La Corte, nell'affermare tale illegittimità, invoca tanto la violazione del diritto all'identità personale, quanto il principio costituzionale di eguaglianza. In particolare i giudici costituzionali definiscono il diritto allo status filiationis come un elemento costitutivo del diritto all'identità personale ricavabile, a sua volta, sia da documenti internazionali, come la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1898, sia, nell'ambito del diritto interno, da una lettura aperta dell'art. 2 della Costituzione. L'A. sottolinea che il diritto allo status filiationis va inteso come il diritto di poter stabilire innanzitutto l'accadimento stesso della propria nascita, la propria identità biologica, il fatto stesso di essere figlio. Al principio costituzionale di eguaglianza, secondo l'A., viene riconosciuto sia un valore di orientamento della discrezionalità del legislatore, sia di interpretazione, collegato alla necessità ineludibile di tener conto di un'evoluzione della coscienza sociale, del caso secondo giustizia. La Corte costituzionale elimina così, almeno in parte, l'odiosa categoria legislativa dei figli incestuosi assimilandoli a quella dei figli naturali.
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