Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: accadeva

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La Stampa

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In un podere situato In località Molin Nuovo, accadeva durante la battitura del grano, un grave fatto. Ad un certo momento per un rimprovero avuto a proposito del lavoro, certo Nicola Geppetti, di 50 anni, colpiva con un forcone in modo violento tale Adelmo Buzzini. di anni 31. A chiedere spiegazione dell'accaduto accorse poco dopo il cognato del Buzzini, a nome Ulisse. Il Geppetti afferrata una scure, si diede a seguire Il malcapitato il quale tentò di difendersi, ma venne colpito per tre o quattro volte le varie parti del corpo e fu ricoverato all'ospedale. L'energumeno è stato arrestato.

La Stampa

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Altre truffe potevano riguardare l'età denunciata dagli atleti, le scuse addotte per il mancato arrivo a Olimpia in tempo debito (i concorrenti dovevano allenarsi per 30 giorni davanti ai giudici, ma accadeva che qualcuno non rispettasse i tempi per partecipare a altre gare), la città di provenienza e la condizione civile (non erano ammessi schiavi né stranieri, e qualche volta anche ai greci toccò di essere esclusi, come agli spartani nel 420 per violazione della tregua sacra: in quel caso uno di loro, Lica, trovò il modo di iscrivere il proprio carro, e vincere, spacciandolo per tebano). Perche gli atleti erano pronti a tutto pur di trionfare? E come si concilia questa feroce (a volte truffaldina) determinazione con il moderno motto decoubertiniano «l'importante è partecipare», che si vorrebbe ricavato da un inesistente modello ellenico? È stato il classicista tedesco Jacob Burkhardt, nell'800, a parlare di «spirito agonale» dei greci, della vocazione a confrontarsi per il puro gusto di farlo, indipendentemente dalla vittoria. E in molti, sulla sua scia, hanno contribuito a dare di quel rissoso ma concretissimo popolo un'immagine romanticizzata, astorica e paradossale, se non perfino caricaturale. In realtà gli atleti combattevano soprattutto per la ricompensa, come è rivelato anche dal loro nome: athletés, da àthlon, premio. È per ottenere Ippodamia che Pelope affronta la sfida mortale. E quando Achille organizza i giochi funebri in onore di Patroclo, non si perita di invogliare alle gare esibendo i tesori in palio. Si noti, tra l'altro, che quando il «pie veloce» decreta la retrocessione di Antiloco, che ha battuto Menelao nei carri con una scorrettezza, l'interessato si adira: «Vuoi dunque togliermi il premio?». Tanto per dire che - agli occhi almeno di un greco dell'età arcaica, quando visse Omero - il fine della vittoria poteva proporsi come plausibile contraddittorio della lealtà. E così se ne va un'altra mistificazione di de Coubertin, desunta piuttosto dal modello britannico del gentleman e dei college di fine '800: il mito del dilettantismo. Semmai, questa idea poteva corrispondere alla realtà olimpica più antica, quando i giochi erano monopolio delle classi aristocratiche. Le cose cambiano con l'allargamento della base sociale nella pòlis democratica, verso la fine del VI sec., a cui corrisponde l'introduzione di una specialità agonistica, la corsa in armi, pensata apposta per i protagonisti emergenti dell'esercito «popolare»: gli opliti. È vero, i giochi di Olimpia, come gli altri tre stephanìtai (i pitici, gli istimici e i nemei), non previdero mai premi in denaro, ma solo una corona (stéphanos), in questo caso di ulivo, tratta dal boschetto sacro dell'Altis. Ma i benefici indotti erano svariati. Intanto la vittoria olimpica era la migliore referenza per essere ammessi alle altre competizioni con ricchi premi, dove spesso si era pagati anche soltanto per partecipare. Ne era nata una categoria di superprofessionisti che giravano l’Ellade come globetrotter: per esempio Teogene di Taso, un aristocratico, accreditato di 1300 vittorie in 22 anni, nel Pancrazio e nel pugilato. Poi c'erano le sovvenzioni pubbliche. Poi i premi aggiuntivi. Nel V sec. Solone assegnò per legge 500 dracme ai vincitori dei giochi olimpici, 100 a quelli dei giochi pitici: una dracma era il guadagno giornaliero di un operaio specializzato. Così lo Stato faceva propria la vittoria del suo atleta e la sfruttava politicamente. Dice nulla? In più c'era la gloria: gli olimpionici erano in patria veri e propri eroi nazionali, idolatrati come oggi i calciatori, mantenuti a vita nel pritaneo, destinatari di favori e favoritismi - come il posto in prima fila a teatro duramente contestati dagli intellettuali invidiosi come Senofane. E la corona di ulivo poteva diventare un capitale da spendere politicamente: nel 416 a.C. il ricchissimo e ambiguo Alcibiade riuscì a convincere l'assemblea alla (disastrosa) spedizione in Sicilia usando come argomento, anche, il proprio recente exploit olimpico: primo, secondo e quarto posto nella finale delle quadrighe. Ancora una volta, dice niente? Insomma le Olimpiadi antiche, non meno di quelle moderne, erano un grande business a cui nessuno voleva mancare, con retori storici e cronisti al posto delle tv. Nel recinto dell'Altis Erodoto lesse le sue Storie, Gorgia e Lisia pronunciarono le loro orazioni. Accorrevano gli scultori, perché i vincitori avevano il diritto di dedicare una statua nel boschetto sacro: Plinio asserisce di averne viste almeno tremila. Né potevano mancare i poeti, ancora più esosi degli artisti. Come Simonide, come Bacchilide. Come Pindaro, il cantore dei bei tempi andati, dei valori del sangue e della nobiltà d'animo. Che a un tale Pytheas, vincitore neppure a Olimpia ma a Nemea, chiese per l'epinicio tremila dracme.

La Stampa

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Il marco segna record a ripetizione ed è ormai vicino a quota 700 lire, mentre il dollaro è in forte calo, come non accadeva da cinque anni (oggi vale poco meno di 1337 lire). La moneta americana ha trascinato nella caduta il franco francese, ormai alle corde.

Corriere della Sera

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C'era infatti la convinzione che al di là dello spettacolo I giovani amassero riunirsi nei grandi spazi all'aperto e che forse l'aggregazione in qualche modo “rituale” avesse maggior importanza di quanto accadeva sul palcoscenico. Ma i vuoti clamorosi accusati da alcuni personaggi, anche ben piazzati nelle classifiche di vendita discografica, hanno dimostrato che è bene non indulgere ad una offerta eccessiva di megaconcerti.

La Stampa

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Sino a qualche anno fa accadeva che chi si avventurasse di corsa sulle strade della collina o lungo i viali cittadini fosse oggetto di derisione da parte dei passanti ed in particolare degli automobilisti. Perché correre? Perché faticare tanto, per nulla? C'è voluta la crisi energetica per dare una grossa spinta alla massa nell'aiutarla a capire una pratica insieme piacevole e salutare, nel favorire la riscoperta dell'andare a piedi, anche senza meta, per sciogliere e ritemprare i muscoli intorpiditi da lunghe ore di scrivania o al banco d'officina.

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