Osservava, infine, che nessuna responsabilità per evizione era invocabile nei confronti della Solfaroli Camillocci, risultata “venditrice del fondo nello stato di fatto e di possesso noto agli acquirenti”.
Quanto alla effettiva appartenenza del bene controverso agli Stecconi, il tribunale l’ha nettamente esclusa sul duplice rilievo: primo, che la loro dante causa (la Solfaroli Camillocci) non si era mai dichiarata proprietaria del bene medesimo, il quale, d’altra parte, non era nemmeno risultato aver formato oggetto del contratto del 30 ottobre 1974, per notar Trecco, relativo a una vendita “a corpo e non a misura” di un seminativo arborato, il cui possesso era già stato dato agli acquirenti Stecconi “nello stato di fatto e di diritto” in cui l’immobile si trovava; secondo, che una usucapione del bene in contesa, maturatasi in favore dei danti causa degli attori, sia pure attraverso un possesso esercitato in loro nome, non poteva essere ritenuta dal possesso del fondo venduto essendo rimasta esclusa, almeno dal 1937, la baracca sin da allora occupata dal Teobaldo Ferrini con il terreno circostante (id est, il bene controverso), recintato già a memoria dei testi assunti: Angelo e Domenico Di Maio. Trattasi di un apprezzamento di fatto, incensurabile in sedi di legittimità siccome correttamente e coerentemente motivato.
Accademia della crusca
