Available for academic research purposes only.
Codifica secondo le norme del progetto PRIN
PRIN 2012 – Accademia della crusca
COLLEZIONE DI TEATRO
© 1966 e 2010 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
www.einaudi.it
ISBN 978-88-06-20484-6
TI HO SPOSATO PER ALLEGRIA
Prefazione di Ferdinando Taviani
Giulio Einaudi editore
di Ferdinando Taviani
Da una lettera di Natalia Ginzburg a Giulio Bollati (editore Einaudi):
21 luglio [I965], Colli di Fontanelle
Ho scritto una commedia. Per caso, non vi interesserebbe leggerla?
Mi pare che non avete ancora una collana teatrale, dunque farvela
vedere è inutile?
Telegramma di Giulio Bollati a Natalia Ginzburg:
23 luglio 1965
Manda subito tua commedia - un saluto affettuoso.
Sono passati 45 anni, ben 9 lustri, da quando Natalia Ginzburg
ha scritto Ti ho sposato per allegria, subito pubblicata, rappresentata
a teatro e al cinema, piú volte ristampata, introdotta, commentata,
sempre lungo i sentieri d'una fama un po' defilata - non perché
incerta, ma perché vagamente reticente. Come se ci fosse una
domanda di fondo: «Funziona. Ma come mai
?». Intanto il suo titolo
è diventato un modo di dire.
È un'allegria senza un perché, e dunque non c'è da fidarsi: nulla
d'ottimista o spensierato. Ma da qualche parte, in questa commedia,
s'accende una luce. Direi che è la luce d'una colpa felice.
Per evitare parole che riempiano la bocca, basterebbe alla fin fine
rifugiarsi nella grammatica e pensarla, questa luce, come la scintilla
che nasce dalla frizione fra due preposizioni: il con e il per. Ma
vorrebbe dire imbarcarsi in una questione di lana caprina.
Fermiamoci a constatare come malgrado tutte le sue piccole fortune
la patina del classico non abbia fatto a tempo a fasciare o soffocare
questa commedia. Continua la sua sorpresa.
Natalia Ginzburg la scrisse in un mese d'estate, quando aveva
appena finito di dire che lei per il teatro non aveva alcuna intenzione
di scrivere. Anzi, che avrebbe provato vergogna e ribrezzo
Peg del mio cuore (commedia di John Hartley Manners
che incassò mucchi di denaro nel cinema, dopo averne incassati
nei teatri di tutto il mondo nei primi due decenni del Novecento).
Natalia Ginzburg bambina vide Peg quando la portarono per la prima
volta a teatro, al Carignano di Torino. Fu un imprinting: Peg
era una ragazzetta esile, dai grandi occhi, randagia anche lei, con
un grande cappello. Il nome dell'attrice la Ginzburg non lo ricordava
(era Emma Gramatica, celebre fra gli appassionati di teatro),
ma ne ricordava benissimo l'apparenza e gli occhi, che proiettava
sull'esile figura e i grandi occhi di Adriana Asti. Immaginò cosí la
protagonista della sua commedia. E non dimenticò il cappello.
La parola «cappello
» era la prima a venirle in mente se davanti
a un foglio di carta immaginava di scrivere la battuta d'inizio d'una
commedia.
C'era stato, alla fine del I964 o nei primi mesi del '65, un questionario
proposto dalla rivista «Sipario», e cioè da Franco Quadri,
agli scrittori italiani: «Come mai non scrivete per il teatro
?»
Le risposte vennero pubblicate nel numero del maggio '65. Natalia
Ginzburg spiegava: «Ogni volta che ho provato a scrivere in capo
a una pagina: Piero: "Dov'è il mio cappello ?" mi sono vergognata
a morte e ho dovuto smettere in preda a un acuto ribrezzo.
Perché in quel Piero, in quei due punti, in quel "dov'è il mio cappello?",
».
È quasi obbligatorio citarla, questa risposta, quando si parla di
Ti ho sposato per allegria, per almeno tre ragioni: perché la commedia
comincia proprio con quella battuta; perché la battuta è un po'
diversa; e perché la commedia è stata scritta subito dopo la dichiarazione
sulla vergogna e il ribrezzo. «Vergogna
» e «ribrezzo
» sono
parole forti. Facile sentirvi dell'esagerazione, e quindi la traccia
del desiderio. Troppo facile. Non sta qui la «colpa felice
» di cui
il teatro di Natalia Ginzburg sembra essere il buon frutto. Va cercata,
semmai, nel fatto che in Ti ho sposato per allegria (è sempre la
Ginzburg a spiegare) «non accade nulla, e in questo non vi sarebbe
nulla di male. Però anche non significa nulla, e di questo mi sembra
di dovermi scusare, perché l'assenza d'un significato genera
sempre, e giustamente, una delusione. Tuttavia - aggiunge - mi sono
divertita a scriverla
». Alla lettera una «colpa felice
». Niente di
poco chiaro o poco cosciente: tutto alla luce del sole, perfettamente
consapevole. Tant'è che Elsa Morante invitò a cena Natalia
Ginzburg e Adriana Asti per tempestare contro quella commedia
fatua e vuota. Eppure la commedia rimase cosí com'era. E la Ginzburg
ricorda tutta contenta l'episodio per sottolineare la generosità
della Morante (una sorella maggiore) e la propria sicura testardaggine.
Colpa felice.
Cinque anni fa, Domenico Scarpa ha raccolto in un volume l'intero
teatro di Natalia Ginzburg. La curatela di Scarpa costituisce
la principale novità di questo libro, ciò che lo raccomanda anche a
coloro che del teatro di Natalia Ginzburg hanno già tutto. Tutte
le citazioni e i fatti cui mi riferisco in queste righe introduttive,
nonché l'esergo, il lettore potrà trovarle perfettamente circostanziante
nel volume di Scarpa (Natalia Ginzburg, Tutto il teatro, a
cura di Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2005), sicché questa
breve premessa viene esonerata dalle lungaggini e dal fastidio delle
note continue. I testi teatrali della Ginzburg, tranne l'ultimo (Il
cormorano, un microdramma in tre pagine, scritto nel 1991, l'anno
della morte) erano stati tutti piú volte pubblicati, ma nel libro
di Scarpa si trovano riuniti assieme a un amplissimo corredo di autocommenti
d'autore, di scritti e apparati critici, bibliografie e
notizie che documentano in dettaglio una delle piú singolari vicende
del rapporto fra scrittori e teatro nel Novecento italiano. Oserei
dire - malgrado la presenza di Pasolini e Testori - la piú significativa
del nostro secondo Novecento.
conversazione,
ma è semmai il suo contrario, naviga fra ciò che diversifica,
non fra ciò che si compartisce conversando, salta per dislivelli
e microscopici dribbling d'attenzione, come l'acqua quando
non riesce a star ferma, scende, mormora, e per ciò è viva. Il susseguirsi
delle battute è regolato non dal dialogare, ma dai divarii
fra botta e risposta. Eppure si parla. Si parla alla luce del malgrado
tutto, nel regno dell'Eppure.
Il grande modello, lo sanno tutti, è Cechov. Se cerchiamo dei
punti di riferimento nella cultura stilistica italiana il pensiero corre
súbito a Goldoni, forse qua e là a Campanile. Non parlo della
forma del dialogo, bensí della sua biomeccanica, di ciò che lo tiene
in vita e in moto: seguire una pendenza che chi guarda e legge
quasi mai pre-vede.
La famigerata battuta di Piero, «Dov'è il mio cappello
?», in Ti
ho sposato per allegria sta solo verso la fine della commedia, quando
Pietro domanda e Giuliana risponde «Hai un funerale
?» Lo
scarto fra l'una e l'altra domanda, che le risponde, è minimo, non
c'è quasi sorpresa, anzi c'è ricapitolazione, visto che all'inizio Pietro
per questo cercava il cappello: perché doveva recarsi ad un funerale.
Ma all'inizio, per la battuta con cui la Ginzburg (come lei
stessa racconta) sapeva di dover iniziare, con il cappello di Peg messo
in testa a un maschio, all'inizio è bastata un'inversione di parole:
«Il mio cappello dov'è
?», e Giuliana salta in tutt'altra direzione:
«Hai un cappello
?» Il dialogo parte trascinandosi dietro la sua
commedia: sono marito e moglie, ma non sono un coppia, si sono
da poco conosciuti e appena sposati, non sanno quasi niente l'uno
dell'altra, al centro della scena c'è un letto. E intorno? ecc.
Come mai per questa commedia chiacchierata e svagata s'è
parlato di «teatro di poesia
» ? È un modo per dire che c'è un certo
non so che? O vuol dire che la Ginzburg si concentra innanzi
tutto sulla cosiddetta forma e per spedirla poi in cerca dei suoi (vai
a sapere quali) contenuti?
non viene fortemente sottolineato. Vengono enunciati
moltissimi intrecci e nodi d'azioni che appena fatti comparire
svaniscono nel nulla come la carta che bruciano in certi loro numeri
i prestigiatori. Cosí come Montale fa presagire la rima che non
usa, la Ginzburg fa continuamente presagire gli intrecci che evita.
Una commedia come questa, dove «non accade nulla
», è in realtà
un succedersi tumultuoso di accadimenti che non si fan mai vivi.
Se questo non è teatro d'azione, che cos'è mai l'azione in teatro?
E se questo «significa niente
» che cosa mai vorrà dire navigare
verso dei significati?
Mi chiedo perché mai Domenico Scarpa abbia scelto un titolo
tanto apparentemente sproporzionato e impegnativo per il saggio
che chiude la sua edizione di tutto il teatro della Ginzburg:
Lessico
famigliare.
Ma che cosa ci sta dicendo? O meglio: che cosa ci stava dicendo,
cinque anni fa? Era l'ottavo lustro dopo la fragile commedia
che abbiamo ancora fra le mani. Ora siamo nel nono. Voleva dire
che c'è una luce malgrado tutto? Voleva sottolineare il malgrado
tutto? Voleva accennare allo spengimento del lume?
Torniamo dunque, per finire, alla frizione fra le nostre due preposizioni.
Nei primi tempi, a metà degli anni Sessanta (secolo scorso),
quando si parlava di quella commedia del tutto inattesa di Natalia
Ti ho sposato con allegria». E sempre qualcuno era lí pronto
a fastidiare e correggere: «
».
L'errore era piú interessante della correzione.
La naturale deriva del parlato porta a dire per, non con! Ti ho sposato per allegriacon. Bastano pochi
clic per scorrere i repertori dell'italiano corrente, e basta uno sguardo
sommario per accorgersi che le occorrenze di «per allegria
» in
concomitanza con verbi che indichino un'azione diversa dall'ovvio
«ridere
» o magari danzare, e invece, per esempio, mangiare discutere
raccontare votare pregare pagare accumulare consumare - o accoppiarsi,
si vede subito che quelle occorrenze non solo sono poche,
ma le poche quasi sempre legate all'eco del titolo di questa commedia,
divenuto quasi un modo di dire. È piú d'un'impressione.
Le ragazze randagie che popolano le commedie della Ginzburg
(ma non solo le ragazze a ben guardare, non solo i personaggi femminili)
sono grumi andanti di dolore in cui vibra per forza propria
l'allegrezza o alacrità della vita. Ma certo: Cechov. Forse ci domandiamo:
non è che per caso - a nove lustri dalla comparsa di questa
commedia da cui senza una ragione al mondo zampilla una sorta
d'allegria allo stato puro - non è che per caso il fermentare della
vita sul corpo del dolore comincia a sembrarci un po' meno allegro?
Cominciamo ad amarlo un po' meno? Non è che comincia a
farci anche un po' ribrezzo, o forse soltanto paura?
Ma poi, in fondo, ci sarebbe forse qualche differenza?
FERDINANDO TAVIANI
Commedia in tre atti
Pietro Giuliana, moglie di Pietro Vittoria, donna di servizio Madre di Pietro Ginestra, sorella di Pietro
Il mio cappello dov'è?
Hai un cappello?
L'avevo. Adesso non lo trovo piú.
Io non me lo ricordo questo cappello.
Forse non te lo puoi ricordare. Non lo metto da molto tempo. Noi è solo un mese che ci conosciamo.
Non dire cosí, «un mese che ci conosciamo» come se io non fossi tua moglie.
Sei mia moglie da una settimana. In questa settimana, e in tutto il mese passato, non ho mai messo il cappello. Lo metto solo quando piove forte, oppure quando vado ai funerali. Oggi piove, e devo andare a un funerale. E un cappello marrone, moscio. Un buon cappello.
Forse l'avrai a casa di tua madre.
Forse. Tu non è che l'hai visto per caso, in mezzo a tutta la mia roba, un cappello?
No. Però tutta la tua roba l'ho fatta mettere in naftalina. Può darsi che ci fosse anche questo cappello. Vai a un funerale? chi è morto ?
È morto uno. Da quanti giorni l'abbiamo, Vittoria?
Da mercoledí. Tre giorni.
E tu subito le hai fatto riporre in naftalina la nostra roba da inverno ?
La tua. Io di roba da inverno non ne ho. Ho una gonna, una maglia, e l'impermeabile.
Hai fatto mettere in naftalina tutta la mia roba da inverno? Subito?
Subito.
Geniale. Genialissimo. Però ora facciamo pescar fuori il mio cappello. Devo andare a questo funerale. Con mia madre.
Dimmi chi è morto.
È morto uno che si chiamava Lamberto Genova. Era un amico dei miei. È morto l'altro ieri, di una trombosi alle coronarie, all'improvviso, nella stanza da bagno, mentre si faceva la barba.
Lamberto Genova? io lo conoscevo. Lo conoscevo benissimo. È morto ?
Sí.
Nella stanza da bagno! Lamberto Genova! Io lo conoscevo, ti dico! Lo conoscevo benissimo! Una volta mi ha anche prestato dei soldi.
Impossibile. Era un uomo cosí avaro.
Però mi ha prestato dei soldi. Era molto innamorato di me.
Vittoria! Guardi se riesce a trovare un cappello! un cappello marrone, moscio, tutto peloso! La signora dice che forse l'ha messo in naftalina.
(entrando)
Allora sarà nell'armadio delle quattro stagioni.
Cos'è l'armadio delle quattro stagioni?
È l'armadio, nel corridoio. È in quattro scomparti. Vittoria dice che si chiama cosí.
Però ci vuole la scala. Devo andarla a prendere in cantina. È in alto, la roba da inverno, e io solo con la seggiola non ci arrivo.
Possibile che sia cosí difficile riavere il proprio cappello?
Lo sai quando l'ho visto l'ultima volta?
Ma tu forse non l'hai mai visto!
Non dicevo del cappello. Dicevo di Lamberto
Quando?
Pochi giorni prima d'incontrarti. Gennaio, era. Io me ne andavo in giro nella pioggia, e avevo una grandissima voglia di morire. Camminavo sul ponte e progettavo di buttarmi nel fiume, e pensavo che avrei lasciato l'impermeabile sul parapetto del ponte, con una lettera in tasca per la mia amica Elena, in modo che l'impermeabile lo dessero a lei. Difatti è un bell'impermeabilino e mi dispiaceva che andasse perso.
(tornando)
Ecco il suo cappello.
(Via).
Accidenti, come puzza di naftalina
(lo mette in testa).
Allora lo vedo, Lamberto Genova, venire avanti sul ponte, piccolo piccolo, con quelle sue guancione gonfie, quel suo sorriso...
No. Il tuo Lamberto Genova non era quello che conoscevo io.
Perché, quello che conoscevi tu non era piccolo, con due guancione ?
No.
Il mio invece era piccolo, coi capelli tutti bianchi, due guancione... Allora, sai, ti dicevo, quella mattina, ho pensato appena l'ho visto: «Accidenti, gli devo dei soldi», e ho pensato: «Speriamo che mi inviti a pranzo» e poi ho ancora pensato: «Per adesso non mi ammazzo piú». Difatti mi ha portato a pranzo. Sai dove?
Dove?
Alle Grotte del Piccione. E intanto che mangiavo pensavo: «Questo qui è molto innamorato di me, e io magari me lo sposo, cosí lui mi paga tutti i miei debiti, e sto tranquilla, al caldo, con questo vecchietto, decoroso, buono, tranquillo, sarà come un padre per me». Cosí pensavo.
Il mio Lamberto Genova aveva moglie e figli.
Anche il mio aveva moglie e figli. Ma forse era disposto a divorziare.
In Italia non c'è il divorzio.
Sarebbe andato all'estero. Era tanto innamorato di me. Diceva che non aveva mai provato un'attrazione cosí forte per una donna.
E poi ?
Poi cosa?
Poi? dopo le Grotte del Piccione?
Poi niente. Poi mi ha accompagnato a casa con
la sua macchina. Gli ho detto se mi aiutava a trovare un
lavoro. Lui allora ha detto che mi avrebbe presentato a
una sua amica, una marchesa che aveva una grande casa
di mode, e cercava forse una
Il mio Lamberto Genova era un medico. Non aveva amiche con case di mode, assolutamente no, era molto occupato e non aveva tempo da perdere con ragazze. Era una persona molto seria, un professionista molto stimato, era amico dei miei, e insomma, non era quello che dici tu. Adesso devo andarmene, perché mia madre mi aspetta. Dobbiamo andare a questo funerale.
Che allegria, andare a un funerale con tua madre.
Perché di mia madre parli sempre con un tono sfottente?
No, dicevo solo che allegria, andare a un funerale in compagnia di quella allegrona di tua madre.
Puoi lasciare in pace mia madre, per piacere?
Non vuoi sapere se sono poi andata da quell'amica del mio Lamberto Genova, per quel lavoro?
Dimmelo, ma sbrigati, perché sono in ritardo.
Non ci sono andata, perché poi ho incontrato te. Ma ero disposta a sposare chiunque, hai capito, quando ti ho incontrato. Anche Lamberto Genova, con le sue guancione gonfie gonfie, quegli occhi da gufo. Chiunque. Ero disposta a tutto.
Me l'hai detto.
A tutto. Volevo uscire da quella situazione. O bere o affogare.
Capito.
Cosí ti ho sposato. Anche per i soldi. Hai capito?
Sí.
E tu mi hai sposato anche per Pietà. È vero che
mi hai sposato anche per pietà?
Vero.
(Esce).
(gli grida dietro)
Perciò il nostro matrimonio è una cosa niente solida!
(entrando)
Cosa faccio da pranzo?
Melanzane alla parmigiana.
Anche oggi?
Sí. Anche oggi. Perché?
Sono tre giorni che son qui, e abbiamo sempre fatto melanzane alla parmigiana. Lei non si alza?
Per adesso no.
L'avvocato ritorna tardi?
Non lo so. È andato a un funerale.
È morto qualcuno?
È morto uno che si chiamava Lamberto Genova. Lo conoscevo anch'io, ma forse quello che io conoscevo non si chiamava Lamberto, forse si chiamava Adalberto, non mi ricordo bene... Io non ho memoria per i nomi. Hai memoria, tu?
Io sí. Io ho una memoria incredibile. Quando andavo a scuola, imparavo tutto subito, i fiumi, le capitali, le guerre, tutto, tutto. La maestra diceva: Sentiamo Vittoria, a che sa cosí bene le capitali. Mi sarebbe piaciuto continuare a studiare. Ma ho fatto fino alla quarta elementare, poi ho dovuto andare a lavorare in campagna. Eravamo nove fratelli.
Invece a me studiare non mi è mai piaciuto, e mia madre voleva che diventassi maestra, ma io volevo fare o l'attrice, o la ballerina. Cosí, a diciassette anni sono scappata di casa.
È scappata? e non c'è ritornata mai piú?
Ci ritorno ogni tanto, ma di rado. Non vado d'accordo
con mia madre. Appena insieme, cominciamo subito
Però adesso che si è sposata, sarà contenta sua madre ?
Le ho scritto che mi sposavo. M'ha risposto che stessi attenta, perché girano tanti farabutti. È molto pessimista mia madre.
Ma non è andata a fargli conoscere l'avvocato?
Ancora no. Le ho mandato dei soldi. Ma sai, ho una gran paura che non li spenda mia madre, quei soldi che le ho mandato. Ho paura che li abbia messi ai Buoni Fruttiferi. Per me. Per il giorno che io ne abbia bisogno. Ha sempre avuto la mania di mettere i soldi ai Buoni Fruttiferi, appena riusciva a risparmiare qualcosa.
Girano tanti farabutti, è vero, ha ragione sua madre. Io sono stata fidanzata tre volte, e tutte e tre le volte m'è andata male, perché non erano persone per bene, e mia madre non era tanto contenta. Io sapesse come l'ascolto mia madre. Io per mia madre potrei buttarmi nel fuoco.
Dov'è casa tua?
Casa mia è a Fara Sabina. Un giorno la porto là con me. Le piace il maiale? Quest'anno abbiamo un maiale cosí bello, che ce lo invidiano tutti. Ma adesso mi lasci fare i lavori. Mi tiene qui a discorrere, e io poi mi trovo indietro.
Non puoi stare a discorrere ancora un poco? Tanto la casa è pulita, l'hai pulita ieri. Sai, io non avevo mai avuto una donna di servizio. Tu sei la prima che ho. Trovo che una donna di servizio, in una casa, è una grande comodità.
Ha scoperto l'America!
Proprio una grandissima comodità.
Non l'avevano, la donna di servizio, a casa sua da sua madre?
Neanche per sogno.
Io poi, faccio bene tutti i lavori. Non so come faccio
Mia madre vive in Romagna, in un paese che si chiama Pieve di Montesecco. Io sono nata lí. È una casetta piccola, buia, umida, e mia madre l'ha riempita tutta di mobili, che dentro non ci si muove. Dormivo, io con mia madre, in un lettone enorme, sotto una trapunta gialla. Mia madre fa la pantalonaia.
La pantalonaia? sua madre?
Sí.
Ma allora lei è una quasi come me! di nascita, lei è una povera!
Solo che noi non avevamo il maiale. Non avevamo
nemmeno una gallina o un coniglio. Non avevamo
niente di niente. Facevamo una gran miseria, e mia madre
ogni tanto attraversava il paese e andava a chiedere
un po' di soldi a mio padre, che aveva una drogheria. Mio
padre stava con un'altra donna, e aveva, con questa donna,
un mucchio di bambini. Cosí di soldi ne aveva pochi
anche lui. Litigavano, lui e mia madre, nella drogheria, e
c'erano là tutti quei bambini di mio padre spaventati, e
quell'altra donna, magra, alta come una stanga, con una
gran tignazza di capelli neri crespi, che anche lei si metteva
a gridare contro mia madre, e agitava certe braccia
lunghe, lunghe... Mia madre se ne andava via tutta infuriata,
piccola piccola, storta, con l'ombrello infilato sotto
il braccio, con la borsa piena di caffè e di zucchero, perché
pasta e zucchero e caffè gliene dava mio padre, ma lei
voleva anche un po' di soldi. Tornava a casa, ancora tutta
arrabbiata, rossa, e si metteva a trafficare per casa, piccola
piccola, con una vestaglietta giapponese che le aveva
regalato mio padre quando ancora stavano insieme... cucinava
certe minestrine di semola al latte, perché mio padre
gliene dava sempre tanta di semola, e poi certi intrugli,
certe composte di prugne e di mele, e tutte le cose che
aveva cucinato e che avanzavano, le metteva in tanti pentolini
e tazzine sul davanzale della finestra. Sempre ha sul
davanzale della finestra una fila di pentolini. E poi ha anche
E allora?
Allora, sono scappata, e sono venuta qui a Roma, dalla mia amica Elena, che faceva la commessa in una cartoleria. Sono scappata perché volevo diventare un'attrice, oppure una ballerina. E poi perché non volevo piú vedere tutti quei pentolini e quei giornali. E mia madre, quando ha visto che ero scappata, è corsa da mio padre, a dirgli che doveva corrermi dietro. E mio padre le ha detto che neanche se lo sognava, e che io magari facevo fortuna, magari diventavo davvero un'attrice famosa, e li mantenevo tutti, lui, mia madre, quell'altra donna che lui aveva e i loro bambini. E mia madre se n'è tornata a casa, e dev'essersi consolata a pensare che io diventavo forse come Pierino Gamba, o come Greta Garbo.
E intanto lei?
E intanto io ero qui, e i primi tempi mi sentivo felice, perché non stavo piú a Pieve di Montesecco, ma stavo invece a Roma, nella stanza che Elena aveva a Campo dei Fiori. Non sapevo come fare a diventare un'attrice, ma pensavo che bastava che io camminassi per la strada perché qualcuno mi fermasse e dicesse: Ma lei è proprio quella che io cerco per il mio film! Cosí in principio non facevo niente, gironzolavo per le strade e aspettavo, e consumavo i soldi che m'aveva dato mio padre. Poi sono entrata anch'io nella cartoleria. Poi un giorno ho rovesciato un bottiglione d'inchiostro sul vestito d'una cliente. Non l'ho fatto apposta, pesava molto e m'è scivolato di mano. Come s'è arrabbiata la padrona della cartoleria! Mi ha subito licenziato.
Lo credo!
Non è stata colpa mia, ero in piedi su una scaletta, la signora era proprio lí sotto, il bottiglione era mal tappato e tutto l'inchiostro è colato sul vestito della signora. Abbiamo provato a levar le macchie col latte, ma è stato inutile. Com'era arrabbiata questa signora e com'erano arrabbiati tutti! Mi hanno licenziata. Per un poco sono stata senza lavoro, poi mi ha presa uno che aveva un negozio di dischi, uno che si chiamava Paoluccio. Era molto innamorato di me.
E lei?
Io no. Nel negozio dei dischi è successo che ho conosciuto una persona. Era uno che veniva sempre a sentire i dischi. Aveva dei baffi neri, lunghi, e una faccia pallida, con degli occhi neri tristi, tristi. Non rideva mai.
Mai?
Mai. Aveva un golfone nero, con dei bordi di camoscio anche neri. Un golfone bellissimo. Io credo che per prima cosa mi sono innamorata di quel golfone.
E poi?
Poi mi sono innamorata di lui. Si chiamava Manolo. E la Elena mi diceva: No, no, non innamorarti di quello lí! Non mi piace! è cosí nero, cosí nero, sembra il Cavaliere Nero! E io dicevo: E chi è il Cavaliere Nero? E lei diceva: Non so.
E allora?
Allora questo Manolo stava sempre seduto in una poltrona, nel negozio dei dischi, e ascoltava la musica e fumava la pipa, e girava intorno i suoi occhi neri cosí tristi, cosí tristi. E poi una volta mi ha portato a casa sua. Aveva un appartamento in via Giulia. Stava solo, con un gatto.
Nero?
Bianco. Un gatto bianco, grosso come una pecora,
con una coda che non finiva mai. Non abbiamo mica
fatto l'amore quella volta. Mi ha fatto il tè. E poi è rimasto
là col gatto in braccio, a carezzarlo, a guardarmi con
E perché l'aveva lasciato?
Perché era una donna inquieta, complicata, che si stancava subito degli uomini, e appena ne aveva uno ne voleva subito un altro. Cosí lui mi ha detto. E mi ha detto che ogni tanto questa Topazia ricompariva lí da lui, stanca, sciupata, disperata, si faceva due uova al tegame, faceva il bagno, e poi di nuovo spariva. Fuggiva in automobile. Aveva la mania degli automobili. Cambiava sempre automobile. E correva, in automobile, come una pazza, e lui aveva sempre paura che potesse ammazzarsi.
Che strane persone!
Invece lui gli automobili non li poteva soffrire.
Era molto ricco, era ricchissimo, perché i suoi avevano
delle terre. Ma i soldi non gli piacevano, e gli piaceva vivere
da povero, in quel piccolo appartamento, che teneva
in ordine da sé. Scriveva. Era uno scrittore. Aveva
pubblicato due romanzi e un libro di versi. Il libro di versi
era intitolato: La salamandra inutile. I romanzi, uno si
chiamava: Primavera col marinaio. L'altro si chiamava:
Portami via Gesú.
Portami via Gesú?
Ho provato a leggerli. Ma non ci capivo una parola. Li ho dati anche alla Elena, e anche lei non ci capiva niente. E sempre mi diceva: No, no, quello lí non mi piace! La Elena ha un naso lungo lungo e grande, e quando c'è qualcosa che non le va, questo naso diventa ancora più lungo, e piú grande, e si accartoccia tutto. Accartocciandosi non diventa piú corto, diventa ancora piú grande e piú lungo, una cosa strana. Diceva: No, no, non mi piace! Non mi piace quello lí! Non fa nemmeno l'amore, forse non può, forse non è un uomo! Ti sei messa in un brutto pasticcio! Portami via Gesù!
E lei?
Perché in principio davvero non facevamo nemmeno l'amore. Per un poco siamo andati avanti cosí. Io lo andavo a trovare, la sera, mi sedevo lí sul tappeto, lui carezzava il gatto, ascoltava dischi, beveva il tè. E diceva come era triste non potermi amare. E io mi sentivo consumare dalla malinconia.
E poi ?
Poi mi ha detto di andare a stare da lui. E la Elena era disperata. Ma io non mi sognavo nemmeno di potergli dire di no. Cosí sono andata a stare con lui, e allora, finalmente, abbiamo fatto l'amore. E la mattina mi diceva di non alzarmi, che era inutile alzarsi, e cosí ho smesso di andare al negozio, e ho perso il posto.
E lui diceva che adesso l'amava?
No. Sempre diceva che non mi amava. Mi parlava sempre di sua moglie Topazia. Com'era intelligente, e com'era bella, e come aveva stile. Io, invece, non avevo nessuno stile. E io mi sentivo infelice. Non ero mai stata infelice, nella mia vita, era la prima volta. Quando stavo con mia madre, a Pieve di Montesecco, non ero infelice. Ero stufa, ma non infelice. E adesso invece ero infelicissima. E avevo perduto tutti i miei amici, la Elena non la vedevo quasi mai e quando la vedevo mi maltrattava, mi diceva che mi rovinavo la vita, e Paoluccio, quello del negozio dei dischi, anche lui non lo vedevo piú. Stavo tutto il giorno a letto, oppure seduta sul tappeto, a carezzare il gatto, e a pensare... Avevo imparato a pensare. Ero diventata un'altra persona.
E intanto lui?
E intanto lui stava davanti alla macchina da scrivere, e batteva, ogni tanto, una parola. Poi metteva un disco. Certe musiche tristi, tristi... Il pranzo, qualche volta lo facevamo venire dalla trattoria di sotto, ma qualche volta cucinava lui. Le pulizie di casa, le faceva lui. Era bravo come una donna, nelle pulizie di casa.
Stirava, anche?
Stirava, e attaccava i bottoni, tutto, tutto. Stando
da solo, aveva imparato. Qualche volta io pensavo:
Bambini, con Topazia, non ne aveva?
No. Ma figurati se era il caso di chiedergli se mi sposava. Non se ne parlava neanche. Non mi amava, ti dico. Mi trovava senza stile. E io, dal dispiacere di essere senza stile, mi struggevo, mi consumavo come una candela, ero diventata brutta, magra, pallida. E sognavo sempre pipistrelli e serpenti. E gli chiedevo, al mattino: Ma perché sogno sempre pipistrelli e serpenti?
E lui?
Lui niente. Lui alzava le spalle. Non gliene importava di me. Non gli andava mai bene niente delle cose che dicevo. Trovava sempre che dicevo banalità.
Ma perché rimaneva con lui se la trattava cosí?
Perché non mi potevo staccare da lui. Non mi potevo muovere. Ero stregata. E poi non è che mi trattasse male, qualche volta era buono con me, solo aveva un'indifferenza, un'indifferenza... Erano piú di tre mesi che stavo con lui, e mi sono accorta che aspettavo un bambino.
Oh! e allora?
E allora gliel'ho detto, e lui ha detto che mi sbagliavo, che non era possibile. L'ha detto cosí convinto. che anch'io mi son messa a pensare che era impossibile e che mi ero sbagliata. E una mattina, mi sveglio, e lui non c'è piú. Lo cerco dappertutto, e non c'è. E trovo sul tavolo di cucina, una lettera. Diceva che se ne andava per un poco dai suoi. Non lasciava indirizzo. Diceva di non aspettarlo, perché non sapeva quando tornava. Diceva di restare pure ancora un poco nell'appartamento, se volevo, ma solo fino a settembre, perché dopo, lui l'aveva dato in subaffitto a certi americani. Io non ne sapevo niente di questi americani. Non me ne aveva parlato mai.
E lei? allora lei come ha fatto?
Mi aveva messo un po' di soldi, nel cassetto della credenza. Mica tanti. Trentamila lire.
Poco.
Sí. Io ho cominciato a piangere, e ho pianto non so quanto tempo, avrò pianto per due o tre giorni, senza mangiare e senza dormire. Ogni tanto andavo in bagno, e mi lavavo la faccia con l'acqua fredda. Poi tornavo sul letto, e mi rimettevo a piangere. Il bambino, adesso ero sicura che l'avevo, perché ogni volta che accendevo una sigaretta mi prendeva una nausea! Non avevo nessuno con cui piangere, dovevo piangere sola. La Elena era via, in ferie, perché era estate, era la fine di luglio. Paoluccio, quello dei dischi, ho provato a telefonargli, e non rispondeva. Non avevo nessun altro che il gatto. Il gatto, Manolo non se l'era portato via. Cosí, passavo le ore a carezzare la coda al gatto, piangendo, e lui miagolava... Era un gatto molto affettuoso. Sembrava che volesse consolarmi, quando miagolava.
E allora?
Allora niente, a un bel momento ho smesso di piangere, e sono uscita a comprare un po' da mangiare, per il gatto e per me. Son passati degli altri giorni e io camminavo molto, giravo le strade sotto il sole, perché speravo che se camminavo e mi stancavo, mi andava per aria il bambino. Ma i giorni passavano e il bambino l'avevo sempre. E un giorno, rientravo con una sporta piena di pesche, perché non mi andava di mangiar niente, solo pesche. E vedo, nel cortile, una ragazza che lava un'automobile con una spugna. L'automobile era molto, sporca, e anche la ragazza era sporca, con dei calzoncini corti bianchi, tutti sporchi, e una maglietta sudata. E la ragazza mi guarda, e io la guardo, e niente, io salgo su in casa, e dopo un poco sento girare la chiave, e mi vedo davanti la ragazza sporca. E le chiedo: Scusi, chi è lei? E la ragazza dice: Non c'è il signor Manolo Pierfederici? E io dico: No, perché? Lei chi è? E la ragazza dice: Io sono sua moglie. E io dico: Topazia! e rimango di sasso.
Era Topazia!
Sí. Se tu sapessi quanto ci avevo pensato, a questa Topazia, quanto avevo cercato di immaginarmela! Ed era cosí! Una ragazzotta sporca, con delle gambe grosse gli occhi celesti, i capelli biondi sparsi sul collo, una maglietta a righe molto sudata. Mi ha detto: Le dispiace se faccio il bagno?
E allora?
Allora io le ho detto: Non vuole anche due uova al tegame? E lei si è messa a ridere, e ha detto: Perché no? Ma prima faccio il bagno. E ha fatto il bagno, e dopo è venuta fuori con l'accappatoio di Manolo, e si è seduta sul tappeto in salotto, vicino a me. E allora le ho raccontato tutto. A un'altra, a quella Topazia che mi ero immaginata, cosí bella, sprezzante, superba, non avrei raccontato niente. Ma a questa qui, a questa ragazzotta mi veniva di raccontare tutto, come faccio adesso con te. E le ho detto: Ma lei perché l'ha piantato? E lei ha detto: Io l'ho piantato? Col cavolo che l'ho piantato! E' lui che ha piantato me. Hai capito? Parlava cosí. Non aveva nessuno stile.
Non aveva stile?
Per niente. E mi ha detto: M'ha piantato, poco: dopo che eravamo sposati. Diceva che non mi poteva amare. Io in principio mi sono disperata, ma poi mi sono rassegnata, e mi son trovata un'occupazione. Faccio la fotografa. Giro in automobile, e faccio delle fotografie per un settimanale. Qualche volta, càpito qui. Mi riposo un po', faccio il bagno, e se c'è lui chiacchieriamo, perché siamo rimasti amici, non gli serbo rancore. E un uomo che non gli vanno tanto bene le donne. Cosí ha detto, e io mi sentivo sollevata, liberata, leggera, perché in tutti quei mesi mi era cresciuta dentro un'angoscia terribile, avevo pensato che lui non mi amava perché ero stupida, banale, volgare, e perché non avevo stile. Gliel'ho detto a Topazia, e lei si è messa a ridere, e mi ha detto: Anche a te ti diceva che non avevi stile? me lo diceva sempre anche a me. Allora come ho riso! come abbiamo riso tutte e due!
E poi?
Poi ci siamo fatte le uova al tegame, abbiamo mangiato tutte le pesche, e siamo andate a dormire. E prima di dormire Topazia mi ha detto: Domani pensiamo, col bambino, cosa puoi fare. Se vuoi tenerlo, ti aiuterò io a tirarlo su, perché io tanto ho l'utero retroflesso, e non posso avere bambini. E io nell'addormentarmi pensavo: «Sí sí, lo tengo questo bambino! Lavorerò! Topazia mi aiuterà a trovare un lavoro! Farò anch'io la fotografa!» Ma al mattino, quando mi sveglio, mi metto a piangere e dico: No, Topazia, no! io non mi sento di averlo questo bambino! Non ho casa, non ho lavoro, non ho soldi, non ho niente! E lei ha detto: Bene. E mi ha portato da un medico ungherese, suo amico, e questo qui mi ha fatto abortire.
E poi?
Poi, sono stata qualche giorno a letto, e Topazia mi curava. E quando sono stata bene, andavo in giro con lei per la città, e l'aspettavo nell'automobile, quando aveva i suoi appuntamenti di lavoro. Era una molto attiva, Topazia, faceva un mucchio di cose, nelle ore perse prendeva lezioni di russo, di solfeggio, di canottaggio, non ti dico quante cose faceva. Andava anche a nuotare in piscina. Io, quando andavo con lei in piscina, mi bagnavo solo fino alla vita, perché non so nuotare, e ho paura. Poi l'aspettavo, al sole, su una sdraia. Con lei come mi divertivo! Mi faceva stare cosí allegra! Non avevo mai avuto un'amica, a parte la Elena. I momenti che stavo sola, sulla sdraia, in piscina, mentre Topazia nuotava, pensavo qualcosa, e intanto mi dicevo: «Questa cosa che adesso ho pensato, bisogna che me la ricordi, perché tra poco viene Topazia e gliela racconto». Ed eccola venire avanti Topazia, coi capelli tutti inzuppati, perché nuotava sempre senza cuffia, e il suo bikini celeste scolorito, le sue gambe grosse. A parte le gambe, aveva un bel corpo. Però non aveva nessuno stile.
Ma cosa vuol dire non avere stile?
Vuol dire non avere stile. Essere alla buona, essere
È svenuta?
Non svenuta, insomma, non ho capito piú niente, era il vino. E mi sono ritrovata su un letto, nella stanza dei padroni di casa, un pittore molto gentile, con sua moglie. E Pietro mi teneva la testa, e mi faceva bere del caffè. Ho chiesto subito se avevo vomitato. Mi sarebbe dispiaciuto d'avere vomitato davanti a quelle persone cosí gentili. Mi hanno detto di no. La ragazza coi calzoni arancione mi faceva vento con un giornale. E poi Pietro mi ha riaccompagnato a casa. Non ero piú niente ubriaca, ero un po' mortificata, e triste. Lui è salito su con me.
Su dalla Elena?
Sí, ma la Elena in quei giorni non c'era, perché
era da una sua parente, che aveva avuto un'operazione
allo stomaco. Pietro è rimasto là. Gli ho raccontato tutto.
Poi al mattino, è andato a fare il bagno a casa sua da
sua madre, perché da noi, lo scaldabagno era guasto. E
io pensavo: «Non tornerà piú». Invece dopo qualche ora
è tornato, con una sacca del supermercato, piena di roba
da mangiare. E abbiamo abitato insieme per dieci giorni,
fino a quando è ritornata la Elena. E in quei dieci giorni,
Certo che lei fa proprio venir la testa come un paniere.
E poi, quando stava per tornare la Elena, gli ho detto:Peccato, adesso non potrai piú stare qui, torna quella noiosa della Elena, che del resto la casa è sua. E lui ha detto: Sì, peccato. E io gli ho detto: Sposami. Perché se non mi sposi tu, chi mi sposa?
E lui?
E lui ha detto: È vero. E m'ha sposata.
Ma si può dire che lei ha avuto una fortuna incredibile! Dopo averne viste tante, ha avuto proprio una bella fortuna!
Ancora non lo so se è stata una fortuna.
Non è stata una fortuna? Sposarsi con un avvocato bello, giovane, con tanti soldi, lei povera? lei che non sapeva come fare a tirare avanti?
Già, non sapevo. Ero piena di debiti. Lavoro non ne avevo. E poi io tutta questa grande voglia di lavorare non ce l'ho. Gli ho detto, a Pietro: Sí, ti sposo, però ho paura che non ti amo! con te non è come con Manolo! Con Manolo, ero come stregata! E lui ha detto: Pazienza. E quando è tornata a casa la Elena, le ho detto: Sai ho trovato uno che mi sposa. E lei: Uno che ti sposa? oh, ricominciamo adesso con un altro pasticcio, oh povera me! portami via Gesù! Non voleva crederlo, che c'era uno che mi sposava. E quando è venuto Pietro, gli ha puntato addosso i suoi occhi piccoli, il suo naso, come se volesse pungerlo. Poi ha detto: Be', chissà, forse questo non è portami via Gesú. Questo sembra una persona a posto! E io dicevo: Però non mi sento stregata! E lei diceva: Va' al diavolo!
Aveva anche ragione.
Forse sí.
Dio, ma è tardi, devo mettermi a cucinare. Tra poco torna l'avvocato, e il pranzo non è pronto.
Gli dirai che è stata colpa mia, che ti ho fatto chiacchierare un po'.
Mi ha fatto chiacchierare? Se io non ho nemmeno aperto bocca! Parlava sempre lei. Quanto parla! Ma parla sempre cosí?
Sempre.
Ma a parlare tanto, non le vien sete?
Sì. Portami un bicchiere di latte.
Adesso vuole il latte? è mezzogiorno!
Il latte mi piace tanto.
(raccogliendo qualcosa in terra)
Questo cos'è? il mio pigiama? com'è che ancora non ha rifatto la stanza, Vittoria?
Come faceva a rifare la stanza, non vedi che io sono a letto ?
E non pensi di doverti alzare?
Ho chiacchierato un po' con Vittoria. Le ho raccontato la mia vita. Stava a sentire, non perdeva una sillaba. Tu invece, quando parlo, non mi ascolti. Stamattina sei uscito mentre stavo parlando. Eppure ti dicevo una cosa importante.
Ah sí ? cosa mi dicevi?
Ti dicevo che non vedo, fra noi, una ragione seria di vivere insieme.
Mi dicevi questo?
Sí.
Non abbiamo nessuna ragione seria di vivere insieme? Lo pensi?
Lo penso. Trovo che sei una persona molto leggera. Sposandomi, hai dato prova di una gran leggerezza.
Io non sono niente leggero. Io sono uno che sa sempre quello che fa.
Hai un'alta opinione di te stesso!
Forse.
Io invece non so mai quello che faccio. Prendo una cantonata dopo l'altra. Del resto come fai a dire, che tu sai sempre quello che fai? Fin adesso non hai fatto niente. Niente d'importante, voglio dire. Sposarti è stata la prima cosa importante della tua vita.
Prima di incontrare te, sono stato sul punto di sposarmi almeno diciotto volte. Mi son sempre tirato indietro. Perché scoprivo in quelle donne qualcosa che mi dava i brividi. Scoprivo, nel profondo del loro spirito, un pungiglione. Erano delle vespe. Quando ho trovato te, che non sei una vespa, ti ho sposato.
Nel tuo modo di dirmi che non sono una vespa c'è qualcosa di offensivo per me. Tu vuoi dire che io sono un animaletto domestico, innocuo, gentile? una farfalla?
Ho detto che non sei una vespa. Non ho detto che sei una farfalla. Sei sempre pronta a fare di te stessa qualcosa di grazioso.
Io non trovo graziose le farfalle. Le trovo odiose. Quasi preferisco le vespe. Mi offende che tu pensi che non ho i pungiglioni.È vero, ma mi offende.
Ti offende la verità? La verità non deve mai offendere. Se ti offendi alla verità, vuol dire che non sei ancora diventata adulta. Vuol dire che non hai ancora imparato ad accettare te stessa. Ma adesso ti consiglio di alzarti, lavarti, e venire a mangiare. Sarà bell'e cotta la minestra.
Non c'è minestra. E non so se mi laverò. Quando ho la malinconia, non ho voglia di lavarmi. Mi hai fatto venire la malinconia.
Ti ho fatto venire la malinconia? io?
Sei tornato cosí sentenzioso, da quel funerale.
Non sono sentenzioso.
Sei sentenzioso, sicuro di te, sprezzante, e molto antipatico. Parli di me che sembra che tu mi conosca come il fondo delle tue tasche.
Infatti io ti conosco come il fondo delle mie tasche.
Ci siamo incontrati che non è neanche un mese e mi conosci come il fondo delle tue tasche? Ma se non sappiamo nemmeno bene, perché ci siamo sposati! Non facciamo che domandarci perché, dalla mattina alla sera!
Tu. Io no. Io non mi domando niente. Tu sei una persona con la testa confusa. Io no. Io vedo chiaro. Vedo chiaro e lontano.
Ma guarda che alta opinione che hai di te! Una sicurezza da sbalordire! «Vedo chiaro e lontano!» Io ti dico che siamo nelle nebbie! siamo nelle nebbie fino ai capelli! Non vediamo a un palmo dal nostro naso!
Ti apro il bagno?
Eh?
Ti apro il bagno? se ti lavi, forse ti schiarisci le idee. Lavarsi fa bene. Disintossica. Schiarisce le idee.
Non sarai mica un igienista, tu? Dimmelo subito, perché io gli igienisti li odio.
Certo. Sono un igienista. Non lo sapevi?
Non credo che mi laverò. Ho troppa malinconia. Ho paura che tu sia troppo antipatico! Proprio il tipo di uomo che mi è odioso!
(Va nel bagno. Si sente l'acqua che
scorre nella vasca .Tornando)
Io trovo che il matrimonio è un'istituzione infernale! Dover vivere insieme sempre, tutta la vita! Ma perché ti ho sposato? Ma cosa ho fatto? Dove avevo la testa, quando ti ho preso?
Hai deciso di fare il bagno?
Non hai detto che devo fare il bagno?
Non era mica un ordine. Era un consiglio.
Lo credo bene. Ci mancherebbe ancora che tu mi dessi degli ordini!
Allora mi trovi antipatico?
Sí. Ho paura di sì. Sei cosí tranquillo, cosí pacato, cosí sentenzioso! «Ti conosco come il fondo delle mie tasche! » «Vedo chiaro e lontano! » E se non mi conoscessi un bel niente? se avessi preso una cantonata? se a un bel momento scoprissi che io son piena di veleno nascosto? allora? allora cosa faresti?
Ti pianterei. È logico.
Logico!
(Va nel bagno e torna indietro)
Non è logico un corno. Adesso mi hai sposata e mi tieni, mi tieni come sono! anche se sono tutta diversa da quello che credevi, devi tenermi lo stesso, tutta la vita! Non te lo dicevo che il matrimonio è un'istituzione diabolica?
Attenta. Stai pestando il mio pigiama.
Lo pesto perché voglio pestarlo! Perché non ti posso soffrire!
(entrando)
Non s'è ancora vestita? Io ho portato la minestra in tavola!
La minestra? Non avevamo detto di non fare la minestra ?
Ho fatto un poco di minestra calda. L'ho fatta per me, perché avevo freddo, e quando ho freddo un poco di minestra mi piace. Già che c'ero, l'ho fatta anche per loro. Ma adesso, se non mangiano, si fredderà. Per me non importa, perché io mi son già mangiata due buone scodelle colme, e sto bene.
Vieni a mangiare. Il bagno lo farai dopo.
Già! se faccio il bagno dopo mangiato, muoio Mi vuoi morta?
(Va nel bagno).
Ho invitato a pranzo mia madre e mia sorella per domani.
Ma tua madre non aveva detto che non avrebbe mai messo piede in questa casa?
L'aveva detto. Io però l'ho convinta a venire, domani, a pranzo. Dopo il funerale di Lamberto Genova, l'ho accompagnata a casa, e l'ho convinta. S'è lasciata convincere.
Sei contento?
Sono contento, perché mi seccava essere in guerra con mia madre. Preferisco essere in pace, se la cosa è possibile.
Sei mammone, tu?
Non sono mammone. Invece noi per adesso non ci andiamo a casa di mia madre, perché lí c'è la zia Filippa, che è furiosa contro di me. La zia Filippa è cattolica. È cattolica ancor piú di mia madre. Voleva che io facessi un matrimonio cattolico, e che venissero molti cardinali. Invece le hanno detto che mi sposavo con una ragazza, che avevo conosciuto a una festa, e che a questa festa ballava, ubriaca, coi sandali in mano, con tutti i capelli sugli occhi. Gliel'ha detto mia cugina. E alla zia Filippa per poco non le è venuto un colpo.
Tua cugina? quella coi calzoni arancione?
Sí.
Trovo che hai un po' troppi parenti.
Perciò la zia Filippa non ha voluto nemmeno guardare la tua fotografia. Mia madre sì, un momento, l'ha guardata.
Quale fotografia? quella dove ho l'impermeabile?
Sí.
Non è una bella fotografia. Sembro uscita dal carcere. E cos'ha detto, della mia fotografia, tua madre?
Niente. Ha sospirato. Ha detto che eri graziosa.
Sospirando ?
Sospirando.
Soltanto graziosa?
Perché, come pensi di essere, tu? Bellissima? travolgente?
Sí. Travolgente.
Io però non mi sento travolto.
Tu non ti senti travolto?
No.
Eppure ti ho travolto!
Mia madre non ti piacerà. E tu non piacerai a lei. Niente le piacerà di questa casa. Disapproverà tutto Nemmeno Vittoria le piacerà.
Perché non le deve piacere nemmeno Vittoria?
Ha delle donne di servizio di un altro tipo. Donne vecchie, silenziose, fedeli, con le pantofole, coi piedi piatti.
Per questo i piedi piatti ce li ha anche Vittoria.
Niente le piacerà di questa casa, ti dico. Niente
E allora se io non piacerò a lei, e se lei non piacerà a me, e se in questa casa niente le piacerà, perché la fai venire qui?
Perché è mia madre.
Bel motivo. E io non ti porto mica qui mia madre,
io. Sai come è mia madre? Mia madre conserva tutti
i giornali vecchi, ne ha dei quintali sotto il letto, sotto
gli armadi, e poi cucina certe minestrine, certi intrugli di
prugne e mele cotte, e tutti quei pentolini li mette sul davanzale
della finestra. E la sera, si chiude a chiave in cucina,
a chiave, sai, tutte le sere, e fino alle due di notte
Sì. Va bene. Lo so. Questa è tua madre. Ma mia madre non è cosí. Mia madre è una donna abbastanza normale.
Perché, vuoi dire che mia madre non è una donna normale? vuoi dire che è matta?
Non lo so, io non l'ho mai vista. Da come la descrivi, penso che un po' matta dev'essere.
E ti sembra bello di non avere ancora visto mia madre ?
Vuoi che andiamo a trovare tua madre ? Andiamoci. In questi giorni sono un po' occupato. Ma appena sarò piú libero, andiamo a trovare tua madre, dato che lei non si muove, come hai detto.
A trovare mia madre? a vedere i pentolini e i giornali?
Sí, perché no?
Non è nica matta mia madre, povera donna. È soltanto una povera disgraziata.
Ecco già. E anche mia madre, vedi, é una povera vecchia donna, ed è una disgraziata anche lei.
Perché cosa le è successo, a tua madre?
Mia madre, poveretta, da giovane era bella, elegante,
e ha sofferto molto quando ha incominciato a invecchiare.
Le è venuta una specie di nevrastenia. Poi, durante
la guerra, nei bombardamenti, le è crollata una casa.
Poi ha perduto un po' di soldi, non molti, ma si è spaventata,
e ha creduto d'essere povera. E tante volte la mattina
si sveglia, e piange, si dispera, perché ha paura di essere
povera. E allora mia sorella deve andare lí a cansolarla.
Poi qualche anno fa è morto mio padre, e lei ne ha
molto sofferto. E mia sorella non si è ancora sposata, e anche
di questo si dispera. E adesso io mi sono sposato
Tutte queste non sono vere disgrazie. È invecchiata come invecchiamo tutti. Tuo padre è morto quando era già vecchio. Non sono vere disgrazie, se uno pensa alla vita disgraziata che ha avuto mia madre.
Non saranno vere disgrazie, ma lei ne soffre, come se fossero vere. Del resto adesso non si tratta mica di stabilire chi di noi due ha la madre piú disgraziata.
Tua madre pensa che ti ho sposato per i soldi?
Pensa che mi hai sposato per i soldi. Pensa che sei una specie di tigre. Pensa che hai avuto un mucchio di amanti. Pensa tutto, e la mattina si sveglia, e piange. Perciò le ho detto di venire qui a pranzo, cosí almeno ti vedrà in faccia, e non le piacerai, ma sarà spaventata di una persona, invece di essere spaventata d'un'ombra.
Peccato.
Peccato cosa?
Peccato che non ho avuto tutti questi amanti, che pensa tua madre.
Sei sempre in tempo.
Sono sempre in tempo? Posso avere ancora un po' di amanti, pur essendo tua moglie?
Neanche per sogno, finché sei mia moglie. Però è sempre possibile divorziare.
In Italia non c'è il divorzio.
All'estero.
Ah già, all'estero.
(Silenzio).
Mi hai appena sposata, e già pensi a divorziare?
Non penso a divorziare. Dicevo per dire. Nel caso che tu voglia avere ancora un po' di amanti.
Certe cose che pensa tua madre sono vere. È vero
che ti ho sposato per i soldi. Anche per i soldi. Ero disposta
a tutto. Lo sai?
Vorresti dire che non mi avresti sposato, se fossi stato povero?
Non lo so! capisci che non lo so! Non l'ho ancora capito! Non ho avuto il tempo di capirlo! Perché ci siamo sposati cosí di furia? Che furia c'era?
Mi hai detto: Sposami, per carità! sennò se non mi sposi tu, chi mi sposa? sennò finisce che mi butto dalla finestra. Non hai detto cosí?
Sí, ho detto cosí. Ma era un modo di dire. Non c'era mica nessuna necessità di sposarmi cosí di furia. Non ero mica incinta. Tua madre avrà magari creduto che mi sposavi perché ero incinta. Le hai spiegato che non sono mica incinta, a tua madre?
Sí.
Che furia c'era? Ci siamo sposati come se stesse bruciando la casa. Perché? Non era meglio riflettere un poco ?
Io ho riflettuto. Magari è stata una riflessione durata lo spazio di un minuto secondo. Ma non è detto che le riflessioni devono durare dei secoli. Una riflessione lucida, lampeggiante, di un minuto secondo, può bastare.
No, una riflessione di un minuto non è una riflessione. Le riflessioni vere, giuste, utili, sono quelle che uno si porta dietro per dei mesi e degli anni.
Ne hai molte, tu, di queste riflessioni?
Io? mai. Mai nessuna. Io non sono capace di riflettere.
Però penso che sarebbe giusto riflettere, prima
di fare tutte le cose, ogni cosa. E invece non abbiamo riflettuto
affatto, e ci siamo sposati come due stupidi, io anche
per i soldi, e tu anche perché ti facevo pietà. E perciò
il nostro matrimonio è marcio, marcio nelle radici! Forse
abbiamo fatto uno sbaglio spaventoso! Forse insieme saremo
disperatamente infelici, ancora peggio di come pensa
tua madre!
È possibile.
E allora? allora come faremo?
Divorzieremo.
All'estero?
All'estero.
Meno male che hai un po' di soldi, cosí almeno potremo andare all'estero a divorziare!
Meno male.
Allora cosa devo fare da pranzo a tua madre?
Non so. Brodo. Pollo lesso. Mia madre è delicata di stomaco. Ha l'ulcera gastrica.
Va bene il brodo, per l'ulcera gastrica? è molto vecchia tua madre?
Vecchia, Sí.
Su per giú, quanti anni ha?
Non si sa. Non lo sa nessuno. Si è falsificata la data di nascita sul passaporto. L'ha cancellata con la scolorina, e l'ha riscritta. Pare che si sia tolta una decina d'anni.
E a te chi te l'ha detto?
Me l'ha detto mia sorella.
L'ha vista, tua sorella, mentre era lí con la scolorina?
No. Gliel'ha detto la zia Filippa.
Questa zia Filippa è una bella pettegola. Non potreste sbatterla fuori dai piedi?
No, perché è paralitica, e gira su una sedia a rotelle.
Forse anch'io mi cancellerò la data di nascita con la scolorina, quando sarò vecchia, sul mio passaporto. Però non ce l'ho il passaporto, non l'ho mai avuto, ho solo la tessera postale. Il passaporto devo farmelo fare, sennò come potrò andare all'estero, quando vorremo divorziare?
Già.
Forse però basterà che all'estero ci vada tu solo il giorno che vorremo divorziare. Ma il passaporto mi serve lo stesso, perché viaggerò molto, quando sarò divorziata. Con Topazia. Tu mi pagherai gli alimenti?
Certo.
Grazie. Viaggerò con Topazia, vedremo un mucchio
di posti, e faremo inchieste e fotografie. Andremo
nel deserto, e fotograferemo i leoni e le tigri, per quel settimanale
Grazie.
Niente. Sarà bellissimo.
Bellissimo.
E tu? tu cosa farai? Tornerai a stare con tua madre, con tua sorella, e con la zia Filippa?
Forse.
Io invece viaggerò con Topazia. Sai, tante volte mi chiedo cosa penserebbe Topazia di te. Ma non credo che le piaceresti. Direbbe che non hai stile. Direbbe che hai il collo troppo grosso, il naso troppo grosso, le orecchie troppo lunghe. Topazia è molto difficile.
Però si è sposata con quell'idiota.
Manolo? perché dici cosí, «quell'idiota»? perché devi sputare su tutte le cose della mia vita? Tu non lo conosci, Manolo! Non l'hai mai conosciuto!
Ho letto i suoi libri.
Hai letto Portami via Gesú?
Sì. E ho letto anche Primavera col marinaio. E perfino
La salamandra inutile.
No! Primavera col marinaio non l'hai letto! non
hai nemmeno tagliato le pagine!
Nemmeno tu hai tagliato le pagine.
Le prime le ho tagliate. Poi non piú, perché non capivo. Non capivo perché sono stupida io, mica perché era stupido lui. Certo però che le salamandre sono bestie inutili. A cosa servono? Piú inutili di cosí!
Non c'è dubbio.
Cosa sono? non sono bestie che vanno nel fuoco senza bruciarsi? Che utilità c'è a cacciarsi nel fuoco?
Io invece penso che quel tuo Manolo era uno stupido, un vero idiota, e un vigliacco. Non è scappato, quando ha saputo che aspettavi un figlio?
Sí. Ma non era vigliaccheria. Era un'altra cosa. aveva paura della vita.
Avere paura della vita si chiama vigliaccheria. Mettere una persona nei guai, e squagliarsela, si chiama vigliaccheria.
Però io ti proibisco di sputare cosí sulle cose mie!
(Silenzio).
Allora, per tua madre, pollo lesso?
Pollo lesso.
Vittoria! Accidenti, non risponde, dev'essere alla finestra che chiacchiera con la ragazza del piano di sopra.
Cosa le vuoi dire ?
Che domani viene a pranzo tua madre.
E mia sorella.
E tua sorella. Questa tua sorella com'è?
Mia sorella è un'oca assoluta.
Le piacerò?
Le piacerai moltissimo.
Perché è un'oca? Mi trovi fatta per piacere alle oche?
Non perché è un'oca. Perché è sempre contenta di tutto. È un temperamento ottimista.
E tua madre invece è pessimista. È una che vede guai dappertutto. Drammatizza. E cosí anche la mia amica Elena, e anche mia madre. E molto pessimista anche mia madre. Io invece sto bene con gli ottimisti, con quelli che sdrammatizzano. Stavo cosí bene con Topazia perché sdrammatizzava.
E con me stai bene?
Con te?
Sí?
Ancora non lo so. Ancora non ho capito bene come sei.
E io invece ti ho capita subito, appena ti ho vista.
Subito? appena mi hai vista? A quella festa, su quelle scalette?
Non proprio subito, appena ti ho visto entrare. Dopo un poco.
Forse quando ballavo, ubriaca, senza le scarpe? Hai capito che ero una, che ti andava benissimo a te?
Sí.
Che bello.
E vuoi sapere una cosa?
Cosa?
Non mi hai mai fatto nessuna pietà. Nessuna. Nemmeno un istante.
No?
No.
Ma come? quella notte, quando piangevo, quando ti raccontavo, non ti facevo pietà?
No.
Ma come? ero sola, senza soldi, senza lavoro, ero piena di debiti, avevo anche abortito, ero stata abbandonata, e non ti facevo pietà?
No.
Ma allora sei senza cuore!
Non essere scema. Eri sola, è vero, senza soldi, senza lavoro, e ti disperavi, ma a me non facevi pietà. Io non ho mai sentito, guardandoti, nessuna pietà. Ho sempre sentito, guardandoti, una grande allegria. E non ti ho sposato perché mi facevi pietà. Del resto, se uno dovesse sposare tutte le donne che gli fanno pietà, starebbe fresco. Metterebbe su un harem.
Già. Questo è vero. E perché mi hai sposato, se non mi hai sposato per pietà?
Ti ho sposato per allegria. Non lo sai, che ti ho sposato per allegria? Ma si. Lo sai benissimo.
Mi hai sposato perché ti divertivi con me, e invece ti annoiavi con tua madre, tua sorella, e la zia Filippa?
Mi annoiavo a morte.
Lo credo, povero Pietro!
Adesso sei tu che hai pietà di me?
Però non è che dovevi stare sempre con loro? andavi in giro, viaggiavi, avevi ragazze?
Certo. Viaggiavo, andavo in giro, e avevo ragazze.
Ragazze noiose?
Ragazze.
E io ? io perché ti ho sposato?
Per i soldi?
Anche per i soldi.
Credo che uno si sposa sempre per una ragione sola.
Gli anche non hanno nessun valore reale. C'è una ragione
sola, dominante, ed è quella che importa.
Allora io non l'ho ancora ben capita questa ragione, per me.
Non mi hai detto: Sposami, sennò chi mi sposa?
Sí, e be'?
Be', non era questa la ragione? che volevi avere un marito? comunque fosse? chiunque?
Chiunque. Sí.
(entrando)
Mi ha chiamato?
Non adesso. Prima. Prima t'ho chiamato tanto. Dov'eri?
Scambiavo due parole con la ragazza del piano di sopra.
Sei una grande chiacchierona. Non ti viene sete a parlare tanto?
A me non mi viene mai sete. Non bevo mai. Non sudo, perciò non bevo. Nemmeno d'estate.
Non sudi?
Non sudo mai. Quando sono a casa, che lavoro in campagna, a zappare, sotto il sole di luglio, tutti sudano, e io non sudo. Non ho neanche una goccia di sudore sulla pelle.
Strano.
Stranissimo.
Sei una salamandra, forse. Una salamandra inutile.
Sono cosa?
Volevo dirti che domani vengono a pranzo sua madre e sua sorella. Farai pollo lesso.
E c'è bisogno di dirmelo oggi? Me lo diceva domani.
Siccome dici che i polli tu li vai a comprare sempre in piazza Bologna, vicino al tuo parrucchiere, cosí te lo dico adesso, perché ora che vai dal parrucchiere, lo compri.
Al giorno d'oggi è molto difficile trovare polli ruspanti. I polli che vendono, non sono ruspanti. Sono quelli ingrassati con la lampada. Se vuole proprio un pollo ruspante, posso fare un salto fino a casa mia, a Fara Sabina. Domattina son qui.
No. Non cerchiamo complicazioni. Il pollo di piazza Bologna andrà bene. Domani lei apparecchi la tavola bene, con la tovaglia.
Con la tovaglia? non con le pagliette?
No. Le pagliette mia madre non le può soffrire.
La tovaglia l'abbiamo. Però non abbiamo il mollettone da metterci sotto.
Oggi, in piazza Bologna, lei comperi anche un mollettone.
Non vorrai mica che tua madre metta il naso sotto la tovaglia, per vedere se c'è il mollettone!
Non conosci mia madre. Mia madre, solo al tasto, capisce se c'è il mollettone.
Esco subito, cosí faccio tutto.
(Via).
Sarà vero che non suda mai?
Non so. A me mi pare che sudi come un cavallo.
Sembrerebbe una buona ragazza. Hai preso informazioni, prima di pigliarla?
Sí. Ho telefonato alla signora Giacchetta.
E chi è questa signora Giacchetta?
È la signora Giacchetta. Quella dov'era prima. Lei ne canta le lodi tutto il giorno, della signora Giacchetta. Era bravissima in casa, la signora Giacchetta. Lavava, stirava, cucinava, faceva tutto. A lei, a Vittoria, non le lasciava nemmeno mettere le mani nell'acqua. Non capisco perché teneva la donna.
Sei sicura che esiste, questa signora Giacchetta?
Se mi ha risposto al telefono!
Non si prendono informazioni al telefono. Si va sul luogo.
Volevi che andassi sul luogo della signora Giacchetta?
Sí.
Come sei noioso! come, come sei noioso! Niente ti va bene! La signora Giacchetta non ti va bene! Le pagliette non ti vanno bene! I polli non sono ruspanti!
È Vittoria che ha detto che i polli ruspanti non li vendono piú! Io me ne infischio dei polli ruspanti!
Di cosa potremo parlare, domani, con tua madre? Dopo che avremo parlato un po' di Vittoria, e dei polli ruspanti, cosa resterà da parlare?
Ah, davvero non lo so!
Possiamo parlare di Lamberto Genova?
Quale? del tuo o del mio?
Un po' dell'uno un po' dell'altro, no?
(Silenzio).
Se facessi venire anche la Elena?
Quale? La tua Elena? o la mia Elena?
Perché, qual è la tua Elena? Abbiamo anche una Elena per uno?
Mia cugina Elena? o la tua amica Elena?
Tua cugina Elena? quella dei calzoni arancione? Ah no, io quella non la posso soffrire. No, dicevo la mia amica Elena.
La cartolaia?
Sí. Perché, c'è qualcosa di male a fare la cartolaia?
Non ho detto che ci sia qualcosa di male. Ho detto «la cartolaia» per indicarla.
E allora, se volessi indicare mia madre, diresti «la pantalonaia» perché è questo il lavoro che fa? Gliel'hai detto a tua madre, che fa la pantalonaia mia madre?
Mi sembra che le ho detto che fa la sarta.
E perché? È piú decoroso far la sarta che la pantalonaia? È indecoroso, fare pantaloni? Ma sai che tu sei pieno di pregiudizi sociali?
Neanche per sogno. Far la pantalonaia o la sarta, non è uguale?
Appunto. Non è uguale?
Appunto.
Vuoi che ti dica una cosa?
Cosa?
Sai quel bottiglione d'inchiostro, che ho rovesciato addosso a una cliente, quand'ero nella cartoleria?
Be'?
Sai chi era quella cliente?
Chi era?
Ho paura che era tua madre.
Mia madre?
Sí.
Hai rovesciato un bottiglione d'inchiostro in testa a mia madre?
Non in testa. Sul vestito. Su tutto il vestito. Non l'ho mica fatto apposta.
Ma chi dice che era proprio mia madre?
Ho paura di sí. Era tua madre. L'ho riconosciuta dalla fotografia che hai tu sullo scrittoio. Quella faccia di quella cliente m'era rimasta impressa, perché poi sono stata licenziata. Stavo bene, in quella cartoleria. Non c'era molto lavoro. Mi hanno licenziata per via di tua madre. Però anche perché arrivavo sempre in ritardo.
Mia madre è molto fisionomista. Se è lei, ti riconoscerà subito.
Allora, la faccio venire, domani, la mia Elena, a pranzo? Cosí vede anche lei, se era proprio tua madre, quella del bottiglione.
No, la tua Elena non c'è bisogno di farla venire. Non va bene con mia madre, la tua Elena.
E allora chi è che va bene, con questa maiala di tua madre?
Ti prego di non insultare mia madre, prima ancora che sia venuta! Le tiri addosso un bottiglione d'inchiostro, e poi ancora la insulti?
Tu, a mia madre, non piaceresti affatto. Non le piace, quasi mai nessuno. È molto pessimista, mia madre. È molto diffidente. Se ne starebbe là, in un angolo, vicino alla finestra, a sorvegliare quei suoi pentolini, spaventata, diffidente, amara, nella sua vestaglietta giapponese, con quel suo codino di capelli attorcigliato in cima alla testa con un elastico nero, con le mani che tremano, guardandosi attorno con gli occhi d'una lepre inseguita... No. È meglio che non ci andiamo.
E allora non ci andremo.
(Ride).
Perché ridi? Non è mica di mia madre che ridi?
No. Sto pensando a te che rovesci l'inchiostro sulla signora, che forse è mia madre, e mi viene da ridere.
Ma perché parliamo cosí tanto di madri? è un'ora che siamo qui, e non parliamo d'altro che di madri. Sono cosí importanti, le madri?
Sono abbastanza importanti.
Se ti faccio ridere, vuol dire che non ti senti stregato. Vuol dire che neanche tu, con me, ti senti stregato. Come neanch'io con te. Quando amavo Manolo, io non ridevo, non ridevo mai. Non ridevo, non parlavo, non fiatavo piú. Ero ferma come una statua. Ero allucinata. Stregata. Sai cosa voglio dire?
Sí.
Perché, sei stato stregato anche tu, qualche volta?
Qualche volta. E non mi piaceva. Non avrei mai sposato una donna, che m'avesse stregato. Voglio vivere con una donna che mi metta allegria.
Cosa ci vedi, in me, di tanto allegro?
Devo uscire. Dov'è il mio cappello?
Hai un altro funerale?
No. Piove. Diluvia. Quando piove, metto il cappello.
Oh Dio, adesso Vittoria esce dal parrucchiere e si bagna l'ondulazione! Tornerà furiosa.
Pietro!
Eccomi.
Vittoria non è tornata!
Come non è tornata?
Non è tornata, da ieri. Non è tornata, dopo il parrucchiere. Tu stavi fuori a cena, io ho bevuto un bicchiere di latte e me ne sono andata a dormire. Stamattina, dopo che sei uscito tu, suono il campanello, e non risponde. Mi alzo, la cerco in tutta la casa, e non c'è.
Dobbiamo telefonare in questura?
No. La portinaia dice che sarà andata di nuovo dalla signora Giacchetta. Le piaceva cosí tanto stare dalla signora Giacchetta. Non aveva quasi niente da fare. Qui anche le piaceva, ma trovava che c'era troppo lavoro.
Che lavoro c'è, qui? Siamo due persone sole, la casa è piccola?
Sí, ma tu ti cambi la camicia due volte al giorno. Non le piaceva stirare, a Vittoria. Dalla signora Giacchetta non c'erano camicie da uomo. La signora Giacchetta è vedova.
Mi dispiace.
Ti dispiace che è vedova?
Mi dispiace di Vittoria. Dovremo cercare un'altra donna. Telefona a un'agenzia.
Se dici che non c'è da fidarsi delle agenzie!
Come hai fatto per cucinare? Tra poco, saranno qui mia sorella e mia madre.
Avevo in casa dello spezzatino di ieri. L'ho scaldato.
Lo spezzatino mia madre non lo può mangiare! Ti ho detto che ha l'ulcera gastrica!
Non va bene per l'ulcera gastrica, spezzatino in umido con le patate?
No. E poi ce ne sarà stato poco!
Macché. È almeno un chilo di carne. Poi ho chiamato la portinaia, e l'ho pregata di imprestarmi un mollettone. Il mollettone doveva comperarlo Vittoria, in piazza Bologna.
(guardando sotto la tovaglia)
Questo non è un mollettone. È una tela incerata.
Sí. La portinaia la usava per coprire la carrozzina del suo bambino. Ma è pulita. Gliel'ho fatta pulire con la spugna.
Per primo? Per primo, cosa c'è?
Per primo? Per primo piatto, dici?
Sí?
Niente. C'è un poco di melanzane alla parmigiana, avanzate da ieri.
Non puoi dare a mia madre un pranzo tutto di avanzi! Fai del riso al burro!
Faccio del riso al burro? Va bene. Mi sono alzata tardi, stamattina, e poi speravo sempre che tornasse Vittoria. Mi dispiace tanto che non torni piú. Stavo bene con lei. Chiacchieravo. Le raccontavo tutti i miei fatti.
(Via).
Oh mamma, guarda come è carino qui! Una bellissima casa!
(sospirando)
Troppe scale. Io soffro di
Questa casa ci piaceva. E poi, avevamo fretta. Cosí non siamo stati tanto a guardare per il sottile.
Guardare per il sottile? Lo chiami guardare per il sottile, guardare che ci sia l'ascensore, per quando viene a trovarti tua madre, che soffre di cuore?
Siccome tu avevi detto che non saresti mai venuta in casa nostra!
E ti rassegnavi cosí all'idea che io non venissi mai?
Tu non soffri di cuore, mamma. Hai un cuore sanissimo. Hai fatto l'elettrocardiogramma pochi giorni fa.
Certi disturbi di cuore dall'elettrocardiogramma non si vedono. Anche il povero Lamberto Genova aveva fatto un elettrocardiogramma pochi giorni prima di morire, e non si era visto niente. Me l'ha detto la povera Virginia.
Perché la chiami povera Virginia? Non è mica morta anche lei?
Povera Virginia! Non è morta, ma è rimasta sola. E anche in condizioni finanziarie niente affatto buone. E i figli non le dànno consolazioni. Uno sta in Persia. L'altro si è messo con una donnaccia. Però, per fortuna, non l'ha sposata.
È successo un piccolo inconveniente. La nostra donna di servizio Vittoria, ieri è andata dal suo parrucchiere, e non è piú ritornata.
(entrando)
È quasi pronto. Il riso è quasi cotto.
Buongiorno, signorina.
Buongiorno.
Buongiorno.
Stavamo ammirando la vostra bella casa!
Io devo averla già vista, signorina, da qualche parte. Dove l'ho vista?
Mi ha vista in fotografia.
No. Quella fotografia non le rassomigliava. Lei, del resto, non dev'essere fotogenica. No, ho visto, in qualche parte, la sua faccia. Io sono molto fisionomista. Non dimentico le fisionomie. Dove l'ho incontrata?
Posso chiederle di non chiamarmi signorina, dato che ho sposato suo figlio, una settimana fa?
Come vi siete sposati? Dal sindaco?
Sí.
Io sono cattolica osservante. Per me ha valore solo il matrimonio in chiesa. Il matrimonio civile non ha valore, per me. Ad ogni modo, la chiamerò signora, se vuole.
Non vorresti chiamarla per nome, mamma?
Il suo nome è Giuliana?
Giuliana.
Un nome pretensioso. Sarebbe stato molto meglio, semplicemente, Giulia. Come mai le hanno dato un nome cosí pretensioso?
E sua figlia non si chiama Ginestra? Ginestra non è un nome pretensioso?
No. Ginestra non è un nome pretensioso. Mio marito amava molto Leopardi. L'abbiamo chiamata Ginestra per via di Leopardi. E poi anche perché io, quando l'aspettavo, mi trovavo in un posto, dove c'era una fioritura di ginestre, bellissima. A Rossignano. Eravamo, quell'anno, in villeggiatura a Rossignano. Di dove è, lei?
Io sono di Pieve di Montesecco.
E dov'è questo Pieve di Montesecco?
In Romagna.
Ah in Romagna? Anche Rossignano è in Romagna. Conosce Rossignano?
No.
Non conosce Rossignano? È strano. Non
Non mi portavano in villeggiatura.
Ah non la portavano?
No. Mia madre aveva altro per la testa.
Cos'aveva per la testa, sua madre?
Aveva che non aveva denari. Lei e mio padre sono separati. Mio padre, quando io ero piccola, è andato via di casa.
Sí. Mio figlio m'ha accennato qualcosa. È stata duramente provata dalla vita, sua madre?
Sí.
Anch'io sono stata duramente provata dalla vita. I miei figli non mi hanno dato consolazioni. Ho perduto mio marito. Mia sorella Filippa è inchiodata su una sedia a rotelle. E ora mio figlio ha voluto darmi ancora questo grande dolore. Ha fatto un matrimonio che io disapprovo. Io non ho niente contro di lei, signorina, o signora, o Giuliana, come vuole. Ma non credo che lei sia adatta a mio figlio, né che mio figlio sia adatto a lei. Sa perché mio figlio l'ha voluto ? Sa perché ha voluto unirsi a lei?
No?
Per darmi un dolore.
Il riso a quest'ora sarà stracotto. Andiamo a tavola!
A me piace il riso molto ben cotto. Questa vostra domestica, come si chiamava?
Vittoria.
È andata dal parrucchiere e non è piú tornata? Fanno cosí. Oggi la servitú fa sempre cosí.
Mamma, se tu vedessi la cucina. Hanno una cucina piccola piccola, cosí bella!
Dovete guardare se non si è portata via qualche cosa.
Vittoria? Oh no, Vittoria non toccava niente. Era onestissima.
Da quanto l'avevate?
Quattro giorni.
E come può parlare di onestà, dopo quattro giorni?
(Ride)
Lei è ingenua! Lei è molto ingenua! La vita le insegnerà a essere meno ingenua! Pure anche lei è già stata duramente provata dalla vita, non è vero?
Un poco.
Avevate preso informazioni, di questa Vittoria?
Sì. Dalla signora Giacchetta.
Giacchetta? Quelli che hanno quel negozio di elettrodomestici al Tritone?
Non credo che siano quelli. La signora Giacchetta non aveva nessun elettrodomestico in casa. Non aveva nemmeno la lavatrice. Le lenzuola le lavava tutte a mano. Le lavava lei, la signora, non Vittoria. A Vittoria non le faceva mai mettere le mani nell'acqua.
E perché se n'è andata via dalla signora Giacchetta?
Se ne è andata perché c'era un cane. Un cagnone enorme, un mastino. A Vittoria non le piaceva quel cane. Cosí se n'è andata.
Per il cane?
Le faceva schifo quel cane. Perdeva le bave. Sporcava dappertutto.
I cani, basta abituarli, non sporcano.
Oh Vittoria! Finalmente sei ritornata! Avevo paura che non ritornassi piú!
Ieri sera, quando sono uscita dal parrucchiere, pioveva fortissimo. Mi dispiaceva di sciuparmi l'ondulazione. Allora son salita su un momento dalla signora Giacchetta, che sta proprio accanto al parrucchiere, per aspettare che smettesse di piovere. La signora Giacchetta m'ha pregato di fermarmi a dormire, perché era sola, e aveva paura. Il marito era andato a Rieti. Cosí mi son fermata a dormire lí. La signora Giacchetta, ieri sera, ha fatto le panzarelle con la ricotta. Io forse ne ho mangiate un po' troppe, perché erano tanto buone, e stanotte mi sono sentita male, e ho dato di stomaco. Allora stamattina la signora Giacchetta non m'ha lasciato alzare. Intanto, è tornato il marito, e aveva portato quattro polli, e me ne son fatti regalare due. Sono polli ruspanti. La signora Giacchetta li ha cucinati, ma li ha cucinati arrosto, perché non sono polli da far bolliti, son polli da fare arrosto. Meno male che non hanno ancora mangiato la pietanza. Mi ha accompagnato la signora Giacchetta con la sua macchina, per fare prima.
(Via).
Non era vedova, la signora Giacchetta?
Già. Mi sembrava che fosse vedova.
E voi non la licenziate? Sta fuori tutta una notte, e voi non la licenziate?
No, non ci penso nemmeno a licenziarla. Sono cosí contenta che è tornata!
Non la rimproverate? Non le dite niente? Non viene a casa per non bagnarsi l'ondulazione, pensa prima all'ondulazione che al suo dovere, e voi non le dite niente? Ma in che mondo viviamo?
Io non oso dirle niente. Mi ha portato in regalo due polli!
I soliti ricatti della servitú.
Son proprio ruspanti!
Non avevi detto che era vedova, la signora Giacchetta?
Sí, è vedova. Quello lí che sta con lei, non è mica il marito. È uno che viene ogni tanto. È sposato. Sposato con cinque figli. Anche il cane è suo.
E com'è che aveva paura a star sola, la signora Giacchetta? Non c'era quell'enorme cane?
Eh no, il cane l'aveva portato il marito a Rieti. No il marito, insomma quello lí che sta con lei.
Non poteva telefonare, ieri sera, che non sarebbe tornata?
Come telefonavo? Non ha il telefono, la signora Giacchetta.
Non ha nemmeno il telefono!
Non ha il telefono? Se io le ho telefonato, quando ho preso le informazioni!
Sí. Ma si è scordata dí pagare la bolletta, e ora gliel'hanno tagliato.
(Via).
Come dilaga l'immoralità! Come è dilagata anche fra la gente semplice! Questa ragazza parla come se fosse niente, di una donna che vive col marito di un'altra.
Però è molto buono questo pollo!
Proprio ruspante.
Non è ruspante.
Non è ruspante?
No. È un buon pollo, cucinato bene, ma non è ruspante.
Un'altra volta che vengono, farò le panzarelle con la ricotta.
Io ho l'ulcera. Non posso mangiarle.
Ha l'ulcera? Mia madre, due anni fa, è stata operata di ulcera. Dopo l'operazione, era in fin di vita. Le avevano già dato l'olio santo. Il dottore mi ha detto: È ulcera perforata. Non può salvarsi. L'avevano portata al Policlinico. Era, si può dire, già morta. E allora io sa cos'ho fatto? Ho chiesto che me la lasciassero riportare a casa, e a casa, ho messo a bollire due chili di cicoria. Le ho fatto bere l'acqua della cicoria. Quell'acqua amara le ha lavato i visceri, e cosí è guarita. Un mese dopo stava bene, e mangiava di tutto. Adesso mangia anche i peperoni.
Anche i peperoni?
Mangia di tutto. Se la vedesse come è robusta mia madre! Se la vedesse come lavora in campagna! Un giorno voglio portargliela qui. Le piace venire a Roma. Ogni volta va al Policlinico, a salutare le suore che l'hanno assistita. Se vedesse come le vogliono bene quelle suore! Tutti le vogliono bene, a mia madre. È una santa. Io per mia madre potrei buttarmi nel fuoco.
(Via).
È proprio una salamandra.
Una salamandra inutile.
Cosa dite? Non sembra una cattiva ragazza, però, questa vostra Vittoria. Forse è solo un poco stordita. Oggi è molto difficile trovare delle brave ragazze. Non vogliono piú andare nelle case, preferiscono andare in fabbrica. E allora, in fabbrica, trovano i comunisti, e cosí poi quando sono stanche del lavoro in fabbrica, e se ne vengono nelle case, hanno idee sovversive, e fanno le faccende malvolentieri, nel disordine, con quelle idee. I guai che ha avuto Virginia con la servitú, quest'inverno. Ne ha cambiate sei. Adesso si è ridotta con una ragazzina di quindici anni, non ha potuto trovare altro. Da Virginia, non ci vogliono stare. Non so perché.
Dicono che gli dà da mangiare poco.
Sí, è vero, Virginia non ha mai tenuto
molto al mangiare, nemmeno per sé. Non ci tiene, non
gliene importa, dice che sono soldi buttati via. Invece la
Peccato che sia un tipo insopportabile.
Perché? Voi avete sempre bisogno di dir male di tutti. Virginia è coraggiosa e virtuosa. Io la vedo ogni giorno, le sto molto vicino, perché è sola. Non ha grandi consolazioni dai figli. No. Passa le sere sola, con quella servetta, e si è messa a insegnarle il punto a croce. Ma ora anche quella dice che vuole andarsene via. Ha paura. Ha paura a passare per il corridoio, la sera, quando è buio. Perché c'è stato un morto nella casa.
Forse invece ha trovato un altro posto, dove spera di mangiare di piú.
Sí. È possibile. Anche questo è possibile. Virginia fa troppa economia sul mangiare. Il povero Lamberto, qualche volta, si lamentava con me. Si lamentava della cucina di casa sua. Lo sapete cosa compra dal macellaio, Virginia? Polmone. Una cosa che di solito si dà ai gatti. Lei lo fa andare rosolato in padella, adagio adagio, col rosmarino e la salvia. Dice che è buono.
Ma se mangiava polmone quando era piú ricca Virginia, adesso che è impoverita cosa mangerà?
Ah, non lo so. Davvero non lo so. È già tanto magra, povera Virginia. È uno scheletro.
È la donna piú brutta che conosco.
Ti sbagli. Non è brutta Virginia. Ha bellissimi capelli. E poi, ha un grande chic. Veste bene. Ha moltissimo stile.
Ha molto stile?
Moltissimo. Virginia ha moltissimo stile.
Ma spende, per vestirsi?
Nemmeno una lira. Si fa tutto da sé. Si fa dei vestiti a maglia, bellissimi. Si fa i vestiti, le borse... perfino i cappotti.
Anche i cappotti, a maglia? Coi ferri da calza?
Tutti a maglia. Ne ha fatto uno a Ginestra. Vero Ginestra? No, Virginia è davvero molto industriosa.
Però quello che mi ha fatto a me, la prima volta che l'ho lavato, è diventato lungo lungo,con certe maniche lunghe lunghe... L'ho dovuto regalare via.
Sfido, l'hai lavato in casa. Io te l'avevo detto di farlo lavare in tintoria. Se lei vuole, Giuliana, figlia mia, dirò a Virginia di fare anche a lei un piccolo cappotto. Oppure una giacca a maglia, se preferisce. Per Virginia, lavorare a maglia è una vera distrazione.
Penso che adesso abbia altro per la testa Virginia, che farmi un cappotto!
No. Lo farà con grande piacere. Le sembrerà
anche un poco di sdebitarsi con me. Perché io le sono
stata di grande aiuto in questi giorni cosí tristi. Le ho
mandato il mio giardiniere a farle qualche servizio. Le sono
stata sempre molto vicina. No, lavorare a maglia è per
lei una distrazione. È sola, in quella casa vuota, semibuia
Non so perché tiene sempre le imposte mezze chiuse. Io
vado a trovarla anche oggi, quando esco di qua. Lamberto
Genova era un amico carissimo della nostra famiglia.
Morire cosí, all'improvviso, di trombosi alle coronarie
Dio ha voluto darmi anche questo grande dolore. Io
sentivo ancora tutta sconvolta per il dolore che m'aveva
dato mio figlio, sposandosi cosí, all'improvviso, di furia
senza nemmeno avermi spiegato bene con chi si sposa! E
non in chiesa. Dal sindaco. Lo so, lui è ateo, va bene, ma
non è mica un motivo per non fare il matrimonio in chiesa!
Il matrimonio in chiesa lo fanno tutti, anche gli atei.
Allora il povero Lamberto era venuto a trovarmi, poche
Avevo bevuto troppo.
Vino? Liquori?
Vino rosso.
Si vede che era vino cattivo. Non era genuino. Quando il vino è genuino, non fa male. La gente ora dà le feste col vino cattivo. Lo fanno apposta, cosí le ragazze che non sono abituate a bere si sentono male, e gli uomini se ne approfittano. Un'altra volta, quando va a qualche festa, non beva. Beva solo acqua. Li conosceva bene quei pittori?
No. Io non conoscevo nessuno. Sono capitata là per caso, con un fotografo, che era amico della mia amica Topazia.
Li conoscevi bene, tu, Pietro?
Non li conoscevo per niente. Anch'io ci sono capitato per caso.
Hai bevuto anche tu?
Ho bevuto un poco.
Perché bevi nelle case che non conosci? Chi è questa sua amica Topazia? Un nome molto, molto pretensioso.
È una mia cara amica, Topazia, l'amica piú cara che ho. Un'altra mia amica si chiama Elena, è buonissima, però non mi trovo bene con lei come con Topazia. È troppo pessimista. Vede guai dappertutto. Io con i pessimisti non riesco a stare. Sono molto influenzabile. Mi si attacca subito il pessimismo anche a me.
E mio figlio? le sembra forse un ottimista, mio figlio?
Non mi sembra tanto pessimista. Sennò forse non l'avrei sposato.
Lo crede un ottimista? Sbaglia. È soltanto un superficiale. Anche mia figlia Ginestra è un poco superficiale. Nella loro superficialità, questi miei figli mi hanno dato dolori e preoccupazioni. Perché non ha riflettuto prima di sposarsi, figlia mia? Perché tanta leggerezza, lei, cosí duramente provata dalla vita? Non è credente, vero signorina?
Secondo i giorni. Dipende dai giorni.
Che parole orribili mi tocca sentire. Ma lo immaginavo. Non è credente. Se fosse stata credente avrebbe chiesto a Dio che la ispirasse, e Dio l'avrebbe distolta da mio figlio. L'avrebbe indirizzata a un uomo piú adatto per lei. Eppure piú la guardo, e piú mi sembra d'averla già vista. Dove posso averla vista? dove?
Forse in qualche negozio...
Negozio di che? Queste amiche di cui mi parlava, che persone sono? Questa amica Patrizia, o come ha detto che si chiama?
Non Patrizia. Topazia.
Non sarà Topazia Valcipriana?
Chi, Valcipriana? Ah, la ragazza Valcipriana, è vero, si chiama Topazia! Quella che ha fatto quel matrimonio cosí disgraziato? Con quel Pierfederici? Uno scrittore?
Portami via Gesú!
Sí, ha scritto un romanzo che si intitola
Aiuto Gesú o qualcosa di simile. Ma non parla niente di
Gesú. Mettono di questi titoli, per sporcare il nome di Gesú.
È un libro incomprensibile, però pieno di parole sporche.
Io non ho nemmeno finito di tagliare le pagine. Questo
Pierfederici era molto bello. Soprattutto, aveva molto
stile. Lei, la ragazza Valcipriana, non è brutta, ma non ha
stile.
Trova che non ha stile?
Neanche un po'. Allora questo Pierfederici ha sposato la Valcipriana e l'ha lasciata subito, dopo quattordici giorni di matrimonio. È un malato, un nevropatico. Lo diceva anche il povero Lamberto, che lo curava. Mi pare che si sia anche mangiato dei soldi. E questa ragazza anche lei ha buttato male. Non vuole piú stare con i suoi. Viaggia. È piena di uomini. Pare che non possa avere bambini, perché ha l'utero retroflesso. È sua amica?
Sí.
Ah, ma ecco lei dove l'ho vista! l'ho vista che prendeva il gelato al caffè Aragno, con la Valcipriana. Con questa Topazia. La Valcipriana aveva dei calzoncini bianchi tutti sporchi, indecenti, un fazzolettaccio al collo, e pareva un ragazzo di strada. Lei aveva un vestito di spugna giallo. Non facevate un bell'effetto, figlia mia, devo dirglielo. Né l'una né l'altra. L'ha ancora, quel vestito di spugna?
Sí.
Non lo metta piú. Lo regali a Vittoria.
È un vestito che non le sta bene. Il giallo non le sta bene.
Poi di spugna! La spugna si mette al mare, ma non
in città. Verrà a trovarla qui, la sua amica Topazia?
Quando viene, me lo faccia sapere. Perché allora, quel
Perché?
Mi domandi perché? Per la preoccupazione della figlia. E poi anche per il dolore della morte di Lamberto. Erano molto amici. Era il suo medico. Lei si faceva psicanalizzare.
Era un medico psicanalista, Lamberto Genova?
Sí.
Aveva uno studio dalle parti della Circonvallazione Clodia?
Non so. Di studi ne aveva due o tre. Io non ci sono mai andata allo studio. Non mi sono mai fatta psicanalizzare, non ne ho bisogno. Ho la fede.
Io questo Lamberto Genova lo conoscevo. Lo conoscevo benissimo. Mi sono fatta psicanalizzare da lui.
Ti sei fatta psicanalizzare? Questo non lo sapevo. Non me l'avevi ancora raccontato.
L'hai sposata, e non sapevi nemmeno che si era fatta psicanalizzare? e proprio dal nostro povero Lamberto?
Due volte. Ci sono andata solo due volte. Non mi ci ha portato Topazia, mi ci ha portato quel medico ungherese che Topazia conosceva, quando lei era già in America. Mi ci ha portato perché diceva che avevo un forte complesso di inferiorità. Mi identificavo con la mia ombra.
E Lamberto cosa le ha detto di fare?
Niente. Non mi ha detto assolutamente niente.
Come arrivavo, mi faceva sdraiare su un divano, e dovevo
parlare. Lui era in poltrona allo scrittoio, e mi girava le spalle.
Io parlavo... mi piace parlare, mi piace tanto raccontare
i miei fatti. Però costava ottomila lire a seduta. E allora,
la seconda volta, gli ho detto: Ma è possibile che devo
pagare ottomila lire a seduta, solo per parlare? Parlare a
Ottomila lire a seduta, si faceva pagare? E poi la moglie gli dava da mangiare il polmone?
Io non glieli ho dati quei soldi. Anzi gli ho chiesto invece un po' di soldi in prestito. Ma ha detto di no. Ha detto che lui non imprestava mai denaro ai pazienti, perché era una cosa contraria alla cura. Belle scuse, io gli ho detto. Rideva, si divertiva un mucchio con me. Quei momenti che era voltato verso di me, quando smetteva di fare la psicanalisi, rideva con me. Però dopo la seconda volta, non ci sono andata piú. Costava troppo. Se fosse stato gratis, ci sarei andata sovente, perché mi piaceva, mi riposavo a parlare sdraiata su quel divanetto, raccontare a quelle spalle tonde, curve, a quella nuca tutta ricciolini grigi...
Ricciolini?
Non era Lamberto Genova. Lamberto Genova era magro, alto, dritto, con la testa completamente calva.
Aveva una testa nuda, liscia, calva, una pera perfetta. Non c'era piú un capello sulla sua testa. Li aveva tutti perduti.
Non ti ricordi il nome il nome che era scritto sulla porta? questo tuo medico, avrà pure avuto un nome?
Aveva un nome, che non mi ricordo... Io non ho memoria per i nomi.
E ora hai smesso di identificarti con la tua ombra?
Le dài del tu, Ginestra? cosí presto?
Non è la moglie di mio fratello?
Ma è stato solo un matrimonio civile. E poi la conosciamo tanto poco! Tutto quello che mio figlio ha saputo dirmi, è stato soltanto che ha sposato una donna duramente provata dalla vita.
No, non ho smesso di identificarmi con la mia ombra... Forse non smetterò mai.
Allora lei doveva al povero Lamberto sedicimila
Ma se non è andata da Lamberto Genova! se è andata da un altro! da uno coi ricciolini!
È vero. Che confusione! Lei oggi non ha parlato molto, eppure mi ha confuso le idee.
Tutti lo dicono. Tutti mi dicono che quando parlo, confondo le idee. Anche Vittoria me lo dice sempre.
Sempre! Ma se l'ha solo da quattro giorni, Vittoria!
E anche Pietro lo dice.
Oh, Pietro, la confusione è il suo paradiso. Ama la confusione, l'ha amata sempre, fin da ragazzo. Ama la confusione, e il disordine. Pensare che il mio povero marito era cosí amante dell'ordine! era cosí meticoloso, accurato, puntuale! Negli orari, nel vestire, in tutto! Ieri, al funerale del povero Lamberto, mi sono vergognata. Pietro aveva in testa un orrendo cappello. Un cappello che sembrava tirato fuori dal secchio delle immondizie. Glielo faccia buttare via, quel cappello. Era là, con quel cappellaccio calato sugli occhi, una sciarpaccia legata al collo. Sembrava un ladro.
Neanche per sogno che lo butto via. È un ottimo cappello.
Lo sa perché lo mette quel cappello?
Perché?
Per darmi una mortificazione.
Non è mica un brutto cappello. È un cappello da gentiluomo di campagna.
Tu, Ginestra, sei sempre ottimista. Lei
che dice che le piacciono gli ottimisti, guardi qui mia figlia,
è una vera ottimista. Non ottimista, no, è accomodante.
Accomodante, per superficialità. Non cerca la perfezione.
I miei figli non cercano la perfezione. Io, invece,
aspiro alla perfezione. O la perfezione, o niente. Mi
dia le sue misure. Dica a Vittoria di portare un centimetro.
Non solo le devo quei soldi alla povera Virginia, sedicimila lire, ma la obbligo anche a farmi tutto un cappotto?
Quali soldi? Non abbiamo detto che era andata da un altro dottore?
Ah già. È vero.
Vittoria! Il centimetro!
(entrando)
Hanno chiamato?
Un centimetro.
Non l'abbiamo, il centimetro. Lo cercavo anche ieri, per prendere le misure del tavolo, che dovevo comprare il mollettone. Non c'è.
Non avete nemmeno un centimetro in casa?
No. Siamo ancora un poco sprovvisti. Il mollettone ieri non l'ho potuto comprare. Giusto, devo sparecchiare e riportare l'incerata alla portinaia. Me l'ha chiesta.
Le misure gliele prenderò un'altra volta. Comprerò intanto la lana. Non voglio che abbia spese, povera Virginia. Si trova in condizioni economiche proprio non buone. Deve vendere la sua casa. Che pena! Una casa bellissima sull'Aventino. Ci stavano da piú di trent'anni. Per lei, a occhio, per un cappotto, ci vorranno almeno tre chili di lana.
Tre chili di lana, mamma? Sei matta. Ce ne vorranno appena due chili e mezzo.
Ci sono anche le maniche. Tu sei sempre ottimista. Ce ne vorranno almeno tre chili, ti dico. Di che colore lo vuole, il cappotto?
Forse azzurro?
Azzurro? ma che punto di azzurro? azzurro bebé ? Ho paura che le sbatta la carnagione. Meglio verde-acqua. Oppure anche un verde foglia morta. Andiamo, Ginestra. Andiamo alla Casa della Lana.
Vi accompagno in macchina?
Non occorre. Già io mi vergogno di salire su quella tua macchina. È tutta ammaccata, tutta piena di fango. È indecente.
(Si mette il cappello davanti allo
specchio).
Che lusso di cappello!
La mamma, appena ha saputo che ti sposavi, è corsa subito a comprarsi quel cappello.
Sí. Perché credevo che vi sareste sposati in chiesa. Non potevo mica immaginare che avreste fatto le cose in quel modo, in furia, per darmi ancora una mortificazione. In furia, di nascosto, come i ladri.
Perché, i ladri non si sposano in chiesa?
Come i ladri. Avete fatto le cose come i ladri. Per darmi un dolore. Per sembrare spregiudicati. Per disordine. Amore del disordine. Amore dell'irregolarità. Andiamo, Ginestra. Se vien buio, non vedremo i colori della lana.
Arrivederci. Grazie.
Arrivederci.
Arrivederci.
Arrivederci.
Temo proprio che non potrò sfuggire al cappotto della povera Virginia.
Lo temo anch'io.
Questa tua madre è un poco svaporata. Non me l'avevi detto che era un poco svaporata. Se non fosse svaporata, non si potrebbe mica sopportarla.
Sí. Se non fosse svaporata, sarebbe stremante.
Per fortuna invece è svaporata. Non me l'avevi mica descritta giusta. Io, mia madre, son sicura che te l'ho descritta giusta. Proprio come è.
Andremo anche a vedere tua madre. Le madri sono importanti.
Non sai mica tanto descrivere le persone, tu. Forse sei un cretino. Certe volte mi viene il dubbio d'aver sposato un cretino.
Tanto non eri disposta a sposare chiunque?
Chiunque, ma non un cretino.
Come mai non mi avevi mai detto che ti eri fatta psicanalizzare?
Non te l'avevo ancora mai detto? Chissà quante cose ancora non ti ho detto. Non ce n'è stato il tempo. Ci conosciamo in fondo cosí poco! Ci siamo sposati cosí di furia! Come ladri.
Cosa devo fare da cena stasera?
Melanzane alla parmigiana.
Di nuovo? ah no, basta con le melanzane alla parmigiana. Troviamo qualcosa d'altro.
Preferisci un po' di polmone?
Potrei fare una frittata con le cipolle.
Buona idea.
L'ho restituita l'incerata alla portinaia. Però questo mollettone bisogna comprarlo, se viene un'altra volta sua madre. Perché l'incerata le serve a lei, alla portinaia.
C'era il mollettone, in casa della signora Giacchetta?
No, perché si mangiava sempre in cucina. Senza tovaglia, sul tavolo della cucina. Sul marmo.
Sul marmo? Non ha nemmeno la cucina di fòrmica, la signora Giacchetta? è molto poco moderna.
Non è tanto che è poco moderna. È che si trova un poco in difficoltà. Se vince una causa contro i parenti del suo povero marito, allora rifà a nuovo tutta la casa.
Però ha l'automobile? Non ti ha riaccompagnata qui in automobile?
Non è sua. È della ditta. La signora Giacchetta lavora per una ditta, che commercia in saponi. Sull'automobile c'è un altoparlante, con dietro un disco che parla, e fa la propaganda dei saponi. Io mi vergogno un poco, quando mi trovo su quella macchina, che cammina per le strade urlando i saponi. La signora Giacchetta dice che in principio anche lei si vergognava, ma adesso non piú. S'è abituata. Un giorno verrà qui, la signora Giacchetta, con tutti i saponi. Se vorranno comperare qualche sapone, gli farà un buonissimo sconto. Hanno bisogno di niente?
No, grazie. Abbiamo sapone.
No, dico adesso, se hanno bisogno di niente. Io vado un poco su dalla ragazza del piano di sopra, per farmi imprestare le cipolle. Non abbiamo nemmeno una cipolla in casa.
Bene.
Simpatica, questa Vittoria.
Molto.
Le hai raccontato tutti i tuoi fatti? Anche dello psicanalista, le hai raccontato?
No, quello forse non gliel'ho raccontato ancora. Però come è diversa tua madre dalla mia! Abbiamo delle madri molto diverse. Con delle madri cosí diverse, e tutto cosí diverso, potremo vivere insieme?
Non so. Staremo a vedere.
Tua madre non pensa affatto che ti ho sposato per i soldi. Non pensa niente, tua madre. È troppo svaporata per pensare.
Già.
Se pensasse, sarebbe insopportabile. Penserebbe delle cose insopportabili. Invece non pensa niente, corre solo dietro a delle futilità. In fondo non le importa nemmeno molto di sapere bene da dove sono piovuta io.
Sí. È cosí...
Ma perché le madri sono tanto importanti? L'ha scoperto la psicanalisi, che sono importanti? Secondo la psicanalisi, sono la cosa piú importante di tutto?
Sí. Secondo la psicanalisi, le origini del nostro comportamento sono da ricercare nel nostro rapporto con la madre.
Com'è strano! Queste madri che se ne stanno là, acquattate in fondo alla nostra vita, nelle radici della nostra vita, nel buio, cosí importanti, cosí determinanti per noi! Uno se ne dimentica, mentre vive, o se ne infischia, anzi crede di infischiarsene, però non se ne infischia mai del tutto. Quella tua madre cosí svaporata, eppure determinante! Non sembra proprio che possa determinare niente, e invece ti ha determinato, a te!
Mi ha determinato.
Non era mica lei quella del bottiglione d'inchiostro. Era un'altra. Meno male che non ho rovesciato l'inchiostro addosso a tua madre. Sennò magari ci portava disgrazia. Visto che è cosí importante, una madre.
Versare l'inchiostro non porta disgrazia. Porta disgrazia versare il sale di venerdí.
Non solo di venerdí. Sempre.
Solo di venerdí.
Vittoria dice sempre.
Tra poco, la povera Virginia si vedrà rovesciare addosso tre chili di lana, con l'incombenza di farti un cappotto verde-mare.
No verde-mare. Verde foglia morta.
Povera Virginia!
Come parliamo sempre a vanvera noi! Come parliamo saltando di palo in frasca!
No di palo in frasca. Di palo in foglia.
Di palo in foglia. Non facciamo mai un discorso ben costruito. In fondo ci conosciamo cosí poco! Dovremmo cercare di capire bene come siamo. Sennò, che matrimonio è? Ci siamo sposati talmente di furia! Che furia c'era?
Ah, adesso non ricominciamo a mettere in discussione il nostro matrimonio! Ci siamo sposati e basta.
Basta un corno. Non essere cosí superficiale. Io perché ti ho sposato? E se ti avessi sposato per i soldi?
Pazienza.
Pazienza un corno. Sarebbe una cosa orribile.
Dov'è il mio cappello?
Hai un funerale?
No. E non piove. Ma voglio il mio cappello. Devo uscire e voglio il cappello. Ho deciso di andare in giro sempre col cappello.
Forse perché tua madre ha detto che quel cappello non lo può soffrire?
Forse.
Vedi come sono importanti le madri? vedi come sono determinanti?
Allora? il cappello?
Ho paura che Vittoria l'abbia rimesso nella naftalina.
Accidenti! questa mania della naftalina! Dille che lo tiri fuori!
Vittoria dev'essere ancora dalla ragazza del piano di sopra. Quando ci va, non ritorna mai giú. Potevamo mangiare la frittata senza cipolle.
Va bene. Uscirò senza cappello.
Dove vai?
Da un cliente. Al Quartiere Trionfale.
Al Quartiere Trionfale? Forse non era alla Circonvallazione Clodia quel mio medico psicanalista. Forse era al Quartiere Trionfale.
Ciao. Ritorno tra poco.
Ciao. Fanno male all'ulcera, le cipolle?
Malissimo. Ma tu non hai l'ulcera. Ce l'ha mia madre.
È proprio vero che ce l'ha?
Non si sa. Lo dice. Non si è mai saputo se è vero.
Come sono misteriose, le madri!
Misteriosissime!
E cosí importanti!
Sí. Cosí importanti!
Però a un certo punto è anche giusto mandarle un poco a farsi benedire, no? Volergli bene magari, però mandarle un poco a farsi benedire. È vero?
Certo. E tua madre, che malattie ha?
Oh, mia madre anche lei ha ogni sorta di malattie. Reumatismi, coliche, il fegato, la vescichetta biliare che non so cosa le fa... ha tutto. Come sono anche noiose, le madri!
Noiosissime.
Sai cosa penso?
Cosa?
Penso che forse io questo Lamberto Genova non l'ho proprio mai conosciuto.
p. v Nove lustri di Ferdinando Taviani
Ti ho sposato per allegria
3 Personaggi
5 Atto primo
27 Atto secondo
42 Atto terzo
Indice
Stampato per conto della Casa editrice Einaudi
presso Mondadori Printing S.p.A., Stabilimento N.S.M., Cles (Trento)