In caso di diniego di agevolazioni fiscali per mancato accantonamento in un apposito fondo del passivo, poiché, secondo la Corte di cassazione, è ammessa la prova che l'erroneo accantonamento non ha fatto venir meno i presupposti per godere del beneficio tributario, è importante capire quali possono essere, in concreto, le effettive possibilità di fornire dimostrazioni idonee a superare l'inosservanza di una condizione di legge che, secondo la Suprema Corte, ha non solo espressa rilevanza rispetto agli obiettivi che la norma premiale si prefigge, ma è anche un elemento sufficiente per negare il titolo all'esenzione, senza che sia necessaria un'ulteriore indagine accertativa.
In mancanza, a parere della stessa Agenzia, viene meno la deducibilità del relativo accantonamento che non potrà che avvenire all'atto del pagamento dell'indennità medesima. Le argomentazioni dell'Amministrazione finanziaria non sono convincenti. L'atto avente data certa, che ha natura chiaramente antielusiva, è infatti richiesto quale condizione per poter assoggettare l'indennità dovuta agli amministratori allo speciale regime della tassazione separata e non certamente ai fini della deduzione delle relative quote annuali dal reddito d'impresa.
Nel presente lavoro vengono esaminati i diversi profili di rilevanza reddituale di tale vicenda, partendo, dunque, dalla "fase iniziale" di accantonamento delle quote di trattamento di fine mandato, per poi giungere alla "successiva fase" di investimento di tali accantonamenti in strumenti assicurativi, distinguendo il caso in cui il beneficiario della prestazione assicurativa sia direttamente l'amministratore, dal caso in cui il beneficiario sia, invece, la stessa società contraente.