Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Doveri dell'uomo

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Mazzini, Giuseppe 17 occorrenze

, ogni transazione codarda, ogni ipocrisia di capi che cercano maneggiarsi fra i due ; sulla via del primo, voi m'avrete, finché io vivo. E perché

Io voglio parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come il core mi detta, delle cose più sante, che noi conosciamo, di Dio, dell'umanità, della

materialismo. Storia di dolore e di sangue. Io li ho veduti gli uomini che negavano Dio, religione, virtù, dovere e sacrificio, e parlavano in nome del diritto

. Santificate la Famiglia nell'unità dell'amore. Fatene come un Tempio dal quale possiate congiunti sacrificare alla Patria. Io non so se sarete felici; ma

immorale individualismo, hanno detto che l'io è tutto e che il lavoro umano e l'ordinamento sociale non devono tendere che al sodisfacimento dei suoi

di ciò che io chiamai istruzione, perché l' istruzione tende infatti a dare facilità di sviluppo, senza norma generale, alle facoltà individuali: la

Dio mi presta ancora qualche anno di vita, io lo farò separatamente e con amore per voi. Intanto, abbiate certezza che l'indicazione di quelle norme

, ha un'ombra di mestizia stesa sull'anima, un vuoto che nulla riempie nel core! ed io che scrivo per voi queste pagine, lo so. Benedite Iddio che

; tutto il mio lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso, doveri, fratellanza umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi ed io

PRELIMINARI Io v'ho detto: voi avete vita; dunque avete una legge di vita... Svilupparsi, agire, vivere secondo la legge di vita, è il primo, anzi

la questione di miseria intorno alla quale io vi parlo, né tengono conto alcuno del dovere sociale. Pochissimi tra voi possono economizzare quel

parole di Gesù or citate, un uomo Italiano, il più grande fra gl'Italiani che io mi conosca, scriveva le verità seguenti: ?Dio è uno; l'Universo è un

repubblicano. In Francia, il primo effetto di quella diffidenza e di quel terrore fu il più facile colpo di Stato. Io non posso esaminare con voi ad uno ad

umano. Siatelo dove potete e come potete. Né Dio né gli uomini possono esigere più da voi. Ma io vi dico che facendovi tali - facendovi tali, dov'altro

, profondo, nella società com'è in oggi ordinata. E il mio lavoro sarebbe inutile s'io non definissi quel vizio e non v'additassi la via di correggerlo. La

segni sotto i quali v'ordinate a lavorare per l'Umanità. Non dite: io , dite: noi. La Patria s'incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi, si senta, si

corrotti a splendere, circondato d'un culto più puro, più fervido e più ragionevole. Io dunque non vi parlo di Dio per dimostrarvene l'esistenza, o per

USI,COSTUMI E PREGIUDIZI DEL POPOLO DI ROMA

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Zanazzo, Giggi 33 occorrenze

"Giù-’n-cantina ar fresco!": Voce del Giuncataio: Giuncatiua fresca. "L’ammazzo io! l’ammazzo io!": del Caciaio: La marzolina! ecc. "L’assel’annà’! L

Il giuoco delle Bócce, essendo comunissimo perchè conosciuto in tutte le provincie d’Italia, non occorre che io qui lo riporti. Non so nemmeno se il

5. Io cammino e ddico el vero Finchè sso’ ssano e ssíncèro. Ma ssi mme viè’ una mmalatia, Io ve dico una bbucìa. Ma si un medico valente Trovo che

Pe’ ’sto ggiòco, vvedi in de ’sto medemo libbro le: Regole p’er giôco de la Passatella. Prima che io le spubbricassi, a Roma, se diceva che ’ste

Me l’aricordo puro io. ’Sto felomeno che dda tanto tempo nun succedeva ppiù è aricacchiato prima der 20 settembre der 1870, e ppuro fino a quarche

Scherzo che fra due ragazzi il piú furbo fa all’altro, dicendogli: Io dico mi’ padre è ggale 1; tu dì mi’ padre è gale 2, infino a 8. E proseguono

portaste. Pe’ quella Croce, per quelle piaghe, Pe’ le pene da voi provate, Ve prego, Sant’Elena mia, De famme la grazzia che cchiedo io". E ppoi se dice un

. Eppuro io de ’sti scrivani n’ho cconosciuti certi che a fforza da scrive’ lettre, hanno fatto furtuna; sso’ aritornati ar paesé co’ quarche mmijaro de

de Roma. Le faceveno sopra ’na specie de parcoscèno, co’ ccerti pupazzi de céra arti ar naturale, che ppareveno ômmini come che nnoi. Io, in quer

, mai mai puro quarche àsola ar corpétto. Ne so’ ssuccessi tanti de ’sti casi! E giacchè ssemo sur discorso der vino, io dico che in gnisuna parte der

ccresceva. 13. Io ciò un ago puntuto puntuto Ch’ha ccucito un cappello di felpo felputo. Felputo me, felputo te: Chi sarà stato quel baron felputo Ch’ha

. E pperché: annatejelo a ddomannà. R. Si nu’ lo sa lui, come volete che lo sappi io? ecc. E così l’una insiste coi pèrché, e l’altra se ne schermisce

: O bbeve er tale o bbevo io. Si er Sótto nun è ppratico, o nun vô fa ddispetto ar Padrone, concede la bbevuta a quer tale; ma pperò, guasi sempre, er

cche io incora me l’aricordo. Er più gran stradone che ddà su la piazza sale infinenta su la cchiesa che stà in arto in arto, vieniva in quer giorno

Papa lo malediva er palazzo Colonna tremava. (L’ho inteso io in persona; perchè dda regazzino ciannavo co’ pparecchi antri regazzi a appoggià’ la mano

’altra risponde: — Cé sto io. — Per chi? — Per una donna. — Che ha fatto? — Figlio maschio. — Com’è llungo? — Come una colonna. — Com’è stretto? — Com

’allagava tutta. Che bber divertimento! La mmatina ce s’annava in carozza, o in carettella. Io m’aricordo d’essece ito co’ mmì’ padre a sguazzà’ in de ll

assai e cche io la proferisco a ttutti l’antri arimèdi è questa. Ammalappéna la cratura è nnata, dàteje pe’ bbocca una góccia de sangue de tartaruga

’osteria, s’incominciava a quistionà’ su la faccenna der trónco, e ppe’ ggelosia, finiva che cce scappava sempre l’ammazzato. Io de ’ste bbaruffe finite cor

finestra, e mmentre annodate un fazzoletto, dite ’sta preghiera: "Un’ora bbatte, un’ora sôna, Io sto ddrento, lui stà ffôra. Vadi a llevante, vadi a

ciarlatano. Si è ômo de talento, nun se sa apprezzà’; sse ne stà aritirato come una lumaca in de la su’ côccia. Vorebbe avécceli io tanti scudi pe

mandolino pizzicato accompagnava li versi che ereno cantati dar poveta improvisatore. Li du’ urtimi improvisatori ppiù bbravi che mme aricordo io, so

pô! Sibbè’ cche cc’è u’ rimedio, che, io che vve parlo, l’ho insegnato a ttante madre, e ttutte m’hanno aringrazziato in ginocchione, m’hanno. E

insurtanno chiunque incontrava. Io me l’aricordo che accusì ffaceveno l’urtimi francesi arimasti a Roma fino guasi ar 1870.

raccolti, ad eccezione del Belli, il quale, nelle note ai suoi immortali Sonetti romaneschi, accenna a diversi di questi giuochi; note che io non ho

popolo; e questi rimedi particolarmente io devo alle donne: poichè la scienza di curare qualsiasi malanno è generalmente riservata ad esse. Confesso il

casa. Prima d’addormisse se diceva er doppio credo, ossia ’gni parola der credo s’aripricava du’ vorte: Io credo, io credo, in Dio padre, in Dio padre

Su le spalle a cchi a cchi? A Ccarlino che sta a ssentì". Io ho scritto Carlino perchè così ha nome l’ultimo dei miei figliuoli; ma il nome si può

’ ddì’ ’ste resìe! La carne che tte do io, è un butiro, una ’giuncata! E ppoi attacca ’sta filastròccola: "’Sta carne è ccome l’arsura, Che ogni bbucio

del servitore. — E ppurcinèlla c’entra? — E li mortacci tua? — Bbù bbù! — ... Onde onoratemi della vostra presenza, ed io saròvvene grato dal più

bbocca ner bicchiere; appuro, com’è in dritto, de bbevesselo tutto. Er Sótto po’ risponne puro: Bbeveró io pe’ vvoi, o risponnenno de no, po’ bbeve puro

spiegatore ha il diritto di rincorrere i compagni e di picchiarli con quella, finchè la mamma non gridi moré moré, il qual grido io credo derivi dal latino

ricorsa e frugata per ciò che ha riguardo all’arte, all’antichità ed alla storia, per le quali il Mondo a Lei si prostra. Io marzo 1907.

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