! — Che c'è ancora? — Chi è che fa tum tum, tum tum? La mamma sorrise: — E il mio cuore. Ma ora dormi e tutto passerà. Me lo prometti? — Cipí! — rispose
facevano ala al suo passaggio, si fermò un momento e rispose: — Il signore della notte da piú di mille anni è mio amico, egli riceve e conserva i miei
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Dio mio... muoio...! — mormoravano le farfallette svegliandosi dal lungo sonno, e per scappare scivolavano le une sulle altre e correvano in cerca di
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. — Mamí!... aiuto! Mamí!... — gridò con tutta la voce e sbatteva le ali per risalire. La mamma volò sul camino e lo chiamò disperata: — Mio Cipí, dove
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che l'aveva riconosciuto: — Mio piccolo Cipí, vola, vieni qui! — e apriva le ali per insegnargli a volare. — Vola, vola, Cipí, vola dalla tua Mamí
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come noi! — Si è fermato! — osservò la passeretta. — Punta il tubo luccicante verso noi! - esclamò un passero pieno di paura. — Dio mio, cosa fa
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col becco e la trasse fuori: — Io ti porto via, a vedere i miei piccini... sono tre, meravigliosi! — Lasciami, ti prego, mio caro Cipí... ormai è
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entrare. — Dio mio, — gemeva Passeri, — ora si fanno prendere. E Cipí gridava: — Entrate uno alla volta, non tutti assieme! Attenti! Ma i passeri
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un boccone giallo che pareva dire: son qui per voi, non scendete? — L'ho visto prima io... è mio! — disse Chiccolaggiú planando sul cortile. Ma Cipí
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felicità, e non tornano più... Mi ha detto tante parole belle per farmi coraggio, ma il mio cuore è a pezzi e non so darmi pace. «In cerca della
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titubante sopra un comignolo. La mamma frugava in ogni buco e intanto piangeva sommessa: — Mio piccolo tesoro, se mi senti... se sei ancora vivo... vieni
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parole buone che diedero un po' di pace al mio cuore? Se è un assassino, perché non uccide anche me? — È vero! — dissero a destra. — Ti rispetta perché
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finirò molto prima il tuo ritratto del suo. — Credo di capire, — disse il Sultano. — Nessuno e nulla impedirebbe, naturalmente, che finito il mio
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sconosciuta, guardando il pittore. Gentile si fermò, incerto. — Chi sei? — chiese. — Il mio nome è Shuade, signore, e sono tua serva. Il nostro luminoso
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momento degli occhi, amico mio? — Lí va lo sguardo dell'uomo, o potente, — rispose Gentile. — E lí corre la mano del pittore. Come potrò vederli e
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tante figure sui libri che il burban, mio padre, mi ha donato. Possiedo quasi cento libri, e molti sono colorati, e non c'è una sola figura che io non
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dallo sguardo prezioso e forte che il mio signore mi dona... Era uno sguardo infinitamente ladro. Tacque di nuovo. Ora Gentile non guardava piú il
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. Gentile si leccò le labbra. — Vinto dal desiderio di portare nel mio paese un'immagine della tua perfezione, ho corrotto certi uomini del Palazzo, — disse
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, senza smentite possibili, la sua condanna. Maometto, tacendo, tornò a guardare la favorita. — Mio signore ed amore, — riprese lei, con impeto nuovo
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, invecchiata. Quello che questa notte è accaduto mi segna l'anima e il volto, aggiunge piaghe d'ombra al mio corpo e al mio cuore. Oggi, amato, la mia
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il buon viaggio e ti benediremo, se sapremo il tuo nome. Io sono Filippo Lippi, e il mio compagno è Diamante del Carmine, e siamo fiorentini. Sulla
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mio, — disse Diamante, arrivando con passo affannato a toccargli il braccio. — Buon Filippo, non era dall'altra parte che stavamo andando? — Prima sì
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diceva, in quest'opera si decide il mio valore, occorre infine mettere alla fatica ogni forza, destrezza e fede: sperando in piú nel tuo generoso
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dall'indicarti io stessa quella che tu hai preferito... — Assai bene facesti a non parlare, madre Pia, — disse compunto il frate. — Così il mio sguardo
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mi perdoni Iddio, perché non ti volti a guardare ogni donna, come sempre fai, a tua gran colpa. — Una malattia forse ce l'ho, mio buon fratello
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devi sapere che, come molti del mio mestiere, io sono assai portato a parlare durante l'opera... Di solito discuto con i miei compagni, giacché è
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provvedevano a quel lavoro, il burban fece chiamare il pittore, e cosí parlò: — Ti ho chiamato nella mia casa per fare a mio figlio un dono insolito... Ora
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la piú anziana delle servitrici. — Alika! Corri a chiamare mio padre! — disse il bambino. — Non stai bene, mio piccolo signore? — chiese la donna
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: perciò rispose di essere molto impegnato e di non poter accettare l'onore di quell'invito. — Ganuan, il burban mio signore, — disse il capoterra
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della pittura. Io li maneggio con molta attenzione, ma forse non abbastanza per la sua delicatezza. — Non temerlo, amico mio, — rispose il burban, — non
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splendida idea. — Nemmeno il burban di Ankara ha un prato in casa! — disse. Poi Madurer si addormentò. — Amico mio, quanto tempo occorrerà per dipingere
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respirava profondamente. — Oh! Mio padre lo sa? — disse, senza abbassare lo sguardo. — Sí, Madurer. Sono qui, — disse il burban a bassa voce. Anche lui
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silenziosi. Quando se ne furono andati, il burban chiamò Sakumat e disse: — Amico mio, la speranza si perde. Costretti alla sincerità, i medici hanno
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ancora sui nostri paesaggi. Dobbiamo aggiungere il resto della vita. Il burban tacque, guardando il figlio. — Forse non mi spiego bene, padre mio
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16. Quando Madurer fu morto, e la casa e il villaggio ebbero pianto per molti giorni, il burban chiamò Sakumat. — Ora sei mio fratello, — disse, — la
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leggende antiche. — Non ti inquietare, mastro Domenico, — sorrise il pittore. — Sono solo ubbie da chierico... Dimmi invece come proseguirà il mio
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cornice alle tue stanze. Madurer tornò a guardare Sakumat, questa volta un poco piú a lungo. Poi baciò ancora la mano del padre, e disse: — Padre mio
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. Il Doge tacque. Senza guardare il fratello, Giovanni prese la parola. — Illustre Signore, e voi nobili Anziani, non mi occorre consultare mio
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questo, dopo la parata di oggi, il mio vero e fraterno benvenuto. Gentile goffamente apri le braccia, in un vago gesto di ringraziamento e accoglienza
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i miei consiglieri, giacché la fama dei pittori veneziani valica il mare, come quella della bellezza della vostra città... Ma è il momento, mio
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