Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La Stampa

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AA. VV. 9 occorrenze

Le palazzine scelte dalla delegazione italiana sono situate accanto a squadre tranquille come S. Marino e Corea per evitare le allegrie del passato quando i vicini erano caraibici

Ieri sono arrivate decine di telefonate: «Se non ci saranno intoppi burocratici - osservano gli amici - il nostro "Baffo" potrà essere sepolto accanto ai suoi genitori».

La squadra dovrebbe essere quella di Cesena, con il dubbio Thuram estemo destro o centrale: nel primo caso giocherà Ferrara accanto a Legrottaglie, nel secondo Birindelh a destra. Per il resto promozione a pieni voti per Olivera come vice Camoranesi e Zambrotta che avanza a centrocampo lasciando il posto a Pessotto in difesa. I preliminari non scuoteranno i tifosi, la Juve prevede poco pubblico e chiuderà il terzo anello del Delle Alpi. I biglietti sono in prevendita da stamane nelle ricevitorie della Lottomatica, domani cancelli aperti alle 19, due ore prima dell'inizio che per esigenze di palinsesto di Canale 5 è stato spostato alle 21. Prezzi molto popolari: 10 euro le curve e il settore Est, 15 l'Ovest 1° livello, 25 le poltroncine blu. II Djurgarden che ha eliminato il Kaunas (0-0 in casa, 2-0 in Lituania) arriva stamane portandosi appresso una scia di polemiche. In campionato stenta parecchio, sabato nell'anticipo della 15" giornata la formazione di Stoccolma ha pareggiato 1-1 in casa con il Landskrona, penultimo in classifica. La squadra allenata da Jonevret è settima in graduatoria con 18 punti, a 12 lunghezze dalla capolista Halmdstad. Capello ha fatto osservare il Djurgarden da Corradini nella trasferta lituana. Rapporto: squadra dì non eccelsa levatura, ma robusta. A Kaunas ha dimostrato dì avere una difesa arcigna. Il passo falso di sabato si spiega anche con il fatto che l'allenatore ha tenuto a riposo alcuni titolari in vista della Champions. Giocatori di maggior spicco della squadra svedese sono due centrocamposti: Andreas Johansson e Abgar Barsom, quest'ultimo ha una passione per il Napoli. C'è anche un giocatore che conosce l'Italia: si tratta del difensore Johan Arneng che ha vinto il campionato Primavera con l'Empoli. A Stoccolma credono nell'impresa della vita e saranno oltre 1000 i tifosi presentì domani sera al Delle Alpi. Sarebbero stati il doppio se avessero reperito gli aerei per il viaggio della speranza. C'è un curioso precedente fra le due squadre. La Juve allenata dal Trap affrontò il Djurgarden nel primo triangolare da 45' della storia. Dalla sfida con gli avversari di domani ì bianconeri uscirono sconfitti per 0-1.

Ma non sono mancate le notizie, alcune clamorose Come l'annunciato divorzio tra la BAR e Jenson Button, intenzionato a passare nel 2005 alla Williams, per correre accanto all'australiano Mark Webber. Ieri si sono incontrati il ventiquattrenne pilota inglese e il manager della squadra di Brackley, David Richards. Il driver, al termine della riunione ha detto: «È stato un meeting costruttivo. Ribadisco che voghe andare alla Williams. Non per soldi. Ritengo sia la scelta migliore per puntare al titolo mondiale, l'obiettivo della mia carriera». Per il momento la BAR non ha replicato, ma pare essere intenzionata a adire alle vie legali, anche se evidentemente Button per agire così deve avere trovato qualche piega nel contratto che gli consente di liberarsi. A questo punto, forse è meglio lasciarsi. Jenson ha promesso il massimo impegno nelle sei gare ancora da disputare. Ma con quale sostegno da parte della sua ormai ex-squadra? La Honda, fornitrice non solo dei motori ma anche di tecnologia e di uomini, non deve avere gradito. Ed è per questo motivo che Richards avrebbe intavolato immediate trattative con Mike Hakkinen, intenzionato a ritornare alle corse, dopo stagioni sabbatiche, come a suo tempo fecero Lauda, Prost e anche Alan Jones, tutti e tre campioni del mondo. Di sicuro la situazione è strana, per gli avversari della Ferrari. Alla McLaren c'è solo Raikkonen col coltello fra i denti; Coulthard è impegnato a cercarsi un posto per il prossimo anno. Montoya gareggia per la Williams ma è già della McLaren, Button non troverà un clima disteso in squadra; Trulli (Toyota o BAR, si saprà a breve) esce dalla Renault che ovviamente punta su Alonso. La Toyota ha sostituito Da Matta con il test-driver Riccardo Zonta; la Williams in assenza forzata dì Ralf Schumacher (anche luì comunque già accasato con la squadra giapponese) continua con Pizzonia. Insomma non c'è grande serenità nell'ambiente. Ma è chiaro che un pilota vorrebbe sempre fare il possibile per mettersi in evidenza, magari per farsi rimpiangere. Sempre che la sua squadra lo metta nelle condizioni migliori per battersi.

Accanto alla Ganassi che, oltre alla coloratura di forza, sa cogliere anche i lati umani di Elisabetta e, in particolare, la straordinaria dolcezza dell'ultima aria, molto bene hanno fatto Mariola Cantarero (Matilde), Antonino Siragusa (Norfolc) Bruce Sledge (Leicester): tutti sono apparsi consapevoli delle esigenze stilistiche imposte dal belcanto rossiniano, e accumunati, alla fine, da applausi scroscianti.

Qui c'è l'angolo dove si svolgeranno le conferenze stampa di apertura e chiusura e quelle dei medagliati, accanto quello accogliente dove la Città di Torino, fra le 19 e le 22, offrirà aperitivi a base dei suoi famosi vermut. Il ristorante poi sarà in grado di sfornare dai 500 ai 700 pasti al giorno, dice Zambernardi, un pranzo e due turni di cena: per questo bisognerà prenotare, saranno bene accetti tutti gli atleti, i dirigenti federali, del Cio, autorità regionali e comunali. A Casa Italia ci sarà anche un piccolo studio della Rai per celebrare eventuali trionfi azzurri perché, è bene ricordarlo, questa è soprattutto la casa degli azzurri, che con le loro imprese rendano più bella l'iniziativa. Imprese o storie, perché ce ne sono di belle anche se non vittoriose, e qui possono riviverle, raccontarle. La Città di Roma avrà un suo stand per la promozione del suo sport, della sua moda, del suo turismo: non mancherà il sindaco Walter Veltroni, che terrà una conferenza stampa il 13 agosto e verrà anche la sua vice, Mariapia Garavaglia. Altaroma - l'agenzia per la moda - organizzerà anche una sfilata, Il tutto si intitolerà «Futuro di un grande passato». Il ministero delle Politiche agricole, poi, presenterà il progetto Buonitalia, a supporto dell'agroalimentare italiano (atteso, fra gli altri il ministro Alemanno) e anche quello dell'Ambiente avrà un suo stand. L'ospite Torino 2006 avrà lo spazio maggiore per illustrare tutte le sue iniziative. A sorvegliare e disciplinare l'andirivieni di autorità e Vip, Alessia Balbetti della MKA, maestra di cerimonie di tante Case Italia e del concorso ippico di Piazza di Siena. Le serate saranno allietate da spettacoli musicali. Il successo di Casa Italia appare scontato. Per cui non si dimentichi chi è invitato: occorre la prenotazione.

Lo spiega molto bene il co-fondatore Conte allorché racconta come su quel termine, «mitomodemismo», si sia accanto il solito coro; «i vili, gli ipocriti, i paraculi, i conformisti, gli zombi». Tutti a boicottare le tesi mitomoderniste, tutti d'accordo a soffocare il non soffocabile. Anche perché, malgrado il complotto dei vili, degli zombie e dei paraculi, almeno un risultato la misconosciuta e sabotata rivoluzione mitomodernista l'ha ottenuto. Questo, ben raccontato dal co-fondatore Stefano Zecchi: «se il movimento non è riuscito a imporsi, le idee si sono fatte strada. Il mio volume, L'artista armato è diventato un Oscar best seller della Mondatori». Ecco, alla faccia dei vili che complottarono contro il mitomodernismo senza che nemmeno gli italiani se ne accorgessero. BAMBINATE. Che c'entra? C'entra, c'entra. Con comprensibile indignazione, Lidia Bavera bolla con parole di fuoco l'osceno traffico di bambini e bambine venduti in Italia con tanto di listino prezzi. Poi però, nel furore della pur serrata argomentazione, la scrittrice introduce un elemento di gravità straordinariamente minore, una bega tra letterate, un conflitto tra nomi eccellenti della letteratura. Tutto ha un prezzo in questo sistema, sostiene infatti la Ravera, tanto che «se i tuoi libri godono d'un folto gruppo di lettori, l'editore caccia un anticipo più alto e tu sei un "più grande scrittore" (vedasi il settimanale Panorama che diploma così Margaret Mazzantini)». Che c'entra la povera (non nel senso degli anticipi editoriali) Mazzantini con l'immonda tratta dei bambini? Niente. Però c'entra. Non si sa bene perché, ma c'entra. Chissà. PREGIUDIZIO. L'accecamento ideologico e la furia manichea fanno smarrire molto spesso il senso di realtà, ma anche lasciano che si dissolva l'elementare rispetto per i fatti, l'aderenza alle cose minime, la mera concatenazione oggettiva degli accadimenti. Sul Riformista Dimitri Buffa scrive al direttore: «Il Manifesto di oggi pubblica la foto di una donna israeliana che piange per la propria casa distrutta da un missile kassam dei palestinesi», E dunque? E dunque, è il passaggio decisivo quello che spiega tutto: «però nella didascalia scrive: “Gli effetti devastanti dell'ultimo raid israeliano nei territori occupati”». La vittima diventa carnefice e viceversa. Non il racconto dei fatti, ma la solita, indistruttibile vocazione a separare i buoni dai cattivi anche se nella foto - i cattivi sono i buoni e i buoni sono i cattivi. Peccato. OSSESSIONE. La veemenza della contrapposizione ideologica, inoltre, tende a far adottare comportamenti identici a quelli deplorati in precedenza in circostanze diverse. Massimo Cacciari, per esempio, è sempre stato un fiero avversario della caccia alle streghe che assume a bersaglio i «cattivi maestri». Eppure, intervistato da Repubblica a proposito del modo discutibile con cui le forze di sicurezza negli aeroporti italiani trattano la gente di colore; non entra nel merito della questione ma se la prende all'improvviso con «illustri scrittori come Oriana Fallaci, commentatori come Baget Bozzo, insigni editorialisti di grandi giornali» . E poi, non pago, auspica editoria i «contro la Fallaci e Baget Bozzo, non contro i doganieri di Venezia». Una fissazione, una mania, una guerra contro i presunti «cattivi maestri». Ieri la crociata contro i «cattivi maestri» non si doveva fare. Oggi sì. Ecco. CORRENTONE. Un dubbio assale il lettore dell'intervista che sul Corriere della Sera il sindaco cosentino Eva Catizone ha rilasciato a Dino Martirano sul noto affaire politico-amoroso che ha surriscaldato le cronache dell'estate. La Catizone dice infatti: «penso che un partito guidato da un presidente riformista come Massimo D'Alema non si esprimerà in modo negativo». In che senso? Che diavolo c'entra il riformista D'Alema con questa storia? Il privato è politico.

Qualcosa del suo pensiero i sei milioni di turkmeni lo hanno già imparato: perché il libro è depositato in tutte le moschee accanto al Corano che, poveretto, sfigura un po' a fianco di quella enciclopedia. Ogni giorno negli uffici pubblici una sosta provvidenziale consente a riverenti impiegati e funzionari di ripetere ampi stralci dell'opera. Ai renitenti accudisce la televisione, che nel palinsesto dedica ore alla lettura commento e ripetizione del testo. Non c'è il rischio che i sudditi vengano distratti da spettacoli empi e leggeri: le antenne satellitari sono giudiziosamente proibite. In auto invece l'inesauribile tormentatore dei propri simili concede una tregua: alcuni anni fa, per ragioni rimaste misteriose, ha vietato le radio. La velocità è la passione di questo presidente che ha aggiunto alla carica l'aggettivo perpetuo. Ama guidare a tavoletta per le vie di Ashkabad, sgusciando dal palazzo - poco sobrio incrocio tra il Vaticano e il Taj Mahal - dove accudisce il potere. Gli agenti sbarazzano a randellate le vie, cacciando le auto in mostruosi ingorghi laterali. Il peggio tocca ai pedoni terrorizzati, costretti a gettarsi nei fossi e nei portoni. Il presidente ha il piede pesante e non rallenta certo per un suddito molesto. Anche perché al suo passaggio scatta una scenografia realizzata per chilometri, dopo aver raso al suolo avvilenti quartieri abitati da povera gente. Una sfilata di fontane, cascate e giochi d'acqua: come per miracolo, via via che la Mercedes nera fila a tutto gas, con l'autista terrorizzato e inutile a fianco del presidente, le acque zampillano, le cascate scrosciano, i torrentelli si riempiono. Per poi spegnersi mestamente non appena il dio dei turkmeni svanisce in un rombo. La sua silhouette massiccia dilaga presidia occhieggia sovrasta. A piedi a cavallo in doppiopetto a mezzo busto o intero. Vestito da nomade e da banchiere, piccolo grande enorme sorridente pensieroso corrucciato paterno, in pietra calcare marmo porcellana cartone seta plastica. E in oro. Una delle statue è stata coperta di lamine massicce e, mossa da un ingegnoso congegno, ruota come un girasole durante la giornata inseguendo con il suo occhio indagatore i passanti. Dicono che persino un collega non certo estraneo al culto della personalità, il kazako Nazarbayev, alla vista di quella ciclopica stravaganza abbia mormorato che gli sembrava un po' troppo. Niyazov comunque non esaurisce i suoi sforzi architettonici nell'autocelebrazione. Ha predisposizione per il monumentale, tutto deve rivaleggiare con la torre di babele. Ha appena annunciato una nuova realizzazione nel cuore del deserto turkmeno, dove temperature terribili calcinarono eserciti carovane tribù: costruirà un gigantesco palazzo del ghiaccio. «I turkemi - ha detto - hanno il diritto di pattinare come gli altri». Il mostruoso e costosissimo falansterio si affianca alle centinaia di alberghi di lusso costruiti alla periferia della capitale e desolatamente vuoti. Niyazov era certo che milioni di stranieri sarebbero accorsi ad abbeverarsi alla mecca del suo pensiero. Ha fatto costruire nel suo paese natale ima moschea più grande di quella di Istanbul. Dicono che le barbe e i denti d'oro lo mandino in bestia: ora sono vietati. Non chiediamoci se Niyazov è un pazzo, un caso clinico di schizofrenia del potere. Niente affatto: sa che incrociando Stalin e Gengis Khan si affascina un popolo intorpidito da secoli di rassegnato assolutismo. Le galere comunque sono piene. E chi è seduto su un enorme barile di 155 trilioni di metri cubi di gas e sei miliardi e mezzo di tonnellate di petrolio può permettersi qualche stramberia.

Fa capolino la solitudine, perché si percepisce che la «vita» autentica scorre accanto ai vecchi, lasciandoli ai margini; si fa strada anche la paura della malattia e della dipendenza che ne deriva, l'angoscia della perdita della memoria; si cominciano a dimenticare i nomi, le cose da fare. Ricordo i vecchi del mio paese che si facevano un nodo al fazzoletto per ricordarsi qualcosa, ma poi nel soffiarsi il naso mormoravano avviliti; «Ecco, ho fatto il nodo, ma non ricordo più per cosa...». Davvero vita grama per i vecchi. Poi si passano i settant'anni e occorre esercitarsi alla pazienza e cominciare a percepire ogni giorno come regalato, perché l’orologio del corpo non inganna più nessuno. I movimenti più quotidiani - alzarsi dal letto, camminare, salire le scale... - si fanno più lenti, pesanti; si sperimenta cosa significa «restare indietro» quando gli altri avanzano. Allora ci si tiene in esercizio con qualche passeggiata o con una partita a bocce, chi abita in pianura rispolvera la bicicletta cercando strade poco frequentate, ma la rigidità si fa sentire come inseparabile compagna; «A sun reid», «Sono rigido», è il lamento che accompagna dal mattino alla sera ogni movimento richiesto. Il corpo è sempre più lento, la psiche pure, mentre il tempo appare sempre più veloce, si accorcia giorno dopo giorno, come la luce nei freddi pomeriggi di dicembre. Il vecchio non sa nemmeno cosa rispondere a chi gli chiede «come va?». Non può certo dire «bene», ma non vuole neanche lagnarsi, come a volte ha sentito fare ad altri più vecchi di lui. E allora, «A suma que!», «Siamo qui!»; non stupore in questa affermazione ma piuttosto tanta sapienza. Non significa tanto «sopravviviamo», ma piuttosto «stiamo ancora al mondo»; «siamo qui!» è l'affermare il presente proprio mentre tutto ciò a cui si guarda e si può guardare è il passato, il passato che vive nella memoria, il passato che è il grande patrimonio del vecchio. Persone ed eventi popolano questo passato e da esso emergono nitidi e forti i ricordi della fanciullezza, gli anni più lontani, quasi che il vecchio cerchi il bambino che è in lui; il vecchio ha bisogno del bambino, quello nascosto in lui e i bambini che gli stanno attorno, segno della generazione che viene. Forse oggi la tristezza di molti vecchi è accresciuta propria dalla scarsità di bambini attorno a loro; un mondo si chiude e non riescono a scorgere le promesse di quello futuro... I vecchi vivono di ricordi, e nei ricordi si rifugiano come per stringere l'unica ricchezza che rimane loro. Contare i giorni diventa un'arte, una maestria, a volte una fatica, ma diviene un esercizio indispensabile; contare i giorni perché è l'ora di riconciliarsi con la finitudine della vita, con la quale ci si scontra anche assistendo alla morte attorno a sé dei pochi coetanei rimasti, delle persone che erano state compagne di una vita. «Vengono meno i compagni - dice un proverbio monferrino - e ne appare uno nuovo; il bastone», trasposizione popolare del famoso enigma della Sfinge; «Qual è l'animale che al mattino cammina a quattro zampe, a mezzogiorno a due e alla sera a tre?». Si entra nell'«atrio della morte», uno spazio che in questi decenni si sarà anche esteso, ma che resta pur sempre l'anticamera della morte, una situazione in cui l'attesa non è certo più beve perché più lunga di qualche anno... Finché sulle labbra dei vecchi non compare un'altra espressione: «L'è ura d'andé», «È ora di andare!». Quella frase che da adulti si diceva ai bambini per mandarli a letto alla sera, ora da vecchi la si ripete a se stessi perché si è ormai stanchi di vivere: vivere, infatti, è un mestiere e alla lunga stanca. «È ora di andare»; rappacificata confessione di chi, seduto con lo sguardo sfocato, scruta la strada soleggiata fuori dall'uscio di casa o, d’inverno, il fuoco che crepita nel camino e che non si ha più la forza di rattizzare. Stanchi anche di chiedere l'aiuto degli altri, di aspettare che vengano a sostenerci, ad accompagnarci: di loro si ha bisogno, si sa anche che lo fanno volentieri, eppure non si vuole essere loro di peso... È proprio ora di andare! Questo è quanto riesco a leggere della mia vecchiaia ormai imboccata e della vecchiaia di quanti ho conosciuto e amato. Come sarà d'ora in poi il mio percorso? Troverò ispirazione nella speranza cristiana? Oppure, ma non vi è contraddizione, seguirò il sentiero che ho imparato da giovane alla scuola dei vecchi della mia terra? E sarà una vecchiaia segnata dalla malattia, dalle sofferenze, dall'oblio fino all'ottundimento? Ma il mio compito, il compito di ciascuno di fronte alla vecchiaia che incalza non è prevederla bensì prepararla, colmando la vita di quanto può sostenerci fino alla morte.

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