L'A. affronta i temi inerenti al concetto di personalità ritenuto abusato, sia nella spiegazione, sia nel recupero della devianza minorile. Osserva che ancora oggi gli interventi di recupero facilmente approdano a risultati fallimentari, perché mirano a correggere il soggetto ritenuto difettoso con l'intento di guarire il presunto "paziente" dalla "malattia della delinquenza". La devianza è un atto contro un ordine etico-normativo stabilito da una realtà costruita socialmente che varia con il variare dei tempi storico-culturali, e non contro un ordine biologico o personologico. In ogni società la devianza è un comportamento appreso al pari del comportamento conforme, fatto di significati, di codici e di rituali. L'A., inoltre, constata che le categorie psichiatriche e psicologiche non si sono allontanate di molto dalla visione lombrosiana, secondo la quale certi tratti fisiognomici identificavano il delinquente nato; oggi certe caratteristiche di personalità identificano il deviante psichico e psicopatico. Giunge e suggerire nella "messa alla prova" interventi non incentrati tanto sulla personalità del minore, quanto sui contesti di vita che sono causa dell'acquisizione del comportamento deviante e, spesso, della sua cronicizzazione.