anzi sono propriamente nostri; e unitamente nel loro stato
travagliano tutti alle opere della gloria di Dio e della carità
dei prossimi, quando e come la divina Provvidenza dimostra
di volere. Il che vi dico per vostro lume, e fors' anco per
vostra consolazione, muovendovi Iddio a prendere tanta
parte alla minima nostra società; della quale pure è questo
principio « di fare qualunque cosa che appartenga alla
gloria di Dio e alla carità del prossimo, in qualunque
paese, purchè sia dimandata, e di contentarsi poi di tutto ».
Per il che circa i mezzi di sussistenza in Inghilterra, sa
Iddio cosa ci vuole; non vi date punto alcuna pena, perocchè
poco veramente ci basta, e se non ci fosse anche nulla affatto,
desiderandolo il Vescovo, ci verremo nulla ostante: vivendo
con quello che abbiamo del nostro, fino che ce n' è, e poi
confidando nella Provvidenza: chè di fame nessuno è mai
morto di quelli che travagliano per Iddio, avendo questo
Signore de' granai in abbondanza da mantenere gli operai
che egli solo chiama e conduce nel campo. Bensì infinitamente
vi ringrazio del zelo che avete per una tale opera,
che Iddio solo sa quali effetti produrrà per l' onore e gloria
sua in Inghilterra, e delle parole che avete già fatte col
vostro Prelato, e di quelle che volete fare col piissimo
Conte Shrewsbury; nè dubito punto che la fondazione per
l' opera vostra non debba avere luogo. Anzi perchè sappiate
come stiano le cose fra noi, il caro Gentili è qui meco al
Calvario, e ne ho qualche altro, che sto preparando, quando
e come al Signore piacerà, per l' Inghilterra; giacchè non
c' è, si può dire, cosa che mi stia più a cuore di questa.
E voglio unirvi alla presente una lettera dello stesso Gentili,
acciocchè sentiate anche i suoi sentimenti, e siate anche
con essi maggiormente consolato. Iddio benedice manifestamente
le cose nostre.
Una nuova fondazione abbiamo ora fatta nella città dell' ultimo
sacrosanto Concilio Ecumenico, che fu contro tutte
le eresie moderne: e penso che non senza significato ci
abbia la divina Provvidenza chiamati in Trento, dove fu il
Vescovo che ci volle; e le cose procedono, per la sola grazia
di Dio, assai bene. Avrei altre chiamate, ma non voglio
troppo allargarmi, procedendo anche in ciò dietro i consigli,
che ebbe la degnazione di darmi il nostro Santo Padre
Gregorio XVI; al quale sta tanto bene, per la uguaglianza
del nome col Magno che convertì l' Inghilterra alla fede,
che egli ci mandi costà. In quanto a noi, spero che in men
di due anni saremo preparati. Ora è tempo da pregare assai,
e da disporci: voi dalla vostra parte, noi dalla nostra. Ma,
come dico, soprattutto è da farci orazione molta. Oltre le
private, facciamo anche noi nelle nostre case orazioni in
comune per voi, mio caro, e per i santi vostri disegni e
desiderii sull' Inghilterra, acciocchè Iddio il tutto benedica,
secondo il suo divino beneplacito, nel quale riposiamoci pur
tranquillamente: e dicendo per i vostri santi desiderii
sull' Inghilterra, intendo in primo luogo per la salute di
quelle anime che vi sono più care, cioè per la salute del
padre vostro e della vostra famiglia.
L' inquietudine d' Inghilterra e del mondo è certo a bene
ed a trionfo della santa Chiesa; e anch' io, mio caro Phillipps,
aspetto delle glorie nuove ed inaudite, che sono per
venire alla Chiesa di Gesù Cristo, in adempimento di tutto
ciò che profetarono « sancti qui a saeculo sunt », e che non è
ancora pienamente compito. Tale e tanta debba essere la
gloria di Gesù Cristo ancora in questo mondo, che ogni
cogitazione umana e speranza dei buoni trapassi e vinca.
Non ho però coraggio di applicare ancora i mille anni dell' Apocalisse,
di cui voi mi parlate. Il Signore sa tutte le
cose, egli conosce i tempi ed i momenti, « et abscondita », come
disse Giobbe, « in lucem produxit ». Noi teniamoci al sodo della
sua santa ed adorabile legge: qui abbiamo tutto: massimamente
preghiamo. Nel santo sacrifizio che indegnamente
celebro ogni mattina voi, mio caro Phillipps, siete ricordato,
e il sacrificio stesso nol celebro, se non per questo, insieme
cogli altri affari riguardanti la gloria di Dio e della minima
società nostra. Di questa vi manderò poi, se mai voi vorreste
mostrarla ad alcuno secondo la vostra prudenza, qualche
piccola descrizione.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.31 Giunto a Trento felicemente, dopo essermi trattenuto
in patria qualche giorno, ho subito portati i suoi complimenti
a sua Altezza Rev.ma e presentata la lettera che mi
ha consegnata...... Ora mi permetta che io scriva quello
che non ho potuto dire, per la ristrettezza del tempo che
mi sono trattenuto in Verona, nell' ultimo mio passaggio,
circa l' obbiezione delle troppe incombenze che si propone
di assumere l' Istituto della Carità, come io il concepisco.
Dissi già che questa obbiezione riposa sopra un falso supposto;
ma non ho potuto rendere ragione di questa mia
risposta. Il falso supposto è, che questo Istituto si proponga
tutte le opere di carità indistintamente: ciò non è al tutto
vero. Egli ha un' opera sola determinata che si propone, e,
quanto a sè, non si propone null' altro, e quest' opera si è
la santificazione dei membri, dei quali l' Istituto si compone.
In questo punto differisce molto dall' Istituto dei Gesuiti, che
si propone due scopi principali, la santificazione propria,
ed ancora l' altrui. Il fine del nostro Istituto è più semplice,
perchè non ha per iscopo principale ed ultimo se non la
sola santificazione propria; e quindi egli è un Istituto radicalmente
contemplativo, di vita quieta e privata, quale conviene
al sacerdote semplice, o al laico che aspira alla perfezione
evangelica. E` un errore, pur troppo diffuso a' nostri
giorni, il credere che la professione del sacerdote importi
di sua natura la cura d' anime, quando anzi è il solo Vescovo
che, di sua natura, è Pastore, ed i Sacerdoti non hanno
alcuna missione, se non quella di pregare e di sacrificare
per sè e per il popolo, quando però il Vescovo non li chiami
e non li mandi. Essendo dunque proprio del laico e del
sacerdote semplice la vita umile, occulta e ubbidiente, e
perciò l' orazione e lo studio; di questo genere di virtù e
di vita si fece lo scopo vero d' un Istituto, cioè del nostro,
che si compone di persone private, legate insieme per santificarsi
mutuamente ne' doveri del proprio stato. Lo scegliere
questo, piuttosto che un altro fine, non era nè pure
in mio arbitrio, giacchè è il fine, da cui non si può prescindere,
essendo stabilito non da me, ma da Dio: e l' aggiungere
a questo l' impresa di qualche opera di carità
esigerebbe una speciale missione, una speciale manifestazione
della divina volontà, una ispirazione straordinaria,
cose che sono bensì proprie de' santi, ma non di me miserabilissimo
peccatore, e se anche ai peccatori Iddio manda
di tali vocazioni straordinarie, a me però non le mandò
punto.
Egli è bensì vero che a Dio non si può legare le mani,
e che anche quei laici e quei sacerdoti che pensano a se
stessi, assumendo per divisa quello dell' Apostolo, attende
tibi , possono essere da Dio chiamati all' esercizio di qualche
opera di carità, e ciò, non solo in modo straordinario, ma
anche per le vie ordinarie. Perchè essendo tutti gli uomini,
in generale parlando, obbligati all' esercizio della carità del
prossimo, e tanto più quelli che si propongono la perfezione,
egli è manifesto che, ogniqualvolta il prossimo ci domanda
d' aiuto, e noi possiamo aiutarlo, ci incombe l' obbligazione
o almeno il consiglio di farlo. In tal modo anche i semplici
cristiani sono tirati da una necessità morale ad esercitare
delle opere di carità, in certi casi, e molto più i sacerdoti,
e quelli che aspirano alla perfezione. Perocchè in questi
casi, ricusandosi, non provvederebbero alla propria santificazione
come desiderano, ed unicamente desiderano. All' incontro
nessuno è obbligato, e, oso anche dire, nessuno è
consigliato (senza una particolare vocazione) di andare a
cercare le necessità del prossimo, perchè il prossimo, a cui
dobbiamo accorrere, non è già rappresentato nel Vangelo
in un infermo cercato, ma nel Samaritano trovato sulla
strada. E Gesù Cristo stesso menò vita occulta per trent' anni,
per darci una lezione contro il falso zelo; ed anche
quando uscì nella vita pubblica, si restrinse alle cose della
sua missione, e non cercò punto gli infermi per risanarli,
ma gli venivano portati, e ci volle molta instanza dalla
parte della Cananea per essere esaudita, dicendo egli: « Non
sum missus nisi ad oves quae perierunt domus Israel
(Mat. XV) ». Quando adunque c' è la petizione e l' istanza del
prossimo, anche persone prive di generale missione sono
certo obbligate o consigliate a prestarsi, ed in questi casi
la volontà di Dio e la missione è quindi manifesta. Ora
queste sono le opere di carità che assume di esercitare
l' Istituto della Carità, perchè a queste non può ricusarsi,
per la natura stessa del suo unico e semplicissimo fine.
Ella qui soggiungerà che, appunto per questo che le
opere di carità non sono determinate, si viene con ciò stesso
ad assumerle tutte. Ma io rifletto che nessuno può mettere
legge alla Provvidenza, alla quale sola spetta di determinare
le opere di carità che ognuno di noi è chiamato ad esercitare;
e che non è in nostro arbitrio di escludere un' opera
buona, che in virtù delle circostanze noi siamo obbligati o
consigliati di assumere; e che basta assumere queste opere
di carità prudentemente . Questa è la condizione di tutti i
cristiani e di tutti i Sacerdoti: e chi ci autorizza a restringere
la legge di Dio, e limitare il Vangelo? La carità non
è di sua natura universale? Posso io arbitrariamente prefiggermi
di esercitare la carità solo per metà, in una specie
di cose sì, e in un' altra specie no? Se fu la Provvidenza,
quella che m' impegnò in qualche opera, certo sono dispensato
di occuparmi in altra, dove non giungessero le mie
forze; ma farmi da me stesso una legge di non estendermi
fuori di certe opere determinate, questo non saprei come
farlo, senza restringere la legge evangelica, cioè farmi un
Vangelo mio proprio; molto meno saprei imporre una simile
restrizione e limitazione ad altri.
Ma con ciò si viene a condannare gli altri religiosi Istituti.
- No, certamente: Dio me ne guardi; ma si viene bensì
a dire che i santi Fondatori de' religiosi Istituti avevano
dei lumi grandi soprannaturali, una missione straordinaria:
e con questo intendo di fare il più grande elogio de' religiosi
Istituti. E non dubito punto che quella santa dama,
la Marchesa Canossa, non abbia una ispirazione straordinaria,
se fonda i Figli della Carità in quel modo che li ha
concepiti; perchè è somma la stima che ho per Lei, e ciò
non mi maraviglierebbe punto: massime avendo avuto un
simile straordinario impulso per la formazione delle Figlie
della Carità , che è manifestamente opera di Dio. Ma la mia
miserabilità è infinitamente lontana da queste cose: ed io
non posso che trascinarmi per le vie le più ordinarie e
comuni; e Dio sa con quanta imperfezione vada anche per
queste vie; e se non fosse la bontà de' miei compagni,
l' Istituto della Carità non procederebbe così facilmente
tanto nella Diocesi di Novara, come in questa, anzi nè pure
starebbe in piedi.
La condizione dunque nostra, e quella dei laici e dei
preti secolari, è la medesima; e la necessità che abbiamo,
sì gli uni che gli altri, si è di assumere le opere di carità,
offerte dalla divina Provvidenza, prudentemente . Ma nell' osservare
questa prudenza, c' è però un vantaggio notabile
nell' essere in congregazione sopra il non essere: perchè
qui ognuno non giudica in causa propria, ma è diretto dal
giudizio del superiore, e non riceve incarichi, se non dopo
che il superiore ha giudicato che convenga riceverli per
ubbidire a Dio, la cui volontà nelle circostanze esterne si
manifesta. Un altro vantaggio notabile dell' essere uniti
insieme, si è quello di potersi aiutare scambievolmente e
prepararsi meglio a fare con generosità di cuore ciò che
a Dio più piace, e non ciò che il proprio capriccio, o almeno
l' inclinazione vorrebbe, sotto il pretesto di zelo. Un terzo
vantaggio ancora si è quello che, volendolo Iddio, un corpo
di persone può esercitare degli uffizi caritatevoli più estesi,
che persone singole sparpagliate.
E a questo proposito dell' esercitare la carità esternamente,
mi ricordo che Ella mi disse, non sapersi persuadere,
come si potrà regolare bene un corpo di persone, che
vivono anche fuori delle case. Ma conviene considerare che
il fondamento della società sono le case, e che quelli che
stanno fuori, non sono che un sopra più, degli ausiliari
comodi per certe opere, nelle quali, adoperando degli interni,
si metterebbe forse a pericolo il loro spirito; sicchè la società
potrebbe sussistere anche senza queste braccia esterne, ma
l' avere qualche aiuto di più non sarà male. Tanto più che
la carità vuole che, se qualche esterno desidera di partecipare
de' beni della società, non lo si escluda, e l' escluderlo
sarebbe uno di quei principii arbitrarii, ai quali io
fo sempre guerra in tutte le cose. Sicchè gli esterni vengono
come per una conseguenza dello spirito della società.
La prego, Monsignore, di scusarmi se ho scritto così a
lungo; e con la consueta venerazione implorando la pastorale
sua benedizione, di cuore sincero mi onoro di essere...
[...OMISSIS...]
1.31 Con questa mia non posso rispondere a tutti i punti della
vostra lettera, come vorrei, per la scarsezza del tempo, e
per altre cagioni: ma risponderò poi con comodo a tutto.
Portate dunque pazienza per ora e ricevete quello che vi
posso dare, che è forse il principale. Ricordatevi che la
pazienza e il sapere aspettare è di sommo momento per noi;
che io sono nemico della fretta, e che mi è carissima oltre
modo, e vorrei da tutti i nostri praticata quella virtù che
si chiama della longanimità , tanto nelle divine Scritture
lodata. Ecco adunque le poche cose che ho da osservarvi
per ora.
Mi piace che si diano ai novizi delle meditazioni tutte
al loro scopo, e son certo che ci guadagneremo. Quello che
vi raccomando in visceribus Christi si è di non ostentare
con essi la minima autorità, ma di trattarli con una dolcezza
e carità senza fine, sopportando i loro difetti con vera
longanimità e pazienza, non volendoli far correre più che
non possano le loro forze; ma solamente conducendoli a
mano d' un gradino all' altro per la scala delle virtù. Conoscendo
noi stessi, avremo infinita benignità ed indulgenza
verso gli altri. Qualunque guadagno si faccia, ringraziamone
il Signore; perchè anche quello è dono suo, e non viene
dall' uomo. Circa i difetti poi conviene bene spesso dissimularli,
ove la correzione o la penitenza fosse superiore alle
forze morali del novizio; verrà altro tempo più opportuno,
ed allora si dee cogliere il destro della correzione. Sopra
tutto rare volte avviene che la correzione, fatta sul punto
del mancamento, giovi. Il più delle volte conviene lasciare
tranquillare l' animo dello sviato, e nel momento di tranquillità
e benevolenza, quando anche meno la si aspetta,
fargli allora sentire la voce della ragione e della sincerissima
carità, e « non dico tibi septies, sed septuagies septies »
rimettere i mancamenti. Voi poi non inquietatevi punto, non
tenete nè pure memoria, non che ruggine, per i falli dei
novizi, acquistate dominio di voi medesimo, e non date segno
che vi restiate offeso di niente, nè che riteniate animo menomamente
indisposto verso di loro; altramente perdereste
la loro confidenza e il loro amore, senza di che nulla vi
gioverebbe ogni fatica. Considerate la descrizione che fanno
le Costituzioni del maestro dei novizi, e come la prima qualità
che si richiede in esso, sia questa: « Hic autem vir sit
natura pacificus ».
Debbo finire perchè viene gente. Vi abbraccio e benedico
tenerissimamente nel Signore. Tenetevi alle istruzioni
che ricevete e mantenete una perfetta unione in casa per
la via della dolcezza, della carità e della umiltà e sottomissione
al vostro superiore di costà, conversando con lui
quanto il tempo più permetterà di stare insieme, chè sarà
buono assai, che insieme conversiate il più che sia possibile.
Addio dunque: aspetto notizie fedeli di tutto, e al tempo
debito.
[...OMISSIS...]
1.31 Perdonatemi, se vi ho afflitto coll' ultima mia lettera:
mi è molto consolante di dovervi domandare perdono dell' afflizione
datavi, in gran parte involontariamente. In fatti,
se voi leggerete tranquillamente i rimproveri che in quella
lettera vi faccio, troverete sempre usati i verbi e le particelle
dubitative, temo, dubito, nel caso che siate reo , e simili
modi: perciò erano rimproveri condizionati, i quali,
mancando la condizione, cessano al tutto, e non dovete punto
nè poco applicarveli. D' altro lato, mio caro, non crediate
che io abbia fatto nessun giudizio sulla vostra condotta, ma
solamente ho temuto ; e le apparenze mi davano da temere.
Se dunque credete che io abbia fallato nell' esporvi anche
i miei dubbi sulla vostra condotta, non solo io ve ne dimando
umilmente perdono, ma anche mi sottometto ben di cuore
a riceverne quella penitenza che voi stesso m' imporrete, e
a darvi quella soddisfazione che più vi piacerà.
Ciò premesso, vi prego di considerare che era ben penosa
la mia posizione nel trovarmi da più di quindici giorni
privo al tutto di lettere del Calvario, a malgrado che e voi
e il Gentili aveste avuto obbligo di scrivermi, secondo l' istruzione
datavi, e che io v' avessi scritto due volte in quel mezzo.
Riflettete ancora che, se il dover partirvi dal Calvario era
urgentissimo , come voi me lo descrivete, a segno che un
sol giorno di ritardo poteva portare l' occupazione militare
della casa, e quindi se voi dovevate partire senza dimora,
potevate però fare che il Gentili mi scrivesse subito lui tutte
le circostanze di questo affare, anche nella vostra assenza,
senza aspettare di scrivermi voi da Torino, ad affare finito.
Voi anche probabilmente voleste darmi la notizia del buon
esito dell' affare, senza darmi la trista nuova del pericolo in
cui era la casa. Ma io non voglio, mio caro, che con me
usiate simiglianti riguardi e simiglianti delicatezze: amo
bensì d' essere informato di tutto, passo passo, del bene e del
male. Se poi io vi avrei consigliato ad andare a Torino, anche
posta tutta l' urgenza che voi indicate, nol so, e quindi non
posso approvarne ancora l' andata, perchè ne ignoro ancora
i fini particolari. Ma forse anco io avrei preferito di espormi
al pericolo dell' occupazione militare della casa, anzichè
farmi innanzi fino a Torino e schivare l' occupazione per
un privilegio odioso, e che è contrario, in generale parlando,
allo spirito del nostro Istituto . Non so se voi sentiate la forza
di questo riflesso, e desiderei sommamente che la sentiste.
Per altro è necessario che mi diate de' lumi maggiori, e desidero
positivamente che mi diciate i motivi che c' erano da
temere una subita occupazione militare.
Voi poi dite che non ci vedete questo male del sapere
e dell' approvare che fa il Re la nostra unione del Calvario.
Mio caro, se sia questo bene o male, lo sa solo Iddio. Ben
vi dico, che la nostra unione, di sua natura è umile, privata
ed occulta , e se cerca approvazione dai principi, senza necessità,
essa ha tradito il suo spirito, che è spirito di confidenza
nel solo Dio e nella ineffabile sua provvidenza. Sì, mio
caro, noi dobbiamo avere anche in questo punto una maniera
umile di procedere, cioè lasciar fare a Dio; fuggire il più
che possiamo le relazioni coi grandi del secolo, eccetto allora
che la necessità, cioè il dovere morale, esige che ci mettiamo
con essi a contatto. Se dunque questa approvazione l' avessimo
cercata, noi avremmo fatto un passo falso, e saremmo fuori
di strada . In questo senso dovete intendere le mie parole.
Perocchè, o voi convenite con me nel non cercare nè provocare
in nessun modo, nè direttamente nè indirettamente,
gli appoggi temporali, e nel volervi appoggiare semplicemente
in Dio, col fare i propri doveri; e in tal caso quelle
parole non sono dette per voi. Ovvero mantenete l' inclinazione
e il pensiero di farvi avanti e tentare d' intromettervi
presso i grandi per avere la loro protezione; e, in questo
caso poi, potete correggere lo zelo falso, e perfezionarlo col
divino aiuto; e non si ha per questo da dubitare della vocazione.
Insomma, mio caro, prendete dolcemente, e intendete in
sano modo le cose che io v' ho dette. E non mi conoscete
ancora? E non sapete ch' io non voglio, se non il bene? Sì,
per la divina misericordia, non cerco altro; intendete dunque
bene ciò che vi dico: non per il male, ma per il bene; non
per affliggervi o per iscoraggiarvi, ma per perfezionarvi
sempre più e acciocchè possiate perfezionare anche gli altri,
quelli che vi ha commessi il Signore, ed al quale certamente
dovete rendere conto. [...OMISSIS...]
Qui, per la misericordia di Dio, le cose vanno bene. I
compagni mi sembra che crescano in virtù, ed anco in numero,
giacchè ho diverse domande. Voglio mandarvi la nota
di tutti, acciocchè se ne conoscano i nomi anche dai Confratelli
del Sacro Monte.
Abbracciatemi caramente il Molinari, e ditegli che gli
raccomando di fare bene in tutto, come spero che farà. E
qualche volta mi scriva non per complimento, ma per informarmi
di sè e dello stato suo, parlandomi con apertura
e candore.
Amiamoci, mio caro, nel Signore. Abbraccio tutti i nostri;
salutatemeli nominatamente . Ho in mente di scrivervi in
un' altra lettera le mie ragioni per le quali temo che non
sia stato secondo la prudenza l' andare a Torino, anche posta
la grande urgenza da voi asserita. Ma prima aspetto la informazione
sui motivi che c' erano da temere una così prossima
occupazione militare della casa. Addio dunque intanto,
preghiamo il Signore incessantemente.
[...OMISSIS...]
1.32 Riputando cosa del mio dovere che Vostra Beatitudine
sia di quando in quando informata de' progressi che al Signore
piace di far fare all' Istituto della Carità , essendo
Ella, sempre piena di benignità, che anche prima di sedere
sulla cattedra di San Pietro si è degnata favorire il principio
di questa umile opera, incoraggiandola e aiutandola
con molte grazie, per sì fatta guisa che fin d' allora ho messo
in Lei la mia confidenza e La ho considerata come il vero
padre della Istituzione: ed essendo anche mio desiderio,
a tenore dell' indole propria dell' Istituto, tutto ordinato
in servizio della Santa Sede, di non procedere ad alcun
passo notabile se non dopo d' avere implorata ed ottenuta
l' apostolica benedizione; perciò io mi fo animo di venire
ai santissimi piedi notificando a Vostra Beatitudine, che la
divina misericordia si è degnata di estendere quest' anno
prossimo passato l' Istituto della Carità anche nella diocesi
di Trento, dove conta già, sebbene da così poco tempo introdotto,
un ragguardevole numero di sacerdoti; e, la Dio
mercè, tali che certamente è ancor più dalla loro qualità
che dal loro numero che si può conoscere quanto voglia
essere liberale l' Altissimo verso questo paese sito nei confini
d' Italia. Il perchè, godendo anche tali soggetti della
confidenza di questa Altezza Reverendissima, ad invito della
quale ho intrapreso la fondazione, avviene che abbiano non
poco da occuparsi in cose che riguardano la gloria di Dio
e la carità del prossimo. Umilmente adunque prostrato ai
piedi di Vostra Beatitudine imploro l' approvazione e la benedizione
apostolica sulla nuova fondazione e sui singoli
membri che la compongono.
Perchè poi è pregevolissimo il tesoro delle sacre indulgenze,
e giustamente ne sono avidi i cristiani fedeli, perciò
consapevole della carità e liberalità apostolica di Vostra
Santità, oso ancora supplicare alla medesima acciocchè volesse
degnarsi di conferire qualche sacra indulgenza da lucrarsi
da tutti i membri di questo Istituto, pel quale anche
la santa memoria di Pio VIII si era degnata di offrirmene
ov' io le avessi dimandate, il che ho differito di fare fin
adesso anche per aspettare che l' Istituto prendesse qualche
consistenza; e nominatamente supplico che tali indulgenze
non solo sieno profittevoli a quelli che all' Istituto appartengono
col legame de' quattro o de' tre voti, abitino questi
ultimi in case raccolti, o fuori nel campo del Signore col
titolo di Coadiutori esterni ; ma ben ancora a quel genere
di persone che appartiene all' Istituto della Carità col titolo
di Figliuoli adottivi , come altresì a quello che vi appartiene
col titolo di Ascritti : l' uno e l' altro de' quali generi,
sebbene liberi dai voti dell' Istituto, ricevono però dall' Istituto
medesimo una particolare direzione o aiuto spirituale,
e prestano la loro cooperazione nell' esercizio delle opere
della carità; e finalmente anche a quelli che vengono ricevuti
come Alunni in prova, acciocchè possano a suo tempo
essere incorporati nella Società in quella classe di persone
che meglio a ciascuno di loro si conviene. Finalmente riguardo
alla mia particolare persona oso anche esporre umilmente
alla Santità Vostra, che dopo l' ultimo mio ritorno da
Roma, insistendo sull' indirizzo datomi dalla santa memoria
di Pio VIII e da Vostra Beatitudine confermatomi, non mi
sono tanto occupato nei particolari rami di carità, p. es.,
predicare e confessare (a meno che qualche caso particolare
non mi sembrasse esigerlo, anche per esempio de' miei compagni);
quanto nella direzione generale dell' Istituto, e nel
ribattere gli errori correnti scrivendo de' libri, ne' quali
cerco di non limitarmi alla sola confutazione, ma di estendermi
a stabilire la vera dottrina, colla luce della quale le
dottrine erronee cadono da sè stesse: uno dei quali libri ho
anche pubblicato col titolo « Principii della Scienza morale »
ed ho fatto umiliare a Vostra Santità per mano dell' Em.
Card. Vicario, dove ho avuto anche per iscopo di distruggere
il sistema degli Utilitari , cioè di quelli che vogliono
dedurre i doveri morali dall' utilità, sistema che riprodotto
in tante forme e introdotto oggidì per tutto sì negli affari
pubblici che privati non cessa di produrre un infinito male
alla religione non meno che alla società. E medesimamente
sarebbe mio disegno di attaccare gli errori dominanti con
una serie di scritti, che, se Vostra Santità approverà questa
mia occupazione e Dio mi concederà vita e forze, non tarderò
di venir successivamente pubblicando.
1.32 Dell' Istituto della Carità credo che voi dobbiate avere
una piccola descrizione scritta: se non vi basta, ne aggiungo
qui un' altra, breve sì ma che contien tutto. Qui la misericordia
divina si degna di benedir molto l' Istituzione. Vi
raccomando però di far un uso prudente delle notizie che
avete dell' Istituto; cioè a dire non operate per fantasia, nè
vi lasciate lusingare da speranze vane. Se vi vedete del
solido, cioè se persone pie veramente desiderano l' Istituto,
in questo caso confidate loro ciò che credete; altrimenti vi
prego di tacerne e non parlarne oziosamente con nessuno.
Il mondo è pur troppo sempre nemico di Cristo; onde non
conviene inutilmente attizzarlo: « Cavete ab hominibus ». Santifichiamo
sodamente noi stessi: ecco l' ogni bene, mio caro.
Sono a parte con tutto il cuore delle vostre tribolazioni.
[...OMISSIS...]
Quest' Istituto è una pia Società composta di Sacerdoti
e laici uniti insieme per cooperare alla propria, e, ordinatamente,
anche all' altrui santificazione.
L' indole propria dell' Istituto è quella di venire in
aiuto de' Vescovi principalmente, in tutti i bisogni delle
Diocesi e delle parrocchie.
Per questo fine l' Istituto non esclude veruna occupazione,
incombenza, o ramo pio; ma intraprende tutto ciò
che i Vescovi principalmente desiderano o dimandano. S' intende
però sempre fin dove arrivano le forze dell' Istituto
stesso.
L' Istituto quindi ha per fondamento quella massima
di San Francesco di Sales « nulla cercare e nulla ricusare »:
intesa in questo modo, che i membri di questo Istituto non
hanno un particolare oggetto esterno in cui sia loro essenziale
l' occuparsi, nè intraprendono cosa alcuna da sè stessi;
ma, se vengono cercati o da' Superiori ecclesiastici, o anche
da semplici fedeli, si prestano in tutto ciò che loro è possibile;
per esempio in missioni, in cura d' anime, in iscuole,
in collegi, in assistenza di spedali, di prigioni ecc. ecc. preferendo
anche le opere più umili e le men curate dagli
altri. Se poi non sono dimandati, essi non escono dalle funzioni
della loro propria Chiesa, ma in essa confessano e
predicano e mantengono vivo il culto di Dio: e in casa si
occupano, oltre che negli esercizŒ pii, negli studŒ adattati
alla loro professione.
I membri di questa Società hanno de' voti semplici e
perpetui, solvibili però a giudizio del Superiore. Alcuni
membri poi a scelta del Superiore emettono anche il voto
delle missioni del Sommo Pontefice. Ai membri stretti con
voto si aggiungono alcuni pii fedeli che vengono aggregati
senza voti, per pura divozione e ad intendimento di cooperare
alle opere di carità che l' Istituto ha occasione di
esercitare.
I Superiori dell' Istituto sono: 1 un Superiore Generale,
che risiede in quella casa dell' Istituto ch' egli medesimo
si sceglie e che presentemente ritrovasi nella casa in
Trento; 2 e dei Superiori locali costituiti dal Superiore
Generale secondo i bisogni.
Quando il Vescovo, il Parroco, o anche de' semplici
fedeli bramano qualche servigio od opera di carità, essi si
rivolgono ai Superiori dell' Istituto, e questi sono obbligati,
avendo i soggetti opportuni per quell' opera, di servire ai
medesimi assumendo quegli incarichi senza riflesso a vantaggi
temporali od altra considerazione umana. In caso contrario
però, cioè non avendo in pronto i soggetti adattati,
od essendo questi precedentemente aggravati d' altre opere,
hanno il diritto di non accettare l' opera della quale vengono
dimandati.
[...OMISSIS...]
1.32 Ho tardato alquanto a rispondere alla loro cara lettera
per diverse occupazioni sopraggiuntemi. Intanto il caro
Loewenbruck avrà recato loro i miei saluti, essendo stato
qui a trovarmi; sebbene alla sfuggita. Ora finalmente eccomi
a intertenermi almeno un poco co' miei Lissandrini e Teruggi.
La relazione che mi danno di sè stessi mi fa fede del
loro sincero desiderio di profittare nella virtù ogni giorno,
e di pervenire alla perfezione in questa dolce via del servizio
del Signore. La perseveranza nei loro tentativi, nei
loro sforzi, nella loro rinnovazione dei santi proponimenti,
ne' sospiri e ne' gemiti fatti innanzi al trono di Dio crocifisso,
sarà indubitatamente coronata. Ah! non trascuriamo
nissun mezzo, miei cari, per infrenare la nostra mobilità,
e por ferma legge alla nostra naturale leggerezza! Oh quanto
saremo consolati se piglieremo la cosa seriamente, se porremo
delle leggi a noi stessi da non infrangerle sì agevolmente,
legando con esse quasi con una catena di ferro la
protervia della nostra carne e l' inconsideratezza del nostro
spirito! Ciò che crederei molto contribuire a ciò sarebbe
che avendo essi insieme una confidenza veramente fraterna
ed intiera in Gesù Cristo, l' uno eleggesse l' altro in suo sopravegliatore,
e si obbligassero insieme ad avvertirsi e tenersi
fermi nelle regolette stabilite, confessando i proprii falli e
pregando d' averne in cambio salutari penitenze. I proponimenti
riguardanti la distribuzione delle ore ordinate alla
esecuzione delle due regolette ricevute converrebbe fossero
fatti insieme con qualche solennità, per esempio in un giorno
di ritiro tutto consecrato a penetrarsi dell' importanza di operare
virilmente nelle cose dello spirito. E con questi proponimenti
converrebbe promettessero l' uno all' altro, non solo
ciascuno a sè stesso, il mantenimento di alcune particolari
regolette (quali essi stessi crederanno di formarsele e proporsele,
secondo le loro circostanze): e nello stesso tempo l' uno
assumesse incarico verso l' altro di non perdonare nessun difetto
o mancanza contro alle dette regolette. Ma una cosa
che crederei ancor più poter giovare all' acquisto di spirito
ed al progresso nelle solide virtù sarebbe dare delle scappate,
e passare qualche porzione dell' anno al sacro Monte
Calvario, ed ivi farvi gli esercizi spirituali; giacchè oltre il
sommo vantaggio che deriva all' anima da quel luogo solitario
ed idoneo al contemplare, massime pei tanti oggetti
intorno che rammentano i misteri della dolorosa passione
dell' Uomo7Dio nostro Redentore; oltre la forza delle meditazioni
stesse date in quell' ordine concatenato che S. Ignazio
ha indicato tanto utile massime alla purificazione dell' anima;
oltre tutto ciò ed altri vantaggi, io veggo che ce n' avrebbe
in ciò uno singolarissimo, qual è quello di potere intendersi
e legarsi meglio alla piccola società del Calvario, e stabilire
que' nessi e quelle relazioni, dalle quali, introdotte che
fossero fra noi, ne aspetterei una comunicazione non piccola
di grazie celesti e un grande aiuto scambievole, sì per
migliorare e confortare le anime nostre, come per esercitare,
secondo l' ordine della divina Provvidenza, la carità
verso il prossimo; questa virtù della carità, che forma il
distintivo de' discepoli del Signore, e della quale si pregia
di denominarsi il piccolo Istituto che nacque a piè della
croce. Ed anzi parmi ormai tempo che alle due regolette
che hanno scritto nel loro libriccino se n' aggiunga una terza
cioè appunto quella degli Esercizi annuali da farsi al sacro
Monte, di che ho fatto anche cenno al nostro amatissimo
Mons. Vicario Scavini, e che potrebbe essere espressa così,
se a loro pare: 3 « Omnes alieni domui societatis adscripti
erunt, et in ea opportuno tempore exercitia spiritualia peragent
annis singulis . » Questa terza regoletta l' aggiungano
adunque alle due prime del libretto, se loro piace, e la comunichino
altresì a Monsignore; e queste tre regolette, ben
meditate e scritte nella mente, sieno il fondamento e il principio
da cui deducano poi quelle altre regolette più particolari
che diceva di sopra da imporre a sè stessi, e rendersi
della loro esecuzione l' uno e l' altro scambievolmente
responsabili. La misericordia divina benedirà, come spero
grandemente, questi piccoli principii. Operiamo solo rettamente
e generosamente, e ne' nostri mancamenti una
profonda umiltà ci sorregga; non rifiniamo mai di confessare
i nostri falli, e di umiliarcene in tutti i modi, e di essere
sempre come poverelli che gemono e dimandano limosina.
Ah! è un gran titolo a ricever pietà dal nostro buon
Padre celeste l' esser poveri, e il dire di cuore: « inclina,
Domine, aurem tuam et exaudi me, quoniam inops et
pauper sum ego ». Anche per me innalzino la loro voce, il più
povero di tutti, ROSMINI p..
[...OMISSIS...]
1.32 Vi ringrazio delle notizie mandatemi da Milano e da
Arona. Quanto alle parole del Cardinale, non vi dieno alcuna
noia. E` in Dio che noi confidiamo: si farebbe torto a
sua divina Maestà diffidando: « brachium Domini non est abbreviatum ».
Per altro se le parole degli uomini ci recano
qualche perturbazione, entriamo in noi stessi, mio caro, e
da un tale effetto riconosciamo che noi mettevamo la nostra
fiducia negli uomini. Eh! chi è spoglio di ogni speranza e
fiducia dalla parte degli uomini, chi non pensa a protezioni
umane, ma vuole solo la protezione di Dio, non si turba punto
per qual si voglia parola, che oda dagli uomini. D' altra
parte ricorriamo sempre a quel dolcissimo principio, che
ogni bene per noi è racchiuso nel fare la volontà di Dio,
nel perfezionare e santificare noi stessi: e quanta tranquillità
e costanza non acquisteremo! quale santissima indifferenza
per tutto ciò che si compiacerà di fare avvenire la
Provvidenza benignissima! Ah! faccia il Signore di noi e
della società nostra tutto ciò che a lui piace; saremo egualmente
contenti. Piace a lui che la nostra società si rimanga
umile, oscura, piccolissima? Sia benedetto: agli occhi suoi,
ve lo dico sinceramente, riesce più amabile, più ch' ella è
piccola, appunto perchè ella ha meglio occasione d' essere
anche più umile e non soggetta alle lodi degli uomini, che
corrompono il nostro cuore. Piace a Dio che la nostra società
sia contrastata, combattuta, perseguitata? Lo sia pure;
solo non succeda per nostra viltà, per nostra leggerezza ed
imprudenza, per nostra presunzione, in una parola per nostra
colpa. Gli piace in quella vece che la nostra piccola unione
prenda radice e s' ingrandisca? Sia benedetto egualmente.
Questi, o mio caro, sieno i nostri sentimenti: e questi ci renderanno
imperturbati, o certo forti contro le tentazioni che ci
assalissero. Ricordatevi i proponimenti fatti in Trento, le promesse
date, di cui il tremendo giudice certamente vi domanderà
conto. D' altra parte l' abbondanza della misericordia divina
trabocca sopra di noi in quanto ai favori esterni; vorrei
dire altrettanto degli interni, se la mia imperfezione e miseria
infinita non facesse continuamente guerra alla increata
Bontà.
Dite al Gentili che le cose per la missione inglese vanno
bene; che tutto saprà a suo tempo; che ora non resta altro
che fare orazione molta per quest' affare, e farne fare. Abbraccio
teneramente tutti i miei carissimi fratelli. Preghino
tutti fervorosamente per la salute delle anime nostre. Oh
quanto sono pieno di miseria, mio caro! E pure confido nel
Signore che esaudisce la voce dei miseri, questa voce che
innalzo pure a lui dall' abisso delle mie malvagità. « De profundis
clamavi! » Pregate dunque istantemente e tutti, pregate
pel vostro in Cristo A. R..
P. S. . Non è ancora questa partita e ricevo la vostra
de' 6 marzo dal Calvario. Due cose mi hanno molto consolato
in essa: le buone nuove de' carissimi nostri confratelli,
e le speranze che danno le giovani inviate a Portieux. Sia
lodato Iddio mille volte. V' ho scritto già che vi do licenza di
trattare l' affare delle Figlie della Provvidenza in Isvizzera:
ma vi scongiuro di nuovo, prudenza nelle vostre parole e nei
vostri fatti: diffidate di uno zelo impetuoso e subitaneo; siate
calmo in tutte le vostre parole, e operazioni, e non prendete
impegni , ma tenetevi alla larga colle promesse. Iddio farà
tutto, se camminerete nella via retta. Altrimenti gran bei
principŒ e tristi riuscimenti. Abbraccio tutti di cuore e vi
benedico nel Signore.
[...OMISSIS...]
1.32 La ringrazio di cuore della sua lettera piena di bontà e
di carità. Faccia il Signore che la causa della virtù e della
religione proceda innanzi; ed ho in seno una immobile speranza
che procederà innanzi anche in mezzo ai rischi ed
agli sforzi disperati dell' inimico dell' uman genere, perchè
è finalmente la causa di Gesù Cristo, a cui è data ogni podestà
in cielo ed in terra. Credo che molto debba aiutare
questa causa ne' nostri tempi una sana filosofia, e che quelli
che daranno opera a renderla non meno pura che evidente si
acquisteranno molto merito per l' eternità, se il faranno sinceramente
per amor di Dio. Vorrei vedere i Gesuiti entrati su
questa strada: oh quanto n' aspetterei di bene! se non fanno
i buoni, e quelli che se l' intendono con Dio, chi farà? Pare
a molti un prendere la cosa da lontano a voler per questa
via giovare gli uomini, ed amano più i mezzi più vicini e
pratici. Ottimi sono questi, ma ciò non fa che non sia maggiore
il bisogno di risanare le menti coll' infondere in esse
idee giuste. Gli uomini conviene andare a prenderli lontani,
perchè sono andati lontani. Non ci sarà nè chi sappia somministrare,
nè chi sappia ricevere i mezzi migliori, fino che si
seguita a empir le menti di torte idee e che hanno in seno
il verme. L' umana debolezza d' altro lato ha bisogno anche
degli amminicoli, massime oggidì. La religione, tanto guasta
da una mala filosofia, riceverà solo da una filosofia buona
quello splendore che penetra ovecchesia, e a cui nulla s' agguaglia:
o, per dir meglio, gli uomini si metteranno in posto
e in istato da contemplare tanta bellezza. Ah se io potessi
trasfondere questo mio sentimento o anzi questo calcolo
ne' Gesuiti! dico, questo mio calcolo: perchè non credo di
parlare senza avere un po' meditato sui bisogni dell' umanità
e sulla malattia da cui è travagliata: non parmi che sia un
puro e vano sentimento che a creder così e a sperar tanto
mi muova. Ho per certo che se fosse al mondo S. Ignazio
m' intenderebbe: ma può dal cielo ottenere tutto il lume
necessario a' suoi figliuoli. Ella mi farà sempre una grazia
singolare se mi darà sue notizie, e de' suoi studi.
Aspetto la preziosa grazia, che mi promette, di tenermi
raccomandato nelle sue orazioni a Gesù, ed alla nostra carissima
speranza Maria. Io, sebben così povero d' ogni bene,
che ho vergogna fino di me medesimo a prometterglielo,
pure non mancherò di farlo per lei; nè mi sconfido per questo
mai di essere esaudito « quoniam inops et pauper sum ego ».
La prego de' miei rispettosi saluti a' RR. PP. Rettore e Ministro,
e a quegli altri suoi correligiosi che ho avuto il bene
di conoscere quando fui a Novara.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.32 Non tardo un momento a rispondere alla cara vostra.
Se ella mi ha afflitto per la compassione di quelli che patiranno
dal sopravvenire della malattia che minaccia; di
gran lunga più mi ha consolato ed empito di giubilo la manifestazione
dell' unanime disposizione de' miei carissimi fratelli
del Calvario nell' impiegare le loro forze e nell' esporre
le loro vite in servire Gesù Cristo ne' suoi infermi. Oh bella
occasione che vi manda l' amore del nostro Gesù! oh corona
desiderabile che vi guadagnerete, se moriste in tale ufficio!
oh consolanti parole quelle che udirete nel giorno estremo:
« infirmus eram, et visitastis me »! Certo non vi può essere
via più sicura e preziosa di questa per assicurarvi l' eterna
vostra salute. Io, se mi sarà conceduto, verrò sicuramente
ad aiutarvi, e dividere con voi, troppo avventurati, i travagli
per Cristo.
In quanto alla casa di cui sono livellario, io la metto in
pienissima disposizione del pubblico per farvi lo Spedale ;
e anzi lo scriverò io medesimo al caro Bianchi, nella lettera
che qui unisco. Converrà però prendere le cose con
fervore insieme e con prudenza, come vuole il nostro Maestro
ed esemplare: cioè premunirsi di tutte le cautele tanto
pel corpo , che per le anime nostre . Dico anche per le anime ;
perchè in questi tempi di pubbliche malattie occorrono dei
pericoli anche per l' anima più del solito, per la libertà maggiore
del trattare, ed altre cagioni. Perciò in questo punto
ci vorrà una somma vigilanza e provvidenza da parte dei
Superiori. Voi pensateci; e mandatemi tutti i vostri riflessi,
e un piano circa il modo di procedere de' nostri nel caso
della malattia, dove tutto sia ben cautelato: ve ne incarico
espressamente; questa è cosa vostra personale. Il Vice7superiore
me ne farà uno anch' egli; ma non dovete comunicare
insieme; ma ciascuno pensare da sè, scrivere e mandare.
Io poi vi manderò, se ci sarà bisogno, un Regolamento
definitivo per vostra buona regola. Addio, pregate istantemente
e abbracciatemi tutti, facendo sapere a tutti la consolazione
mia della loro generosa disposizione. Qui siamo
tutti dello stesso cuore, e ci siamo offerti al Vescovo, prima
d' ora. Anzi questo desiderio che facciate anche voi altri.
Fate una bella lettera al Vescovo, offerendovi in essa a qualunque
uso e luogo per tutta la Diocesi, in che egli vi vorrà
adoperare in aiuto spirituale e corporale de' malati (non
però in aiuto corporale di donne, chè questo lo escludo assolutamente),
e dite in questa lettera che ciò ognuno fa per
ispontaneo suo volere e maturo consiglio, fidando in Dio,
ed avendone ricevuto il consenso e la permissione dal vostro
Superiore. Poi sottoscrivetevi tutti cominciando dal
Vice7superiore, e quindi voi, il Molinari e tutti gli altri,
non esclusi i laici; sicchè tutti i nostri sieno anche in ciò
un' anima sola ed un solo olocausto; non ne manchi uno
solo.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.32 Io temo che quelli ai quali Ella ha affidato l' esame
delle Costituzioni, non ne abbiano bastevolmente penetrato
lo spirito. Essi sembrano essere intimoriti dalle gravi obbligazioni
di coscienza che impongono. Ma l' Altezza Vostra
non ha che a rileggere il paragrafo 16., che è l' ultimo delle
Costituzioni, per accertarsi che non v' è nessuna cosa nelle
Costituzioni che obblighi sotto pena di peccato nè pur veniale,
eccetto i voti e quelle cose che già sono obbligatorie
per altre leggi. Con meno vincoli di coscienza di questi non
si può erigere nessuna congregazione religiosa che abbia
voti. Può essere che abbia fatto timore quel predicarsi e
raccomandarsi da un capo all' altro delle Costituzioni una
gran perfezione e una ubbidienza la più perfetta. Ma altro
è quello che si propone come meta, altro è l' esigere che
questa meta sia conseguita; oltracciò nello stesso tempo che
si propone quella meta così alta, si prescrive ai Superiori
ogni dolcezza, discrezione, non comandando se non quello
che è proporzionato alle forze, in modo tale che ciò che i
soggetti fanno, riesca sempre volontario. Questa autorità tutta
spirituale e dolcissima de' Superiori, son per dire che sia
propria dell' Istituto della Carità, e che l' autorità non sia
se non puramente spirituale e persuasiva come quella di un
padre spirituale e d' un maestro di spirito. Forse in nessun
Istituto religioso l' autorità di comandare è proposta con
tanta dolcezza, come nelle Costituzioni dell' Istituto della Carità.
La cosa riesce in pratica mirabilissimamente; ed è una
vera consolazione a vedere la letizia di tutti i miei compagni,
nessuno eccettuato, che benedicono ogni giorno il cielo per la
contentezza di cui godono. I Superiori ancora possono sciorre
i membri da' voti; ed è loro prescritto di farlo ogni qual
volta credessero che questi riuscissero de' vincoli troppo
stretti e pericolosi, perchè il fine è la salute delle anime
de' membri stessi.
Voglia dunque Vostra Altezza assicurarsi intieramente
su questo punto; voglia restituirmi il suo pieno compatimento
e la prima sua cooperazione ed appoggio, e possa io
sperare che Ella me lo presti di tutta sua persuasione. Io
credo che l' opera sia adattata ai tempi, e che riuscirebbe
sicuramente se Ella il vuole; non dico senza delle difficoltà,
perchè di queste pur troppo se n' incontrano in ogni cosa,
e dobbiamo anche noi aspettarne, ma dico senza difficoltà
insuperabili, ecc..
1.32 La venerata sua lettera degli . corrente mi ha prodotto
incredibile consolazione per il pensiero che Le ha ispirato
Maria santissima. Oh il bel pensiero, che fu questo! Lo eseguisca
senza perdere tempo, ed Ella corrispondendo a questa
inspirazione, s' acquista sicuramente un nuovo titolo alla protezione
della Vergine, nostra carissima Madre, da cui dobbiamo
aspettare ogni lume e conforto. Sì, la cara e benignissima
nostra Madre Maria sarà quella che Le darà ogni
consolazione al cuore, e quella tranquillità e pace di animo
che è tanto necessaria, e che, sebbene indegnamente, Le
prego ogni giorno. Abbandoniamoci alla divina Provvidenza
e speriamo nella bontà di Gesù Cristo e nell' intercessione
della sua santa Madre. Non siamo troppo solleciti, e non ci
chiameremo pentiti di questa nostra confidenza e di questo
nostro abbandono. E` vero che siamo tanto miserabili e che
abbiamo tanti difetti! E chi non ne ha? Ma la grazia di Gesù
Cristo può purificarci in un istante. E qual miglior mezzo
di ottenere questa grazia, che è il solo vero bene di cui
abbisogniamo, se non quello di fare opere della sua gloria,
e farle unicamente per la sua gloria? Lungi da noi ogni
altro pensiero: se noi penseremo solo al nostro Padre celeste,
dimenticando noi stessi, egli allora penserà a noi; egli
è il padrone del tutto, e nelle sue mani pende tutto ciò che
abbiamo, e che siamo, i nostri averi, la nostra salute, la
nostra vita e la nostra morte; egli mortifica e vivifica. In
lui dunque solo confidiamo e pienamente riposiamo. Oh qual
quiete dolce e piena di contento non dà il pensare che siamo
nelle sue mani! E` impossibile, se abbiamo fede, che vogliamo
turbarci: tutto succede secondo i consigli della Provvidenza,
anche i nostri stessi falli. Siamo dunque contenti
di tutto, e amiamola ogni dì più questa Provvidenza: seguiamola,
ed essa ci scorgerà soavemente per la via della
nostra eterna salute e della pace, « quae exsuperat omnem
sensum ».
Io qui sono consolato assai, perchè ho trovato le cose in
ottimo stato. Sia lodato Iddio di tutto: egli sa solo tutte le
cose. Finisco baciandole umilmente la mano, e implorando
la pastorale sua benedizione sopra chi, col più alto rispetto,
gratitudine e affezione sincera, si dice, ecc., A. R..
[...OMISSIS...]
1.32 Sieno grazie al nostro buon Dio, che, come sento dall' amico
Mellerio, avete cominciato a fare la trottata; egli
mi dice che non avete vinta ancora la tosse, che sola vi
toglie dal dirvi pienamente rimesso in istato: ma spera ed
io pure, che se n' andrà. Intanto questi son tutti sperimenti
che ci fa prendere il Signore di noi stessi, acciocchè veggiamo
nullità che noi siamo. E che varrebbe saperlo speculativamente,
se non avessimo acquistata la scienza sperimentale ?
Oh quanto è vana la scienza puramente ideale,
se non abbiamo delle verità la prova reale! Quella scienza
non penetra fin dentro al cuore, il quale praticamente resta
incredulo, perchè è duro e tardo a credere, se non isperimenta.
L' essere tentato dai mali, all' incontro, e quasi oppresso,
abbassa l' altezza del nostro pensiero, e ci costringe
quasi involontariamente a riconoscere ciò che siamo, senz' alcuna
illusione. E il senso di tanta nostra miseria vien
reso dalla grazia il veicolo che ci conduce alla cognizione
di Dio. Poichè non trovando in noi altro che miseria, e non
altro in questo mondo che tribolazione, il nostro cuore,
che non può starsi senza un bene ed un amore, si rivolge
finalmente a Dio, quasi per una felice necessità di cui si
serve la grazia, ed in Dio intieramente s' abbandona; ed
allora incomincia a riconoscerlo per il solo bene, e ad averlo
per il solo suo amore, e sente, oh quanto! la verità di quelle
parole di Cristo: « « Venite a me, o voi tutti che affaticate
e siete aggravati, ed io vi ristorerò » ». E quanto bene, che
prima gli era incognito, non trova allora il nostro cuore in
Dio! E con quale affetto allora pronuncia quelle dolci parole:
« Deus meus et omnia »! E gli pare d' essere troppo felice
per quelle stesse infermità che tanto contrariano la natura,
giacchè per mezzo loro, privato della lusinga de' beni naturali,
sente che Dio solo basta a tutto e soprabbasta ad
ogni suo desiderio. Oh preziosa semplicità dell' amor di Dio!
O ricca nudità dell' anima, che, libera dall' ingombro delle
dilettazioni terrene, si converte tutta al suo Creatore! Ella
ha un tal valore questa conversione dell' anima desolata e
nuda dei beni naturali al bene sommo ed essenziale, che
Iddio n' ha fatto il fiore della sua provvidenza in sul genere
umano, che per essa ci ha lasciato le infermità e la morte,
che fa di essa le delizie de' suoi più cari e il lor patrimonio
ricchissimo, e che al suo diletto Figliuol solo n' ha dato la
pienezza, nelle angoscie inenarrabili della sua vita e della
sua morte. Ah! noi pure avventurati, o mio Giulio, se il
seguiremo dietro la sua voce: « « Chi vuol venire dopo di me,
anneghi se stesso, e tolga la sua croce, e sì mi segua » ».
Tale e tanto conforto il Signore ha aggiunto a' nostri mali!
Il Signore, che a ciascun che soffre e che ama lui, dice:
« Sono io stesso con lui nella tribolazione, e nel trarrò io
fuori, e lo glorificherò », patisce egli stesso con noi, e quasi
non fosse ciò abbastanza a renderci dolce ogni patire, ci
aggiunge ancora che ce ne trarrà fuori, e ci glorificherà.
E di che gloria! « Non sono condegne - dice l' Apostolo -
le sofferenze di questo tempo verso alla gloria futura che
si manifesterà in noi ». Quivi adunque, in questa gloria abitiamo,
fin da ora, per la fede: chè la conversazione del
cristiano dee pur essere in cielo, secondo l' Apostolo stesso.
E se siamo in cielo collo spirito, colla mente e coll' affetto,
che sarà per noi mai questo mondo corruttibile, sopra cui
ci siamo immensamente innalzati? Allora sentiremo tutta
la noia di quello che l' Apostolo chiama peregrinare dal
Signore , e ci nascerà in cuore quella parola non intesa, se
se non da chi gli è dato da Dio, « cupio dissolvi et esse cum
Christo ». E se pur viveremo, ciò non ci sarà tollerabile per
altro, se non per fare la volontà di quel Signore appunto
a cui notte e giorno dall' esilio sospiriamo.
[...OMISSIS...]
1.32 Sperava di potervi abbracciare personalmente nel Signore
nei primi giorni del prossimo novembre; ma alcuni affari
incamminati che riguardano la gloria di Dio e che esigono
la mia presenza, acciocchè siano prontamente ultimati,
com' è necessario, non me lo permettono, ma richieggono
che mi trattenga ancora qualche poco in questo dolcissimo
santuario della passione di Cristo, che fu la culla, come sapete,
del minimo Istituto nel quale Dio solamente per sua
misericordia ci ha insieme congregati e congiunti. Se non
colla corporale presenza adunque, almeno però con questa
lettera vengo in mezzo di voi, per effondere a voi tutto il
mio cuore, e per dirvi con quanta pena io mi stia da voi
diviso di corpo (chè di spirito nol sono mai), sollecito del
progresso ne' santi vostri propositi. Non già che l' essere io
vicino a voi possa arrecarvi qualche grazia, o che io possa
molto colle mie parole aiutarvi e sostenervi nelle tentazioni,
e spingervi avanti nella virtù: poichè anzi conosco d' essere
inetto a tutto ciò, e di non poter nulla, se non forse nuocervi
coll' esempio della mia debolezza e miseria. Ma l' amore tuttavia
che vi porto in Gesù, nostro strettissimo vincolo, è quello
che mi fa desiderare di avere tutti i miei cari compagni nel
santo servizio, se fosse possibile, continuamente sotto gli occhi.
Poichè l' amore è impaziente di sapere tanto il bene che il male
delle persone amate, nè vuole aspettarne la relazione altrui,
ma rilevarlo da se stesso e certificarsene cogli occhi propri:
giacchè egli vuol godere del bene loro, e vuole esserne
certo, e per essere certo di quanto bene abbiano le persone
amate, vuol saperne anch' il male. Oltracciò, conoscendo io
la vostra carità e umiltà e la vostra dedicazione al Signore,
non mi fa meraviglia che vogliate cavar profitto alle anime
vostre da tutto, e anche dalle stesse mie parole, ricevendo
in buona parte e in edificazione dell' uomo interiore, quanto
io vi fossi per ripetere degl' insegnamenti del Signore, sebbene
io sia tanto indegno di proferirli. Ed è appunto per
questa santa disposizione, che spero essere negli animi di
tutti voi, che io voglio dirvi nella presente (ciò che farei
a voce se potessi) quanto credo essere il più necessario e
vantaggioso per le vostre anime, acciocchè consumino la
santa vocazione, nella quale sono per la singolare benignità
e carità di Cristo, e nella quale desidero che restino
in eterno.
Ognuno di voi pensi seriamente ad essere sincero
con Dio, cioè a volere col fatto eseguire quanto propongono
le regole della Società, nella quale è entrato; il che importa,
che noi entrati in questa Società vogliamo sinceramente e
pienamente consecrato a Dio solo tutti noi stessi, e tutte le
cose che abbiamo al mondo , non avendo d' ora in avanti
altro scopo ed affetto ultimo sopra la terra, se non quello
di accrescere la gloria di Gesù Cristo e della sua Chiesa
in tutti i modi possibili; pronti a qualunque cosa; e massimamente
senza attacchi di carne e di sangue, che sono i
più fatali di tutti per chi vuol darsi veramente e pienamente
a Dio nella nostra società, la quale dee avere siccome scritte
in fronte quelle divine parole di Gesù Cristo: [...OMISSIS...] .
Ognuno di voi ami tenerissimamente tutti i suoi
compagni nelle viscere di Gesù Cristo, senza eccezione alcuna,
e sopporti con piena carità i loro difetti, condonandoli
loro per amore di Cristo, soffrendoli anche con gusto
per propria mortificazione, non pensandoci, e, se fosse possibile,
non osservandoli; all' incontro osservando continuamente
i difetti suoi proprii e avendone dispiacere, anche
per quello che in conseguenza di essi fa sopportare agli altri
suoi compagni di molestie e di pene. Ognuno consideri il
bene e l' ordine di tutta la Casa come il bene proprio, e
faccia tutto quello che può per ispargere nella famiglia
sempre più la dolcezza di una tenera carità e l' unione più
stretta de' cuori; ognuno cerchi di unire fratello con fratello,
e i fratelli coi padri, cioè co' Superiori; e di rimuovere qualunque
anche minima cagione che possa diminuire questa
unità d' anima e di cuore che abbiamo in Cristo, a imitazione
dei primi fedeli. Tutti quelli che cooperano alla perfetta
consensione delle volontà e dei cuori sono in Cristo;
ma quelli che non si guardano dall' essere cagione di dissapori
e amarezze, e anche solamente di freddezze scambievoli,
non operano in Cristo, ma piuttosto si fanno ministri
dell' inimico di Cristo, e di tutti noi. Siamo tutti un corpo:
ognuno è membro del proprio nostro corpo; dunque ognuno
da parte sua studi di fare quello che può per la perfetta
concordia e sanità delle membra. Specialmente poi ognuno
desideri di vedere i propri compagni andare continuamente
avanti nelle solide virtù, e a tal fine aiuti i Superiori informandoli
di quanto possono credere che sia utile loro sapere
per vantaggio de' singoli. Questa carità santa, e questo
impegno che ognuno prenderà per il bene spirituale e l' ordine
di tutta la Casa, ci mostrerà veri seguaci del nostro
Maestro che ha detto: « Gli uomini conosceranno che voi
sarete i miei discepoli, se voi vi amerete l' un l' altro ».
Finalmente ciò che in singolar modo vi raccomando,
si è di studiare di rendervi perfetti nella ubbidienza . Oh
quanto è grande, quanto bella questa virtù! Ognuno cerchi
di essere ben disposto verso il Superiore: chi è benignamente
inclinato verso di lui riceve con gratitudine tutte le
cure che il Superiore impiega per suo bene. Le correzioni,
le penitenze, le mortificazioni sono de' grandi benefizi: attacchiamoci
di cuore a quei Superiori che ce li danno. In
tutte le cose dove non si scorge peccato, la voce del Superiore
è la voce di Gesù Cristo, la volontà del Superiore è
la volontà di Gesù Cristo: e però quello che ci comanda il
Superiore eseguiamolo; quello che desidera il Superiore, desideriamolo;
quello che egli vuole, vogliamolo. Così si ama
Iddio, così si depone se stesso. Ah! miei cari fratelli, non
abbiamo volontà propria: non conosciamo ripugnanze e propensioni,
non abbiamo altre ripugnanze, che di quelle cose
che ci sono da' Superiori vietate, nè altre propensioni, che
di quelle cose che ci sono da' Superiori comandate. Vinciamo
noi stessi: dobbiamo essere vittima con Cristo, e ciò che ci
immola, come Isacco, dee essere il ferro dell' ubbidienza.
Tanto mi preme questa virtù, perchè è il fonte di tutte le
altre, massime nella società nostra; e perciò vi prego di
legger tutti in comune e di meditare, per convertire in succo
e sangue, la bellissima lettera di sant' Ignazio sull' ubbidienza;
ella par fatta a posta per noi, per la nostra società. Voi vedrete
in essa, come il gran fondamento di questa virtù sia
la fede che vede nel Superiore la stessa persona di Gesù
Cristo, e non considera punto le qualità umane. Con questo fondamento
sarete ubbidienti sempre, ed a tutti i Superiori, qualunque
sieno: e se i Superiori fossero per se stessi dispregevoli,
voi allora appunto acquistereste un merito più grande, e
sareste più sicuri di servire ed ubbidire a sua divina Maestà.
Di queste massime desidero vedervi forniti, specialmente
ogni qual volta mi accade di dover costituire fra di voi un
nuovo Superiore, come ora; e perchè credo che lo siate,
perciò spero che ne riceverete l' annunzio non solo con illimitata
sommessione, ma ancora con amore e con vera spirituale
allegrezza. Perocchè considerando che il nostro carissimo
fratello e padre don Rigler, Superiore costì di tutti
voi, è oltremodo aggravato dalle sante sue occupazioni che
il rubano a voi quasi del continuo, e perciò non potete ricorrere
a lui ne' vostri bisogni; ho veduto esser necessario
di aggiungere a lui un Assistente che faccia le sue veci,
e sia una gran parte almeno di tempo con voi, e possiate con
lui conferire e ricevere conforto e direzione ogni volta
che vi abbisogna. Al qual fine ho pregato caldamente il
Signore che m' illumini, e fatto pregare per trovare quello
che meglio convenga, considerate tutte le circostanze; e finalmente
mi sono risoluto di dichiarare Assistente del Superiore
di Trento il vostro e mio carissimo don Giulio
Todeschi, colla fermissima fiducia che come egli vi sarà l' interprete
fedele della volontà del Signore, così voi sarete
quegli umili e docili soggetti che avidamente riceverete e
fortemente eseguirete la medesima divina volontà che egli
vi manifesterà. Non è bisogno che vi lodi questo nostro carissimo
fratello, perchè voi lo conoscete, e col destinarlo a
tale ufficio, mostro abbastanza la stima che ho di lui. Piuttosto
vi scongiuro tutti nelle viscere di Gesù Cristo a sopportare
i suoi difetti, se ne ha come uomo, giacchè qual
uomo mai ne è esente? e a rammentarvi quello che ho detto
innanzi, che i difetti del Superiore rendono infinitamente più
meritoria e cara a Dio l' ubbidienza de' sudditi. Ma chi di
voi sarà un vero ubbidiente e un vero discepolo di Cristo,
assai più che i difetti, se ce ne ha, vedrà ed amerà le rare
virtù di cui il nuovo vostro Padre va fornito, e con una
carità che crescerà ogni giorno, unirà una devota riverenza
verso di lui. Ah! vi supplico tutti, quanto so e posso, date
nuove prove ogni giorno della vostra sincera umiltà e annegazione,
e mostrate che nell' uomo, mediante la fede, mirate
continuamente non l' uomo, ma Dio. Non aggiungo di
più, e so che neppur di questo era mestieri; ma ho voluto
dire tutto ciò, perchè siate sempre aiutati a rammentarvi
ed avere vive nella mente quelle grandi verità che già sapete,
le quali formano le basi della vita religiosa, e perchè
conosciate la mia premura e il mio amore continuo che
anche assente ho per voi. Ed abbracciandovi tutti al seno
in Gesù Cristo nostro Capo e Maestro, nostra delizia, ogni
cosa, mi raccomando alle vostre orazioni, e vi benedico. Il
Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo abiti nei vostri cuori
perpetuamente. Così sia.
[...OMISSIS...]
1.32 Le mando qui una carta intitolata « Regolamento dell' Istituto »,
nella quale c' è tutta la descrizione in breve dell' Istituto
della Carità. La prego di farla copiare pulitamente, e
di umiliarla, in mio nome, all' Em.mo cardinal Weld, che
desidera avere notizia precisa e diretta di questo Istituto.
La relazione che l' Istituto ha coi vescovi, di cui l' Em.mo
desidera special contezza, la troverà chiaramente esposta
al N. 15 del suddetto Regolamento. A mio parere la natura
dell' Istituto è tale che non può mai venire in collisione coi
vescovi, perchè egli non agisce che dietro le richieste principalmente
de' vescovi, ed è soggetto a questi in quanto alle
funzioni sacerdotali e alla cura d' anime; restando soggetto
a' propri Superiori in quanto al governo interno dell' Istituto
medesimo, al mantenimento delle Regole, alla distribuzione
de' soggetti, e all' assumere o non assumere, ritenere
o dimettere gli uffizi, che egli mai non cerca, ma solo assume
dietro le dimande del prossimo.
Dimanda ancora S. Em.za, come intendo dalla sua lettera,
qual sarebbe il sistema e modo di agire che don Gentili e
compagni si propongono di tenere in Inghilterra. Se alla
Provvidenza piace che il Gentili si rechi in Inghilterra con
de' nostri « egli si propone di tenere un modo di agire tutto
uniforme al « Regolamento » annesso, un modo di operare
cioè quieto e tranquillo, che da principio si restringerebbe
a fare strettamente, nè più nè meno, i doveri propri dei
cristiani e de' sacerdoti, e starebbe aspettando gli ordini
del vescovo e le dimande del prossimo. A quelli e a queste
egli intenderebbe di prestarsi con prontezza e indifferentemente
in ogni genere di opere buone, fino che bastassero
a lui ed a' compagni suoi le forze ». Questo sarebbe
il procedere ch' egli terrebbe, e questo è il modo di procedere
nostro: nulla facciamo di proprio moto, se non i doveri
strettamente privati; mossi poi da' prelati principalmente,
ci prestiamo a quelle prime opere, qualunque sieno,
che ci vengono dimandate. Che « se si volesse dare al Gentili
co' compagni il peso d' una parrocchia, anche questa
l' accetterebbe, e l' amministrerebbe secondo le leggi canoniche
ed i voleri del vescovo, senza eccezione o privilegio
alcuno; se poi si volesse impiegarlo nella predicazione,
egualmente; se nelle scuole, pur sarebbe pronto; se nelle
opere di carità, come spedali de' poveri, ed altre simili
cose, di gran cuore le accetterebbe. Insomma l' Istituto
nostro vuole avere dei sacerdoti che, senza predilezione,
non abbiano altro in mira se non di prestarsi con missione ,
cioè non di proprio moto, e di prestarsi a tutto,
giacchè Iddio solo credono di servire egualmente in tutte
le cose ». Se mai l' Em.mo Weld desidera sapere qualche
altra cosa, ove si degni di farmela conoscere, mi onorerò
di comunicare tutti gli schiarimenti desiderabili.
Ora veniamo a noi, mio caro Quin. Ha fatto bene a non
entrare Ella a parlar della natura della Società, e faccia
così anche per l' avvenire, non comunicando a nessuno quello
che ha, senza licenza espressa. Desidererei molto di averla
con noi qualche tempo in questa sacra solitudine, dove il
carissimo Gentili fa progressi grandi nelle virtù. Non dico
che desidererei di averla come de' nostri: questa non può
esser che l' opera di Dio: io non v' entro, e non desidero se
non quello che Dio Le ispira nel cuore; sono però certo che
il desiderio della perfezione non viene che da Dio, e perciò,
sebbene io non La esorti punto a prendere il nostro Istituto,
tuttavia La esorto quanto so e posso a seguire i consigli
evangelici, perchè i consigli di Gesù Cristo sono ottimi, senza
bisogno d' alcun esame, come insegna san Tommaso; e ogni
cristiano per seguirli non ha bisogno di dimandare consiglio
di direttori, ma solo di risolversi con generosità a darsi
tutto e senza eccezione alcuna al suo Dio. Oh beati quelli
che intendono la bellezza de' consigli dati agli uomini dal
divino Maestro! Non c' è oro nè gemme che si possano mettere
a confronto col prezzo di que' consigli. Perciò li segua
animosamente, ma in quell' Istituto al quale la volontà di
Dio piegherà il suo cuore. Ad ogni modo caro assai mi sarebbe
il vederla, l' abbracciarla, e l' averla meco qualche
tempo. La prego di tradurmi in buon inglese il « Regolamento »
e di mandarmelo.
1.32 « La buona novella, dopo diciotto secoli, è nuova tuttavia
per il mondo che l' ha sentita, senza comprenderla ».
Dite bene, mio caro Tommaseo, è nuova per il mondo, « tenebrae
eam non comprehenderunt », e sarà sempre; ma non
pe' Santi che l' hanno sempre compresa in tutti i secoli. I
figli di Dio sono stati sempre e sempre saranno, « et fulgebunt
quasi stellae in perpetuas aeternitates ». Non è dato agli
uomini di accrescere il numero di questi d' un solo, nè è
in potere dell' uomo diminuirlo di un solo. Iddio gli ha contati,
e nessuna creatura può alterarne il conto. L' uomo può
essere superbo, ma non disperdere la superbia degli altri
uomini: Iddio solo dall' alto sperde la superbia di tutti. Tutto
ciò che sta nella perfezione dell' ordine morale, Iddio l' ha
riserbato a se solo; e, se usa degli istrumenti umani come
ministri di quest' ordine, egli li ha scelti « ab eterno. Ego
elegi vos »; non fu scelto da loro: « non vos me elegistis »; sicchè
l' uomo in quest' ordine soprannaturale di cose è sempre
inutile per se stesso: « servi inutiles sumus »; e guai a chi si
intrude! « non mittebam prophetas, et ipsi currebant ». Non ha
l' uomo altra incombenza, che quella de' propri doveri morali,
conformandosi a colui che disse: « « Imparate da me, che
sono mite ed umile di cuore » ». Ma chi segue il Vangelo, nella
sua umiltà e mitezza è leale e generoso; non teme di annunziare
tutta la verità che è il suo bene, e di confessare Cristo;
e non sa fare nè per viltà, nè per ingannevole speranza di
produrre un bene che Dio non vuole, alcuna transazione
colle massime carnali e collo spirito omicida di questo mondo.
Il Vangelo basta a se stesso. Dio è tutto, e il giusto nei
beni eterni ha tutto il suo cuore: è da ciò appunto che
scorre da se stessa la felicità anche temporale, come un fiume
uscente da un mare; non dico ogni felicità che la nostra
cupidigia desidera o s' immagina, ma quella felicità temperata
che sa Dio più convenire a' suoi disegni di misericordia
pei predestinati ai regni immortali. La sventura, la
croce sarà sempre un dolce tesoro ai discepoli del Cristo,
e non mancherà loro: nel tempo stesso che la loro carità
universale è portentosa, non penserà che di alleggerire e
sollevare la croce che pesa in sui fratelli. Non ha dunque
bisogno la religione di essere giustificata con industrie umane;
ma, osservata, si giustifica da se stessa: è il fatto quello
che mostrar dee i buoni effetti temporali venienti spontanei
dalla osservanza della legge: « Mirabile cosa, diceva pur
bene quell' uomo di legge: la Religione cristiana, che non
sembra avere altra cura che delle cose del Cielo, è quella
che produce anche il bene di questa terra! »Sì, « pietas, ad
omnia utilis »: ma pietà, e non cupidigia. Sì, la carità sia lo
stimolo; un amore di Dio, un amore degli uomini per Iddio;
tutto è possibile alla carità. In tal modo gli interessi umani
non sono cercati direttamente; è il solo regno di Dio che
hassi direttamente a cercare: « Cercate prima il regno di
Dio, - il resto vien da sè, - e tutte queste cose vi saranno
aggiunte », perchè sa il Padre celeste che n' avete bisogno.
La Chiesa ne' suoi santi mostra una sapienza più alta ancora,
una sapienza non intesa dal mondo, anzi chiamata stoltezza:
ella fugge i beni materiali, ella vive d' astinenza, di
mortificazione, di volontaria povertà, ed ha scritto sul suo
petto: « beati pauperes ». A questi è venuto Cristo ad evangelizzare,
a questi è venuto a comunicare i suoi tesori Colui che
non aveva ove reclinare il capo. Ben è vero che dalla radice
della povertà nasce un frutto contrario alla madre: le ricchezze
corrono là, dove questa povertà si è mostrata: ecco
come s' è arricchita la Chiesa: ecco l' unico mezzo onde la
religione del Crocifisso può giungere a signoreggiare gl' interessi
materiali. Ma, oh quanto il Consiglio di Dio è alto sopra
i consigli degli uomini! Allora appunto che la Chiesa è carica
delle spoglie d' Egitto come di altrettanti trofei, allora
ch' ella pare divenuta l' arbitra delle sorti umane, allora solo
ella è come impotente, ella è il Davidde oppresso sotto l' armatura
di Saulle: quello è il tempo del suo decadimento.
E l' Eterno che vigila a' suoi destini, dopo averla così umiliata,
averle fatto conoscere ch' ella è composta di uomini
soggetti alla tentazione, averle mostrato per un' amara esperienza
che in lui solo ella è forte e può confidarsi, mosso a
pietà di lei, concede alla ferocia del secolo di buttarsi sui beni
temporali della Chiesa, e farne bottino; riducendola in tal
modo a quella sua originaria semplicità che, amabile sopra
ogni bellezza muliebre, trae di nuovo a sè tutto, per tutto
nuovamente deporre al cenno non degli uomini, ma dello
Sposo, quando le dica; « Sorgi, t' affretta, amica mia, colomba
mia, e te ne vieni ». [...OMISSIS...]
Le due Case vanno bene per la grazia di Dio: lo
scopo loro è tutto morale religioso, non è uno scopo particolare,
ma lo scopo comune a tutti gli uomini, il fare i
proprii doveri, il mantenere la legge di Dio, e perciò può
prender per motto; « in lege Domini voluntas eius »: nulla
di più semplice, ed io credo altresì nulla di più dolce. Ciò
dunque perchè si distinguono dagli altri cristiani, non è per
lo scopo, ma per l' essersi alcuni associati per aiutarsi scambievolmente
ad ottenere questo scopo. Nel libretto che ho
stampato a Roma col titolo « Massime di perfezione », c' è tutto,
eccetto l' ubbidienza, poichè non si parla in quel libro di
Società. Addio, pregate per me.
[...OMISSIS...]
1.33 L' indifferenza di S. Ignazio non riguarda il fine , ma
i mezzi . Possiamo e dobbiamo sospirare incessantemente il
fine, e dire col massimo affetto: « adveniat regnum tuum »; ma
dobbiamo essere indifferenti su questi o su que' mezzi, pei
quali la divina bontà ci voglia condurre al fine. Ciò che è
degno di altamente meditarsi si è, che noi non conosciamo
nè pure quali sieno i mezzi particolari che ci facciano ottenere
il nostro fine. Siamo ignoranti, e perciò conviene rimetterci
a chi ci vede, che è Dio, ricevendo tutto dalle mani
di Dio con perfetta indifferenza. Tutto sta dunque in trovare
i segni del divino volere. Senza questi, so io che lo studio,
in ragion d' esempio, sia la strada della mia eterna salute?
Quanti vi hanno trovato l' eterna dannazione! So io che la
predicazione mi gioverà? Quanti, predicando agli altri si
sono resi reprobi! Tutta la vita, la perfezione, la morale
cristiana sta nel dare il giusto peso a questa parola Eternità .
- Ma ella è futura. - Appunto per questo gli uomini,
trattenuti dal glutine della vita presente, non danno la dovuta
importanza all' eternità, e giudicano stolti quelli che
gliela danno. La vita futura risponde a quella dimanda: da
mihi punctum . E` il punto fuori del mondo, sul quale la
religione punta la leva e muove il mondo stesso. O conviene
rinunziare alla religione, o conviene ammettere che questo
è vero. Se poi questo è vero, tutto è indifferente fuori che
Dio, fuori che la parola di Dio, i segni della volontà di
Dio, i mezzi conosciuti pe' segni della volontà di Dio; insomma
Dio solo in tutte le cose: « et exaltabitur Dominus
solus ». Un giorno non sarà più virtù amare la vita eterna,
perchè sarà presente. Virtù è amarla ora, perchè è lontana.
Oh non lascino gli uomini passare inutilmente questo tempo
del merito e della virtù! Ecco il mio voto.
1.33 Mio soavissimo amico e fratello in Gesù Cristo nostro bene,
Cercate di piantare in tutti un amore sviscerato per la
verità e per ogni bene . Dominando in noi un grande e prevalente
amore della verità , noi la cercheremo da per tutto,
e ci chiameremo sempre felici quando potremo averla acquistata.
Se mai noi la troveremo nelle parole di un nostro
amico o fratello, ella riuscirà ancor più cara, e gli resteremo
obbligati d' averla insegnata. Se dovremo deporre una
nostra opinione per la verità, qual cosa più dolce di questo?
Subito con un sentimento di bella umiltà diciamo: « io era
in errore, ora ho conosciuto il vero: ne sia lode a Dio: lo
sapeva già di essere ignorante ». Infatti noi dobbiamo sapere
e tenercelo ben certo, che siamo ignorantissimi, anzi l' ignoranza
stessa in persona. E l' ignoranza ricuserà d' imparare?
oh questo poi no. Per tal fine non fuggiamo la disputa accademica :
anzi, io vi do per consiglio di cercarla voi stesso,
ma sempre con buon umore, con ilarità, umiltà e carità;
oh quanto bel campo non troverete in essa da esercitare
tutte queste virtù, da sempre più conoscere voi stesso, e
da vincervi salutarmente! Sapete già la bella dottrina dello
Scupoli: per andare avanti nella virtù, conviene sfidare a
battaglia, cimentare i nostri vizi, fuori che in ciò che è contrario
all' onestà. Di questo dunque vi consiglio. Parimenti
posso dire dell' amore del bene . Se noi abbiamo un vero
e compìto amore pel bene, noi ameremo sicuramente ogni
bene dovunque lo troveremo, in ogni persona, in ogni circostanza,
sotto qualunque forma. Ah! la nostra bella legge
è legge d' amore: l' amore non odia nè invidia chicchessia;
egli non vuole in ogni cosa che il bene. Così si forma un' anima
dilatata, che corre nella via dei divini comandamenti. Per
riuscire ad ottenere questo, spargiamo lagrime dinanzi a
Dio giorno e notte; e i nostri sforzi saranno certo coronati. -
Ora qui nella Chiesa capitolare si sta facendo il Giubileo:
i predicatori sono don Giacomo e don Giovambattista. Don
Luigi è impegnato pel prossimo quaresimale. Abbiamo dimande
di missioni da tre luoghi. Domenica scorsa abbiamo
ricevuta l' abiura di un nuovo calvinista; ed è il ventesimo
che abbiamo la consolazione di riunire alla Chiesa cattolica
dopo che siamo qui. Sia lodato il Signore. Insomma, affari
non ne mancano: « rogate Dominum messis ». Le Figlie della
Provvidenza prendono un buon avviamento per la misericordia
divina. Da per tutto se ne vorrebbero: fin ora non
ne abbiamo conceduto che a Torino; ma presto dovremo
darne ad altri luoghi. Preghiamo tutti d' accordo il Signore
per tanti bisogni che abbiamo. Se egli non ci assiste, che
possiamo noi fare? Vi raccomando l' anima di un mio condiscepolo
che amai tanto.
[...OMISSIS...]
1.33 Ho ricevuto la lettera vostra e quella del conte
Salvadori, colle quali mi parlate del tentativo che si sta facendo
di erigere una casa di ricovero pei poveri nella mia
patria; e mi chiedete di voler entrar anch' io in parte della
spesa necessaria per quest' opera. In quanto a quest' ultimo
punto, io non mi ricuso; e scrivo al conte Salvadori di dar
per me quella somma maggiore ch' io posso.
Dopo di ciò però permettetemi, mio caro D. Paolo, ch' io
vi dica candidamente il mio sentimento, come si fa cogli
amici, intorno al merito di questo progetto e di questo tentativo.
Non voglio già far torto alle intenzioni; e sono persuaso
che molti per puro zelo del bene e per un sentimento
di vera carità si facciano promotori di quest' opera, e uno
di questi siete voi, mio carissimo. Ma in quanto all' opera
stessa, in quanto alla massima de' reclusori de' poveri, io ho
variato di sentimento. Fu un tempo nel quale io accoglieva
con entusiasmo tutti questi progetti e piani di pubblica beneficenza,
e debbo forse rimproverarmi di aver guardato
qualche volta con un occhio severo e disdegnoso quelle
persone che si mostravano fredde a cooperarvi, o di contrario
avviso. Ma ogni anno si fa qualche riflessione nuova,
si aumentano le osservazioni, e si vanno verificando le cose,
come sono in realtà, senza lasciarsi ingannare (o piuttosto
disingannandosi) dalle apparenze, dalle promesse, e da quelle
speranze senza limite, che una fantasia giornaliera e ancora
verginale somministra incessantemente ad un cuore benevolo.
Io vi dico la verità, non sono più amante de' reclusori
de' poveri dopo averne veduti tanti, e dopo aver letto ciò
che uomini savii hanno scritto sopra di essi, e più di tutto
dopo aver meditato io stesso sull' intrinseca natura della
cosa. Egli è bensì vero che v' ha una infinita differenza da
reclusorio a reclusorio, il che nasce dalla diversità de' loro
regolamenti e del primo loro impianto: ma appunto l' estrema
difficoltà di dare un regolamento sapiente ad un tale istituto
è uno degli scogli che s' incontrano, e che gli uomini
superficiali non calcolano per nulla.
Un altro timore mio si è che questi istituti, i quali, al
modo che si concepiscono comunemente oggidì, appartengono
ai protestanti, non sieno già effetti di una vera carità
cristiana, ma piuttosto del sottile egoismo e della mollezza
del secol nostro, il quale contraffà la stessa carità, e veste
i vizi da virtù, facendo servire con una perpetua finzione
e colla più indegna ipocrisia le cose tutte al proprio interesse.
In vero nè Gesù Cristo, nè gli Apostoli ci hanno mai
insegnato a non poter sopportare sotto gli occhi nostri i poverelli
e ad allontanarne il loro aspetto da noi: Gesù Cristo
e gli Apostoli non ci hanno mai insegnato ad essere tanto
insofferenti che ci riesca di una noia insopportabile il sentirci
a domandare un pezzo di pane, talora più colle lagrime
che colle parole. Non è egli una gran durezza di cuore
l' esserci cosa insopportabile che il sentimento della nostra
compassione sia suscitato dalla vista delle miserie de' nostri
simili? E` questo sentimento una cosa sì trista, che si convenga
far di tutto perchè egli non sia in noi mai commosso,
e da dover inventare un sistema per giungere a far sì che
il pubblico non abbia mai bisogno di essere compassionevole?
saremo più felici quando la nostra compassione non
sarà mai più eccitata? la società si renderà migliore?
Voi direte che non si fa per questo il reclusorio de' poveri;
ma per impedire la mala vita di molti e l' ozio coperto
sotto la professione di povertà. Mio caro D. Paolo,
l' uomo nelle sue operazioni ha de' secreti che non vuol rivelare
a tutti: il suo cuore talora non si rivela neanche a
lui medesimo, se pur l' uomo non faccia una sottile disamina
di sè stesso; perciò ben sovente le operazioni umane hanno
un pretesto ed un motivo. Il pretesto si dice, ed il motivo
si tace. Considerate con profonda attenzione ciò che ho detto
e ne sentirete la verità: ma ch' io l' abbia detto nol dite a
persona del mondo, perocchè gli uomini non la perdonano
mai a chi rivela un loro secreto.
[...OMISSIS...]
1.33 Ho letto le vostre lettere, ed ecco quanto il Signore mi
suggerisce al cuore di dirvi. State certo che ogniqualvolta,
venendoci proibite dai superiori le penitenze, noi sofferiamo
una grande alterazione, un turbamento eccessivo, una grave
malinconia, egli è segno che vi è dentro di noi un gravissimo
difetto; che vi è un attacco pernicioso a quelle mortificazioni
e penitenze che noi facevamo, sieno esse poche
o molte, ciò non importa. Questa è dottrina sicura, mio caro,
confermata da tutti i Santi. Noi dobbiamo fare le mortificazioni
e le penitenze in modo da poterle lasciare al menomo
cenno del Superiore o del Confessore, senza nessunissima
difficoltà, anzi con allegrezza grande di cuore; perchè
tutto ciò che vuole l' ubbidienza ci dee rallegrare sempre,
qualunque cosa ella voglia, e senza pensare altro. Se l' ubbidienza
non ci rallegra, ma ci rattrista, ma ci fa dare indietro,
ma ci fa pensare all' una cosa e all' altra, e c' induce
a biasimare nel nostro cuore il comando; la cosa è chiara,
noi siamo ben lontani dalla perfezione, e colle penitenze
che facevamo prima, c' ingannavamo miseramente, credendo
d' andare avanti nella strada delle virtù: ma sotto la cenere
ed il cilicio abitava pur troppo il serpente. Ringraziate dunque
di tutto il vostro cuore la misericordia del Signore, che
si è servito della voce del vostro Superiore per trarvi d' inganno
e farvi vedere la verità coll' esperienza appunto che
avete fatto di voi stesso, alla prova del dover lasciare le
penitenze. Orsù rallegratevi dunque, e presentemente occupatevi
a vincere in voi questo difetto ed a rendervi perfettamente
indifferente a far penitenze ed a tralasciarle, sì
che serviate il Signore con gran libertà di cuore, e confidando
nella sua bontà e non nelle opere penitenziali per
sè stesse. Tutti i pensieri che vi vengono contro questa dottrina,
per quanto sembrino pii, non sono che sofismi, che
vi fa il finissimo demonio per ingannarvi. Iddio vuole che
confidiate in lui solo: e Iddio non vi mancherà se cercherete
non le penitenze, ma l' ubbidienza: a quest' ultima
troverete annessa un' abbondante grazia. Abbiamo dunque
scoperto il nemico, la vittoria vostra sarà certa. Attendo
vostre lettere per sentire che vi scuoterete d' attorno le tentazioni;
e negando il vostro giudizio, correrete ilaremente
per la via giusta che il Signore vi mostra per sua misericordia.
Vi abbraccio teneramente. Salutatemi tutti i nostri
cari; a molti de' quali debbo e desidero scrivere da molto
tempo, massime al caro don Giacomo.
[...OMISSIS...] [...OMISSIS...]
1.33 Chiamandovi Iddio per la bocca de' vostri Superiori ad
assumere (benchè per ora solo in prova) la Scuola elementare
de' fanciulli del comune di Calice, voi ricevete con
ciò una dolce e grave missione, della quale dovrete render
conto ai Superiori vostri, e, ciò che è più, al tribunale del
vostro Creatore, onde veracemente vi viene da esercitare
tale ministerio di carità. E però l' amore, che vi porto vivissimo
nel Signore, mi stringe a dovervi munire, in tale
circostanza, della presente breve Istruzione, sulla quale dirigendo
la vostra condotta, l' incarico datovi vi diverrà,
come io spero, una via diritta pel Cielo.
Primieramente vi raccomando di badare, che il nuovo
ufficio non diminuisca punto in voi il raccoglimento religioso,
l' esattezza nel mantenere le regole e la piena dipendenza
e sommissione verso i vostri Superiori; ma che anzi
queste virtù in voi s' accrescano, rendendovi per amore di
Cristo via più simile a que' fanciulli, che or venite ad avere
sempre sott' occhio, e ne' cui teneri cuori dovete coltivare le
care virtù proprie dell' infanzia, quali sono la semplicità, la
purità, la mansuetudine, la sincerità, la docilità e la dolcezza.
Per conoscere quanto dovete amare in Gesù Cristo i fanciulli,
che vi vengono consegnati, meditate spesso quanto
stanno a cuore al divin Redentore, e quelle sue parole:
« lasciate che i pargoletti vengano a me »; come pure quelle
altre: « chi avrà scandalezzato uno solo di questi pargoletti,
che credono in me, meglio sarebbe stato per lui che,
sospesagli al collo una mola da mulino, fosse gittato nel
profondo del mare ».
Proponetevi di condurre i fanciulli come esseri ragionevoli
e cristiani coi due mezzi della ragione e della fede ;
chè altro non si dà, che meglio possa nell' uomo, di questi
due mezzi. Perciò voi dovete arricchire l' animo de' giovanetti
di motivi di operare sempre puri e nobili; giacchè
questi soli sono ad un tempo ragionevoli ed evangelici; e
le intenzioni torte e ignobili, che inavvedutamente si seminano
ne' teneri fanciulli a ritroso della retta natura, recano
in essi un guasto segreto e, quasi direi, una etisia morale
fino nei primi loro anni infantili, e sono l' origine sconosciuta
di quegli aperti vizi, che contaminano l' età matura e
straziano la società. Ma sappiate tuttavia, che il giovanetto
non viene corretto e abbonito, se non dalla interna operazione
di Dio, che l' aiuta a custodire i divini comandamenti,
come dice il salmo: « in che corregge il giovanetto la sua
strada? nel custodire i tuoi comandamenti »; però dovete
con ferventi preghi ottenere che Gesù, solo maestro degli
uomini, accompagni e avvalori le vostre sollecitudini, mantenendo
e sviluppando in essi la grazia del Battesimo.
Per infondere poi ai giovanetti un abito di operare con
ragionevolezza e secondo il lume divino, vi conviene quest' abito
mostrarlo loro nel vostro proprio contegno. Tutto
ciò che voi fate adunque sui loro occhi, e tutto il trattar
vostro con essi sia pacato e pieno di lume; e cotesta chiarezza
e pacatezza del vostro operare vi renderà più amabile
a loro, che non farebbero delle carezze senza ragione.
Vi raccomando adunque quella dolcezza non ricercata, che
nasce spontanea da un operare nella tranquillità della luce
interiore, dove non havvi mai indizio di passione, o d' ira,
e che la divina Scrittura mette sempre in compagnia della
sapienza, mentre alla stoltezza dà per carattere l' iracondia.
« « L' iracondia, leggesi in Giobbe, veramente uccide lo stolto »
(c. V) »; e ne' « Proverbi : « la verga della superbia è nella
bocca dello stolto »(c. XIV) », e poco appresso si legge anche
questa bella sentenza: « « quegli che è paziente governa assai
cose colla prudenza; ma quegli che è impaziente fa apparir
ben grande la sua stoltezza »(ivi) ». Le quali sentenze, ed
altre tali delle Sacre Lettere vi forniscano spesso materia
alle vostre meditazioni.
Mantenete con religiosa puntualità le ore prescritte alla
scuola e tutto ciò che viene ingiunto dai « Regolamenti » intorno
alle Scuole elementari e dai « Capitoli » del comune di
Calice. Tanto di quelli poi come di questi sarà vostra cura
di procacciarvi due copie, e comunicarne una a chi tiene
ufficio di Superiore nella Casa del Sacro Monte, che la riporrà
negli archivi.
Abbiate un vero zelo, acciocchè i giovanetti a voi affidati
imparino a francamente leggere, scrivere e conteggiare,
e gli altri oggetti, scopo della scuola. E a tal fine
voi dovete por l' animo vostro a procacciarvi tutte le cognizioni
a ciò opportune, le nozioni di una buona pedagogia,
e la maniera pratica più confacevole a dare con
perfezione l' istruzione, facendo conto dei libri che vi possono
a ciò giovare.
Finalmente considerate che voi riuscirete probabilmente,
se così ne piace a Sua Divina Maestà, il primo maestro
elementare approvato dall' Istituto della Carità; e che vi
incombe perciò il dovere di rendervi forma e modello di
quelli che Dio volesse mandare di poi. Farete, prima di
cominciare il vostro ministero, quindici giorni di spirituali
esercizi a fine d' impetrare la grazia che vi abbisogna, e di
prepararvi allo stato chericale, a cui sarete ascritto ricevendo
la chericale tonsura. E dopo che, assistito dal divino
aiuto, avrete dati argomenti della vostra fedeltà e perizia
in questo servizio del Signore, cioè come maestro in prova
del comune di Calice, sarete al debito tempo, così piacendo
al Signore, ordinato altresì Lettore della santa Chiesa, e dichiarato
maestro approvato dell' Istituto della Carità.
[...OMISSIS...]
1.33 Non avrete preso sicuramente a male il mio tardare a
rispondervi, perchè la vostra carità sa bene che desidererei
essere sempre pronto a rispondere e conversare co' miei cari
compagni; ma che delle varie cagioni ed occupazioni talora
me lo impediscono. Ora ritornato da un viaggetto che ho
dovuto fare per negozii del nostro Istituto, sono con voi, mio
carissimo. Sperava di vedervi ed abbracciarvi tutti quest' autunno;
il Signore non volle ancora concedermi una tanta
consolazione; spero tuttavia che me la concederà almeno
all' aprirsi della nuova stagione.
Per quanto allo stato dell' anima vostra che diligentemente
mi descrivete, io spero bene, mio caro, nella misericordia
di Dio. Io veggo che il Signore permette che l' inimico
del bene vi dia una battaglia forte e penosa; ma non
vi lasciate far paura, perchè confidando nella croce di Cristo,
tutto sarà superato. Quello però che trovo il punto principale
al quale dovete rivolgere le vostre armi, si è a conseguire
la cara mansuetudine di Gesù Cristo. « « Imparate
da me che sono umile e mansueto di cuore » »: oh quanto
sono belle queste parole! esse racchiudono il carattere vero
di Cristo e del Cristiano! Ritenete, mio caro, questo principio
infallibile: ogni iracondia, ogni turbazione irosa,
ogni malevolenza, ogni acrimonia viene dal diavolo. Con
questo principio alla mano voi potrete subito discernere i
diversi spiriti che si manifestano nel vostro interno. E` egli
uno spirito di dolcezza, di pace, di cedevolezza, di amore?
Dite tosto: questo è spirito di Dio, e io debbo secondarlo.
E` all' incontro uno spirito di opposizione, di durezza, di tristezza,
di censura, di odio? Dite tosto: questo è spirito del
demonio che mi seduce, che mi violenta; io non voglio acconsentirvi,
lo sofferirò come una tribolazione, ma io non
lo seconderò, non opererò nulla dietro il suo incitamento.
Oh voi felice, se diverrete appieno mansueto! e se ucciderete
in voi ogni iracondia, anche quella che vi si presenta
sotto l' abito di zelo, ma di zelo amaro e non conforme
al vostro ufficio! Voi con questo studio della carissima virtù
della mansuetudine acquisterete tutte le altre; l' ubbidienza,
l' umiltà, la rassegnazione e la pazienza, come pure quella che
S. Filippo Neri chiamava la mortificazione razionale , sono
comprese nella mansuetudine. Questa vale più di tutte le
austerità e penitenze esterne, le quali non valgono nulla,
se non sono umiliate e sottomesse all' ubbidienza e alla direzione
anche diversa ora d' un superiore, ora d' un altro;
secondo che l' uno o l' altro regge la casa. In questa diversità
di direzione, mio caro, consiste una bellissima occasione
di vera virtù, e una prova a vedere se siamo sì o no veramente
mortificati interiormente. Quell' uomo, il quale non
sa cangiarsi con tutta facilità e senza nessuna resistenza,
a tenore del cangiarsi de' superiori, non è sicuramente mortificato:
e tutto ciò che fa, anche di più austero, non prova
in lui punto una vera mortificazione, che dee sempre essere
radicata nella docilità e pieghevolezza della volontà,
e, in una parola, nell' annegazione di se stesso. Osservate,
mio caro, che Gesù Cristo, dando il precetto di portare la
sua croce, vi premise queste parole: « « Se alcuno vuole venire
dietro a me, neghi se stesso » »: e ciò perchè nulla sarebbe
il portare la croce, se prima non ci fosse l' annegazione
di se stesso. Non ogni croce è la croce di Cristo; la croce
di Cristo non è quella che diamo noi a noi stessi; ma quella
che ci è data dall' ubbidienza, con negazione della nostra
volontà e del nostro intelletto. Le penitenze esterne adunque,
che sono come la croce, sono buone, se noi le prendiamo
con avere premessa la negazione di noi stessi: altramente
il volerle è un inganno dell' inimico. Tenetevi, o mio caro,
a questi principii che sono gli infallibili del Signore. Varrà
più per voi un solo atto di rinunzia al vostro giudizio e
alla vostra volontà, che tutte le austerità che potreste pensare.
Rendetevi adunque a queste indifferente, nè vi turbi
l' esservi negate, o comandate, o permesse. Tutto sia lo stesso
per voi. Nulla desiderate altro che la dolcezza, la pace, la
ubbidienza e il negare voi stesso. E` meglio che conserviate
nella pace della carità il vostro cuore, di quello che sia che
convertiate il mondo. Mirate dunque sempre nell' esemplare
nostro amabilissimo Gesù Cristo, e diventate così amabile e
tranquillo come lui.
[...OMISSIS...] 1.33 «Mio reverendo e caro consacerdote e compagno
nel servizio del Signore. »
Perdonate se ho tardato a rispondervi, e attribuitelo alle
mie occupazioni che mi hanno fatto essere assente, come
sono ancora, dalla casa di Trento. Ora sono con voi, la cui
lettera mi fu carissima, per le notizie genuine che di voi
stesso mi date. La ripugnanza e la noia che voi accusate,
è il solito effetto, mio caro, che si manifesta in quelli che
si danno alla vita ritirata e religiosa, ed è una delle più
forti prove che dà il Signore, una delle più utili occasioni
di vincere noi stessi e di acquistare un solido merito. Questa
vittoria sulla noia e sul tedio per la ristrettezza della vita
e della libertà, non ha niente che ecciti l' amor proprio e
non è considerata dagli uomini: tanto più ella è da Dio!
Io spero che voi ne riporterete colla vostra costanza, mediante
la grazia del nostro Signore, un pieno trionfo; ed
allora comincierete a gustare come cosa dolcissima anche
ciò che a principio sembra insopportabile.
Se voi, ammirando l' umiltà de' vostri compagni che
dimandano con tanta frequenza pubblico perdono di alcune
loro mancanze, non vi sentite per anco cuore di imitarli,
ciò punto non vi turbi, perchè questa specie di ripugnanza
la vincerete col tempo. Sopportate solamente voi
stesso, e non esigete da voi di più di quello che potete: la
grazia e la virtù viene a gradi: a quelli che ancor ci mancano,
suppliamo coll' umiltà e col riconoscere candidamente
che gli altri sono in quel dato rispetto più umili o più perfetti
di noi. Per altro, senza inquietarci, prefiggiamoci di
vincere ogni specie di ripugnanza, aspettando intanto il
tempo che il Signore ce ne dia le forze, e dimandando
queste forze con ferventi desiderii e preghiere. Così soavemente
procederemo innanzi, senz' alcun turbamento. Per
altro, circa il domandar perdono, egli non è necessario che
la materia sia una colpa morale, dovendoci noi umiliare
anche per le limitazioni della nostra natura, o per le mancanze
della nostra vigilanza: ma è bensì sempre necessario
che sia una imperfezione : perchè altrimenti, se non fossimo
convinti che ciò di cui formiamo materia di pubblica accusa
non fosse nè pure imperfezione alcuna, quell' atto dell' accusarci
non sarebbe sincero : e niente si dee fare che
non sia candido, sincero e proveniente dall' interna nostra
convinzione. [...OMISSIS...]
Desidero moltissimo di vedervi e di trattenermi con voi
a lungo, mio carissimo; ma pare che il Signore non mi
voglia dare questa consolazione per ora: al più lungo però
spero d' essere al Calvario in primavera. A quando a quando
scrivetemi, e contate d' avere in me un amico. Vorrei che
mi traduceste in bella lingua francese il piccolo libretto
delle « Massime di perfezione », che vorrei anco pubblicare.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.33 Ricevo in questo momento la vostra dei 21 corrente la
quale mi lascia ancora fra la speranza e il timore. Piacesse
a Dio che egli vi avesse veramente illuminato a scorgere
l' inganno orribile dell' inimico della vostra anima! Non m' inganno,
no, a dire che il nesso dell' Istituto della Provvidenza
e della Carità è unicamente progettato . Dovete adunque
sapere che tutte quelle Costituzioni che furono scritte al
Calvario sono tutte meramente progettate ; e non sono mai
e poi mai definitivamente stabilite, se prima non sono provate
dalla sperienza e quindi confirmate dalla Santa Sede.
Tanto è poi vero che quelle regole sono unicamente progettate,
che anzi possono essere cangiate da un giorno all' altro,
purchè la ragione e l' esperienza il permetta. Oltre
di ciò voi confondete più questioni in una, mio caro, perchè
altro è dimandar « se il nesso dell' Istituto della Carità con
quello della Provvidenza vada bene sì o no »; altro è il dimandare
« se posto che il direttore dell' Istituto della Provvidenza
sia un membro dell' Istituto della Carità, questi
possa operare a proprio arbitrio contro il grado di autorità
ricevuta dal superiore dell' Istituto della Carità a cui è soggetto ».
La prima questione può essere controversa, ed io
non l' ho mai definitivamente decisa. Ma la seconda non è
punto controversa; e l' ubbidienza perfetta che esige l' Istituto
della Carità, non ammette sicuramente che un soggetto
di questo Istituto sia indipendente sotto nessun rispetto e
in nessun genere di cose. Ciò sarebbe una mostruosità; si
introdurrebbero subito mille scismi, l' Istituto diverrebbe
un' idra con cento capi e non potrebbe sussistere. Io non
dirò dunque che l' Istituto della Provvidenza debba aver
per direttore sempre un membro dell' Istituto della Carità;
ma dico bensì che ove l' Istituto della Carità concede che
un suo membro però diriga ed anche fondi un Istituto qualunque,
questo membro non viene menomamente esonerato
dal peso dell' ubbidienza sotto nessun rapporto; e solo
opera tutto ciò che fa in virtù d' ubbidienza e d' autorità
non propria, ma ricevuta. Tale è il vero concetto della santa
ubbidienza in ogni Istituto religioso; e chi si vuol sottrarre
a questa sicurissima virtù dell' ubbidienza, si mette a pericolo
di perdere la vocazione e la perde sicuramente, è ingannato
dal demonio, e l' eterna sua salute è per lo meno
incerta assai, perchè ricusa i mezzi sicuri datigli da Dio di
salvarsi nella guida de' suoi superiori. Val più ubbidire,
mio caro, che convertire il mondo. S. Francesco Saverio
era pronto ad abbandonare i milioni d' uomini, che si convertivano
alla sua voce, ad un solo cenno del suo superiore!
La sua fantasia non lo illuse, nè lo trasse a dire: « Il mio
superiore erra, o il mio superiore non sa, non vede il bene,
e la maniera di ottenerlo », oppure: « io sono chiamato da
Dio ad evangelizzare questi popoli: dunque abbandonerò il
mio superiore e la religione per esser più libero e far tanto
bene ». Povero lui, se avesse detto così! Con un simile discorso
ogni religioso potrebbe sottrarsi all' ubbidienza, col
pretesto di maggior libertà a fare il bene, ed uscire dal
proprio Istituto. Inganno deplorabile! « Manete », dice S. Paolo,
« in vocatione »: e non mutate col pretesto di maggior bene.
Io veggo tutte le orribili conseguenze che si trarrebbe dietro
la vostra defezione dall' Istituto della Carità per un pretesto
simile, delle quali la minima di tutte sarebbe, che il mondo
stesso scandalizzato vi abbandonerebbe, e voi vi trovereste
alla fine privo di tutti quegli appoggi di cui ora vanamente
vi lusingate. Di questo ho moral certezza, e ne ho prove positive
e documenti nelle mani; ma questo, come dico, sarebbe
ancora il minimo male; il più grande per me sarebbe quello
di veder voi tirato in un abisso, e per riparare ad un errore
commetterne cento, e dopo aver cominciato colle più
belle speranze trovarvi infine colle mani ne' capelli e coll' aver
fatti moltissimi mali nel mondo per aver voluto far
troppi beni, non secondo Dio , cioè secondo le regole sicure
de' santi. Per tutte queste ragioni e per molte altre voi vedete
adunque la risposta ch' io son disposto a dare, alla
vostra lettera del 21 corrente. Io non posso assolutamente
concedervi nè pure ad tempus quella indipendenza che mi
dimandate, perchè distruttiva dell' Istituto della Carità, e
perchè sarei responsabile di tutti i passi precipitati e falsi
che potreste commettere per fantasia riscaldata. Voi poi in
fine alla lettera vostra mi fate un' alternativa, o « di ritirarvi
dall' Istituto della Carità secondo la vostra lettera del
30 ottobre; o che io assuma i vostri impegni e che disaggravi
voi dalla direzione dell' Istituto della Provvidenza, promettendomi
che voi starete in quel minimo posto che giudicherò
di assegnarvi al Calvario ». Io accetto questa seconda
proposta, e vedrò in questa mia accettazione se il vostro
parlare sia sincero. Voi nulla sfigurerete nè verso il Governo sardo, dicendo che il
vostro superiore ha richiamato a sè il carico della direzione
dell' Istituto della Provvidenza, volendo egli impiegar voi
in altri affari, e che perciò se l' intendano con me. Dio mi
aiuterà, lo spero, nè ricuserò mai di far manco conto del
vostro consiglio e dell' opera vostra, che voi mi presterete
senza pericolo alcuno dell' anima vostra nè dell' Istituto.
E` l' unico partito che mi resta. Lasciarvi uscire dall' Istituto
non mi patirebbe mai il cuore, e peccherei sicuramente
contro la carità, cooperando all' opera manifestissima del
demonio. Aspetto dunque nuova lettera e veramente consolante,
nella quale mostriate di aver parlato da uomo sincero,
e non facciate alcuna nuova difficoltà a questa vostra
promessa, dalla quale tanto dipende sia riguardo all' anima
vostra, sia riguardo ai due Istituti. Scrivetemi subito; e dietro
alla lettera che mi consoli, mettetevi in viaggio voi stesso
per venire a Rovereto, dove vi fermerete in casa mia, ed
io ci verrò pure tosto; mi direte tutti i vostri impegni, concerteremo
tutti i mezzi di soddisfare pienamente ai medesimi
ed accorderemo insieme ogni cosa. Ho confidenza che
da quell' epoca che ciò sarà fatto, comincierete ad essere
un vero superiore dell' Istituto della Carità, e comincierà
una nuova e veramente salutare carriera della vostra vita.
Vi abbraccio intanto tenerissimamente, aspettando con impazienza
che mi togliate giù questa pietra dal cuore. Addio.
[...OMISSIS...]
[...OMISSIS...]
1.33 Sabbato è giunto qui il caro vice7Superiore, ed io pure
mi son qua recato tosto per conferire con lui. [...OMISSIS...]
Appena mi vide si mise in ginocchio, e l' ho
trovato intieramente rientrato in se stesso. Come vi aveva
scritto io sperava che il Signore non avrebbe certamente
abbandonato questo suo servo e zelante ministro. Dite dunque
il Te Deum e fate fare continua orazione, acciocchè
ogni cosa si componga alla gloria di Dio, e con istabilità
di successo, come spero nel Signore; avendomi il Signore
già anche prima confortato molto con questa tribolazione.
Ho ricevuto la vostra dei 30 novembre. Avrei gustato meglio
che non vi foste giustificato. Quando Maria SS. vide
che S. Giuseppe doveva dubitare della sua fedeltà maritale
si tacque, e lasciò a Dio la cura di sgombrare (se egli avesse
creduto) ogni dubbio dall' animo del suo sposo. E non dee
essere la Madre di Dio il nostro modello? Non l' abbiamo
noi scelta perchè sia la causa esemplare della nostra Società?
Perchè dunque imitarla sì poco nella rassegnazione,
nell' abbandono di noi stessi in Dio?
Quando poi volete anche scusarvi (il che non sarebbe
secondo la perfezione), da qui in avanti non adoperate più
queste espressioni di troppa sicurezza: « debbo disingannarla
di un errore in cui so essere stato ecc.. Tanto Ella
che Don Giovanni hanno creduto che io, ecc. »; ma dite più
tosto: « forse Ella potrebbe aver creduto... Io temo non forse
Ella, ecc. »: come vuole la modestia e la riserbatezza, non
meno che il rispetto verso i propri Superiori.
Aggiungete di più, che in materia di attacchi è sconveniente
al tutto purgarsi con quella sicurezza che fate voi;
perchè gli attacchi acciecano; ed ognuno dee dubitare di
se stesso, e non assicurarsi. Quando anco voi foste purissimo
d' ogni attacco, non dovreste mai dirlo, ma lasciare che lo
dicano gli altri, e voi mantenervi nella santa umiltà interiore
ed esteriore. Nè crediate che il sentire ripugnanza in
qualche cosa sia certo segno di non avere attacchi a quella
cosa; perocchè qui si tratta principalmente di attacchi spirituali,
i quali consistono in una certa estimazione e persuasione
di far bene in qualche impresa, con certa durezza
di giudizio proprio; e simili attacchi possono stare insieme
con repugnanze naturali; anzi queste ripugnanze possono
illudere, ed essere appunto la materia della nostra ostinatezza
di giudizio e del nostro attacco. Del non avere questi
attacchi perciò non si dà altra prova, se non il trovarsi
così liberi, che al solo conoscere la volontà del Superiore
ed anco il suo desiderio, senza ragionare, senza dubitare,
senza replicare, senza indugiare, tosto con grande allegrezza
si lasci tutto per conformarsi al desiderio del Superiore.
Vi scrivo queste cose, mio carissimo, per la certezza
che ho che voi non cercate altro a tutto vostro potere, che
di corrispondere alla santa vostra vocazione, rendendovi un
vero membro dell' Istituto della Carità, come vien descritto
nelle regole. Abbiamo coraggio nel Signore, che è con chi
spera in Lui. Egli ci aiuterà indubitatamente. Vorrei fra
le altre cose, che in tutti noi s' introducesse un sincerissimo
desiderio ed amore della correzione. Oh che bel mezzo è
questo per andare innanzi! [...OMISSIS...]
Vi compassiono poi di cuore di ciò che mi dite circa le
molteplici vostre occupazioni che vi tolgono il tempo di
pensare a voi stesso e d' istruirvi. Ma, mio caro, portate
ancora voi un po' di pazienza offerendo la vostra croce al
Signore. Io penserò intanto qualche via di consolarvi; e
alla più lunga spero di farlo quando verrò al Calvario all' aprirsi
della stagione. Intanto armatevi di fortezza. Vi
raccomando poi di essere dolce e benigno, [...OMISSIS...]
Ditemi se vi siete emendato circa il difetto che v' ho
notato di essere troppo lungo nelle divozioni.