Quando ciò accade, sullo schermo situato in periferia appaiono i dati raccolti nelle banche. Se quest'operazione è compiuta illegittimamente si realizza il reato di accesso abusivo in un sistema informatico. Questo reato deve essere considerato commesso nel luogo in cui agisce chi penetra nella banca dati o in quello in cui si trova il server? Su tale tema è esploso un conflitto di competenza fra diversi giudici (sollevato da Roma, che ha rifiutato la sua competenza nel caso di accesso ad un server collocato in Roma avvenuto digitando un terminale a Firenze). La Cassazione ha dato torto a Roma. Roma ha risollevato però il conflitto. Che cosa farà ora la Corte? Il problema è di rilievo, essendo indiscutibile che la rete informatica si sottrae ai concetti tradizionali di spazio e luogo con i quali siamo abituati a ragionare. Le stesse banche dati sono d'altronde, oggi, collocate sovente in una "nuvola" non localizzabile: che senso avrebbe utilizzare nei loro confronti concetti ancorati al luogo in cui essa si trova?
Diversamente accade quando l'interesse pubblico è strumentalizzato per meri fini di lucro e/o pubblicitari: queste sentenze offrono l'occasione per una ulteriore riflessione sull'atteggiamento della giurisprudenza in relazione al contemperamento delle opposte esigenze, del singolo e della collettività, e alle soluzioni riparatorie in caso di illecito.
Nel presente contributo si fornisce un quadro tra passato (non troppo remoto) e futuro di quanto accade nel mondo dei pagamenti "on line", con il rammarico di aver perso l'ennesima buona occasione.
In questo senso l'ampia bibliografia politico-economica rapidamente affermatasi sugli sviluppi istantanei di tale "Gruppo", ne ha evidenziato l'importanza significativa sotto lo specifico profilo giuridico-internazionale, dato il loro contributo determinante alla ricostruzione dei predetti "common legal principles", non diversamente da quanto accade nello spazio giuridico di un'Unione organizzata come quella europea, dove tali principi generali si identificano con le tradizioni costituzionali comuni. Sembra pertanto inevitabile non prescindere da tali fenomeni aggregativi affermando che la valorizzazione della tradizione giuridica continentale potrebbe certamente corrispondere ad una cornice o ad un ambiente giuridico comune per gli operatori economici BRICS entro il quale poter utilizzare al meglio le specificità dei loro diritti nazionali.
Accade talvolta che le fonti scritte (in particolare, la legge, e in alcuni ordinamenti la costituzione) facciano riferimento alla consuetudine. In diritto internazionale, è pacifico che la consuetudine sia fonte di produzione giuridica. In questo scritto, discuterò (con l'eccezione del paragrafo conclusivo) un unico problema: che cosa è la consuetudine? A che cosa fa riferimento il diritto, quando fa riferimento alla consuetudine? In tema di consuetudine, il principio della saggezza consiste nel riconoscere che il termine "consuetudine" designa non uno soltanto, ma una pluralità di fenomeni, che occorre tenere distinti. E' possibile, cioè, ricostruire, o modellare, più concetti di consuetudine. Nella prima parte di questo scritto presento una serie di definizioni, di crescente complessità, che identificano (famiglie di) concetti differenti: consuetudine come mera regolarità di comportamenti, regole sociali, concezioni causali e normative della consuetudine, consuetudini come fenomeni di interazione strategica (le convenzioni di Lewis e le norme di "fair play" appartengono a quest'ultima famiglia). Nella seconda parte, più breve, sostengo che, a causa dei profondi disaccordi dottrinali sui tratti della consuetudine come fonte del diritto e la mancanza di appropriate indicazioni da parte dei testi giuridici, tutto ciò che si può fare per determinare a cosa leggi e altri testi giuridici si riferiscano quando parlano di "consuetudine" è delineare la cornice dei diversi significati ammissibili del termine - ciò che faccio nella prima parte - senza sceglierne alcuno come il migliore, o quello giusto. Nel paragrafo conclusivo mostro infine come, nonostante le osservazioni dello stesso Hart (nel "Postscript" a "The Concept of Law"), la hartiana regola di riconoscimento debba essere intesa come una regola consuetudinaria, e non come una regola convenzionale.
A volte le etichette riportano informazioni eccessivamente tecniche e dettagliate; altre, come accade per i prodotti vitivinicoli, hanno bisogno di essere integrate con gli indicatori di qualità essenziali. L'A. fornisce degli spunti per un auspicabile intervento legislativo orientato verso un ragionevole compromesso tra eccesso e "deficit" informativo, nel dovuto rispetto dei diritti e degli interessi dei consumatori.
In particolare, i testi giuridici normativi dovrebbero generalmente presentare una regolarità sintattica della frase al fine di compensare all'impiego di espedienti linguistici che conferiscono opacità alle informazioni giuridiche; tuttavia, ciò non sempre accade. Difatti, l'obiettivo di questo studio è mostrare che il linguaggio giuridico inglese, italiano e spagnolo spesso impiegano un ordine sintattico marcato della frase per attribuire una maggiore salienza comunicativa ad uno specifico elemento giuridico. Concludendo, il lavoro contribuisce alla diffusione dello studio del linguaggio giuridico inglese, italiano e spagnolo, e della disciplina della Linguistica giuridica secondo l'approccio proprio della Linguistica testuale.
La nuova disciplina della crisi da sovraindebitamento, riguardante situazioni non soggette alle vigenti procedure concorsuali, offre un nuovo scenario degli strumenti giuridici utilizzabili dall'impresa non fallibile che versi in uno stato di carenza di liquidità, seppure patrimonializzata con cespiti di non agevole dismissione, ma il cui valore complessivo supera, anche di molto, quello dei debiti (come talora accade nel comparto agricolo). L'aggressione dei beni strumentali (specie gli immobili) e la conseguente paralisi dell'impresa (a seguito delle azioni esecutive individuali intraprese dai creditori) può essere evitata con una soluzione parzialmente liquidatoria (c.d. di protezione), utilizzando gli effetti segregativi propri della nuova disciplina e destinando,così, al soddisfo del ceto ereditario, solo una parte del patrimonio aziendale. Al riguardo gli strumenti a confronto sono il trust liquidatorio di protezione e il contratto fiduciario.
La questione viene affrontata secondo una logica innovativa, ovverosia alla luce dei requisiti dell'interesse ad impugnare un provvedimento giurisdizionale ove lo stesso recepisca un accordo tra privati, come accade nella sentenza di divorzio pronunciata su ricorso congiunto dei coniugi. Questa prospettiva consente di fornire alcuni chiarimenti in merito al rapporto, da sempre controverso in giurisprudenza, tra il provvedimento giudiziale e il contenuto dell'accordo raggiunto dai coniugi e conseguentemente di risolvere talune questioni applicative di non scarso rilievo.
Cosa accade dopo l'approvazione di un provvedimento? Inoltre, che ruolo svolgono in questo meccanismo le amministrazioni proponenti e le strutture del Governo? L'articolo muove dall'esame del caso nato a seguito dell'approvazione in Consiglio dei Ministri, il 24 dicembre 2014, del decreto fiscale cd. "Salva-Berlusconi", e ricostruisce i passaggi chiave dell'adozione delle decisioni da parte del gabinetto governativo. Le regole formali a presidio del processo decisionale sono poste a confronto con la prassi, frutto della necessità di garantire l'informalità e la rapidità delle decisioni, per assecondare le contingenze imposte dal quadro socio-economico nel quale si iscrive l'attività decisionale del Governo.
Il contributo interpretativo dell'Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 25/E del 2015, si focalizza su un aspetto tanto specifico quanto di ampio interesse e che aveva già sollevato incertezze tra gli operatori del settore, tale essendo la quantificazione del valore dei "beni significativi" allorquando, come sovente accade, un contratto di appalto racchiuda in sé la fornitura degli stessi.
Dopo una breve sintesi del quadro giurisprudenziale comunitario e degli orientamenti interni in materia di "in house", l'analisi si sofferma in particolare sul rapporto tra fonti dell'Unione ed ordinamento interno, laddove la fonte sia sostanziata, come sovente accade, da affermazioni "pretorie" della Corte di Giustizia e le stesse contrastino con il preciso contenuto di direttive ancora non "scadute". Ne deriva un quadro abbastanza complesso in cui l'evidenza del diritto scritto, non ancora applicabile negli Stati membri, stride con il carattere notoriamente vincolante delle statuizioni della Corte di Giustizia.