Il più venerando pittore d’Italia è veneziano. Dopo dieci anni passati a Roma, dopo mezzo secolo passato a Milano parla ancora il dialetto della sua
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alto grido di ammirazione e correre a Roma da tutti i paesi gli antiquarii e gli artisti; con quell’opera, che Plinio diceva la più bella fra tutte
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ghirlande di Fra Giovanni; dalla gravità un poco fredda del Sammicheli sino alle irrequietezze del Bibiena. Salvo Roma, nessuna altra città raccoglie in
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pensionato dall'Accademia di Firenze, e doveva fare una statua in saggio de’ suoi studii. Per modellarla preferì al soggiorno di Roma quello di Napoli
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Questo giovine Sorbi non è mai uscito se non di pochi passi dalla sua Toscana. Avuta trionfalmente la pensione di Roma, vi rinunciò. S’è poi serrato
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’ Due Macelli. Lo avevo salutato la sera innanzi; ma il buon amico voleva rivedermi, e accompagnarmi alcune miglia fuori di Roma.
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— E si può egli a Roma — ripigliai — godersi un solo dì di quiete? Il demonio della curiosità non vi caccia egli innanzi con le sue ferule infuocate
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— Caro mio — disse allora il Caffi, interromj pendo la mia cicalata — non sarete quaranta miglia lontano da Roma, e già vi rinascerà l’antica voglia
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— Quelli — esclamò allora il Caffi — quelli sono la peste di Roma: il Governo del Papa, i cardinali, i preti, i monaci, le favorite, i favoriti, i
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— Sarei fuggito — risposi — tre mesi innanzi. E che! Non vi bastano tre civiltà, la pagana, la •cristiana e la papale; rie vorreste una quarta? Roma
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nessuna zolla del suo terreno. Per non avere sotto gli occhi quel tono scialbo voi andate ramingando da Parigi a Roma, da Nizza a Londra. Un altro abito mi
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— Non è un caso di libertà — ripigliò il Caffi — è un caso di moralità. Voi ne parlate con agio, voi; ma se vi fosse toccato a Roma ciò che è toccato
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, se a Roma la civiltà moderna trionfasse, il suo bieco racconto; e il cortiletto con le sue colonnine tozze, con i suoi muri screpolati e anneriti dal
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— Vi ho sentito per altro — notò il buon Caffi — maledire sovente i (nottoloni puntuti delle vie di Roma.
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canto la Roma della Repubblica e dei Cesari, quella dei Cristiani, quella dei Papi si mischiano insieme senza confondersi. L’occhio del corpo e l
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Ciancie senza costrutto. La bellezza di Roma è rimasta così faticosa e imponente com’era prima, e la città non ha perduto con la Reggia, col Senato
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libero campo; e facciamo delle cose smisurate, come la nuova Galleria di Milano e i nuovi Mercati di Firènze, che sono misere. Ma in Roma peggio. Sembra
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malta, non potrà mai avere sul serio una importanza monumentale; e, quanto allo stile, chi vorrebbe mai in una città come Roma introdurre i garbi del
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Roma è la sola città, dove l’architettura classicamente accademica possa trovare anche al giorno d’oggi un qualche sviluppo. Di quella sua
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si possa con serietà tentare è per l’appunto Roma. L’imitazione assumerebbe qualcosa del puerile. Avere accanto l’esemplare e la copia farebbe ridere
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ghiacciatola rimodernato), si deve a Roma lasciare in disparte, per appigliarsi ad una architettura diversa.
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Si dovrebbero dunque escludere quegli stili i quali non manifestano una grande copia di elementi estetici. A Roma le maniere del Medio Evo, così
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Ancora l’arte papale non era sorta. Bramante guardava alle forme speciali di Roma antica, e si perdeva nelle ammirabili minuzie di quelle grandezze
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E pure anche l’architettura del Bramante è in Roma un poco secca e monotona. Castigata nel pensiero, sempre tranquilla nelle masse e sempre misurata
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: e in ogni cosa lo spirito vero di Roma, ma della Roma dei Papi.
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Ora la Roma papale è morta. Bisogna inaugurare l’arte della Roma italiana.
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’allora, trasformando lo stile della Roma antica in un nuovo organismo e in una nuova estetica, senza rompere per ciò il libero legame della tradizione
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Firenze, i mosaichetti di Roma, le lave e i coralli di Napoli, i pizzi di Burano sono industrie, che possono essere o possono diventare floride
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amico dottor Giambattista Ricciardi: Sonate le campane, che finalmente, dopo tant'anni di stanza in Roma e di una strascinata speranza ripiena di
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di mostrarlo con le parole che un imperatore di Roma, quello di cui la statua equestre si vede all’alto del Campidoglio, scriveva più di
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Più scorretta, ma più animosa è la modellatura del Nerone, che il fiorentino Gallori mandò da Roma a Firenze per saggio della sua pensione accademica
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La fortuna dei Francesi in questo è lo studio ben fatto delle cose antiche. Quella loro Accademia di Roma, che non giova punto nè ai pittori, nè agli
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Roma, a Parigi, senza avere trovato fino ad oggi niente delle fattezze di una pittura russa, e il suo migliore artista, il Remiradsky, ha nel pennello
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dietro sta il genietto di Roma, incoronato di foglie di quercia. Tiene ritti con la mano destra i fasci e la scure, che poggiano a terra; ha l’altra mano
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Il Cammarano di Napoli ha mandato da Roma, dove abita, il più vasto quadro della Esposizione, dipinto in quel suo modo animoso, che è insieme
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Venezia e di Roma, anzi ha voluto insistere su codesto fatto transitorio della schiavitù di due provincie italiane, le quali il Cavour s’apprestava a
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Questi eroismi di Roma non garbano troppo all’indole degli artisti napoletani, filosofica e insieme studiatrice meticolosa della realtà. Per
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Vittorio Emanuele, venendo dalla sua reggia di Roma, andò a inaugurare a Torino, pare compiacersi invece nell’attitudine abietta e nella nudità lasciva.
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Dalla sua Roma, non potendo starci, si faceva mandare una certa ricotta e le verdure, che tentava di riprodurre nel suo orticello di Via Moscova; e
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Esclamava: «Ho bisogno dei campi per essere felice; ho bisogno di Roma per essere artista!»
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A Roma aveva passato più di venti anni: sono Romani il suo figlio e la sua figliuola, l’Ismaele, l’Audace, la Sposa. A Roma diventò uomo e artista
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Aveva ventidue anni quando la sorella e il cognato lo mandarono a Roma. Egli accettava dai cari parenti restìo e a spizzico. Trovò a Roma il Rossetti
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, che si potrebbe paragonare in musica alla fiacchezza di una successione di quinte; poi il braccio sinistro del genietto di Roma con la mano fermata
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diventare regina in Roma: aveva quell’aspetto, quel fare, che corrispondono alla sua vita laboriosa e modesta, la quale noi leggiamo nei libri, ed agli
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dello scultore toscano. Il Granduca aveva una vasca o tazza immensa di porfido, che, tolta da Roma imperiale all’Egitto, fu poi da papa Clemente VII
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Placida e serena viene poi Roma papale. È la figura di un uomo giovine, delicato, umile, coperto del manto sacro in pieghe dritte e simmetriche
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mossa e nel tipo a quello che nel Piede della Tazza figura il Genio di Roma pagana; il Genio di Roma nel gruppo dell'Indipendenza è simile in tutto a
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Il Borro a Roma, da giovine, modellò una Storia del Vangelo con grande quantità di figure in bassissimo aggetto, ma tanto bene disegnate e tanto
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, lombardo, che da molti anni è stabilito in Roma, il quale non ha forse dato alla sua Schiava meno di trenta sorelle identiche, nè alla sua Esmeralda meno di
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viaggiava col Salaino e con altri scolari: Partii da Milano,per Roma addì 24 di settembre (1514) con Giovanni (forse il Beltraffio), Franciescho Melzo, Salai
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