Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: accartocciato

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La Stampa

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AA. VV. 1 occorrenze

I due macchinisti si sono rialzati e sono andati verso il treno rovesciato a terra, tutto straziato, accartocciato. E hanno tirato le pietre contro i finestrini, contro quel silenzio, contro quell'orrore. Guarda, ha fatto uno dei due, indicando il selciato alla loro sinistra. C'era un corpo distrutto, fatto a pezzi. Poi hanno sentito arrivare dei rantoli, dei lamenti, hanno sentito tornare la vita dentro quel treno e fuori da quel treno, attorno a lui. Allora, hanno cominciato a rompere i vetri, per liberare la gente e salvare i feriti, e sono entrati in quei vagoni dai finestrini spezzati, e la prima cosa che hanno visto è un corpo segato in due, e dice il macchinista che «sembrava una poltrona». Come se la morte ci rendesse cose, oggetti, altro comunque da quel che siamo. Sul posto, segnato da un pilone con il numero 20, sono corsi altri ferrovieri, mentre la nebbia scendeva ancora più bassa. Hanno tirato fuori i morti dalle lamiere sventrate, dalla carrozza aperta, squarciata. I due macchinisti, due agenti della Polfer, una hostess e tre passeggeri. I feriti sono tutti nei primi 4 vagoni. C'erano 157 posti prenotati, più altri 50 passeggeri senza prenotazione. Sul treno, c'era anche l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che stava pranzando, nella quinta carrozza. Illeso. C'era solo un po' di foschia, alle 13,26. Nella sala comandi il quadro s'è fermato, così come è ora, ed è rimasta solo quella linea rossa accesa, quel segmento immobile, vicino a un numero 20 che lampeggia. È il Pendolino, quella linea, è questo mondo capovolto sulla strada di Piacenza. La nebbia è scesa solo adesso. E c'è uno scenario di tenebre che viene fuori da questo manto grigio, da questa cappa, e sbuca come un'ossessione, fra il ruotare dei lampeggianti e l'urlo delle sirene. Quel treno straziato, sventrato, aperto davanti a noi, è come se parlasse del suo dolore, della sua vita perfetta che si è schiantata all'improvviso. Strano come la morte avvicini le cose agli uomini. Nella neve indurita, conservata dal freddo polare, lungo i binari storti e le curve che inseguono ellissi quasi delicate, basta ripercorrere il treno, le sue nove carrozze tutte stracciate, per rivedere la scena del disastro ed ascoltare la tragedia. L'ultimo dei vagoni, il nono, è l'unico intatto, e sta là in fondo, dove è successo tutto. Bisogna fare 300 metri affondando nella neve, arrivare sotto il ponte della bretella autostradale, 200 metri dopo il Po. Venendo dalla stazione, sulla sinistra del Pendolino c'è un binario accartocciato come se le grandi mani di Giove l'avessero stritolato per gioco, quasi fossero semplici bastoni di liquirizia. Poi, c'è un primo palo abbattuto, subito dopo il cavalcavia. Impressione terribile: se l'incidente fosse avvenuto un attimo prima, e neanche 10 metri prima, poteva essere una strage dalle proporzioni inaudite. Il Pendolino avrebbe sbattuto contro i pilastri che sorreggono il ponte della bretella, sommando disgrazia a disgrazia. Da lì in avanti è una teoria di pali abbattuti, divelti, schiacciati. L'ottava carrozza è ancora sul binario, ma infilata dentro la settima, che è già piegata fuori dalle corsie. La sesta è rovesciata contro la quinta, e poi le altre sono tutte capovolte, distrutte. Raccontano alcuni testimoni che il treno non andava tanto veloce (forse 95 all'ora, avrebbe testimoniato la scatola nera), ma che ha frenato lo stesso di botto. Per questo, una delle prime ipotesi fatte era stata quella di un gesto insensato, come il lancio delle pietre. Il capitano dei carabinieri che allontana i cronisti dal cavalcavia giura che non hanno visto sassi, e nessun altro li ha visti. No, è una tragedia dell'impossibile, dice. Forse, una causa tecnica. La rottura del sistema di trasmissione dal motore al carrello, oppure del sistema di pendolamento, quello che regola l'inclinazione del treno nelle curve. Eppure, qualunque errore pare incredibile, come se non avesse potuto da solo provocare un disastro simile. Il manovratore Salvatore Marullo e il tecnico Leonardo Martorano si dilungano a spiegare che in quella curva il Pendolino corre a 95, massimo 105 all'ora, che 100 metri prima andava a 200, che i meccanismi di frenata sono due, elettrico e meccanico. Che questo Botticelli era un gioiello, dicono. Era un gioiello, già, lo diceva anche Nicola, il macchinista. Adesso è aperto come una scatola di tonno, come per una autopsia tecnologica, con le sue poltroncine grigie con la banda blu e quella fila di lumini che risplendono come stelle di Natale. È l'unica cosa che esiste ancora, l'ultimo segno di questo mondo capovolto, di questo treno rovesciato verso i! cielo. Degli uomini che c'erano, alcuni sono finiti così, in mezzo a una corsa che è diventata folle. Sono spariti. Dalla nebbia, escono solo due ciminiere.

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