V’ha un’altra cagione di malanno, assai generosa, ma pericolosissima: la sottile curiosità o smania del riformare. Chi non sa che Leonardo da Vinci
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Ne’ quadri dello Zezzo, anche in quelli che non sono incipriati, v’è un certo che di affettato; ma parecchie delle sue mezze figure sono stupende per
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punte. Appoggia la mano destra sul pomo di un’alta mazza, che tiene piantata dinanzi a sè. In tutta la persona v’è l’attenzione acuta, sul volto il
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arrovesciate, le quali si guardano e si toccano all’alto, e spesso piantano su due mezzi C, senza dire che tra queste S e questi C v’è sovente un
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delle case e del frontispizio leggiadro. Non v’è più composizione, non v’è più colore. Quell’ingegnere ha davvero una gloria etimologica rara: prima si
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vôlte! Questo spirito di modernità volgare muove a riso e disgusta. E non v’è cosa più fastidiosa che il vedere guastare con qualche goffaggine
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Non crediamo che a tali interrogazioni si possa dare una risposta secca, buona per tutti i casi. Se v’è cosa, in cui giovi distinguere, è questa del
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poesie v’era anche il Whitbread? — Davvero! — esclamò il Byron — e quale specie di poesia ha egli fatta? — Non me ne ricordo — rispose l’altro — so solo
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quasi la stessa cosa; vorremmo anche ricercare quanto dello Squarcione v’era negli artefici lombardi, prima che Leonardo da Vinci li sviasse dalla loro
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crediamo che la storiella sia stata pubblicata mai — il Bartolini entrò in casa Fenzi, che v’era una scelta brigatina di amici. Il figliuolo dal padrone di
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Ma in ogni virtù v’ha il germe di un peccato. Se nei più degli artisti il lenocinio che praticano li fa uscire dall’arte per l’uscio dell’industria
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luogo deserto di un parco abbandonato. Nel tronco morto e nelle ortiche del terreno v’è una desolazione lugubre: l’ambiente della figura — cosa
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sentimentale con sè medesimo; ma è assorto nella contemplazione vaga della tomba, è sprofondato nella concezione del nulla. Certo, si ucciderà. Non v’è
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caricature giocose di sapor parigino, in tale opera, che è rimasta di gesso, v’è un poco dello spirito altero, severo e maschio della vecchia arte romana.
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scolaro del Ciseri: la composizione riempie troppo la tela; il disegno è tondeggiante e grave; il colore aspro; nella invenzione non v’ha nè spirito di
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legno; nessuno di que’gingilli, de’ quali tanto si compiacciono gli artisti. V’è tutta la semplicità, la parsimonia fiorentina. A primo tratto sembra
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, per l’arte, v’è un’ombra di scetticismo. Abbraccia con fervore una cosa, l’accarezza, l’ama più coi sensi che col fondo del cuore, ne gode fino all
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tutti i paesi inclinano, per ambizione, ai colori smaglianti. In un quadrettino del Cannicci, stretto e alto, fra gli alberi di un bosco v’è una
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la sua spiccia abilità di pennello è scomparsa. Non v’è cosa che più, gli faccia orrore oggi che il mostrare la facilità della propria mano. Sceglie
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. In quel torno, l’anno 1855, s’aprì la mostra universale di Parigi. Tra gli altri v’andò un pittore, che prometteva bene e che ora vive a Londra, il De
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dipingendo un episodio della battaglia di Solferino, e v’era nella stanza una signora sua conoscente. La signora guardava dei disegni in una grande
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— Piano — risposi con molto calore — piano. V’è un abito, che non s’accorda in Italia con nessun monumento, con nessun lembo del suo cielo, con
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Bisogna dunque, per trovare dei tipi fecondi, scendere al Rinascimento; bisogna aspettare il ritorno dei papi da Avignone, Niccolò V, la costruzione
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bizzarrìa sotto il pontificato di Sisto V e nel Madonna e in Carlo Fontana e nel Borromini, alzandosi a più solide e stupende pazzie con quell’ingegno, che
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, un mondo intiero di concetti artistici e di forme ornamentali. V’è l’arte che serve con grazia al Villino raccolto e modesto; l’arte sontuosa, che
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a un desco signorile. V'è un calamaio, sul quale sta seduto il Tempo, vecchione barbuto, con le ali stanche, e legge stentatamente sopra un librone
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Queste cose a Milano c’è poco eccitamento a pensarle, tanto la mostra è povera di oggetti contemporanei. V’è qualche saggio di mobili, alcuni secchi
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v’è città dove gli artisti stentino tanto a fare. Alzano gli occhi ai cielo, infocando con infiniti lamenti le Muse e ancora più Mecenate, quasi
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boschetto fronzuto, tra l’erbe e i fiori. E v’è un gran drappo giallo sparso di rose candide e vermiglie, su cui le fanciulle stanno non si capisce se
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parere i volti scipiti, come le teste da parrucchiere. Ma nella mezza dozzina v’è una gentile bionda e v’è una bruna di fattezze assai capricciose, due
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artistiche v’è qualche minuto neo: una disattenzione di prospettiva, una lieve stonatura. Cose tanto piccole, che, se non fosse il gran chiarore di tutto il
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V.
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ispirati dalla fede; e in fatto di monumenti v’è l’eclettismo che ci rovina. A Milano in due grandiosi e ricchi edificii pubblici, la Stazione della
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passati, vi erano delle scuole, più o meno larghe, più o meno solide. V’erano tuttavia de’ maestri e dei discepoli. Ora ci sono dei professori, e dei
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pentola. Siamo eclettici e scettici. Ne’ Greci dominava V idea del bello. Empedocle di Girgenti crea l’immagine di una donzella che si trastulla al fonte
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tocco è come ne’ versi la rima e l’accento. V’ha infatti una scuola moderna che, stringendo poco più che al tocco del pennello le sue artistiche
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, v’hanno degli scultori, i quali sanno creare con una figura un intiero concetto, e pittori che da cento figure non sanno cavare una composizione
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fantasticando e perdendo le ore, mentre costì d’accanto v’è tanta bella e utile materia di studio, che non troverò forse mai più sulla terra. E ci si
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Può darsi invece che si trasformi, ma non si capisce ancora per quale via. Già se v’è arte, di cui l’indole non convenga a questo nostro secolo, è la
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inganniamo, forse in questa opinione v’è un resto di pedanteria nostra che rinverdisce, o un seme di pedanteria che germoglia. L’uomo non sa talvolta se
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’ogni tempo e d’ogni paese. Negli ingegni v’è per solito uno squilibrio di virtù: una di esse soverchia, ed allora nelle loro opere il dominio o anche
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, italiani più che tedeschi. E già ne’ grandi paesi V uomo fa nazione e re di sè stesso.
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Un terzo commendatore, il De Keiser, direttore dell’Accademia di Anversa, espose nella tribuna un gran Carlo V, che libera gli schiavi cristiani a
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V’è forse nel quadro del Michetti un pizzico di ciarlataneria? L’artista si compiace forse un tantino nell’esagerare le sue stesse stramberie
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cornice è sparso di stelle bianche, di cicogne volanti, di scarabei. V’è anche un grosso crostaceo. Finalmente si legge al basso in lettere confuse
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oramai ad una certa amabilità commerciale francese. V’è un primo indizio di svenevolezza. E, benché il quadro della Mostra di Napoli sembri più vigoroso
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ad esse v’è un cartello che dice: Qui si cambiano monete e sì negoziano coupons tunisini; e, chi aguzza bene gli occhi, può forse vedere nell'angolo
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Nei Siciliani v’è un pizzico di selvatichezza isolana, anche quando interpretano il vero. Non somigliano neppure nell’arte ai Meridionali di terra
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viso nel cuscino del seggiolone e contrae spasmodicamente le mani; persino in quel suo abbigliamento a gale scompigliate, v’è una larghezza di modo
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e difficoltà differenti. Per lo scultore v’è l’impaccio del trovare in così ristretto campo e dopo le infinitissime statue d’ogni tempo qualche cosa
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