Con il che la Consulta dimostra di accantonare l'idea del bilanciamento ineguale tra diritti e risorse, in quanto, per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario, viene totalmente negato il diritto di azione in giudizio dei ricorrenti nel processo principale e il principio di eguaglianza che essa stessa accerta essere stato violato. Tuttavia, è pur vero che diversi elementi della pronuncia inducono a pensare che si tratti di un caso isolato più che di un vero e proprio "revirement".
Il Consiglio di Stato afferma che, nell'attuale quadro normativo, occorre considerare individualmente le offerte di egual valore che si pongano all'interno della fascia del 10% delle offerte da accantonare. Al contempo, la decisione ribadisce che i ribassi identici, "a cavallo" delle ali, devono essere considerati unitariamente, con conseguente possibilità di superare il limite del 10% delle offerte, stabilito dall'art. 86, comma 1, D.Lgs. n. 163/2006.
Nel dirimere controversie alimentate da condotte gravemente antisociali, i giudici civili potrebbero accantonare la tradizionale ritrosia all'esercizio esplicito dei poteri sanzionatori attribuiti loro dalla legge. La Terza Sezione della Corte di cassazione, con sent. n. 1126 del 22 gennaio 2015, ha sostenuto che la quantificazione del danno non patrimoniale deve riflettere (anche) la "gravità dell'offesa", da intendersi non già come intensità della sofferenza (soggettiva) ma come (oggettiva) intollerabilità giuridica del fatto illecito. Un'apertura così netta alla sanzione civile, benché non sorretta da motivazioni limpidissime, agita vecchie questioni in seno all'illecito aquiliano e ne solleva di nuove: su tutte, se il rimedio sia azionabile anche in assenza di danni-conseguenza e quali siano i parametri adatti a conferire oggettivo rilievo alla distanza dal limite del giuridicamente tollerabile.