Lottizzazione abusiva e confisca: reato "a incriminazione progressiva" e acrobazie interpretative
Dopo la pronuncia della Corte EDU sul caso di Punta Perotti si aprono nuovi orizzonti interpretativi sulla confisca da lottizzazione abusiva. L'interpretazione proposta dalla Corte di legittimità suscita, secondo l'A., non poche perplessità circa la rispondenza alle indicazioni della suddetta sentenza e si rende quindi necessario alternativamente l'intervento del legislatore ovvero della Corte costituzionale.
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 19 dicembre 2011 e depositata in data 15 febbraio 2012, si è occupata di duplicazione abusiva, per fini di profitto, di nove programmi per elaboratore installati su più personal computer aziendali, senza avere acquistato le relative licenze. L'articolo si occupa di affrontare l'evoluzione del diritto d'autore con riferimento alla protezione del "software", valutando sia le pronunce giurisprudenziali sia, in prospettiva, i cambiamenti necessari portati dalla costante evoluzione tecnologica.
Noterelle minime sulla concessione "abusiva" e sulla revoca "abusiva" del credito
L'A. tratta il tema della "concessione abusiva di credito" nella prospettiva della eventuale responsabilità della banca che abbia concesso credito ad un imprenditore che versi in una situazione di grave difficoltà o di insolvenza, tenendolo artificiosamente "in vita".
Scrutinio dell'ordinamento del Belgio, nel settore della libertà personale e nella classe dell'asilo politico, riguardato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e comparato con quello d'Italia: l'instaurazione della custodia cautelare abusiva, spoglia del compendio indiziario e quindi di una base fattuale, diviene una "vicenda incontrollabile" ed irriducibile, priva del rispetto delle garanzie minime, e dunque iniqua, per chi la subisce (procedimento ablativo ingiusto). Per via di tale "vulnus",emerge l'interrogativo circa il rispetto dei principi del rito cd. accusatorio e delle regole fondamentali del" giusto processo", riferito anche al problema della mancanza di una decisione tempestiva sulla legittimità della detenzione, che valga a controllarla (deficit nel versante del vaglio del titolo privativa, "de libertate"). Il giudice deve farsi garante dell'atto che elimina lo "status libertatis" (riduzione "in vinculis" giustificata): il suo intervento (cd. riserva di giurisdizione) deve essere autentico (con i caratteri del sindacato) e non un "moto apparente".
La Cassazione continua sulla strada dell'applicazione delle regole del diritto civile anche nei confronti della pubblica amministrazione, riconoscendo al proprietario del fondo occupato dall'amministrazione la stessa tutela che avrebbe avuto nel caso in cui l'occupazione abusiva fosse stata realizzata da un privato, con l'eccezione della perdita implicita del diritto di proprietà e dell'inapplicabilità dell'accessione. Sulla stessa strada si è mosso il giudice amministrativo sulla spinta, in entrambi i casi, degli interventi della CEDU, creando in sostanza una figura generale di occupazione ''sine titulo'' che sostituisce le vecchie categorie dell'occupazione usurpativa ed occupativa. Entrambi i giudici hanno ormai riconosciuto la tutela reale dei proprietari delle aree illegittimamente occupate, ma sui limiti di questa tutela, nel caso di realizzazione di opere sul fondo, i due giudici mantengono posizioni diverse che rappresentano la loro diversa formazione: civilistica per i primi e pubblicistica per i secondi.
Giurisprudenza comunitaria e ''massimo effetto utile per il consumatore": nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto
Perché il problema degli effetti della caducazione della clausola abusiva vessatoria è, a ben vedere, più complesso di quel che è apparso alla Corte e neppure chiuso nella sola alternativa - che una prima lettura della pronuncia potrebbe accreditare - tra pura caducazione del patto e sua correzione giudiziale. Risultando piuttosto preferibile ritenere che la caducazione parziale comporti l'applicazione della disciplina dispositiva abusivamente derogata.
Il giudicante ha avuto buon gioco a riconoscere la legittimità dell'operato dell'Amministrazione (Soc. concessionaria autostradale, che esercita, sul punto, i poteri dell'Ente proprietario della strada) in ragione della natura abusiva del manufatto: per l'installazione di quest'ultimo, infatti, non era stata presentata domanda di autorizzazione. Ma se la domanda fosse stata presentata, la questione avrebbe assunto un livello di complessità ben maggiore. Qual è, in effetti, l'esatta linea di demarcazione tra insegna (permessa) e pubblicità (vietata)? Il tema è delicato, la normativa di settore lacunosa.
Trasformazione di sottotetto in locale abitabile: quando è lottizzazione abusiva?
La Corte di Cassazione interviene opportunamente con la sentenza in esame sul tormentato reato di lottizzazione abusiva, oggetto in questi ultimi anni di numerosi interventi esegetici da parte della giurisprudenza di legittimità. Stavolta il tema affrontato dalla Corte è quello della possibile configurabilità dell'illecito lottizzatorio nel caso, invero assai diffuso, della trasformazione di locali sottotetto di un appartamento in locali abitabili, in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo. La giurisprudenza tradizionale, com'è noto, ritiene che tale attività di trasformazione costituisca un mutamento di destinazione d'uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogenee. Parte della giurisprudenza di legittimità, invece, con un'interpretazione più rigorosa, sostiene che in presenza di un'attività non consentita di trasformazione urbanistica o edilizia del territorio, realizzata anche mediante una forma di suddivisione fattuale dell'immobile, sia configurabile l'illecito lottizzatorio. Da qui, dunque, il quesito: la trasformazione di un sottotetto in locale abitabile, realizzando una diversa suddivisione in fatto dell'immobile, può astrattamente integrare la fattispecie di lottizzazione abusiva, o è necessario un ''quid pluris'' affinché ciò si verifichi?
Ha giudicato sussistere una condotta abusiva ritenendo provati l'esistenza di un risparmio d'imposta, l'aggiramento del principio costituzionale della capacità contributiva e l'assenza di valide ragioni economiche. Si è espressa nel senso che l'abuso può essere realizzato anche mediante attività simulatorie e che termini come apparenza, fittizietà, schermo, sovente usati nelle verifiche e negli avvisi, sono espressione dell'individuazione di atti privi di causa, non spiegabile se non nell'ottica di un'artificiosa predisposizione per aggirare la normativa fiscale. Dalla vicenda in esame si possono trarre insegnamenti validi sia per gli operatori che per il legislatore, che sembra in procinto di riprendere in mano i disegni di legge in materia.