fare e io mi rendevo conto anche meno di lui di quel che facevo per volontà sua. In rondo ero evidentemente vittima anch'io dell'illusione della sua
e per un puntiglio l'amicizia e la fiducia del principe e che alla fin dei conti io ci facevo una pessima figura. Non riuscii assolutamente a nulla
questo volevo morire. Era una specie di atto d'accusa che facevo contro gli uomini. Il vecchio mi guardava, aspettando che finissi di scrivere. Quando
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portasse fuori da quella mia arida disperazione. Poi non ne facevo niente. Eccomi di nuovo in riva al mare, sdraiato come un cane sulla sabbia umida. Nei
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il padre le accennò che bisognava scrivere. E io trassi il taccuino e il lapis. Ero come sotto un fascino: facevo tutto quello che mi si chiedeva di
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coi capelli neri corti e con un aspetto quasi di zingara. Cominciò subito a guardarmi con diffidenza, poichè io le facevo dei cenni per domandarle che
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misterioso di paura. Mi sembrò che la zia stesse male: forse s'era inquietata nel non vedermi tornare, forse sentiva quello che io facevo, quello che pensavo
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facevo parte dei suoi animali domestici.
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