di Lautrec, di Degas, di Renoir con assai minor mordente, ma con intatta devozione. Per lui quella pittura di cose, diretta, senza altro intento che
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interiore e non rinuncia ad esprimere la sua poesia sulle cose di questo mondo.
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anche nei primi saggi di questa pittura, si articola in un discorso di cose non formalistico, inserendo anche nel giro delle sue scene di vita un
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vengono astratti come cose, o nella «Spiaggia di S. Tropez» 1954 dove lo schema allungato della natura morta giapponese si traduce nello scorcio di una
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della colpa in quel porre uomo e donna nudi in piedi dietro l’angolo di una finestra, questo impegno eccessivo verso le cose e le persone rivela come
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perpetuamente agitate per le molte cose da raccontare. La donna parla, si ferma guardando quasi timorosa, poi ricomincia. Si muove e sta ferma. Quella
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, i braccioli del seggiolone, fanno tutt’uno con i visi dei figli del pittore; le cose assumono la vitalità dei visi e i visi vengono assorbiti dalle
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, esterno e interno, tempo presente e memoria, il molteplice e l’uno, la dinamica dei gesti e la misura frontale delle cose, si compongono nella unità della
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una crisalide, restando della scultura una potenza, che può essere molte cose, ma non parnassiana; le facce a confetto dei gladiatori metafisici e
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ancora concepito umanisticamente, centro delle cose e padrone del mondo. È una nostra convinzione che Moore, oltre ad essere dotato di un eccezionale
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, lo accentuano, fanno delle sculture di Moore dei simboli plastici di vita dentro le cose: è l’uomo con la sua saggezza che vi respira.
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cose presenti, così inequivocabili e al tempo stesso così schive, queste foglie che diventano carne, specchio di un dolore che si fa tenero e come
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, fino al soave e poetico incontro di forme in grigio già affidate e collocate in uno spazio-cielo, in una atmosfera (portar le cose nel loro spazio
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accendere le forme per mezzo di rilevature e solidificazioni, questa aspirazione a incielare le cose della natura e dell’uomo. E prima palese via
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, viaggio ai confini delle cose; in virtù della quale una linea o una campitura bianca assumono forza di analisi; per quella mai uguale conduzione dello
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Ma diventammo amici subito; dissi che Giacometti è un grande scultore, ma lo è proprio per le cose che non è riuscito ancora a dire, per quel senso
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cose come «Frutto aperto» (1946), «La tazza» (1943), «Bicchiere senza gambo» (1945); o un pivi fiducioso discorso con se stesso, appoggiato alle
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forse fatto barbe o «figurine» di gesso per tutta la vita, se non avesse avuto un grande ingegno, una sensibilità eccezionale nel guardare le cose e
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cose vicine e lontane, dal cortile di via Galileo Ferraris a un angolo della cucina, dalla spiaggia dei suoi viaggi domenicali, all’incontro coi
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le piccolissime cose, era capace di far la sera per aspettarci al varco a domandarci «un favore»; non mai per sé, ma per questo o quell’artista di
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spesso per cose grandi e piccole — tutte su uno stesso piano, come si diceva — nascevano dispute, volavano frasi e rampogne; i settant’anni sparivano
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. Riconosco di aver conservato in me qualche parte incorrotta e incorruttibile, quello, probabilmente, che tu dici io sia «in certe cose bambino», ma
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allucinante dei suoi oggetti: ché, sempre, nei quadri di cose del marchigiano è di scena, prepotente, e, si direbbe, esclusivo, il suo sguardo, quel
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netto, di una preistoria mafaiana (quando cioè l’artista nei suoi paesaggi raccoglieva «il vibrare cromatico capace di imprimere vita alle cose
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più caldo e maturo delle luci, da un sentimento generale verso le cose più solidale e non sofisticato.
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le prime opere più «romantiche», legato alla cronaca delle piccole cose, dette del suo «sensibile» una misura così compiuta, del suo «patetico» una
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particolare degli isolati; se cioè non facessimo ancora una volta leva sul nostro modo di vedere le cose da spettatori, o da viaggiatori in casa.
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delle «architetture umane», sempre in codesto limbo stilistico, sempre in una preistoria, nell’epoca in cui, purtroppo, queste stesse cose sono già
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momenti psicologici ritornanti, quando cioè egli cessa di essere allegro per ascoltare o pensare cose che sono serie e basta; e così non si può non
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, le cose andarono diversamente. Se la pittura e la scultura dal 1930 al 1945 si distinguono, laddove si sviluppano fuori del rituale novecentesco
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’oggi. Dario Micacchi, ad esempio, dopo aver detto cose utili a proposito del decadentismo ereditato dalla scuola romana, precisando che «il
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di impasti, una intuizione felice a scegliere per i contorni delle sue figure e delle sue cose nella notte, bordi e aloni di luci: vibrano di un’aria
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realtà di povere cose, oppure se questa realtà sprigioni l’atmosfera come un fumo che sfiata e svetta.
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Queste «macchine di cose» alludono e spesso in una forma singolare, suggestiva, a una figura, diroccata e pensile, aperta a spazialità differenti da
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— si conclude — avrebbero dato la misura di una aggressione dell’uomo sulle cose, ponendo il modo di vedere dell’uomo all’interno della realtà. I
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quella essenzialità plastica di cose e personaggi, città e distanze, dentro lo spazio della memoria, quel gioioso conflitto di forze mentali contro il
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-— dice cose inadeguate e sbagliate: bugie, come messaggio di ribellione all’ordine morale costituito —in quanto alle figure gesticolanti non si lega
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presenze pittoriche; essi esprimevano un «insieme dinamico», di cose private, metà artigiane e metà rurali, quasi che l'artista avesse voluto
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per un vento che è un vento, e lo specchio riflette, aggiunge, ingrandisce, moltiplica dentro un ambiente cose dell’ambiente, senza alcuna altra
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di una pittura da cavalletto o di «cose belle», verso una figurazione libera dalla diretta suggestione del surrealismo, questa mostra a «La Nuova Pesa
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di cose incantate. E non diciamo questo, come talvolta succede in clima di rievocazioni, per gusto dell’effetto: visitando lo studio di Brancusi si
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casa di Hannover, patria dell’artista, e non sapessimo nulla di lui, potremmo immaginare molte cose vere sulla sua personalità, affidandoci
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— perché di questa «leva» artistica si parla — «accettò solo il caso, l’abnorme, il fortuito, l’inversione, l’arbitrio figurativo, come se tutte le cose e
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«cose del vecchio mondo» fu la creazione di un grande «merz» nella sua casa di Hannover, distrutto poi dai nazisti, opera d’arte espansa da ambiente ad
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varia. Le sue «miniature», come le chiama Konrad Rothel sono effettivamente «tra le cose più belle» che egli abbia eseguito dopo il 1956, ma non ci
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cose, non dei «fantasmi»: è tuttavia palese — se pure raramente coronato da successo — lo sforzo di Lardera di mettere il giuoco al servizio della
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, attinti dalla classicità». Sicché le «cose dipinte» si svuotavano man mano delle loro immagini, assumevano equivalenze e interdipendenze formali così
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