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PRIN 2012 - Accademia della Crusca
L'attività di "vulture capital" in Italia. Primi dati da una verifica empirica
Con l'espressione "vulture" (avvoltoio) è stata designata l'attività di soggetti che, tipicamente sui mercati anglosassoni, investono in aziende in crisi. La presenza di investitori disponibili a scommettere sul risanamento, oltre a presentare potenziali elevati ritorni, a fronte dei margini di rischio, può svolgere un'azione positiva nei confronti del mercato consentendo la conservazione di valore in aziende in cui l'alternativa fallimentare porterebbe ad un'inevitabile distruzione. Sulla base di una recente ricerca empirica, condotta tra i venture capitalists aderenti all'Associazione Italiana degli Investitori Istituzionali nel Capitale di Rischio (A.I.F.I.), il contributo si interroga sul perché in Italia il fenomeno sia ancora sostanzialmente assente. In particolare si esamina se tale mancanza sia imputabile alla scarsa evoluzione del nostro mercato ovvero alla presenza/assenza di altri elementi determinanti. Dall'analisi emerge come tra le motivazioni del sostanziale disinteresse dei venture capitalists italiani per le società in difficoltà l'accento vada posto sulla normativa che, non valorizzando la salvaguardia del bene-impresa, espone l'investitore e i managers a situazioni inaccettabili in caso di insuccesso. Conseguentemente l'investimento non è, sovente, ritenuto conveniente in relazione al livello di rischio atteso. Il mercato appare quindi pressoché vergine e disponibile a nuovi ingressi che potrebbero essere sensibilmente incentivati da una modifica del quadro normativo, sulla base dell'atteso progetto di riforma della legge fallimentare. La creazione di un flusso di deal sufficiente potrebbe poi alimentare un processo di cartolarizzazione per la suddivisione del rischio, contribuendo al salvataggio delle imprese e alla successiva creazione di valore per tutti gli stakeholders.